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LESIONI MUSCOLARI:

MONITORAGGIO ECOGRAFICO E TRATTAMENTO RIABILITATIVO

INTRODUZIONE

La lesione muscolare è multo frequente in corso di attività sportiva, ma spesso essa è sottostimata dallo stesso
atleta, che prosegue infatti la sua attività senza richiedere una precoce vantazione
medica e accertamenti mirati, per cui non viene adeguatamente trattata
Una conoscenza di base della normale struttura e fisiologia del muscolo è necessaria per
comprendere il trattamento e la prevenzione di queste lesioni.

Il muscolo scheletrico dell'uomo può essere consideralo un motore in grado di trasformare l'energia chimica in
esso contenuta come adenosintrifosfato (ATP), in energia meccanica (lavoro), tramite l'azione sul sistema di
leve scheletriche; il lavoro così prodotto è utilizzato per controllare la postura e promuovere il moto del corpo o
delle sue parti rispetto all'ambiente esterno. La capacità di compiere lavoro può essere modificata, in senso
opposto, dall'inattività e dall'allenamento. Il tessuto muscolare, contraendosi attivamente, sviluppa una forza,
denominata tensione, e che agisce lungo l'asse di trazione muscolare. Tale forza si oppone al carico esterno,
ovvero alla forza esterna che prende il nome di resistenza. Sia la tensione muscolare che la resistenza variano,
anche notevolmente, durante il movimento, in particolare durante l'attività sportiva.
Bisogna altresì ricordare che il muscolo non può essere concepito come un organo estrapolato dall'apparato
locomotore ed indipendente dai complessi meccanismi di controllo motorio, ma piuttosto come la risultante di
una complessa integrazione di stimoli sensoriali (propriocettivi, tattili, vestibolari e visivi), automatismi motori
(dal semplice riflesso miotatico, ai più elaborati riflessi posturali, fino ai complessi automatismi connessi
all'esecuzione di particolari gesti ginnico-sportivi), uniti alla componente volontaria (motivazionale) del gesto
motorio.
Una lesione muscolare può prodursi per svariati motivi, la cui comprensione non può prescindere dalla
conoscenza della biomeccanica e della fisiologia dell'apparato locomotore, dalla conoscenza della fisiologia dei
sistemi motori ed infine dalla conoscenza della fisiopatologia delle lesioni traumatiche e dei concetti
fondamentali dell'allenamento sportivo. Su queste basi si fonda il trattamento medico e riabilitativo delle lesioni
muscolari.

EZIOLOGIA E PATOGENESI DELLE LESIONI MUSCOLARI

CONDIZIONI PREDISPONENTI GENERALI


Difetti di allenamento e di flessibilità
L'allenamento determina numerose modificazioni a carico dell'apparato locomotore, che si traducono in una
migliore efficienza del gesto atletico ed in una maggior resistenza alla fatica. Il deficit d'allenamento può
consistere in una carenza di preparazione atletica generale, e ciò comporta quindi uno stato di affaticamento
precoce (spesso localizzato in particolare ai gruppi muscolari o ai muscoli più sollecitati), oppure in una
mancanza d'abitudine a svolgere un determinato tipo di movimento (o perché non lo si è ancora acquisito,
oppure dopo una pausa dall'attività sportiva). Nel secondo caso, è un deficit di destrezza, di coordinazione e di
equilibrata attivazione della muscolatura agonista ed antagonista a determinare l'errore di esecuzione del gesto
tecnico, e ciò può produrre la lesione muscolare. Anche un riscaldamento prima della gara o della seduta di
allenamento, può essere annoverato tra i deficit di allenamento: un insufficiente riscaldamento compromette
l'adeguato funzionamento dell'apparato locomotore, mantiene elevata la viscosità muscolare e tendinea,
pregiudica la coordinazione e comporta un precoce intervento del metabolismo anaerobico, con un aumento del
debito d'ossigeno.
Un particolare aspetto del deficit di allenamento riguarda la flessibilità. Un'insufficiente flessibilità comporta un
eccessivo stiramento dell'unita muscolo-tendinea che diventa evidente negli esercizi di velocità, che necessitano
di ampie escursioni articolari, da percorrere velocemente. La flessibilità inoltre può essere compromessa dalla
fatica che tende ad indurre una maggior rigidità muscolare.

La fatica
La fatica può essere definita come l'incapacità di mantenere nel tempo una determinata prestazione.Tale
incapacità deriva in parte dall'impossibilità di risintetizzare l'ATP alla stessa velocità con cui viene utilizzato per
fornire energia per gli esercizi intensi, ed in parte all'accumulo di lattato. Attualmente si ritiene che la lesione
muscolare (distrattiva) si verifichi in seguito alla rottura dei ponti tra i filamenti delle proteine contrattili del
muscolo, actina e miosina. Tale evento può verifìcarsi per una sollecitazione sopramassimale (over-use o
superallenamento) che agisce su di un muscolo integro, oppure per uno stimolo più modesto, in caso di
diminuita resistenza delle fibre muscolari. Una condizione in grado di provocare una diminuzione della
resistenza del muscolo agli , eventi lesivi è rappresentata dalla riduzione delle riserve energetiche (ATP, CP),
che normalmente consentono il perfetto scorrimento dei filamenti di actina e miosina, sia in accorciamento
(contrazione concentrica) che in allungamento (rilasciamento, contrazione eccentrica); in caso di carenza del
substrato energetico i ponti tra actina e miosina risulterebbero più rigidi, a causa di un ritardo o della mancata
attivazione dei meccanismi adibiti al loro reciproco scorrimento. Ovviamente ciò si tradurrebbe in una maggiore
suscettibilità alla lesione di un muscolo affaticato o non adeguatamente allenato.

Condizioni in cui si svolge il lavoro muscolare


Fattori favorenti e rilevanti nella genesi delle lesioni muscolari possono essere anche le condizioni atmosferiche.
Soprattutto il freddo, che determina una vasocostrizione, e quindi una minore irrorazione muscolare ed un
minore apporto energetico con conseguente precoce insorgenza della fatica (maggiormente più grave in soggetti
non adeguatamente allenati), ma anche il clima caldo-umido, che determina una perdita profusa di liquidi e di
elettroliti che possono avere importanti effetti sui meccanismi fisiologici di regolazione della contrazione
muscolare, giocano un ruolo notevolmente considerevole. Inoltre anche lo stato del terreno (fango, ghiaccio),
cui non si è abituati, può favorire fenomeni di incoordinazione motoria che predispongono alla lesione
muscolare.

Velocità del movimento


Un fattore predisponente sembra essere in tutti i casi la velocità elevata del movimento ed in particolare la
rapidità di accelerazione, determinata spesso dalla imprevedibilità d'azione (scatti, bruschi cambiamenti di
direzione). Spesso si è osservato che le lesioni muscolari si producono negli atleti ipertrofici, ricchi di fibre
muscolari rapide, e comunque nei muscoli che presentano un'elevata percentuale di fibre rapide. Tali muscoli
sono in genere più superficiali ed hanno la caratteristica di essere bi- o pluri-articolari (bicipite, quadricipite,
tricipite). Inoltre, un muscolo rapido utilizza prevalentemente il metabolismo anaerobico e quindi più facilmente
affaticabile.

CONDIZIONI PREDISPONENTI INDIVIDUALI

Flogosi tissutale

Notevole importanza nella predisposizione alle lesioni muscolari è attribuita anche ai fenomeni

flogistici. È stato infatti osservato che le lesioni muscolari si verificano con una certa frequenza in

atleti che tornavano all'agonismo dopo un'assenza, anche breve, per malattia infettiva batterica,

virale (tonsilliti, ascessi dentari, influenza, o altro), in tali casi si produrrebbero nel muscolo alterazioni

metaboliche legate alla diminuzione dell'ATP o del glicogeno, all'aumento dei radicali liberi, oppure allo

scadimento della forma fìsica e conseguente maggiore affaticamento generale e distrettuale.

Squilibri muscolari

Gli squilibri muscolari possono essere a carico: 1) di gruppi muscolari antagonisti, 2) di gruppi muscolari

sinergici, 3) di gruppi muscolari controlaterali omologhi. Tali squilibri possono riguardare: la forza concentrica,

la forza eccentrica, il rapporto tra forza eccentrica e concentrica (nell'ambito di uno stesso gruppo muscolare o

di gruppi muscolari antagonisti). Lo squilibrio muscolare, inoltre, può riguardare le capacità di esprimere forza

massima, oppure la resistenza e quindi l'affaticabilità.

Età

Una delle condizioni che predispongono alle lesioni muscolari da trauma indiretto, è sicuramente l'età. Ad

esempio le lesioni parziali dei muscoli del polpaccio sono assai rare prima dei 35 armi, ma successivamente

diventano abbastanza frequenti negli sport che richiedono cambi improvvisi di direzione (squash, tennis, ecc-).
Tali lesioni sono spesso accompagnate da notevole emorragia intramuscolare. L'età determina modificazioni del

tessuto muscolare, nell'ambito del quale le unità motorie subiscono un riarrangiamento, che consiste nella

reinnervazione delle fibre muscolari nelle quali il processo di invecchiamento ha determinato la denervazione.

Le unità motorie superstiti risultano quindi costituite da un maggior numero di fibre muscolari, con conseguente

maggior difficoltà a graduare l'intensità della forza.

CONDIZIONI DETERMINANTI ED IPOTESI EZIOPATOGENETICHE

Dal punto di vista patogenetico, il trauma contusivo (trauma diretto) determina la lesione di un numero di fibre

direttamente proporzionale all'entità del trauma e nella sola area di applicazione della forza traumatica, come

dimostrato anche sperimentalmente. È noto che il trauma contusivo diretto lede le fibre muscolari più profonde

adiacenti al piano osseo. Infatti, si può ipotizzare che superficialmente la pressione venga trasmessa ai vari strati

muscolari come attraverso compartimenti fluidi, mentre la trasmissione dell'onda pressoria si interrompe

profondamente a livello del piano osseo e lo strato muscolare adiacente viene compresso sulla struttura ossea e

quindi danneggiato. Questo fatto spiega il motivo per cui le contusioni vengono spesso sottostimate, in quanto la

lesione è profonda ed il versamento ematico non appare in superficie. Inoltre il danno tissutale è inversamente

proporzionale al grado di contrazione muscolare al momento dell'impatto perché, in condizioni di rilasciamento

muscolare, è maggiore l'intensità dell'onda pressoria che arriva al piano muscolare profondo ed al piano

scheletrico; il danno tissutale, come detto, è invece comunque direttamente proporzionale all'entità della forza

applicata ed alla vascolarizzazione muscolare, intesa come flusso ematico al momento del trauma; Negli atleti la

sede più frequente di contusione muscolare è la coscia, ed in particolare il quadricipite (vasto esterno). Per

quanto riguarda la patogenesi delle distrazioni muscolari (traumi indiretti), si farà riferimento, a scopo

esemplificativo, alle lesioni dei muscoli ischiocrurali, che sono in assoluto i più frequentemente coinvolti nella

patologia traumatica sportiva, in particolare nell'atletica leggera. Essi sono muscoli biarticolari, infatti si

inseriscono a livello prossimale al bacino e distale alla gamba agendo di conseguenza su anca e ginocchio e

risultando così fondamentali nella corsa. La lesione può, quindi avvenire in due momenti della corsa: nella fase

di decelerazione quando la gamba è in estensione (prima della fase di appoggio); oppure nella fase di spinta

quando gli ischiocrurali diventano da stabilizzatori, coadiuvatori nella estensione del ginocchio. Nella fase di

decelerazione la lesione può conseguire ad un troppo accentuato ed improvviso allungamento passivo degli

ischiocrurali, oppure ad un'eccessiva contrazione degli antagonisti, quando le resistenze da attrito alla

distensione passiva degli agonisti, diventano eccessive. Nella fase di spinta, la lesione può determinarsi

allorquando i muscoli ischiocrurali si contraggono rapidamente da una situazione di completo rilasciamento ed

incontrano la resistenza di attrito determinata dal loro repentino cambiamento di forma e lunghezza.
Medesimi meccanismi si verificano nei calciatori quando eseguono degli scatti, cercano di colpire (calcio a

vuoto) o stoppare il pallone sollevando in maniera abnorme l'arto inferiore a ginocchio esteso (errore tecnico-

tattico): in questo caso il muscolo più frequentemente interessato è il bicipite femorale,spesso in associazione a

lesioni muscolari del semimembranoso e semitendinoso; questa lesione in particolare viene definita con il

termine di “Hamstrings Sindrome” (lesione muscolare localizzata al compartimento posteriore di coscia).

La grande frequenza di lesioni in questa sede può dipendere, oltre che dai fattori biomeccanici, anche dalla

particolare innervazione degli ischiocrurali: infatti il ramo tibiale del nervo sciatico innerva i muscoli

semitendinoso, semimembranoso ed il capo lungo del bicipite femorale, mentre il capo breve del bicipite è

innervato dal ramo peroneo dello sciatico; questa diversa innervazione rende il capo breve del bicipite un

muscolo completamente separato e ciò è considerato "un fattore coinvolto nell'eziologia della lesione

muscolare" come descritto da De Lee e Drez.

ANATOMIA PATOLOGICA DELLE LESIONI MUSCOLARI

Nel danno muscolare, secondo un criterio anatomo-patologico ed in relazione alla componente tissutale lesa, si

possono considerare tre tipi di danno riguardanti:

1) lesione delle fibrocellule muscolari senza danno della matrice extracellulare, dell'irrorazione ematica e della

innervazione;

2) lesione delle giunzioni neuromuscolari (denervazione), che determinano la degenerazione delle

fibre muscolari, pur lasciando intatta la matrice extracellulare e l'irrorazione ematica;

3) lesione del tessuto muscolare e connettivale (secondo un trauma diretto o indiretto), con distruzione delle

fibre e della matrice extracellulare e perdita di irrorazione ematica ed innervazione.

Quando si verificano lesioni muscolari senza discontinuità, come accade in seguito a traumi di tipo contusivo

che danneggiano il tessuto muscolare, ma non ledono le strutture connettivali di supporto che circondano le

miocellue (guaine endomisiali), si avrà una rigenerazione detta isomorfica cioè con restituito ad integrum del

muscolo leso. La rigenerazione isomorfica avviene attraverso la produzione di nuove fibre muscolari: l)per

mitosi di mioblasti presenti nell'area della lesione e sopravvissuti ad essa; 2)per "l'invasione" nel tessuto

lesionato da parte di propaggini cellulari, provenienti dalle zone periferiche rimaste vitali, che formano nuove

fibre muscolari. Le nuove fibre muscolari si accrescono ad una velocità di circa 1,5 cm al giorno. La

reinnervazione riprende dagli assoni che invadono le zone necrotiche già dalle prime settimane, riformando le

placche motrici- II ruolo dell'innervazione è importante, poiché consente la maturazione della nuova fibra striata

e la sua differenziazione morfologica ed istologica tra fibre rapide e fibre lente. Lo spessore delle fìbrocellule si
completa nell'arco di 3 mesi: il quadro anatomico finale è quello di un muscolo normale. Quanto è stato appena

descritto, si può far corrispondere al caso in cui sia la matrice extracellulare che l'irrorazione ematica rimangono

intatte. Il quadro anatomo-patologico di più frequente riscontro pratico e clinico nelle lesioni da traumatologia

dello sport, è quello in cui il trauma, sia diretto che indiretto, comporta rottura di singole miofibre e/o

l'interruzione e la separazione di un numero variabile di fibre muscolari (fascicoli), e la rottura del tessuto

connettivale di sostegno. Di conseguenza vengono ad essere interessati i vasi ematici, in primo luogo i capillari,

quindi i vasi venosi e, in caso di trauma di maggiore entità, le arteriole. II versamento ematico, che

inevitabilmente si diffonde nel tessuto muscolare, può essere cospicuo e proporzionale all'entità della lesione

tissutale (e quindi vascolare) ed al flusso ematico. La lesione da trauma distrattivo può avvenire in qualsiasi

punto del ventre muscolare, ma, come si è constatato sperimentalmente, la sede maggiormente coinvolta è la

giunzione mio-tendinea. In realtà la lesione si produce nel muscolo in prossimità della giunzione muscolo-

tendinea, raramente sembra essere localizzata proprio nella giunzione. La minor resistenza di questa zona

sarebbe imputabile ad una variazione delle proprietà elastiche nei punti in cui le fibre tendinee si frammettono

agli elementi. miofibrillari. La variazione delle caratteristiche fìsiche del tessuto crea un “locus minoris

resistentiae” tra il tessuto muscolare ed il tendine, che di per sé è più solido ed in estensibile. In questa zona, la

struttura del tessuto di transizione non sarebbe sufficientemente elastica, ne abbastanza compatta da resistere ad

un'abnorme sollecitazione. II trauma contusivo, invece, pur potendo colpire una parte qualsiasi del muscolo,

interessa prevalentemente il ventre muscolare, che risulta più sporgente e, quindi, maggiormente esposto a

traumi di origine estema. Nelle lesioni muscolari con discontinuità, per via dell'interruzione delle fibre i

monconi muscolari si retraggono e, nel punto della lesione, si forma uno spazio che viene occupato da un

ematoma. Dai margini dei monconi retratti le fibrocellule muscolari rigenerate non troveranno le strutture

endomisiali integre. Di conseguenza, la rigenerazione avverrà in modo disordinato ed andrà ad occupare gli

spazi connettivali formatisi ad opera dei fìbroblasti. Si costituirà, quindi, una zona fibrosa di transizione, che

collega le estremità muscolari interrotte. Tale quadro rappresenta la rigenerazione anisomorfica che darà

origine poi ad una cicatrice fibrosa permanente.

Il versamento può rimanere nel ventre muscolare se l'epimisio è intatto (ematoma intramuscolare), diffondersi

invece al di fuori di esso in caso di lesione dell'epimisio (ematoma intermuscolare), o essere misto. L'ematoma è

definito come una raccolta patologica di sangue, generalmente di natura traumatica, al di fuori del letto

vascolare: Nel campo della patologia muscolare le dimensioni possono essere molto variabili e sono influenzate

da diversi fattori: entità e tipo di trauma, sede, quantità e qualità dei tessuti interessati, resistenza offerta dai

tessuti (che determina la possibilità di espansione del versamento), quantità di irrorazione ematica del muscolo

in quel momento (dipendente dall'entità dell'esercizio fisico e dalla vascolarizzazione della regione), capacità
coagulative del paziente, possibilità di interessamento di grossi vasi, soprattutto venosi, terapia instaurata e

rapidità di attuazione della stessa. L'ematoma intramuscolare, rimanendo localizzato all'interno del muscolo

(non si superficializza e viene di solito assorbito più lentamente), comporta un incremento della pressione in

loco, che limita un ulteriore stravaso ematico, ma può diastasare i monconi muscolari, ritardando ed ostacolando

il processo rigenerativo. Inoltre, sia l'ematoma che l'edema interstiziale che compare nelle regioni periferiche del

versamento ematico, determinando un incremento della pressione intratissutale, provocano un'ischemia locale

con possibilità di necrosi mioneurale, quale si riscontra nella sindrome compartimentale. Negli ematomi

intermuscolari ed in quelli misti, il versamento ematico si diffonde in senso distale per gravita, anche nel tessuto

sottocutaneo, affiorando in superfici in una o più sedi distanti dalla lesione. Ciò comporta una riduzione della

pressione nella sede della lesione, con possibilità di un prolungato sangumamento.

Conseguenza immediata della lesione vascolare e del versamento ematico risulta essere quindi uno stato

d'ischemia del tessuto muscolare privato della propria irrorazione.

L'ematoma misto è una conseguenza più grave poiché si sviluppa sia all'interno de! muscolo che al suo esterno.

L'ematoma ha diverse possibilità evolutive, a loro volta dipendenti da numerose variabili. L'evoluzione ottimale

più favorevole consiste nel completo riassorbimento dell'ematoma, nella ristrutturazione del tessuto muscolare

danneggiato, e quindi nel completo recupero funzionale che si esprime nella capacità dell'atleta di produrre un

lavoro muscolare equivalente a quello sviluppato prima dell'evento traumatico. Ecco quindi l'importanza di una

terapia adeguata in grado di favorire le fasi di guarigione in maniera tale che si discostino il meno possibile da

questo modello ideale.

Oltre alla formazione dell'ematoma, molti autori descrivono già in una prima fase una precoce reazione

infiammatoria, come dimostrato anche sperimentalmente su animali, sia con traumi contusivi che distrattivi.

L'intensità della reazione infiammatoria risulta essere correlata al tipo di trattamento sperimentale utilizzato per

indurre la lesione; essa è più marcata nei muscoli mobilizzati precocemente dopo il trauma e si risolve più

rapidamente con formazione di una maggiore quantità di tessuto cicatriziale rispetto ai muscoli immobilizzati.

La flogosi post-traumatica appare inoltre più intensa negli animali da esperimento in giovane età. Essa presenta i

caratteri della flogosi siero-fibrinosa ed è contraddistinta da vasodilatazione marcata ed iperemia della rete

vasale circostante la lesione con passaggio di plasma e di leucociti, per diapedesi, nel tessuto ischemico. In una

fase immediatamente successiva alla reazione infiammatoria, si verifica da un lato la moltiplicazione di elementi

fibroblastici e di cellule infiammatorie quali macrofagi e cellule plurinucleate, dall'altro la lisi delle fibre.

È da rilevare che la comparsa dei macrofagi e di cellule plurinucleate risulta tanto più precoce quanto meno

compromessa dal trauma è la rete vascolare. In animali da esperimento questa seconda fase può iniziare a partire

da 48 ore dopo la lesione.


Contemporaneamente alla fase infiammatoria viene descritta da tutti gli autori una fase di degenerazione

tissutale su base ischemica, il cui fine ultimo è quello di rimuovere il tessuto necrotico presente. Nel tessuto

muscolare ischemico si succedono due distinte fasi di degenerazione. La prima fase definita intrinseca è

caratterizzata da modificazioni propriamente cellulari, quali alterazioni di membrana, frammentazione dei

sarcomeri e dei mitocondri, picnosi nucleare; la seconda fase estrinseca è caratterizzata dalla frammentazione e

dalla digestione delle fibre muscolari degenerate ad opera di macrofagi, attratti per stimolo chemiotattico e

pervenuti attraverso neogittate vascolari o dai vasi residui. In seguito al trauma, infatti, tali fibre penetrano nella

massa necrotica dall'esterno verso l'intemo. Si può individuare, allo stesso tempo, l'inizio del processo

rigenerativo, che presenta molte analogie con il processo di sviluppo embrionale del tessuto muscolare, anche se

non possono essere considerati esattamente sovrapponibili. Entrambi sono indirizzati nelle varie fasi evolutive

dalle informazioni contenute nel patrimonio genetico; inoltre sia lo sviluppo che il processo rigenerativo sono

condizionati dall'ambiente molecolare e cellulare del tessuto interessato. È noto che il sito specifico in cui si

trovano cellule mesenchimali indifferenziate può condizionare la modulazione verso una linea cellulare
specializzata, quali osteoblasti o condrociti. Accanto all'azione macrofagica, si verifica l'attivazione e la
proliferazione delle cellule satelliti. Queste sono cellule mononucleate di forma fusata che si repertano tra la
fibra muscolare e la circostante lamina basale e che probabilmente rappresentano mioblasti i quali, durante lo
sviluppo embrionale, non si sono fusi in fibre muscolari multinucleate. Queste cellule sono in grado di resistere
ad un'ischemia temporanea. È stato dimostrato che le cellule satelliti sono precursori dei mioblasti nel corso
della rigenerazione. Le cellule satelliti si fondono in miotubuli sinciziali lungo il bordo interno della membrana
basale; essi inizialmente sono orientati in modo casuale e solo in un secondo tempo assumono una disposizione
parallela. I miotubuli cominciano a produrre una propria membrana basale, in alcuni casi direttamente
sovrapposta a quella originaria residua. Posseggono un'intensa basofilia citoplasmatica, espressione dell'intensa
attività sintetica ribosomiale di miosina, ed una catena centrale di nuclei. Progressivamente i nuclei tendono a
disporsi verso la periferia, mentre le proteine contrattili neosintetizzate, inizialmente disposte in fasci di
filamenti alla periferia del miotubulo, si addensano nella parte centrale, A questo stadio il miotubulo può già
essere considerato una neofibra muscolare.
Il processo rigenerativo segue una direzione centripeta, parallelamente all'avanzare delle neogittate vascolari, e
si accompagna anche ad una più o meno intensa attività fibroblastica, alla reinnervazione del neotessuto con il
ristabilirsi delle giunzioni neuromuscolari ed a modifiche qualitative e quantitative dei glicosamminoglicani
della matrice extracellulare.

Le variabili interdipendenti che giocano un ruolo importante nelle fasi riparative sono:
1) l'entità del danno muscolare ed entità e sede del versamento;
2) il tipo specifico di lesione anatomo-patologica;
3) la precocità e completezza della rivascolarizzazione;
4) il trattamento;
5) l'età del soggetto.
Fra le conseguenze negative di una sfavorevole evoluzione consideriamo:
1) la formazione di falde liquido (complicanza precoce);
2) la fibrosi cicatriziale;
3) la cisti siero-ematica;
4) la miosite ossificante
5) le calcificazioni.

DIAGNOSI

Momento fondamentale è la diagnosi di tali lesioni muscolari che, come detto, se giudicate di "minore entità",
possono decorrere misconosciute sino alla comparsa di un evento maggiormente lesivo, Ecco dunque la
necessità di una valutazione clinica e funzionale prima e dopo gli allenamenti.

ESAME CLINICO
L'esame clinico non può prescindere innanzitutto dalla raccolta dei dati anamnestici che permettono
già di indirizzare verso un meccanismo traumatico di tipo intrinseco o estrinseco. Successivamente
la presenza o meno di dolore, segni cutanei ed altri, rilevati con la visita, potranno ulteriormente
condurre verso un tipo specifico di lesione.

1) Contusione
I segni clinici sono legati alla sede di impatto, all'entità del trauma, ma oltre al dato anamnestico bisogna

ricercare la presenza di segni cutanei quali escoriazioni, ecchimosi, ecc. All’esame clinico si può evidenziare

una tumefazione nella sede di lesione, dovuta all'edema interstiziale ed allo stravaso emorragico oppure, quando

lo stravaso è di notevole entità, un ematoma può raccogliersi in sede sottofasciale o sottocutanea, producendo

una sacca fluttuante ed alterando il normale aspetto della zona sede della lesione. Se l'ematoma è profondo, la

tumefazione ha consistenza duro-elastica. Nei casi lievi, il corpo muscolare risulta edematoso ma integro, ed il

dolore può insorgere dopo un periodo di latenza, permettendo il proseguimento dell'attività. Nei traumi più gravi

il ventre muscolare può lacerarsi con retrazione dei capi di lesione, e formazione di uno spazio libero che viene

occupato dall'ematoma. In tal caso, il dolore è immediato, spontaneo, presente anche a riposo, aggravato dalla

palpazione locale e dalla contrazione attiva, la quale può esacerbarlo al punto da rendere impossibile la

percezione del sottostante solco. Nei giorni successivi si possono notare sulla cute le colorazioni ecchimotiche

sia in sede di lesione, sia a distanza, per spostamento e superficializzazione dell'ematoma lungo i piani di

clivaggio.

Ricordiamo che l'ematoma, che appare scuro nei primi giorni, tende ad acquistare un colore più chiaro, verde e
quindi giallo,nei giorni successivi per trasformazione dell'emoglobina in biliverdina quindi in bilirubina.

2) Contrattura

In caso di contrattura, il dato ananmnestico fondamentale è rappresentato dal fatto che l'atleta lamenta dolore,
anche di grado elevato, che coinvolge tutto il muscolo. La sintomatologia algica compare tardivamente, alcune
ore o, addirittura, il giorno dopo la cessazione dell'attività fisica. La sintomatologia dolorosa viene riferita
all'interno del ventre muscolare. All'esame obiettivo, il muscolo risulta diffusamente dolente alla palpazione; il
dolore non presenta un'elettiva localizzazione, risulta del tutto assente a riposo e compare, con elevata intensità,
durante la contrazione muscolare contro resistenza. Il soggetto può presentare un'importante impotenza
funzionale, cui di solito si associa un aumento di volume del muscolo, con frequente ipertono muscolare. Alla
palpazione il muscolo non presenta tumefazioni, nè ecchimosi immediate o tardive. Nella contrattura, il danno si
realizza soltanto a livello ultrastrutturale, senza apprezzabili lacerazioni delle fibre.
Inoltre, il muscolo appare francamente ipoestensibile. La sintomatologìa dolorosa regredisce in alcuni giorni, la
prognosi è assolutamente favorevole, sebbene una ripresa troppo precoce dell'attività può predisporre a lesioni
muscolari anche gravi.

3) Stiramento

Nel caso di stiramento muscolare, viene riferita la comparsa di dolore acuto durante l'esecuzione di un

movimento compiuto velocemente. Spesso l'intensità del dolore inizialmente non è tale da determinare

un'impotenza funzionale completa ed immediata. Tuttavia, continuando l'attività, la sensazione di fastidio

muscolare, di impaccio, di disagio aumenta sino a costringere il soggetto ad interrompere la prestazione fisica. Il

fascio muscolare interessato dalla lesione è ben identificabile ed appare come una zona palpatoriamente

ipertonica e dolente. Il dolore, presente anche a riposo, viene esacerbato da ogni tentativo di contrazione o

allungamento del muscolo interessato. L'impotenza funzionale antalgica presenta una durata variabile, e

solitamente si ha il ritorno ad una normale funzionalità entro 3-4 giorni. La ripresa dell'attività sportiva deve

però essere graduale, completandosi non prima di 10-15 giorni.

4) Strappo

Lo strappo muscolare provoca un dolore istantaneo, improvviso, violento e ben individuabile dal soggetto, con

immediata impotenza funzionale. Spesso, nei casi più gravi, lo strappo è accompagnato da un rumore di

schiocco udibile anche a breve distanza, percepito come la lacerazione di una corda o di un elastico. L'esame

clinico è raramente in grado di stabilire la reale entità della lesione. Nei casi di minor gravità (strappo muscolare

di primo grado), se la fascia superficiale resta integra, lo stravaso ematico è situato all'interno del muscolo e

l'ecchimosi può non essere visibile. In tal modo, una lesione di entità minima o localizzata in profondità, può
essere di difficile individuazione. D'altra parte, nelle lesioni più ampie e superficiali, la diagnosi cllnica è

agevolata dal rilievo di un'evidente discontinuità palpatoria. In caso di rottura deil'epimisio, lo stravaso ematico

diviene intermuscolare e l'ecchimosi può comparire più o meno tardivamente nelle zone declivi. Nei casi di

maggior gravità (strappo muscolare di terzo grado) si producono una tumefazione ed un solco palpabile,

colmato da una raccolta fluttuante, che successivamente, per parziale coagulazione, darà luogo ad un reperto

palpatorio di crepitio. In questi casi. Io stravaso è sempre cospicuo e l'ecchimosi compare precocemente nella

sede stessa della lesione, per poi diffondersi alle sedi declivi, con perdita del tono del muscolo interessato.

Occorre ricordare che la lesione parziale o totale del muscolo può interessare il ventre o l'inserzione miotendinea

con coinvolgimento dell'aponevrosi. Il dolore spontaneo tende comunque a regredire entro i primi 4-5 giorni, ma

può persistere sino anche alla dodicesima giornata ed oltre, specie se evocato dalla contrazione volontaria e

dallo stiramento del muscolo.

ESAME STRUMENTALE

L'iter diagnostico iniziato con l'anamnesi e l'esame clinico, prosegue con l'esecuzione di alcune indagini

strumentali scelte a seconda delle caratteristiche e dell'evoluzione nel tempo della lesione. Tra le varie indagini

l'ecografia costituisce certamente l'esame strumentale più accreditato ed utilizzato. Ha il vantaggio di essere una

tecnica valida per la sua rapidità nell'esecuzione, per la sua accuratezza nella risoluzione spaziale, per la

possibilità di confronto tra il dato clinico e l'immagine, È inoltre frequentemente accettata tra i pazienti sia per la

facilità e la comodità esecutive che per l'assenza di effetti collaterali (può essere utilizzata nei bambini e nelle

gravide). Risulta ormai ampiamente utilizzata per i bassi costi di esercizio rispetto ad altre metodiche di

indagine strumentale, consente infatti di monitorare la lesione nel tempo e di definire un adeguato programma

terapeutico; viene utilizzata poi come guida per procedure terapeutiche quali il drenaggio di un ematoma, un

prelievo bioptico o un'infiltrazione medicamentosa. Tra i suoi limiti ricordiamo la difficoltà nel definire le

strutture intra-articolari (ad es. i menischi), ma soprattutto la sua stretta dipendenza dall'operatore. L'indagine

Ecografica si basa sull'emissione di un fascio di ultrasuoni che esplora una sezione anatomica secondo una

frequenza caratteristica della sonda impiegata (per lo studio dei muscoli si utilizzano trasduttori di tipo lineare

con frequenze variabili dai 5 ai 7,5 Mhz) e consente di ottenere un'immagine registrando la riflessione

dell'energia acustica sulle interfacce che separano mezzi di diversa impedenza acustica. L'immagine ottenuta si

basa sulle proprietà dei diversi tessuti di riflettere il fascio ultrasonoro e di produrre echi la cui ampiezza è in

funzione della variazione di impedenza acustica. Sul monitor ciascun punto della scansione apparirà tanto più

brillante quanto più alta è l'energia retrodiffusa della struttura corrispondente. Per questo la debole energia

acustica che attraversa le strutture ossee o calcifiche viene totalmente assorbita determinando immagini tipo
strie brillanti (iperecogene) corrispondenti al profilo estemo della struttura. Viceversa formazioni liquide

vengono totalmente attraversate senza assorbimento e l'immagine che ne deriva sarà priva di echi (anecogena) e

cioè apparirà nera sul monitor. Tra queste due immagini esiste una vasta gamma di intensità di brillanza, tale da

consentire una rappresentazione piuttosto fedele delle caratteristiche istologiche del tessuto. Le principali

scansioni con cui si esplora il muscolo interessato sono sul piano assiale e su quello longitudinale, ma

fondamentale per una corretta visualizzazione delle strutture fibrillari e connettivali è mantenere la sonda

perpendicolare al piano muscolare in esame, al fine di non creare artefatti (aree di iper- o ipoecogenicità). Si

possono inoltre valutare questi tessuti sia in una fase statica che durante una prova dinamica (contrazioni attive

o passive), per meglio evidenziare o confermare la lesione. L' applicazione della metodica Ecocolordoppler

fornisce la possibilità di uno studio flussimetrico ed emodinamico delle strutture vascolari. In relazione a quanto

detto, l'ecografia trova ottima applicazione nella patologia traumatica muscolare, quale momento successivo

all'esame clinico, Essa, soprattutto in caso di traumi di minore entità che non determinano un evidente

sovvertimento strutturale, costituisce la guida per interpretare anche minime modificazioni del quadro

ecotomografico normale. Il muscolo appare delimitato da una stria iperecogena (epimisio); perimisio ed

endomisio sono evidenziabili anch'essi come linee iperecogene che si approfondano verso il piano osseo,

suddividendo il muscolo in fasci di vario ordine o in logge che possono contenere muscoli diversi, generalmente

più voluminosi i superficiali e più sottili quelli profondi. Nelle scansioni sui piani sagittali è perfettamente

riproducibile la tipica disposizione anatomica delle fibre muscolari, come muscoli pennati o semipennati, che è

costituita da una serie di linee iperecogene parallele, che mantengono il loro ordine sia in fase statica che

durante la prova dinamica. Nelle scansioni assiali, l'aspetto ecografico del muscolo appare granuloso e

puntiforme su di un fondo ipoecogeno. Talvolta si può apprezzare una sottile linea ipoecogena fra le guaine

connettivali iperecogene di due masse muscolari voluminose e contigue, che rappresenta il piano di clivaggio su

cui scorrono i muscoli durante le loro fasi di contrazione e di rilassamento. II margine osseo è dimostrabile

quale regolare linea di iperecogenicità. Un altro importante aspetto da tenere in considerazione nella valutazione

ecografica della patologia traumatica muscolare, è la variabilità dell'immagine che si ottiene in rapporto alla

distanza temporale dal trauma. Spesso nelle fasi precoci (24-48 ore dal trauma) e specialmente nei traumi di

minore entità, l'esame può risultare negativo, e solo attraverso un controllo successivo si potranno identificare le

lesioni che si manifestano tardivamente e che presentano imbibizione edematosa o piccolo versamento ematico,

come nella semplice contusione senza lesioni anatomiche (lesione di I grado); la contusione media o grave

(lesione di II o III grado) può mostrare, all'ecografia, un aspetto eterogeneo: ipoecogeno diffuso con

tumefazione delle fibre muscolari e aponevrosi sollevata per l'edema miofibrillare, un aspetto emorragico

diffuso o un ematoma franco. Nel caso della contrattura muscolare, dove non sono presenti soluzioni di
continuità delle fibre o alterazioni morfologiche importanti, l'unico reperto incostante rilevabile con l'ecografia è

costituito da un lieve allargamento delle fibre che rendono omogeneamente più brillante (iperecogeno) l'intero

ventre muscolare. Nel caso in cui, seppur senza rottura di fibre, e quindi senza sensibili alterazioni

dell'ecostruttura muscolare, si sia prodotto uno stiramento muscolare, il tratto di muscolo interessato è ben

localizzabile dal paziente e ben identifìcabile all'obiettività clinica. Tale zona viene spesso individuata

all'esplorazione ecografica come una piccola area iperecogena, ben delimitata, espressione di imbibizione

edematosa e di sofferenza muscolare. Altre volte, specialmente quando l'indagine viene eseguita tardivamente,

questa area può presentarsi ipoecogena rispetto al tessuto circostante, ed è possibile dimostrare una discontinuità

delle fibre muscolari in quel punto, con la presenza di microemorragie. Nel caso di strappo muscolare,

l'identificazione della lesione con l'ecografia risulta molto più agevole. Nello strappo di I grado l'ecografìa, in

fase iniziale, mostra per lo più aspetti simili a quelli dello stiramento, che si traducono in un'iperecogenicità

localizzata, che però sottende ad un'irregolarità delle eco, dovuta al versamento e al sovvertimento strutturale

del muscolo nel punto di lesione. In fase successiva (3°-4° giornata) il reperto incostante della presenza di aree

ipo-o anecogene più o meno piccole all'interno del focolaio di lesione o in posizione più declive, depone per la

presenza di uno stravaso emorragico. Ciò contribuisce a rendere l'immagine disomogenea ed a far perdere il

tipico aspetto "pettinato" del muscolo normale. Nel caso di strappo di II grado, il sovvertimento strutturale

ipoecogeno appare più evidente, coinvolgendo un numero maggiore di fibrocellule muscolari rispetto alla

lesione di I grado. Si associano raccolte ematiche con rinforzo di parete posteriore circondate da edema

interstiziale delle fibre, interrotte o scompaginate.Il versamento emorragico intra- o inter-muscotare può

raccogliersi a "falda" tra due ventri muscolari e assumere dimensioni notevoli. Come già detto, nel caso delle

lesioni da strappo di II grado la diagnosi fondamentale dell'entità della lesione, ovvero del numero di fibre

coinvolte, viene data dallo studio ecografico, che, dopo un esame clinico non perfettamente dirimente ai fini di

un corretto trattamento riabilitativo, permette di porre un adeguato inquadramento clinico, terapeutico e

prognostico. Lo strappo di III grado, per la sua stessa vastità e per l'abbondanza dell'ematoma, non pone di solito

dubbi diagnostici: si apprezza a monte e a valle la retrazione dei due monconi muscolari che appaiono più

ecogeni per affastellamento di fibre le une sulle altre, nel tratto intermedio vi è una vasta zona ipo- o anecogena

per la presenza dell'ematoma. E tipica l'immagine a "batacchio di campana" che si viene a formare nel muscolo

in contrazione (le fibre retratte contrastano perfettamente con l'ematoma sottostante). L'ecografia consente anche

di seguire l'evoluzione immediata e a distanza delle lesioni, mediante immagini successive. Si è detto che nelle

prime ore dal trauma il quadro ecografico può essere negativo o caratterizzato da un'iperecogenicità localizzata.

In questa fase risulta difficile quantificare la lesione e determinare la presenza o meno di stravasi emorragici. A

circa 48-72 ore di distanza dal trauma, la raccolta ematica si rivela come un' area anecogena contenente, talora,
eco irregolari dovuti alla presenza di piccoli frammenti di tessuto muscolare o di coaguli. In questa fase risulta

più agevole la definizione delle strutture interessate e la quantificazione del danno muscolare. Successivamente,

mano a mano che si instaurano i fenomeni riparativi, si ha una progressiva riduzione dell'area anecogena ed una

demarcazione dei limiti della raccolta, che progressivamente diminuisce di volume, regredendo gradualmente

come avviene di solito nei casi ad evoluzione favorevole. La comparsa di connettivo neoformato e l'evoluzione

verso una cicatrice fibrosa si evidenziano già tra la 15° e la 30° giornata dalla lesione, sotto forma di un'area

iperecogena che costituisce un reperto ormai stabilizzato nel tempo. In alcuni casi l'iter diagnostico si avvale di

altre metodiche d'indagine, oltre all'ecografia, per meglio definire le caratteristiche e la localizzazione della

lesione, ma anche per escludere la presenza di patologie associate o di ulteriori complicanze (radiografia

tradizionale, T.A.C,, R.M.N.). La Risonanza Magnetica Nucleare, nonostante i costi assai elevati, risulta

particolarmente indicata per il rilevamento di eventuali focolai emorragici in fase acuta, per lo studio di muscoli

profondi e difficilmente accessibili mediante l'ecografia, quali l'ileopsoas o i muscoli più profondi della loggia

posteriore della gamba, oppure per una migliore definizione anatomica in caso di strutture a carattere espansivo.

Per contro, si ritiene che l'ecografia resti l'indagine d'elezione per la localizzazione di aree di fibrosi cicatriziale

post-traumatiche ed il loro conseguente monitoraggio, a costi sempre contenuti.

TRATTAMENTO DELLE LESIONI MUSOLARI

Il trattamento delle lesioni muscolari è volto al recupero della forza e dell’estensibilità del muscolo: essa è molto

importante per la riparazione e per la prevenzione di una recidiva, in quanto un muscolo corto e rigido è più

suscettibile agli strappi.

Giorni 1-5 dopo la lesione

Per i primi 3-5 giorni dopo la lesione, l’obiettivo del trattamento è il controllo dell’emorragia, della tumefazione

e del dolore. In questa fase viene utilizzato il programma “RICE” (riposo, ghiaccio [ice], compressione,

elevazione).

Qualsiasi arco di movimento (ROM) viene aumentato con cautela e gli esercizi per la forza vengono proposti

con gradualità fino al ritorno all’attività. Possono essere necessari da molti giorni a settimane, a seconda della

gravità della lesione, del livello di competizione e delle attività previste

per l’atleta. I due processi contrastanti che il medico deve gestire sono la rigenerazione muscolare e la

produzione di tessuto connettivale.


L’obiettivo è di massimizzare la rigenerazione muscolare e ridurre al minimo la formazione di tessuto

connettivale denso e rigido.

• Riposo

E’ stato dimostrato che un periodo relativamente breve di immobilizzazione è utile per limitare la formazione di

tessuto connettivale cicatriziale nel sito della lesione. La durata ideale dell’immobilizzazione non è chiara, ma la

letteratura in genere raccomanda meno di 1 settimana.

Le mobilizzazioni controllate (guidate dal sintomo dolore) hanno inizio dopo 1-5 giorni di immobilizzazione:in

tal modo si favoriscono una migliore rigenerazione e un miglior allineamento delle fibre muscolari lese.

In laboratorio si è visto che il muscolo colpito torna a essere in grado di assorbire le forze abituali dopo 7 giorni:

prima è più suscettibile alle recidive. Nella fase acuta nei pazienti con una lesione di II e III grado va consigliato

il riposo a letto, ma l’immobilizzazione completa è sconsigliata.

La mobilizzazione precoce è importante,ma deve essere progressiva e controllata.

• Ghiaccio [ice].

Il ghiaccio deve essere applicato immediatamente per diminuire l’infiammazione e l’edema.

L’effetto fisiologico del ghiaccio è utile per il processo di guarigione e permette un più precoce ritorno

all’attività.Il ghiaccio deve essere applicato sui muscoli avvolto in una borsa di plastica e posto direttamente

sulla parte muscolare lesa con un bendaggio.Di solito, lo si mantiene in posizione per 20-30 minuti e lo si

riapplica 2-4 volte al giorno o ogni 2 ore per le prime 48-72 ore.

• Compressione.

Viene applicata una lieve compressione con un bendaggio applicato alla coscia. Non esistono studi che

confermino l’efficacia del bendaggio isolato nel trattamento delle lesioni muscolari.

• Elevazione. Per ridurre l’edema e favorire il ritorno dei fluidi verso il cuore, il soggetto deve tenere l’arto

sollevato al di sopra del cuore, 2-3 volte al giorno appena è possibile.

• Farmaci antinfiammatori.

L’unica controversia sull’uso di questi farmaci riguarda i tempi di somministrazione.

Alcuni autori raccomandano di usare di questi farmaci fin dall’inizio e di sospenderli dopo 3-5 giorni. Altre

ricerche indicano che l’uso di antinfiammatori interferisce con la chemiotassi cellulare necessaria per la
formazione di nuove cellule muscolari, per cui vi potrebbe essere un’inibizione della risposta rigenerativa.

Questi studi suggeriscono di posticipare la somministrazione

di antinfiammatori al 2° o 4° giorno dopo l’infortunio. Riteniamo più opportuno usare i farmaci antinfiammatori

a partire dal 3° giorno e sospendendoli al 6° dopo l’infortunio.

Trattamento generale e obiettivi della riabilitazione

Il trattamento è volto al recupero della forza e dell’estensibilità delle unità muscolari.

Anche nel primo periodo dopo la lesione l’attenzione è rivolta a iniziare una leggera attività muscolare per

prevenire l’atrofia e promuovere la guarigione.

Poiché la mobilità inizialmente è inficiata dal dolore, all’inizio è meglio usare esercizi isometrici, usando

contrazioni isometriche submassimali (ad es., 2-3 serie di 5 ripetizioni, 5 secondi di contrazione, con 15-20° di

incremento).

Bisogna prestare attenzione a limitare la tensione muscolare per evitare il rischio di recidive.

Con il miglioramento della mobilità e del dolore, gli esercizi isometrici vengono sostituiti con esercizi isotonici

con pesi leggeri, incrementabili di 0,5 kg al giorno.

Questo programma prevede l’uso di contrazioni concentriche senza dolore. L’attività eccentrica deve essere

evitata per prevenire un eccesso di tensione nell’unità muscolare.

Quando il paziente non manifesta più dolore durante il programma di rinforzo da posizione prona, si dà inizio a

esercizi isocinetici ad alta velocità e bassa resistenza. Vengono usate macchine che richiedono solo contrazioni

concentriche. Gli esercizi isocinetici vengono incrementati secondo tolleranza fino a includere esercizi a più alta

resistenza e più bassa velocità.

Per il condizionamento aerobico vengono utilizzati gli esercizi per gli arti inferiori e per la parte superiore del

corpo.

Quando il paziente cammina normalmente con minimo dolore e una buona forza muscolare, si applica un

programma di cammino su percorsi con una progressione da cammino a jogging.

Per ottenere informazioni sulla forza, sulla simmetria della forza e sul grado di deficit residuo nella forza degli

ischiocrurali vengono usati i test isocinetici. La decisione finale è basata sui parametri clinici e sul progresso

dell’atleta nelle attività funzionali.


Stretching dopo la lesione

Lo stretching per evitare la perdita di estensibilità è una parte importante del trattamento della lesione. Uno

stretching attivo cauto viene utilizzato inizialmente per arrivare poi a uno stretching passivo statico fino a dove

concesso dal dolore. Worrell (1994) ha enfatizzato l’utilità dello stretching e minimizzato il vantaggio offerto

dalle tecniche propriocettive di neurofacilitazione muscolare (PNF) rispetto allo stretching statico;altri operatori

preferiscono invece le tecniche di PNF per guadagnare e mantenere l’estensibilità.

TERAPIA FISICA

Il trattamento dovrà quindi essere integrato con trattamenti fisici per la prevenzione delle aderenze,per

minimizzare i tempi di guarigione anatomica e per favorire il recupero funzionale.

1) IONOFORESI – svolge un ruolo molto importante per la somministrazione di farmaci

antinfiammatori,analgesici,isoorientanti e fibrinolitici(5-15 mA per 15-30 minuti)

2) ULTRASUONOTERAPIA – che facilita la rimozione dei cataboliti ( 5-3 Watt/Cm 2 per 10-15 minuti)

3) MAGNETOTERAPIA – migliora la vascolarizzazione

4) IDROMASSAGGIO E MASSOTERAPIA – dapprima lontano dal focolaio e comunque non prima di

15 giorni dall’evento acuto,successivamente anche sul focolaio cicatriziale,per favorire un migliore

rimodellamento del tessuto durante la riparazione.

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