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La GESTIONE del PAZIENTE PRIMA dell’INTERVENTO (a)-

il concetto di omeostasi, i parametri vitali.


Prof. Marco Puccini, Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica

OBIETTIVI:
 Che cosa sono gli aggiustamenti omeostatici e a cosa servono.
 Quali sono i “parametri vitali” e come si monitorizzano.
 Quale è il ruolo della termoregolazione nel corpo umano.
 Quali fattori possono influenzare la diuresi.
 Come si calcola una diuresi adeguata.
 In quali modi si può misurare la diuresi.
 Come si valuta manualmente il polso.
 Come si misura manualmente la PA.

Nel passato la chirurgia era gravata da una notevole mortalità. In seguito, alcune acquisizioni di
importanza capitale hanno permesso una drastica riduzione della mortalità perioperatoria,
trasformando la chirurgia da arte a scienza. I fattori più importanti che hanno determinato la
riduzione della mortalità in chirurgia sono la applicazione della asepsi, lo sviluppo della terapia
antimicrobica, lo sviluppo delle tecniche anestesiologiche e, ultima in ordine di tempo, la
adeguata gestione perioperatoria del paziente (accurata valutazione del paziente e dove
possibile correzione delle anomalie rilevate prima dell’intervento, sorveglianza del paziente e
monitoraggio e correzione delle alterazioni dopo l’intervento).

Per capire quali sono i concetti di fondo nella gestione perioperatoria di un paziente, è
opportuno richiamare il concetto di omeostasi e quindi le modalità di una corretta gestione del
bilancio dei fluidi e degli elettroliti.

Omeostasi

Le nostre cellule sono bagnate da un fluido che è il mezzo di comunicazione e di scambio tra
ciascuna di esse e il resto dell’organismo. Questo ambiente che permette gli scambi e il
mantenimento dell’equilibrio tra le cellule è detto mezzo interno, e corrisponde al fluido
extracellulare (quello in cui sono “immerse” tutte le nostre cellule).

Il termine OMEOSTASI deriva dal greco homo + stasis (stesso + stare immutato) si riferisce al
modo in cui il corpo mantiene un ambiente interno stabile nonostante le variazioni che si verificano
continuamente nell’ambiente interno ed esterno all’organismo.
Dunque, OMEOSTASI è un termine generale che descrive come l’organismo si aggiusta
costantemente per assicurare il suo corretto e più efficiente funzionamento. In altre parole, le
cellule del nostro corpo funzionano meglio quando l’ambiente che le circonda è mantenuto
costante.

Quando si sottopone una persona ad un intervento chirurgico, si verificano delle alterazioni di


questo equilibrio; esse sono di varia entità: da lievi, non percepite dai nostri sensi, fino anche ad
alterazioni molto importanti (a seconda dell’intervento, di quali organi / sistemi vengono coinvolti).

Cosa si modifica nell’organismo quando viene sottoposto ad un trauma (intervento) chirurgico?

A seguito di un intervento chirurgico si verificano continuamente degli aggiustamenti


omeostatici, che hanno il fine di: - mantenere il mezzo interno

- assicurare la guarigione delle ferite

Questi aggiustamenti sono innescati da numerosi fattori (ad esempio: ridotta perfusione
ematica, ridotto volume del sangue circolante, ridotta assunzione di cibo, danni ai tessuti, infezioni
ecc.) attraverso il sistema neuroendocrino. Tali aggiustamenti permettono di:

o Mantenere la perfusione dei tessuti (e quindi di soddisfare le aumentate esigenze


metaboliche)

o Aumentare la proteolisi muscolare (fornendo “materiale da costruzione”)

o Accelerare la gluconeogenesi (fornendo “combustibile” per il metabolismo)

In questo modo si ottengono i componenti essenziali per mantenere le funzioni corporee e per
riparare le ferite.

Un intervento chirurgico effettuato in condizioni ottimali su un soggetto in buone condizioni


generali (in elezione, utilizzando tecniche chirurgiche adeguate e moderne procedure
anestesiologiche) determina minime variazioni metaboliche.

Invece in caso di grossi interventi, effettuati su persone con riserva fisiologica ridotta (es.
anziani o debilitati) o affetti da gravi infezioni, o vittime di ustioni importanti, le variazioni
metaboliche (cioè le alterazioni dell’omeostasi) sono importanti, per cui si devono controllare i
parametri biologici ed eventualmente correggerli in modo da aiutare l’organismo a mantenere
l’omeostasi e a recuperare adeguatamente.

Dunque, un supporto appropriato permette di ristabilire rapidamente funzioni e composizione


corporea; così il paziente può tornare nel più breve tempo possibile ad una vita normale.

Riassumendo, il paziente chirurgico vive dei cambiamenti rapidi ed intensi delle normali funzioni
fisiologiche e del metabolismo (e quindi necessita di brutali aggiustamenti omeostatici).

In un intervento chirurgico tali aggiustamenti sono determinati da dolore, interruzione della


normale alimentazione ed assunzione di liquidi, dalla asportazione o comunque dalla distruzione di
tessuti ecc. Gli aggiustamenti sono ancor più drastici nei grossi traumi ed altre situazioni di
maggiore gravità.

Da un punto di vista cronologico, la reazione dell’organismo al trauma chirurgico prevede:

ADATTAMENTI ACUTI attivazione dei meccanismi di coagulazione

shift di fluidi dal settore extravascolare al torrente ematico

ridistribuzione del flusso ematico

risposta renale e respiratoria per mantenere l’equilibrio acido-basico

ADATTAMENTI LENTI risposta immunologicainvasione dell’area aggredita (reazione


infiammatoria) - -evoluzione della ferita

Le principali alterazioni rilevabili della fisiologia e del metabolismo sono:

o Aumento della eiezione cardiaca

o Aumento della ventilazione

o Aumento della temperatura corporea

o Aumento di lipolisi e proteolisicarburante per la guarigione della ferita e per la sintesi


di nuovo glucosio (che è il nutriente principale per il cervello ed altri organi vitali).

I Parametri Vitali -

Per verificare e misurare l’entità delle alterazioni della normale fisiologia si monitorizzano i
parametri vitali dei pazienti (come la frequenza ed il ritmo cardiaci, la pressione arteriosa, la
diuresi, i parametri ematici, il respiro, la temperatura ecc.).

In base a quanto detto, si capisce come sia importante valutare tali parametri prima, durante e
dopo un intervento chirurgico, e gli operatori sanitari che si prendono cura della persona è
coinvolto ad ogni livello in questa responsabilità, che ha una importanza primaria nella gestione del
paziente.

Temperatura-

La temperatura corporea è un parametro fisiologico fondamentale, ed è un indicatore utile di


una infezione o di uno stato di alterato metabolismo. Infatti il termine metabolismo indica le
reazioni chimiche che hanno luogo nel corpo al fine di creare energia per il funzionamento
cellulare.

Per funzionare al meglio, il corpo umano necessita di una temperatura corporea costante
attorno ai 36-37,5 °C. Una temperatura elevata indica uno stato ipermetabolico (e di conseguenza
l’organismo necessita di un maggior rifornimento energetico (sotto forma di ossigeno e glucosio)
per nutrire le cellule). Al contrario, una temperatura ridotta indica un rallentamento del
metabolismo.

Come fa il corpo umano a mantenere stabile la temperatura corporea? Come in ogni impianto
termico, anche l’organismo ha un termostato che mantiene una data temperatura: è l’ipotalamo.

In caso di infezione, l’ipotalamo può resettare la temperatura corporea a valori più elevati
determinando uno stato di febbre. Questo aumentato metabolismo (che determina la febbre) serve
a combattere l’infezione, e come detto richiede un supplemento di ossigeno e glucosio (energia).
Le reazioni indotte dalla infezione sono molteplici: potremo osservare tremori, pelle d’oca
(contrazione dei muscoli lisci della peluria), senso di freddo con conseguenti comportamenti atti a
trattenere il calore corporeo (indossare indumenti pesanti, coperte, andare a letto…). Un rilascio di
catecolamine (adrenalina) agisce sule fibre muscolari dei vasi determinando vasocostrizione
periferica, fa aumentare la frequenza del polso…

Quando la temperatura dovrà tornare ai valori normali, il corpo si dovrà raffreddare, per cui il
metabolismo tornerà a ritmi normali, il calore in eccesso verrà disperso con lo scambio cute-
ambiente, la sudorazione contribuirà al raffreddamento corporeo…

In generale, dunque, il corpo umano è capace di mantenere la temperatura corporea interna


entro un range piuttosto ristretto accumulando o cedendo calore.

La febbre (o piressia) è quindi la risposta dell’organismo a una infezione. Rappresenta una utile
indicazione clinica della risposta del sistema immunitario. Ognuno di noi ha un suo peculiare range
di temperatura normale, pertanto quando si parla di febbre in una determinata persona, essa deve
far riferimento ai valori normali in quell’individuo: in altre parole, si definisce febbre un aumento
della temperatura sopra alla normale variazione circadiana di ogni singolo soggetto).

In un reparto chirurgico si possono osservare sia una ipertermia, dovuta a una infezione o a un
processo infiammatorio in atto, che una ipotermia, specie negli anziani o nei soggetti fragili, dovuta
a una bassa temperatura ambientale, o anche a una sepsi ingravescente.

Dei tanti metodi disponibili per misurare la temperatura corporea, quello attualmente in uso
nelle corsie è la misurazione della temperatura timpanica con copertura usa e getta.

La temperatura corporea può essere influenzata da vari fattori: la temperatura ambientale,


ovviamente, l’invecchiamento, certe malattie croniche e acute, e anche alcuni farmaci.
Diuresi-

L’urina è il prodotto della filtrazione renale del sangue, che è essenziale per eliminare scorie
dall’organismo e per mantenere il bilancio corporeo di fluidi e elettroliti.

Misurare la diuresi è un modo semplice ed efficace di valutare la funzione renale e lo stato di


idratazione di un individuo. La cattiva gestione del monitoraggio della diuresi può comportare una
insufficienza renale acuta (o danno renale acuto).

L’unità funzionale del rene è il nefrone, dove avvengono la filtrazione, il riassorbimento e la


secrezione. Con questi meccanismi complessi il rene mantiene il bilancio di fluidi (acqua) e degli
elettroliti. In altre parole, assicura che la giusta quantità di acqua, sodio, potassio, calcio, magnesio
e molte altre sostanze siano tenute ai giusti livelli nel corpo per mantenere il bilancio acido-base
(O’Callaghan e Brenner, 2001).

Il rene è anche sotto l’influenza di potenti ormoni, quali l’adiuretico (ADH), l’aldosterone, il
peptide natriuretico atriale (ANP), il paratormone (PTH). E a sua volta “produce” altri ormoi, quali la
renina, la vitamina D, l’eritropoietina, alcune prostaglandine.

Dunque il rene è centrale per il mantenimento dell’omeostasi.

Per funzionare correttamente il rene necessita di una buona perfusione. Se la PA scende sotto
determinati valori (es. se la PA media è < 60 mmHg) esso comincia a funzionare male, fino ad
arrivare alla insufficienza renale. La PA media si calcola sommando alla diastolica un numero
ottenuto dividendo per 3 la differenza tra massima e minima.

I fattori che influenzano la diuresi possono essere inquadrati in 3 categorie:

 Pre-renali: es. disidratazione, insufficienza cardiaca…

 Renali (intrinseci): es. farmaci nefrotossici, tumori renali…

 Post-renali: es. ostruzione delle vie urinarie, occlusione del catetere vescicale…

Per una normale funzione renale, si raccomanda di assumere 2 o 3 litri di acqua al giorno ( a
seconda dell’ambiente). Una diuresi adeguata è di 0,5 – 1 ml pro kilo di peso ogni ora. Ad es.
un adulto di 70 kg dovrebbe urinare 35-70 ml /h.

Una diuresi inferiore a 0,5 ml/kg/h per più di due ore consecutive richiede un intervento, come
bere di più o aumentare l’infusione dei fluidi.

Come si misura la diuresi? Si può calcolare quanti fluidi sono stati accumulati o persi pesando
la persona (1 kg = 1000 ml); in ogni caso la diuresi si misura direttamente raccogliendo le urine
(nel vasone o altri contenitori graduati, nella sacca da urine etc..).
Nella pratica clinica, quando si va a prender nota della diuresi è bene osservare le urine,
valutando colore, trasparenza, presenza di calcoli, odori particolari… Se la diuresi è contratta,
chieder sempre se il paziente ha mal di pancia (globo vescicale).

Pressione Arteriosa, frequenza cardiaca, ritmo, ECG-

Il polso arterioso si percepisce poiché l’onda pressoria generata dalla contrazione ventricolare
viene trasmessa nelle arterie, che hanno una certa elasticità, e arriva così anche in periferia.

In pratica il polso viene valutato palpando l’arteria radiale, ma altri punti possono essere
utilizzati (palpando la carotide, la femorale, la brachiale, la poplitea ecc.).

Ci sono molti fattori che possono influenzare il polso (frequenza e ritmo): esercizio, emotività,
farmaci, problemi nella conduzione elettrica nel miocardio…

Che informazioni ci dà la valutazione del polso? Ci dice qual è la frequenza cardiaca, se il ritmo
è regolare o meno, e quanto efficacemente il cuore sta pompando il sangue.

Quando un paziente entra in reparto, si deve registrare la situazione del suo polso per poterla
confrontare con rilievi successivi, per notare eventuali variazioni.

Cosa si registra? Si rileva il numero di battiti per minuto (se il ritmo è regolare, si possono
contare i battiti in 15 secondi e moltiplicare x 4), Se il battito è > 100 bpm si definisce tachicardia,
se è < 60 bpm si definisce bradicardia, ma si deve comunque far riferimento ai valori basali,
all’ingresso, in quanto la frequenza dipende anche dallo stile di vita dell’individuo.

Si rileva inoltre il ritmo; se è irregolare, di definisce disritmia, evento che va segnalato.

Quando si misura la PA, si registra il suo valore massimo (PA sistolica o massima) e il suo
valore minimo (PA diastolica o minima), espressi in mmHg. Per capire se la perfusione degli organi
è adeguata ci possiamo basare sul calcolo della PA media, che deve essere tra 70 e 105 mmHg.
La si può calcolare in due modi:

a) Si divide per 3 la pressione differenziale (sistolica – diastolica) e si somma il valore


ottenuto con la diastolica.

b) Si somma la sistolica con il doppio della diastolica, e si divide il risultato per 3.

La misura manuale della PA con lo sfigmomanometro anaerobico si fa applicando la fascia e


ponendo lo stetoscopio in corrispondenza dell’arteria brachiale. Si posta la pressione a 30mmHg
oltre il valore in cui scompare il polso palpato sulla radiale (non si ascolta alcun rumore) e la si
riduce molto lentamente: quando compare improvvisamente il primo, chiaro, battito
all’auscultazione, quello è il valore della sistolica. Si continua poi a ridurre lentamente la pressione,
e quando i rumori scompaiono del tutto, quello è il valore della diastolica.
Nell’adulto, i valori normali della PA variano tra 110/60 e 140/90, ma come per la frequenza,
anche la PA può essere influenzata da vari fattori.

La WHO (World Health Organization) definisce ipertensione valori di sistolica >160 mmHg e
valori di diastolica > 95 mmHg. Altre organizzazioni danno definizioni leggermente diverse (es. PA
> 140/90 in due occasioni distinte).

La ipotensione si può invece verificare quando il volume di sangue circolante è inadeguato,


come vedremo parlando dello shock.

la respirazione-

Il respiro è un parametro vitale fondamentale, pur se spesso non viene registrato. Eppure, ad
esempio, in uno studio circa la metà degli arresti cardiaci è preceduta da una alterazione della
respirazione (“shortness of breath”).

I respiro piò essere influenzato da molti fattori: una malattia polmonare (es. polmonite, BPCO),
ma anche traumi cranici, problemi cardiaci, embolia polmonare, stato emotivo ecc.

Come si valuta la respirazione? La frequenza respiratoria si misura osservando quante volte il


mantice toracico si muove al minuto (nell’adulto a riposo: 15 -20 volte). Si osserva anche il tipo di
respiro (es. superficiale, irregolare) e la presenza di eventuali rumori.

Oggi la pulsossimetria, che ci fornisce un indice della saturazione di ossigeno periferica (SpO 2),
è entrata di diritto a far parte dei parametri vitali. Misura la percentuale di emoglobina saturata con
l’ossigeno. Il range normale va dal 94 al 98% (in aria, in soggetti senza malattie polmonari). In
caso di pneumopatie (es. BPCO) si considerano adeguati valori tra 88 e 92%.

DI norma, valori al di sotto del 92% possono rappresentare una ipossia, e devono essere
segnalati.

Utilità del monitoraggio dei segni vitali nella pratica clinica-

In realtà, ci è sempre stato tradizionalmente insegnato il concetto che il monitoraggio routinario


dei segni vitali è una maniera importante per misurare le funzioni fisiologiche e stabilire la
probabilità di un deterioramento clinico acuto e dei conseguenti eventi avversi. E benché questa
attività faccia parte della routine clinica in molti ospedali, la sua vera efficacia diagnostica è stata
dibattuta per molti anni. Alcuni studi recenti ne mettono in discussione l’importanza perché hanno
rilevato che la variazione dei segni vitali si verifica troppo tardi per permettere un intervento clinico
adeguato, o talora non si verificherebbero affatto. Diversi Enti hanno sviluppato linee-guida per il
riconoscimento precoce di pazienti in aggravamento rapido che si basano su una scala di punteggi
in cui i segni vitali rappresentano solo una delle componenti.
Sistemi di monitoraggio automatico indossati dal paziente: sono stati sviluppati e provati nella
pratica clinica svariati sistemi di monitoraggio automatico del paziente applicabili nelle corsie
ordinarie (a normale intensità di cura, con un rapporto di un infermiere ogni 10-15 pazienti). Da un
lato si sono rivelati utili per identificare prima le alterazioni di pressione, ritmo respiratorio,
temperatura, ossigenazione del sangue…) rispetto ai ritmi di monitoraggio standard (ogni 5-8 ore).
Dall’altro sono risultati piuttosto indifferenti al personale sanitario data l’elevato numero di “falsi
allarmi”. Il loro uso quindi è ancora strettamente limitato a studi di verifica. In generale sembrano
più utili durante la notte, quando il personale in servizio è ridotto e i pazienti sono più a riposo, e
con soglie di allarme più elevate.

Fonti bibliografiche

Pat Cattini with M. Kiernan: Chapter 4 Infection prevention and control, su The Royal Marsden Manual of
Clinical Nursing Procedures
Joyce Smith, Rachel Roberts: Vital Signs for Nurses, An Introduction to Clinical Observation. Wiley-
Blackwell, 2011.

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