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CHIRURGIA VASCOLARE

Esame obiettivo vascolare


Obiettivo della storia clinica

Colloquio con il paziente-----> ipotesi diagnostica

L’esame obiettivo serve anche a vedere qual è il rapporto tra l’ipotesi diagnostica e l’evidenza clinica.
Esame clinico dell’apparato vascolare per stabilire la presenza e la qualità dei polsi periferici e stabilire la
presenza o l’assenza di questi riscontri: aneurismi, soffi, segni di ischemia, segni di patologia venosa.
La valutazione del circolo di willis all’esame obiettivo è difficile, si possono valutare la carotide o la
succlavia, le arterie dell’arto superiore, quindi la succlavia, l’ascellare, la brachiale, la biforcazione
brachiale e il circolo della mano.
L’esplorazione della vascolarizzazione dell’arto inferiore prevede la valutazione della femorale comune;
Sono facilmente esplorabili con le mani la tibiale posteriore, anteriore e pedidea. La peroniera che ha un
decorso intraosseo ,cioè tra tibia e fibula ,è impossibile da sentire.

I polsi :
1. La proiezione su cui andare a sentire la pedidea o dorsale del piede ( dorsalis pedis in
latino) sarebbe sulla linea che unisce la linea di mezzo della linea bimalleolare al primo
spazio interfalangeo.
2. Su questa linea di intersezione tra il primo spazio e la metà della linea bimalleolare
dovremmo trovare la tibiale anteriore. In realtà non è sempre cosi perché nel 25 % dei casi
la tibiale anteriore non la sentiamo perché si sfiocca alta , per cui sotto alla linea
bimalleolare non la troviamo . Comunque nella maggior parte dei casi muovendoci un po'
sul dorso del piede riusciamo a sentire qualche vaso.
3. Tibiale posteriore: posteriormente alla faccia mediale del malleolo mediale.Se è la tibiale
posteriore sinistra ci mettiamo al lato sinistro del paziente, perché la mano va uncinata e in
caso contrario la posizione sbagliata va a ridurre la sensibilità dei polpastrelli delle dita.
4. Arteria poplitea: si sente nel cavo popliteo, tra l’inserzione dei due gemelli e i muscoli
posteriori della coscia. C’è questo spazio romboidale e in mezzo sentite la poplitea. Va
sentita sul lato destro o sinistro a seconda che dobbiamo sentire la destra o la sinistra.
Mettere le due mani giungendo le dita tra di loro e poi spingete dentro, così sentire l’arteria
che però talvolta, soprattutto nelle persone sovrappeso, è difficile da sentire.
5. Femorale comune: si palpa lungo la bisettrice del triangolo di scarpa; la bisettrice del
triangolo di scarpa è il legamento inguinale, la linea che congiunge la spina iliaca antero-
superiore al tubercolo del pube. Si divide in tre questa linea e il polso si palpa all’unione tra
il segmento più mediale e quello centrale. Si sente mettendo la mano a piatto e spingendo
verso l’addome, verso il legamento, non verso il basso.
6. Aorta: davanti alla colonna vertebrale, spostata un po' medialmente . Se si considera
l’ombelico ci mettiamo a destra del paziente ,andiamo dopo la linea mediana, superiamo
l’ombelico e approfondiamo le mani; andando in profondità a un certo momento sentiremo
la pulsazione dell’aorta. Deve essere un addome compiacente. Quando c’è l’aneurisma, per
avere un’idea di quella che potrebbe essere la dimensione dell’aneurisma la mano destra va
a uncinare la parete laterale sinistra dell’aorta ( voi state sulla destra) e a quel punto con la
mano sinistra andate in regione pararettale e affondate la mano sinistra andando verso la
destra e sentirete l’altra parete. La distanza che avete tra le due mani, dove sentite
l’espansione , non è il volume esatto dell’aneurisma, dato che ci sono cute, sottocute ecc ,
però almeno vi dà un’idea . In genere quando voi sentite un’aorta normale la sentite con una
distanza di circa 4 cm tra le vostre mani; quando invece c’è un aneurisma può arrivare anche
a 10 cm.
7. Arteria succlavia : ci sono due posizioni in cui si può sentire l’arteria succlavia. Una è
quella in regione sopraclavicolare: mettendo la mano lì sentite sotto le dita la pulsazione
della succlavia. Questa si può anche sentire un po' più distalmente quando sta quasi
diventando ascellare, da qui scende e diventa omerale.
8. La carotide si sente sul margine interno, mediale dell’inserzione dello
sternocleidomastoideo, che poi tra l’altro è la linea di sezione chirurgica che noi facciamo
nella preparazione chirurgica della carotide stessa.

Nell’ischemia acuta tipica di un piede la demarcazione è netta, con una parte rosea e una bianca,
cerea.

Nell’ischemia cronica la valutazione di pelle, letto ungueale, follicoli piliferi e ghiandole sebacee
già dà un indice per la diagnosi. Infatti in questo caso non si trovano l’apparato pilifero, le
ghiandole sebacee, si trova il letto ungueale che può essere anche cianotico o anche lesioni
ungueali; anche la cute può avere delle caratteristiche diverse.

Si valuta il tempo di riempimento medio. Questo è un vecchio sistema, arcaico ma che comunque
mi dà idea di quella che è la funzionalità del sistema arterioso. Si prende un dito e da una parte
chiudete la vena, strisciando in basso l’altro dito , 4 – 5 cm e tenete stretto. Poi a quel punto
rilassciand si vede il riempimento della vena . A seconda del tempo del riempimento venoso si ha
un’idea della condizione del sistema arterioso. Se il sangue arriva bene il tempo è di una frazione di
secondo. Ma se si fa questa manovra nel paziente arteriopaticosi vede che prima che si gonfi quella
vena passano 5-8 secondi.

Nell’ischemia cronica un altro dato importante è rappresentato dal fatto che se si prende l’arto e lo
si solleva, questo si impallidisce, diventa bianco. Questo perché siccome il paziente in quella
posizione non riesce a spingere una grossa quantità di sangue per cui il sangue arterioso non arriva,
quello venoso defluisce ancora meglio e quindi diventa bianco.
Dall’altra parte invece i pazienti arteriopatici ai terzi stadi, che sono quelli che hanno il dolore a
riposo, assumono posizioni coatte ( piedi fuori dal letto ); l’edema in realtà è responsabile della
colorazione bluastra, rosso cianotico. Questo lo fanno perché in questo modo riescono ad estrarre
maggiori quantità di ossigeno anche dal sistema venoso; è una posizione antalgica che il paziente
assume.
Se la lesione ostruttiva progredisce si arriva all’ultimo stadio, quello delle lesioni necrotiche.

La differenza tra ulcera arteriosa e ulcera venosa. In questo caso già con la sola ispezione si riesce
a fare la diagnosi:
 In genere le ulcere arteriose hanno una localizzazione distale, sono dolorose, non c’è il
polso e la situazione è diversa rispetto all’arto controlaterale.
 Le ulcere venose in genere hanno localizzazione a livello malleolare, difficilmente danno
dolore , la lesione è totalmente irregolare e i polsi sono presenti. Anche in questo caso ci può
essere differenza tra i due arti.
 Le ulcere neurologiche sono totalmente diverse.
Esistono due forme di gangrena:
- In quella umida c’è una superinfezione batterica, sono caratterizzate dal fatto che c’è
chiusura dell’arteria ma non della vena, c’è una stasi ematica e il tessuto si infetta. La
complicanza della gangrena umida è chirurgica : la gangrena gassosa. Il paziente muore a
meno che non si fa un’amputazione di coscia più alta possibile.
- in quella secca c’è una mummificazione vera e propria in quanto c’è chiusura sia delle
arterie che delle vene. Complicanza della gangrena secca è la separazione nel tempo
dell’escara può lasciare posto ad un’autoamputazione.

Sindrome del dito blu; è un evento particolare cioè un’ischemia parcellare , piccola . E’ una
gangrena secca in presenza dei polsi arteriosi. E’ dovuta ad una microembolia periferica. Il
paziente ha dolore perché di fatto è un’ischemia acuta.

Metodi di esecuzione dell’esame obiettivo:


 Temperatura della stanza deve essere corretta
 posizione corretta della gamba
 rispetto della privacy del paziente
 il paziente deve stare supino su un tavolo,
 quello che esaminate deve essere scoperto
 far capire al paziente cosa stiamo facendo, in maniera tale da renderlo più compliante.

EMBOLIA ARTERIOSA
L’embolia arteriosa è una condizione morbosa caratterizzata dalla presenza nella corrente sanguinea
arteriosa di materiali estranei, di variabile dimensione, differente natura (solida, liquida, gassosa),
che finiscono nell’occludere un vaso determinando un ostacolo in quel territorio vascolare. Grasso,
aria, cell neoplastiche, corpi estranei costituiscono causa di embolia.
EZIOLOGIA:
1. ORIGINE CARDIACA
La trombosi primitiva può avere sede sia nell’atrio sx che nel ventricolo sx.
Nell’atrio sx la trombosi parietale si forma per la STASI da stenosi della mitrale, insuff. Cardiaca,
fibrillazione atriale (possono coesistere). Altri fattori che intervengono nella trombosi sono i
processi flogistici endocardici. Una trombosi parietale ventricolare segue a breve o lungo termine
un infarto del miocardio; nella zona infartuata si realizzano tre eventi: alterazione parietale,
rallentamento, turbolenza del moto del sangue.
Anche la stenosi aortica è responsabile di embolia arteriosa. Embolia settica: legata alla patologia
valvoare, formazione di emboli micotici da endocardite batterica che possono dare infarti settici e
aneurismi micotici
2. ORIGINE ARTERIOSA
Fenomeni embolici a partire da:
 Aneurisma aortico o periferico dalla cui sacca, parzialmente trombizzata, si distaccano
frammenti trombotici
 Placche ed ulcere ateromasiche
 Altre lesioni della parete arteriosa
Altro tipo di eziologia dell’embolia è quella originatasi dal territorio venoso profondo di un arto,
attraverso una comunicazione interatriale persistente, che perviene al circolo arterioso: EMBOLIA
PARADOSSA.
SEDI DI EMBOLIA E FISIOPATOLOGIA
L’arto inferiore è colpito in percentuale più alta dato che continua direttamente con l’albero
aortico.
Localmente i fenomeni che si succedono dal momento dell’arresto dell’embolo nell’arteria possono
essere riassunti:
1. STADIO I: presenza dell’embolo induce uno stato di vasocostrizione del territorio interessato a
cui consegue...
2. STADIO II: riduzione di calibro dei vasi collaterali più vicini.
3. STADIO III: diminuzione della velocità di circolo determina a valle dell’embolo una trombosi
secondaria
4. STADIO IV: la trombosi secondaria si estende ai vasi collaterali
La presenza dell’embolo provoca 2 conseguenze capaci di contribuire alla comparsa di trombosi:
diminuzione della velocità di circolo e caduta pressoria nel territorio arterioso a valle.
All’esame istologico della lesione si evidenziano:
- focolai di infiltrazione leucocitaria
- infiltrazione di polimorfonucleati
- edema e sfaldamento dell’intima
L’embolo, una volta occupato il lume vascolare, si fissa alla parete per una piccola parte della sua
circonferenza. Attorno all’embolo si forma il trombo, dapprima molle e scarsamente aderente; alla
presenza del corpo estraneo la parete risponde con proliferazione reattiva occupando gradualmente
con tessuto di degranulazione la massa di fibrina, che così si organizza e diventa più dura ed
aderente.
Rispetto alla localizzazione embolica, la trombosi può procedere sia prossimalmente che
distalmente.

TROMBOSI ARTERIOSA ACUTA (TAA)


Processo di coagulazione intrarteriosa che si instaura acutamente: al contrario di quanto avviene per
le embolie, il materiale ostruente non perviene da un territorio lontano ma si forma in loco.
Conseugenza del danno parietale preesistente, la maggior parte di TAA insorge su un’arteriopatia
cronica ostruttiva.
EZIOLOGIA
 INFIAMMATORIA (tromboangioite obliterante, arteriti)
 Degenerative (arteriosclerosi, diabete)
 TRAUMATICHE
 EMATOGENE (policitemia...)
 MISCELLANEA

PATOGENESI
Triade di Wirchow:
1. modificazione parete vascolare. Fattori responsabili di lesione:
 Ipertensione
 Ipercolesterolemia
 Immunocomplessi circolanti
 Fumo
 Endotossine
 Virus
 Piastrine aggregate
 Leucociti
 Ormoni (estrogeni)
2. modificazioni locali del flusso ematico: turbolenza, rallentamento che comporta la riduzione
del flusso sui fattori attivati della coagulazione. Ci sono una serie di fattori che permettono di
contrastare lo sviluppo del trombo (attivatori della fibrinolisi).
3. modificazione della composizione del sangue. L'ipercoagulabilità può essere:
- genetica è generalmente causata dalla presenza di mutazioni puntiformi localizzate sui geni
che codificano per il fattore V della coagulazione e per la protrombina.
- acquisita, invece, può verificarsi a causa di svariati fattori, fra cui ricordiamo:
 Aumento dei livelli di estrogeni (ad esempio, durante la gravidanza o per via
dell'assunzione di contraccettivi orali): l'aumento di questo tipo di ormoni, infatti,
potrebbe indurre un incremento della sintesi epatica di fattori della coagulazione
riducendo la sintesi di  antitrombina III;
 Presenza di alcuni tumori maligni;
 Deficit proteina C e S
 Sindrome nefrosica
 Fumo di sigaretta;
 Obesità;
 Sindrome  da  trombocitopenia  indotta da  eparina: si tratta di una particolare sindrome
che si sviluppa in alcuni pazienti in terapia anticoagulante a base di eparina non
frazionata e che porta alla comparsa di uno stato pro-trombotico.
 Sindrome da anticorpi antifosfolipidi.
Sotto l’aspetto morfologico si parla di:
-TROMBI SEMPLICI: una sola componente (piastrinica o fibrinica)
-TROMBI COMPLESSI: piastrine, fibrina, eritrociti.
Il trombo venoso è quasi sempre occludente ed è formato da strati sovrapposti di fibrina con alto
contenuti di eritrociti.
Destino del trombo: dipende dall’organizzazione fibrosa e dalla lisi. Molto raramente scompare
totalmente, con > frequenza va incontro ad organizzazione quando la massa viene sostituita da
connettivo e neoformazione vascolare.

ISCHEMIA CEREBRALE – INSUFFICIENZA CEREBROVASCOLARE


Il termine riassume i vari aspetti della riduzione del flusso ematico celebrale, con ripercussioni
funzionali legate allo squilibrio tra richiesta metabolica e disponibilità di sangue.
La riduzione del flusso può verificarsi in forma acuta o cronica e può essere di tipo globale in
presenza di ipotensione arteriosa o di caduta della gittata cardiaca, oppure di tipo focale quando la
causa è un’embolia, una trombosi acuta o una stenosi emodinamica di un’arteria intracranica.
Il flusso al cervello (rimane costante a 50 ml/100 g di tessuto) è garantito per l’80% dalle carotidi
e per il 20% dalle arterie vertebrali tributsrie dl circolo intracranico posteriore.
Flusso cerebrale = Resistenze cerebro vascolari x pressione di perfusione cerebrale (può variare da
60 a 160 mmHg)
Perché un pz asintomatico deve essere operato quando presenta una lesione aterosclerotica che
comporta una riduzione > del 70% del lume in quanto a questo livello il flusso da laminare diviene
turbolento comportando quindi una riduzione della portata di flusso a valle della stenosi
Esistono 2 ipotesi per quanto riguarda qualsiasi tipo di aterosclerosi, cioè sia se parliamo di carotidi
sia se parliamo di arteropatia degli arti inferiori:
1. Insulto endoteliale: l’endotelio è importante per l’omeostasi
vasale. Le cellule poligonali dell’intima sono a diretto
contatto con il flusso sanguigno, che è costituito da una parte
liquida e una parte corpuscolata. Tutte queste cellule non si
attaccano tra di loro perché hanno la stessa carica, per cui si
respingono (come le calamite). Quindi fino a quando c’è una
integrità endoteliale in realtà non c’è nessuna lesione tra
parte liquida e corpuscolata del sangue e l’endotelio stesso o
quello c’è sotto l’endotelio, il quale protegge la media.
Ci sono sostanze prodotte e fattori che possono creare alterazioni
dell’endotelio stesso, che sono (vedi slide):
 stress meccanico
 fattori metabolici
 sostanze vasoattive.
Tutto ciò alla fine crea danno e desquamazione endoteliale aprendo le maglie dell’endotelio e
quindi “superficializzando” ciò che sta sotto l’endotelio, cioè la tonaca media, che purtroppo ha
carica opposta agli elementi corpuscolati. Cosa comporta ciò? Quando c’è l’esposizione dei tessuti
sottoendoteliali, si ha l’aggregazione piastrinica e una proliferazione cellulare da una parte, e
dall’altra parte il rilascio del fattore PDGF e la deposizione lipidica; perciò il punto iniziale d’
attacco della placca è proprio la regione sottointimale. Proprio lì si forma la placca primitiva che
poi con tutto ciò che arriva (colesterolo ecc.) si ingrandisce.
2. Disfunzione dell’ endotelio: l’ endotelio non è più in grado di creare un’ emostasi perfetta
tra produzione e liberazione di sostanze che hanno effetti contrastanti tra di loro. In realtà
non dobbiamo dimenticarci che fisiologicamente l’endotelio ha una potentissima azione
antitrombotica, medianti inibitori dell’aggregazione piastrinica che sono
fondamentalmente il TRF e le PROSTACICLINE. Le prostacicline però, hanno anche un
effetto vasodilatatore e l’azione vasoregolatrice, come abbiamo detto, avviene nell’
endotelio tramite vasodilatatori (prostacicline) e vasocostrittori (angiotensina II,
adenosina, endotelina). Quindi se noi abbiamo un’alterazione di questo equilibrio cosa
succede? Si ha un aumento della permeabilità delle cellule endoteliali alle lipoproteine a
bassa densità, aumento della percentuale di replicazione, lo sviluppo di attività
protrombotica, alterazione dell’interfaccia lipoproteica e infine adesione ed ingresso di
piastrine, monociti e neutrofili. Quindi tutto questo ci fa sottintendere che alla base del
processo aterosclerotico ci siano fenomeni infiammatori (aspecifico specifico ancora non si
sa). Si discute molto, ma in realtà non vi è dubbio che il processo infiammatorio esista e lo
dimostra tutto ciò. Ci sono altre sostanze che interagiscono nell’eziopatogenesi delle
placche, tra cui i leucotrieni (non serve essere così precisi).
La lesione aterosclerotica normalmente si forma sulla parete opposta alla divisione di flusso in
corrispondenza delle biforcazioni dei vasi. Questo perché è proprio sulla parete di flusso in cui
c’è la minore velocità che i fenomeni di turbolenza di flusso si fanno risentire maggiormente.
Quando il flusso diventa turbolento, la velocità si abbassa e quindi si ha l’attivazione di quei sistemi
e fattori di Virchow (danno endotelio, rallentamento flusso e ipercoagulabilità), che sono
responsabili dell’attivazione della coagulazione in quella zona. Un altro fattore, che alcuni autori
credono possa avere una sua influenza sulla inizializzazione della placca aterosclerotica, è
l’OSCILLAZIONE DEL FLUSSO: Il flusso pulsato può dare delle variazioni dello share stress
sia in sistole che in diastole, provocando un allontanamento delle cellule poligonali endoteliali.
Questo allontanamento provoca un “denudamento” della tonaca media; quindi anche questo è un
cofattore, insieme agli altri, per l’insorgere della placca.

IRRORAZIONE CEREBRALE
-CAROTIDE COMUNE DI DX dal tronco brachiocefalico
-CAROTIDE COMUNE SX dall’arco aortico
Dalla biforcazione carotidea: carotide ex, fornisce la quota più efficiente di circoli collaterali (punto
di repere per diversi nervi tra cui il laringeo sup); carotide interna.
-A. VERTEBRALE: primo ramo ascendente della succlavia
-POLIGONO DI WILLIS: da arterie celebrali posteriori (circolo post.), che nascono dalla
basilare e dalla carotide interna con i due rami terminali, la celebrale media e anteriore (circolo ant)
I circoli sono in comunicazione tramite i rami comunicanti post e ant.
EZIOLOGIA
ATEROSCLEROSI (causa più comune)
Processo degenerativo multifattoriale che interessa principalmente i vasi carotidei dove determina
una stenosi emodinamicamente significativa (>70%). Composizione placca ateromasica:
- CORE LIPIDICO costituita da materiale amorfo con cristalli di colesterolo, detriti
cellulari e cellule schiumose (muscolari lisce alterate per levato contenuto lipidico), calcio
- CAPPUCCIO FIBROSO, cell muscolari lisce dotate di recettori per LDL e PGDF, con
capacità di sintetizzare prostaglandine e collagene, fibre elastiche, cellule schiumose,
macrofagi, collagene, elastina, proteoglicani e neovascolarizzazione.
La placca sporge dall’intima verso la media, con distruzione della membrana elastica interna. In
alcuni la placca si stabilizza, in altri si complica con ulcerazioni indotte dall’erosione meccanica
della superficie intimale o rapido accresciemento dell’ateroma.
EMBOLIA
DISPLASIA FOBROMUSCOLARE
Sede preferita è la carotide interna; caratterizzata da un’alternanza di stenosi e dilatazioni brevi
legate alla presenza di anelli costituiti da cellule muscolari lisce e tessuto fibroso che interrompono
la membrana elastica e favoriscono la formazione di piccoli aneurismo. L’evoluzione è in senso
stenotico con possibilità di ostruzione trombotica.
Tre ipotesi riguardo l’eziologia:
-ormonale
-meccanica
-congenita
DISSECAZIONE
La dissezione è distinta in spontanea e POST traumatica.
Trauma diretto e/o traumatismi minori e/o genesi multifattoriale.
Tipica è la dissezione della parete arteriosa con formazione di ematoma tra intima e media, con
riduzione del lume vasale con possibilità di occlusione. Formazione di un lume vero ed uno falso
per rottura dell’intima oppure a causa della perforazione della media con stravaso sottoavventiziale.
ARTERITI
Arterite di Takayasu, O ARTERITE A CELLULE GIGANTI ad eziologia ignota, porta a stenosi od
occlusioni dei tronchi epiaortici.
ANEURISMI
ANOMALIE VASCOLARI CONGENITE (aplasia, ipoplasia, decorso anomalo, coiling, kinking)
COMPRESSIONI ESTRINSECHE (tumori)
PATOGENESI
L’ischemia celebrale si instaura attraverso un meccanismo emodinamico ed embolico.
Meccanismo emodinamico
Definito dalla riduzione improvvisa del flusso in un’area vascolare encefalica, la cui gravità e
durata sono condizionate dalla presenza dei circoli collaterali.
Stenosi carotidee o vertebrali riducono progressivamente il flusso nel territorio a valle ed i circoli
collaterali (polligono di Willis) può non essere suff a compensare il deficit.
La riduzione cronica del flusso induce vasodilatazione massimale per proteggere il tessuto celebrale
, che diventa vulnerabile ad ogni ulteriore riduzione.
Meccanismo embolico
L’embolo può essere di origine cardiaca o arteriosa (aterosclerosi dei grossi tronchi epiaortici,
carotidi extracraniche, vertebrali).
L’embolia provoca infarto ischemico o anche emorragico. Il trombo può essere:
-piastrinico, formatosi sulla superficie ulcerata della placca o distalmente da una stenosi
-trombo rosso, dalla superficie della placca
-frammenti di placca
Le patologie più frequenti alla base di embolia cardiogena: fibrillazione atriale, infarto miocardio,
formazione aneurisma, malattia reumatica etc.
Oggi, classifichiamio:
 TIA: focali o multifocali della durata compresa da pochi minuti fino a 24 ore con deficit
neurologici transitori regressione completa. Il 25 % dei pz con TIA può sviluppare ictus
definitivo.
 MINOR STROKE: dopo 12 ore e 48 con deficit neurologico di modesta entità
 MAJOR STROKE O ICTUS STABILIZZATO: classico deficit permanente con emiparesi
etc.

QUADRI CLINICI
La gravità del quadro clinico dipende:
- presenza di circoli collaterali
-grado di adattamento del cervello alla riduzione del flusso patologica
-durata e gravità dell’ipoafflusso
-importanza anatomica e funzione del territorio colpito.
Pazienti asintomatici: con lesione stenotica ma circolo di Willis integro, in caso di stenosi carotidea
è possibile apprezzare un soffio
Pazienti sintomatici:
 TIA carotidei: sintomi tipicamente monolaterali ed in relazione con un’alterata funzionalità
neurologica. La sintomatologia è espressione di alterazioni della funzione motoria (emiparesi
facio-brachiale controlaterale), sensoriale (torpore e parestesie), della parola e della vista
(amaurosi fugace (perdita completa della vista transitoria) inizia con cecità ipsilaterale che
regredisce)
 TIA vertebro-basiliari: irrorano regione corteccia occipitale, tronco encefalico, mesencefalo,
parte sup midollo spinale, emisferi cerebellari, dove sono localizzati centri motori e sensoriali,
centri dell’equilibrio e coordinazione motoria. I fenomeni neurologici di solito sono bilaterali,
possono essere esacerbati da movimenti del collo o cambiamento di posizione. Altri sintomi
possibili sono i drop attacks, in cui il soggetto cade improvvisamente rimanendo cosciente,
ptosi palpebrale, nistagmo, disartria e disfagia, amnesia totale transitoria.
 Ischemia diffusa transitoria (IDT) provocata da una temporanea riduzione della portata
ematica al di sotto della soglia minima per la normale funzionalità cerebrale. È caratterizzata
da: vertigini, obnubilamento, sincope, diminuzione di attenzione e comprensione. Un primo tipo
di sintomatologia neurologica cerebrale corrisponde ad un episodio di alterazione funzionale
focale (TIA carotideo), la quale regredisce entro un tempo massimo di 24 ore con ritorno alla
normalità. La maggior parte dei TIA dura da pochi minuti a max un’ora; di solito il TIA è
espressione di una disfunzione reversibile ed un’area infartuata limitata. Il TIA prolungato può
essere correlato ad estese aeree di infarto ischemico o emorragico. I disturbi che durano più di
24h sono definiti come “deficit neurologici ischemici reversibili”
 Stroke in evoluzione, tende a progredire a differenza dei TIA. Dopo 18h gli strokes carotidei
vengono considerati irreversibili.
 Stroke stabilizzato, deficit neurologico che non regredisce entro le tre settimane. Può avere
origine nel territorio carotideo o vertebro- basilare. Il danno iniziale è di solito edema,
emiplegia iniziale può esitare in pesantezza del braccio. Di solito interessano i territori della
cerebrale media.
DIAGNOSI
La diagnosi riguarda da un lato l’individuazione della patologia, dall’altro le manifestazioni
neurologiche che sono l’espressione.
Si inizia con l’anamnesi, tramite la quale è possibile rilevare:
- Fattori di rischio per l’aterosclerosi
- Presenza di arteriopatia in altri distretti (coronaropatia, arti inferiori)
- Episodi pregressi di ischemia cerebrale o fibrillazione atriale
All’ESAME OBBIETTIVO:
- ISPEZIONE: valutare la presenza ti tumefazioni pulsanti a livello latero cervicalo o
sopraclaveare suggestive di un eventuale aneurisma carotideo o della succlavia
- PALPAZIONE: comparare i polsi carotidei, succlavi e degli arti superiori. Misurare la
pressione arteriosa brachiale dx e sx in quanto diverse di > 30 mmHg in caso di furto della
succlavia.
- AUSCULTAZIONE: apprezzamento di soffi vascolari carotidei o succlavi
Pazienti asintomatici: si può riscontrare un soffio in sede cervicale o mediante indagini strumentali
per altri motivi. Nei pazienti sintomatici se i disturbi persistono per alcune ore la clinica evidenzia:
riduzione della forza, paresi e paralisi arti, alterazioni sensitive, del linguaggio sino ad afasia
(sintommatologia di tipo emisferico). La sintomatologia di tipo posteriore è rappresentata da
vertigini, disturbi motori e sensitivi alterni.
Diagnosi differenziale: escludere la patologia cardiaca.
INDAGINI STRUMENTALI
 Studio del distretto cerebrovascolare:
ECO COLOR DOPPLER che si basa sull’esistenza di “finestre ultrasonore” (fontanelle nel
neonato, squama temporale e foro occipitale) a livello di aree ossee sottili e ci consente di valutare
due dati:
- MORFOLOGICO: si valuta l’entità della placca, la sua morfologia (più la placca è fresca più
è ipoecogena o, addirittura, anecogena), la superficie della placca (se è intatta, se è rotta o
presenta ulcerazioni), se c’è emorragia intraplacca, se c’è neovascolarizzazione della placca
stessa, l’estensione della placca, se c’è l’interessamento della carotide comune
(prebiforcazione della carotide interna e carotide esterna), presenza di circoli collaterali
- DINAMICO: si può misurare la velocità in qualsiasi punto vogliamo. Si può fare un rapporto
tra velocità sistolica e velocità distolica: tanto più alta è la differenza, maggiore sarà
l’emodinamicità della lesione. Se misuriamo la velocità su una regione stenotica avremo la
velocità massima che è espressa in cm/sec. Se supera i 4000 cm/sec il flusso diviene turbolento
Quindi, quando si ha una lesione, prima c’è una compensazione data dalla velocità, ma quando la
stenosi diventa eccessiva, anche se si aumenta tantissimo la velocità, la portata diminuisce
L’ecocolordoppler oltre a essere un esame di screening di massa, è ripetibile, non da fastidio al pz,
non crea nessun danno, ed è assolutamente affidabile, infatti i fasi positivi e i falsi negativi sono
pochissimi, anche se rimane un esame operatore dipendente (unica caratteristica negativa).
Oggi l’indicazione chirurgica di un trattamento viene data esclusivamente in base all’ecodoppler
ormai da 15 anni.
ANGIOGRAFIA: permette di visualizzare la sede, l’estensione, natura della lesione e viene
effettuata se si vuole posizionare lo stent
 Esplorazione del parenchima cerebrale:
- ANGIO TC: A volte l’ecocolordoppler presenta dei problemi in presenza di calcificazioni a
manicotto perché il fascio di ultrasuoni non passa e quindi non posso valutare la velocità
all’interno, ma possiamo basarci solo su velocità a monte e a valle della stenosi, ma questo è un
indice indiretto. Quindi in questo caso ,si esegue anche la TC che, grazie alle scale di grigio, riesce
a differenziare il calcio dal lume interno del vaso e perciò possiamo avere delle misurazioni ben
precise
- TAC misura la densità dei diversi tessuti permettendo di evidenziare lesioni come infarto
ischemico, emorragico.
- RM, con l’elevata risoluzione di contrasto permette il rilievo di lesioni molto piccole con capacità
diagnostiche superiori alla TAC
- PET realizza la ricostruzione tomografica della distribuzione radioattiva di isotopi
- SPECT (tomografia ad emissione di singoli fotoni) in grado di valutare anche la barriera
ematoencefalica
INDICAZIONI E TRATTAMENTO CHIRURGICO
La terapia si basa sulla correzione dei fattori di rischio alla somministrazione di farmaci ad azione
antiaggregante piastrinica e antitrombotica e statine al fine di prevenire la progressione dellla
stenosi carotidea.
Il TRATTAMENTO CHIRURGICO OPEN DI RIVASCOLARIZZAZIONE CAROTIDEA
trova indicazione nei:
- pz con lesioni emodinamicamente significative (>70%) e quelli con placche disomogenee a
rischio di tromboembolia
- pz sintomatici con pregresso TIA nei 6 mesi precedenti e con lesioni stenosanti
- pz con ischemia cerebrale acuta < 6 ore
L’età avanzata non rappresenta una controindicazione, piuttosto un fattore prognostico negativo.
L’ipertensione influenza in maniera sfavorevole la prognosi.
L’insufficienza renale e malattie broncostruttive croniche costituiscono fattori di rischio maggiori.
Gli interventi maggiormente eseguiti riguardano il segmento prossimale della vertebrale, tra cui:
- TECNICA DI ENDOARTERECTOMIA: dopo aver clampato i tre vasi carotidei (int, est,
comune) , si cerca piano di clivaggio per la rimozione della placca, si sezione la lesione
trasversalmente nel suo punto più prossimale. La placca viene asportata soprattutto
dall’interno seguendo il piano di clivaggio. Importante il monitoraggio cerebrale continuo dato
che l’ipoafflusso cerebrale potrebbe causare seri danni.
- - endoarterectomia dell’ostio, che può essere completata attraverso angioplastica di
allargamento.
- reimpianto della vertebrale sulla succlavia
- ngioplastica percutanea transluminale (controindicato in pz con placche nell’arco aortico,
calcifiche, tortuosità carotidea, o lesioni multiple della biforcazione carotidea)

SINDROME DA FURTO DELLA SUCCLAVIA


Le sindromi da furto si realizzano in seguito ad una anomala ridistribuzione del flusso cerebrale
attraverso i vasi cerebro-afferenti, in presenza di un’ostruzione del tratto paravertebrale dell’arteria
succlavia o più raramente del tronco anonimo (brachiocefalico). Come nel furto vertebrale-
succlavia, può verificarsi anche il furto coronarico-succlavia in pazienti che hanno ricevuto un
innesto di bypass dell'arteria coronaria utilizzando l'arteria toracica interna (ITA), nota anche come
arteria mammaria intern ache origina dalla succlavia.
Il lato > interessato è il sx;
Eziopatogenesi è rappresentata dalla malattia aterosclerotica o
arterite di Takayasu.
Il fenomeno si determina quando viene richiesta una maggiore
quantità di flusso sanguineo all’arto superiore omolaterale alla
lesione ostruttiva. Questo si realizza in quanto una parte di sangue
destinato all’irrorazione cerebrale e convogliato verso il circolo di
Willis viene shuntato nell’arteria vertebrale, che presenta
un’inversione della direzione del flusso , tende a perfondere la
succlavia che è a valle dell’ostruzione. L’anastomosi a livello del
Tronco Basilare garantisce una buona irrorazione dell’arto dal lato interessato dalla lesione, in
condizioni basali. In caso di sforzo fisico, però, la richiesta di sangue aumenta, al punto da tale da
diminuire l’afflusso ematico a livello cerebrale. L’occlusione della succlavia determina una caduta
di pressione nel letto vascolare a valle, per cui si inverte il fisiologico gradiente pressorio che si ha
tra vertebrale e succlavia.
Manifestazioni cliniche: vertigini, cefalea o episodi sincopali, astenia, parestesie.
La sindrome viene sospettata quando ai disturbi neurologici si associa l’assenza del polso radiale
od una differenza significativa della pressione arteriosa brachiale nei due arti (>20mmHg)
Manovre possibili:
 test di Javid, in caso di furto della succlavia la compressione della carotide comune causa
una riduzione del polso radiale per riduzione del flusso retrogrado nell'arteria vertebrale.
 prova di Battezzati e Belardi In caso di furto della succlavia la rotazione del capo verso il
lato opposto a quello interessato determina una riduzione del polso radiale.
Si distinguono 3 tipi di furti, diagnosticabili tramite il test dell’iperemia reattiva. Il test viene
effettuato posizionando sul braccio interessato il manicotto
dello sfingomanometro e posizionando in prossimità
dell’arteria vertebrale che dobbiamo studiare la sonda
ecografica dell’ecocolordoppler. Si pratica, a questo punto,
un’ischemizzazione dell’arto a minor pressione per circa 3
minuti. Al rilascio (sgonfiaggio rapido del manicotto) si
otterranno delle modificazioni dell’onda relativa alla
vertebrale.
Si potranno ottenere inversione di flusso e/o incremento della
velocità, a seconda del tipo di furto. La tipologia del furto
dipende dal grado di stenosi della succlavia (con una
particolare tendenza a peggiorare con l’evolversi della placca).
I tre tipi di furto della succlavia sono:
 Permanente (il flusso va sempre in direzione opposta)
 Intermittente (in sistole il flusso va verso il cervello, in diastole ritorna verso la succlavia)
 Latente (il flusso verso la vertebrale è sempre normale; se, però, viene chiuso il manicotto e
si chiede al paziente di fare uno sforzo, la richiesta ematica verrà aumentata e ci sarà il
furto).
La diagnosi poi può essere confermata da esami non invasivi come ecocolordoppler, angio-TC e
arteriografia.
TERAPIA

La terapia della Sindrome da Furto della Succlavia è prettamente chirurgica e si


basa su:

 rimozione ateroma;
 bypass carotide-succlavia (incisione della succlavia a valle dell’ostruzione e successiva
anastomosi

ISCHEMIA INTESTINALE
All’origine dei quadri ischemici cronici o acuti c’è l’aterosclerosi come causa diretta o indiretta, a
cui seguono cause rare come arteriti, aneurismi, traumi, fistole etc.
Le arterie deputate all’irrorazione del distretto splecnico sono il:
- tronco celiaco, : la gastrica sx, epatica comune, splenica
- la mesenterica sup, colica media, colica dx, ileocecocolica
- la mesenterica inf
CLASSIFICAZIONE
 Forme acute: complicanze evolutive di tipo trombotico di arteriopatie oppure legate a
fenomeni embolici.
 Forme croniche: ampia serie di fattori eziologici sui quali per gravità e frequenza domina
l’aterosclerosi
 Forme asintomatiche
 Forme sintomatiche: dolore post-pandriale e quadri sintomatologici complessi che consentono
di distinguere tra insuff celiaco mesenterica e colite ischemica (insuff vascolare del colon)
Inoltre si possono inquadrare varie condizioni a carattere non ostruttivo, nei quali l’ischemia
intestinale è causata dall’aumento della viscosità del sangue; altra causa è il furto mesenterico
legato ad ostruzione aorto-iliaca; ischemia iatrogena causata da interventi di rivascolarizzazione.

ISCHEMIA CELIACO-MESENTERICA CRONICA (ICMC)


Aterosclerosi come causa principale più associazione di una patologia steno-obliterante di almeno
due delle tre arterie digestive.
Si delineano quadri clinici diversi a seconda di quale distretto vascolare è interessto.
Il quadro clinico è tipico solo in pochi casi e si ha dolore post prandiale a livello epigastrico, talora
diffuso a tutto l’addome. Insorge 15 minuti dalla fine del pasto. Nelle prime fasi è un dolore
occasionale che si rende sempre più presente con il progredire della patologia.
Può mimare un doloro tipico della patologia pancreatica: all’inizio scompare entro pochi minuti per
poi durare anche un paio di ore ritmato dall’ingestione di cibo.
Secondo aspetto clinico importante è il dimagrimento fino ad uno stato cachettico . .
Alterazioni dell’alvo, sintomo costante, in cui si hanno periodi di stipsi con meteorismo alternati a
diarrea.
Accanto ai quadri tipici viene descritta una varietà monosintomatica espressa dal dolore, una
forma a frustra definita da fenomeni vaghi come distensione della parete addominale, meteorismo
etc.
Forme asintomatiche vengono rilevate durante indagini strumentali per altre patologie
La diagnosi si basa, nel soggetto sintomatico, da una parte sui dati amnestici e dall’atro sul reperto
angiografico. Infine necessità diagnosi differenziale di altre patologie digestive.
SINDROME DA COMPRESSIONE DEL TRONCO CELIACO
Compressione esercitata dal legamento arcuato mediano del diaframma e dalle fibre arciformi, in
alcuni casi anche dalle fibre e gangli che costituiscono il plesso celiaco.
Potrebbe essere causata da una malformazione congenita oppure il fenomeno potrebbe essere
attivato da un processo di sclerosi e retrazione cicatriziale.
Clinica: colpisce prevalentemente il sesso femminile tra i 40 e 50 a; l’obiettività è limitata al reperto
di un soffio epigastrico.
TAC e RMN possono evidenziare la patologia; il trattamento chirurgico è rivolto alla rimozione
della compressione.
INFARTO INTESTINALE
(Rivedi irrorazione, soprattutto circoli collaterali)
Patologia conseguente ad insuff celiaco-mesenterica acuta, patologie ostruttive e non ostruttive che
provocano una brusca interruzione del flusso nei grossi tronchi arteriosi digestivi o in territori più
periferici.
L’infarto intestinale inizia come danno ischemico della mucosa, strato più sensibile all’anossia, in
alcuni casi si verifica una necrosi emorragica di esso, mentre in altri la necrosi interessa anche gli
altri strati della parete del viscere con esito in gangrena, perforazione e peritonite.

Estensione: può interessare tutto il territorio irrorato dalla mesenterica superiore e quindi
coinvolgere il tenue, colon dx, colon sx fino al sigma od essere segmentario colpendo una o due
anse del tenue o solo il sigma o l’angolo colico sx.

EZIOLOGIA
- Trombosi arteriose
- Embolizzazioni di origine cardiaca, ma anche placche ulcerate, con predilizione per la
mesenterica superiore
- Traumi e complicazioni degli aneurismi
- Lesioni iatrogene
- Trombosi venosa
- Trombosi miste, arteriose e venose
Nel caso delle patologie non ostruttive i fattori eziologici alla base sono:
 ipotensione marcata e di lunga durata in corso di infarto coronarico o shock emorragico
 ipotensione da terapia antiipertensiva
 farmaci vasocostrittori
 aumento della viscosità ematica da abuso di diuretici;
 compressione vasale in corso di distensione della parete intestinale prossimalmente ad una
stenosi, occlusione da tumori , processi infiammatori
 strozzamento erniario
L’infarto intestinale colpisce prevalentemente soggetti di sesso maschile, età >50 anni.

SEGNI E SINTOMI
Le forme occlusive si presentano con dolore addominale, epigastrico o mesogastrico ad insorgenza
improvvisa.
Al dolore, sintomo costante, si associano:
 Alterazioni dell’alvo: diarrea che con il passare delle ore diventa ematica e copiosa soprattutto
nelle trombosi venose, sino all’ileo paralitico
 Vomito: biliare o alimentare all’inizio, poi ematico, fecaloide nelle fasi terminali
 Ipotermia, pallore cutaneo, tachicardia segnano evoluzione verso lo shock
 Sindrome da coagulazione intravasale disseminata a causa dell’assorbimento delle
endotossine per mancanza della barriera protettiva

Esame obiettivo:
Addome: appare disteso, pareti non contratte, trattabile, con peristalsi presente nelle prime ore. La
distensione addominale si accentua nelle ore e può essere palpabile una tumefazione allungata
dolente se l’ischemia riguarda la mesenterica sup. Procede poi verso un quadro di peritonite
generalizzata.
Indagini di laboratorio:
Aumento glicemia, transaminasi glutammico ossalacetica, leucocitosi.
Esami strumentali:
 RX: addome con distensione diffusa delle anse e presenza successiva di liquido nelle anse.
 Arteriografia: sede ed estensione dell’occlusione
 Eco addome
 Indagine endoscopica
Patologia mortale nel 90% dei casi.
COLITI ISCHEMICHE
Legata ad una serie di eventi patologici ad andamento acuto o cronico, che colpiscono le arterie
destinate all’irrorazione del colon con conseguente riduzione del flusso.
Patologia frequente che comprende forme estensive, limitate, acute, croniche, a quadro clinico
conclamato o di tipo sfumato, ad evoluzione verso la gangrena e la perforazione o verso la
guarigione o la stenosi colica.

EZIOLOGIA
- Forme occlusive: trombosi, trauma, embolia, occlusione mesenterica inf
- Forme non occlusive: infarto non occlusivo del tenue in pazienti con insuff
cardiaca(Localizzazione: prevalente nel colon sx)
- Forme iatrogene (interventi di chirurgia ricostruttiva aorto-iliaca): ischemia causata dalla caduta
di flusso nella mesenterica inferiore.
Secondo una classificazione anatomo-patologica si differenziano:
 Forma grave: evoluzione verso necrosi, gangrena o perforazione
 Forma moderata: interessa la mucosa e la tonaca muscolare con esito verso la stenosi del
viscere
 Forma lieve o transitoria: coinvolge solo la mucosa, guarigione spontanea
 Forma acuta
 Forma subacuta: prima fase di necrosi con edema ed emorragie sottomucose e formazione di
pseudopolipi; seconda fase con formazioni di ulcere legte ad anossia ed innfezione poi stenosi
cicatriziale da fibrosi

SEGNI E SINTOMI
 Dolore, tipo crampiforme
 Diarrea
 Nausea, vomito
 Contrattura dell’addome
 Febbre
 Leucocitosi, aumento delle LDH, transaminasi
INDAGINI STRUMENTALI
 Endoscopia: nelle prime 24h si osservano aree di arrossamento alternate a zone di pallore; 48h
arrossamento generalizzato ed ulcerazioni; sanguinamento della sottomucosa, immagine
radiologica dell’”impronta di pollice”
 Radiografia diretta addome
 Clisma opaco
 Angiografia
Esame radiologico ed endoscopia permettono la diagnosi differenziale dal morbo di Crohn,
rettocolite, poliposi, carcinomi.

LE VARICI DEGLI ARTI INFERIORI

Patologia che ha un’incidenza nella popolazione generale alta, con una percentuale che varia dal 10
al 25 % della popolazione, che colpisce un’età che varia dai 18 ai 60 anni.
E’ più frequente nei paesi industrializzati
Prevalenza > nelle donne piuttosto che negli uomini; il rapporto donna uomo è 3 o 4 : 1.

Definizione: dilatazioni sacculari delle vene superficiali, spesso tortuose, associate a


un’insufficienza del sistema valvolare e degenerazione parietale.

CLASSIFICAZIONE

1) Varici primitive o essenziali


2) Varici secondarie
3) Varici gravidiche
4) Varici displasiche

CENNI DI ANATOMIA

Negli arti inferiori è presente un sistema venoso superficiale e un sistema venoso profondo.
Il sistema venoso profondo è quello che nasce in basso dal sistema venoso presente nel piede che
costituisce la suola venosa plantare. Da quest’ultima nascono la vena tibiale posteriore, la vena
pedidia, la vena peroniera le quali confluiscono più in alto nella vena poplitea, vena femorale
superficiale, vena femorale profonda, vena femorale comune e andando più in alto vena iliaca
esterna, vena ipogastrica, vena iliaca comune, vena cava inferiore e vena cava superiore che
sboccano nell’atrio destro.
Il sistema venoso superficiale è costituito dalle vene superficiali che confluiscono a loro volta nelle
due grandi vene ovvero la vena piccola safena (laterale del piede) che drena gran parte del sangue
della gamba per sfociare nella vena poplitea mentre la vena grande safena (mediale del piede)
sbocca nella vena femorale a livello della giunzione safeno femorale.
I due sistemi sono in comunicazione tra loro attraverso delle vene dette vene comunicanti o
perforanti.
La circolazione del sangue dalla superficie è sempre centripeta, cioè il sangue dalla superficie va in
profondità verso il sistema venoso profondo tramite le vene perforanti, le quali sono dotate di
valvole a favore di corrente, valvole a nido di rondine, che consentono:
- il flusso anterograde e centripeto: nel momento in cui il sangue ritorna indietro, le valvole si
chiudono impedendo il reflusso verso la superficie.
- la funzione emodinamica di ridistribuire la pressione nel sistema venoso in modo tale che se
si misura la pressione arteriosa in ortostatismo sulla vena tibiale posteriore, si ha un valore di
pressione intorno ai 9-10 mmHg. Esistono delle patologie, come la sindrome post-flebitica, in
cui c’è distruzione delle valvole, in cui se andassimo a misurare la pressione in ortostatismo
riscontreremmo pressioni intorno a 100/110 mmHg, cioè identiche a quelle della pressione
arteriosa; questo giustifica perché in questi pazienti si ha la formazione delle ulcere venose,
spesso maleodoranti, piene di essudato, di fibrina, anche se difficilmente danno infezioni.

EZIOPATOGENESI

Teoria dell’incontinenza valvolare sequenziale (aumento pressione idrostatica):


se per un motivo congenito le valvole iliache (ipoplasia) in alcuni pazienti non si sviluppano (quindi
la pressione non è pari a 5 mmHg) e perciò il segmento diventa più lungo, aumenta la pressione
intravenosa, aumenta la pressione sulle pareti, la vena si dilata e cominciano a dilatarsi anche i
segmenti sottostanti provocando un’incontinenza a cascata.
In realtà però la pratica clinica dimostra che questa teoria non consentiva di spiegare tutto: per
esempio, quando si trovano segmenti varicosi con valvole a monte e a valle perfettamente
continenti, oppure quando ci si trova davanti a pazienti operati di varice (safenectomia) che però
continuano a sviluppare varici (secondo questa teoria ovviamente non dovrebbero sviluppare
ulteriori varici). In più l’aumento della pressione endoluminale comporta ipertrofia e non
dilatazione, questo lo si vede regolarmente ogni qual volta si utilizza la safena per fare un bypass (a
patto che la vena sia sana) e va incontro a arterializzazione, cioè la vena sviluppa fibrosi
dell’intima e proliferazione muscolare media, assumendo così l’aspetto di un’arteria. Successivi
studi confermarono che questa teoria era errata e si cominciò a capire che in realtà c’era qualcosa
nella parete venosa che non andava, un’alterazione strutturale della parete venosa.
Le prime osservazioni mostravano un’avventizia totalmente disorganizzata: in genere le lamine
elastiche e le fibre di collagene sono parallele l’una all’altra, invece trovarono una
pluristratificazione di queste fibre, con crescite anomale che infilavano addirittura la media,
distruggendo la componente muscolare, per indurre in essa una risposta iperplastica. Perciò alla
fine c’era un sovvertimento strutturale della parete della vena, alterazione strutturale che alla fine
creava un indebolimento della parete stessa. Questa venne considerata l’alterazione
anatomopatologica primaria responsabile dei meccanismi che si innescavano successivamente, cioè
la dilatazione della parete venosa, l’allontanamento dei lembi valvolari (quindi l’insufficienza
venosa vera a propria, l’incontinenza) e il reflusso venoso. Da qui il concetto di meiopragia, il
quale è stato definitivamente approvato.

Varici primitive: danno della parete, diminuzione del modulo elastico-----> dilatazione parietale
progressiva----> incontinenza valvolare

Varici secondarie: causate da:


 processi trombotici del circolo venoso profondo che provocano il reflusso una parte del
sangue venoso in superficie, ma vi ritorna ad alta pressione e va a reclutarne altre, finché
non trova un altro passaggio per ritornare a monte dell’ostruzione creando un bypass
naturale
 Fistole artero venose congenite (Sindrome di Klippel Trenaunay) o acquisite che provocano
un sovraccarico del sistema venoso
 Patologie compressive del sistema venoso profondo come l’intrappolamento di una vena
da parte del tendine dei muscoli dei gruppi femorali

Concause:
 Gravidanza: in quanto:
- Gli ormoni (progesterone) che circolano durante la gravidanza bloccano la contrazione sia
delle cellule muscolari lisce uterine che delle cellule costituenti la parete delle vene sono
muscolari lisce. Altra delle caratteristiche delle donne in gravidanza è la stipsi, perché anche
l’intestino, la cui parete è costituita da cellule muscolari lisce, si rilassa e l’attività motoria è
alterata con conseguente alterazione dell’alvo.
- compressione sulle vene iliache e sulla cava da parte dell’utero gravidico con conseguente
ipertensione venosa
- Il sangue refluo della circolazione fetale viene scaricato nella piccola pelvi causando un
iperafflusso ematico sul circolo venoso Quindi da un lato c’è un rallentamento e dall’altro un
iperafflusso, un ingorgo vero e proprio ed ecco perché in quelle donne con predisposizione si
possono sviluppare le varici.
Circa il 60-70 % di tutto ciò che si osserva in gravidanza scompare un mese dopo il parto
perché non c’è la produzione di certi ormoni, non c’è il fenomeno compressivo, non c’è
l’iperafflusso e quindi si ritorna nella situazione fisiologica. Uso contraccettivi orali
 Posizione eretta/seduta prolungata
 Obesità
 Attività sportivi
 Vestiti stretti
 Alterazioni osteo-muscolo-tendinee
 Incrementi pressori endoaddominali
 Predisposizione ereditaria

SINTOMATOLOGIA CLINICA SOGGETTIVA

 CRAMPI
 PESANTEZZA
 DOLORE
 PARESTESIE
 RESTLESS SYNDROME quando non è possibile trovare una posizione confortevole e
rilassante per il sonno con conseguente irrequietezza

SINTOMATOLOGIA CLINICA OGGETTIVA

 varici lungo il decorso dei vasi principali


 edema declive prevalentemente di piede e caviglia: la mattina le gambe sono completamente
sgonfie mentre la sera sono molto gonfie a causa dell’ortostatismo.
 discromie cutanee, visibili specialmente nei pazienti con varici datate o con sindrome post-
flebitica. L’aumentata permeabilità capillare determina la fuoriuscita degli elementi
corpuscolati che, depositandosi nel sottocutaneo, vengono fagocitati e digeriti. L’Hb contenuta
viene degradata in emosiderina con conseguente colorazione brunastra e fibrosi del
sottocutaneo
 eczema varicoso L’edema in realtà è una irritazione che si crea sulla pelle e il paziente ha
prurito quindi si gratta. Le unghie purtroppo non sempre sono pulite e la pelle si infetta

COMPLICANZE

1) VARICOFLEBITE ovvero una trombosi di una varice superficiale a seguito della stasi
2) EMORRAGIA, Il 90% delle volte su base traumatica
3) ULCERA CUTANEA
DIAGNOSI
Esame fisico
Paziente in posizione ortostatica
 Ispezione
Individuazione di gozzi varicosi e del distretto, riscontro di segni patognomici: aumento diametri
caviglia, polpaccio, edema sottocutaneo, teleangectasie, ecchimosi, ematomi, iperpigmentazione ,
eventuali lesioni ulcerative.
 Palpazione
Possibile segno della fovea, elasticità vene superficiali etc.
Si procede con una serie di test:
1. Test impulsivo da tosse: per valutazione della continenza valvolare di un segmento venoso
(ex: ostio safeno-femorale), attraverso la percezione di un’onda pressoria di reflusso indotta dal
colpo di tosse
2. Test della percussione di Schwartz: valutazione continenza valvolare di un segmento venoso
tra due dita della mano sx, applicando una leggera compressione in corrispondenza dell’ostio
monte
3. Test di Rima-Trendelemburg: paziente in posizione clinostatica e con arto sollevato,
permettendo lo svuotamento del circolo venoso superficiale, viene applicato un laccio alla
radice dell’arto. Il paziente passa in posizione ortostatica e viene rimosso il laccio, si osserva un
rapido riempimento dall’alto “a cascata” segno di incontinenza valvolare
4. Test dei turniquet multipli
5. Test di Perthes: valutazione della pervietà del circolo venoso profondo, in presenza di
dilatazioni e tortuosità del circolo venoso superficiale. Al paziente in posizione ortostatica
viene applicato un laccio alla radice dell’arto interessato; le varici diventano turgide, si invita il
paziente ad eseguire movimenti di flesso-estensione per esercitare un’azione di pompa
aspirante-premente del sangue dal circolo venoso superficiale al circolo venoso profondo. Se il
circolo venoso profondo è pervio le varici si svuoteranno, al contrario no.
Diagnostica non invasiva/invasiva
 Doppler
 Eco-doppler/color-doppler venoso che abbina due dati fondamentali:
1) Il dato morfologico: consente di poter osservare la parete della vena, il suo spessore, le
valvole, sia quelle normali che quelle rotte, e la compressibilità della vena; se vi sono una
trombosi o una flebite possiamo stabilire se un trombo è fresco, poiché il trombo è
totalmente ipoecogeno, come un buco nero; se è iperecogeno, perché comincia ad
organizzarsi, si comincia a vedere una struttura nero/grigiastra, che diventa completamente
biancastra quando è già totalmente organizzata: questo consente di poter datare un trombo.
2) Il dato organico: mettendo la sonda al di sopra del vaso, si può osservare se all’interno c’è
flusso ematico, inoltre si può descrivere come si muove, a che velocità si muove, se è un
flusso costante o se è ondulato. Vi è la possibilità di avere tante informazioni; quando poi si
fa la prova di Valsalva, per esempio all’inguine sulle valvole della safena, si può vedere
anche una colorazione anomala (in genere il sangue che va verso l’alto è rosso e quello che
va verso il basso è blu), infatti il sangue diretto verso l’alto, normalmente rosso, appare blu,
perché tende a tornare indietro a causa dell’insufficienza valvolare; valutando il colore blu si
può stabilire l’entità del reflusso valvolare.
 Pletismografie
 Angiografia
 Flebografia, ex gold standars, è stata completamente abbandonata anche perché bisogna usare
un mezzo di contrasto non ionico che ai pazienti intolleranti può provocare shock anafilattico e
siccome ne deve prendere parecchio (da 50 a 150 cc) si può provocare un danno renale
TRATTAMENTO

1) TERAPIA CONSERVATIVA: il nostro apparato venoso non è un optional e non bisogna


dimenticare che le vene, specialmente la grande e la piccola safena, rappresentano i condotti
ideali per fare un bypass aortocoronarico e periferici. Vanno tolte quando c’è realmente una
motivazione. La safena va rimossa quando non è più funzionale, non per un’insufficienza
valvolare ma quando diventa di 1,5 cm di diametro, perché è diventata tortuosa, o varicosa.
Non va tolta prima, perché se viene rimossa a una persona di 30 anni, non si può sapere se a
60 anni avrà bisogno di un bypass aorto-
coronarico (il quale non può essere praticato se
manca la safena perché vengono scelte o la
mammaria interna o la safena).
2) TERAPIA ELASTCOMPRESSIVA: consiste
nell’utilizzo di una calza elastica allo scopo di
svuotare le varici; il problema della varicoflebite
è legato alla stasi perché la vena si riempie di
sangue.
3) TERAPIA SCLEROSANTE: in realtà in Italia
non ha avuto grandi allori, è utilizzata soprattutto
all’estero, specie in Francia per una serie di
ragioni.
4) TERAPIA CHIRURGICA: esistono tantissimi tipi di interventi che possono essere fatti
(non li dovete sapere in maniera specifica). Oggi si usano dei sistemi che consentono in tre
quarti d’ora di eliminare la safena e che sono la radiofrequenza, il laser, il vapore acqueo,
le colle.

IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE
L’ipertensione essenziale è una malattia in grado di determinare una serie di altre condizioni
patologiche e che può in maniera estremamente importante causare complicanze in comorbidità con
altre patologie.
Il limite massimo della pressione sistolica a 140mmHg, al di sopra del quale è obbligatorio fare una
terapia farmacologica anti-ipertensiva; il valore massimo di pressione diastolica è di 85mmHg.
L’ipertensione nefrovascolare non è l’ipertensione classica ma una forma secondaria di
ipertensione. È la forma più frequente tra le forme secondarie di ipertensione.
Altre cause di ipertensione secondaria sono:
 Feocromocitoma: nella pratica clinica, non sempre dà manifestazioni ipertensive veramente
importanti, ma solo blande sindromi ipertensive. Viene definito “incidentaloma” in quanto
spesso rappresenta un reperto occasionale durante un esame (Tac, AngioTac, ecc.) effettuato
per un’altra motivazione, come la stadiazione di un tumore;
 sindrome di Conn (iperaldosteronismo)
 sindromi cortico-surrenali
 coartazione aortica
 tumori renali

DEFINIZIONE
L’ipertensione nefrovascolare è determinata da una lesione steno-ostruttiva mono o bilaterale che
porta ad una diminuzione del flusso ematico a carico dell’arteria renale e del rene, che si
manifesta con una sindrome ipertensiva fondamentalmente su base diastolica, che nel tempo si
associa ad una compromissione della funzionalità renale stessa. Con questa compromissione si ha
il passaggio da un concetto di ipertensione nefrovascolare al concetto di malattia nefrovascolare.
Alla fine, il trattamento per l’ipertensione nefrovascolare non è mirato alla correzione della
condizione ipertensiva, ma punta alla salvaguardia della funzionalità renale. Si tratta nella maggior
parte dei casi di una patologia su base aterosclerotica, in cui la riduzione del flusso ematico a carico
del rene per la presenza di lesioni stenosanti dell’arteria renale principale innesca tutta una serie di
meccanismi.
Entità del problema
Epidemiologia:
 il 5-10% della popolazione è ipertesa;
 il 2-5% degli ipertesi ha un’ipertensione nefrovascolare;
 il 10-20% dei pazienti con ipertensione grave (diastolica > 115) ha un’ipertensione
nefrovascolare
 il 9% dei pazienti con stenosi superiore al 60%, nel tempo va incontro ad un’occlusione
completa dell’arteria renale ed il rene perde la sua funzione.
Le lesioni ateromasiche aumentano di grado fino alla completa occlusione del vaso, quindi il
trattamento ha come finalità, non tanto la risoluzione dell’ipertensione nefrovascolare, ma la
salvaguardia della funzione d’organo.
Inoltre il 50% dei pazienti con stenosi dell’arteria renale, non hanno una sindrome ipertensiva e
questo si verifica, in genere, quando la lesione non è emodinamica (>70%).
Questa ipertensione si trova spesso in comorbidità importante con altre patologie, come le stenosi
delle carotidi e delle coronarie. Infatti i pazienti con ipertensione nefrovascolare hanno una
arteriopatia periferica associata nel 50% dei casi e una patologia carotidea.
Nel paziente con arteriopatia periferica è obbligatorio Eco-Color-Doppler dei vasi aortici e ad una
prova da sforzo.
EZIOLOGIA
La principale causa di ipertensione nefrovascolare è la lesione aterosclerotica, che è in assoluto la
lesione con cui più frequentemente abbiamo a che fare in caso di stenosi dell’arteria renale.
Un’altra patologia che è la fibrodisplasia (ispessimento focale e irregolare) dell’arteria renale, che
causa questa forma ipertensiva ma con una percentuale di incidenza di circa 20-25%.
Ci sono poi una serie di forme secondarie rare e inusuali:
 Malattia di Takayasu
 Coartazione atipica
 Dissezione
 Congenita
 Stenosi dell’arteria renale nel rene trapiantato
 Aneurismi dell’arteria renale
L’arteria renale sinistra è colpita più frequentemente rispetto a quella destra, probabilmente per
una questione dell’angolo di origine dell’arteria dall’aorta. (Queste sono solo delle supposizioni
perché non ci sono delle evidenze cliniche che ci permettono di individuare un fattore di
predisposizione della renale sinistra rispetto a quella destra.)
La localizzazione della lesione è caratteristica, in quanto la placca si localizza in prossimità
dell’ostio dell’arteria renale, ovvero a livello dell’origine dell’arteria renale dall’aorta, che quindi
corrisponde alla zona in cui più frequentemente troveremo la placca aterosclerotica. Ciò è dovuto
alla problematica della divisione di flusso, che fa sì che si sviluppino vortici e quindi lesioni con
caratteristica di stenosi emodinamica.
Le lesioni nel tratto intermedio sono più frequenti nella fibrodisplasia.
Le lesioni ilari, che sono invece molto rare e non ci sono indicazioni a trattarle perché trovandosi a
livello dei rami terminali hanno poca influenza nel determinismo dell’ipertensione.
È importante trattare le lesioni aterosclerotiche, perché in genere hanno una progressione fisiologica
e naturale, con la formazione di una lesione a carattere emodinamico a partire da una non-
emodinamica.
La fibrodisplasia (25-30%) è determinata da un’alterazione strutturale della parete arteriosa dovuta
a fenomeni di proliferazione di cellule muscolari lisce e di cellule fibrose, che interessano tratti di
arteria e che si alternano a segmenti di arteria perfettamente normale. Quindi l’aspetto che ne deriva
è bernoccoluto e viene definito classicamente “a corona di rosario”. Una caratteristica importante
è che questa malattia colpisce principalmente soggetti in giovane età (dai 18 ai 30 anni).
La causa della malattia non si conosce precisamente: potrebbe essere dovuta ad una variante
embriologica, ad una causa autoimmune o a traumi.
Le differenze con la lesione aterosclerotica sono:
 aspetto, che nella fibrodisplasia assomiglia ai grani del rosario mentre le lesioni
aterosclerotiche sono uniche
 localizzazione, in quanto la lesione fibrodisplasica difficilmente si trova l’origine dell’arteria
renale ma solitamente è in posizione medio-periferica e tende anche ad interessare i rami di
divisione successivi dell’arteria renale
Fisiopatologia
pressione e tensione parietale a livello arteriolare----> renina-----> angiotensinogeno
---renina---> angiotensina I-----ACE------> angiotensina II------> pressione + aldosterone----->
riassorbimento Na + h2o-----> volemia

In realtà questo tipo di azione, in caso di stenosi, crea un danno ovvero l’ipertensione
nefrovascolare, così definita proprio perché dipende dal rene.
Però la condizione ipertensiva, in realtà, determina un danno, ovvero una lesione arteriolare, nel
rene sano, che all’inizio continua a funzionare, ma poi sviluppa un’alterazione della funzionalità
renale con modifiche dei valori di azotemia e creatininemia e, in alcune circostanze, anche con una
modifica dei livelli degli elettroliti plasmatici.
Quando si abbassa la pressione, c’è una riduzione della filtrazione glomerulare, inizialmente latente
fin che non si crea il danno, che porta ad insufficienza renale conclamata, che è sempre a
carattere cronico (quasi mai IRA). Quindi, l’effetto dell’ipertensione si manifesta sulle strutture
del rene sano, che non presenta stenosi, e corrisponde a nefroangiosclerosi.
È un danno duplice: il danno sul rene malato, che corrisponde alla stenosi, e il danno sul rene sano
dovuto all’effetto diretto della condizione ipertensiva.
CLINICA
 Ipertensione grave, con diastolica molto elevata
 Ipertensione resistente al trattamento farmacologico (alcuni pazienti assumono anche 4-5
farmaci per abbassare la pressione senza aver risultati adeguati)
 L’esordio in pazienti al di sopra dei 50 anni suggerisce la base aterosclerotica, mentre l’esordio
nel giovane suggerisce un’altra forma secondaria (fibrodisplasia, congenita)
 Associazione con lesione dei tronchi sopraortici, arteriopatie e coronaropatie
 Stenosi monolaterale che è nel 50% dei casi asintomatica (perché il rene sano, almeno
periodo, nel primo periodo compensa bene)
 Improvviso rialzo della creatinine
 Riduzione asimettrica dei reni
 Improvviso rialzo della creatinina con ACE-inibitori, che possono determinare una tubolo-
necrosi e quindi ulteriormente danneggiare la funzionalità del rene
 Edema polmonare ricorrente in pazienti con una buona funzionalità ventricolare sinistra,
legato all’azione della sindrome ipertensiva che aumenta la volemia. È un fenomeno che si
trova con una certa frequenza e a volte è l’esordio porterà ad identificare come prima causa la
stenosi dell’arteria renale durante lo screening delle altre condizioni determinate
dall’ipertensione nefrovascolare.

DIAGNOSI
 Esami ematochimici di funzionalità renale (azotemia, clearence, dosaggio di elettroliti, ecc.).
Non hanno nessun valore perché ci dicono solo che c’è una condizione di sofferenza renale e
niente di più
 Dosaggio della renina: molto diffuso negli ’50-’60 (ora non più), solo una risposta indicativa
 Ecografia renale, che ci dice soltanto che il rapporto cortico-midollare è modificato e che un
rene è più piccolo dell’altro. Infatti un rene ipofunzionante tende a diminuire di volume rispetto
all’altro. In particolare, quando si chiude l’arteria renale il rene diventa sempre più piccolo fino
a raggiungere le dimensioni di 2-3cm (delle dimensioni di un fagiolo), condizione nota come
rene grinzo. (il diametro normale del rene è tra i 9 e gli 11cm).
 EcoColorDoppler, che ha sostituito il dosaggio della renina. Rappresenta sicuramente l’esame
di base e anche il più semplice in quanto è automatico, ripetibile (anche più volte nello stesso
giorno), e non invasivo. La regione dell’arteria renale, in effetti, si riesce a vedere quasi sempre
molto bene. E dato che la maggior parte delle lesioni aterosclerotiche si trovano al livello
dell’origine dell’arteria renale, zona in cui l’EcoColorDoppler ha maggiore risoluzione,
nell’80-85% di casi abbiamo la possibilità di poter vedere la stenosi dell’arteria e quindi fare
una corretta diagnosi. Utilizzando il cursore della velocità, possiamo anche misurare la velocità,
appunto, e quindi si ha la possibilità di calcolare il rapporto sisto-diastolico (come si fa per la
carotide interna), che permette di distinguere una lesione emodinamica da una non-
emodinamica. Inoltre permette di stabilire: rapporto aortico-renale, cioè il rapporto tra le
velocità registrate in aorta e all’origine dell’ostio (se è >3,5 si parla di lesioni emodinamiche) e
l’indice di resistenza.
Presenta alcuni limiti:
 non permette di visualizzare la stenosi in pazienti obesi con meteorismo con fibrosi o
tortuosità dei vasi
 operatore-dipendente
 difficoltà in presenza di arterie renali accessorie
[ Stenosi renale emodinamica con velocità superiore a 180cm/s (in realtà attualmente si preferisce il
valore di 200cm/s), mentre se la velocità è inferiore a 180cm/s non si tratta di una lesione che ha
significatività emodinamica ]

 scintigrafia renale dinamica : indicazioni sulla funzionalità residua del rene. È un test che
viene fatto prima e dopo somministrazione di Captopril. Durante l’esame viene tracciata una
curva, registrata con degli isotopi radioattivi. Permette di capire se il rene in questione continua
a funzionare o se è funzionalmente escluso. I limiti sono l’insufficienza renale e la bilateralità
delle lesioni. È un esame che si fa molto di rado perché non serve a fare diagnosi di stenosi
dell’arteria renale (dimostra semplicemente un’ipoperfusione renale).
 Angio-TAC, esame di secondo livello, che consente di poter stabilire che tipo di trattamento il
paziente debba avere. È molto più utile della angio-RM. L’angio-TAC, specialmente quelle ad
alta definizione (con tagli da 64 a 125). Si hanno una serie di informazioni come: l’angolo di
origine della renale, la lunghezza della lesione, il diametro del vaso con estrema precisione
a monte e a valle della lesione, la presenza di calcificazioni. Informazioni che possono servire
a scegliere la lunghezza dello stent o il materiale più idoneo al trattamento di quel paziente
(acciaio o Nitinolo principalmente). Il Nitonolo è una lega metallica auto-espandibile, che
quindi non ha una grande forza radiale (forza che lo stent esercita sulle pareti del vaso) e
funziona bene su placche non calcifiche o su placche soft (come quelle della fibrodisplasia). Lo
stent al Nitinolo sta su uno stelo e c’è una guaina che lo copre e quindi quando viene sguainato
in maniera automatica si apre da solo (il nitinolo raggiunge il massimo della sua tensione
radiale a 37°C e quindi non è necessario un pallone di dilatazione). Gli stent in acciaio, al
contrario, sono premontati su un pallone da dilatazione che allarga lo stent, il quale viene fatto
aderire aprendo il lume interno del vaso e risolvendo la stenosi.
 Angio-RM (angiografia con risonanza magnetica). La risonanza in ambito arterioso è stata
quasi completamente abbandonata, perché da molti falsi positivi e falsi negativi. I vantaggi
della risonanza sono: bassa invasività, non tossicità e buona informazione morfologica. E’ più
affidabile l’ecodoppler e quindi si richiede un’angioTAC, per motivazioni solo medico legali
(essendo la risonanza un esame di livello superiore all’ecocolordoppler)
 Angiografia è stata totalmente abbandonata. Serve solo nel momento in cui si deve che il
paziente deve essere sottoposto all’inserimento di uno stent (via endovascolare) dell’arteria
renale

INDICAZIONE AL TRATTAMENTO
La terapia dell’ipertensione nefrovascolare si identifica con la chirurgia endovascolare, quindi nel
posizionamento di uno stent che ha lo scopo di salvaguardare la funzionalità renale piuttosto che
risolvere il problema ipertensivo.
Il rene malato è stato sottoposto ad una condizione di ipertensione sistemica sisto-diastolica
importante. Infatti, nel momento in cui si fa diagnosi, non si sa da quanto tempo questa persona ha
sofferto di pressione alta e quindi è molto probabile che il rene abbia sviluppato un danno
intrarenale, legato all’azione lesiva dell’ipertensione.
Le lesioni che vanno sicuramente trattate sono:
 lesioni fibrodisplasiche nei giovani mentre negli anziani forse non andrebbero trattate, anche
se in molte situazioni non è facile prendere una decisione.
 stenosi emodinamiche sintomatiche mono o bilaterali.
 stenosi emodinamiche sintomatiche in monorene (vanno trattate perché altrimenti il paziente
va in dialisi).
 stenosi emodinamica sintomatica con occlusione controlaterale (vale lo stesso discorso dei
pazienti monorene).
 stenosi emodinamiche sintomatiche in pazienti candidati ad intervento per aneurismi
dell’aorta addominale
TRATTAMENTO
 Chirurgia endovascolare
 Chirurgia ricostruttiva aperta
 Nefrectomia, che è l’unico intervento possibile nel caso in cui non si abbia più parenchima
renale, in caso di rene grinzo e di lesioni arteriose molto estese che non sono trattabili.
La chirurgia ricostruttiva aperta dell’arteria renale è molto problematica: prima di tutto si deve
raggiungere l’arteria renale, poi una volta raggiunta è difficile fare una sostituzione del segmento
malato, perché quasi sempre la lesione è ostiale. Il problema si ovvia facendo un bypass aorto-
renale oppure se l’arteria renale è particolarmente lunga, la si chiude al livello dell’ostio, la si
seziona e si fa sempre un bypass dall’aorta all’arteria renale. Per il confezionamento possono essere
utilizzate: protesi in Dacron, venose (safena, testicolare, ovarica) o arteriose (splenica, ipogastrica).
Esistono due tipologie di bypass che possono essere eseguite:
- bypass con anastomosi termino-terminale, in cui si seziona l’arteria e si ricollegano i capi
sezionati
- bypass con anastomosi termino-laterale, in cui la porzione terminale dell’arteria viene
ricollegata alla parte laterale dell’aorta effettuando un taglio particolare della protesi “a testa di
serpente/cobra” in modo che sia più compliante.
L’intervento comporta una laparotomia mediana, anestesia generale e una protezione del rene
mediante l’infusione di sostante ad una certa temperatura per mantenere la funzionalità renale
durante il clampaggio e fare il bypass. È un intervento pesante sia per il paziente che per il chirurgo,
che può durare 4-5h. Si lavora su delle aorte non perfette e quindi è difficile trovare una posizione
dove collegare il tubo. Non soddisfacenti sono i risultati a distanza dei bypass aorto-renale: stando
alle casistiche mondiali questo tipo di intervento è gravato da una incidenza di re-stenosi e di re-
ostruzione superiore al 10-15% (che in medicina è una percentuale alta). L’intervento, infine,
espone al rischio elevato di mortalità operatoria soprattutto in pazienti anziani che presentano molte
comorbidità. Ad oggi, la chirurgia ricostruttiva aperta si effettua per la risoluzione di aneurismi
toraco-addominali, in cui si fanno rimpianti di grossi vasi. Non è più la chirurgia elettiva per la
presenza di una stenosi dell’arteria renale che quindi rappresenta lo 0,1% degli approcci chirurgici
ricostruttivi, viste le complicanze e difficoltà che presenta.
La stenosi dell’arteria renale ha invece un’evoluzione estremamente positiva con la chirurgia
endovascolare. Gli stent possono essere in acciaio o in Nitinolo principalmente, ma ci sono anche
materiali diversi come il cromo-cobalto. Questi materiali devono adattarsi all’emodinamica e alla
fisiopatologia del rene. Lo stent deve resistere alle forze che vengono esercitate su di esso e che
tendono a incavare o a romperne le maglie, proprio perché i movimenti del rene creano microtraumi
a livello delle maglie dello stent.
I risultati a distanza sono sempre migliori con pervietà intorno al 95% e pervietà secondaria intorno
al 98% (riferito ai nuovi stent). L’angio-TAC consente di poter scegliere lo stent più adatto come
lunghezza e diametro. Quando le lesioni risultano essere problematiche si possono usare anche altri
stent chiamati “ricoperti” in quanto rivestiti da Dacron, da PTFE o da altri materiali, e ovviamente
non sono permeabile. Nel trattamento delle placche calcifiche, gli stent ricoperti sono una
salvaguardia perché anche se dilatando si rompe l’arteria non si ha emorragia proprio perché c’è
questa copertura. Non si usano nel trattamento di tutte le placche perché gli stent ricoperti sono più
rigidi e “navigano” peggio degli altri per cui poiché spesso è necessario fare delle curve
particolarmente accentuate (molto più di 90°) si preferisce usare stent più morbidi che “navigano”
meglio all’interno dei vasi.
RISULTATI
Trattamento endovascolare:
Successo della procedura 85-90%.
Complicanze immediate 5-8%: (trombosi, embolia distale, rottura arteria, dissezione, migrazione
dello stent).
Complicanze a distanza 30%: (restenosi).
Guarigione/miglioramento 78%
Insuccesso 22%
Mortalità 0.5-1%, che quindi si può considerare realmente molto bassa.
Chirurgia ricostruttiva aperta:
Guarigione/miglioramento 80%.
Insuccesso 20%.
Mortalità 5%.
Quindi la terapia chirurgica open non sarà risolutiva nel 25% dei casi (insuccesso+mortalità). Si
nota subito come i risultati siano migliori nel trattamento endovascolare.
Ricapitolando:
L’ipertensione/malattia nefrovascolare è più frequente di quanto comunemente ritenuto.È necessaria
e possibile una diagnosi precoce (soprattutto nei soggetti giovani), quasi sempre con metodiche non
invasive. Quando l’indicazione è corretta il trattamento della lesione ottiene risultati sia
sull’ipertensione (pochi risultati in realtà) che sulla funzionalità renale.
Il trattamento di prima scelta è rappresentato dalla chirurgia endovascolare.

ARTERIOPATIE OSTRUTTIVE DEGLI ARTI INFERIORI (AOCP)


Le arteriopatie degli arti inferiori sono patologie che interessano le arterie che portano il sangue
agli arti, quindi per un breve ricordo dell’anatomia voi sapete che l’aorta si divide nei suoi due rami
terminali, le arterie iliache, che a loro volta si dividono nelle:
 arterie iliache esterne e si continuano con le arterie femorali, che portano il sangue agli
arti inferiori: parliamo prevalentemente di questi perché gli arti superiori sono raramente
interessati da patologie ostruttive delle arterie.
 arterie iliache interne.
La patologia ostruttiva ha un’incidenza del 2% nella popolazione adulta, aumenta al 5% nelle fasce
di età più avanzate, oltre i 65 anni, e solitamente questi pazienti presentano ulteriori problematiche
associate, come lesioni dei vasi epiaortici o aneurismi dell’aorta; spesso, quindi, l’arteriopatia degli
arti è misconosciuta, ma circa un quinto dei pazienti che si ricoverano in un reparto di chirurgia
vascolare presenteranno tale patologia. È chiaro che l’eziopatogenesi è comune a tantissime forme
di arteriopatia, perché come vedremo la causa è unica.
EZIOLOGIA
o Nel 90% dei casi la causa delle arteriopatie è l’aterosclerosi, malattia conosciutissima di cui
avete sentito parlare a lungo, ed è quella che determina l’ostruzione e la stenosi in un punto per
poi compromettere il flusso agli arti inferiori come di tutte le altre arterie del corpo.
o Esiste una quota minore (2-3%) di casi legati a fenomeni flogistici, le arteriti, che viceversa
hanno una eziologia differente:
- displastiche ad esempio, alcune collagenopatie
- da compressione estrinseca
- conseguenze di malattie infettive o infiammatorie ad esempio, la malattia di Takayasu
frequente soprattutto nei paesi orientali
- malattia cistica avventiziale poplitea (molto rara)
- malattia di Buerger (o tromboangioite obliterante), è una forma che veniva confusa con
l’aterosclerosi fino a qualche decennio fa perché molto simile a questa, difatti è su base
infiammatoria ma si è visto che non implica il processo aterosclerotico nella sua genesi; è una
vasculite che colpisce le piccole e medie arterie, oltre che le vene. Non è ancora del tutto chiara
la genesi di questa arterite, ma è sicuramente correlata all’abuso di fumo, tant’è che anche a
livello clinico peggiora o migliora a seconda se si smette o meno di fumare. La diagnosi
differenziale si pone con altre arteriti, come la panarterite nodosa. La diagnosi non è sicura a
meno che non si faccia uno studio di imaging, tipo radio-TC, che permette di vedere come le
arterie di grosso o medio calibro sono integre, mentre i rami collaterali delle arterie a volte sono
chiuse. La diagnosi definitiva è istologica, che però non si può fare sull’arteria, ma si fa a
posteriori nel caso di pazienti che non smettono di fumare e in cui è difficile il trattamento.
Altra distinzione che può essere operata si basa sulla localizzazione delle lesioni e sulla loro
estensione: si distinguono arteriopatie:
o segmentarie, se è interessata ad esempio solo la biforcazione aortica
o polisegmentarie se sono interessate l’arteria iliaca e la femorale o la femorale e la poplitea
o diffuse se il tratto interessato va dalla biforcazione aortica fino ai piedi, alle pedidie

Il sesso maschile è colpito più di quello femminile, attualmente il doppio; fino a qualche decennio
fa c’era un rapporto di 4:1 tra maschi e femmine, ora si è ridotto a 2:1, ed il motivo è il fumo che è
uno dei fattori di rischio principale (abitudine voluttuaria un tempo molto meno diffusa tra le
donne).

FATTORI DI RISCHIO DELL’ATEROSCLEROSI:


- età
-fumo di sigaretta, nelle arteriopatie così come nelle coronaropatie è uno dei fattori principali e
spesso proprio l’abolizione del fumo e la modifica di alcune abitudini alimentari possono portare a
una riduzione o miglioramento di arteriopatie anche già evidenti.
- dislipidemia
- ipercolesterolemia
- diabete
- obesità
- ipertensione arteriosa
- vita sedentaria
- familiarità.

FISIOPATOLOGIA
Il primum movens è una lesione ateromasica, sviluppatasi per motivi di stress emodinamico o
accumulo di lipidi, specie a livello delle biforcazioni arteriose in cui il flusso da laminare diviene
turbolento; quindi per quanto riguarda gli arti inferiori la placca comincia a formarsi di solito o
livello della biforcazione aortica, o a livello della biforcazione iliaca o a livello di quella
femorale, oppure ancora più in basso a livello della parte terminale della femorale superficiale o dei
vasi della triforcazione poplitea.
A questo punto la placca può:
1. aumenta di volume, per accumulo di grassi, di calcio, di cellule fibrotiche eccetera, sino a
determinare prima un restringimento del diametro vasale e poi stenosi, che viene chiamata
emodinamica poiché determina una riduzione del flusso a valle dell’ostruzione soltanto
quando essa occlude circa il 70% del calibro del vaso. Se la placca continua ad aumentare e
non si interviene in nessun modo si può arrivare fino all’ostruzione completa del vaso.
2. Andare incontro a ulcerazione della placca, che in genere è rivestita da endotelio (dal
momento che si sviluppa al di sotto dell’intima); la sua alterazione, con conseguente
richiamo di piastrine e cellule infiammatorie determina dei fenomeni di aggregazione
piastrinica ed eventualmente trombosi, a causa della perdita della protezione fornita
dall’endotelio. Tali placche vengono definite complicate, e la diretta conseguenza è la
microembolia nei vasi di calibro minore scatenata da trombi (frammenti) che si riversano
nel torrente circolatorio, una volta staccatisi dalla placca ulcerata. Mentre questo fenomeno
negli arti inferiori non è molto importante (può determinare la sindrome del dito blu, un
esempio di microembolia periferica dove il paziente può presentarsi ad esempio con un dito
cianotico per occlusione di un vaso digitale), a livello della carotide una placca può
determinare microembolia cerebrale, dando luogo a eventi potenzialmente fatali come
l’attacco ischemico cerebrale transitorio o l’ictus.

La caratteristica dell’arteriopatia ostruttiva cronica è che, dal momento che la lesione steno-
ostruttiva si instaura lentamente, si ha il tempo per lo sviluppo di circoli collaterali che riducono la
gravità del quadro clinico, essendo questi delle vie di compenso che in qualche modo portano il
sangue all’arto, soprattutto se il paziente fa esercizio fisico favorendo l’irrorazione del muscolo e la
neoangiogenesi.

La stenosi arteriosa causata dalla progressione della placca tende ad andare verso l’aggravamento e
verso l’occlusione per due motivi:
1. accrescimento della placca
2. motivo emodinamico, che può essere spiegato con
- il teorema di Bernoulli, il quale dice che l’energia totale del sangue è uguale alla pressione per
la velocità che sono costanti (E=PxV=K). In presenza di un restringimento di un’arteria, si ha
un aumento della velocità del sangue e una riduzione della pressione collaterale. Questa
riduzione della pressione fa sì che l’arteria tenda a collabire in qualche modo, è un elemento
che facilita la progressione dell’ostruzione arteriosa perché s’instaura un meccanismo di
compenso che fa corrispondere un aumento della velocità alla riduzione della pressione.
Quando la stenosi è inferiore al 70%, questo aumento di velocità è sufficiente a mantenere la
giusta quota di sangue che passa a valle della stenosi; quando supera il 70% l’incremento di
velocità non è più sufficiente, per cui si parla di stenosi emodinamica. L’effetto contrario si ha
in caso di dilatazione dell’arteria (aneurismi), in cui si ha una riduzione della velocità e un
aumento della pressione.
- La legge di Leonardo, secondo la quale il flusso (Q) è
uguale alla velocità per la sezione del vaso (Q=VxS).
Anche queste due componenti sono costanti, quindi se
c’è una riduzione della sezione imputabile ad una stenosi, ne consegue un aumento della
velocità; se c’è un aumento della sezione si ha una riduzione della velocità.
- La legge di Poiseuille, che mette in rapporto la differenza di pressione con il raggio e la
lunghezza del vaso; quindi il flusso sarà determinato dalla differenza di pressione tra
un’estremità e l’altra del vaso (indicata dal ΔP), direttamente proporzionale al prodotto tra π e
la quarta potenza del raggio del tubo, (il calibro è importante) ed inversamente proporzionale 8
volte alla viscosità del sangue e alla lunghezza del vaso.
Queste leggi emodinamiche hanno come fine ultimo quello di aiutare a comprendere meglio la
fisiopatologia delle lesioni steno-ostruttive o anche delle dilatazioni delle arterie.

CLINICA
Per quanto riguarda l’aspetto clinico, abbiamo la classificazione di Fontaine che distingue
l’evoluzione delle arteriopatie in quattro stadi ben precisi (nel paziente aterosclerotico):
- I° stadio assenza di sintomi: Nel primo stadio dal punto di vista anatomopatologico ci sono
lesioni molto blande, non emodinamiche, provviste con circoli collaterali tali che il sangue
che arriva all’arto è sufficiente per non avere sintomi: il paziente non avverte nulla, a volte
lieve stanchezza, parestesie, sensazioni di freddo in inverno. Questi sintomi sono
sottovalutati, specie perché in pazienti anziani che non fanno movimento non si ha neppure
il loro sentore; ciò rende pressoché impossibile diagnosticare l’AOCP al primo stadio. Il
paziente si rivolgerà al medico se l’arteriopatia peggiora, essendo una patologia evolutiva,
soprattutto se non abolisce i fattori di rischio.
- II° stadio claudicatio intermittens A livello anatomopatologico ci saranno lesioni più
importanti, stenosi più considerevoli e a più livelli, con circoli collaterali che sono
comunque ancora sufficienti per mantenere l’irrorazione dell’arto in condizioni di riposo ma
non garantiscono un afflusso di sangue e un apporto di ossigeno adeguati durante lo sforzo
fisico. Il paziente avverte un dolore crampiforme (come nell’angina pectoris) durante la
deambulazione: generalmente avviene dopo aver camminato per un tratto, non all’inizio. Si
ferma, si riposa, anche in piedi, per qualche minuto, poi riprende a camminare. La
caratteristica che dovete ricordare di questa claudicatio è la costanza dell’autonomia di
marcia: a meno che le condizioni non peggiorino o migliorino, il soggetto riesce a
camminare sempre per la stessa quantità di passi. Possiamo distinguere lo STADIO
2A( paziente con autonomia di marcia superiore ai 200 mt) e STAIO 2 B (paziente con
autonomia < 200 mt). Il dolore insorge prima se cammina in salita o fa le scale, anziché in
piano, e quando un paziente riferisce questa sintomatologia già al colloquio con il medico si
può sospettare un’artropatia ostruttiva. La sede del dolore può essere variabile, se è
localizzato al gluteo vuol dire che ha un’ostruzione alta, dell’iliaca, se invece ha un dolore al
polpaccio vuol dire che ha un’ostruzione a livello della femorale superficiale.
- III° stadio dolore a riposo: Se la malattia aterosclerotica peggiora ulteriormente, a livello
anatomopatologico avremo delle lesioni molto più estese con scarsi circoli collaterali, e il
quadro clinico si presenterà con dolore anche a riposo, non più un’ischemia relativa ma
assoluta. È uno stadio grave, in cui bisogna intervenire. Il dolore è intenso, compare perlopiù
di notte a livello delle dita dei piedi, nella parte più distale dove il flusso ematico non riesce
a sopraggiungere, ed è resistente agli analgesici per cui i pazienti sono molto defedati,
sofferenti, avranno sensazione di freddo intenso a livello delle zone periferiche ischemiche.
La spiegazione di questo dolore notturno si ritrova nel fatto che il paziente in posizione
clinostatica e a riposo ha una gittata cardiaca ridotta, per cui all’arto in toto giunge una
quantità ulteriormente ridotta di sangue laddove il flusso è già severamente compromesso
dalla lesione ostruttiva. Al contrario, nel paziente in posizione ortostatica bisogna
considerare la componente idrostatica da aggiungere alla pressione sistemica, per cui il
flusso sarà facilitato. Per questo i pazienti che hanno dolori a riposo quando sono ricoverati
in ospedale non stanno mai completamente distesi, ma assumono posizioni particolari; a
casa a volte dormono in poltrona, a volte hanno il piede gonfio, cianotico, altre volte
piegano la coscia sul bacino o tengono la gamba flessa e/o declive dal letto per ridurre il
ritorno venoso (posizione coatta dell’arto), che è a sua volta un riflesso per ridurre il dolore
consentendo una maggiore estrazione di ossigeno utile ai tessuti nella stasi venosa che si
viene a verificare. Spesso a livello clinico oltre ad avere un piede a volte pallido e freddo,
potranno avere un piede edematoso e cianotico per questo motivo.
- IV° stadio: risulta essere ancora più grave e porta alla comparsa di lesioni necrotiche nei
tessuti a valle della stenosi: la cute si ulcera, si possono avere gangrene (la gangrena secca
è quella meno pericolosa e più gestibile, si riscontra perlopiù alle dita dei piedi, e in questo
caso si avrà ancora un ritorno linfatico per cui non costituisce una situazione d’urgenza
estrema, mentre se c’è una gangrena umida che è l’evoluzione successiva in cui c’è la
compromissione anche del ritorno linfatico e venoso e una sovrapposizione di processi
infettivi, la situazione risulta molto grave e spesso richiede un’amputazione dell’arto o di
quant’altro sia coinvolto).

La clinica dell’AOCP nel paziente diabetico (da ricordare che il diabete è uno dei fattori di rischio
principali dell’arteriopatia ostruttiva) è modificata nella sua evoluzione, perché generalmente in
concomitanza con la malattia aterosclerotica dei vasi di medio e di grosso calibro si avrà anche una
microangiopatia diabetica, nella quale sono interessati anche i vasi di piccolo calibro, ed una
neuropatia diabetica. A causa di ciò, la classificazione di Fontaine non risulta più strettamente
attendibile in quanto, a causa di queste ulteriori condizioni, è possibile che il soggetto presenti una
lesione trofica precoce (IV stadio secondo Fontaine), senza che vi siano claudicatio intermittens e/o
dolore a riposo (rispettivamente II e III stadio): questo può avvenire perché il paziente potrebbe non
avere lesioni a livello dei grossi e medi vasi, ma presentare soltanto microangiopatia, e può non
presentare dolore a riposo perché la neuropatia diabetica diminuisce o addirittura annulla la
sensazione del dolore. Bisogna, quindi, tenere a mente che nel
paziente diabetico c’è un sovvertimento degli stadi della
classificazione di Fontaine, nonché un’arteriopatia più grave ed un
decorso più rapido.
Altra forma di arteriopatia è la sindrome di Leriche, dal nome di
colui che la descrisse per primo. È un’arteropatia su base
aterosclerotica, è segmentaria ed ha come particolarità la
localizzazione delle lesioni: interessa la biforcazione dell’aorta nelle
2 arterie iliache, la quale una volta occlusa accoglie sangue che
arriva ad alta pressione e si va incontro a trombosi ascendente
(secondaria quindi ad ostruzione cronica aterosclerotica della
biforcazione), ossia si chiudono man mano i rami collaterali
dell’aorta, prima le lombari, poi la mesenterica inferiore e si arresta
in genere fino alla emergenza delle arterie renali. Il quadro
anatomopatologico che ne risulta è molto severo, che però a volte si
realizza con una sintomatologia sfumata. Questa sindrome interessa
prevalentemente il sesso maschile e nelle fasce di età
prevalentemente più giovani rispetto a quelle che vengono colpite dall’aterosclerosi in generale.
Nei quadri TC con ricostruzione tridimensionale dei vasi può essere riscontrata l’arcata di Riolano,
un vaso che mette in comunicazione la mesenterica superiore con la mesenterica inferiore, che va a
costituire un circolo collaterale di compenso per riabilitare la mesenterica inferiore e la parte
terminale dell’aorta e delle iliache. La trombosi è un evento veloce, mentre l’ostruzione avviene
molto lentamente, dando modo alla circolazione di compenso di instaurarsi ed è per questo che i
sintomi sono blandi e i pazienti che hanno la sindrome di Leriche (che ha comunque un quadro
grave, dal momento che se l’ostruzione continua a progredire verso l’alto fino alle renali il paziente
può andare incontro a morte per insufficienza renale acuta, ma in genere si arresta alla loro
emergenza perché il sangue trova sfogo attraverso tali vasi) non si rivolgono al medico per
particolari disturbi.
La caratteristica triade clinica di questa arteriopatia è costituita da:
1) claudicatio intermittens con lunga autonomia di marcia e dolore che insorge in sede glutea
perché l’ostruzione è alta
2) impotenza, sintomo che viene lamentato più spesso, che si verifica perché si avrà una riduzione
dell’afflusso di sangue alle arterie ipogastriche e quindi dei vasi che irrorano gli organi genitali
3) assenza dei polsi femorali.

DIAGNOSI
sia l’anamnesi che l’esame obiettivo sono il primo passo per qualunque approccio diagnostico.
Anamnesi
In caso di arteriopatia ostruttiva, se si riscontra la positività per alcuni fattori di rischio, come il
fumo (soprattutto se il pz è fumatore da molti anni) oppure ipercolesterolemia, obesità,
ipertensione, diabete, già ci si può orientare verso una diagnosi di malattia aterosclerotica, quindi
un’arteriopatia, in qualunque distretto essa si sviluppi.
Il pz raramente si presenta dal medico nelle fasi inziali della malattia, in quanto i sintomi sono
blandi o assenti.
Quando presente, la sintomatologia può presentarsi sotto forma di claudicatio intermittens (anche
definita “malattia delle vetrine”). La diagnosi differenziale della claudicatio intermittens arteriosa
si pone con altre patologie che possono determinare dolori a livello delle gambe, tra queste i
disturbi osteo-articolari, che spesso coesistono in pazienti anziani, spesso affetti anche da artrosi. In
questi casi, tuttavia, i sintomi sono diversi: mentre nell’artrosi e nei disturbi neurologici in genere il
dolore compare in condizioni di riposo o in seguito a posture particolari, nella claudicatio arteriosa
il dolore compare sotto sforzo.
Anche l’insufficienza venosa, a volte, dà sintomi come dolore, pesantezza d’arto, ma si differenzia
dalla claudicatio perché, anche in questo caso, la sintomatologia compare quando il pz è in
posizione eretta o seduta molto a lungo, non si muove; quando cammina, invece, il pz con
insufficienza venosa sta meglio.
È chiaro, quindi, che questo sintomo sotto sforzo è tipico dell’arteriopatia.
Esame obiettivo
L’anamnesi non è sufficiente a fare diagnosi, perciò si deve visitare il paziente.
L’esame obiettivo consta delle solite 4 fasi, tuttavia la percussione non ha utilità in questo campo.
1. ISPEZIONE All’ispezione, dato che si sta parlando di arteriopatia degli arti inferiori, si
osservano principalmente gli arti inferiori ponendo il pz sul lettino.
Nelle fasi iniziale dell’arteriopatia, di solito, all’ispezione non si vede nulla: gli arti appaiono
normali e non si evidenzia alcun problema.
Nelle fasi più avanzate, però, è possibile notare delle alterazioni che permettono di sospettare
un’arteriopatia:
- colorito cianotico, come accade in fasi parecchio avanzate a causa del deficit di
ossigenazione; può esserci una stasi dovuta alla posizione degli arti a riposo, perciò spesso
in questi pz si tende a posizionare l’arto al di fuori del letto;
- alterazioni degli annessi cutanei, ad esempio perdita dei peli, alterazione delle unghie, una
distrofia della cute che si presenta sottile e delicata;
- edema, il quale non è un sintomo di arteriopatia, ma è una conseguenza dello stadio
avanzato. Infatti, se un pz si trova al terzo stadio, quindi ha dolori forti, dorme seduto o in
piedi per permettere una maggiore ossigenazione, si sviluppa un edema dovuto alla stasi.

- Nelle fasi più avanzate compaiono le lesioni croniche, che all’ispezione si manifestano
sotto forma di necrosi di un dito, probabilmente correlata ad un ipoafflusso di sangue in
quel distretto.
In sintesi, all’ispezione si possono ricavare dati importanti solo nelle fasi più avanzate
dell’arteriopatia, in particolare al terzo e al quarto stadio.

2. PALPAZIONE Raramente si obiettiva una differenza di temperatura, che si osserva più che
altro nelle fasi avanzate, quando l’ipoafflusso di sangue è talmente importante che anche a
riposo non è sufficiente a scaldare i tegumenti, permettendo quindi di apprezzare un’alterazione
termica. Questa alterazione è più frequente nelle forme acute, quando si ha un’ostruzione
improvvisa di un’arteria; nelle forme croniche, invece, l’ipotermia è rara ed è più una
sensazione soggettiva. È fondamentale la palpazione dei polsi arteriosi: nel caso in
cui i pz presentino tutti i polsi palpabili, segno che arriva sangue a pressione elevata, è possibile
escludere l’arteriopatia. Ad esempio, il polso radiale si palpa facilmente essendo superficiale, e
come questo possono essere palpati i polsi arteriosi degli arti inferiori. Gli altri polsi arteriosi
dell’arto superiore sono, oltre al radiale, il polso omerale, l’ascellare, mentre il succlavio si
sente male; c’è anche il polso carotideo.
I polsi arteriosi dell’arto inferiore sono, nell’ordine, il polso femorale, il popliteo, il tibiale
posteriore e il pedidio.
Bisogna conoscerli e sapere dove vanno palpati:
- Il polso femorale è il più prossimale, si palpa a livello della piega inguinale. Infatti,
l’arteria femorale decorre nel triangolo di Scarpa, delimitato in alto dal legamento inguinale
(che va dalla spina iliaca anteriore superiore al tubercolo pubico), lateralmente dal muscolo
sartorio e medialmente dall’adduttore lungo. La bisettrice di questo triangolo rappresenta il
decorso del fascio vascolare, che nell’ordine è costituito, dall’esterno verso l’interno, da
nervo, arteria e vena femorale.
L’arteria femorale si palpa mettendo il pz disteso sul lettino, se il pz è grasso si può mettere
un cuscino sotto al sedere in modo da evidenziare di più la regione inguinale, per poi
affondare le dita della mano al di sotto del legamento inguinale tra tubercolo pubico e spina
iliaca anteriore superiore: in questa sede si deve reperire il polso femorale.
Se si può palpare il polso femorale, vuol dire che a monte non ci sono lesioni ostruttive o
stenotiche importanti; se lo si avverte poco, potrebbero esserci delle stenosi; se non lo si
avverte, potrebbe esserci un’ostruzione. Se mancano entrambi i polsi femorali, è
possibile sospettare una sindrome di Leriche, cioè un’ostruzione dell’aorta terminale a
livello delle due iliache.
- Il polso successivo è il polso popliteo. La poplitea rappresenta la diagonale della losanga
poplitea.
Il polso popliteo viene palpato mettendo il pz in posizione prona, flettendo leggermente la
gamba sulla coscia e affondando la mano nel cavo popliteo. Il polso popliteo è più difficile
da palpare anche nei soggetti non particolarmente obesi, in soggetti molto muscolosi o in
atleti, in quanto il polso è più profondo: per questo motivo, quando non si riesce a palpare il
polso popliteo, ciò non significa necessariamente che l’arteria a monte è chiusa. Se lo si può
palpare, tuttavia, è rassicurante, perché significa che l’arteria è pervia fino alla poplitea e
non c’è alcun problema.
- Il polso tibiale posteriore si palpa dietro il malleolo mediale. Essendo un’arteria
superficiale, è facile da palpare.
- Il polso pedidio è ancora più semplice da palpare, si riscontra sul dorso del piede lungo
una linea immaginaria che corrisponde al primo spazio interdigitale.
Se è possibile palpare tutti i polsi si può escludere un’arteriopatia importante, in quanto le arterie
sono pervie e il sangue scorre correttamente a pressione normale. Se non è possibile palpare uno,
due o tre polsi, a seconda dell’altezza, si può ipotizzare l’occlusione delle arterie a monte del polso
mancante.
3. La PERCUSSIONE non è prevista e sulle arterie non serve.

4. AUSCULTAZIONE Può essere d’aiuto in quanto può consentire di ascoltare dei soffi. Il soffio
indica una turbolenza del sangue, di solito un’accelerazione.
Nell’auscultazione delle arterie il soffio corrisponde ad un’accelerazione. In presenza di una
stenosi arteriosa, al fine di compensare la caduta di flusso a valle, c’è un’accelerazione del
flusso, la quale è, appunto, percepita come un soffio.
I soffi si auscultano mettendo il fonendo sull’addome, dove si possono auscultare soffi dovuti a
stenosi di vasi iliaci, aorta o vasi viscerali (renali ad esempio), distinguibili a seconda
dell’altezza su cui il medico poggia il fonendo. Si ricerca poi il soffio sui focolai inguinali; su
quelli più distali non si può auscultare allo stesso modo in quanto, essendo i vasi come la
poplitea più superficiali, la pressione del fonendo sull’arteria può essa stessa causare una stenosi
e quindi un soffio, impedendo di ottenere un risultato attendibile. Si deve in qualunque caso
evitare di schiacciare troppo l’arteria. Se si reperisce un soffio si può sospettare una stenosi
arteriosa, non un’ostruzione, perché il soffio indica che il sangue passa ma ha un’accelerazione.
La presenza di un soffio in uno qualunque dei focolai arteriosi, fa pensare alla presenza di un
trauma della parte. Il distretto più significativo dove si può rilevare un soffio è quello della
carotide. Infatti, l’esistenza di un soffio a livello del collo fa sospettare l’esistenza di una stenosi
carotidea. A volte il soffio cardiaco si può irradiare anche al collo e bisogna stare attenti,
all’esame obiettivo, nel discriminare una stenosi aortica, che dà un soffio sia sul focolaio aortico
che a livello carotidi, da una stenosi carotidea.

Esami strumentali
I primi esami richiesti per confermare la diagnosi sono gli esami ad ultrasuoni come il doppler e
l’ecodoppler o ecocolordoppler.
L’effetto doppler è uno studio semplificato il quale afferma che, se una sorgente sonora che emette
suoni è in movimento, l’orecchio umano (in questo caso non è l’orecchio ma si parla di ultrasuoni)
percepisce un rumore diverso a seconda che la fonte si avvicini o si allontani dall’ascoltatore.
Quindi, la frequenza dei suoni varia in relazione alla direzione della fonte che emette il suono
stesso. Tutto ciò è stato poi legato alla clinica, creando un apparecchio, l’apparecchio Doppler,
costituito da una sonda piezoelettrica che emette ultrasuoni. Gli ultrasuoni vengono indirizzati,
attraverso la sonda, verso arterie e vene, all’interno delle quali scorre il sangue, il quale costituito
anche da elementi corpuscolati, in particolare i globuli rossi. Gli ultrasuoni vengono respinti dai
globuli rossi in movimento all’interno delle arterie o delle vene: dalla frequenza con cui gli
ultrasuoni vengono respinti, si possono avere informazioni riguardo la pervietà di arterie e vene,
cioè si può capire se le arterie o le vene sono pervie, in quanto se non ci passa niente non si formerà
eco.
Si possono inoltre avere informazioni riguardo la direzione del flusso ematico, a seconda che il
sangue si avvicini o meno alla sonda: se si pone la sonda su un’arteria, il sangue si dirige verso di
essa, mentre se si mette su una vena, si allontana. A volte, però, si creano fenomeni di furto e di
emametocinesia, in cui si hanno inversioni del flusso.
Un’altra informazione molto importante riguarda la presenza di un’eventuale variazione della
velocità, in quanto la frequenza aumenta o diminuisce a seconda della velocità di movimento dei
globuli rossi: se c’è un’accelerazione il doppler la può reperire, la può diagnosticare e può
confermare che ci sia, ad esempio, una stenosi arteriosa.
Il doppler a onda continua è il doppler semplice. Vi è poi l’applicazione ecocolordoppler o
ecodoppler che mette insieme l’aspetto funzionale, lo studio della velocità, con l’aspetto
morfologico, cioè quello che consente di studiare le pareti e le strutture dei tessuti, comprese le
arterie e le vene. Nell’ecocolordoppler, “color” è un’applicazione computerizzata che fa vedere
il colore a seconda della direzione del flusso delle turbolenze: il rosso indica che il flusso è diretto
verso le arterie, in blu si allontana: quindi nelle vene compare blu, nelle arterie compare rosso e, se
c’è una turbolenza o un’accelerazione, compare un colore giallastro o giallo-bluastro.
L’ecocolordoppler permette anche di studiare la parete dei vasi delle arterie, cioè la
presenza di placche calcifiche, soft, fibrose, ecc. Altra applicazione del doppler è la misurazione
della pressione, ad esempio si può prendere quella a livello della caviglia e facendo una semplice
misurazione differenziale tra pressione omerale e quella registrata alla caviglia si può riscontrare la
presenza di un gradiente (esempio: al braccio troviamo una pressione di 120 mmHg, alla caviglia
con paziente in posizione clinostatica una pressione di 50 mmHg c’è un’ostruzione dell’asse
arterioso che porta ad una caduta della pressione). L’indice pressorio caviglia-braccio o indice di
Winsor normalmente è 1 o superiore a 1, vuol dire che le pressioni devono essere uguali, o quello
della caviglia deve essere leggermente superiore; se questo indice è inferiore a 1 è patologico in
CLINOSTATISMO.
Questi esami non invasivi consentono di studiare in maniera adeguata le arterie, soprattutto quelle
più superficiali e più accessibili alle sonde: di solito si usano sonde diverse a seconda della
profondità dei vasi. L’aorta addominale, ad esempio, si studia meno bene della carotide o della
femorale. L’aorta toracica è più difficile da studiare perché c’è la gabbia toracica, si può quindi
studiare attraverso l’ecocolordoppler transesofageo. Nella stragrande maggioranza dei casi, un
esame ben fatto, soprattutto per le arterie periferiche, consente di fare diagnosi.
Tutti gli altri esami, come la TCO2 e il laser-doppler, servono per lo studio della circolazione ma
non si applicano nella pratica clinica, non si usano quasi mai.
Vi sono poi indagini di secondo livello:
- Angio-RM;
- TC-spirale; importante, prima era un po’ invasiva perché oltre ad inserire un mezzo di
contrasto necessita di molte radiazioni; oggi è stata molto ridotta l’esposizione alle
radiazioni, e risulta essere un esame molto utile nella diagnostica delle arteriopatie di tutti i
distretti del corpo
- l’angiografia che è rivolta al trattamento vascolare, dal momento che la maggior parte delle
lesioni steno-ostruttive delle arterie degli arti possono essere trattate con metodiche
endovascolari. Questo esame, come già precisato, non ha come fine la diagnosi, ma viene
effettuato quando decidiamo di intraprendere una procedura invasiva di angioplastica o di
stenting.

APPROCCIO TERAPEUTICO ALLE ARTERIOPATIE OSTRUTTIVE DEGLI ARTI

La scelta terapeutica dipende da


 quadro clinico
 distretto arterioso interessato
 età del paziente In pazienti giovani si cercherà di trattare con terapia chirurgica, negli anziani
invece con terapia medica.
 coesistenza di altre patologie associate La presenza di patologie cardiache gravi può
rappresentare una controindicazione al trattamento chirurgico.

In generale il primo trattamento è la correzione dei fattori di rischio modificabili e dello stile di
vita: iperglicemia, ipercolesterolemia, inattività fisica, dieta squilibrata, fumo, ipertensione.
Se un paziente ha una claudicatio intermittens (AOCP II STADIO), si consiglia al paziente di
seguire attività fisica regolare, in modo tale da sviluppare circoli collaterali di compenso alla steno
ostruzione arteriosa (bypass naturale). Con una situazione di ischemia critica, se il paziente ha
dolore a riposo o lesioni trofiche, generalmente la terapia medica non è sufficiente e bisogna
intervenire con chirurgia endovascolare o rivascolarizzazione deli arti inferiori (bypass).

La claudicatio è una patologia relativamente benigna perché nel 75% dei casi rimane stabile, nel
25% dei casi peggiora e nell’2-5% dei casi il paziente può andare incontro ad amputazione dopo il
fallimento della rivascolarizzazione.

Differente è la situazione nel caso di ischemia critica, che è la situazione in cui il paziente ha
dolore a riposo oppure lesioni trofiche.
Definizione di ischemia critica----> ci deve essere:
 un dolore a riposo che persiste nonostante gli analgesici da più di due settimane
 oppure un’ulcera o una gangrena a livello delle dita dei piedi
 una pressione arteriosa alla caviglia inferiore ai 50 mmHg misurata con il doppler a onda
continua;
 oppure un indice pressorio caviglia-braccio (ABI) inferiore a 0,4 (richiede trattamento
chirurgico), si misura con il doppler, andando a studiare la pressione al braccio (a livello
omerale) e alla caviglia (tibiale posteriore o pedidia) nel pz disteso:
- Se non ci sono alterazioni alle arterie iliache, la pressione è uguale sia a livello del braccio che
della caviglia;
- Se ci sono lesioni stenosanti ostruttive delle iliache, la pressione alla caviglia è inferiore
rispetto a quella del braccio. E il valore dell’ABI sarà < 0,91:
1. Se il valore dell’ABI è < di 0,4 la condizione è molto grave e il soggetto deve essere
trattato immediatamente;
2. Se compreso tra 0,90 e 0,70 è lieve
3. Se compreso tra 0,70 e 0,40 è moderata
4. Se l’indice pressorio caviglia braccio è > di 1,3 il valore è inattendibile: questo può
succedere nei pazienti che presentano una calcificazione delle arterie, ovvero nei
diabetici.
 la pressione digitale è inferiore a 30 mmHg, si misura a livello dell’alluce nei pazienti
diabetici (nei pazienti diabetici a causa delle calcificazioni la misurazione della pressione non è
attendibile, quindi deve essere misurata a livello delle dita dei piedi)
 una saturazione transcutanea di ossigeno inferiore a 30 mmHg.

Importante per decidere sull’indicazione al trattamento chirurgico è la sede delle lesioni ostruttive:
- Aorto-iliaco;
- Iliaco-femorale;
- Femoro-popliteo;
- Popliteo-tibiale.

Le lesioni prossimali sono quelle che hanno migliore risultato a livello chirurgico, per cui si ha una
maggiore tendenza a trattare da un punto di vista chirurgico lesioni del tratto aorto-iliaco rispetto a
lesioni femoro-poplitee o femoro-distali. I bypass femoro-tibiali o femoro-distali possono andare
incontro ad occlusione.

Distretto aorto-iliaco

Si ha maggiore tendenza al trattamento e ci si basa sulla classificazione TASC.


In base a questa classificazione le lesioni vengono suddivise morfologicamente in quattro tipi:
 A: più semplici, stenosi corte del distretto aorto-iliaco e della biforcazione
 B: > gravità; trattate con chirurgia endovascolare
 C: >> gravità, c. endovascolare
 D: tipo sindrome di Leriche, ostruzione completa dell’aorta; chirurgia open

Delle stenosi corte possono essere trattate per via endovascolare: si inseriscono delle guide
metalliche dall’inguine, dalle arterie femorali, la guida supera la lesione stenotica e su quella guida
viene fatta l’angioplastica e rilasciato uno stent, che è una reticella metallica che contiene il
nitinolo, che è un materiale che con il calore si dilata, quindi viene aperta l’arteria.
Una situazione di tipo D in cui c’è un’ostruzione completa dell’aorta, è una sindrome di Leriche,
in cui bisogna ricorrere all’intervento open che consiste in una laparotomia mediana, esposizione
dell’aorta e confezionamento di un bypass aorto-bifemorale con una protesi sintetica.

Bypass extra-anatomici
Si effettuano quando è necessario riportare sempre il sangue a livello degli arti inferiori a causa di
un’ostruzione critica del distretto aorto-iliaco. Questi bypass extracorporei si fanno in quei pazienti
che necessitano assolutamente di una rivascolarizzazione, che però non possono subire per motivi
vari o per patologie associate interventi maggiori di tipo aorto-femorale o aorto-iliaco.
I bypass sono delle ricostruzioni che si fanno per risolvere situazioni di ostruzione del distretto
aorto-iliaco in pazienti anziani che non possono subire un intervento di laparotomia.
Sono dei bypass che collegano l’arteria X con l’arteria femorale, tramite dei tubi lunghi che
decorrono nel sottocutaneo. Richiedono un intervento di superficie, che può essere addirittura fatto
in anestesia locale e porta il sangue dall’arteria ascellare all’arteria femorale, oppure dall’arteria
femorale destra all’arteria femorale sinistra passando nel sottocutaneo del pube. Esistono vari tipi di
bypass extraanatomici:
- 1A: bypass iliaco – femorale transotturatorio;
- 1B: bypass iliaco – femorale crossover;
- 1C: bypass femoro – femorale crossover sovrapubico;
- 1D: bypass femoro – femorale crossover transperineale;
- 2A: bypass axillo – bifemorale;
- 2B: bypass axillo – femorale.

Segmento femoro-popliteo-distale
In casi di lesioni estese l’angioplastica non si può fare, la ricanalizzazione non è sempre possibile
quindi bisogna ricorrere al bypass femoro-popliteo o femoro-tibiale.
Mentre i bypass extraanatomici solitamente vengono fatti di materiali sintetici, in Dacron o in
PTFE, nei bypass femoro-distali invece il materiale di scelta è la vena safena autologa, cioè si
preleva la vena safena, si inverte perché contiene delle valvole che di solito consentono un flusso
unidirezionale dal basso verso l’alto, oppure va devalvulata attraverso dei valvulotomi che tagliano
le valvole. Per cui la vena safena viene lasciata in situ e anastomizzata alla poplitea o alla femorale
o alla tibiale nel segmento post-ostruzione, oppure viene prelevata, invertita e utilizzata come
condotto arterioso, in modo che invertendola il sangue possa scorrere secondo quello che
consentono le valvole.

A volte, oltre bypass con l’arteria poplitea, che vengono anastomizzati al di sotto del ginocchio, si
possono fare anche dei bypass distali sull’arteria tibiale posteriore o sull’arteria poplitea.
Altre possibilità sono gli interventi ibridi, cioè si possono fare interventi in parte endovascolari e
in parte open.

SINDROME DI BUERGER

La condizione di arteriopatia ostruttiva cronica degli arti ha , nel 90% dei casi, come causa
l’aterosclerosi. Ci sono altre forme che conducono alla malattia ossia arteriti di tipo flogistico, tra
cui arterite di Buerger.
L’incidenza della malattia di Buerger vera e propria è molto bassa.
Dal punto di vista anatomopatologico, a differenza delle forme aterosclerotiche queste arteriti
interessano soprattutto le arterie di medio e piccolo calibro e, anziché avere dei fenomeni
ateromasici, si avranno degli infiltrati di cellule infiammatorie a livello della media e della
avventizia; ci sono cellule giganti, cellule epitelioidi, leucociti, linfociti e linfoblasti.
A differenza della forma aterosclerotica è che, oltre ad interessare le arterie (di medio e piccolo
calibro), interessa anche le vene e i vasi linfatici; quindi questi infiltrati infiammatori che si trovano
anche a livello dei vasi venosi possono complicarsi con fenomeni di tromboflebite. In queste
circostanze si ha una cosiddetta panangioite, cioè tutti i vasi di un determinato segmento di un arto
possono essere interessati a questa forma infiammatoria.

CLINICA

Ci sono delle differenze sostanziali rispetto all’arteriopatia aterosclerotica.


Nella malattia di Buerger:
 non c’è la claudicatio ma direttamente delle lesioni trofiche
 dolori distali, digitali, e dolori a riposo perché sono interessati i vasi di piccolo calibro si può
avere una claudicatio di piede (instep claudicatio), non di polpaccio, di coscia o di gluteo come
si ha nella forma aterosclerotica.
 l’ipotermia
 sensazione di parestesie, per danno a livello neurologico periferico
 colorito rosso-cianotico dei piedi per la componente infiammatoria
 episodi pregressi di flebite nodulare superficiale
 interessa soggetti giovani, quasi sempre di sesso maschile (dai 30 ai 50 anni)
 fumatori (IMPORTANTE)

La diagnosi differenziale si pone con altre patologie come le collagenopatie e il lupus.


A livello dello studio strumentale non sono usati tanto il doppler e l’ecodoppler (con i quali è
difficile fare diagnosi di questa malattia), ma l’angioTAC e l’angiografia. Siccome sono interessati
i vasi piccoli, cioè i rami delle arterie degli arti, si vede un’immagine ad “albero spoglio”, cioè con i
rami principali buoni, perfetti, e con i rami collaterali chiusi.

La malattia di Buerger è difficile da trattare. La malattia si esacerba se il paziente fuma, se non


fuma regredisce.
L’eziologia non è chiara, però sembra che ci sia una ipersensibilità ai prodotti del fumo, quindi
abbiamo una reazione immunitaria. Non è nota ancora oggi la causa esatta della patologia, vi è solo
questa strettissima correlazione con il fumo di sigaretta.

La diagnosi definitiva si fa con l’esame istologico e il trattamento è unicamente la sospensione del


fumo. Non c’è terapia chirurgica perché sono interessati i vasi distali e i vasi collaterali, cioè quelli
che possono garantire una buona perfusione dei tessuti.
Spesso si procede con l’amputazione degli arti, di gamba e piedi e talvolta anche dell’arto superiore;
la diagnosi è post-amputazione, si fa l’esame istologico della parete arteriosa e si trovano quegli
infiltrati infiammatori che fanno fare diagnosi di morbo di Buerger.

ISCHEMIA ACUTA DEGLI ARTI

E’ caratterizzata dall’ostruzione improvvisa di una o più arterie tributarie dell’arto inferiore o


superiore.
Mentre l’ischemia cronica interessa quasi esclusivamente gli arti inferiori, l’ischemia acuta può
interessare anche gli arti superiori, ed è caratterizzata dall’ostruzione improvvisa dell’arteria, e non
dalla presenza di una placca aterosclerotica, che porta alla formazione di circoli collaterali.

L’ostruzione è improvvisa e porta a una grave ipoossigenazione dei tessuti a valle del tratto
arterioso colpito, con sofferenza soprattutto dei muscoli, dei tegumenti e dei nervi.
La gravità dell’ischemia è correlata:
 all’estensione dei territori ipossici
 al tempo di insorgenza
 presenza o meno di circoli collaterali i circoli collaterali rappresentano un elemento
differenziale importante. Se nell'arto colpito da ischemia (ossia da ostruzione acuta di un’arteria
principale) non c'è un circolo collaterale, l'ischemia è molto grave; se ci fosse un circolo
collaterale preformato, l'ischemia sarebbe meno grave.

EZIOLOGIA
 embolia arteriosa
 trombosi si può avere generalmente in presenza di arterie ateromasiche (90%) che hanno
placche che determinano una trombosi in loco se ci sono lesioni preesistenti. Una trombosi si
può avere in presenza di aneurismi delle arterie periferiche (arterie aneurismatiche), altre
possibilità di trombosi si hanno su arterie sane quando si hanno malattie della coagulazione
(coagulopatie), quando si ha aumento della viscosità, in pazienti disidrati, in stato di shock, da
uso di droghe, da compressioni estrinseca dell’arteria oppure quando pazienti sono portatori di
protesi vascolari, bypass, protesi sintetiche.
 Il trauma arterioso può determinare un ischemia perché oltre a dare emorragia possono dare
trombosi a valle del tratto lesionato:
- Ferite da arma da fuoco, da taglio (trombosi distale ed emorragia)
- Fratture ossee scomposte A volte vanno a comprimere l’arteria femorale e dare luogo a
trombosi
- Traumi da schiacciamento
- Traumi iatrogeni (chirurgia endovascolare, chirurgia laparoscopica, cateterismi)
 aneurisma dissecante dell’aorta La dissecazione è uno scollamento di due tonache dell'arteria
con la formazione di due lumi, succede spesso nei pz ipertesi, i quali presentano una malattia
del connettivo o hanno un’arteriosclerosi così grave che ha danneggiato l'aorta
 trombosi venosa profonda ischemizzante (estremamente rara) detta phlegmasia

Quando un’arteria si ostruisce all’improvviso, non arriva più sangue in quell’arto, si verifica una
devascolarizzazione quindi si ha un’ipossia dei muscoli, anche dei tendini e dei tegumenti, ma la
massa principale è quella dei muscoli.
Le cellule muscolari vanno incontro ad edema cellulare, si rigonfiano, vanno incontro ad una
degenerazione ialina e ad una degenerazione discoide e di Bowman, con rottura del nucleo
cellulare. Quindi si parla di rabdomiolisi. Queste alterazioni sono reversibili entro certi limiti.
Quando si ha una carenza di ossigeno si instaura a livello dei tessuti un meccanismo anaerobio, e
aumenta la produzione di anidride carbonica, di lattati e di piruvati, si ha la rottura del nucleo
cellulare con immissione in circolo di potassio, mioglobina e enzimi muscolari.
Riportando il sangue in un arto ischemico dopo che sono passate tante ore si può creare una
cosiddetta sindrome da rivascolarizzazione: si mettono in circolo queste sostanze, potassio,
mioglobina ed enzimi, che danneggiano gli organi in generale, i reni (insufficienza renale acuta), i
polmoni (sindrome da distress respiratorio), il cervello, il cuore (iperpotassemia → aritmie)
portando a morte del paziente.

Se non sono superati alcuni parametri è consigliata la rivascolarizzazione:


- pH >7,12
- K < 6 mEq/L
- Enzimi non elevati
Se questi valori non sono rispettati allora è consigliata l’amputazione.

CLINICA
Dopo 4-6 ore dall’evento ischemico compaiono le prime alterazioni istologiche a carico di muscoli
e nervi periferici (FASE REVERSIBILE) A SEGUITO DI:
 Riduzione della pressione arteriosa
 Ridotto apporto di O2 e accumulo di CO2
 Passaggio al metabolismo anaerobio con accumulo di acido lattico e cataboliti che
stimola no il rilascio di sostanze vasodilatatrici (chinine)
 Aumento permeabilità capillare con conseguente edema interstiziale
Dopo 12 ore il DANNO DIVIENE IRREVERSIBILE a causa della necrosi cellulare conseguente
all’alterazione della permeabilità cellulare con rigonfiamento cellullare e rottura di membrana.

La sintomatologia è caratteristica. Il paziente con ischemia acuta dell’arto arriva con questo quadro
clinico caratterizzato dalle 6 P di Pratt e dall’ipotermia.
Le 6 P sono:
 Pain, dolore forte all’arto di tipo traffittivo/costrittivo
 Pallor: arto pallido
 Paralysis: incapacita di muovere l’arto; totale nei casi più gravi; segno del foot drop: nervo
che soffre precocemente di ipossia è il nervo tibiale quindi segno caratteristico è la caduta in
avanti del piede
 Paresthesia: dovute ad alterazioni della sensibilità, senso di intorpidimento dell’arto, a volte
sensazione di freddo
 Pulselessness, o assenza dei polsi
 Prostration, lo stato di shock associato al dolore con ipotermia

Un altro segno importante che può comparire tardivamente è il dolore alla palpazione dei muscoli,
perché le masse muscolari sofferenti sono tese nella fascia muscolare e alla palpazione sono dolenti
anche a pressioni leggere. In certi casi si associa l’edema dell’arto dovuto alla coesistenza di una
trombosi venosa secondaria; essendoci una riduzione del flusso ematico alla gamba, se l’ischemia
dura da molte ore, le vene non hanno la vis a tergo e quindi si può verificare una trombosi venosa.

ISCHEMIA ACUTA ARTI: EMBOLIA ARTERIOSA

Una delle cause principali dell’ischemia acuta è l’ EMBOLIA ARTERIOSA da non confondere
con l’embolia polmonare.
Definizione di embolia: CONSISTE NELLA PRESENZA NEL TORRENTE CIRCOLATORIO DI
MATERIALE TROMBOTICO (MA ANCHE GAS, LIQUIDI ESTRANEI, CORPI SOLIDI
ESTRANEI) CHE MIGRA ATTRAVERSO LE ARTERIE SEGUENDO LA DIREZIONE DEL
FLUSSO E SI ARRESTA IN UN SEGMENTO ARTERIOSO QUALSIASI IN RELAZIONE AL
SUO VOLUME, DETERMINANDONE L’OSTRUZIONE.
L’embolia polmonare è quella che si verifica quando i trombi si formano nel versante venoso, nelle
vene degli arti, si mobilizzano E vanno a finire nella vena cava inferiore ,dalla vena cava nell’ atrio
dx, ventricolo dx, arteria polmonare, polmone.
EZIOLOGIA

1. CARDIACA

I trombi si formano direttamente nel cuore sx perché dal ventricolo sx parte l’aorta e questi per
andare nelle arterie si devono formare nella metà sx del cuore.
Generalmente si formano nell’ atrio sx in caso di patologie del cuore, le più comuni sono la stenosi
mitralica che determina dilatazione dell’ atrio e una volta dilatato si può complicare con
fibrillazione atriale.
Triade di Virchow
Il trombo si forma e aderisce alla parete auricolare dell’atrio e rimane la, si stacca a volte quando
uno instaura una terapia per l’aritmia, riporta il ritmo sinusale e in quel caso l atrio si contrae bene e
la stessa contrazione può determinare il distacco di quel trombo. Quindi durante fibrillazione atriale
prima di fare la conversione al ritmo sinusale deve fare un ecocardio transesofageo per verificare se
c’è qualche trombo.

Oppure in corso di patologia tumorale, il mixoma atriale, un tumore benigno che si forma a partire
dall’ endotelio dell’ atrio.
Un'altra sede cardiaca dove si possono formare questi trombi è il ventricolo sx.
In esso il trombo si può formare in due casi:
 infarto del miocardio con necrosi dell’endocardio ed esposizione dll tessuto sub-endocardico
che essendo carico elettropositivamente induce adesione e aggregazione piastrinica
 aneurisma ventricolare, estroflessione del ventricolo post infartuale che determina danno
della parete ventricolare e dentro l’aneurisma, una zona di minor flusso, si crea una stasi e si
può formare un trombi

2. EXTRACARDIACA
- Formazione generalmente in presenza di aneurismi aortici, dell’aorta toracica o addominale,
della poplitea e della succlavia
- Oltre agli aneurismi possono formarsi dei trombi più piccoli in presenza di placche
ateromasiche ulcerate (microembolie) lungo tutto l albero circolatorio.
Un rarissimo tipo di embolia è l’ EMBOLIA PARADOSSA si formano nelle vene degli arti inferiori,
può succedere se esistono dei difetti dei setti interatriali o interventricolari. Il trombo si stacca dalle
vene della cava arriva nel cuore dx e se c è un difetto grosso interventricolare o interatriale il
trombo può passare da dx a sx.
E’ un evento raro perchè generalmente il gradiente pressorio c’è ed è a favore della sx quindi il
sangue va da sx a dx e non viceversa.

3. IATROGENA
A seguito di cateterismi e trattamenti endovascolari

In ordine di frequenza le sedi di embolia:

 arteria femorale e iliache (40%), quindi va a finire negli arti inferiori


 i vasi epiaortici (20%)
 rara è l’embolia degli arti superiori, arteria axillo-brachiale (15%), poiché le succlavie
hanno un angolo diverso.
 ancora più rara quella delle arterie carotidi
 più rare sono le embolie dei vasi viscerali (tripode celiaco, mesenterica superiore, arterie
renali) perché hanno un’ emergenza quasi ad angolo retto dall’aorta per cui è più difficile che
l’embolo imbocchi in qualche modo questi vasi

FIOSOPATOLOGIA
L’arteria si chiude, si avrà un ischemia distale perché non arriva il sangue, si associa un
vasospasmo dell’arteria occlusa e può determinarsi a complicare l’embolia una trombosi
secondaria. Se non si interviene rapidamente a ripristinare il flusso a valle del tratto chiuso dall’
embolo ci sarà una stasi nell’arteria, quindi si può trombizzare e si crea un quadro più grave perché
magari ostruisce anche dei circoli collaterali.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

EMBOLIA:
 Fibrillazione atriale
 Infarto
 Altre p. cardiache
 AA aortici
 Arterie controlaterali sane
 Polsi presenti

TROMBOSI:
 Claudicatio
 Protesi arteriose
 Trobofilia
 Lesioni ateromasiche diffuse
 Polsi assenti

ESAMI STRUMENTALI
Doppler ed Ecocolordoppler sono indagini che consentono di confermare la diagnosi.
Con sospetto di trombosi si fa un’ angiografia, in sospetto di embolia non è necessario farla poiché
in corso dell’indagine è possibile effettuare un’immissione in loco di farmaci trombolitici come
l’urochinasi.
Esami di secondo livello : l’ angio TC che fa vedere se c è un aneurisma dissecante o una patologia
aterosclerotica diffusa.
Ecocardiogramma che servirà a escludere la presenza di trombi atriali o di una dissezione che parte
dall’ aorta toracica ascendente.
TRATTAMENTO CHIRURGICO
Intervento che si può fare in anestesia locale nel punto in cui è esposta l’arteria ovvero nel punto in
cui è occlusa. Si fa un incisione nel punto di ostruzione e si prepara chirurgicamente l’arteria che si
deve disostruire.
Si utilizza il catetere di Fogarty che è collegato ad una piccola siringa e ha alla fine dell’ estremità
un palloncino che si gonfia con la siringa dopo aver superato la zona ostruita, procede lungo
l’arteria sia a monte che a valle, si retrae e il palloncino si porta dietro tutto il trombo che sta dentro
l’arteria (cosi si verifica la totale pervietà del vaso, posso essere presenti altri emboli distali). Vi
sono vari calibri a seconda dell’arteria che bisogna disostruire.
Quindi serve per rimuovere gli emboli dalle arterie.
In caso di sospetto di trombosi non si può utilizzare perché può determinare dei danni a causa dei
danni della parete passando il catetere con palloncino può perforare le tonache.

ANEURISMI
DEFINIZIONE: l'aneurisma è una DILATAZIONE PERMANENTE e localizzata di un segmento
arterioso il cui diametro risulta MAGGIORE DEL 50% ALMENO (talvolta addirittura il doppio)
del diametro dello stesso vaso a monte e/o a valle.
Questo criterio volumetrico/matematico ci permette di distinguere un aneurisma vero da una
dilatazione aneurismatica.

CLASSIFICAZIONE:

La classificazione MORFOLOGICA tiene conto di 4 aspetti:


1. FORMA:
 A. FUSIFORME (interessa tutto il vaso)
 A. SACCIFORME (si comporta come il diverticolo colico, cioè rappresenta un'estroflessione
che non interessa il vaso a 360°, ma solo una parte della sua circonferenza).

2. DIMENSIONI:
 MACRO-ANEURISMA (aorta addominale)
 MICRO-ANEURISMA (cerebrale: vasi arteriosi di diametri intorno a 1/1.5/2 mm con
dilatazioni di 3/3.5/5 mm sono già aneurismi cerebrali veri che possono dare conseguenze
gravi).

3. LOCALIZZAZIONE:
 CENTRALE / PERIFERICA
 VISCERALE
 CEREBRALE

4. STRUTTURA:
 VERI (sono riconoscibili tutti gli elementi della parete aortica)
 FALSI o PSEUDO-ANEURISMI Gli pseudo-aneurismi possono essere:
- TRAUMATICI come nel caso di una ferita da arma da fuoco o di una coltellata,
- ANASTOMOTICO, in sede di un'anastomosi o bypass → nel bypass femoro-popliteo le due
anastomosi vengono fatte mediante condotto protesico con vena safena autologa o dacron/PTFE
e saturate con un MONOFILAMENTO non riassorbibile. Può succedere o che il filo sia fallato
o che l'arteria sia molto placcosa e ricca di Ca++ e che quest'ultimo possa nel tempo sezionare il
filo di sutura causando una piccola perdita di sangue con formazione di uno pseudo-aneurisma.
- IATROGENI, esecuzione di una coronarografia con cateterismo dell'a. femorale per accesso
radiale non eseguibile. Viene punta l'arteria attraverso l'ago di Pott - Potts needle - dotato di
mandrino, si trapassa il vaso, poi l'ago viene tirato indietro, si toglie il mandrino, fuoriesce il
sangue pulsato, si inserisce la guida, l'introduttore e si esegue tutta la procedura. Al termine
della procedura, in precedenza si operava una compressione manuale per 45 min fino alla
formazione del trombo, oggi, invece, esistono dei sistemi di chiusura meccanica di vario tipo –
alcuni fanno un nodino sul foro, altri posizionano dei piccoli plug vascolari sulla parte interna
ed esterna dell'arteria stessa con formazione di una specie di tappo. Se questi sistemi di chiusura
falliscono, il foro non si chiude, comincia a fuoriuscire sangue e si forma un ematoma. Dal
momento che la perdita di sangue è cronica e l'a. femorale è circondata da masse muscolari e da
cute superiormente, c'è una compressione e, nel momento in cui l'ematoma va incontro alla sua
normale trasformazione fibrotica, può succedere che la sua parte interna rimanga in
comunicazione con il vaso e si formi una cavità che esternamente ha l'ematoma organizzato ed
internamente una piccola camera in continuità con il lume arterioso per cui il sangue si ricircuita
all'interno di essa. Tutto questo si traduce, dal punto di vista clinico, in una massa pulsante
esattamente come un aneurisma, MA distinguibile da quest'ultimo all'esame istologico dove si
osservano il trombo e il tessuto fibro-connettivale, anziché le tonache della parete aneurismatica
avventizia, media e l'endotelio - che in realtà nella maggior parte dei casi si è perso per le
trombosi secondarie che causano la formazione del trombo cosiddetto enodoluminale.

La GRANDE DIFFERENZA tra l'aneurisma vero e lo pseudo-aneurisma riguarda pertanto il punto


di vista ISTOLOGICO: nel primo troviamo sempre la struttura della parete dell'arteria che, invece,
non andiamo mai a trovare nel falso aneurisma.
Questa condizione si presenta con un'incidenza bassa del 2-3% dei casi di tutte le arteriografie.

La classificazione EZIOLOGICA:

1. DEGENERATIVI NON SPECIFICI (eziologia aterosclerotica/fibrodisplastica. La


letteratura riferisce che il 90% degli aneurismi sono aterosclerotici, ma in realtà
l'eziopatogenesi degli aneurismi NON è l'aterosclerosi → la spiegazione viene riportata
successivamente*).
2. ARTERITICI (Lupus sist./M. Di Takayasu/art. a cellule giganti/poliarterite nodosa/M. Di
Behcet).
3. ASSOCIATI AL CONNETTIVO (S. di Marfan – mutazione fibrillina/S. Di Ehlers-Danlos
– collagene III/necrosi medio-cistica).
4. CONGENITI (eziologia idiopatica/sclerosi tuberosa/S. di Turner/ malattia policistica renale
a trasmissione dominante).
5. INFETTIVI (eziologia batterica/sifilitica/fungina rara. Al contrario, nell'ultimo decennio è
aumentata l'incidenza di aneurismi in pz. HIV+ anche se ancora non è dimostrato se sia la
patologia infettiva o il trattamento antivirale a causare la maggiore suscettibilità allo
sviluppo dell'aneurisma.).
6. INFIAMMATORI con infiltrato linfoplasmocitario
7. DISSECANTI
8. ASSOCIATI ALLA GRAVIDANZA
9. POST TRAUMATICI

DISTRIBUZIONE DI UN ANEURISMA RISPETTO AL SEGMENTO DELL'AORTA:

1. TORACICI (aorta ascendente – 8%/arco aortico/aorta discendente – 7%) = 33%


2. TORACO-ADDOMINALI (interessano in toto tutta l'aorta dal piano valvolare alla
biforcazione iliaca con incidenza di mortalità pari all'80-90%) = 2%
3. ADDOMINALI = 65% (di questi il 90% sono aneurismi SOTTO-RENALI)

Questa differenza di incidenza tra i toracici in toto (35%) e tutti gli altri (65%) mostra una maggiore
“debolezza” e suscettibilità dell'area sotto-renale e la spiegazione di ciò viene riportata
successivamente*.

EPIDEMIOLOGIA

> Età ----> >> l'incidenza + comorbidità----> 'ipertensione = incidenza aumenta fino al 10-12%, più
comune nel’uomo

Si riscontra una difficoltà nell'individuare dei criteri per la classificazione dei soggetti a rischio

Oltre all'ipertensione si deve considerare rilevante la FAMILIARITA': se, nell'ambito di una


famiglia il nonno ha avuto un aneurisma, i figli hanno una possibilità di sviluppare la patologia in
una percentuale pari al 25% in più rispetto ad un nucleo familiare in cui nessuno ne è portatore. I
figli (e naturalmente i fratelli) di un pz. portatore di aneurisma devono sottoporsi allo screening alla
dovuta età.

L'altro fattore di rischio dopo la familiarità è l'IPERTENSIONE.


Esistono cofattori (tra i fattori di rischio infatti, anche se meno rilevanti, ci sono il fumo, il sesso, la
razza bianca e le dislipidemie/aterosclerosi) e fra questi l'ipertensione esercita un ruolo influente.

EZIOPATOGENESI
Esistono più fattori:
 PATOLOGICI
 BIOCHIMICI
 GENETICI
 ANATOMICI
 EMODINAMICI.

Si nota una distruzione delle fibre collagene ed elastiche della media e dell'avventizia, una perdita
delle cellule muscolari con un assottigliamento della media, un processo di neovascolarizzazione e
un'infiltrazione di linfociti e macrofagi con conseguente liberazione di sostanze attive nel
meccanismo dell'alterazione strutturale della parete aortica e nell'insorgenza del fenomeno
infiammatorio trans-murale che venne per primo identificato come fattore alla base della
formazione dell'aneurisma. Importante il sito di attacco della lesione primitiva riguarda l'avventizia
e la media (A DIFFERENZA DELL'ATEROSCLEROSI DOVE LA LESIONE INIZIA
DALL'INTIMA).

Altre ipotesi propongono una TEORIA AUTOIMMUNE e una INFETTIVA: si era ipotizzato un
processo infettivo da Chlamydia, staphilococco aureo, candida la cui presenza era stata riscontrata
su molte placche aterosclerotiche. Per quanto riguarda invece quella autoimmune, è stata purificata
dall'avventizia dell'aorta addominale una proteina microfibrillare a basso peso molecolare (40 kDa),
immunoreattiva con IgG, chiamata “aortic aneurysm antigenic protein” (AAAP – 40), molto
presente nella parete aneurismatica e la cui sequenza amminoacidica è molto simile a quella del
Treponema pallidum e del Citomegalovirus. .

In più c'è il ruolo di un altro gruppo di sostanze importanti: le METALLOPROTEINASI.


Esistono diversi tipi di MMPs ed alcune hanno una concentrazione molto alta nella parete aortica,
come la MMP9 che insieme alla MMP2 è per lo più coinvolta nella scissione del collagene di tipo
IV (a differenza della MMP3 che ha affinità elettiva per l'elastina e la MMP1 per il collagene di tipo
I e III) e che risulta essere molto abbondante in questa sede.
Probabilmente queste MMPs derivate da macrofagi, cellule endoteliali “attivate”, fibroblasti
avventiziali e cellule muscolari liscie e rilasciate nella matrice extracellulare in forma inattiva e
successivamente attivate nel tessuto da plasmina e attivatore tissutale della plasmina, sono le
responsabili della distruzione della componente elastica e connettivale della parete avventiziale.
Questa alterazione strutturale riguarda la capacità di resistenza agli stimoli a cui fisiologicamente la
parete aortica viene sottoposta e ne causa la debolezza, che potrebbe essere precedente, insieme a
una serie di connessioni fisiologiche, alla sua dilatazione.

Questo rapporto di causa-effetto è dimostrato dal fatto che i livelli di MMPs:

1. sono correlati specificatamente con la MPP9

2. dopo essere state rilasciate dai macrofagi che infiltrano il tessuto aneurismatico, la loro attività è
correlata con l'aumento del diametro dell'aneurisma stesso

3. si riducono dopo asportazione dell'aneurisma.

Alcuni esperimenti hanno inoltre dimostrato che, quando facciamo sviluppare aneurismi nei ratti, i
valori di MPPs sono 10 volte superiori nei ratti maschi rispetto alle femmine e che nei ratti maschi
trattati con ESTRADIOLI si hanno aneurismi più piccoli, meno infiltrati macrofagici e livelli di
MMPs inferiori rispetto ai ratti non trattati → probabilmente le attività ormonali della donna
proteggono il tessuto aortico da questo tipo di degenerazione strutturale.

Altri piccoli esperimenti hanno ulteriormente avvalorato questo fatto: trapianti aortici da maschi a
maschi sviluppano aneurismi aortici; trapianti aortici da femmina a femmina rimangono resistenti
allo sviluppo di aneurismi aortici; trapianti aortici da femmina a maschio perdono la resistenza allo
sviluppo di aneurismi.

FATTORI GENETICI: presenza di più LOCI genetici (questo concetto di multivarianza è lo


stesso del diabete: a seconda di quante siano le modifiche di DNA in determinate zone, maggiore è
il tipo di diabete che il pz. sviluppa).

FATTORI ANATOMICI:

1- L'aorta toracica ha un numero di lamelle doppio rispetto all'aorta addominale sotto-renale (45-
50 vs 20-25). La prima ha parete più spessa e quindi più robusta.

2- La distribuzione dei vasa vasorum nell'aorta toracica è diversa perché i vasi entrano
perpendicolarmente e profondamente sulla parete aortica attraverso la media fin quasi al monostrato
cellulare dell'intima, mentre sulla parete dell'aorta addominale si distribuiscono parallelamente
all'asse maggiore del vaso e superficialmente. La nutrizione dell'aorta toracica risulta maggiore
3- Emergenza dei rami collaterali: Fisiologicamente, nel momento in cui il ventricolo si contrae e
la valvola aortica si apre si ha l'immissione di un volume x di un bolo di sangue all'interno della
radice aortica e questa forza cinetica impressa dal ventricolo si perpetua in tutto il sistema
circolatorio. Ma dal momento che la parete dell'aorta è elastica una quota di questa energia cinetica
viene trasformata in energia radiale o tensione laterale, infatti la radice aortica aumenta il suo
diametro in sistole e, quando c'è la chiusura della valvola aortica, c'è una specie di piccolo rigurgito,
cioè un ritorno indietro del sangue che “sbatte” sulla parete e una parte di energia cinetica che è
stata incamerata come tensione laterale viene restituita sotto forma di ritorno elastico della parete
arteriosa. L'altra funzione della tensione laterale è di favorire l'irrorazione di tutti i collaterali
venendo in parte dissipata. I collaterali del segmento dell'aorta toracica in toto fino al
diaframma sono: tronco comune, tronco brachiocefalico, carotide sn, succlavia sn, bronchiali,
pericardiche, mediastiniche, esofagee, intercostali (24) e il gruppo delle posteriori midollari → ci
sono quindi tante vie di deflusso.
Anatomicamente questo tratto dell'aorta è circondato da: polmoni, cuore, tutte le strutture del
mediastino, colonna posteriormente, esofago e trachea (tutte strutture che compattano, proteggono e
tengono fermo questo tratto di aorta).

I collaterali del segmento sotto-diaframmatico fino alle arterie renali sono: freniche inferiori,
tronco celiaco, mesenterica superiore e renali (vasi viscerali ad altissima portata e a resistenze
bassissime). Anatomicamente questo tratto dell'aorta è circondato da: fegato, stomaco, duodeno,
pancreas, pilastri del diaframma…e sempre dalla colonna posteriormente.

I collaterali del segmento sotto renale sono: lombari e mesenterica inferiore. Anatomicamente
questo tratto dell'aorta è circondato da: retroperitoneo ed intestino (struttura oscillante mobile) →
possiamo definire come unica struttura di sostegno la colonna posteriormente.

L'ultimo tratto sotto-renale pertanto è sottoposto a valori di pressione laterale maggiori (dal
momento che non essendoci numerosi collaterali non vi è dissipazione di quella rispettiva quota di
energia) che, aggiungendosi alla pressione sviluppata a livello cardiaco ed essendo questo tratto
privo di strutture di contenimento e compattamento, determina una vibrazione, teetering, dell'aorta
con veri e propri movimenti laterali osservabili all'eco.

FISIOPATOLOGIA ED EVOLUZIONE DELL'ANEURISMA


Le percentuali di sopravvivenza a 10 anni in tre gruppi differenti:

1. pz. sani di pari età è viva a 10 anni una percentuale del 55% (la
rimanente parte decede per altre patologie).
2. pz. con aneurisma dell'aorta addominale diagnostica e trattata
chirurgicamente la percentuale di sopravvivenza è del 28% (la
maggior parte decede per comorbidità).
3. pz. con aneurisma dell'aorta addominale non sottoposti a
trattamento chirurgico nessuno è vivo (i pz. sono deceduti o per
comorbidità o per rottura dell'aneurisma).

QUADRO CLINICO
Purtroppo gli aneurismi sono PREVALENTEMENTE ASINTOMATICI (ad eccezione dei
cosiddetti aneurismi “infiammatori” per il quali si instaura un'infiammazione aspecifica con
ispessimento e ipervascolarizzazione della parete e che possono attraverso il vago causare dolore
addominale diffuso e di bassa intensità) fino a quando non si complicano con:
 TROMBO EMBOLIA
 INFEZIONE
 ROTTURA ROTTURA:

 nel RETROPERITONEO: è la condizione più favorevole poiché qui l'ematoma viene


compresso dalla colonna e parzialmente tamponato. Il pz. riferisce dolore epigastrico
(mesogastrio), irradiato (lombare, fianco, perineo, inguine), continuo/intermittente. Nel 60%
dei casi si verifica shock grave, l'ipotensione è sempre presente, concomitanti ileo paralitico,
oligo/anuria, vomito riflesso con aumento di volume della massa palpabile pulsante

 IN UNA GROSSA VENA: può verificarsi in cava inferiore o nelle vv. iliache. La v. cava è
di per sé vicina all'aorta e questo contatto diviene ravvicinato in presenza di aneurisma per
cui la parete aortica “sbatte” continuamente (teetering) sulla parete della v. cava innescando
talvolta un meccanismo infiammatorio che causa un'adesione completa tra le due pareti. Si
forma così, in seguito ai continui microtraumi, un'erosione del tessuto che mette in
comunicazione le due strutture (alla TAC la cava si opacizza con gli stessi tempi dell'aorta).
In caso di piccolo aneurisma, si forma una piccola fistola A-V che si accompagna ad un
thrill e ad un soffio addominale caratteristico percepibile sia in sistole sia in diastole che
permette la diagnosi. Nel caso di fistole importante, si verifica ipertensione venosa con
conseguente aumento del precarico e scompenso dx (+edema e cianosi degli arti inferiori) e
l'exitus avviene per tamponamento cardiaco

 NEL DUODENO: la terza porzione duodenale (Treitz) è la porzione retroperitoneale più in


contatto con l'aorta e qui si verifica lo stesso meccanismo visto sopra per la v. cava. Se si
crea una comunicazione tra aorta e duodeno quello che si verifica, in caso di aneurisma
piccolo, è un'anemizzazione cronica con melena, in caso di fistola importante,
un'ematemesi che risulta essere facilmente riconoscibile poiché a differenza del malato con
ipertensione portale in cui il sangue essendo venoso è scuro, in questo caso, essendo sangue
arterioso, è di colore rosso vivo.
 nella pelvi renale (molto rara) nel caso di aneurismi molto grossi, segno clinico ematuria
macroscopica importante
 IN PERITONEO LIBERO: se l'aneurisma si rompe in peritoneo anteriore non c'è
possibilità di tamponamento e le conseguenze sono letali.
 COMPRESSIONE:
- Trachea o bronchi – DISPNEA
- Nervo laringeo ricorrente – DISFONIA
- Uretere
- EROSIONE ESOFAGO, VERTEBRE, PARENCHIMA POLMONARE

La diagnosi quindi risulta essere difficile e generalmente viene fatta o attraverso autodiagnosi da
parte dello stesso pz o casualmente e si parla di “incidentaloma” da ecografia fatta per altri motivi o
da angioTC fatta per stadiazione di malattia neoplastica o prima di un intervento chirurgico al
colon, o infine, anche se più raro, per radiografia in bianco della colonna lombare in proiezione
latero-laterale. Il sospetto viene poi convalidato con ecocolordoppler e angioTC.

ESAME OBIETTIVO

Attendibile nel 55-90% dei casi. Non è attendibile in tali circostanze:


 Diametro sacca <4cm;
 Obesità marcata (l'aorta è profonda e l'eccessiva quantità di adipe rende impossibile la giusta
palpazione);
 Cifoscoliosi (l'aorta tende ad abbassarsi e diventare scoliotica. Alla palpazione i due lati della
convessità aortica vengono scambiati per un aneurisma che però viene escluso
dall'ecodoppler);
 Neoplasie retroperitoneali;
 Pseudocisti pancreatiche (si formano per pregressa pancreatite acuta e, posizionandosi
anteriormente all'aorta, vengono sollevate dalla sistole cardiaca e dal punto di vista
semeiologico possono facilmente essere scambiate per un aneurisma).

 All'ISPEZIONE si vede la pulsatilità nella regione addominale

 Alla PALPAZIONE si sente una massa pulsante di consistenza duro-elastica a 360° per
l'espansione pluridirezionale; manovra di De Bakey → ormai desueta poiché molto
empirica, serve per distinguere un aneurisma sotto-renale da uno sopra-renale. La mano dx
del medico viene posta al di sotto dell'arcata costale sn del pz. ed in profondità al di sotto
dello sterno (epigastrio) nel tentativo di uncinare la massa pulsante. Se si riesce ad uncinare
il polo superiore dell'aneurisma, questo viene considerato sotto-renale

 All'AUSCULTAZIONE si sente talvolta un soffio

INDAGINI STRUMENTALI
ECOCOLORDOPPLER→ VANTAGGI: consente di avere una serie di parametri sui quali ci si
basa per indirizzare la terapia verso l'intervento chirurgico oppure il solo controllo nel tempo.
SVANTAGGI: questo esame eseguito sull'aorta non ha la stessa sensibilità e specificità che sui vasi
superficiali come carotide, femorale, tibiale e poplitea; non dà indicazioni sui collaterali; non
permette di fare misurazioni precise che servono per la chirurgia endovascolare e la scelta del
device; non permette di vedere le a. renali accessorie quando presenti (Es: le a. renali polari nascono
a volte 1cm al di sotto dell'a. renale principale, altre volte a distanza di 2-3cm e vengono sacrificate
nel caso di intervento endovascolare).

ANGIO-TC→ VANTAGGI: indagine di livello superiore richiesta in presenza di aneurisma di


>5cm per decidere il tipo di trattamento, infatti ci consente di avere tutti quei parametri che ci
servono sia nel caso di approccio endovascolare, sia nel caso di quello chirurgico.

ANGIO-RMN→ SVANTAGGI: è stato abbandonato come esame diagnostico per stabilire il tipo di
trattamento poiché ha una definizione di immagine peggiore.

---->Con l'angio-TC spirale si riescono a fare delle valutazioni e misurazioni estremamente


precise poiché attraverso software particolari le immagini vengono ricostruite in 3D e viene fatta
una rettilineizzazione delle curve.

TRATTAMENTO CHIRURGICO DEGLI ANEURISMI DELL AORTA


ADDOMINALE
INDICAZIONI AL TRATTAMENTO
 Le situazioni particolari che meritano maggiore attenzione sono: bleb (zona di minore
resistenza che si instaura sulla parete stessa dell'aneurisma per cui si osserva un'ulteriore
“cupola” sulla preesistente dilatazione aneurismatica distinguibile dall'aneurisma
sacciforme. Nei casi di rottura della parete aortica che rimane dotata della sola lamina
avventiziale si osserva una vera e propria estroflessione di 2-3cm che prende il nome di
ULCERA PENETRANTE),
 aneurisma sacciforme, aneurisma >5,5 cm (aorta ascendente) o > 6,5 cm (aorta
discendente) che non ha segni di rottura ma il pz. riporta dolore lombare, anche se le donne
presentano diametro normale di 1,5 cm e dunque c è indicazione al trattatamento chirurgico
già per dilatazioni di 4 cm.
 crescita rapida dell'aneurisma (la crescita fisiologica di un aneurisma è di 4mm/anno, è
grave se > 1cm/anno)
 Sintomatologia presente
 l' ETA' dato che ad esempio pazienti di 85 anni non andranno operati perchè il rischio di
complicanze post-operatorie è alto, mentre pazienti di 60 anni assolutamente si.
TRATTAMENTO CHIRURGICO
2 possibili trattamenti chirurgici degli aneurismi aortici:
-TRATTAMENTO OPEN comporta l'apertura dell' addome e la sostituzione dell' aneurisma con
una protesi
-TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE comporta l' inserimento, dalle arterie femorali, di una
protesi che ha il compito di escludere la dilatazione aneurismatica dal flusso (introdotta per la prima
volta da un chirurgo argentino di nome PARODI nel 91')
TRATTAMENTO OPEN
E' l' intervento tradizionale, vi sono varie vie d accesso:
 laparotomia mediana xifopubica (più comune)
 laparotomia trasversale
 laparotomia lombotomica
 Minilaparotomie
Si spostano poi le anse intestinali verso destra per accedere al retroperitoneo, dove troviamo l' aorta
rivestita dal peritoneo parietale posteriore. La fase piu delicata dell' intervento è il clampaggio
aortico perchè si deve interrompere il flusso di sangue, dunque è molto vantaggioso se l' aneurisma
ha sede sottorenale, in modo tale che non è necessario interrompe il flusso agli organi viscerali, ma
solo a bacino ed arti che ben resistono all' ipossia (in verità l' unico vaso viscerale che nasce dalla
zona sottorenale dell' aorta è l art. mesenterica inf. che irrora il grosso intestino, ma tuttavia questo
di solito è già chiusa a causa di fenomeni ateromasici, e si instaurano circoli collaterali grazie all'
arcata di Riolano o arterie ipogastriche).
Diverso è il caso in cui si debba eseguire un clampaggio soprarenale, dato che i reni risentono molto
dell' ipossia quindi si deve essere molto veloci nell' intervento (30-40 min e si deve proteggerli
iniettando una soluzione fredda), in alcuni casi invece si deve ricorrere al clampaggio
sottodiaframmatico, però sono casi piuttosto rari, dato che gli aneurismi più comuni sono
sottorenali. Dopo ciò si apre l' aneurisma, si aspira il sangue e si sostituisce con protesi
(generalmente Dacron) che viene cucita, inoltre si ribaltano anche i lembi dell' aneurisma sulla
protesi per proteggerla dal contatto con i visceri e per evitare la formazione di fistole.
VANTAGGI---> La dilatazione aneurismatica viene
completamente eliminata con il ripristino di una condizione
simil iniziale, pochissime complicanze a distanza
SVANTAGGI---> larga incisione addominale (molto
invasivo), degenza e convalescenza più lunghe, controindicato
in pazienti ad alto rischio
MORTALITA' in elezione è molto bassa per pazienti privi di
fattori di rischio 2% ma che si innalza al 20% per pazienti con
piu fattori (coronaropatie, insufficienza respiratoria ecc..), in
urgenza invece la mortalità è più elevata
TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE
Non comporta l' apertura dell' addome dato che le protesi, tramite catetere, vengono inserite dall'
inguine, attraverso le arterie femorali in anestesia locale. Si risale quindi per via retrograda fino all'
aneurisma, aggancia l' endoprotesi al colletto di questo (che deve essere di 1,5-2 cm) la si gonfia in
modo tale da escludere l' aneurisma dal flusso.
VANTAGGI---> poco invasiva, tempi di degenza ridotti
SVANTAGGI---> maggiori complicanze a distanza, rappresentate essenzialmente dal fenomeno
dell' ENDOLEAK cioè entrata del sangue nella sacca aneurismatica grazie alle arterie lombari, la
maggior parte delle volte è innocuo ma in alcuni casi puo determinare l' ulteriore rigonfiamento
dell' aneurisma e la successiva rottura (perchè abbiamo detto che in questo tipo di intervento l'
aneurisma non è rimosso ma solo escluso dal flusso), quindi talvolta si fa l' embolizzazione delle
art. lombari per evitare questo fenomeno. Inoltre sono molto costose
PER QUALE TECNICA OPTARE?
Per decidere in che modo trattare l' anuerisma bisogna tener conto di alcuni fattori:
-anatomia infatti bisogna stabilire se questa è conforme o meno all' aggancio dell' endoprotesi, per
questo si analizzano le caratteristiche del colletto dell aneurisma il quale deve avere un diametro
non troppo ampio e non deve essere troppo angolato
-presenza di fattori di rischio, dato che per pazienti ad alto rischio si opterà per un approccio
endovascolare
-età perche generalmente in pazienti giovani a basso rischio si preferisce il trattamento open perchè
comporta minori complicanze a distanza

quindi in sostanza
-paziente a rischio alto e anatomia favorevole--> intervento endovascolare
-paziente a rischio medio-basso e anatomia sfavorevole--> intervento open
-paziente a basso rischio e anatomia favorevole--> si può scegliere
-paziente a rischio alto e anatomia sfavorevole--> si dovrebbe fare l intervento open, però si può
anche ricorrere a tecniche che permettono un allungamento del colletto e quindi optare per un
trattamento endovascolare

DISSECAZIONE AORTICA
La dissezione aortica consiste nel passaggio di sangue attraverso una soluzione di continuo
dell'intima con la separazione dell'intima dalla media e la formazione di un falso lume (condotto).
FATTORI DI RISCHIO
Le dissezioni aortiche sono 3 volte più frequenti negli uomini, sono più comuni tra i soggetti di
razza nera (soprattutto afroamericani) e meno frequenti tra gli asiatici. Circa i tre quarti dei casi
di dissezione aortica si verificano nei soggetti di età compresa tra i 40-70 anni.
Il sistema di classificazione di DeBakey è quello più
utilizzato.
1. Tipo I (50% delle dissezioni): dissezioni che originano
dall'aorta ascendente e si estendono fino all'arco
aortico e talvolta oltre.
2. Tipo II (35%): dissezioni che iniziano e sono
confinate a livello dell'aorta ascendente (prossimale
all'arteria brachiocefalica o innominata).
3. Tipo III (15%): dissezioni che originano dall'aorta
toracica discendente appena oltre l'origine dell'arteria
succlavia sinistra e si estendono distalmente o, più
raramente, prossimalmente. Le dissezioni di tipo IIIa hanno origine distale rispetto all'arteria
succlavia sinistra e sono confinate all'aorta toracica. Le dissezioni di tipo IIIb hanno origine
distale rispetto all'arteria succlavia sinistra e si estendono al di sotto del diaframma.

La classificazione di Stanford risulta più semplice.


 Tipo A: dissezioni che coinvolgono l'aorta ascendente e arco dell'aorta.

 Tipo B: dissezioni che sono confinate all'aorta toracica discendente (distale all'arteria
succlavia sinistra).

EZIOLOGIA
La causa più comune di dissezione aortica è
 Il deterioramento delle pareti arteriose a causa di ipertensione arteriosa  cronica. Oltre i
due terzi dei soggetti che manifestano una dissezione aortica soffrono di ipertensione.
Le cause meno diffuse di dissezione aortica sono
 Patologie ereditarie del tessuto connettivo, soprattutto la sindrome di Marfan e
la sindrome di Ehlers-Danlos
 Anomalie congenite del cuore e dei vasi sanguigni, come la coartazione (restringimento)
aortica, pervietà del dotto arterioso (una connessione tra l’aorta e l’arteria polmonare) e
difetti della valvola aortica
 Arteriosclerosi
 Traumi dovuti a incidente stradale o caduta con violento urto al torace

 Invecchiamento, che può provocare deterioramento della parete arteriosa

 Post partum

 Iatrogeno: Di rado, può verificarsi una dissezione accidentale durante l’inserimento di un


catetere in un’arteria (per esempio, durante un’aortografia o un’angiografia) o durante un
intervento chirurgico al cuore o ai vasi sanguigni.

SINTOMATOLOGIA
Quasi tutti i soggetti con una dissezione aortica percepiscono dolore, generalmente improvviso,
trafittivo e spesso descritto come lacerante o squarciante. Il dolore di frequente decorre lungo la
via della dissezione, quando questa progredisce lungo l’aorta. Pertanto, i soggetti possono
avvertire dolore addominale o dolore a livello lombo-sacrale se l’ostruzione interessa le arterie
mesenteriche, che riforniscono l’intestino.

COMPLICANZE
Con il progredire della dissezione lungo l’aorta, questa può chiudere i punti in cui una o più
arterie si diramano dall’aorta, ostruendo il flusso sanguigno . Le conseguenze variano in base alle
arterie ostruite. Le complicanze comprendono:

 Ictus (se sono ostruite le arterie cerebrali, che irrorano il cervello)


 Infarto (se sono ostruite le arterie coronarie, che irrorano il muscolo cardiaco)
 Insufficienza renale (se sono ostruite le arterie renali, che irrorano i reni)
 Danni nervosi e/o al midollo spinale che causano formicolio o incapacità di muovere un
arto (se sono ostruite le arterie spinali)

 Il sangue può fuoriuscire dalla dissezione e accumularsi nello spazio pericardico (tra le
due membrane che avvolgono il cuore), impedendo al cuore di riempirsi adeguatamente e
causando un tamponamento cardiaco, una condizione potenzialmente letale.

DIAGNOSI
La diagnosi si basa sugli esami per immagini quali (p. es., l'ecocardiografia transesofagea,
l'angio-TC, la RM o l'aortografia con mezzo di contrasto).

TERAPIA
Somministrare immediatamente beta-bloccanti o altri farmaci anti-ipertensivi quanto
necessario per il controllo della pressione arteriosa

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