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Il soddisfacimento del bisogno di movimento, pure non rientrando tra quelli prioritari
nella fase acuta di una patologia, non deve essere sottovalutato perché, se rimandato
nel tempo, il ripristino delle funzioni locomotorie diventa problematico, complesso e a
volte del tutto impossibile, specie in pazienti anziani e/o affetti da patologie cronico
degenerative invalidanti (Bliss MR, 2009). La complessità clinica e assistenziale del
paziente geriatrico e la mancanza di tempo e/o di personale non devono rappresentare
un ostacolo alla mobilizzazione (Morris PE, 2007).
La sindrome da immobilizzazione può causare il declino delle normali attività funzionali
e aumentare il rischio di complicanze riguardanti vari
sistemi e apparati dell’organismo (Knight J et al., 2009) quali per esempio il sistema
muscolo-scheletrico, i sistemi cardiocircolatorio, respiratorio e gastroenterico e
l’apparato genitourinario. La sindrome oltre a essere caratterizzata da una componente
fisiologica ne possiede anche una psicologico-ambientale (Lipnicki DM et al., 2009). La
popolazione prevalentemente a rischio è quella che conduce vita sedentaria, con età
superiore ai 65 anni di entrambi i sessi e con problemi nutrizionali. E’ preventivabile che
all’aumentare dell’aspettativa di vita e della frequenza annuale di eventi traumatici
corrisponderà un incremento d’incidenza della sindrome. La sindrome da allettamento
prolungato può generarsi o peggiorare durante un ricovero ospedaliero laddove la
condizione patologica e/o lo stato d’immobilizzazione prolungata agiscono da fattori
favorenti. La mobilizzazione precoce contribuisce a prevenire il declino funzionale e le
complicanze associate a un prolungato allettamento (Milbrandt EB, 2008; Graf C, 2006)
ma occorre definire i tempi e le modalità di prevenzione ottimali.
Il maggior rischio della sindrome d’allettamento per i Pazienti Anziani è
prevalentemente riconducibile proprio al concetto di “fragilità”, coinvolgenti svariati
fattori tra cui il fisiologico decadimento delle prestazioni fisiche, la riduzione della
capacità funzionale degli apparati, fattori economici, sociali, maggiore morbilità per
patologie croniche e la debolezza psicologica.
Tra i fattori biologici sono compresi:
• patologie a carico dell'apparato muscolo-scheletrico: artriti, osteoartrosi, osteoporosi,
fratture (principalmente a seguito di cadute e a carico del femore), polimialgia
reumatica, borsiti e tendiniti (soprattutto a carico del piede). Queste condizioni
inducono immobilità provocando dolore, ridotta ampiezza di movimento, debolezza
muscolare, decondizionamento;
• malattie neurologiche: ictus, m. di Parkinson, demenza, neuropatie periferiche, cui
conseguono compromissione della funzione motoria da danno centrale, dolore,
debolezza ed ipotrofia muscolare, deficit sensoriali (propriocettivi);
• malattie cardiovascolari: scompenso cardiaco (dispnea da sforzo), coronaropatia
(angina da sforzo), arteriopatie obliteranti periferiche (claudicatio intermittens);
• malattie polmonari: BPCO e sindromi restrittive (dispnea, minore capacità aerobica)
• altre condizioni: riduzione del visus (cataratta, retinopatie, ecc.), patologie a carico dei
piedi (ulcere, calli, onicomicosi), malnutrizione, gravi malattie sistemiche (ad es.
neoplasie), effetti collaterali di
farmaci (sonnolenza ed atassia indotte da ansiolitici, rigidità muscolare e bradicinesia
da neurolettici), comorbidità.