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FISIATRIA

Prof. Vecchio

REPARTI DI FISIATRIA
La fisiatria è quella scienza che si occupa del recupero funzionale dopo un evento acuto: i
principali campi d’applicazione sono la neurologia e l’ortopedia (ma anche l’ambito
uro-ginecologico, cardiovascolare e respiratorio sono coinvolti).
Suddividiamo i reparti di fisiatria tramite dei codici nazionali: questo perché ognuno di questi
reparti ha un obiettivo specifico diverso, a cui quindi affluiscono pazienti con diverse
potenzialità riabilitative.
I codici sono 56, 75, 28 e 60.
CODICE 56: è il classico reparto di RIABILITAZIONE INTENSIVA, nel quale vengono
trasferiti i pazienti dopo un evento acuto (fratture, traumi), se:
- Possono rimettersi in piedi (a carico anche parziale)
- Non hanno complicanze internistiche che impediscano 2 volte al giorno di fare
fisioterapia
- Non hanno complicanze alle funzioni corticali superiori tali da rendere difficoltosa la
riabilitazione
- Il potenziale di riabilitazione è favorevole
L’obiettivo di questo reparto è quello di accogliere i pazienti con “SITUAZIONE
FUNZIONALE MODIFICABILE”, che avendo alte potenzialità di recupero possono migliorare
le proprie performance fisiche. Ad essi dovrebbe essere fornita alta assistenza medica e
infermieristica e attrezzature tecnologiche all’avanguardia (esoscheletri, ecc.).
In 2-3 settimane, i pazienti, dovrebbero incrementare le proprie performance fisiche per
essere trasferiti al proprio domicilio, dove continueranno l’attività riabilitativa
CODICE 60: è la LUNGODEGENZA, un reparto in cui i soggetti che vi sono ricoverati non
hanno autorizzazione “al carico” e hanno bisogno di assistenza, soprattutto infermieristica, e
fisioterapia per prevenire i danni secondari da allettamento (piaghe da decubito, il ristagno di
secrezioni bronchiali, ecc.).
In realtà, alcuni dei pazienti del codice 60 potrebbero, superata la fase in cui sono non
riabilitabili, rientrare nel codice 56.
CODICE 75: NEURORIABILITAZIONE, unità di riabilitazione per pazienti con gravi
cerebrolesioni acquisite, traumatiche e non traumatiche, in gradi di sostenere una
riabilitazione intensiva altamente specialistica.
CODICE 28: si tratta dell’UNITA’ SPINALE, un centro riabilitativo di alta specializzazione,
destinato alla presa in carico di pazienti con lesioni midollari traumatiche e non.
RSA: altra struttura “pseudo-riabilitativa” è la Residenza Sanitaria Assistita.
I pazienti vengono fatti deambulare su un carrello, vengono invogliati al movimento, ma non
hanno obiettivi funzionali veri.
I diversi reparti di riabilitazione hanno una “mission” diversa, trattano quindi pazienti con
obiettivi e problematiche differenti.
Quindi, per fare un esempio: un paziente che proviene da ortopedia e ha un potenziale
riabilitabile viene mandato tra la 3a e la 6a giornata al codice 56. Deve essere munito di:
- radiografie;
- elenco della terapia farmacologica in atto;
- descrizione di complicanze chirurgiche o internistiche;
- esami di laboratorio;
- indicazioni sul carico (sia dal fisiatra in base all’E.O. e agli esami che il paziente
porta, sia dall’ortopedico, in base alla stabilità della frattura trattata);
Se invece il soggetto non è riabilitabile va in lungodegenza, codice 60: a questo punto o
migliora e quindi può accedere al codice 56 o resta non riabilitabile e va o a casa o nelle
RSA, se non ha supporto familiare.
Quando c’è da fare una riabilitazione, in seguito ad una frattura si pensa subito al fatto di
potenziare la muscolatura e migliorare l’articolarità dell’arto. Invece bisogna sapere che ci
sono cambiamenti importanti in tutto il corpo che influenzano negativamente la performance
motoria durante l’allettamento e la fisioterapia:
- Perdita di massa minerale ossea, sia globale (osteoporosi) sia distrettuale (nella
zona di frattura, ad esempio nelle fratture di femore si arriva a perdere il 4,5 % della
massa minerale ossea nell’arco dei 12 mesi successivi alla frattura).
- Alterazioni della massa grassa: in un primo periodo il paziente perde massa grassa
(dai primi 3-10 giorni fino ai 2 mesi successivi), successivamente (dopo 2 mesi) la
massa grassa aumenta del 7% circa.
- Sarcopenia, ovvero la perdita di muscolo che arriva al 35% nella prima settimana e
fino al 60% nel primo anno (considerando sempre una frattura di femore).
- Aumento degli indici infiammatori: citochine e le proteine pro-infiammatorie.
- Diminuzione di capacità cognitive: nel 50% dei casi, dopo i primi mesi di
allettamento.
- Depressione nel 25% dei casi nei mesi successivi l’allettamento.
La riabilitazione, per essere efficace, deve:
1) Servirsi dei giusti setting riabilitativi e della giusta strumentazione (palestre
adeguatamente attrezzate, tecnologiche)
2) Considerare le frequenti comorbidità (ipertensione e malattie cardiovascolari, D.M.,
cirrosi, obesità, ecc) per eseguire un intervento riabilitativo su misura sul paziente
3) Adottare dei protocolli, ogni protocollo presenta degli obiettivi da raggiungere
(recupero della forza muscolare, la flessione, la deambulazione su 2 appoggi, la
capacità di salire/scendere dalle scale, ecc.)
4) Adeguare l’apporto nutrizionale, soprattutto la aumentando la quota proteica per
contrastare la sarcopenia.
5) Servirsi di mezzi farmacologici/fisici (esempio: correnti elettromagnetiche) per
stimolare il trofismo osseo e porre rimedio all’osteoporosi alla quale l’allettato va
incontro:
- Adeguando l’idratazione;
- Prevenendo la formazione di piaghe da decubito e le complicanze
internistiche;
- Dando il carico al giusto momento in accordo con l’ortopedico;
- Attenzionando la modalità, la durata e l’indicazione alla somministrazione
della riabilitazione, proprio come se fosse un farmaco, attenendosi alle linee
guida;
E’ stato dimostrato che i pazienti over 65 con frattura di femore che venivano riabilitati e
riuscivano a rialzarsi entro 15 giorni avevano una ridotta mortalità rispetto agli altri: non
sempre la rapidità di ripresa indica una ripresa ottimale.
Si è visto tuttavia che nei soggetti allettati i telomeri si accorciano progressivamente più
velocemente rispetto ai soggetti che fanno attività fisica in quanto questa è capace di ridurre
lo stress ossidativo e l’infiammazione. Quindi l’attività fisica è correlata ad un aumento in
generale della sopravvivenza.
SINDROME DA ALLETTAMENTO
La sindrome da allettamento è una patologia multiorgano quasi indipendente dalla malattia
che l’ha causata. E' una patologia nella patologia, visto che subentra in un paziente che è
allettato per altre malattie.
Le patologie che portano all’allettamento sono nel 56% cardiache e neurologiche, poi
neuropsichiatriche e in seguito a chirurgia o trauma.
Si può immaginare come una prestazione fisica al contrario, infatti stare allettati richiede un
impegno maggiore di uno sforzo agonistico mentre si riduce la prestazione fisica, la
funzionalità dei vari apparati, peggiora la morbilità e mortalità di patologie croniche, si va
incontro ad emarginazione e debolezza progressiva.
Questi sono gli apparati coinvolti:
- Sistema Nervoso:
1. stato confusionale,
2. aumentata sensibilità alla tossicità dei farmaci
3. deficit cognitivi (perdita della cognizione del tempo, dello spazio, il pz non sa
se è giorno, notte, estate, inverno ecc.)
- Sistema Cardiovascolare: riduzione della portata ematica, accumulo di catecolamine,
tromboflebiti agli arti inferiori ed embolia polmonare (utilizzare eparina, trombolitici in
via preventiva). Aumento di lipidemia e colesterolemia.
- Sistema Tegumentario: forze di compressione, stiramento e attrito a carico della pelle
e la riduzione del flusso ematico locale, contribuiscono alla formazione di piaghe e
ulcerazioni cutanee. La riduzione della percezione del dolore e l’azione macerante
delle urine o delle feci, possono determinare un peggioramento delle condizioni
cutanee (peggiorando la condizione clinica e predisponendo alle infezioni).
- Apparato Urinario: la ritenzione urinaria, l’aumento dell’escrezione urinaria di
elettroliti (sodio, calcio e potassio) e l’aumento del residuo post minzionale
predispongono alle infezioni urinarie, alla formazione di calcoli e all’incontinenza
urinaria.
- Apparato Digerente: la riduzione del contenuto energetico per minore assorbimento
di sostanze causa 1) stipsi data dalla ridotta assunzione di cibo, dal cambiamento di
orari e di abitudini e dalla mancanza di privacy e 2) anoressia.
- Sistema respiratorio: l’allettamento causa un ristagno di secrezioni bronchiali con
conseguenti broncopolmoniti, ma più importante da sottolineare è la riduzione del
volume corrente, atelettasie, desaturazione arteriosa di ossigeno. Il danno è più
grave nei soggetti obesi e in chi ha eseguito interventi di chirurgia addominale
maggiore.

BIOMECCANICA DELL’ANCA
Il femore è l’osso lungo più voluminoso del corpo e rappresenta lo scheletro della coscia.
Prossimalmente è articolato con l’acetabolo dell’osso dell’anca, distalmente si articola con
tibia e rotula.
Dal punto di vista strutturale è costituito esternamente da osso compatto, nella corteccia,
che garantisce resistenza a forze tangenziali e torsioni, mentre internamente da osso
spugnoso che forma la rete trabecolare mediale e arcuata che gli conferisce elasticità.
La testa del femore forma circa 2/3 di una sfera completamente ricoperta da cartilagine
articolare (eccetto per una regione centrale chiamata fovea). Il ligamentum teres (o
legamento rotondo della testa del femore) si trova tra il legamento trasverso dell’acetabolo e
la fovea, e al suo interno passa l’arteria acetabolare, utile per rifornire sangue alla testa del
femore nel neonato (nell’adulto il nutrimento è dato dalle arterie circonflesse mediali e
laterali e la principale funzione del legamento rotondo è quella di aumentare la sensibilità
propriocettiva in quanto è particolarmente ricco di meccanocettori).
L’acetabolo è una profonda cavità emisferica che accoglie la testa del femore. Il ciglio
acetabolare è incompleto e presenta una apurtura inferiore dai 60° ai 70°.
L’incisura acetabolare è ricoperta da cartilagine, mentre la fossa acetabolare (cioè la
porzione centrale profonda) non presenta cartilagine ma è presente un solco per il
legamento teres.
Il labbro acetabolare è un robusto anello fibrocartilagineo, importante dal punto di vista
biomeccanico in quanto fornisce stabilità (della testa del femore sull’acetabolo) e mantiene
una pressione intra-articolare negativa. Le lesioni del labbro acetabolare sono insidiose in
quanto, essendo una regione scarsamente vascolarizzata, si ha una scarsa capacità di
guarigione spontanea.
L’anca è l’articolazione che si instaura tra la testa sferica del femore e la profonda cavità
acetabolare della pelvi. L’articolazione è utile alla stazione eretta, alla deambulazione e alla
corsa/cammino. L’osso dell’anca è un voluminoso osso piatto pari e simmetrico ed è
costituito da ileo (posto superiormente), ischio (postero-inferiormente) e pube
(antero-inferiormente). Il punto di saldatura delle tre ossa corrisponde all’acetabolo.
I legamenti dell’articolazione coxo-femorale sono di fondamentale importanza in quanto
garantiscono la stabilità articolare.
Questi legamenti sono:
- legamento ileo-femorale, legamento pubo-femorale, legamento ischio femorale che
permettono di stabilizzare la testa del femore con l’acetabolo, ovvero rafforzano la
superficie esterna della capsula articolare.
- legamento ileo-lombare, sacro-iliaco anteriore e lombo-sacrale che permettono di
stabilizzare le ossa dell’anca con la colonna vertebrale, in particolar modo con
l’ultima porzione della colonna lombare e l’osso sacro.
Per poter comprendere adeguatamente la biomeccanica dell’anca bisogna ben capire alcuni
concetti chiave:
1) L’angolo di inclinazione descrive un angolo sul piano frontale compreso tra il collo
del femore e il lato mediale della diafisi femorale. Alla nascita questo angolo misura
in media 175°-180° (coxa vara fisiologica).
Mano a mano con l’attività muscolare ed il carico durante la deambulazione si
verifica una riduzione di 2° ogni anno tra i 2 e gli 8 anni di età fino a raggiungere un
angolo di inclinazione di circa 125°.
Si possono avere anomalie dell’angolo di inclinazione:
- coxa vara (vara= piegare verso l’interno): in questo caso l’angolo di
inclinazione sarà intorno ai 105° (rachitismo, coxartrosi, fratture del collo del
femore possono determinare un varismo non congenito).
- coxa valga (valga=piegare verso l’esterno): in questo caso l’angolo sarà
intorno ai 140° (la coxa valga si ripercuote sul ginocchio causando valgismo e
sul piede causando eversione della tibio-tarsica, spesso questa anomalia è
solamente dinamica, durante l’appoggio nella deambulazione, ma con il
tempo può causare problemi meniscoali).
Queste condizioni patologiche predispongono a deficit posturali che possono
determinare entesiti (infiammazione che colpisce l'inserzione di un muscolo su un
osso), tendiniti e fenomeni artrosici precoci. Sarà dunque importante il riscontro
radiologico in questi soggetti di una eventuale alterazione della biomeccanica
dell’anca.
2) L’angolo di torsione del femore è quell’angolo che si instaura tra diafisi e collo del
femore. Normalmente il collo e la testa del femore sono proiettati in avanti, tra gli 8° e
20° (solitamente 15°), rispetto alla diafisi femorale.
Parliamo di antiversione eccessiva quando abbiamo un angolo > 15°( fino a 35°),
mentre parleremo di retroversione eccessiva quando abbiamo un angolo <15° (fino
a 5 °) Queste variazioni dell’angolo possono dunque determinare patologie di
carattere ortopedico.
Nel neonato l’angolo di antiversione è di circa 40° e ciò è fisiologico. Con la crescita
ossea, aumento del peso e attività muscolare l’angolo si ridurrà fino a 15° entro i 16
anni. La persistenza di questa antiversione predispone a degenerazione articolare o
può determinare una intrarotazione compensatoria dell’arto inferiore nel bambino.
OSTEOCINEMATICA DELL’ANCA
I movimenti di rotazione del femore rispetto alla pelvi (che è fissa) avvengono su diversi
piani e gradi:
1) Flessione dell’anca: è quel movimento che ci permette di portare il ginocchio verso
l’addome. Arriva fisiologicamente a 120°;
2) Estensione dell’anca: è quel movimento che ci permette di portare posteriormente il
ginocchio. Arriva fisiologicamente a 20°;
3) Abduzione dell’anca: è quel movimento che ci permette di portare verso l’esterno il
ginocchio. Arriva fisiologicamente 40°;
4) Adduzione dell’anca: è quel movimento che ci permette di portare verso l’interno il
ginocchio. Arriva fisiologicamente a 20°;
5) Rotazione dell’anca sul piano orizzontale: la rotazione interna è di 35°, la rotazione
esterna 45°;
La rotazione del bacino rispetto al femore fermo (il classico movimento che noi compiamo
quando ci abbassiamo per raccogliere un oggetto) avviene per:
1) Flessione in avanti di circa 90° da seduto oppure flessione in avanti di circa 30 ° in
posizione eretta;
2) Estensione di 15° del bacino rispetto al femore;
3) Abduzione di 30° del bacino rispetto al femore;
4) Adduzione di 25° del bacino rispetto al femore;
5) Rotazione interna ed esterna di circa 15°;
Questi concetti basici di biomeccanica sono fondamentali per la riabilitazione. Dunque è
importante conoscere l’articolarità fisiologica del soggetto per poter valutare una eventuale
riduzione dell'osteocinematica sia per quanto riguarda il piano che l’angolo.
I muscoli che permettono tutti questi movimenti sono gli adduttori e gli abduttori della coscia,
il retto dell’addome, il bicipite femorale, il retto femorale (importante perché permette di
flettere l’anca ed estendere il ginocchio), ecc.

SINDROME DA CONFLITTO FEMORO ACETABOLARE


Il conflitto femoro-acetabolare è una sindrome nota anche come impingement
femoro-acetabolare che interessa l'articolazione dell'anca e si caratterizza per un contatto
anomalo tra la testa del femore e l'acetabolo che causa dolore inguinale.
In un'articolazione dell'anca sana, la testa del femore inserita nell'acetabolo si muove
liberamente per tutto il range di movimento consentito.
Nell'anca affetta da conflitto femoro-acetabolare, invece, la testa del femore o l'acetabolo,
oppure anche entrambe, presentano un'anomalia anatomica tale da pregiudicare la mobilità
articolare di fine range; sostanzialmente, una o entrambe le componenti dell'articolazione
presentano un surplus osseo. Il movimento pregiudicato è la flessione dell'anca.
Nella maggior parte dei casi, il conflitto femoro-acetabolare è una condizione congenita o
derivante da un'anomalia dello sviluppo scheletrico dell'età giovanile.
Esistono tre tipi di conflitto femoro-acetabolare:
- L'impingement "a pinza”(PINCER), in cui l'anomalia articolare consiste in
un'emergenza ossea che nasce dall'acetabolo e pizzica il labbro acetabolare.
- L'impingement "a camma” (CAM), in cui l'anomalia articolare consiste in una testa del
femore con una porzione di tessuto extra, che ne impedisce un rapporto fluido con
l'acetabolo e, addirittura, erode la cartilagine di quest'ultimo.
- L'impingement misto, in cui sono presenti entrambe le anomalie.
Il trattamento per il conflitto femoro-acetabolare può seguire un approccio conservativo o
chirurgico.
Il trattamento conservativo prevede:
- FANS
- Limitazione/sospensione delle attività motorie responsabili di dolore.
- Fisioterapia: esercizi per il miglioramento della mobilità articolare e per il rinforzo dei
muscoli dell'anca
La chirurgia (artroscopia) trova impiego quando il conflitto femoro-acetabolare è
estremamente doloroso.
ANCA A SCATTO
L'anca a scatto, conosciuta anche come coxa saltans o anca della ballerina è una
condizione in cui l'anca, al momento del movimento, compie una sorta di scatto rumoroso
causato da:
- i muscoli che contribuiscono alla mobilità della stessa articolazione dell'anca
- una lesione intra-articolare di natura traumatica
Altri sintomi potrebbero essere:
- dolore,
- debolezza muscolare lungo l'arto inferiore interessato,
- gonfiore,
- difficoltà motorie.
Ci sono 4 tipologie di anca a scatto:
1. Interna (o mediale): è la più frequente, è così chiamata perché chi lamenta questo
disturbo avverte lo scatto rumoroso sulla porzione antero-mediale dell'anca (in altre
parole, nella regione inguinale), è dovuta all’eccessiva tensione dei muscoli
ileopsoas o retto femorale;
2. Esterna (o laterale): è la conseguenza di un'eccessiva tensione a carico della
bandelletta ileotibiale (ovvero il tendine che funge da inserzione sia per il muscolo
grande gluteo che per il muscolo tensore della fascia lata);
3. Posteriore: è la meno comune, in essa è implicata un'eccessiva tensione del tendine
d'origine dei muscoli ischiofemorali (bicipite femorale, semitendinoso e
semimembranoso);
4. Intra-articolare: l'anca a scatto intra-articolare è la conseguenza di un trauma a carico
dell'articolazione dell'anca;
Danni articolari che possono provocare l'anca a scatto intra-articolare sono:
- Le lesioni della cartilagine articolare che riveste l'acetabolo o la testa del femore
oppure entrambe;
- Le lesioni del labbro acetabolare (è sostanzialmente il bordo circolare dell'acetabolo;
il suo scopo è garantire stabilità all'alloggiamento della testa del femore all'interno
dell'acetabolo);
- Le lacerazioni del legamento rotondo della testa del femore (è il legamento che
collega la testa del femore all’acetabolo).
Il trattamento dell'anca a scatto può essere conservativo o chirurgico.
La terapia conservativa si basa su:
- fisioterapia (esercizi di stretching e rinforzo dei muscoli che contribuiscono ai
movimenti dell'anca es: glutei, piriforme, ileopsoas, fascia lata ecc. per allentare la
tensione muscolare che crea lo scatto).
- riposo
La tecnica chirurgica più impiegata è l'artroscopia.

COXARTROSI E FRATTURE DI FEMORE


L’ARTROSI è una malattia degenerativa, altamente diffusa nella popolazione anziana,
provocata dal logoramento delle articolazioni, con una minima componente infiammatoria.
Colpisce prima la cartilagine articolare e poi avanzando anche l'osso sottostante.
Nei punti di carico dell’articolazione coxo-femorale c’è di norma una maggiore
rappresentazione della cartilagine articolare, che purtroppo a seguito dei processi artrosici
diminuisce suscitando dolore.
EZIOLOGIA
La degenerazione artrosica di tutte le articolazioni può essere idiopatica o secondaria: le
cause più frequenti sono 1. l’usura da invecchiamento e 2. sforzi eccessivi.
CLINICA
La sintomatologia tipica comprende:
- impotenza funzionale con perdita di ROM,
- zoppia,
- dolore durante la deambulazione.
Al dolore consegue un mancato utilizzo dell’articolazione e un’ipo-tono-trofia muscolare da
immobilità con perdita del normale “ciclo del passo”, una vera e propria disabilità (il pz va
facilmente incontro a cadute e fratture con notevole impatto socio-economico).
DIAGNOSI
Radiologicamente nell’artrosi vediamo la rima articolare assottigliata (fino a scomparire in
alcuni punti), geodi e aree di osteofitosi che non permettono più un’adeguata congruenza tra
testa e acetabolo.
Oltre l’esame radiografico, diversi test clinici, tra cui il FABER test o il FADIR test sono
d’aiuto:
- Nel FABER invitiamo e guidiamo il paziente durante una flessione, abduzione ed
extrarotazione dell’anca.
- Nel FADIR invitiamo il paziente in flessione, adduzione e intrarotazione.
Se l’esecuzione dei test suscita dolore o mostra un’articolarità limitata, i test sono positivi ed
è possibile che ci sia un impingement o artrosi d’anca.
TERAPIA
Per quanto riguarda il trattamento, negli stadi iniziali, quando la rima articolare è mantenuta
e gli osteofiti non sono eccessivi, si può tentare un trattamento conservativo riabilitativo con
infiltrazioni ecoguidate di acido jaluronico e antinfiammatori per os.
Se il paziente non risponde alla terapia o si trova in uno stadio avanzato allora si procederà
con l’intervento chirurgico: impianto di PROTESI D’ANCA.
Nel momento in cui si impianta una protesi, si può scegliaere tra:
1. una endoprotesi, in cui sostituiamo esclusivamente la componente femorale o
acetabolare;
2. una artroprotesi, in cui sostituiamo sia la componente femorale che acetabolare;
L’impianto viene scelto sulla base delle caratteristiche del paziente, per ricostruire meglio la
geometria dell’anca.
Si può usare:
- una protesi cementata, in cui il cemento fissa la parte protesica all’osso, che viene
soprattutto usata nei pazienti anziani che necessitano di un carico immediata;
- una protesi non cementata, in cui un meccanismo a pressione che permette
l’adesione delle componenti;
- una protesi biologica con durata maggiore, soprattutto utile in giovani con artrosi
precoce;
La protesi ha diverse componenti:
1. la coppa che corrisponde alla testa del femore e che va inserita nell’acetabolo;
2. lo stello che si inserisce nella diafisi;
Le possibili complicanze che il fisiatra deve prendere in considerazione sono:
1. DISMETRIA, in questa evenienza dopo un primo training riabilitativo di
potenziamento muscolare, quando il paziente comincia a deambulare, è necessario
usare per un periodo dei rialzi (interni alla calzatura nel caso di dismetrie < 1 cm,
esterni a tutto spessore se > 1 cm), per evitare un rischio di cadute e zoppia
eccessivo.
2. LUSSAZIONE della protesi: dopo protesi o trattamento con mezzi di osteostintesi
(placche e viti), l’anca diventa meno stabile. Il paziente deve evitare alcuni
atteggiamenti o movimenti per ridurre al minimo questo rischio soprattutto nel primo
periodo. L’eccessiva flessione dell’anca, l’adduzione e l’intrarotazione devono essere
evitate. Anche una seduta troppo bassa, quindi in carrozzina o in macchina si deve
creare un rialzo adeguato ed evitare la guida. Normalmente, subito dopo l’intervento,
viene posizionato un tutore morbido triangolare o un cuscino, posizionato tra le
gambe in abduzione, per evitare una intrarotazione dell’anca, che favorisce una
lussazione della protesi. Al paziente vengono impartiti giornalmente dei consigli per
eseguire dei movimenti in sicurezza senza rischi di lussazione della protesi:
- Dormire sul fianco sano mantenendo un cuscino tra le gambe (almeno per le
prime 10 settimane);
- Scendere dal lato operato facendo scivolare prima la gamba operata verso
l’esterno e sedendosi con le gambe giù dal letto appoggiandosi con le braccia
al materasso;
- Non piegarsi in avanti;
- Non incrociare le gambe;
- Non intraruotare le gambe (ad es. nei cambi di direzione, durante la notte);
- Non accovacciarsi;
- Per vestirsi e per l'igiene personale chiedere ad un caregiver o usare ausili
specifici come spugne con manico lungo, calzascarpe con manico lungo.
- Usare un alzawater;
- Preferire la doccia o una sedia per vasca;
- Utilizzare pinze con manico lungo per afferrare qualcosa sul pavimento.
Oppure piegarsi in avanti con ginocchio sano e mantenendo distesa indietro
la gamba operata.
- Salire le scale portando avanti prima la gamba sana, poi quella operata e per
ultimo le stampelle, scendere le scale posizionando le stampelle sul gradino
inferiore, portare in avanti prima la gamba operata e poi quella sana.
- Usare il corrimano per salire la scala, ma non abbandonare la stampella.
3. IPOTROFIA MUSCOLARE che occorre più facilmente se dopo la chirurgia il paziente
non fa riabilitazione e spesso si mantiene nel tempo causando uno squilibrio
muscolare tra le due gambe, che può rendersi responsabile di frequenti cadute. Da
qui deriva la necessità, con la riabilitazione, di portare il paziente a riacquisire la
dinamicità e autonomia precedente all’intervento. Quando questo non è totalmente
possibile possiamo intervenire con degli ausili alla deambulazione, come un bastone,
carrozzina o deambulatore.
4. Altre possibili complicanze sono un ritardo nella cicatrizzazione o infezione della
ferita.
Regole per preservare la protesi:
- Con l’uso e le attività quotidiane, l’inserto e la testina della protesi vanno lentamente
incontro a usura. L’eccessiva attività o il peso elevato possono accelerare questo
processo e possono condurre precocemente verso un intervento di sostituzione della
protesi.
- Sono sconsigliati tutti gli sport che prevedono traumi diretti o indiretti dell’anca e che
prevedano il contatto con gli avversari (sport di squadra).
- Attività consigliate: tennis, corsa, nuoto, bicicletta e altre attività a basso impatto che
possono essere riprese dopo un primo periodo di riabilitazione.
Le FRATTURE di femore nell’anziano si localizzano tipicamente all'estremità superiore
dell’osso (testa o collo del femore), limitando fortemente la mobilità dell'arto, peraltro già
compromessa dall'età avanzata.
EZIOLOGIA
Molti dei pazienti con frattura di femore rientrano nella definizione geriatrica di soggetti
fragili, definita da:
- Riduzione delle riserve funzionali
- Aumentata vulnerabilità multi-sistemica di organi e apparati alle malattie
Nei soggetti fragili le fratture di fragilità del femore prossimale sono molto frequenti:
- Sono in genere secondarie ad eventi traumatici di modesta entità, come una caduta
o un urto, che normalmente in soggetti non fragili non avrebbero causato una
frattura.
- Avvengono frequentemente in persone con pre-esistenti disturbi della mobilità o
dell’equilibrio, o deficit sensitivi o altre patologie associate (ad es. in pazienti
ipovedenti).
CLINICA
Quando la frattura del femore è scomposta, cioè quando i due capi ossei perdono il loro
naturale allineamento, si accompagna a dolore intenso (che può irradiarsi all'inguine) e
all'impossibilità di muovere la coscia. L'arto interessato si presenta addotto (avvicinato
all'altro), extraruotato (il piede tende a toccare il terreno con il suo margine esterno) e
leggermente più corto di quello sano. Al contrario, quando la frattura è composta, il paziente
può accusare un dolore di non grave entità in sede inguinale e può anche riuscire a
camminare.
DIAGNOSI
La diagnosi della frattura è affidata all'osservazione dei segni clinici, confermati dall'esame
radiografico, eseguito in diverse proiezioni ci permette di individuare facilmente le fratture
scomposte.
TERAPIA
La terapia di queste fratture è sostanzialmente di tipo chirurgico e riabilitativo, in assenza di
un’immediata chirurgia, la malattia avrebbe un'elevata probabilità di aggravarsi con
complicazioni localizzate alla sede della frattura (difficoltosa saldatura dei capi fratturati;
necrosi della testa del femore), oppure generalizzate, dovute soprattutto al lungo periodo di
immobilità (piaghe da decubito, infezioni polmonari e vescicali, infezioni delle vene degli arti
inferiori).
Normalmente si mette un endoprotesi nelle fratture mediali del collo del femore, con
sostituzione della sola componente femorale. Nelle fratture laterali, un artroprotesi.
Negli ultimi anni la mortalità dopo frattura di femore si è ridotta, ma rimane molto alta la
disabilità residua ad 1 anno dalla frattura.
Le condizioni cliniche di base configurano tre tipologie di profili di pazienti anziani con
frattura del femore, che ci permettono di capire fino a quanto posso spingermi nel percorso
riabilitativo.
1. PROFILO I: 10% individui totalmente indipendenti e con scarsa o nulla comorbidità e
prognosi migliore.
2. PROFILO II: 80% soggetti autonomi ma con alcune difficoltà nell’esecuzione delle
attività quotidiane e con due o più patologie croniche associate.
3. PROFILO III: 10% altamente disabile e incapace di deambulare prima della frattura,
qui il percorso è utile a prevenire le complicanze dell’allettamento, cercando di
rimettere il pz in carrozzina, per evitare TVP, piaghe da decubito ecc.
I fattori prognostici vanno ad inficiare il trattamento riabilitativo e sono distinti in:
1) Precedenti all’evento acuto:
a) età, più è anziano più il trattamento riabilitativo è complicato;
b) stato funzionale pre-frattura, se deambula autonomamente o meno;
c) stato cognitivo o depressivo;
d) comorbidità, come insufficienza cardiaca e respiratoria;
2) Conseguenti alla frattura e al trattamento post impianto di protesi:
a) complicanze intra-ospedaliere;
b) delirium (in questo caso il pz va dimesso, perché l’ambiente casalingo e la
vicinanza dei propri cari potrebbe migliorare la compliance e il processo
riabilitativo).
c) scarso controllo del dolore;
d) prolungata immobilizzazione con piaghe da decubito (nelle lesioni da
pressione, all’inizio sulla cute appare un semplice arrossamento,
attenzionando i cambiamenti di posizione e utilizzando materassi adeguati si
può evitare la progressione verso la piaga ma quando si forma un'ulcera
l’evoluzione in necrosi è temibile e quanto più probabile);
3) Altri:
a) sarcopenia, osteopenia;
b) malnutrizione e calo ponderale (in questi casi va trovato un rimedio ad es.
nutrizione parenterale o sondino naso-gastrico);
Fondamentale è poi approfondire il tono dell’umore, infatti, spesso viene richiesta una
consulenza psichiatrica ed un supporto psichiatrico, che migliora notevolmente la
compliance del paziente alla terapia.
Spesso c’è un’insufficiente percezione di quanto la disabilità possa inficiare un trattamento
ortopedico, soprattutto di anca, con un aumento del rischio di rifrattura o di lussazione della
protesi, quindi, la collaborazione tra tutti i membri del team multi-disciplinare è un valido
aiuto:
- per la gestione clinica del paziente anziano.
- per una facilitazione del processo riabilitativo e di recupero (costo minore).

PROTOCOLLO RIABILITATIVO: ANCA


Dopo una chirurgia fast track, che prevede una rapida dimissione, altrettanto rapido deve
essere l’inizio del trattamento riabilitativo.
Alcuni fisioterapisti lo iniziano direttamente nel reparto di ortopedia, fino a quando la
riabilitazione intensiva non ammette il pz nel proprio reparto.
Rapidamente mobilizzato, con le opportune precauzioni (flessione ed una intrarotazione
eccessiva, prevenzione delle cadute, stampelle e deambulatore), il pz inizia il suo percorso
in totale sicurezza. Ovviamente un trattamento riabilitativo prevede una terapia
antiosteoporotica, ed anche un trattamento volto ad evitare TVP (calze elastiche, farmaci).
Va sempre valutato con RX di controllo a 15-20-30 giorni dalla chirurgia che non ci siano
neoformazioni di tessuto osseo nelle regioni periprotesiche, perché potrebbe bloccare
l’articolarità dell’anca.
Il trattamento continua con approccio multidisciplinare e riabilitazione intensiva di 3
ore/giorno. Se il paziente, per età avanzata o patologie CV di base, non riesce a tollerare
eccessivi sforzi, può essere ricoverato in riabilitazione estensiva, che prevede solo 1,5 h al
giorno e anche questa può dilazionarsi nel tempo.
1. Paziente a letto: il recupero del ROM nei primi giorni dopo l'intervento viene
effettuato a letto, normalmente al primo secondo giorno (il recupero del ROM che si
può fare attivamente o passivamente, passivamente si fa con il kinetec un
macchinario che sposta l’arto senza necessità che lo faccia il fisioterapista per lungo
tempo). Al recupero del ROM si associa anche un Training Respiratorio che potenzia
anche i muscoli addominali (specialmente per i pz con comorbilità).
2. Paziente seduto al letto: per riacquisire il mantenimento del tronco (il
decondizionamento muscolare rende più complicato mettere seduto il pz anziano che
perde il controllo del tronco tendendo ad inclinarsi in avanti e lateralmente).
3. Paziente in piedi: inizialmente per pochi minuti con appoggio o assistenza
(deambulatore 2 ruote 2 punte e stampelle), fino poi all’abbandono degli ausili.
Studi hanno dimostrato che il trattamento fisioterapico non solo migliora l’autonomia del pz
(recupero del passo), ma anche il recupero globale dello stato cognitivo e delle comorbidità.
È importante che il pz sia consapevole di poter recuperare l’indipendenza funzionale, per
spronarlo a lavorare di più: la precoce ripresa delle Activities of Daily Living (ADL) è
l’obiettivo principale della presa in carico, perché migliora anche l’aderenza al trattamento e
l’umore del pz.
Gli obiettivi del progetto riabilitativo in toto sono:
- Recupero completo dell’articolarità, quindi del ROM con flessione, estenione e ad
abduzione che si erano persi dopo frattura o artrosi, per permettere una
deambulazione sufficiente;
- Potenziamento muscolare, soprattutto del quadricipite, ischio-cruroli, abduttori, che
più frequentemente per via del dolore del paziente non sono stati più usati e
l’immobilità ne ha causato una ipotrofia*
- Training del passo sicuro: il paziente deve imparare nuovamente a camminare.
Infatti il fisioterapista dovrà spiegare nuovamente come camminare spezzettando il
ciclo del passo, quindi la fase di istanza, di appoggio del tallone, fase di doppio
appoggio, fase di spinta. Spesso è fondamentale l’utilizzo di ausili, iniziando spesso
con un deambulatore, poi due stampelle, una stampella fino a non utilizzarli del tutto.
- Raggiungimento di una sicurezza e controllo dei movimenti anche durante il dual-
tasking. Nella maggior parte dei casi, senza pensarci, effettuiamo due movimenti
contemporaneamente (camminiamo e chiacchieriamo), se il paziente non è più
allenato al dual-task il rischio di caduta aumenta.
- Reinserimento nell’attività di vita quotidiana, con recupero di ogni disabilità. Le
ADL sono oltre il camminare, gli spostamenti sedia-letto, sedia-in piedi, andare in
bagno, vestirsi.
*Il rinforzo muscolare può essere effettuato facendo contrarre il quadricipite, mettendo sotto
un supporto, e sollevando il piede.
Si inizia sempre con esercizi isometrici privi di carichi.
Quando necessario, si preferisce l’uso di elastici piuttosto che pesi, ad esempio legando
l’elastico a caviglia o ginocchio o esercizi a supporto fisso come una spalliera al muro per
fare flettere, estendere, addurre o abdurre l’anca contro resistenza.
Altri esercizi che il paziente può fare sono ad esempio lo squat. In un primo momento un
paziente protesizzato non può fare una flessione eccessiva, quindi lo squat deve essere solo
accennato e un mezzo squat non deve superare mai i 45° negli adulti e mai superare i 30°
nell’anziano. Un altro esercizio che si fa spesso per potenziare i muscoli glutei e
ischio-crurali è l’esercizio del ponte, che il paziente tollera molto bene e permette anche di
rinforzare addominali, scaricare la schiena, ha benefici anche sui muscoli paravertebrali. Il
paziente normalmente deve mantenere la posizione un minuto o fino a fatica e poi
riappoggiarsi sul lettino.
Anche la cyclette potrà essere inserita nel processo riabilitativo, ma la sella dovrà essere
alta, perché se bassa si favorisce la lussazione della protesi per via dell’eccessiva flessione
dell’anca.
Più passa il tempo, più oltre al rinforzo muscolare si verifica una stabilizzazione della protesi
e si riacquisiscono più gradi in flessione e adduzione, che nei primi trenta giorni vanno
evitati.
La ginnastica propriocettiva inizia con semplici circuiti e percorsi che stimolano la
sensibilità della pianta del piede (tappetini con dei sensori, cuscini che permettono una
percezione diversa dal liscio del pavimento oppure le tavolette di Freeman che permettono
recupero e miglioramento della propriocezione). Su questi cuscini o tavolette si inizia a salire
con entrambi i piedi, poi solo con uno, associare altre azioni (dual task cognitivo o motorio),
fare degli squat.
Esistono principalmente due tipi di tavolette propriocettive di Freeman:
- In quella a 1 grado di libertà il pz eseguirà solo movimenti di flessione
antero-posteriore plantare e tibiale, medialmente e lateralmente (adatta in pazienti
anziani) per rinforzare i muscoli ischiocrurali, il quadricipite, i glutei, gli abduttori e gli
adduttori.
- In quella a 3 gradi di libertà il pz può oscillare da tutti i lati (adatta a pazienti giovani o
sportivi).
Dopo 1 mese di fisioterapia il pz va dimesso e potrà continuare in RSA, o ambulatorialmente
in ADI (Assistenza Domiciliare Integrata).
Prima della dimissione del pz abbiamo la necessità di conoscere i suoi progressi per
decidere cosa è più opportuno fare e sulla base di questo lo sottoponiamo ad alcune scale
valutative e tests:
- NRS, scala numerica di valutazione del dolore dove:
- Il valore 0 indica dolore assente.
- Il valore 10 indica dolore massimo.
- I valori tra 1 e 9 compresi indicano una ingravescente presenza di dolore.
- MRC, consiste in una scala progettata dal Medical Research Council allo scopo di
valutare la forza muscolare:
- 0 assenza di contrazione muscolare visibile
- 1 contrazione muscolare visibile associata a un movimento dell'arto limitato o
assente
- 2 movimento dell'arto, ma non contro gravità
- 3 movimento contro gravità, ma non contro resistenza
- 4 movimento almeno contro la resistenza fornita dall'esaminatore
- 4 meno (lieve resistenza)
- 4 più (aumentata resistenza)
- 5 forza piena
- BARTHEL SCALE è l’analisi di 10 attività della vita quotidiana (ADL):
- Alimentazione (+ 10 punti)
- Capacità di farsi il bagno o la doccia (+ 5 punti)
- Toelettatura o capacità di cura dell’aspetto esteriore (+ 5 punti)
- Capacità di vestirsi (+ 10 punti)
- Controllo del transito intestinale (+ 10 punti)
- Vescica e controllo della minzione (+ 10 punti)
- Utilizzo del WC (sedersi e alzarsi, pulirsi e rivestirsi) (+ 10 punti)
- Trasferimenti (dalla posizione seduta sul letto alla sedia e viceversa) (+ 15
punti)
- Mobilità (su superfici piane) (+ 15 punti)
- Scale (+ 10 punti)
Un punteggio > 60 indica che il pz è indipendente.
- BADL (Basic Activity of Daily Living), molto simile a quella di Barthel, valuta se il pz è
in grado di andare in bagno, il controllare gli sfinteri, alimentarsi, ecc.
- IADL (Instrumental Activity Daily Living) valuta se il pz è in grado di utilizzare alcuni
strumenti della vita quotidiana (telefono, gestione casa, prendere mezzi pubblici,
ecc).
- BRADEN SCALE è una scala di valutazione del rischio di insorgenza di LdP che
tiene conto di 6 fattori:
1. percezione sensoriale (capacità di rispondere al disagio dettato dalla
compressione);
2. umidità della cute (sudorazione, umidità legata ad eventuale incontinenza
urinaria e/o fecale);
3. attività motoria (livello di attività fisica);
4. mobilità (capacità di controllo/modifica della posizione del corpo);
5. nutrizione (è fondamentale un adeguato apporto di calorie, proteine, vitamine
e minerali per contrastare l’insorgere di nuove lesioni);
6. frizione e scivolamento (la forza d’attrito che si crea con la superficie solida
e/o con la biancheria può accelerare l’insorgenza di LdP).
Ad ogni fattore vengono attribuite delle variabili, con un punteggio che va da 1 a 4 e
da 1 a 3 per il fattore “frizione e scivolamento”. Un punteggio < 6 indica rischio
elevato di insorgenza di LdP (la percezione sensoriale può essere alterata, ad es. nel
pz diabetico che se sviluppa una lesione non ne percepirà il dolore).
- CAS che permette di valutare i trasferimenti del pz, se riesce a deambulare, se lo fa
da solo, con aiuto o non riesce a muoversi.
- Test della Deglutizione (con o senza fibroscopio), per valutare se il pz è a rischio di
polmonite ab ingestis (facendo sorseggiare dell’acqua, poggiando la mano sul blocco
laringeo, vediamo se il blocco laringeo fa un movimento di anteriorizzazione e
sollevamento regolare. Se questo non dovesse avvenire o se dopo aver bevuto
l’acqua il pz ha la voce gorgogliante e/o tossisce c’è il rischio di ab ingestis e viene
indicato un trattamento riabilitativo dal logopedista per garantire al pz l’adeguata
idratazione ed alimentazione senza rischi). Valutate le sclere, lingua, cute per vedere
lo stato di idratazione.
Una volta dimesso è fondamentale:
- Rimuovere qualunque ostacolo a casa per evitare di inciampare e di cadere (barriere
architettoniche), e provvedere ad un montacarichi se il pz non riuscirà a salire le
scale, nel caso in cui non sia presente un ascensore.
- Evitare di usare cassetti e ripiani posizionati in basso.
- Non tornare immediatamente alla guida e, nei casi dei trasferimenti in macchina,
reclinare leggermente indietro lo schienale ed utilizzare due cuscini sulla seduta per
ridurre al minimo la flessione dell’anca. Al momento della discesa dalla macchina è
opportuno posizionare un cuscino tra le ginocchia.
La responsabilità nel trattamento internistico non è solo del geriatra o dell’internista, ma è
ormai condivisa con ortopedico e fisiatra, perché se ricoverato in riabilitazione intensiva in
fisiatria anche il trattamento internistico è di pertinenza del fisiatra. Nel team multidisciplinare
sono dunque inseriti anche l’OSS, l’infermiere, il terapista della riabilitazione occupazionale,
il care giver e l’assistente sociale.
L’assistente sociale è quello che si assicurerà che il paziente dimesso andrà in un
ambiente sicuro per lui, che possa essere una lungo degenza, una casa di cura o di ritorno a
casa.
Il terapista della riabilitazione occupazionale è quello che invita il pz a svolgere le attività
della vita quotidiana che svolgeva prima in particolare controllando come posare la
stampella, appoggiarsi senza cadere, ecc.

BIOMECCANICA DEL GINOCCHIO


Il ginocchio è costituito dall’articolazione femoro tibiale e dall’articolazione femoro rotulea
Durante la flesso-estensione, il movimento avviene su tutti i piani dello spazio: frontale,
sagittale (dove è maggiore) e trasversale: il movimento è di rotolamento e scivolamento.
Se ci fosse solo rotolamento, il piatto tibiale risulterebbe troppo corto in rapporto allo
spostamento dei condili e si arriverebbe alla lussazione posteriore del femore.
Il rapporto tra i due movimenti è variabile:
1. dalla estensione massima il condilo comincia la fase di rotolamento
2. alla quale si aggiunge quella di scivolamento che diventa la sola componente negli
ultimi gradi di flessione
Data l’asimmetria dei condili, lo scivolamento si effettua dapprima sul condilo interno e poi
su quello esterno, mentre il contrario avviene nel rotolamento.
Le sei componenti di sollecitazione sono trasmesse da un osso all’altro attraverso una
combinazione di pressioni sulle superfici articolari e tensioni sui tessuti molli che circondano
l’articolazione:
1. flesso estensione
2. abdo adduzione
3. rotazione interno esterna
4. sublussazione latero mediale
5. traslazione antero posteriore
6. compressione
Il range of motion varia da 0° a 140°:
- marcia: 0° - 67°
- salire e scendere le scale: 0° - 90°
- sedersi: 0° - 90°
La stabilità articolare del ginocchio è data da tutti i legamenti che si oppongono ai movimenti
di rotazione o lussazione della tibia rispetto al femore:
- legamenti collaterali (mediale e laterale)
- legamenti crociati (anteriore e posteriore)
- legamento rotuleo

GONALGIA E LESIONE DEI LEGAMENTI CROCIATI


La GONALGIA è la sintomatologia dolorosa localizzata in una o più parti del ginocchio che,
grazie alle continue sollecitazioni, va incontro a varie condizioni patologiche:
1. di tipo TRAUMATICO:
- Lesioni meniscali: frequenti, soprattutto quelle a carico del menisco mediale;
le lesioni al menisco laterale insorgono di solito per malformazioni congenite.
- Lesioni legamentose: meno frequenti delle lesioni meniscali; sono più colpiti
i legamenti collaterali mediali; frequenti anche le lesioni ai crociati.
- Fratture delle ossa del ginocchio.
2. di tipo INFIAMMATORIO:
Tendiniti, borsiti, artriti (possono evolvere nella forma degenerativa cronica di
gonartrosi in cui l’assottigliamento e la degenerazione delle cartilagini femoro-tibiali
genera gonalgia e impotenza funzionale).
3. di tipo ORTOPEDICO:
L’Instabilità Femoro-Rotulea:
- Malallineamento o displasia della rotula e/o della troclea femorale (rotula e
femore sono a contatto a partire dai 15°-20° di flessione e sino alla flessione
articolare completa).
- Anormalità di forma e/o di posizione della rotula con suo alterato scorrimento
nel solco trocleare.
Le lesioni cartilaginee che si determinano in questa sindrome possono essere
classificate in tre gradi (secondo Outerbridge):
1. I grado: presenza di rammollimento e rigonfiamento minore di ½ pollice; la
cartilagine si presenta opaca, giallognola, anelastica alla pressione.
2. II grado: la cartilagine si presenta frammentata, fissurata, con rigonfiamento
maggiore di ½ pollice; è presente una degenerazione a zolle, con
sintomatologia dolorosa e scricchiolii articolari.
3. III grado: presenza di erosione e fissurazioni cartilaginee che raggiungono
l'osso subcondrale associati a distacchi di frammenti ossei.
A seconda dell’instabilità rotulea si avrà:
1. I grado: rotula lateralizzata per l'aumento dell’angolo Q (angolo femoro
rotuleo), che, durante la contrazione della muscolatura estensoria, crea una
piccola area di contatto tra la superficie articolare rotulea e quella trocleare,
determinante iperpressione laterale.
2. II grado: accentuata inclinazione della rotula o sua sublussazione
(ispessimento e retrazione del retinacolo laterale associato ad un
ispessimento capsulare). Questa situazione determina, nel corso della
flessione del ginocchio un'inclinazione rotulea che esita in una iperpressione
laterale.
3. III grado: lussazione della rotula, condizione grave che conduce ad una seria
e progressiva sofferenza della cartilagine articolare.
Due test clinici possono essere utili per diagnosticare una SFR:
1. Test del "Glide" rotuleo: valuta lo scivolamento della rotula nelle quattro
direzioni (mediale-laterale-superiore-inferiore).
2. Test di apprensione: con il ginocchio a 0° di flessione e, tenendo bloccata la
rotula lateralmente, nel momento in cui si chiede al paziente di flettere il
ginocchio, la rotula tende a sublussarsi provocando dolore. Si può anche
posizionare il ginocchio del paziente a circa 30° di flessione, bloccando
lateralmente la rotula con la mano e richiedendo l'estensione della gamba.
Nei pazienti con grave instabilità questo tipo di manovra provoca
“apprensione” e il paziente, in caso di test positivo, o blocca la mano
dell'esaminatore, o ritrae la gamba.
Il dolore può presentarsi in varie zone del ginocchio:
Dolore anteriore: interessamento della rotula (sindrome femoro-rotulea), con instabilità
dell’articolazione ed erosione precoce della cartilagine.
Dolore posteriore: conseguenza di un sovraccarico funzionale con tendinite
dell’inserzione del muscolo popliteo causato da errori posturali, per sforzi eccessivi o per
la presenza di cisti di Backer (cisti che si formano in corrispondenza della linea intermedia
della fossa poplitea che si possono sentire al tatto durante la flessione); frequenti in età
giovanile o dopo i 50 anni.
Dolore mediale: per una lesione a carico del menisco o del legamento collaterale
mediale, specie negli sportivi, come conseguenza di traumi diretti o indiretti, contusioni,
rotazione eccessiva del ginocchio, distorsioni.
Dolore laterale: per lesioni del menisco laterale o del legamento collaterale laterale. Le
lesioni del legamento collaterale laterale si verificano con minor frequenza rispetto a
quelle del legamento collaterale mediale e, in genere, sono la conseguenza di un trauma.
Negli sportivi la gonalgia nella parte laterale può essere il sintomo della sindrome della
benderella ileotibiale (sindrome del corridore).
Dolore sopra il ginocchio: riconducibile a un problema a carico dell’articolazione
femoro-rotulea. Le cause più frequenti sono tendiniti quadricipitali, sindrome
femoro-rotulea e fratture dei condili femorali. Frequente è l'infiammazione del tendine in
coloro che praticano ciclismo e sollevamento pesi ed è causata dall’eccessivo stress a cui è
sottoposto.
Le LESIONI DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE sono infortuni disabilitante
molto comuni soprattutto tra la popolazione sportiva giovanile.
Il LCA è una struttura connettivale con un decorso obliquo dall’alto verso il basso ed una
lunghezza variabile tra 1.8 cm e 3.30cm.
Le sue 2 principali funzioni sono:
1. Meccaniche: limitare la traslazione anteriore della tibia e la rotazione interna
2. Neurosensoriali: inviare tonicamente informazioni propriocettive alla corteccia
somato-sensoriale.
Una lesione compromette entrambe le funzioni creando alterazioni biomeccaniche
periferiche e una dead zone informativa corticale.
I test utilizzati maggiormente nella pratica clinica per valutare una LCA sono 3:
1. Anterior Drawer Test o Cassetto Anteriore: svolto con il paziente supino con anca e
ginocchio flessi a 45° e 90°, mentre il piede è bloccato dal fisioterapista che con le
mani sulla zona prossimale della tibia applica una forza postero-anteriore. Il
displacement deve essere paragonato al controlaterale e il test è considerato positivo
quando la differenza è maggiore di 6 mm.
2. Test di Lachman: viene eseguito con il paziente rilassato in posizione supina, il
ginocchio flesso di circa 15° e leggermente extraruotato. Il fisioterapista stabilizza
con una mano il femore e con l’altra la parte prossimale della tibia a livello
dell’emirima e porta in avanti la tibia. Il test è considerato positivo quando l’end-feel è
“morbido” o assente. Secondo la classificazione IKDC una traslazione di 0-5 mm è
considerata normale, una traslazione di 6-10 mm è considerata anormale e una
traslazione maggiore di 10 mm è gravemente anormale.
3. Pivot Shift Test: viene svolto con il paziente rilassato in posizione supina, mentre il
fisioterapista con la mano esegue un’abduzione, flessione d’anca e intrarotazione
della gamba, mentre il ginocchio viene flesso mantenendo lo stress in valgo e
l’intrarotazione fino a 20°, punto dove si rilascia la rotazione interna e il piatto tibiale,
se non è sostenuto dal legamento crociato anteriore, scivola in basso per la tensione
della bandelletta ileotibiale con un improvviso “scatto”.
PROTOCOLLO RIABILITATIVO:
- 1-3 Settimana
- Crioterapia 20 min, 6 volte al dì
- Estensione completa del ginocchio (passiva, attiva-passiva e attiva) su
spessori, piano inclinato o traendo un lenzuolo
- Contrazioni isometriche del quadricipite (elevazione dell’arto completamente
esteso)
- Flessione del ginocchio su tavoletta, attivamente se il tendine è stato
ricostruito con tendine rotuleo o passivamente se sono stati usati
semitendinoso o gracile
- Deambulazione con stampelle a carico parziale (o quanto tollerabile)
- Ginocchiera
Lo scopo è recuperare un ROM da 0° a 90°.
- 3-6 Settimana
- Crioterapia (dopo la fisioterapia e la sera)
- Deambulazione con carico in progressivo aumento
- Estensione completa del ginocchio
- Flessione completa del ginocchio
- Esercizi di rinforzo muscolare (mini squat, alzate sulle punte, ecc.)
- Mobilizzazione manuale della rotula
- Cocontrazioni (a ginocchio flesso si contrae simultaneamente il quadricipite e
flessori)
- Piscina (camminare avanti e indietro dentro l’acqua, alzare la gamba estesa e
flessa)
- Cyclette 10 min 2-3 volte al dì
- 6-12 Settimana
- Cyclette 15 min 3 volte al dì
- Esercizi di rinforzo muscolare con elastico (flessione, mezzo squat, ecc.)
- Piscina (cyclette in acqua, nuoto con tavoletta salvagente)
- 12-18 Settimana
- Esercizi di rinforzo eccentrici e concentrici del quadricipite (con e senza
resistenza, con e senza allungamento), e di adduzione con palla di ginocchia
e caviglie, altri esercizi consigliati sono: vogatore, pressa orizzontale, slide,
affondi, pedana elastica, ecc.
- Ginnastica propriocettiva su piattaforme instabili
- Cyclette
- 120° Giorno in poi
- Corsa su terreno morbido per 10 min al giorno (a cerchio o a 8)
- Piscina (nuoto libero)
Ritorno all’allenamento sport specifico (dopo opportuna valutazione medica)
Le LESIONI DEL LEGAMENTO CROCIATO POSTERIORE causano instabilità diretta del
ginocchio con: dolore, dolorabilità diffusa specie alla regione posteriore poplitea,
ballottamento rotuleo positivo legato all’emartro articolare. Frequentemente si osservano
ecchimosi sulla cute e in pz si trova in posizione antalgica.
Per la diagnosi si eseguono: il test del cassetto gravitario, il test del recurvato, il Reverse
Lachman, il test di contrazione del quadricipite ed il test del cassetto posteriore diretto (il più
usato, in grado di definire 3 gradi di instabilità: 1° spostamento posteriore di 5 mm, 2° 10
mm, 3° > 10 mm).
Il trattamento è conservativo nella maggiorparte dei casi, che sono asintomatici. Si
eseguono esercizi specifici di potenziamento del quadricipite ed esercizi propriocettivi. Si
possono indossare ortesi (rialzi del retropiede) o tutori specifici (ginocchiere) nelle attività a
rischio.
Il trattamento chirurgico prevede la produzione di un autograft muscolare o di un allograft da
cadavere, cui segue trattamento riabilitativo dedicato che deve portare il soggetto al
completo recupero delle attività.

PROTOCOLLO RIABILITATIVO: GINOCCHIO


La prima distinzione da fare è tra protesi del ginocchio totale e protesi del ginocchio
monocompartimentale. La prima sostituirà tutta l’articolazione (con risparmio o sacrificio
dei legamenti crociati), mentre la protesi monocompartimentale rivestirà solo una parte del
ginocchio.
La seconda distinzione da fare riguarda i pazienti con impianti “ibridi” dai pazienti con
protesi totale cementate:
- I primi nel corso della riabilitazione non potranno poggiare il carico sulla protesi ma
usare il deambulatore con carico “sfiorante” per le prime 6 settimane,
successivamente si comincia con il cammino a ginocchio flesso e con il carico
consentito dalla tolleranza del paziente.
- I secondi hanno la possibilità di camminare con pieno carico (se tollerato) con l’uso di
un deambulatore fin dal 1 giorno postoperatorio.
Con le nuove tecniche mini invasive è possibile sottoporsi ad un intervento che sarà più
rapido, meno traumatico, e sicuro per il paziente rispetto a quanto accada con la tecnica
standard.
La durata di una protesi al ginocchio è di circa 15-20 anni, ma in soggetti giovani la durata
può essere minore. Purtroppo l’intervento di RIPROTESIZZAZIONE è molto complesso e i
risultati molto variabili, per cui, il primo consiglio da dare al paziente è sottoporsi a questo
intervento il più tardi possibile, tenendo però in considerazione la qualità della vita.
Prima dell’intervento si dovrebbe:
- Perdere il peso in eccesso per evitare il sovraccarico al ginocchio operato e del lato
sano durante il recupero.
- Evitare l’assunzione di farmaci antinfiammatori e qualsiasi terapia occasionale non
prescritta dal medico curante per almeno 2 settimane prima dell’intervento.
- Controllare la presenza di eventuali infezioni latenti (ascessi dentari, cistiti, etc…)
- Se si assumono estroprogestinici orali (“pillola”) sospenderli almeno 30 giorni prima
dell’intervento
- Sospendere 35 giorni prima dell’intervento l’assunzione di farmaci antiaggreganti
- Smettere di fumare sopratutto per i fumatori incalliti (per ridurre i problemi respiratori
durante e dopo l’anestesia).
Dopo l’intervento la medicazione della ferita avviene ogni 2 o 3 giorni (con betadine, garze
sterili e cerotto medicato che va fissato a ginocchio piegato perché non impedisca i
movimenti). A 15 giorni dall’intervento i punti di sutura vengono rimossi dal medico curante o
presso l’ospedale.
La riabilitazione del ginocchio secondo il protocollo riabilitativo di Cameron e Brotzman
prevede:
- Giorno 1:
- Dare inizio a esercizi isometrici.
- Flessioni dell’anca a ginocchio esteso (SGE).
- Contrazioni isometriche del quadricipite a ginocchio esteso.
- Camminare due volte al giorno con la ginocchiera bloccata, assistenza e
deambulatore (bisogna usare la ginocchiera durante il cammino finché il
paziente non compie 3 SGE di seguito senza tutore).
Protesi cementate: caricare per quanto tollerato con deambulatore.
Protesi non cementate: cammino sfiorante con deambulatore.
- Trasferimenti dal letto a una sedia due volte al giorno con il ginocchio in
completa estensione su uno sgabello o su un’altra sedia.
- Apparecchio a movimento passivo continuo (MPC)
Non consentire più di 40° di flessione se non dopo 3 giorni.
Di solito 1 ciclo al minuto.
Aumentare di 5-10° al giorno secondo tolleranza.
Non registrare le misure di articolarità passiva dalla MPC, ma dal
paziente, poiché potrebbero differire di 5-10°.
- Iniziare gli esercizi per il miglioramento dell’articolarità attivi e attivi assistiti.
- Durante il sonno, sostituire il tutore di ginocchio con un cuscino sotto la
caviglia per favorire l’estensione passiva del ginocchio.
- Giorno 2 - Settimana 2
- Continuare con gli esercizi isometrici per tutta la durata della riabilitazione.
- Utilizzare il biofeedback per il vasto mediale obliquo (VMO) se il paziente
incontra difficoltà nel rinforzo o nel controllo del quadricipite.
- Dare inizio a graduali esercizi per il miglioramento dell’articolarità passiva del
ginocchio:
1. Estensione del ginocchio
2. Flessione del ginocchio
3. Scivolamenti del tallone
4. Scivolamenti contro il muro.
- Dare inizio alle tecniche di mobilizzazione della rotula quando la ferita è
stabile (3°-5° giorno postoperatorio) per evitare retrazioni.
- Eseguire esercizi attivi di abduzione e adduzione dell’anca.
Prescrivere esercizi da eseguire a domicilio con un terapista che segue il paziente
2-3 volte la settimana.
Fornire istruzioni per la dimissione. Pianificare la dimissione quando l’articolarità
del ginocchio coinvolto è compresa tra 0° e 90° e il paziente è in grado di
eseguire autonomamente trasferimenti e deambulazione.
Una volta dimesso il paziente bisogna:
- Fornire un deambulatore per l’uso domestico e attrezzature secondo
necessità.
- Orientare la famiglia ai bisogni, alle capacità e alle limitazioni del paziente.
- Riesaminare i trasferimenti in vasca, molti pazienti non hanno forza,
articolarità o agilità sufficienti per entrare nella vasca per fare la doccia.
Bisognerebbe sistemare il seggiolino da bagno più lontano possibile nella
vasca, di fronte ai rubinetti. Il paziente si appoggia alla vasca, si siede e
quindi solleva gli arti inferiori.
Si raccomandano inoltre tappetini e adesivi antiscivolo da applicare sul fondo
della vasca.
- Giorno 10 - Settimana 3
- Continuare con gli esercizi precedenti
- Continuare con l’uso del deambulatore finché non indicato diversamente
- Assicurarsi che sia stato predisposto il programma riabilitativo o di cura
infermieristica domestica
- Prescrivere una profilassi antibiotica per possibili eventuali problemi
odontoiatrici o interventi urologici
- Non consentire la guida per 4-6 settimane.
Il paziente deve aver recuperato un’articolarità funzionale, un buon controllo del
quadricipite e superato i test funzionali.
- Settimana 6
- Iniziare il carico secondo tolleranza con ausili alla deambulazione, se non è
già stato fatto.
- Compiere scivolamenti appoggiati alla parete (affondi).
- Eseguire salite e discese dal gradino per il quadricipite.
- Praticare esercizi in catena chiusa del ginocchio e con progressione per 4-5
settimane:
a. Con entrambi gli arti inferiori.
b. Con un solo arto.
c. Su di un piano inclinato.
- Praticare esercizi al cicloergometro.
- Praticare esercizi su uno sgabello con rotelle (rinforzo degliischiocrurali)
Usare il bendaggio di McConnell della rotula per ridurre lo stress femororotuleo se
con l’esercizio vengono avvertiti sintomi femororotulei.
Il protocollo riabilitativo di Wilk consta di 4 fasi:
- Fase 1: fase dell’immediato post operatorio
OBIETTIVI:
- Contrazione attiva del muscolo quadricipite.
- Deambulazione sicura (controllo isometrico) e indipendente.
- Estensione passiva del ginocchio a 0°
- Flessione del ginocchio per 90° o più.
- Controllo della tumefazione, dell’infiammazione e del sanguinamento.
Giorni 1-2
- Carico sull’arto secondo tolleranza con deambulatore o due canadesi.
- Mobilizzazione passiva continua da 0° a 40° secondo tolleranza se la
ferita è stabile e non vi sono controindicazioni.
Rimuovere il ginocchio dall’apparecchio per la mobilizzazione passiva
continua (MPC) diverse volte al giorno e sistemarlo in un tutore
bloccato di ginocchio con un cuscino sotto la caviglia (non sotto il
ginocchio) per favorirne l’estensione.
- Crioterapia.
- Profilassi per la trombosi venosa profonda.
ESERCIZI:
- “Pompaggi” della caviglia con elevazione dell’arto.
- Esercizi di estensione passiva del ginocchio.
- Flessioni dell’anca a ginocchio esteso (SGE) se non vi sono
controindicazioni.
- Estensione del ginocchio tra 90° e 30°.
- Flessione del ginocchio (cauti).
Giorni 4-10
- Carico sull’arto secondo tolleranza.
- Mobilizzazione passiva continua Da 0° a 90° secondo tolleranza.
- Crioterapia.
- Dare informazioni sulla deambulazione in sicurezza.
ESERCIZI:
- “Pompaggi” della caviglia con elevazione dell’arto.
- Stretching in estensione passiva del ginocchio.
- Flessione attiva assistita del ginocchio.
- Contrazioni isometriche del quadricipite a ginocchio esteso.
- Flessioni dell’anca a ginocchio esteso (SGE).
- Adduzioni e abduzioni dell’anca.
- Esercizi di estensione del ginocchio da 90° a 0°.
- Deambulazione in sicurezza.
- Fase 2: fase motoria
CRITERI PER IL PASSAGGIO:
1. essere in grado di compiere flessioni dell’anca a ginocchio esteso (SGE).
2. essere in grado di eseguire esercizi attivi per il ROM da 0° a 90°.
3. non avere dolore e gonfiore (ridotti al minimo).
4. essere in grado di deambulare in autonomia.
OBIETTIVI:
- Migliorare l’articolarità.
- Aumentare la forza e la resistenza muscolari.
- Dare stabilità dinamica dell’articolazione.
- Ridurre la tumefazione e l’infiammazione.
- Decidere il ritorno ad attività funzionali.
- Migliorare le condizioni generali di salute.
Settimane 2-4
- Carico sull’arto secondo tolleranza con ausili.
- Crioterapia.
- Calza antiemboli nella 2a-3a settimana.
ESERCIZI:
- Contrazioni isometriche del quadricipite a ginocchio esteso.
- Esercizi di estensione del ginocchio da 0° a 90°.
- Estensione del ginocchio in corsa interna da 45° a 0°.
- Flessione dell’anca a ginocchio esteso (SGE) (flessione-estensione).
- Adduzione e abduzione dell’anca.
- Movimenti reciproci degli ischiocrurali.
- Accovacciamenti.
- Stretching.
- Cyclette.
Settimane 4-6
ESERCIZI:
- Continuare con tutti gli esercizi descritti sopra.
- Step-up frontali e laterali (con altezze minime).
- Affondi frontali.
- Esercizi in piscina.
- Fase 3: fase intermedia
CRITERI PER IL PASSAGGIO:
1. avere acquisito un ROM 0-110°.
2. avere controllo volontario del quadricipite.
3. camminare indipendentemente.
4. dolore e infiammazione ridotti al minimo.
OBIETTIVI:
- Aumento dell’articolarità (0-115° e oltre).
- Miglioramento della forza e della resistenza.
- Controllo concentrico-eccentrico dell’arto.
- Funzione cardiovascolare normale.
- Prestazioni funzionali attive normali.
Settimane 7-10
ESERCIZI:
- Dare inizio a un programma progressivo di deambulazione
- Dare inizio a un programma di resistenza in piscina.
- Affondi, accovacciamenti, salita su gradino (step-up) alto 5 cm.
- Fase 4: fase dell’attività avanzata
CRITERI PER IL PASSAGGIO:
1. ROM da 0° a 115°.
2. forza con punteggio 4+/5 o all’85% dell’arto controlaterale.
3. dolore ed edema minimi o assenti.
OBIETTIVI:
- Tornare a un livello di funzionalità avanzato (sport amatoriale).
- Mantenere e migliorare la forza e la resistenza dell’arto inferiore.
- Ritornare a uno stile di vita normale.
ESERCIZI:
- Contrazioni isometriche del quadricipite a ginocchio esteso.
- SGE (flessione-estensione).
- Adduzione-abduzione dell’anca.
- Accovacciamenti.
- Salita laterale su gradino.
- Esercizi di estensione del ginocchio da 90° a 0° e flessione del ginocchio fino
a 105°.
- Cyclette per migliorare l’articolarità e come esercizio di resistenza.
- Stretching.
- Cominciare gradualmente a praticare golf, tennis, nuoto, ciclismo;

PATOLOGIE DELLA SPALLA


- INSTABILITA’ DI SPALLA: L’articolazione gleno-omerale è un enartrosi
conformata come un segmento di sfera ed è la più mobile del corpo oltre ad essere
quella che più frequentemente va incontro a lussazione (le dislocazioni gleno-omerali
rappresentano il 45% del totale). Ciò si verifica perché questa articolazione è
INCONGRUENTE: la superficie totale della testa dell’omero è 4 volte maggiore della
cavità glenoidea scapolare.
La STABILITA’ dell’articolazione risiede pertanto nel complesso sistema capsulo
legamentoso e muscolo tendineo della spalla: legamento gleno-omerale inferiore,
medio e superiore, cercine glenoideo, cuffia dei rotatori, capo lungo del
bicipite brachiale; che agisce in maniera coordinata a garantire una buona
articolarità per tutto il movimento.
EZIOPATOGENESI:
L’INSTABILITA’ articolare della spalla può essere favorita da lassità, cioè
dall’incapacità di mantenere la spalla in sede per alterazione dello sviluppo osseo,
dei tessuti periarticolari o di ambedue questi elementi.
Distinguiamo 3 tipi di instabilità:
1. L’instabilità traumatica è provocata da un trauma, che genera una lesione
capsulo-legamentosa e lo sviluppo di una instabilità unidirezionale, nella
maggior parte dei casi anteriore (lesione di Bankart).
2. L’instabilità multidirezionale compare in pazienti che solitamente non
riferiscono importanti traumi alla spalla, spesso affetti da lassità costituzionale
con interessamento di entrambe le spalle.
3. L’instabilità microtraumatica dello sportivo dovuta alla ripetizione di un gesto
atletico ai gradi estremi dell’escursione articolare.
CLINICA:
I sintomi più comuni di una spalla lassa consistono:
- dolore
- limitazione della mobilità
- disturbi di impotenza funzionale, “braccio morto”
- parestesie all’arto superiore (alterazione indolore della sensibilità come
formicolio o prurito)
Anche uno o più episodi di lussazione, o più spesso sublussazione senza un trauma
significativo, rientrano nel quadro sintomatologico.
DIAGNOSI:
Un primo esame clinico seguito da esami radiologici (TC e RM) permettono di
studiare la conformazione, i rapporti articolari e gli eventuali danni ossei dell’omero
prossimale e della superficie glenoidea, l’eventuale presenza di fratture o distacchi
ossei, le lesioni dei tessuti molli e il trofismo muscolare.
TERAPIA:
- Trattamento Conservativo: rappresenta il primo approccio nella gestione della
situazione clinica. Tale trattamento comporta:
1. la riduzione della lussazione, l’applicazione di bendaggio ed un
periodo di immobilizzazione.
2. il rinforzo di tutti i muscoli della cuffia coinvolti nel controllo della
traslazione omerale.
- Trattamento Chirurgico: nel caso in cui dopo almeno 6 mesi di terapia
conservativa non fossero raggiunti risultati soddisfacenti prevede un
intervento chirurgico che può essere eseguito in artroscopia (cioè con l'ausilio
delle fibre ottiche). La tecnica più innovativa prevede l’utilizzo di “ancorette”
che assomigliano a microviti (in titanio o acido polilattico riassorbibile) dalle
quali fuoriescono fili in tessuto non riassorbibile ad alta resistenza che
saranno legati attorno alla capsula articolare e al labbro glenoideo per
ricreare la normale tensione capsulare.
La fisioterapia, molto importante, inizia nell'immediato post-operatorio.
Il ritorno alla normale attività quotidiana può avvenire in circa 45 giorni dall'intervento;
il ritorno all'attività sportiva in 90-120 giorni.
- SPALLA CONGELATA (Frozen Shoulder): In questa sindrome la capsula si
ispessisce, si creano aderenze e scorre meno liquido sinoviale. Il segno distintivo di
questa patologia è non essere in grado di muovere la spalla (sia da soli, sia con
l'aiuto di qualcun'altro).
EZIOPATOGENESI:
Alcuni fattori possono mettere una persona più a rischio di ammalarsi di spalla
congelata:
- Diabete: il 10% - 20% delle persone affette da spalla congelata soffrono di
diabete.
- Altre malattie: patologie tiroidee, morbo di Parkinson e malattie cardiache.
- Immobilizzazione: dopo un infortunio o un intervento chirurgico.
CLINICA:
Questa malattia si sviluppa in tre fasi:
1. Congelamento: Nella fase di "congelamento", il dolore aumenta
inesorabilmente e progressivamente. Appena il dolore peggiora, la spalla
perde movimento. Il congelamento di solito dura da 6 settimane a 9 mesi.
2. Spalla congelata: I sintomi dolorosi possono effettivamente migliorare in
questa fase, ma la rigidità rimane. Durante i 4-6 mesi di fase "congelata", le
attività quotidiane possono essere molto difficili.
3. Scongelamento: Il movimento della spalla migliora lentamente durante la fase
di "disgelo". Il completo ritorno alla normalità di forza e di movimento in
genere dura da 6 mesi a 2 anni.
TERAPIA:
Trattamento conservativo:
Più del 90 % dei pazienti migliora con trattamenti relativamente semplici per
controllare il dolore e ripristinare il movimento:
- Farmaci anti-infiammatori non steroidei.
- Iniezioni di corticosteroidi.
- Fisioterapia: comprende stretching e mobilizzazioni della spalla. A volte il
calore viene utilizzato per contribuire a riscaldare e rendere più morbida la
spalla prima gli esercizi di stretching. Qui di seguito vi sono esempi di alcuni
degli esercizi che potrebbero essere utili:
1. Rotazione esterna - stretch passivo
2. Flessione in avanti - posizione supina
3. Stretch del braccio - crossover
Trattamento chirurgico:
Lo scopo della chirurgia della spalla congelata è quello di allungare e rilasciare la
capsula articolare irrigidita. Il metodo più comune ed efficace è l'artroscopia della
spalla. Mediante questa procedura, il chirurgo ortopedico taglia le porzioni strette
della capsula articolare: release capsulare.
- SINDROME DA CONFLITTO SOTTOACROMIALE PRIMITIVA: Il
conflitto è un processo infiammatorio cronico che si produce quando la cuffia dei
muscoli rotatori (sopraspinoso, sottospinoso, grande rotondo e sottoscapolare) e la
borsa sottodeltoidea vengono “pizzicate” contro il legamento coracoacromiale e
l’acromion quando l’arto viene elevato oltre gli 80° (sport di lancio, negli sport con la
racchetta e nel nuoto, ma può essere presente in chiunque usi ripetitivamente l’arto
in una posizione sopra gli 80° di elevazione).
CLINICA:
1. Test di Hawkins: l'operatore sta dietro il paziente, una mano sulla spalla,
l'altra sull'avambraccio e si fa una rotazione interna con gomito in flessione a
90°; in questo modo il trochite tocca il legamento coraco-omerale e se c'è
conflitto ci sarà dolore → test di Hawkins +.
2. Test di Jobe: usato per studiare il tendine del sovraspinoso. Si fa resistenza
al movimento del pz di elevazione del braccio tenuto abdotto a 90°, anteposto
di 20° e intraruotato (con il pollice verso il braccio); quando c’è un deficit di
forza, non un dolore evocato dal movimento è spesso indice di una lesione
completa anche vecchia; quando l'evento è recente invece provochiamo
dolore (fase acuta).
3. Test di Whipple: si mette il braccio verso l’altro lato del corpo e si cerca di
muovere verso l’alto (un po’ come il test di Jobe si fa resistenza); si vede se
abbiamo un problema al sovraspinoso.
4. Speed test (palm up test): va a testare il muscolo bicipite; si chiede al pz di
mettere il braccio esteso con il palmo che ruota verso l'alto, nel momento in
cui c’è un problema il pz sentirà dolore e non riuscirà a completare il
movimento.
5. Test di Neer: l’esaminatore si pone alle spalle del pz e si esegue una
elevazione-adduzione passiva del braccio intra-ruotato, mantenendo con
l’altra mano la scapola abbassata: il test è positivo se evoca dolore. È il
classico segno di conflitto tra trochite e bordo antero-inferiore dell’acromion.
TERAPIA:
Il trattamento della maggior parte dei pazienti è un programma di riabilitazione
conservativa in cui:
- INIZIALMENTE: si cerca di migliorare la catena cinetica, correggere la
discinesia scapolare, recuperare il normale ROM attivo e passivo con
stretching quotidiano.
- TARDIVAMENTE: si eseguiranno esercizi di rinforzo muscolare sui muscoli
stabilizzatori della spalla ed esercizi specifici per gli sportivi in base alla loro
attività.
L’intervento chirurgico è indicato solo per i pazienti che non rispondono al
trattamento conservativo o che mostrano una lacerazione acuta in una lesione
cronica. Obiettivo primario del trattamento chirurgico della cuffia è quello di ottenere
la remissione del dolore. Obiettivi ulteriori, più facili da raggiungere nelle lacerazioni
acute della cuffia che nelle lesioni croniche, comprendono un miglioramento del
ROM, una forza maggiore e il ritorno della funzione.
- TENDINOPATIA CALCIFICA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI: La cuffia
dei rotatori è il complesso dei quattro muscoli e dei rispettivi tendini (sopraspinoso,
sottospinoso, grande rotondo e sottoscapolare) che concorre al movimento
dell’articolazione della spalla nei vari piani dello spazio e che tiene stabile
l’articolazione fra la scapola e l’omero (l’osso che appartiene alla parte superiore del
braccio).
La tendinite della cuffia dei rotatori è l’infiammazione di uno (o più) tendini che la
costituiscono.
E’ caratterizzata generalmente da dolore (presenta sia col movimento che a riposo,
specie nelle ore notturne) e da limitazione funzionale nell’esecuzione di alcuni
movimenti.
Può essere causata da traumi, dall’eccessiva ripetizione di movimenti che
stressano l’articolazione fra scapola e omero, dalla naturale degenerazione delle
strutture tendinee dovuta all’età (con l’aumentare dell’età diminuisce l’afflusso di
sangue all’articolazione, e con esso la quantità di proteine fibrose (soprattutto
collagene) che vengono fissate a tendini e muscoli) o da postura e movimenti
impropri.
Tennis, nuoto, canottaggio, sollevamento pesi, basket, rugby e tutti gli sport di lancio
sono a rischio di tendinopatia della cuffia dei rotatori.
Anche patologie metaboliche (es. diabete) o abitudini di vita (es. fumo) hanno una
influenza predisponente allo sviluppo di patologie a carico della cuffia dei rotatori.
Nella maggior parte dei casi, specie se il problema è di lieve entità, un periodo di
riposo, l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei e l’impiego di terapie
fisiche e fisioterapiche sono misure sufficienti per trattare l’infiammazione della cuffia
dei rotatori.
Nei casi in cui il problema risulta di maggiore entità, può essere data indicazione ad
eseguire terapia con onde d’urto focali. Tale terapia è indicata sia in presenza di
calcificazioni che in loro assenza, in quanto non serve a “rompere” i depositi di calcio,
ma si basa su una stimolazione meccanica dei tessuti della spalla, allo scopo di
indurre un effetto antinfiammatorio e rigenerativo.
In alcuni specifici casi, lo specialista può prescrivere invece un trattamento basato su
infiltrazioni di corticosteroidi, per alleviare più rapidamente l’infiammazione.
In alcuni ancora più rari casi (meno dell’1%) si può arrivare fino alla necessità di un
intervento chirurgico per risolvere non tanto il problema dell’infiammazione
tendinea, quanto la presenza di eventuali lesioni associate.

PROTOCOLLO RIABILITATIVO: SPALLA


Esistono diverse tipologie di protesi di spalla:
- Protesi totale di spalla: sostituzione totale delle superfici articolari con elementi
protesici in metallo e polietilene. I componenti sono disponibili in diverse dimensioni e
possono essere cementati o non. Qualora l'osso fosse di buona qualità, il chirurgo
può scegliere di utilizzare una componente omerale non cementata (press-fit); se
invece l'osso si presentasse usurato, la componente omerale può essere impiantata
con cemento. Nella maggior parte dei casi, viene impiantata anche una componente
glenoidea in plastica.
- Endoprotesi di spalla: procedura chiamata emiartroplastica in cui la testa omerale
viene sostituita da una componente protesica metallica costituita da uno stelo sul
quale viene adagiata una sfera. Viene consigliata quando la testa omerale è
gravemente degenerata ma le restanti componenti articolari sono normali.
- Protesi di spalla di rivestimento o “emicefalica”: comporta la sostituzione della
superficie articolare della testa omerale con una protesi a cappuccio senza stelo.
Può essere un'opzione valida se:
1. la superficie articolare glenoidea è intatta;
2. il collo o la testa omerale non presentano fratture;
3. in pazienti giovani o molto attivi, evitando così i rischi di usura e allentamento
delle componenti che potrebbero verificarsi con le sostituzioni convenzionali
totali di spalla.
- Protesi inversa di spalla: un’altra opzione è rappresentata dalla protesi inversa di
spalla, indicata per soggetti che presentano:
1. cuffia dei rotatori gravemente lesionata con perdita della forza e dell’arco di
movimento;
2. articolazione gravemente artrosica;
3. fallimento di un precedente intervento di protesi totale di spalla.
L’artroplastica di spalla richiede un periodo di ospedalizzazione post operatorio in cui si
esegue un programma di riabilitazione sartoriale (disegnato sulla condizione fisica e sulle
comorbilità del pz) già al primo giorno post operatorio.
La possibilità di dare inizio al processo riabilitativo subito dopo la chirurgia è frutto delle
nuove tecniche che non richiedono più il distacco dell’origine del muscolo deltoide la solo
l’esposizione del muscolo sottoscapolare, per questo il protocollo riabilitativo ritarda di 4-6
settimane alla sostituzione protesica gli esercizi di rotazione esterna ed interna della spalla.
L’obiettivo della riabilitazione è di raggiungere un ROM che consenta un recupero funzionale
ottimale. Il massimo miglioramento è atteso in 12-18 mesi.
Il protocollo riabilitativo standard (che si esegue se la cuffia dei rotatori è rimasta indenne)
è quello di Bach, Cohen e Romeo, che prevede:
- Fase 1: delle restrizioni, settimane 0-6
1. Settimana 1: 120° di flessione, 20° di rotazione esterna con il braccio al
fianco, 75° di abduzione con 0° di rotazione.
2. Settimana 2: 140° di flessione, 40° di rotazione esterna con il braccio al
fianco, 75° di abduzione con 0° di rotazione.
Restrizioni:
- Non eseguire rotazione interna attiva.
- Non eseguire estensione (all’indietro).
Immobilizzazione:
- Reggibraccio.
- Dopo 7-10 giorni, reggibraccio solo per agio.
Controllo del dolore:
- Oppiacei (per 7-10 giorni dopo l’intervento).
- FANS – per pazienti con dolore persistente dopo la chirurgia.
- Ghiaccio, ultrasuoni, SGAV.
- Caldo umido prima della terapia e ghiaccio dopo la seduta fisioterapica.
OBIETTIVI:
Mobilità della spalla:
- 140° di flessione.
- 40° di rotazione esterna.
- 75° di abduzione.
Mobilità del gomito:
- prima passiva poi attiva.
- ROM 0-130°.
ESERCIZI:
- Pendolo di Codman per la mobilizzazione precoce.
- Esercizi passivi per il ROM.
- Stretching della capsula per la parte anteriore, posteriore e inferiore, usando
l’altro braccio per aiutarsi nella mobilizzazione.
- Esercizi di mobilizzazione attivi assistiti: flessione della spalla, estensione
della spalla, rotazione interna e esterna.
- Pronazione e supinazione del gomito.
RINFORZO MUSCOLARE:
Solo rinforzo della presa.
- Fase 2: settimane 6-12
Criteri per il passaggio alla fase 2:
1. Dolore o dolorabilità minimi.
2. Mobilità quasi completa.
3. Sottoscapolare intatto senza evidenza di dolore al tendine nella rotazione
interna contro resistenza.
Restrizioni:
- 160° di flessione anteriore.
- 60° di rotazione esterna con il braccio al fianco.
- 90° di abduzione con 40° di rotazione interna ed esterna.
Immobilizzazione:
Nessuna.
Controllo del dolore:
- FANS – per pazienti con persistente dolore dopo l’intervento.
- Ghiaccio, ultrasuoni, SGAV.
- Caldo umido prima della terapia e ghiaccio dopo la seduta.
OBIETTIVI:
Mobilità della spalla:
- 160° di flessione.
- 60° di rotazione esterna con il braccio al fianco.
- 90° di abduzione con 40° di rotazione interna ed esterna.
ESERCIZI:
- Stretching passivo a fine raggio per mantenere l’estensibilità della spalla.
- Tecniche di mobilizzazione articolare per le retrazioni della capsula,
soprattutto della capsula posteriore.
RINFORZO MUSCOLARE:
a. Rinforzo della cuffia dei rotatori: solo 3 volte alla settimana per evitare le
tendiniti della cuffia, che si verificano con un allenamento eccessivo.
1. esercizi isometrici in catena cinetica chiusa
- rotazione esterna
- abduzione
2. esercizi in catena cinetica aperta con Theraband (con il gomito flesso
a 90° e la spalla a partenza 0°, gli esercizi vengono eseguiti per 45° in
tutti e 5 i piani di movimento):
- rotazione esterna
- flessione
- abduzione
Gli elastici sono di 6 colori: da 0,5 a 3 kg. Il passaggio alla resistenza
successiva avviene solitamente ogni 2-3 settimane.
Gli esercizi con Theraband permettono di utilizzare il rinforzo sia
eccentrico sia concentrico dei muscoli della spalla: sono una forma di
esercizio isotonico (caratterizzato da velocità variabile e resistenza
fissa).
3. esercizi isotonici leggeri
- rotazione esterna
- abduzione
- flessione
b. Rinforzo degli stabilizzatori della scapola.
1. esercizi in catena cinetica chiusa
- retrazione della scapola (romboidi, trapezio medio).
- protrazione della scapola (dentato anteriore).
- depressione della scapola (grande dorsale, trapezio, dentato
anteriore).
- elevazione del moncone della spalla (trapezio, elevatore della
scapola).
- Fase 3: mesi 3-12
Criteri per il passaggio alla fase 3:
1. ROM completo senza dolore
2. Esame obiettivo soddisfacente
OBIETTIVI:
- Accrescere la forza, la potenza e la resistenza della spalla
- Migliorare il controllo neuromuscolare e la propriocezione della spalla
- Preparare per il graduale ritorno alle attività funzionali
- Programma domiciliare di mantenimento
- Raggiungere una mobilità uguale alla controlaterale
RINFORZO MUSCOLARE:
- Esercizi per il ROM 2 volte al giorno
- Rinforzo della cuffia dei rotatori 3 volte alla settimana
- Rinforzo degli stabilizzatori della scapola 3 volte alla settimana
RINFORZO FUNZIONALE:
- Esercizi pliometrici (si veda la Fig. 3-40).
SEGNALI DI ALLARME:
- Perdita di mobilità
- Dolore continuo
Può essere necessario riportare questi pazienti alla routine precedente, o un
maggiore uso delle modalità di controllo del dolore.

Se c’è deficit tissutale della cuffia dei rotatori il protocollo riabilitativo scelto è quello di
Wilk:
L’obiettivo per i soggetti con deficit tissutale (perdita ossea o muscolare) è la stabilità
articolare e una minore mobilità articolare.
- Fase 1: fase di mobilità immediata (settimane 0-4)
OBBIETTIVI:
- Aumentare il ROM passivo.
- Ridurre il dolore della spalla.
- Ritardare l’atrofia muscolare.
ESERCIZI:
- Movimenti passivi continui
- ROM passivo di spalla + ROM di gomito e polso
- Flessione 0-90°
- Rotazione esterna a 30° di abduzione, da 0° a 20°
- Rotazione interna a 30° di abduzione: da 0° a 30°
- Esercizi pendolari
- Esercizi per la presa
- Esercizi isometrici
- Corda e carrucola (seconda settimana)
- Esercizi attivi assistiti (quando in grado)
- Fase 2: fase di mobilizzazione attiva (settimane 5-8)
OBIETTIVI:
- Migliorare la forza della spalla
- Migliorare il ROM
- Ridurre il dolore e l’infiammazione
- Incrementare le attività funzionali
ESERCIZI:
- Esercizi per il ROM attivi assistiti con barra a L (iniziare alle settimane 2-3, se
tollerato)
- Corda e carrucole
- Esercizi pendolari
- Flessione da posizione seduta (arco ridotto 45-90°)
- Flessione da posizione supina (per tutta l’ampiezza disponibile)
- Abduzione da posizione seduta 0-90°
- Esercizi con tubolare di rotazione interna e esterna (settimane 4-6)
- Manubri per bicipite e tricipite
- Cauta mobilizzazione articolare (settimane 6-8)
- Fase 3: fase di rinforzo (settimane 8-12)
Criteri per il passaggio alla fase 3:
1. ROM passivo: flessione da 0° a 120°
2. Rotazione esterna a 90° di abduzione: 30-40°
3. Rotazione interna a 90° di abduzione: 45-55°
4. Livello della forza 4/5 per rotazione interna ed esterna e abduzione
Alcuni pazienti non arrivano mai a questa fase.
OBIETTIVI:
- Migliorare la forza della muscolatura della spalla
- Migliorare e progressivamente incrementare le attività funzionali
ESERCIZI:
- Esercizi con il tubolare
- Rinforzo con manubri
- Esercizi di stretching
- Stiramenti con barra a L

PATOLOGIE DA SOVRACCARICO: ENTESITI, TENDINITI E BORSITI


Sono patologie muscolo scheletriche molto frequenti in ambiente sportivo (ma non assenti in
altri soggetti: casalinghi, ecografisti, dentisti, ecc.), legate all’utilizzo continuativo di muscoli e
tendini di un segmento corporeo.
La ripetizione esasperata (intensità) e continua nel tempo (frequenza) di alcuni movimenti
può comportare l’insorgenza di questi quadri clinici.
L’ENTESI è la struttura anatomica dove si inseriscono i muscoli, un organo fibroso o
fibro-cartilagineo che comprende:
- la parte finale del tendine;
- il periostio;
- la zona ossea di inserzione;
La sua funzione non è solo esclusivamente meccanica di collegamento tra tendine e osseo,
ma è anche un mezzo di feedback neurologico grazie a recettori che danno informazioni
relative allo stress di carico del tendine sull’osso. Inoltre disperde lo stress meccanico
derivante dal movimento.
1) azione di ancoraggio;
2) funzione recettoriale;
3) dispersione dello stress;
Tramite i recettori, il sistema nervoso rileva la quantità e la qualità di forze che agiscono su
questa struttura e da le informazioni necessarie per mantenere un rapporto costante ed
equilibrato tra i mm antagonisti ed agonisti permettendoci di stare in equilibrio, di camminare
e di muoverci.
L’ENTESITE è l'infiammazione di una o più entesi tendinee o di una o più entesi
legamentose (i tendini collegano le estremità dei muscoli alle ossa, mentre i legamenti
collegano le ossa ad altre ossa).
Le entesiti più note e comuni sono:
- l'entesite pubica (a livello del pube),
- l'entesite achillea (a livello del tendine d'Achille),
- la fascite plantare (sulla pianta del piede),
- l'epicondilite (sulla faccia esterna del gomito),
- l'epitrocleite (sulla faccia interna del gomito),
- l'entesite rotulea (appena sotto la rotula del ginocchio),
- l'entesite alla cuffia dei rotatori (a carico della spalla).
Le BORSE sierose sono strutture formate da due strati di membrana sinoviale, localizzate
tra tendine e osso o tra cute e osso. Al loro interno è contenuto un sottile strato di liquido
sinoviale allo scopo di ridurre l’attrito tra il tendine e osso.
I traumatismi ripetuti inducono una condizione di infiammazione (BORSITE) con comparsa
di tumefazione e incremento del volume di liquido. La causa dell’infiammazione spesso è la
ripetuta frizione del tendine sovrastante sull’osso oppure una compressione abestrinseco.
Se il danno permane e la condizione flogistica perdura si ha un’evoluzione con ispessimento
delle pareti, dolore locale ed eventuali complicanze calcifiche o infettive (quest’ultime
soprattutto nelle zone superficiali, dove le lesioni cutanee possono rappresentare la porta
d'ingresso per i microrganismi).
Le borse sono difficili da esaminare, sono poco palpabili quindi per diagnosticare una borsite
iniziale dobbiamo utilizzare l'ecografia, mentre se si tratta di una forma avanzata diventerà
palpabile.
Le borse dell’arto inferiore sono: la borsa trocanterica*, la borsa dell’ileopsoas, la borsa
ischiatica.
Spesso la borsite è associata all’entesite (tendinopatia inserzionale).
I TENDINI hanno la funzione di trasmettere la forza esercitata dai muscoli alle strutture alle
quali sono connessi in modo da rendere possibile il movimento delle articolazioni.
Il tendine può infiammarsi e causare una TENDINITE, che se protratta o recidivante
causa degenerazione e tendinopatia cronica (TENDINOSI).
Le cause di tutte le patologie da sovraccarico sono divise in:
1. ESTRINSECHE: attrezzature sportive incongrua (scarpe), condizioni ambientali
sfavorevoli per il terreno da gioco o per il clima, riscaldamento insufficiente, errata
esecuzione del gesto atletico.
2. INTRINSECHE: deficit metabolici, età, alterazioni idroelettriche, anomalie congenite
o acquisite dei sistemi osteoarticolari (cifosi e scoliosi del rachide, ginocchio varo
valgo, piede piatto o cavo oppure pronato o supinato, eterometrie degli arti inferiori
maggiori di 10-15 mm), o squilibri muscolari.
Tutti questi fattori alterano le risultanti dei vettori di forza che agiscono sui tendini e causano
una non corretta distribuzione del carico che cronicamente espone a sollecitazioni abnormi
le strutture tendine.
La stadiazione prevede 4 stadi:
1) Dolore esclusivamente in seguito ad attività sportiva o fisica, diffuso e mal
localizzabile (es. dolore al gomito la notte dopo aver lavorato tutto il giorno al pc).
2) Dolore presente sia durante che dopo l’attività fisica ed è ben localizzato.
3) Flogosi (edema, arrossamento, tumefazione) associata a dolore e limitazione
nell’azione sportiva.
4) Dolore continuo nell’arco della giornata, cronico.
Nella prima fase della tendinite l’obiettivo è la risoluzione del dolore e della flogosi: si
somministrano FANS e si esegue una terapia fisico-strumentale (TECAR, LASER a bassa
potenza), evitando di usare mezzi fisici che provocano calore, importante poi è il riposo
attivo attraverso riduzione ed eliminazione delle attività dolorose e dei movimenti ripetitivi
causali compiuti e l’esecuzione di esercizi di rilassamento muscolare.
Nella tendinopatie acute o riacutizzazioni si usa: CRIOTERAPIA che provoca
vasocostrizione locale e preserva la saturazione di ossigeno nelle parti più profonde del
tendine producendo un effetto analgesico locale, seppur transitorio, FANS, PRP (gel
piastrinico, inserito per via peri /intra tendinea, che ha una buona capacità di rigenerazione
del tendine), integratori alimentare di collagene idrolizzato e vitamine, tattamento fisico con
rieducazione posturale, esercizi propriocettivi, massoterapia, allenamento di potenziamento
muscolare isometrico.

EPICONDILITE (GOMITO DEL TENNISTA): è la tendinite più frequente. Interessa


l’inserzione prossimale dell’epicondilo omerale.
I muscoli coinvolti sono: i muscoli estensori e supinatori del polso, più spesso il muscolo
estensore radiale breve del carpo. In una percentuale minore di casi (⅓ dei casi):
l’estensore comune delle dita, l’estensore radiale lungo del carpo e l’estensore ulnare
del carpo.
CLINICA: premendo sugli epicondili di entrambi i gomiti il pz riferisce spiccato dolore.
DIAGNOSI: è clinica e l’rx viene eseguito solo se si sospetta un fattore intrinseco osseo.
TERAPIA:
- ACUTA: dovrebbe essere bloccato il movimento del polso (i tutori per le epicondiliti
sono fasce che servono a diminuire la forza sull’epicondilo, NON a bloccarlo del
tutto).
- SUB-ACUTA: PRP e mezzi fisici.
- CRONICA: trattamento chirurgico (raramente effettuato).
EPITROCLEITE (GOMITO DEL GOLFISTA): i muscoli coinvolti sono i muscoli flessori e
pronatori del polso, in particolare: il tendine del muscolo pronatore rotondo nel suo capo
omerale, il flessore radiale del carpo, il flessore ulnare del carpo ed il palmare lungo.
TENOSINOVITE DI De Quervain: interessa la guaina tendinea del muscolo
abduttore lungo del pollice e del muscolo estensore breve del pollice.
L’abduttore lungo serve per muovere l’articolazione carpo-metacarpale, mentre l’estensore
breve per muovere l’articolazione del primo metacarpo.
E’ una tendinite abbastanza frequente nelle donne in età avanzata oppure nelle giovani
mamme che tengono in braccio il bambino e lo sollevano frequentemente.
A volte può coinvolgere la sinovia e non rispondere ai farmaci tanto da dover ricorrere al
trattamento chirurgico (di pulizia della guaina sinoviale).
CLINICA: è caratterizzata da dolore in corrispondenza della guaina degli estensori, simile al
dolore della rizoartrosi (patologia ossea artrosica a carico dell’articolazione
trapezio-metacarpale, con cui fare diagnosi differenziale).
TERAPIA si avvale di:
- immobilizzazione del pollice;
- mezzi fisici come tecar e laser;
- infiltrazione di corticosteroidi;
- trattamento chirurgico di decompressione.
SINDROME DA INTERSEZIONE, viene confusa per la stretta vicinanza anatomica e
la sintomatologia simile alla sdr di De Quervain.
Il quadro è sostenuto da un infiammazione nel punto di intersezione e incrocio tra
l’estensore radiale lungo e breve del carpo e l’abduttore lungo e l’estensore breve del
pollice che causa a livello della guaina sinoviale dei tendini una tenosinovite del II
compartimento dei tendini estensori della mano.
La pratica di alcuni sport (sci, canoa, sollevamento pesi) che comportano eccessiva
flessione ed estensione del polso, predispone a tale tendinite.
PUBALGIA (SINDROME RETTO ADDUTTORIA): si manifesta in calciatori, maratoneti,
ma anche in soggetti che non fanno attività fisica (ad esempio a causa delle alterazioni
posturali come nelle donne incinte oppure condizioni predisponenti: eterometria, ginocchio
varo, valgo).
I muscoli, di cui i tendini si infiammano, possono essere: adduttori (nell’80% dei casi),
psoas o retto dell’addome.
CLINICA: dolore alla regione inguinale che dipende dal grado della tendinopatia ed
impotenza funzionale,
I. dolore dopo attività
II. dolore durante l’attività fisica
III. l’attività fisica non può essere compiuta
IV. estremo danneggiamento tendineo
DIAGNOSI: principalmente clinica (importante la d.d. con artrosi d’anca, lesioni acetabolari,
ernia inguinale e varicocele) a cui si associa esame ecografico ed RM (che permettono di
visualizzare la prima: l’edema peritendineo e la degenerazione tendinea, la seconda anche
l’edema osseo nella zona di inserzione).
TERAPIA: bisognerebbe in prima istanza riposare i muscoli e l’arto interessato per poi
procedere al rinforzo muscolare con l’esecuzione di esercizi eccentrici, concentrici ed
esercizi a catena cinetica chiusa (in cui il punto di applicazione della forza è fisso, es. la
classica flessione sulle braccia, mentre negli esercizi a catene cinetica aperta il punto di
applicazione della forza è mobile, ad es. il soggetto che muove il bilanciere verso l’alto.
*BORSITE PERTROCANTERICA
Comunemente detta borsite dell’anca è un’infiammazione a carico della borsa del grande
trocantere, regione in cui si inseriscono i tendini dei muscoli rotatori dell’anca (piriforme,
gemello superiore ed inferiore, otturatorio interno).
La borsite pertrocanterica o trocanterite colpisce maggiormente le donne e in egual modo
sedentarie e sportive a causa di gesti ripetuti in modo errato (deficit di deambulazione,
gonartrosi, eterometria degli arti inferiori, obesitá, patologie discali lombari, piedi piatti ecc.
sono condizioni predisponenti).
CLINICA:
Il dolore nella borsite dell’anca viene riacutizzato nei movimenti attivi dell’anca quali salire o
scendere scale o salire e scendere dall’auto.
DIAGNOSI:
La diagnosi è quasi esclusivamente obiettiva. Prevede la digito-palpazione del trocantere e
inoltre vi è una limitazione della mobilitá articolare dell’anca.
TERAPIA:
La fase acuta è gestita tramite farmaci analgesici. Nel caso vi sia un forte dolore, il medico
procederà ad effettuare infiltrazioni di corticosteroidi, laser, crio e tecarterapia.
TENDINOPATIA ROTULEA (GINOCCHIO DEL SALTATORE): interessa l’inserzione
prossimale del tendine rotuleo al polo superiore ed inferiore della rotula, oppure
l’inserzione distale del suddetto tendine a livello dell’apofisi tibiale. La più frequente
(70%) colpisce il polo inferiore della rotula (inserzione post-rotulea).
Tra le cause predisponenti c’è la ridotta dorsiflessione della caviglia, che comporta
un’alterazione biomeccanica (malposizione della rotula rispetto al suo normale asse,
retrazioni dei muscoli ischeo crurali: semimembranoso, semitendinoso, bicipite femorale)
che può portare alla tendinopatia rotulea.
TERAPIA: oltre la terapia farmacologica e la riabilitazione fisioterapica, ci si avvale di
elettrostimolazione con correnti Kotz che servono a mantenere o migliorare il trofismo
muscolare, di cinturino infrapatellare o taping muscolare e, in ultima istanza, si ricorre al
trattamento chirurgico.
TENDINOPATIA DELLA ZAMPA D’OCA:
E’ la tendinopatia localizzata nella regione antero-mediale della gamba che coinvolge tre
muscoli che si inseriscono in un unico tendine simile ad una zampa d’oca:
1. semitendinoso;
2. gracile;
3. sartorio;
La tendinopatia della zampa d’oca è tipica dei podisti e i soggetti con ginocchio varo, valgo,
piede piatto, ecc. sono particolarmente predisposti.
CLINICA: il sintomo principale è il dolore sulla superficie mediale del ginocchio; spesso può
essere associata a borsite.
TERAPIA: farmacologica, fisica, fisioterapica, chirurgica.
SINDROME DELLA BANDELLETTA ILEO-TIBIALE: la bandelletta ileo-tibiale è
un tendine comune a 2 muscoli, il grande gluteo e il muscolo tensore della fascia lata che
si inserisce sulla tibia a livello del tubercolo di Gerby, sulla faccia antero-esterna.
La sindrome della bandelletta ileo-tibiale è una tendinopatia che viene poco diagnosticata
anche se è relativamente frequente. Colpisce podisti e maratoneti, calciatori e giocatori di
pallacanestro.
Concause della tendinite, oltre al traumatismo osteomuscolare, sono: il deficit medio gluteo,
varismo del ginocchio, piede piatto, valgismo del retropiede ecc.
FASCITE PLANTARE: La fascia plantare è una struttura anatomica, ovvero
l’aponeurosi plantare, un tessuto connettivo fibroso che si trova nella porzione inferiore
del piede e ha forma triangolare: si estende dal tubercolo calcaneare alle basi delle falangi
(connette la zona mediale del calcagno con l’avampiede). Ha numerose funzioni: permettere
una corretta deambulazione, proteggere nervi e vasi sanguigni, ammortizzare le
sollecitazioni. La fascite plantare è una patologia della fascia plantare, caratterizzata da
dolore nell’area calcaneare (spesso viene ingiustamente attribuita allo sperone calcaneare).
Molte patologie entrano in DIAGNOSI DIFFERENZIALE con la fascite:
1) Apofisite calcaneare con sintomatologia sovrapponibile ma che si manifesta
tipicamente in soggetti giovani in fase di crescita.
2) Lacerazione della fascia plantare, in cui si sentono crepitii durante la spinta del piede
che si verificano ad esempio dopo un periodo di trattamento della fascite plantare
con cortisone. Il dolore sarà acuto talora con impossibilità di caricare il peso nella
deambulazione.
3) Frattura da stress del calcagno, riscontrata negli atleti professionisti. Qui il dolore
sarà diffuso e la dolorabilità del calcagno al test di compressione.
MORBO DI SEVER: patologia causata da sforzi e microtraumi ripetuti con carico
eccessivo al tendine d’Achille nella sua inserzione calcaneare.
Questo può portare ad irritazione e potenziale avulsione dell’apofisi calcaneare o,
raramente, completa frattura da avulsione.
Fattori di rischio sono:
- eccessiva o aumentata attività sportiva,
- sport ad alto impatto (atletica, calcio, tennis),
- limitata dorsiflessione della caviglia,
- calzature improprie,
- corsa su superfici dure,
- allenamento non adeguato,
- anomalie biomeccaniche del piede,
- obesità.

LESIONI MUSCOLARI E DISTRAZIONI MUSCOLARI


Le lesioni muscolari sono frequenti nello sport, rappresentando fino al 50% di tutte le lesioni
acute.
In base al meccanismo del trauma, le lesioni muscolari possono essere distinte come dirette
e indirette:
- DIRETTE:
Contusione: può essere classificata come lieve, moderata e grave secondo il grado
di disabilità funzionale conseguente.
Lacerazione: essa nasce da un urto contro una superficie tagliente o perforante.
- INDIRETTE:
NON STRUTTURALI: le fibre muscolari non presentano una lesione evidente, sono
le più comuni e sono la causa frequente di assenza dall’attività sportiva. Possono
essere causate da:
- carichi di lavoro eccessivi
- protocolli di allenamento errati o su superfici di allenamento non idonee
attività ad alta intensità (Tipo 1A, disordini da affaticamento muscolare )
- eccessive e prolungate contrazioni eccentriche (Tipo 1B, dolore muscolare a
insorgenza tardiva, DOMS)
- disturbi alteranti il controllo nervoso al muscolo (Tipo 2, disordini
neuromuscolari).
Quando non attenzionate possono evolvere in lesioni strutturali.
STRUTTURALI: in cui è presente una lesione anatomica (“STRAPPO”), classificate
in base all’estensione della lesione:
- piccole lesioni parziali con coinvolgimento di uno o più fascicoli principali
(Tipo 3A)
- rottura o una lacerazione completa del muscolo, che coinvolge il ventre
muscolare o la giunzione miotendinea (Tipo 4)
Le lesioni strutturali possono essere classificate anche in prossimali (P), medie (M),
e distali (D). In particolare, la prognosi delle lesioni prossimali dei muscoli adduttori e
del retto femorale è peggiore di lesioni di stesse dimensioni che coinvolgono la parte
media o distale di questi muscoli. Viceversa nel tricipite surale o nel quadricipite,
lesioni distali presentano una prognosi peggiore.
In relazione al numero di fibre coinvolte (in un muscolo sono presenti diverse
migliaia di fibre), gli strappi muscolari si possono classificare usando una scala di
gravità composta da tre gradi:
- Grado 1: questo tipo di lesione sono danneggiate solo poche fibre muscolari
(meno del 5%).
- Gado 1: viene coinvolto un maggior numero di fibre.
- Grado 2: causa una vera e propria lacerazione del ventre muscolare e
coinvolge comunque almeno 3/4 delle fibre.
CLINICA:
Una lesione contusiva è generalmente caratterizzata da immediata insorgenza di dolore, i
sintomi sono crescenti in relazione con le dimensioni e l’entità dell’ematoma.
Le lesioni non strutturali determinano dolore, pesantezza e rigidità del muscolo, solitamente
durante esercizio, a volte anche a riposo. Alla palpazione è solo apprezzabile la rigidità di
alcuni fasci muscolari.
Le lesioni strutturali minori (tipo 3A) sono caratterizzate da dolore acuto ben localizzato,
evocato da un movimento specifico, facilmente evocabile alla palpazione, spesso preceduto
da una sensazione di stiramento. La contrazione muscolare contro resistenza manuale è
sempre dolorosa ma non è possibile rilevare il difetto strutturale alla palpazione.
Le lesioni parziali del muscolo (tipo 3B) si presentano con dolore acuto e trafittivo localizzato
preceduto da una sensazione di schiocco, il dolore è localizzato e il difetto strutturale può
essere apprezzato.
Le lesioni muscolari di tipo 4 sono caratterizzate da dolore oppressivo esacerbato da un
movimento specifico; aggancio e disabilità funzionale immediata e completa.
DIAGNOSI:
L’ecografia può essere utilizzata, da 36 a 48 ore dopo il trauma, per la diagnosi in concerto
con accurato esame clinico e può essere utile per monitorare il processo di guarigione e le
possibili complicanze.
La risonanza magnetica permette il rilevamento anche delle lesioni minime, raggiungendo
una sensibilità di oltre il 90%.
TERAPIA:
- Nelle lesioni di 1° grado, dopo il R.I.C.E. (Rest Ice Compression Elevation ovvero
RIPOSO GHIACCIO COMPRESSIONE ELEVAZIONE), serve il riposo assoluto; solo
dopo controllo ecografico si potrà iniziare la fisioterapia con tecar e graduale ripresa
con esercizi di stretching e potenziamento muscolare progressivo.
- Nelle lesioni di 2° grado, dopo il R.I.C.E., serve riposo per 5/7 giorni con
deambulazione assistita con due canadesi e terapia medica con decontratturanti,
dopo 3 giorni si possono effettuare sedute di linfodrenaggio manuale e tecar e solo
dopo 7 giorni si possono associare esercizi di allungamento muscolare e in seguito
esercizi di potenziamento progressivo; la ripresa agonistica avverrà solo dopo 30
giorni.
- Nelle lesioni di 3° grado, se molto estese, sarà necessario mettere un tutore per 15
giorni e solo dopo riposo assoluto per 20 giorni si potrà praticare la terapia delle
lesioni di 2° grado.

LESIONI NERVOSE PERIFERICHE


NEUROPATIE PERIFERICHE
La neuropatia periferica è la condizione morbosa risultante dal danneggiamento e dal
malfunzionamento dei nervi del sistema nervoso periferico, SNP).
I nervi periferici sono formati dai tronchi nervosi (es. ulnare, radiale, mediale) dei plessi
nervosi (es. brachiale) che i nervi cranici e spinali, dopo la loro emergenza, formano. Le
radici dei nervi spinali, che emergono precisamente dalle corna anteriori del midollo spinale,
sono formate dall’insieme degli assoni dei secondi neuroni di moto.
EZIOLOGIA:
Le neuropatie periferiche hanno molte cause, le più comuni sono:
- DIABETE MELLITO: il pz diabetico soffre di vasculopatia periferica, i nervi che sono
nutriti dai vasa nervorum, danneggiati dalla microangiopatia, vanno incontro a
sofferenza ischemica; A questo si aggiungono alterazioni metaboliche con
attivazione di processi infiammatori e morte cellulare che aggravano il quadro
neuropatico;
- INSUFFICIENZA RENALE CRONICA: poiché l’accumulo di sostanze tossiche nel
corpo reca danno al sistema nervoso, nervi periferici compresi.
- IPOTIROIDISMO: causa molto rara, in cui il deposito di materiale mucinoso attorno
ai nervi e alla fine dei nervo (nei Corpi di Raynaud);
- DEFICIT NUTRIZIONALI (alcolismo cronico, malattie croniche, errori alimentari,
diete, malassorbimento, specie vit. B e vit E) e DIGIUNO;
- FARMACI (neutorossicità) in particolare da chemioterapici quali vincristina,
talidomide;
- CRITICAL ILLNESS POLYNEUROPATHY: polineuropatia che insorge in un pz
sano dal punto di vista neurologico, posto in un ambiente critico, quale la
rianimazione e terapia intensiva, a causa di:
- sepsi prolungata;
- uso di corticosteroidi prolungato;
- uso di bloccanti neuromuscolari;
- INFEZIONI: mononeuropatia da herpesvirus, neuropatie centrali da HIV (passa la
BEE tramite l'effetto 'cavallo di troia'), neuropatie da lebbra, lehismanionisi, CMV e da
HCV;
- CONNETTIVITI (LES, AR), VASCULITI (crioglobulinemie: le crioglobuline sono
immonoglubuline che precipitano a temperature inferiori ai 4 gradi, ne esistono 3 tipi:
monoclonali, policlonali e mista, causano distruzione dei vasi da parte di enzimi
degradativi con rilascio di citochine citotossiche).
- PARANEOPLASTICHE: formazione di anticorpi antineoplastici anti Hu (per il
polmone, la prostata, il tratto GE,timoma), antiCV2 (sarcoma e patologie
neuroendocrine), antiganglioside (melanoma) che si depositano nei nervi, infiltrando
il tessuto nervoso e causando la neuropatia.
- IMMUNOMEDIATE (Guillain-Barre, CIDP - forma cronica);
- IDIOPATICHE: non si trova una causa eziologica (frequenti negli anziani).
CLINICA:
I sintomi della neuropatia periferica dipendono dal tipo di nervi interessati: se sono coinvolti i
nervi sensitivi, si hanno manifestazioni a livello sensoriale (neuropatia sensitiva); se sono
coinvolti i nervi motori, si hanno disturbi a livello dei muscoli scheletrici (neuropatia motoria);
infine, se sono coinvolti i nervi autonomi, risultano alterate una o più funzioni automatiche
(neuropatia autonoma):
1. NEUROPATIA PERIFERICA SENSITIVA - La sintomatologia caratteristica della
neuropatia sensitiva periferica comprende:
- Formicolio e pizzicore in corrispondenza delle zone in cui risiedono i nervi
periferici danneggiati.
- Senso di intorpidimento e ridotta capacità di avvertire il dolore e i
cambiamenti di temperatura, soprattutto a livello delle mani e dei piedi.
- Dolore bruciante e simile a fitte, specie agli arti inferiori e ai piedi.
- Allodinia, ovvero dolore provocato da uno stimolo che, in condizioni normali,
sarebbe del tutto innocuo e privo di conseguenze.
- Perdita di equilibrio e della capacità di coordinazione.
2. NEUROPATIA PERIFERICA MOTORIA - I sintomi e i segni tipici della neuropatia
motoria sono:
- Spasmi e crampi muscolari.
- Debolezza muscolare e/o paralisi che colpisce uno o più muscoli.
- Riduzione della massa muscolare, dovuta all'inutilizzo.
- Piede cadente. È una particolare condizione caratterizzata dall'incapacità di
tenere sollevata la parte anteriore del piede; ciò comporta dei notevoli
problemi di deambulazione.
- Frequente caduta dalle mani degli oggetti.
3. NEUROPATIA PERIFERICA AUTONOMA - Le manifestazioni cliniche che
caratterizzano la neuropatia autonoma consistono in:
- Costipazione o diarrea. Quest'ultima è frequente soprattutto alla notte.
- Senso di malessere, di gonfiore addominale e di vomito.
- Calo della pressione sanguigna (ipotensione ortostatica), che induce un
senso di svenimento e/o vertigine.
- Tachicardia, ovvero aumento di frequenza del battito cardiaco.
- Sudorazione eccessiva o mancanza di sudorazione (anidrosi).
- Disturbi sessuali. Nell'uomo, per esempio, è particolarmente frequente la
disfunzione erettile.
- Difficoltà di svuotamento completo della vescica.
- Incontinenza intestinale, dovuta alla perdita di controllo della muscolatura
liscia dell'intestino.
- Disfagia.
- Assottigliamento della pelle.
Se la debolezza è insorta d'emblée, a giorni alterni o progressivamente distinguiamo
neuropatie:
- Acuta (entro 4 settimane);
- Subacuta (tra 4 e 8 settimane);
- Cronica (> di 8 settimane);
- Recidivante (con remissioni e ricadute);
Se la debolezza è localizzata o interessa tutto il corpo (Classificazione TOPOGRAFICA
delle Neuropatie):
- ad un solo arto (mononeuropatia);
- a più arti (mononeuropatia multipla, in questo caso è un solo nervo nelle sue varie
ramificazioni a soffrire);
- di un arto intero (plessopatia);
- simmetricamente ad entrambe le mani, o i piedi (polineuropatia, sono più nervi a
soffrire).
DIAGNOSI:
Dopo un'attenta anamnesi dobbiamo richiedere una batteria di esami di laboratorio per
cercare probabili cause sconosciute. Tra questi:
- Ac Anti Gangliosidi, Ac paraneoplastici, Glicoproteina Antimieline, Ac anti-gliadina,
transglutaminasi, anti-endomisio
- batteria per le epatiti, test HIV, virus erpetico e CMV
- HbA1c
- esame LQR
- vitamina E, vitamina B
- crioglobuline
Eseguiamo poi:
1. EMG*
2. biopsia cutanea
TERAPIA:
Nella maggior parte dei casi, la neuropatia periferica è una condizione dalla quale è
impossibile guarire.
Il solo rimedio terapeutico, previsto in questi frangenti, è provare ad alleviare i sintomi più
gravi, nella speranza di dare sollievo al paziente.
Tra i medicinali utilizzati per il dolore neuropatico, si ricordano:
- Antiepilettici, come il gabapentin e il pregabalin. Come effetti collaterali, presentano
sonnolenza e vertigini.
- Antidepressivi, come l'amitriptilina, la doxepina, la nortriptilina, la duloxetina (un
inibitore della ricaptazione della serotonina e noradrenalina) e la venlafaxina.
Alcuni effetti indesiderati di questi farmaci sono bocca secca, nausea, sonnolenza, vertigini,
costipazione e/o riduzione dell'appetito.
- Antidolorifici di tipo oppioide, come il tramadolo.
Tra gli effetti collaterali, si registrano: senso di malessere, vomito, vertigini e/o costipazione.
Capsaicina in crema.
- La capsaicina è un composto chimico presente nelle piante di peperoncino piccante,
che riesce in qualche modo a fermare il segnale doloroso inviato dai nervi al cervello.
Il preparato in crema va spalmato dalle 3 alle 4 volte al giorno sulla zona del corpo
sofferente.
Come effetti collaterali, presenta irritazione e/o bruciore a livello cutaneo.
Per la riabilitazione di una neuropatia periferica:
1. Mantenere il range articolare: in caso di immobilizzazione, anche se c’è un recupero
muscolare, l’anchilosi articolare non permette di ripristinare il movimento al 100%.
2. Mantenere il tono e il trofismo muscolare: se il nervo viene a mancare, il muscolo si
trasforma in tessuto fibroso, quindi anche se il nervo dovesse essere recuperato, il
muscolo potrebbe non essere più “disponibile”. Quindi bisogna mantenere il tessuto
muscolare vivo tramite sedute di elettrostimolazione in attesa della possibile
reinnervazione.
3. Mantenere la sensibilità: si usano gli esercizi conoscitivi facendo chiudere gli occhi al
paziente e toccare degli oggetti con l’intento di stimolare la sensibilità tattile.
4. Mantenere in posizione neutra le articolazioni: al fine di evitare una retrazione del
muscolo; non basta che il terapista faccia muovere l’articolazione per 30 minuti al
giorno, perché se il resto del giorno il paziente sta in una posizione viziata va
incontro a retrazione muscolare ed anchilosi articolare. A questo scopo si usano le
ortesi statiche (ad es. per gli arti inferiori si usano le ortesi AFO ankle-foot orthosis
per mantenere il piede a 90 gradi, altrimenti con la pressione delle lenzuola si
posizionerebbe in equino). Le ortesi dinamiche hanno delle molle che permettono un
movimento residuo del paziente.
NEUROPATIE FOCALI
Le neuropatie focali sono il risultato di lesioni del sistema nervoso periferico localizzate a
livello delle radici, dei plessi (plessopatie) o dei tronchi nervosi. Quando le neuropatie
interessano un solo nervo ma più rami di innervazione si chiamano neuropatie multifocali.
Le mononeuropatie focali più frequenti sono quelle da over-use e stress meccanico della
regione interessata:
NERVO ULNARE: la neuropatia focale si può instaurare al punto ascellare, nel tunnel
cubitale (vulnerabile perché la flesso-estensione del gomito comporta uno stress meccanico
al nervo), a livello dell’epitroclea, sul retinacolo dei flessori, nel canale di Guyon, a livello
dell’arcata palmare.
Nel nervo ulnare la componente motoria e sensitiva inizialmente viaggiano insieme, dopo si
sfioccano e innervano zone differenti: il ramo sensitivo innerva 4° e 5° dito della mano; il
ramo motorio si divide un due parti che vanno al 1° e al 5° interosseo dorsale.
- Se la neuropatia interessa il nervo prima della divisione ci sarà un quadro completo
di lesione con ipotrofia degli interossei e parestesia al 4° e 5° dito.
- Se invece la lesione interessa il nervo nella sua componente motoria ci sarà solo una
ipotrofia degli interossei senza deficit sensitivo;
- Se la sofferenza inizia dopo lo sfioccamento del ramo che va al 5° interosseo,
l’ipotrofia sarà solo al 1° interosseo.
- Se la neuropatia riguarda il ramo sensitivo ci sarà solo parestesia.
NERVO MEDIANO: la neuropatia focale si instaura a livello del tunnel carpale, o nel
territorio di innervazione del muscolo pronatore rotondo.
- La sindrome del tunnel carpale è data dall’intrappolamento del nervo mediano al
polso (mentre l’ulnare passa fuori) dovuta ad una ipertrofia dei muscoli flessori della
mano (questo nervo, al contrario del nervo ulnare passa al di sotto del retinacolo di
questi muscoli) o un continuo traumatismo porta ad una latenza maggiore nella
conduzione del nervo mediano al carpo rispetto alla popolazione normale.
- La sindrome del muscolo pronatore rotondo, si ha nel passaggio del nervo sotto il
muscolo pronatore che può comprimerlo compressione del nervo (es. culturisti).
Ci sono due pronatori (rotondo e quadrato); il p. rotondo va dalla parte mediale del
braccio a quella laterale, dalla superficie alla profondità, e gira attorno a sé stesso
(infatti alla sua contrazione corrisponde la pronazione).
NERVO INTEROSSEO ANTERIORE: un ramo del nervo mediano che innerva i flessori
profondi dell’indice e del pollice. Le falangi distali di ogni dito sono flesse dai muscoli flessori
profondi, mentre le falangi intermedie sono flesse dai muscoli superficiali. Se un paziente ha
una lesione del nervo interosseo anteriore non può flettere le falangi distali di pollice e indice
(non può fare “il cerchio”).
NERVO SOPRASCAPOLARE: ha due rami, uno va al muscolo sovraspinoso, l’altro
all’infraspinato.
Il nervo soprascapolare può essere compresso all’interno del legamento spinoglenoideo,
questa neuropatia focale è tipica dei pallavolisti, tennis, sollevamento pesi e nuoto (o altri
sport di lancio).
La compressione o il colpo diretto al nervo soprascapolare possono provocare paralisi
parziale o completa dei muscoli infraspinato e/o sopraspinato.
La compressione del nervo soprascapolare è comunemente associata a cinghie di zaini o ad
altre cinghie o dispositivi di protezione che fanno pressione sul nervo mentre esce sopra la
scapola attraverso l'incisura soprascapolare. La compressione del nervo può anche derivare
da un ganglio o da una cisti, causa atrofia e debolezza muscolare dei muscoli infraspinato e
sopraspinato e l'insorgenza di dolore a volte bruciore, limitata gamma di movimento e
disfunzione complessiva della spalla.
NERVO TORACICO LUNGO: la compressione o la lesione diretta del nervo toracico lungo
può provocare una paralisi del muscolo dentato anteriore. In molti sport, tra cui basket,
bowling, calcio, ginnastica, hockey, tennis, sollevamento pesi e wrestling sono state
segnalate lesioni del nervo toracico lungo.
Il paziente può presentarsi con una diminuzione dell'elevazione della spalla, dolore
posteriore alla spalla e nel trapezio, con scapola alata o alata quando si invita il paziente ad
eseguire esercizi di spinta a muro o simili. C'è anche spesso lo spasmo del trapezio e dolore
nel trigger point sulla scapola supero-posteriormente, legato all'uso eccessivo del muscolo
trapezio nel tentativo di stabilizzare la scapola ed elevare la spalla.
NERVO FEMORALE: è interessato nei danzatori …
NERVO FEMORO CUTANEO (Morbo di Ruth): la neuropatia del nervo femoro cutaneo
della coscia è una patologia piuttosto rara, ed è dovuta alla sofferenza di questo nervo
esclusivamente sensitivo, ad origine radicolare L2/L3, le cui svariate cause sono tuttavia
riassumibili in patologie dismetaboliche come il diabete , traumatiche (ferite dirette) ,
compressive, da intrappolamento come per briglie cicatriziali post chirurgiche.
Cinture strette in vita, o abiti stretti possono esacerbare il dolore acuto.
NERVO TIBIALE: è spesso coinvolto nelle distorsioni di caviglia o nella Sindrome del
Tunnel tarsale (dolore, formicolio alle dita del piede e al dorso del piede soprattutto nei
movimenti di flesso estensione).
POLINEUROPATIE
SINDROME DI GUILLAIN BARRE’
E’ la forma più frequente di neuropatia infiammatoria acquisita su base autoimmune che si
manifesta da 5 giorni a 3 settimane dopo una banale infezione, un intervento chirurgico o
una vaccinazione. L'infezione è il fattore scatenante in > 50% dei pazienti;
Inizia con una debolezza flaccida (ROT aboliti), ascendente e simmetrica associata a
parestesie alle gambe, progredendo poi alle braccia (occasionalmente può esordire alle
braccia o alla testa o manifestarsi con atassia, ptosi palpebrale e diplopia - Sindrome di
Miller Fisher), mentre gli sfinteri non sono colpiti.
La maggior parte dei pazienti migliora considerevolmente in alcuni mesi ma circa il 30% dei
soggetti adulti e bambini permane un certo grado di debolezza residua dopo 3 anni.
La terapia in acuto si serve di:
- terapia di supporto intensiva
- infusione di immunoglobuline EV (IgEV) o plasmaferesi
I pazienti con deficit residui possono richiedere rieducazione, applicazione di apparecchi
ortopedici o chirurgia correttiva.
CIDP
La Polineuropatia Demielinizzante Infiammatoria Cronica ha sintomi comparabili a quelli
della Guillain Barré (si sviluppa nel 2-5% dei pazienti inizialmente diagnosticati con la
sindrome di Guillain Barré). Tuttavia, una progressione della malattia per > 2 mesi
differenzia la polineuropatia infiammatoria demielinizzante cronica dalla sindrome di
Guillain-Barré, che è monofasica e autolimitante.
HNPP
La neuropatia ereditaria con suscettibilità alle paralisi da pressione (HNPP) è una malattia
ereditaria dei nervi periferici con mononeuropatia ricorrente, di solito scatenata da blande
attività fisiche. È dovuta a una mutazione del gene PMP22 (17p12), che codifica per la
proteina della mielina periferica 22 (PMP22).
Esordisce di solito tra la II e III decade di vita e sintomi di esordio più comuni sono:
- la perdita sensoriale focale dolorosa improvvisa
- la debolezza muscolare localizzata alla regione di innervazione di un singolo nervo
Questi sintomi focali acuti sono scatenati per lo più da stress meccanici sul nervo
(compressione, movimento ripetuto o allungamento degli arti interessati).
Affetti più di frequente sono i nervi peroneo (testa del perone), cubitale (gomito), mediano
(polso) e radiale. In rari casi, la HNPP colpisce i nervi cranici o il plesso brachiale (con
paralisi e perdita sensoriale dolorosa monolaterale di un braccio).
Segni clinici dovuti alle mononeuropatie sono:
- il piede cadente,
- l'intorpidimento,
- la debolezza di mani e braccia,
- la perdita sensoriale dell'indice o del pollice o della porzione laterale della mano.
Nel 50% dei casi, la remissione avviene dopo pochi giorni-mesi mentre, negli altri casi
permangono deficit motori e sensoriali focali ricorrenti. Negli anziani può evolvere in una
polineuropatia simmetrica sensitiva.

*ELETTROMIOGRAFIA
L’attività elettrica di un muscolo può essere registrata con elettrodi di superficie che rilevano
l’attività di molte unità motorie (nell'elettromiografia globale) o con elettrodi ad ago inseriti
direttamente nel muscolo che registrano l’attività di pochissime o singole unità motorie
(nell'elettromiografia elementare).
Quest’ultima tecnica, è quella utilizzata abitualmente con finalità diagnostiche nello studio
delle malattie muscolari per stabilire l’eziopatogenesi (muscolare o secondaria a
denervazione) di un deficit di forza e trofismo muscolare.
Vengono usati elettrodi ad ago concentrici e i potenziali da essi registrati sono riportati in un
grafico amplificato sullo schermo di un oscilloscopio a cui può essere connesso un
altoparlante per la riproduzione audio dei potenziali d’azione.
L’EMG studia tutto il secondo motoneurone dalle corna anteriori al muscolo e si divide in due
momenti:
- Elettromiografia ad ago: se mettiamo un ago in un muscolo sano, non contratto,
troviamo un grafico piatto (silenzio elettrico) perché il muscolo normo-innervato non
dà nessun segnale. Se dovessimo trovare un’attività elettrica spontanea
(fascicolazioni o fibrillazioni), vuol dire che il nervo è danneggiato e non riesce ad
inibire il muscolo in condizioni di riposo. Inoltre, il nervo mantiene il muscolo trofico,
per cui se viene danneggiato si ha ipotrofia muscolare.
Se chiediamo al paziente di muoversi saranno evidenziati dei potenziali. Se
diventano polifasici o più grossi del normale, ci suggeriscono che ci sia stato un
meccanismo di reinnervazione (sprouting assonale).
- Elettroneurografia: si usa un elettrostimolatore e si studia la velocità di conduzione e
l’ampiezza di risposta. La velocità di conduzione ci da un’idea della guaina mielinica,
mentre l’ampiezza di risposta misura il numero di assoni ancora sani. Si dà lo stimolo
nella parte prossimale e si misura la risposta distalmente in un punto in cui il nervo è
più superficiale: si misura la distanza tra i due punti e si calcola la velocità di
conduzione. Normalmente la velocità di conduzione è > 45 m/s. Se la velocità è
ridotta pensiamo ad un danno mielinico, se invece è ridotta l’ampiezza di risposta
(v.n. 4-5 mA) c’è una riduzione del numero di assoni.

LOMBALGIA, LOMBOSCIATALGIA E LOMBOCRURALGIA


La regione lombare è costituita da cinque vertebre (L1-L5), tra cui si trovano frapposti dischi
fibrocartilaginei, i dischi intervertebrali, che agiscono come cuscinetti impedendo lo
sfregamento e fornendo protezione al midollo spinale.
Un disco intervertebrale possiede un nucleo gelatinoso circondato da un anello fibroso. Nel
suo normale stato indenne, la maggior parte del disco non è raggiunto né dal sistema
circolatorio né dal sistema nervoso; vasi sanguigni e nervi, infatti, passano solo verso
l'esterno del disco. Nella sua parte interna vi sono cellule specializzate che possono
sopravvivere senza ricevere una fornitura diretta di sangue.
I nervi entrano ed escono dal midollo spinale attraverso specifiche aperture tra le vertebre: i
fori intervertebrali.
- Nel corso del tempo, i dischi perdono sia flessibilità e sia capacità di assorbire le
forze fisiche. Ciò comporta l'aumento di sollecitazioni sulle altre parti della colonna
vertebrale, causandone un irrigidimento. Come risultato, vi è meno spazio attraverso
il quale il midollo spinale e le radici nervose possono decorrere.
Quando un disco degenera a seguito di infortunio o di una malattia, la sua
composizione cambia: vasi sanguigni e nervi possono crescere al suo interno e/o
una parte di esso può erniare, andando a comprimere direttamente la radice del
nervo.
La stabilità della colonna è garantita inoltre dai legamenti e dai muscoli di schiena e
addome. Piccole articolazioni, chiamate faccette articolari, limitano e dirigono il movimento
della colonna vertebrale.
I legamenti del rachide dorsale sono i seguenti:
- legamento longitudinale anteriore e posteriore
- legamento sovraspinoso e interspinoso
- legamento giallo
- legamento intertrasversario
I muscoli multifidi decorrono dall'alto verso il basso lungo la parte posteriore della colonna
vertebrale, sono importanti per mantenere la stazione eretta e permettere al contempo i
movimenti più comuni come sedersi, camminare e sollevare pesi.
- Patologie a carico di essi sono spesso riscontrate negli individui che accusano una
lombalgia cronica, poiché questi muscoli vengono utilizzati impropriamente per
assumere posture che alleviano il dolore alla schiena. I problemi ai muscoli multifidi
continuano anche dopo che è passato il dolore e possono essere una causa
determinante di nuove recidive.
La LOMBALGIA (cioè il dolore alla colonna vertebrale, il complesso funzionale che fa da
pilastro all’organismo intero) non è una MALATTIA ma un SINTOMO di diverse patologie,
aventi in comune la diffusione del dolore in regione lombare.
È un disturbo estremamente frequente in età adulta, con massima incidenza in soggetti di
40-50 anni di entrambi i sessi.
Circa l'80% della popolazione ne è colpito almeno una volta nella vita.
CLINICA:
Può presentarsi in forma:
- Acuta (dolore di durata inferiore alle 6 settimane), nota popolarmente come “colpo
della strega”
- Subcronica (da 6 a 12 settimane)
- Cronica (più di 12 settimane)
È tra le più frequenti cause di assenza dal lavoro, avendo quindi un'elevata importanza
socio-economica.
La lombalgia è distinta in 2 grandi gruppi:
1. di origine vertebrale (vertebre, dischi intervertebrali, legamenti interspinosi, faccette
articolari, muscoli paravertebrali)
2. di origine extravertebrale
Appartengono al primo gruppo le forme da patologie congenite, tra cui:
- sacralizzazione dell’ultima vertebra lombare, la quinta, che in questo caso risulta fusa
con la prima vertebra sacrale;
- spondilolisi, ovvero la mancata fusione di parte dell’arco posteriore di una vertebra;
- spondilolistesi, quando avviene lo scivolamento in avanti di un corpo vertebrale;
- sinostosi, deformità congenita dovuta alla fusione di due o più vertebre;
e alcune forme, molto più frequenti, di patologie acquisite:
- processi degenerativi, tra cui discopatie, stenosi del canale vertebrale, in particolare
ricordiamo:
- spondiloartrosi con osteofiti, ponti che uniscono le vertebre tra loro;
- ipertrofia delle faccette articolari delle articolazioni intervertebrali, dove sono
presenti recettori nocicettivi;
- scoliosi;
- ernia del disco, ovvero l’espulsione del nucleo polposo dal disco
intervertebrale che rompe l’anello fibroso e protrude nel canale spinale, dove
trova:
1. il midollo se si trova più in alto di L2
2. la cauda equina se emerge più in basso del corpo vertebrale di L2
3. i nervi spinali
le ernie non sono tutte uguale tra di loro, infatti ad es:
- una piccola centrale (mediana) può essere asintomatica;
- una paramediana (quindi lateralizzata) può toccare la radice nervosa
ed essere sintomatica;
- una intraforaminale sarà sicuramente sintomatica;
- una extraforaminale ha una clinica più complessa;
- malattie reumatiche: artrosi lombare;
- infezioni: radicoliti post virali, spondilodisciti;
- neoplasie (tumore vertebrale, mieloma multiplo, metastasi vertebrali che causano
osteolisi della vertebra);
- traumi: fratture vertebrali;
- turbe metaboliche e del turnover osseo: osteoporosi;
Nel secondo gruppo figurano quelle:
- da cause neuromeningee, viscerali (gastrointestinali, urologiche e ginecologiche) e
vascolari (aneurisma dell'aorta addominale);
- da cause generali, quali stati febbrili, influenza, raffreddamento (lombalgia "a
frigore");
DIAGNOSI:
La prima cosa da fare in una LOMBALGIA è capire se si ha un interessamento del SNP: se
si ha irradiazione agli arti inferiori (quindi coinvolgimento del SNP).
Quando il pz ha un dolore che scende posteriormente lungo la coscia e la gamba fino al
piede (radici L5-S1: le due radici si uniscono a formare il nervo sciatico e hanno come
dermatomero la coscia e gamba posteriormente fino al piede) si parla di
LOMBOSCIATALGIA.
Quando il dolore è anteriore (radice L4 che ha un miotomo e dermatomero alto: il
quadricipite), si parla di LOMBOCRURALGIA.
1. ANAMNESI
Chiedere al pz se ha patologie oncologiche, gastrointestinali, osteoporosi, se è
dimagrito, se ha avuto traumi ecc. per conoscere le condizioni generali del pz e
orientarci nella diagnosi.
Le domande classiche sono: “Lei soffre di qualcosa?”, “Che farmaci prende?”, ecc.
2. ESAME OBIETTIVO
La prima cosa è osservare il pz per vedere la sua “postura”:
- Se si osserva una “postura antalgica”, ovvero una posizione assunta per
ridurre la sintomatologia dolorosa.
Successivamente bisogna eseguire alcune manovre:
- LASEGUE: facciamo stendere il pz sul lettino e solleviamo la gamba per
stirare lo sciatico (ricordiamo che lo sciatico è “elettrico”): se è coinvolto, la
manovra diventa dolorosa (già a 30°). Lo Pseudo Lasegue è un Lasegue
positivo a 90° causato da retrazioni ischiocrurali che si verificano in pz con
poca elasticità muscolare (sedentarie).
- WASSERMAN o di Lasegue Inverso: la stessa manovra viene fatta al
contrario, serve a studiare le radici di L3 e L4.
Dopo di che dobbiamo vedere la “forza muscolare” dell’estensore del piede e
dell’estensore delle dita:
- Quando c’è una compressione radicolare può esserci dolore neuropatico
seguito da paralisi che può essere subclinica: valutiamo se nel sollevare il
piede (o l’alluce) facendo un po’ di resistenza, la forza è analoga in entrambi i
lati (una differenza indica come la lesione lombare stia coinvolgendo le fibre
motorie di un nervo periferico).
Dopo di che valuto i “riflessi”:
- Eseguo il “riflesso rotuleo” per valutare la radice di L4: se c’è una lesione da
secondo motoneurone il riflesso sarà IPOVALIDO/IPOEVOCABILE O
ASSENTE (lesione periferica). Se invece il riflesso è IPERECCITABILE
significa che c’è stata una lesione del primo motoneurone (lesione centrale).
- Eseguo il “riflesso achilleo e medio plantare” per valutare le radici L5 e
soprattutto S1.
Poi valutiamo l’“articolarità”:
- quanto il pz riesce a piegare la colonna in flesso estensione ed in
latero-laterale (questo è uno dei criteri insieme al dolore per capire se
bisogna operare o fare un trattamento di riabilitazione)
3. ESAMI STRUMENTALI
- RX Standard o Dinamica: utile perché vediamo le spondilolistesi (si riconosce
in proiezione obliqua si la “testa mozzata del cagnolino”), le scoliosi, le
fratture vertebrali, gli emispondili congeniti;
- TC (o TC 3D): fa vedere ernie e cisti sinoviali.
- RM ad alto campo: ci fa vedere, oltre alle ernie, soprattutto i tessuti molli
come il midollo e l’encefalo.
- Trattografia: per studiare i nervi, è utile ad esempio in caso di incidenti stradali
o traumi in cui non si capisce se vi è paresi per una lesione plessuale o una
lesione radicolare.
- “Elettromiografia”: per lo studio del secondo motoneurone.
4. ESAMI EMATOCHIMICI (autoanticorpi, markers tumorali, markers di infezione in
atto, ecc.)
TRATTAMENTO:
Il trattamento dipende dalla causa.
È essenzialmente di 2 tipi:
1. TRATTAMENTO CONSERVATIVO:
- FARMACI: se il dolore è nocicettivo bisogna utilizzare FANS o nuovi
FARMACI BIOLOGICI (Etoricoxib), se il dolore è neuropatico si usano
MIORILASSANTI CENTRALI E PERIFERICI o ANTIDEPRESSIVI
(Gabapentin).
- FISIOTERAPIA FUNZIONALE: si usano CORRENTI TENS (aumentano
transitoriamente il “gate control” del dolore).
- SUPPORTO LOMBARE: si usano per brevi periodi, in acuto o ad es. in
situazioni prolungate di ortostatismo o in caso di lunghi viaggi in auto. Sono
infatti “un’arma a doppio taglio” perché rendono ipotonici i muscoli
paravertebrali e addominali, peggiorando la condizione.
2. TRATTAMENTO CHIRURGICO:
- in pz con spondilolistesi si scegli un intervento chirurgico di artrodesi
vertebrale per bloccare le strutture, l'intervento è deciso sulla base della
sintomatologia dolorosa (DOLORE MISTO), che è causata principalmente
dall’instabilità vertebrale (in rari casi, la vertebra che scivola si fonde con
quella sottostante: è un evento raro e fortunato in cui il pz non si deve
operare, come in una artrodesi “fisiologica”);

LESIONI NERVOSE CENTRALI


ICTUS
L’ICTUS cerebrale comprende l’infarto cerebrale (ICTUS ISCHEMICO), l’emorragia
cerebrale intraparenchimale e l’emorragia subaracnoidea (ICTUS EMORRAGICO).
Gli ICTUS ischemici costituiscono circa il 75-80% di tutti gli ICTUS e sono
fisiopatologicamente eterogenei, per cui da un punto di vista classificativo vengono distinti,
inquadrati, in base al meccanismo patogenetico causale in ICTUS ischemici da:
- aterosclerosi dei grossi vasi (infarto aterotrombotico), 25%
- occlusione dei piccoli vasi (infarto lacunare), 25%
- embolia cardiaca (FA, IMA, malattie valvolari, scompenso cardiaco, cardiomiopatia
dilatativa, embolia paradossa e anomalie del setto interatriale: POF), 25%
- embolia di ignota origine
- altre cause rare
Gli infarti aterotrombotici distinguiamo poi:
- infarti embolici, che si manifestano a causa di un'embolia artero-arteriosa, in cui le
lesioni hanno una localizzazione territoriale corticale ben definita (infarto territoriale);
- infarti emodinamici, che si manifestano a causa di occlusioni o stenosi preocclusiva o
grave ipotensione sistemica di vasi cerebrali, in cui le lesioni si dispongono “a
cavallo” tra due territori vascolari adiacenti (infarto giunzionale);
Diverse classificazioni sono state formulate in base alla sintomatologia neurologica o al
distretto cerebrovascolare coinvolto nell’evento ischemico.
L’Oxfordshire Community Stroke Project (OCSP) ha proposto la seguente classificazione
basata sulla sede dell’ICTUS ischemico:
- TACS (Total Anterior Circulation Infarction) o sindrome completa del circolo anteriore
per occlusione dell’arteria carotide interna o dei suoi grossi rami: ACM ed ACA.
- PACS (Partial Anterior Circulation Infarction) o sindrome parziale del circolo
anteriore: occlusione dei rami terminali dell’ACM.
- LACS (LACunar Infarction) - sindromi lacunari: l’infarto, che avviene a livello delle
piccole arterie perforanti (che si staccano a pettine dalle grandi arterie del circolo di
Willis), causa piccole lacune bilaterali nella sostanza bianca di cellule morte. E’
correlato a IA e diabete, che causano fibroialinosi del vaso con proliferazione intimale
(LACI) o rottura spontanea (LACH). Un infarto lacunare può manifestarsi nei seguenti
modi alternativi fra loro: Ictus motorio puro, Ictus sensitivo puro, Ictus
sensitivo-motorio, Emiparesi atassica.
- POCS (POsterior Circulation Infarction) o sindrome del circolo posteriore o vertebro
basilare: Si fa diagnosi di POCS se compare una delle seguenti manifestazioni:
- Paralisi di almeno un nervo cranico omolaterale con deficit motorio e/o
sensitivo controlaterale
- Deficit motorio e/o sensitivo bilaterale
- Disturbo coniugato di sguardo (orizzontale o verticale)
- Disfunzione cerebellare senza deficit di vie lunghe omolaterale (come nella
emiparesi atassica)
- Emianopsia isolata o cecità corticale
Gli americani usano l’acronimo FAST (Stroke Association, 2018) per riconoscere i segni
dell’ictus in modo rapido:
- F (Face, faccia), paresi facciale: se la bocca appare distorta, gli angoli “cadono”
verso il basso o un lato non si muove come l’altro.
- A (Arms, braccia), deficit motorio degli arti superiori: le braccia appaiono deboli e il
soggetto non riesce a tenerle entrambe tese in avanti orizzontalmente.
- S (Speech, linguaggio), difficoltà nel linguaggio: il soggetto non riesce a pronunciare
frasi semplici e parla farfugliando.
- T (Time, tempo): se è presente anche solo uno di questi segni chiamare
immediatamente i soccorsi.
ARTERIA CEREBRALE MEDIA:
- INFARTO COMPLETO:
SINTOMI:
- classica EMIPARESI (emisindrome prevalentemente facio-brachio-crurale
sensitivo-motoria),
- emianopsia controlaterale omonima,
- deviazione forzata di sguardo e capo verso la lesione
SX: afasia completa o di Broca
DX: stato confusionale, neglect visuospaziale, anosognosia.
- RAMO ANTERIORE O SUPERIORE: danno dell’area cortico-sottocorticale del lobo
temporale e convessità del lobo frontale
SINTOMI: EMISINDROME facio-brachiale sensitivo-motoria.
SX: anomia iniziale sino ad afasia
DX: vari gradi di emidisattenzione o neglect, quadri confusionali acuti.
- RAMI INFERIORE O POSTERIORE: danno dell’area cortico-sottocorticale dei giri
superiore ed inferiore del lobo temporale e del lobo parietale
SINTOMI:
- EMISINDROME facio-brachiale sensitivo-motoria
- Emianopsia controlaterale omonima o Quadrantopsia superiore
SX: afasia fluente di Wernicke o di conduzione globale
DX: emidisattenzione, aprassia costruttiva, stato confusionale , agitazione, delirio.
- ARTERIA PREFRONTALE: danno all’area cortico-sottocorticale del giro frontale
medio, porzione opercolare anteriore, triangolare superiore orbitale.
SINTOMI: “SINDROME PREFRONTALE”
- deficit cognitivi e comportamentali
- perdita di programmazione motoria (aprassia)
- apatia
- abulia
- ARTERIA PRECENTRALE: danno all’area cortico-sottocorticale del giro precentrale
medio, porzione posteriore del giro frontale, triangolare superiore orbitale.
SINTOMI: "SINDROME PREMOTORIA”
- EMISINDROME facio-brachiale sensitivo-motoria
- difficoltà nel passare da un atto motorio al successivo - planning motorio
ridotto
SX: afasia motoria transcorticale, agrafia, acalculia, alessia
DX: neglect motorio (perdita del senso di posizione degli arti nello spazio)
- SOLCO CENTRALE: danno all’area cortico-sottocorticale del giro precentrale
posteriore e del del giro postcentrale anteriore
SINTOMI:
Occlusioni prossimali:
- deficit motorio e sensitivo facio-brachiale
Occlusioni distali:
- Plegia e deficit sensitivo arto superiore
- Perdita della sensibilità cheiro-orale.
- ARTERIA PARIETALE ANTERIORE: danno dell’area cortico-sottocorticale del giro
postcentrale posteriore e porzione anteriore del giro parietale inferiore, del giro
sopramarginale e del giro temporale superiore e medio
SINTOMI:
- deficit sensitivo facio-brachiale
- sindrome cheiro-orale (anestesia della metà del bordo periorale e del margine
radiale della mano dello stesso lato)
- sindrome pseudo talamica
SX: afasia di conduzione, aprassia, agrafia e acalculia
DX: emineglect motorio.
- ARTERIA PARIETALE POSTERO SUPERIORE O ANGOLARE: danno dell’area
cortico-sottocorticale del giro postcentrale posteriore e porzione anteriore del giro
parietale temporale superiore e medio, giro parietale inferiore, giro sopramarginale,
giro temporale superiore e medio, parte post dei lobuli parietale inf e sup, giro
occipitale.
SINTOMI:
- deficit sensitivo in uno o 2 segmenti facio-brachio-crurale
- perdita del senso di posizione degli arti
- perdità di sensibilità sotto i piedi.
Questi pz se chiudono gli occhi si bloccano, barcollano, camminano aumentando lo
spazio fra le gambe.
SX: afasia di Wernicke, SINDROME DI GERSTMANN (agnosia digitale, agrafia,
acalculia e disorientamento destra/sinistra).
DX: emineglect, disfunzioni visuospaziali (emianopsia laterale, quadrantopsia
inferiore)
- ARTERIA PARIETALE POSTERO INFERIORE O TEMPORALE: danno dell’area
cortico-sottocorticale, dei lobi parietali postero/inferiori, del giro temporale posteriore,
medio e anteriore
SINTOMI:
- deficit sensitivo in uno o due segmenti facio-brachio-crurale
- perdita del senso di posizione degli arti
- sordità pura
- emianopsia laterale
- quadrantopsia
SX: afasia di Wernicke
DX: emineglect, stato confusionale, delirio
TERRITORIO PROFONDO:
OCCLUSIONE DELL’ACM: prima dell’origine delle arterie lenticolo striate: l’estensione
dipende dai circoli collaterali
INFARTI LACUNARI: occlusione di una sola arteria perforante: estensione < 15 mm
INFARTO STRIATO CAPSULARI: occlusione di più arterie: estensione > 20 mm
Correlazione anatomo cliniche:
- CAPSULA INTERNA, braccio anteriore:
- emiparesi motorie pure (SINDROME
CORTICO-RETICOLO-PONTINO-SPINALE)
- segni frontali, neglect motorio (peduncolo talamico anteriore)
- CORONA RADIATA PARAVENTRICOLARE:
- Emiparesi motoria pura, sensitivo-motorio anche brachio-facciale,
- DISARTRIA: “mano goffa”
- AFASIA,
- APRASSIA,
- EMINEGLECT
- CAPSULA ESTERNA ed INSULA:
- paralisi bilaterale muscoli facciali, masticatori e linguali
- deficit emozionali
- NUCLEO LENTICOLARE:
- Micrografia ( putamen),
- deficit espressione linguistica e memoria verbale (interruzione del circuito
striato, pallido, talamo, corticale)
Se il danno è bilaterale: parkinsonismo (vascolare)
- TESTA DEL NUCLEO CAUDATO:
- disturbi del comportamento: agitazione, abulia, acinesia psichica,
- deficit frontale,
- manifestazioni coreiche,
- afasia (SX),
- neglect (DX).
- INFARTI STRIATO CAPSULARI (A VIRGOLA):
- deficit motorio prevalente rispetto a quello sensitivo,
- afasia (SX),
- neglect (DX).
ARTERIA CEREBRALE ANTERIORE:
Due caratteristiche la differenziano dagli infarti della cerebrale media:
1. spesso qui l’arto superiore viene risparmiato
2. il pz spesso è predisposto a disturbi sfinterici
L’ischemia dell’ACA determina:
- Deficit motori: emiparesi con predominanza crurale (lesione della porzione più alta
della corteccia motoria) o brachio-facciale (estensione profonda);
- Deficit sensitivi
- Incontinenza urinaria o fecale (lobulo paracentrale)
- Riflesso di afferramento controlaterale (lobo frontale mediale )
SX:
- aprassia monolaterale sx,
- agrafia,
- anomia tattile (lesione corpo calloso)
- abulia (riduzione dell’attività spontanea e del linguaggio, aumentata latenza delle
risposte, ridotta capacità concentrazione, euforia, agitazione, iperattività),
- apatia.
DX:
- mutismo iniziale,
- neglect motorio spaziale sinistro,
- abulia,
- apatia,
- stato confusionale acuto.
Infarto Bilaterale:
- emiparesi bilaterale,
- mutismo acinetico,
- gravi disturbi dell’umore.
CIRCOLO POSTERIORE (arterie vertebrali e arteria basilare):
L’infarto di queste arterie che genera una lesione unilaterale del tronco dell’encefalo
(mesencefalo, ponte, bulbo), per la particolare disposizione dei centri e delle vie comprese in
questo tratto del nevrasse, si manifesta con sintomi a carico di uno o più nervi cranici
omolaterali e con segni di deficit delle vie di moto e della sensibilità nel lato opposto alla
lesione causando le cosiddette SINDROMI ALTERNE.
- SINDROME BULBARE MEDIALE (DI WALLEMBERG):
- paralisi omolaterale del XII nervo,
- emiparesi brachio-crurale controlaterale
- SINDROME BULBARE LATERALE:
- vertigini,
- emiatassia omolaterale,
- lateropulsione assiale,
- paralisi faringo-laringea (disfonia, disfagia, disartria),
- SINDROME DI HORNER (miosi, enoftalmo, anidrosi)
- emianestesia del volto omolaterale,
- emianestesia termo-dolorifica controlaterale
- SINDROME PONTINA MEDIALE:
- emiparesi brchio-crurale controlaterale,
- paralisi abduzione occhio omolaterale (VI) nelle lesioni inferiori,
- paralisi di sguardo coniugato lato lesione nelle lesioni medie,
- oftalmoplegia internucleare nelle lesioni del FLM (fascicolo longitudinale
mediale)
- SINDROME PONTINA TEGMENTALE (DI FOVILLE):
- omolateralmente alla lesione:
- paralisi del VI e VII nervo cranico
- deficit sensibilità termodolorifica facciale per interessamento del V
nervo cranico
- atassia, per coinvolgimento del peduncolo cerebellare
- controlateralmente alla lesione:
- paralisi dei movimenti coniugati dello sguardo laterale, per
coinvolgimento del fascicolo longitudinale mediale
- deficit sensibilità termodolorifica agli arti, per interessamento del
fascio spinotalamico
- SINDROME MESENCEFALICA (DI WEBER):
- emiplegia alternata superiore (lesioni delle fibre corticospinali)
- parkinsonismo (lesioni della SN)
- paralisi omolaterale del VI (nervo oculomotore) con ptosi palpebrale, midriasi
fissa e pupilla rivolta verso il basso e diplopia
- disfunzioni dei muscoli facciali e della deglutizione (danno del nervo
ipoglosso)
INFARTI CEREBELLARI:
- RAMO MEDIALE ARTERIA CEREBELLARE POSTERO INFERIORE:
- SINDROME PSEUDO VESTIBOLARE: vertigine rotatoria, atassia del tronco,
nistagmo, dismetria.
- RAMO LATERALE ARTERIA CEREBELLARE POSTERO INFERIORE:
- instabilità, atassia degli arti, lateropulsione assiale ipsilaterale
- ARTERIA CEREBELLARE ANTERO INFERIORE:
- disfunzione cerebellare e segni pontini laterali quali riduzione sensibilità al
volto (V) o paralisi faciale (VII), deficit sensibilità termo dolorifica
controlaterale
- ARTERIA CEREBELLARE SUPERIORE:
- disartria associata a vertigini, instabilità, atassia di tronco e arti,
- nistagmo
DISTURBI NEUROCOGNITIVI CAUSATI DA ICTUS
APATIA: significa letteralmente “senza emozioni” e rappresenta un sintomo di alcune
malattie psichiatriche, diverse malattie neurologiche e dell’abuso di svariate sostanze
psicoattive. È uno stato psicologico contraddistinto da un calo o assenza di motivazione,
disinteresse verso la vita e indifferenza generalizzata nei confronti del mondo circostante.
ACINESIA: consiste nella perdita o nella riduzione della capacità di eseguire alcuni
movimenti automatici, spontanei, che ricorrono nella vita di tutti i giorni. Questa perdita di
funzioni può riguardare il linguaggio, l’espressione del volto, i movimenti oscillatori della
braccia durante la deambulazione, ecc. L’acinesia è spesso associata a diverse patologie,
tra cui Parkinson e schizofrenia catatonica.
APRASSIA: è un disturbo neuropsicologico della programmazione del movimento
volontario. Viene definita come l’incapacità del soggetto di compiere movimenti coordinati e
diretti ad uno scopo, nonostante la volontà e la capacità mototoria siano conservate (ad es
non riuscire ad allacciare le scarpe, fare il nodo alla cravatta, ecc.).
Il pz è spesso inconsapevole di questi deficit, dunque faremo diagnosi eseguendo un ottimo
esame obiettivo.
ANOSOGNOSIA: è un disturbo neuropsicologico che consiste nell’incapacità del pz di
riconoscere, avere consapevolezza, del deficit neurologico: il pz non è in grado di
riconoscere il suo stato di malattia.
NEGLECT: è un disturbo della cognizione spaziale nel quale il paziente ha difficoltà ad
esplorare lo spazio controlaterale alla lesione. Noto anche come eminegligenza o
eminattenzione spaziale unilaterale, viene spesso osservata in pazienti con lesioni
ischemiche cerebrali: solitamente la lesione è localizzata nell’emisfero dx ed il deficit si
manifesta nell’incapacità del pz di orientare l’attenzione in a sx.
EMIANOPSIA OMONIMA: è un termine che indica la perdita del campo visivo nelle due
metà, destra o sinistra, di entrambi gli occhi. È il risultato di una lesione che riguarda una
parte del cervello dove i segnali visivi arrivano da una metà del campo visivo da ciascuno
dei due occhi.
QUADRANTOPSIA: è una forma di emianopsia a quadrante, nella quale si verifica la perdita
di un solo quadrante del campo visivo. Sono causate da lesioni (ad es. tumori) del tratto
ottico, cioè delle branche nervose che rappresentano la prosecuzione del nervo ottico oltre il
chiasma, generalmente in prossimità della loro proiezione sulla corteccia cerebrale
occipitale.
DISARTRIA:è un disturbo motorio del linguaggio che deriva da una lesione neurologica
coinvolgente la componente motoria. Non è dunque collegato alla comprensione del
linguaggio, bensì è dovuto ad un problema muscolo-scheletrico che riguarda i muscoli
fonatori.
AFASIA: è la perdita della capacità di comporre o comprendere il linguaggio. Non rientrano
infatti in questa definizione i disturbi del linguaggio causati da deficit sensoriali primari, deficit
intellettivi, turbe psichiche e disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico deputato alla
fonazione.
ANOMIA: tipo di afasia per cui il paziente riconosce gli oggetti ma non sa definirli o
chiamarli con il loro nome.
RIABILITAZIONE DEL PZ CON ICTUS
Quando noi eseguiamo un gesto, qualunque esso sia, abbiamo bisogno per la sua fluidità
che quando si contraggono i muscoli agonisti (es. bicipite), i muscoli antagonisti devono
essere rilassati (es. tricipite, anconeo). Non si può fare un movimento se l'antagonista è
contratto. La SPASTICITA’ che si viene ad avere a seguito di un accidente ischemico
cerebrale è un tentativo di recupero della lesione avvenuta, che si manifesta con una
iperattività dei muscoli antagonisti in risposta allo stiramento (il “secondo danno”) e
dall’accentuazione dei riflessi osteotendinei.
Il pz contraendo contemporaneamente mm agonisti e antagonisti si trova a fare un “braccio
di ferro” contro sé stesso.
Nella riabilitazione si deve agire stimolando la forza degli agonisti deboli e paretici, inibendo
l'ipercontrazione degli antagonisti: questo è il principio basilare.
Si inizia la riabilitazione studiando il soggetto, segmento per segmento (es spalla, gomito,
ginocchio, ecc) ed eseguendo:
1. la prima manovra da fare valuta l'estensione passiva: si vede se l'articolazione in
esame ha tutta l'estensione passiva, che un pz potrebbe perdere a seguito della
retrazione muscolare (“contracture”).
2. la seconda manovra da fare valuta la spasticità: si esegue la stessa manovra, ma
molto velocemente perché la spasticità viene evocata solamente quando l'atto
passivo è veloce.
3. la terza manovra da fare è chiedere al pz di fare un movimento attivo per valutare la
paresi.
I gradi di spasticità si esprimono come differenza tra i gradi dell'escursione articolare passiva
lenta rispetto a quella veloce. Questi gradi sono quelli riabilitabili, su cui si può agire.
Se ci fosse stata retrazione muscolare, non ci sarebbe margine riabilitativo per il fisiatra ed il
paziente verrebbe inviato alla chirurgia funzionale, branca dell'ortopedia che allunga i
muscoli, i tendini, sposta un muscolo al posto di un altro, ecc.
Le misurazioni cliniche della spasticità rimangono molto semplici e restano attualmente più
utilizzate rispetto alle misure strumentali.
Esse possono essere analitiche, valutando il fenomeno spastico in sè e per sè, oppure
funzionali, se cercano di valutare anche la limitazione funzionale che ne deriva.
Si tratta generalmente di scale cliniche ordinali, che comportano un certo numero di livelli di
punteggio.
SCALE ANALITICHE: le più conosciute sono la scala di Ashworth (anglofona) e la scala di
Held Tardieu (francofona), di utilizzo un po’ più complesso della scala di Ashworth, ma con il
vantaggio di integrare la nozione centrale di dipendenza della spasticità alla velocità di
stiramento, il che le conferisce validità superiore. Per contro, la sua riproducibilità è inferiore,
in particolare per gli utenti meno esperti.
1. SCALA DI TARDIEU
La TS è una scala per misurare la spasticità che prende in considerazione la
resistenza ai movimenti passivi a velocità sia lenta che veloce.
È importante la valutazione del paziente sia per classificare la condizione patologica
iniziale del paziente sia per il follow-up post trattamento.
Il test viene effettuato con il paziente in posizione supina, con la testa in linea
mediana per tutti i segmenti corporei.
Le misurazioni avvengono attraverso un goniometro muovendo l’arto a 3 velocità
(v1, v2 e v3) e le risposte vengono registrate per ciascuna velocità:
- V1 più lenta possibile, più lenta rispetto al movimento del segmento
sottoposto alla gravità;
- V2 velocità di caduta del segmento sottoposto alla gravità;
- V3 il più veloce possibile: più veloce della velocità di caduta naturale del
segmento dell’arto sottoposto alla gravità.
Bisogna valutare la differenza tra i gradi raggiunti dal Range of Motion del paziente
durante il movimento passivo di flessione, ad es. del ginocchio, sia nel movimento
lento che in quello veloce e compararlo con i gradi raggiunti in un soggetto sano.
Se il ginocchio nel movimento di flessione da una posizione iniziale di massima
estensione (180°) non arriva ad un grado superiore di circa 100° nel movimento lento
allora vuol dire che il muscolo quadricipite, antagonista del muscolo che effettua il
movimento richiesto, è retratto;
Se il ginocchio allo stesso modo nel movimento veloce non raggiunge comunque i
suddetti gradi, vuol dire che il muscolo quadricipite è spastico, perché il movimento si
bloccherà di colpo una volta raggiunto un grado inferiore a quello fisiologico).
Ogni articolazione sarà diversa dall’altra, un soggetto può avere spasticità nei flessori
del gomito e non averla nella spalla o nei flessori del carpo, bisogna valutare
articolazione per articolazione e muscolo per muscolo.
Il grado 0 della scala di Tardieu per valutare retrazione e spasticità dell’antagonista
corrisponde al grado in cui il muscolo che stiamo esaminando è in massimo
accorciamento (per il gomito sarà a massima flessione di gomito, per gli estensori del
ginocchio in cui l’antagonista è il quadricipite, il grado 0 sarà quando la gamba sarà
massimamente estesa).
Arto superiore
Nell’arto superiore i muscoli ad avere un deficit nel reclutamento, quindi gli agonisti,
sono generalmente gli estensori (estensore del gomito, del carpo e delle dita),
mentre gli spastici, che si retraggono sono gli antagonisti, quindi i flessori (flessori del
gomito: bicipite, brachioradiale, del carpo: flessore radiale, flessore ulnare; delle dita:
flessore comune delle dita, ecc.).
Esame della spalla:
- movimento lento dei muscoli elevatori della spalla, si valuta se gli estensori
(antagonisti) sono retratti a causa della postura in posizione di accorciamento
protratta nei mesi o negli anni, o sono retratti;
- movimento veloce (se raggiunge gli stessi gradi raggiunti dalla manovra lenta,
non c’è spasticità);
- nella manovra attiva, con sollevamento dell’arto, (se il paziente fa dei
compensi perché non ha la forza negli elevatori per flettere l’arto verso l’alto
indice che vi è un deficit del reclutamento dei muscoli elevatori della spalla
senza avere retrazione o spasticità degli estensori - in questo caso il
riabilitatore farà un esercizio per migliorare il reclutamento dei muscoli
agonisti, e non sulla spasticità o sulla retrazione dei muscoli antagonisti;
Esame del gomito:
- movimento lento (i muscoli antagonisti, flessori del gomito, non presentano
retrazione se la manovra raggiunge i fisiologici 180 gradi di Range of Motion);
- movimento veloce (se si ha riduzione dei gradi arrivando ad es. a 90 gradi si
ha una forte componente spastica dei muscoli flessori del gomito);
- manovra attiva (estendiamo l’arto attivamente e valutiamo se c’è una buona
capacità di reclutamento degli estensori). Il riabilitatore si impegnerà a
migliorare la componente spastica dei flessori del gomito e non quella
retrattile di questi o la capacità di reclutamento degli estensori (il quale deficit
magari viene meglio rivelato attraverso una prova di reclutamento contro
resistenza - manovra di Ashermann).
Esame del polso:
- movimento lento (grande ampiezza articolare, 160 gradi di movimento, indice
che non c’è retrazione dei muscoli flessori);
- movimento veloce (se non c’è un blocco anticipato rispetto al movimento
lento, non c’è spasticità);
- dorsiflessione attiva (se non raggiunge la massima ampiezza articolare e
arriva ad es. a circa 90 gradi, c’è un deficit di reclutamento di muscoli agonisti
cioè gli estensori). In questa mano di questo paziente bisogna fare
potenziamento sulla capacità di reclutamento dei muscoli estensori.
Esame delle dita:
- movimento lento (non arriva a fine range of motion, circa 90 gradi, retrazione
muscolare);
- movimento veloce (Si blocca ancora prima, circa 80 gradi, componente
spastica);
- manovra attiva (il paziente non riesce bene ad aprire neanche poco la mano,
debolezza dei muscoli estensori delle dita).
Arto inferiore
Esame del ginocchio:
- movimento lento con dorsiflessione (arriva a circa 90 gradi, se non c’è
retrazione dei muscoli estensori del ginocchio, prevalentemente il quadricipite
e il retto femorale);
- movimento veloce (c’è un catch a circa 40 gradi, c’è una spasticità del
muscolo quadricipite che si evoca in modo velocità-dipendente);
- manovra attiva (flessione del ginocchio, a circa 90 gradi). Non c’è retrazione,
non c’è debolezza da impedire il movimento, c’è una quota importante di
spasticità del muscolo quadricipite.
Esame della caviglia:
- movimento lento, massima dorsiflessione (arriva a circa 90 gradi, non c’è
quota retrattile);
- movimento veloce (il blocco anticipato, può avvenire a circa 70 gradi);
- dorsiflessione attiva della caviglia (se il paziente rimane fermo, vuol dire che
non ha capacità di reclutamento del tibiale anteriore e in generale dei muscoli
agonisti della caviglia). Faremo inizialmente un’attività di inibizione
dell’ipertonia dei muscoli antagonisti per migliorare l’attivazione e il
reclutamento degli agonisti, ma non sarà la spasticità ovviamente la causa di
tale immobilità.
2. SCALA DI ASHWORTH
Si tratta di una scala ordinale che valuta effettivamente la resistenza allo stiramento
passivo (le cui determinanti possibili sono numerose, e la spasticità rappresenta solo
una tra esse), è di utilizzo semplice e rapido, presenta una buona riproducibilità
interesaminatore, almeno all’arto superiore mentre le sue prestazioni appaiono
notevolmente minori all’arto inferiore, in particolare a livello delle articolazioni del
ginocchio e della caviglia.
La sua riproducibilità sembra, peraltro, influenzata dalla popolazione studiata e
globalmente meno convincente nella popolazione midollare che nella popolazione
cerebrolesa, il che può essere causato da una variabilità più importante della
spasticità nei midollari.
a. Grado 0: Nessun aumento di tono muscolare.
b. Grado 1: Lieve aumento di tono muscolare quando l’arto è spostato
passivamente in flessione o estensione.
c. Grado 2: Aumento più marcato del tono muscolare che comunque non
impedisce la flessione ed estensione passiva dell’arto.
d. Grado 3: Considerevole aumento del tono muscolare, il movimento passivo
risulta difficile.
e. Grado 4: Arto rigido in flessione ed estensione, impossibile la mobilizzazione
passiva.
SCALE FUNZIONALI: tentano di valutare la ripercussione funzionale del disturbo motorio, o
con una valutazione clinica in ambiente medico o da parte del paziente stesso
(autovalutazione).
Le scale di Fugl-Meyer, di Orgogozo, di Rivermead e di Barthel, la misura di indipendenza
funzionale, sono tutti esempi di scale funzionali. I limiti di queste scale, oltre a quelli relativi
alle loro validità e riproducibilità, sono che esse non permettono di valutare specificamente
la disabilità motoria dovuta alla spasticità, poiché altri sintomi, in particolare il deficit motorio
e la perdita di selettività del movimento, generalmente associati, interferiscono nella
misurazione della perdita funzionale.
Un’altro approccio è rappresentato dalle scale di qualità della vita tra cui la FIM che stadia la
disabilità complessiva con questionari di autovalutazione.
1. SCALA DI BARTHEL
L’indice di Barthel fornisce un punteggio indicativo delle capacità del soggetto di
alimentarsi, vestirsi, gestire l’igiene personale, lavarsi, usare i servizi igienici,
spostarsi dalla sedia al letto e viceversa, deambulare in piano, in salita, scendere le
scale, controllare la defecazione e la minzione. Il punteggio assegnato per ogni
funzione può essere 15, 10, 5 o 0. Il punteggio massimo è assegnato solo se il
paziente esegue il compito in modo completamente indipendente, senza la presenza
di personale d’assistenza. Il punteggio massimo è 100 ed indica l’indipendenza in
tutte le attività di base della vita quotidiana.
2. SCALA FIM
Il Functional Independence Measure è uno standard internazionale di misura della
disabilità.
La scala FIM è un questionario che valuta 18 attività della vita quotidiana: 13
motorio-sfinteriche (relative alla cura personale: lavarsi, vestirsi, nutrirsi, pensare al
proprio igiene personale ed intimo; al controllo sfinterico di vescica e retto; alla
locomozione e alla mobilità) e 5 cognitive (rapporto con gli altri, problem solving,
memoria, comprensione ed espressione).
Ogni attività può ricevere un punteggio variabile fra 1 (completa dipendenza dagli
altri) e 7 (completa autosufficienza).
I punteggi cumulativi producono un indice quantitativo della disabilità della persona.
Una scheda standard socio-sanitaria consente di correlare i pz a variabili rilevanti a
fini clinico-epidemiologici: è un indice di appropriatezza del ricovero e di efficacia
della riabilitazione, è correlato al tempo di degenza ed ai minuti di assistenza.
I campi di applicazione spaziano dalla degenza riabilitativa post-acuta, alla casa di
riposo, all'assistenza domiciliare.
TRATTAMENTO DELLA SPASTICITA’
Per inibire la spasticità si può scegliere di eseguire un trattamento:
1. farmacologico generale: uso di miorilassanti come il Baclofen, agonista
GABAergico. Tuttavia il Baclofen non è un farmaco intelligente che va solo del
muscolo dove deve andare; esso va ovunque creando una debolezza di tutti i
muscoli, anche dell'agonista che è già debole. Pertanto si ha diminuita capacità di
deambulazione. Inoltre dà alterazioni del tono dell'umore. Purtroppo, l'utilizzo di
piccole dosi per evitare gli effetti collaterali non è sufficiente per dare l'effetto clinico
voluto.
2. tossina botulinica infiltrata direttamente nei muscoli spastici, a condizioni che gli
agonisti abbiano una buona forza muscolare. E' il trattamento oggi preferito, si
esegue con un ago collegato ad un apparecchio di elettrostimolazione dedicato, con
cui si cerca il ventre muscolare verificando la contrazione attraverso la stimolazione
elettrica e poi si inietta il farmaco (agisce rompendo le proteine che permettono
l’adesione delle vescicole di acetilcolina alla placca neuromuscolare e quindi la
trasmissione del neurotrasmettitore al muscolo, le Snap25). Il tempo di applicazione
è di circa 15-20 minuti a seduta e l'effetto del farmaco dura circa 6 mesi.
Il trattamento è nato negli USA ed è stato perfezionato negli anni in cui i nuovi
farmaci a base di tossina A e/o B sono a bassissima quota proteica, per evitare
fenomeni di immunoresistenza (reazione anticorpale).
3. fisioterapia con stretching, biofeedback, movimenti rapidi ripetitivi, Metodo
Bobath (si fonda sulla pratica del problem solving: ricerca di nuove soluzioni adatte al
paziente che apprenderà nuove tecniche motorie per riabilitare la sua perdita
funzionale), ecc. Tuttavia, il trattamento fisioterapico per la spasticità dura poco: il
tempo della seduta e forse fino al giorno dopo.
4. cellule staminali (solo in fase sperimentale, gli studi clinici finora effettuati non
confermano un effettivo beneficio)
SCLEROSI MULTIPLA
LESIONI MIDOLLARI
ASIA SCORE
GLASGOW COMA SCALE

DISTURBI DEL MOVIMENTO


I Disturbi del movimento o “disordini del movimento” rappresentano una categoria di
patologie invalidanti in cui il protagonista è il movimento, possiamo distinguere due
sottocategorie:
- Disordini del movimento con IPOCINESIA (o ACINESIA), dove vi è una riduzione
dell’attività motoria come nel parkinson idiopatico, post-encefalitico, iatrogeno, AMS,
PSP, degenerazione cortico basale ed i parkinsonismi secondari (vasculopatia
cerebrale, encefalopatia post anossica, idrocefalo o lesioni occupanti spazio).
- Disordini del movimento con IPERCINESIA, come in Mioclono, Corea, Tics, Distonie
e Tremori.
IPOCINESIA
MALATTIA DI PARKINSON E PARKINSONISMI
Malattia di Parkinson
La malattia è determinata da una lesione a carico del sistema dopaminergico nigro-striato
che provoca un progressivo spopolamento e depigmentazione della sostanza nera di
Somering. La dopamina ha una funzione inibitoria del tono muscolare per facilitare i
movimenti, una sua riduzione o mancanza ne determina quindi un aumento del tono, ovvero
una rigidità (triade parkinsoniana: rigidità, bradicinesia, tremori, oltre ad atteggiamento
camptocormico, marcia a piccoli passi magnetica e blocco iniziale).
È una malattia ad esordio lento e decorso cronico di cui non si conosce la causa e la cura
definitiva.
Parkinsonismo Iatrogeno
Alcuni farmaci possono indurre sindrome parkinsoniana con una distribuzione simmetrica e
una più rapida progressione. I sintomi regrediscono entro 6-12 mesi dalla sospensione del
farmaco.
Tra questi farmaci abbiamo:
- Neurolettici (Fenotiazine e Butirrofenoni)
- Dopamino Antagonisti (Alfa Metil DOPA)
- Depletori Dopaminergici (Reserpina, Tetrabenazina)
- Calcio-Bloccanti (Flunarizina, Cinnarizina)
- Metoclopramide
- Litio
- Antidepressivi Triciclici
- Acido Valproico
Atrofia Multisistemica
L'atrofia multisistemica è una patologia neurodegenerativa ad andamento inesorabilmente
progressivo che causa disturbi piramidali, cerebellari e autonomici. Comprende 3 malattie
che in passato si riteneva fossero distinte: l'atrofia olivopontocerebellare, la degenerazione
nigro-striatale e la sindrome di Shy-Drager. La sintomatologia è caratterizzata da
ipotensione, ritenzione urinaria, stipsi, atassia, rigidità e instabilità posturale.
Si distingue una AMS-C, con più sintomi cerebellari ed una AMS-P più simile al parkinson.
Paralisi Sopranucleare Progressiva
La PSP è caratterizzata da una sindrome parkinsoniana rigido-acinetica, instabilità posturale
con frequenti cadute e disartria di tipo pseudolobulare.
Si osservano precoci alterazioni della motilità oculare nella verticalità e nella lateralità.
L’integrità dei riflessi vestibolo-oculari (manovra degli occhi di bambola) e del riflesso di Bell
(elevazione ed abduzione degli occhi nel tentativo di chiudere le palpebre) permettono di
classificare le alterazioni come sovranucleari.
Si riscontra fissità dello sguardo con aggrottamento delle sopracciglia, rigidità assiale,
distonia, segni piramidali e segni cerebellari.
È frequente un decadimento cognitivo che spesso evolve verso una demenza.
La risposta scarsa o assente alla levodopa è un criterio di supporto diagnostico. La tossina
botulinica viene usata per il trattamento del blefarospasmo e della distonia degli arti tipica di
questa sindrome.
Degenerazione corticobasale
La DCB esordisce con sintomatologia unilaterale caratterizzata da rigidità, distonia,
aprassia, scosse miocloniche e un disturbo della sensibilità di tipo corticale a carico dell’arto
superiore e della mano.
Talora è presente il caratteristico fenomeno della “mano aliena”.
La malattia diventa bilaterale in 2-5 anni causando invalidità degli arti superiori, disartria,
rallentamento della marcia, tremore d’azione e demenza.
TERAPIA SINDROMI IPOCINETICHE
La terapia si avvale di:
1. Farmaci:
- LevoDOPA, Agonisti della Dopamina e AntiColinergici per la Rigidità
2. Chirurgia:
- Pallidotomia
- DBS
3. Fisiatria:
1. forza fisica (aumentando la resistenza agli sforzi ed il controllo muscolare);
2. equilibrio;
3. flessibilità;
4. correzione della postura;
Studi clinici dimostrano che l’attività motoria influisce positivamente oltre che sulle
performance motorie del malato anche su un altro sintomo molto comune: la
depressione.
IPERCINESIA
TICS
I tic sono movimenti involontari che si manifestano come sequenze stereotipate di movimenti
coordinati brevi e improvvisi.
Spesso si tratta di movimenti semplici simili a scosse, talora appaiono come movimenti
complessi, quali ammiccamento dell’occhio, smorfie del viso, scosse del capo, sollevamento
della spalla, tic verbali, ecc.
Si possono manifestare isolatamente, come avviene per i tic semplici dell’infanzia e dell’età
adulta, oppure nell’ambito di sindromi complesse, quali la malattia di Gilles de la Tourette
(MGT) e la malattia di Wilson.
MIOCLONIE
Attività incontrollata ritmica che può:
- avere una distribuzione focale, multisegmentaria, multifocale, segmentaria o
generalizzata
- essere continuo o intermittente
- spontaneo, evocato da un riflesso o da un’azione.
La sede iniziale può essere:
- corticale,
- talamica,
- reticolare riflessa,
- striatale.
Può essere causata da:
1. encefalopatia secondaria da danno cerebrale diffuso post-anossico;
2. disorgine genetico (esordio in età giovanile) cib mutazione del gene y-sarcoglicano;
Distinguiamo:
- Mioclono di origine spinale (il paziente presenta movimenti involontari ritmici della
spalla sinistra, artrosi cervicale e lesione midollare cervicale);
- Mioclono segmentale secondario ad un glioma spinale;
- Mioclono spinale organico, evocato da un riflesso;
- Mioclono di origine psicogena, che scompare con le variazioni posturali;
COREE
Malattia di Huntington
Affezione ereditaria del SNC che determina degenerazione dei neuroni dei gangli della base.
Il gene responsabile della malattia di Huntington, denominato anche IT15 (interesting
transcript 15), in cui una tripletta è ripetuta in modo anomalo, è responsabile della
trasmissione genetica della malattia (che avviene per via autosomica dominante, con il
classico meccanismo dell’anticipazione genica).
Le tre manifestazioni caratteristiche della malattia sono:
1. Disturbi del movimento,
2. Alterazioni di personalità,
3. Deterioramento mentale.
I muscoli somatici sono colpiti in maniera casuale e i movimenti coreici si diffondono da una
parte del corpo all’altra.
Lentamente il disturbo coinvolge l’intera muscolatura; il paziente mantiene una posizione
ferma solo per pochi secondi, la deambulazione si associa a movimenti delle braccia e delle
gambe che portano ad un’andatura di tipo danzante.
Il tono muscolare è ridotto e con il progredire della malattia, possono diventare evidenti
rigidità, tremore e bradicinesia, elementi tipici della malattia di Parkinson.
I nervi cranici sono risparmiati, la sensibilità è indenne, i riflessi tendinei sono solitamente
normali, ma possono essere vivaci; la risposta alla stimolazione plantare può essere
anormale.
Nelle fasi più avanzate, il progredire del deterioramento cognitivo conduce il paziente a uno
stato vegetativo.
Attualmente non esiste alcuna terapia in grado di modificare il decorso.
- I neurolettici sono efficaci nel ridurre i disordini della motilità e possono essere utili
anche nei confronti dei disturbi comportamentali ma possono aggravare la
bradicinesia e la distonia.
- La depressione risponde alla terapia antidepressiva convenzionale
- La Carbamazepina o il Valproato sono utili per i disturbi maniacali
- L’ansia viene trattata con le benzodiazepine
- Nella forma infantile i farmaci antiparkinsoniani possono essere utili.
Malattia di Sydenham o Corea Reumatica
Nota anche come corea infettiva o reumatica, la corea di Sydenham è un disturbo proprio
dell’età infantile o giovanile conseguente a infezione da streptococco.
Il coinvolgimento dell’encefalo nell’infezione reumatica è causa della sintomatologia coreica
che insorge da 6 a 12 mesi dopo l’infezione con sintomi psichici (irritabilità, astenia,
distraibilità, instabilità emotiva, irrequietezza motoria e conseguente scadimento del
rendimento scolastico) e sintomi motori (coreici, accompagnati da ipotonia muscolare).
La terapia è soprattutto preventiva. Nella sindrome conclamata possono essere utili gli stessi
farmaci consigliati nella malattia di Huntington.
Ballismo
Nel ballismo, che viene chiamato così perché sembra che il paziente “balli”, si osservano
movimenti involontari di lancio a livello degli arti, di vasta ampiezza, regolari e imprevedibili.
Spesso si presenta solo monolateralmente come EMIballismo.
DISTONIE
Sono contrazioni involontarie, prolungate e ripetute di un gruppo di muscoli striati, talora
accompagnate da dolore. Possono essere coinvolti i muscoli volontari degli arti, del tronco e
della regione cranica.
Nella distonia d’azione i movimenti involontari sono scatenati o esacerbati dal movimento
volontario. Si parla di distonia attività-specifica quando la distonia compare
esclusivamente durante l’esecuzione di un’azione specifica (l’elevato numero di input
sensoriali che arrivano al cervello può creare un’alterazione nell’elaborazione del
movimento).
Con il progredire della sindrome distonica, i movimenti volontari della parte del corpo non
affetta da distonia, possono indurre contrazioni distoniche della parte malata (fenomeno di
OVERFLOW).
Alcune manovre o stimolazioni tattili attenuano la contrazione distonica (fenomeno del gesto
antagonista). La distonia peggiora dopo l’affaticamento, si attenua con il rilassamento,
scompare durante il sonno. Si possono manifestare pattern ripetitivi.
Infine, si possono verificare crisi distoniche con improvvisi aumenti di intensità della distonia
fino allo stato distonico.
Possono essere:
- Focali
- Blefarospasmo, contrazioni tonico-cloniche dei muscoli orbicolari degli occhi,
spesso bilateralmente;
- Emispasmo facciale di Meige, contrazione tonico-clonica dei muscoli
pellicciai de un emivolto (da post paralisi o conflitto neurovascolare);
- Distonia cervicale o torcicollo spasmodico, spasmo tonico, clonico o
tonico-clonico dei muscoli sternocleidomastoideo e/o trapezio con
conseguente ipertensione, flessione o rotazione laterale del collo;
- Distonia laringea o disfonia spasmodica, contrattura dei muscoli laringei con
episodi di voce stridula;
- Crampo dello scrivano, contrattura dei muscoli della mano e
dell’avambraccio nel corso della scrittura.
- Segmentarie
- Generalizzate
La classificazione eziologica identifica tre categorie:
1. distonie Primarie: in cui la distonia è la principale manifestazione clinica
2. distonie Plus: con altri segni e sintomi associati
3. distonie Secondarie
1. Distonie Primarie
La maggior parte delle distonie primarie esordisce in età adulta in assenza di familiarità.
Sono localizzate nella sede di esordio: collo (Distonia cervicale), volto (Blefarospasmo),
mandibola (Distonia oro-mandibolare), corde vocali (Disfonia spasmodica), arto superiore
(Crampo dello scrivano). In alcuni casi si estendono ai distretti adiacenti.
- Cervicale: nota come Torcicollo Spasmodico, esordisce tra i 20 e i 60 anni,
determinando posture anomale (collo flesso in avanti o inclinato da un lato). Una
piccola quota di pazienti va incontro a remissione ma entro l’anno ha una ricaduta.
Può essere evocata (o inibita: da movimenti compensatori) da movimenti volontarii
del paziente.
- Blefarospasmo: causato dalla contrazione del muscolo orbicolare dell’occhio,
esordisce con aumento della frequenza di ammiccamento, fino ad arrivare a una
chiusura prolungata e serrata delle palpebre che causa cecità funzionale. È più
comune nelle donne e di solito dopo i 50 anni.
- Crampo dello scrivano: movimento incontrollato durante l’attività di scrittura,
esordisce in età adulta, di solito limitato all’arto dominante (in una piccola quota di
casi si estende a quello controlaterale), solo nell’atto della scrittura (se si estende ad
altre attività può essere utile l’iniezione di tossina botulinica).
- Corde Vocali: si manifesta in due forme, la più comune è la 1. Disfonia
Spasmodica, nella quale i muscoli vocali si contraggono avvicinando le corde vocali
rendendo la voce alterata; 2. Disfonia Respiratoria con mancanza di respiro
quando si inizia a parlare o quando si parla a voce alta.
2. Distonie Plus
Questo gruppo comprende condizioni cliniche ereditarie nelle quali non vi è evidenza di un
processo neurodegenerativo alla base della sintomatologia distonica, e la distonia si associa
a sintomi parkinsoniani oppure al mioclono.
- Distonia levodopa sensibile (DLS)
Si tratta di una forma autosomica dominante a penetranza incompleta, caratterizzata da
esordio infantile o giovanile con atteggiamenti distonici nella deambulazione, cadute o talora
distonie focali.
Differisce dalle altre forme per la presenza di bradicinesia, rigidità plastica, camptocormia e
alterazione dei riflessi posturali.
Presenta peggioramento dei sintomi nell’arco della giornata e miglioramento con il sonno
notturno. Ha peculiare risposta a basse dosi di levodopa. E’ dovuta a mutazione in
eterozigosi del gene GCH1 nella maggior parte dei casi.
- Distonia-Mioclono (DYT11)
È una sindrome caratterizzata dalla presenza di scosse miocloniche che interessano gli arti
superiori, il collo ed il tronco e raramente gli arti inferiori.
I sintomi compaiono nell’infanzia o nella prima adolescenza. È dovuta ad una mutazione del
geneDYT11.
Si trasmette in maniera autosomica dominante. I sintomi sono tipicamente responsivi
all’alcol.
- Distonia-Parkinsonismo ad esordio rapido (DYT12)
È una sindrome rara. I sintomi esordiscono nell’adolescenza o in età giovane-adulta con una
progressione rapida con successiva stabilizzazione. La trasmissione è autosomica
dominante. Il gene responsabile è DYT12 e codifica per la subunità alfa3 della pompa
sodio-potassio.
3. Distonie Secondarie
Si tratta di quelle condizioni per cui la distonia si verifica in seguito a lesioni dell’encefalo:
- Paralisi cerebrale infantile
- Ipossia cerebrale
- Malattie cerebrovascolari
- Infezioni cerebrali
- Lesioni del midollo spinale
- Lesioni dei nervi periferici
Prendono il nome di SINDROMI TARDIVE alcuni disturbi del movimento legate all’uso di
psicofarmaci, di difficile diagnosi differenziale con la Distonia Psichiatrica.
1. La Distonia acuta da Neurolettici è caratterizzata da contrazioni brevi di muscoli
che di solito causano posture o movimenti anomali, quali crisi oculogire, protrusione
della lingua, trisma, torcicollo e posture diatoniche degli arti e del tronco.
2. L’Acatisia acuta da Neurolettici è caratterizzata da sensazioni soggettive o da
segni obiettivi di irrequietezza. Il paziente presenta senso di ansia e incapacità di
rilassarsi e cammina avanti e indietro, si dondola mentre sta seduto, si alza e si siede
continuamente. Entrambe le forme acute di disturbi del movimenti indotti dal
movimento rispondono alla sospensione del farmaco neurolettico e al trattamento
con anticolinergici.
3. La Sindrome maligna da Neurolettici (SMN) è una complicazione del trattamento
antipsicotico pericolosa per la vita e si può manifestare in un qualunque momento nel
corso del trattamento. È caratterizzata dalla triade di disturbi del movimento (rigidità
muscolare, distonia, acinesia, agitazione), febbre elevata e sintomi vegetativi
(sudorazione, instabilità della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca,
congestione polmonare). Una sintomatologia simile può anche manifestarsi nei
pazienti parkinsoniani a seguito dell’improvvisa sospensione della terapia con
levodopa.
Il trattamento della SMN include la terapia di supporto cardiovascolare e respiratoria
e l’uso di Dantrolene sodico, un miorilassante o di Bromocriptina.
4. Il Tremore Iatrogeno Cronico Si tratta di una condizione patologica caratterizzata
da discinesia tardiva. La discinesia tardiva è caratterizzata da movimenti ripetitivi
(stereotipati) e rapidi che coinvolgono la parte inferiore della faccia e la lingua o il
tronco (flesso-estensioni e torsioni ripetitive) o, infine, le dita della mani e dei piedi.
L’intervento più efficace sulla discinesia tardiva è la sospensione della terapia con
neurolettici o il passaggio a farmaci di terza generazione (Clozapina, Risperidone,
Olanzapina e altri).
TERAPIA SINDROMI IPERCINETICHE
Il trattamento è migliorato in seguito all’introduzione della chemodenervazione mediante
iniezione di tossina botulinica e della stimolazione cerebrale profonda.
1. Farmaci antidopaminergici (tetrabenazina per le distonie segmentarie), neurolettici
(clozapina per le distonie segmentarie e generalizzate), anticolinergici (clonazepam,
baclofene), miorilassanti (BDZ, tizanidina, orfenadrina in pazienti non responsivi agli
anticolinergici).
2. Tossina botulinica: utile nel blefarospasmo (distonia focale caratterizzata dalla
chiusura persistente e involontaria delle palpebre), nell’emispasmo facciale e nella
distonia cervicale ma anche nella distonia oromandibolare, il crampo dello scrivano e
le distonie dei musicisti. La tossina è costituita da una catena pesante che lega le
proteine di membrana della placca neuromuscolare permettendo quindi
l’internalizzazione della molecola; e da una catena leggera che si stacca e porta a
distruzione delle proteine che regolano l’esocitosi delle vescicole di Acetilcolina, che
si accumula nel terminale.
La placca neuromuscolare risponde in acuto con uno Sprouting; dopo circa 3 mesi la
placca riprende a funzionare, le placche sprouting degenerano e l’effetto del farmaco
finisce.
Il trattamento avviene circa due volte l’anno, utilizzabile nel bambino solo per Piede
Equino spastico.
3. La stimolazione cerebrale profonda del globo pallido interno (GPi) è il trattamento
chirurgico d’elezione nelle distonie generalizzate.

EREDOATASSIE
L’ATASSIA è una alterazione della coordinazione motoria in assenza di disturbi della forza e
del tono muscolare: rappresenta l’incapacità di eseguire un movimento volontario
propriamente orientato nella direzione della forza, e la difficoltà nella coordinazione dei
muscoli necessari alla sua corretta esecuzione.
Le EREDOATASSIE sono un gruppo eterogeneo di malattie genetiche rare (circa 3000 pz
affetti in Italia) che coinvolgono SNC e SNP.
Hanno una età di insorgenza variabile, a seconda delle diverse forme: alcune insorgono in
età infantile (atassia di Friedrich, che coinvolge anche il SNP), altre in età adulta.
La fascia di età più colpita va dai 20 ai 60 anni.
SEGNI PRECOCI:
1. Progressiva atassia della marcia;
2. Progressiva atassia degli arti, la patologia colpisce dapprima gli arti inferiori per poi
gradualmente interessare i superiori;
3. Tremore;
4. Disartria;
5. Nistagmo;
SEGNI TARDIVI:
1. Oftalmoplegia;
2. Disfagia;
3. Disturbi extrapiramidali;
4. Riduzioni acuità visiva;
5. Deterioramento cognitivo;
6. Alterazioni scheletriche della colonna vertebrale;
7. Disturbi cardiaci;
8. Disturbi broncopolmonari;
9. Disturbi sfinterici;
Esistono differenti tipi di atassia:
- Atassia Cerebellare, legata a lesioni cerebellari delle vie spino-cerebellari;
- Atassia Sensoriale, legata ai nervi spinali sensitivi e alla lesione delle vie della
sensibilità profonda (cordoni posteriori del midollo);
- Atassia Labirintica, legata a lesioni del complesso vestibolo-cerebellare;
- Atassia Cerebrale, in seguito a lesioni della corteccia frontale, parietale o temporale,
dove vengono elaborate informazioni necessarie per permettere l’equilibrio corporeo.
- Atassia Statica: si manifesta con il soggetto in piedi fermo, senza camminare. Ha
come segno clinico il fatto che il paziente sta con la base d'appoggio allargata
(poggia le gambe larghe), ciò aumenta la sua stabilità posturale. Il segno di Romberg
sarà positivo (facendo chiudere gli occhi a paziente fermo, esso tenderà a cadere per
retropulsione, lateropulsione e/o anteropulsione).
- Atassia Dinamica o della marcia: si manifesta quando il soggetto cammina. Sono
soggetti che stanno con la base d'appoggio stretta normalmente (quando sono fermi)
ma che appena iniziano a deambulare tendono ad allargarla. Durante la marcia le
braccia saranno abdotte a bilanciare il suo baricentro. I sintomi tendono a peggiorare
in condizioni di scarsa luminosità o su terreni sconnessi. Ciò accade perchè il
paziente atassico basa molto il suo equilibrio sulla vista poiché ha difficoltà
propriocettive e di equilibrio.
- Atassia Segmentaria: si manifesta con dismetria o con adiadococinesia
(imprecisione nel coordinare i movimenti alternati).
In base alle porzioni anatomiche colpite avremo quadri clinici distinti:
- SINDROME VESTIBOLOCEREBELLARE: da atassia statica e dinamica durante la
marcia;
- SINDROME PALEOCEREBELLARE: da atassia del tronco ed andatura a base
allargata;
- SINDROME PONTOCEREBELLARE: da atassia segmentaria, dismetria e tremore
intenzionale;
Si distinguono poi:
- Atassie Progressive con o senza interessamento sistemico: possono essere AD o
AR oppure c'è un’ereditarietà materna con disordini mitocondriali.
1. AUTOSOMICHE DOMINANTI (la proteina più frequentemente coinvolta è
l'ataxina, l’esordio tra la II e la VI decade con prognosi più favorevole per
quelle ad insorgenza tardiva, poichè l'evoluzione della patologia richiede circa
15 anni entro i quali si perde la capacità di deambulare):
- ATASSIE SPINOCEREBELLARI (SCA), di cui si ricordano
numerosissimi sottotipi:
a. SCA tipo 1, da atassia cerebellare con segni di coinvolgimento
più esteso del SN (spasticità e neuropatie periferiche,
parkinsonismi, mioclonie, disfagia e demenza).
b. SCA tipo 2, da atassia cerebellare con retinopatia pigmentosa;
c. SCA tipo 3, da atassia cerebellare pura. Si può associare a
deficit dei nervi cranici e segni extrapiramidali;
d. SCA tipo 7, si associa a degenerazione retinica e cecità le
quali possono precedere l'atassia vera e propria;
- ATASSIA DENTATO RUBRO PALLIDO LEWISIANA: è caratterizzata
da movimenti involontari, atassia, epilessia, corea, mioclono, disturbi
mentali, declino cognitivo (atrofia multisistemica) e marcata
anticipazione. La proteina coinvolta è l'atrofina 1.
2. AUTOSOMICHE RECESSIVE:
- ATASSIA DI FRIEDERICH: forma più frequente in assoluto, associata
ad alterazione cromosoma 9 a livello del gene fratassina (implicato nel
metabolismo mitocondriale e del Ferro) la mutazione causa accumulo
di Ferro mitocondriale.
Colpisce il SNC e periferico (atassia di tronco ed arti, disartria
cerebellare, assenza di riflessi osteotendinei, segni piramidali), il
fegato, i reni ed il pancreas.
Si associa a cecità, sordità, caridiomiopatia dilatativa ed alterazioni
scheletriche.
- ATASSIA TELEANGECTASICA
- ATASSIA CON APRASSIA OCULO-MOTORIA: se ne conoscono due
forme dovute ad alterazione di geni distinti:
1. tipo 1: apratassina
2. tipo 2: senatassina
- ATASSIA CON deficit di vit. E (si associa a mutazione del genere di
trasporto dell'alfa-tocoferolo)
- ATASSIA CON deficit di coenzima Q10
3. MITOCONDRIALI:
- NARP, neuropatia, atassia, retinopatia pigmentosa.
- MELAS, encefalopatia mitocondriale, acidosi lattica ed episodi simil
stroke.
- MERFF, epilessia mioclonica con fibre rosse danneggiate.
- Atassie Non Progressive, stabili per tutta la vita;
- Atassie Episodiche ed Intermittenti/Periodiche, da porre in dd con sindromi
psichiatriche: dette anche parossistiche, sono canalopatie o alterazioni del circolo
liquorale (origine ignota).
Le forme associate ad alterazioni dei canali ionici sono distinte in 3 forme AD:
- EA1 associata ad alterazione del canale del potassio
- EA2 ed EA3 associate ad alterazioni del canale del calcio
Gli episodi atassici hanno durata variabile da pochi minuti a qualche ora e possono
essere interrotti farmaci come l’acetazolamide. I pazienti affetti da EA tendono
successivamente a sviluppare forme di atassia progressiva.
- Atassie con Mioclono ed Epilessia;
- Atassie a patogenesi non identificata:
1. Sindrome di Angelman
2. Sindrome atassia-tremore correlata alla Sindrome dell’X fragile
TERAPIA
- Allenamento coordinativo continuo;
- Somministrazione di riluzolo;
- Somministrazione di alte dosi di idebenone;

EMOFILIA
L’EMOFILIA è una malattia ereditaria recessiva, legata al cromosoma X, caratterizzata da
un deficit di uno dei fattori della coagulazione.
Sulla base di questo deficit vi sono due tipi di emofilia:
- A, con deficit del fattore VIII (1:5000)
- B, con deficit del fattore IX (1:30000)
In relazione alla percentuale di fattore VIII o IX presente nel sangue esistono diversi gradi di
gravità. I soggetti affetti assumono per via endovenosa il fattore di cui sono carenti.
La patologia comporta nel complesso un deficit nel processo di coagulazione e quindi una
predisposizione alle emorragie a carico di vari organi, soprattutto quelli che vanno incontro a
traumatismi.
Le emorragie più minacciose per la vita sono a carico di:
- SNC
- apparato gastrointestinale
- collo/gola
- da traumi severi.
Le emorragie si presentano nonostante la terapia per:
- scarsa compliance del paziente
- somministrazione inadeguata (dosaggio troppo basso)
- pazienti residenti in paesi in via di sviluppo (il farmaco non è sempre disponibile)
- soggetti che vanno incontro a traumatismi ripetuti (spesso bambini)
FISIOPATOLOGIA
La presenza di sangue all'interno dell'articolazione, per una serie di fenomeni a cascata
legati al ferro, alle citochine e tutta una serie di molecole presenti nel sangue che si
depositano sulla guaina sinoviale, darà un danno a quest’ultima:
1. La membrana sinoviale andrà incontro a un'ipertrofia iniziale,
2. Poi a un'infiammazione acuta,
3. In seguito cronica,
4. E ricomincerà a sanguinare.
Si crea quindi un circolo vizioso per cui il sangue iniziale porterà all'uscita di altro sangue
con aumento del danno.
CLINICA
I segni e sintomi comprendono:
- deformità ossea
- sviluppo di osteofiti
- dolore cronico
- perdita della gamma di movimento e forza muscolare periarticolare
- propriocezione alterata
- alterazioni psicologiche
Quando si esamina un paziente con artropatia emofilica si deve comprendere in quale tratto
del corso patologico della cartilagine il pz si trova:
1. emartro,
2. sinovite reattiva,
3. artropatia distruttiva: con 4 gradi di distruzione articolare (più alto è il grado - meno spazio
intrarticolare c'è tra i capi articolari)
4. anchilosi articolare.
Quando finisce lo spazio articolare o quando la sintomatologia algica è molto avanzata c'è
solo una via d'uscita: la PROTESIZZAZIONE, anche nei soggetti giovani.
DIAGNOSI
All’RX si osserva: iperdiafania in corrispondenza dell’articolazione interessata dalla
sintomatologia algica e dal gonfiore.
TERAPIA
1. Fisioterapia: home exercise program che prevede allenamenti con contrazioni
isometriche, in cui il muscolo rimane della stessa lunghezza rafforzando la struttura
muscolare attorno all'articolazione senza sforzare l’articolazione più del necessario.
2. Infiltrazioni articolari: con guida ecografica di acido ialuronico (nell'artropatia
"secca" cioè non quando c'è ipertrofia e secrezione della sinovia ma quando il danno
è già fatto) o di sostanze corticosteroidee (in fase infiammatoria).
L'ingresso dell'ago nell'infiltrazione del ginocchio mediante il processo sotto rotuleo è
localizzato è 2-3 cm lateralmente rispetto alla base della rotula. L'ago è diretto verso
il margine superiore dell'osso, si procede quindi a delimitazione con penna
dermografica dei margini della rotula e del tendine rotuleo e si identifica il tipo di
iniezione. Dopo accurata disinfezione della cute con soluzione iodata si procede
all'infiltrazione: prima in aspirazione e successivamente introdurre il farmaco nella
cute facendo attenzione a che l'ago non sia posto troppo superficialmente, oppure
troppo in profondità.
La PRP (Platelets Rich Plasma), l'ultima novità dell'infiltrazione articolare per la
cartilagine, crea una condizione di crondroprotezione ma non di rigenerazione.

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