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NB. Traumatismi e rotture di milza sono parte anche del programma di emergenze medico-chirurgiche
ANATOMIA
La milza si sviluppa nel mesogastrio, a partire dalla V settimana di
gravidanza ed origina dalle cellule mesenchimali. È situata
profondamente nel quadrante superiore sinistro dell’addome
(ipocondrio sinistro).
Dal punto di vista macroscopico, presenta una superficie liscia e
convessa, con un diametro cranio-caudale di circa 12 cm e un diametro
latero-mediale di 7 cm. Il suo spessore è di circa 3-4 cm ed il peso medio
ammonta a 150 g, con un range tra gli 80 g e i 300 g a seconda del BMI
del soggetto. Questo organo presenta una vascolarizzazione di tipo
terminale e contiene fino ad 80 ml di sangue.
La milza presenta rapporti con le seguenti strutture:
- Diaframma (in alto, posteriormente e a sinistra)
- Sfondato pleurico costodiaframmatico, il quale si estende verso il basso e raggiunge il polo inferiore
della milza stessa (quando tale organo risulta di dimensioni normali, altrimenti il polo inferiore si
localizza molto più inferiormente)
- Rene sinistro → in rapporto con il polo inferiore della milza
- Grande curvatura gastrica → rapporto più importante
- Coda del pancreas
- Flessura splenica del colon e colon discendente
È bene ricordare lo stretto rapporto che questo organo contrae con diaframma e stomaco superiormente (fig
1) e con la coda del pancreas a livello più inferiore (fig 2): una delle più frequenti complicanze della chirurgia
splenica risulta infatti essere la fistola pancreatica, in cui l’apertura del legamento splenorenale può
provocare la rottura della capsula con conseguente fistola successiva all’intervento. Il polo inferiore della
milza è in rapporto con il rene e la fascia di Gerota, il colon discendente e la flessura splenica (fig 3)
Rene, stomaco, pancreas e colon sono connessi alla milza tramite dei legamenti che fanno parte dei
legamenti di sostegno di tale organo.
Il peritoneo parietale aderisce strettamente alla capsula splenica, ad eccezione della regione dell’ilo, dove si
sdoppia e si estende verso l’alto, verso il basso e posteriormente andando a formare i legamenti
frenosplenico, splenocolico (relativamente avascolari) e splenorenale. Quest’ultimo è leggermente
posteriore e si estende dalla faccia anteriore del rene sinistro all’ilo splenico; tra i suoi due foglietti decorrono
i vasi splenici (soprattutto l’arteria splenica) e si localizza la coda del pancreas. I due foglietti peritoneali si
continuano anteriormente ed in alto sulla grande curvatura gastrica andando a formare il legamento
gastrosplenico, dove nascono i vasi gastrici brevi (circolo collaterale di scarico venoso dallo stomaco alla milza
che porta il sangue attrvaerso la vena splenica al circolo portale; è una delle principali strade c ollaterali
retrograde in caso di ipertensione portale che porta a formazione di varici gastriche ed esofagee ). Questi
legamenti, uniti al legamento frenocolico, sono detti sospensori e contribuiscono a mantenere in loco la milza
anche quando essa aumenta di volume in maniera importante. L’aumento di peso dell’organo comporta
l’allungamento di tali legamenti che diventano maggiormente lassi, facendo di conseguenza discendere la
milza per gravità. Altro legamento è il legamento pancreatico-lienale.
Ha dei rapporti molto importanti con diversi organi, alcuni dei quali sono connessi alla milza dal punto di vista
vascolare (stomaco), altri tramite dei legamenti
(esili e non fondamentali per il sostegno
dell’organo), infatti la milza è tenuta in sede
principalmente dai vasi tra i quali l’arteria splenica
stessa. Tra i legamenti si ricordano i posteriori, il
gastro-colico (esile, fa parte della parte terminale
sinistra del grande epiploon), spleno-colico (molo
esile, importante soprattutto nella chirurgia colica,
quando si lavora sulla flessura splenica).
Vascolarizzazione
L’organo è irrorato dall’arteria splenica, che origina
dal tripode celiaco. Essa decorre dapprima sul
margine superiore del pancreas (segmento
sovrapancreatico), successivamente si porta sulla
sua faccia posteriore (segmento retropancreatico). Raggiunge poi il bordo superiore della coda dando origine
al segmento prepancreatico. Giunta a 3-6 cm dall’ilo della milza generalmente si biforca in due tronchi
principali, superiore e inferiore. È bene tenere tuttavia a mente che esiste una notevole variabilità nella
vascolarizzazione terminale dell’arteria splenica e non è così raro imbattersi in triforcazioni/quadriforcazioni
di tale vaso. Ognuno dei tronchi si divide a sua volta in diversi rami secondari che entrano nella milza. Si
distinguono due tipologie di ilo: sparso o distribuito (70%), nel quale le arterie terminali originano a distanza
dalla milza e compatto o magistrale (30%), in cui esse sono brevi (vedi figura). La lunghezza media dell’arteria
splenica è di 18-20 cm e la sua tortuosità aumenta con l’età. Data la notevole variabilità anatomica dei vasi
splenici, in vista di una splenectomia è mandatorio uno studio vascolare.
L’arteria splenica è un vaso grosso, può arrivare ad 8 mm, quando sanguina lo fa in maniera considerevole.
La funzione emocateretica della milza le conferisce una vascolarizzazione già di per sé importante, lo diventa
ancora di più in caso di ipersplenismo. Spesso, a causa del copioso sanguinamento, è necessario eseguire una
splenectomia in urgenza in seguito alla rottura di milza spontanea in corso di patologia ematologica, ciò è
causato da un eccessivo ingrossamento dell’organo che ha portato alla lacerazione della capsula.
La vascolarizzazione venosa è garantita dalla vena
splenica, che raccoglie il sangue refluo dalla milza.
Essa mantiene rapporti molto stretti con l’omonima
arteria e, giunta in prossimità della vena
mesenterica inferiore, vi confluirà andando a
costituire l’oliva portale che a sua volta entrerà nella
porta insieme alla vena mesenterica superiore. La
milza si comporta come un serbatoio di sangue. Per questo motivo, nel momento in cui subisce un
traumatismo, l’emorragia è frequente e può avere esiti molto seri.
Dal web: La vena lienale si costituisce nell’ilo per confluenza di 6-8 grossi rami che emergono dal parenchima,
i quali si riuniscono in due tronchi principali che convergono a formare la vena lienale. Questo vaso, dopo aver
ricevuto la vena gastroepiploica sinistra in corrispondenza della faccia anteriore della coda del pancreas,
decorre parallelamente e al di sotto dell’arteria, riceve la vena
mesenterica inferiore e raggiunge quindi il tronco della vena porta.
Al fine di praticarne una corretta preservazione, è importante essere
ben consapevoli della presenza della milza e dei suoi rapporti
durante qualsiasi intervento chirurgico che coinvolga organi di
ipocondrio e fianco sinistro (surrene, rene e uretere sinistro, coda
pancreatica, flessura splenica colica, colon discendente). Questo
perché la milza costituisce un organo facilmente speritoneizzabile e
la sua capsula può facilmente essere lesionata, portando a
sanguinamento.
Microscopia
La milza è composta da polpa rossa e bianca.
La maggior parte della polpa, in seguito al ricco apporto di sangue,
ha un caratteristico colore vinaceo ed è denominata polpa rossa.
Questa consiste di vasi a lume ampio e parete sottile, i seni venosi
splenici (o sinusoidi) e da accumuli di cellule del sangue. La
vascolarizzazione, di tipo terminale capillare, è molto ricca.
Dispersi nella polpa rossa si trovano aggregati di cellule linfoidi, che
si presentano come noduli grigiastri, e che costituiscono la polpa
bianca. Questi aggregati linfoidi circondano rami arteriolari e
formano le guaine (o manicotti) linfoidi periarteriolari.
FUNZIONI
Polpa rossa: controllo e mantenimento della qualità e della quantità degli eritrociti con rimozione di quelli
invecchiati o difettosi (funzione emocateretica);
Polpa bianca: sintesi di anticorpi;
Rimozione dal circolo di batteri complessati con l’anticorpo
PATOLOGIE
Possono avere diversa origine:
- Anomalie congenite: di numero (milze accessorie), di dimensione (es splenomegalia). Nella maggior
parte dei casi sono del tutto asintomatiche e diagnosticate casualmente. Nel corso di un intervento
di splenectomia vanno rimosse tutte per ottenere gli outcomes desiderati.
Milze accessorie [Da BBC]: il 30-40% della popolazione ha delle milze accessorie che possono essere
disposte ovunque (lungo il corpo-coda del pancreas o spesso nel legamento gastro-splenico o in altre
sedi). Queste sono spesso residui embrionali, ma talvolta sono esito di una rottura della milza e di
una sua disseminazione: è importante conoscerne l’esistenza perchè in caso si debba rimuovere la
milza per cause ematologiche bisogna essere certi di rimuovere anche le ectopiche.
Per splenosi si intende la presenza di noduli ectopici conseguenti ad un trauma per cui si è dovuto
effettuare una splenectomia senza rimuoverne però tutti i residui i quali, grazie a meccanismi
angiogenetici, riescono a ricostruirsi un letto vascolare e riattecchire.
- Lesioni focali (che possono essere tumori benigni o maligni), rientrano nella splenomegalia.
- Infarto splenico: in base alla sua entità la milza può essere rimossa o meno.
- Traumatismi e rottura di milza
SPLENOMEGALIA
Con questo termine si indica l’aumento di dimensioni dell’organo con ipertrofia parenchimale. Solitamente
asintomatica, non è una patologia molto frequente in ambito chirurgico, mentre lo è maggiormente in ambito
ematologico: il riscontro è infatti quasi sempre casuale o secondario ad una diagnosi di malattia ematologica.
Il 30% delle splenomegalie risulta essere primitiva, ovvero non associata a malattia, senza alterazioni
ematochimiche.
Cause
Si tratta per la maggior parte di splenomegalie secondarie a
• Aumentata richiesta di funzione splenica (emocateresi), la quale può essere provocata da:
A) patologie che alterano qualitativamente gli eritrociti, quali
o sferocitosi, anemia falciforme, talassemia ed emoglobinopatie;
o iperplasia da patologie autoimmuni;
o alcune malattie infettive (alcune epatiti virali, malaria, AIDS);
o ascesso splenico
B) Patologie autoimmuni, quali
o Artrite reumatoide;
o Lupus: il lupus è una delle indicazioni principali alla splenectomia da patologia autoimmune.
Ci sono, infatti, delle fasi acute del lupus caratterizzate da un aumento di funzione della milza,
con conseguente ingrandimento;
o Tireotossicosi, in particolare il morbo di Basedow che può creare agglomerati di
immunocomplessi all’interno della milza
C) Emopoiesi extramidollare, conseguente a:
o Danno midollare da tossine/farmaci;
o Infiltrazione tumorale del midollo;
o Mielofibrosi midollare
• Aumentato flusso splenico o portale
o cirrosi (elemento portante);
o ipertensione portale;
o trombosi venosa splenica/portale;
o Echinococcosi epatica;
o malattia di Banti → splenomegalia congestizia solitamente provocata da ipertensione
portale.
[Da BBC]: La sindrome di Banti è una splenomegalia con ipersplenismo secondario ad
ipertensione portale; in questo caso la splenectomia da una parte risolve il problema
ematologico di eccessiva emocateresi, ma dall’altro toglie un importante circolo collaterale,
quindi si mantiene il circolo venoso, ma si interrompe solo l’arteria splenica (così che il circolo
collaterale venga mantenuto); la splenectomia totale ha rara indicazione (alta mortalità
operatoria per difficile controllo dell’emostasi)
• Infiltrazioni
A) Da deposito
o Amiloidosi: L’amiloidosi può essere da accumulo, non solo idiopatica. Ciò che non si conosce
è come l’amiloidosi dia accumuli a livello della milza e come questo poi dia splenomegalia.
o Iperlipidemie
B) Da infiltrazioni benigne/maligne
o leucemie
o linfomi
o angiosarcomi, emangiomi, istiocitosi (più rare)
• Eziologia sconosciuta
o Splenomegalia idiopatica, tipica dei bambini;
o Berilliosi, amiloidosi (“le ho messe qui perché spesso il quadro non è chiaro”);
o Anemia sideropenica, anche se molto di rado
Sintomi
Nella gran parte dei casi questa patologia risulta asintomatica, ad eccezione dei sintomi della patologia di
base. Tuttavia, quando la milza raggiunge dimensioni importanti può provocare sensazione di peso in
ipocondrio sinistro e senso di sazietà precoce per compressione dello stomaco. Può essere presente astenia
ma il dolore è quasi sempre assente, a meno che non ci troviamo davanti ad un infarto splenico in cui può
essere presente dolore da distensione capsulare.
[Da BBC]: La milza è priva di innervazione propriocettiva e quindi non provoca dolore diretto, ma il suo
ingrossamento provoca invece un dolore riflesso per irritazione del peritoneo della cupola diaframmatica che
a sua volta ha le sue afferenze nervose veicolate dai rami del nervo frenico, dando un dolore dorsale e
irradiato alla spalla sinistra.
Diagnosi
EO: la milza costituisce di norma un organo difficilmente obiettivabile, in quanto completamente nascosta
dall’emicostato sinistro. La si percepisce solo nel momento in cui risulti molto ingrandita, nel qual caso
diventa palpabile e si verifica un aumento dell’ottusità alla percussione, soprattutto in inspirazione profonda
quando la milza viene spinta verso il basso. Anche se difficile da sentire, si può notare inoltre uno sfregamento
all’auscultazione, analogo a quello che si sente tramite l’auscultazione dell’ipocondrio destro per il fegato.
Anche se meno utilizzate rispetto al passato, esistono diversi metodi finalizzati al riscontro dell’obiettività di
tale organo:
- Metodo di Nixon – palpazione: paziente disteso sul
lato destro così da poter apprezzare lo sporgere del
margine dall’arcata costale. Solitamente si fa
sollevare anche il braccio in modo tale da
permettere al paziente l’abbassamento della milza in
inspirazione profonda. Con le due mani (una davanti
e l’altra dietro) si va quindi a toccare il fianco, come
mostrato nell’immagine a lato.
- Metodo di Castell – percussione: paziente in
posizione supina con braccio sulla nuca così da
apprezzare meglio la presenza di ottusità percussoria durante gli atti respiratori.
- Metodo di Traube – auscultazione: paziente in posizione supina con il braccio abdotto così da
apprezzare meglio il suono ottuso di sfregamento.
Ematochimici
L’emocromo ci permette di effettuare conta eritrocitaria, granulocitaria e piastrinica. È inoltre importante
valutare la presenza di innalzamento degli indici di flogosi.
Diagnosi strumentale
Il gold standard per l’identificazione dell’organo è rappresentato da
ecografia ed ecocolordoppler. Sia nelle milze normali che in quelle
ingrandite permette di valutare i diametri trasversale e longitudinale,
la vascolarizzazione (se assente è possibile fare diagnosi di infarto
splenico), la presenza di lesioni. Si tratta di un esame operatore
dipendente, ma fornisce molte informazioni.
Chiaramente, in particolare nel sospetto di patologie maligne
ematopoietiche verrà eseguita anche una TC total body, che
rappresenta un esame di secondo livello fondamentale per diagnosi e
stadiazione.
[Da BBC]: l’ecografia di solito è sufficiente a studiare la milza, ma di fronte a dubbi relativi ad un’eventuale
alterazione del parenchima p necessario ricorrere a esami di secondo livello; La TC valuta morfologia e
vascolarizzazione, mentre la RM valuta la densità e il contenuto del parenchima.
Diagnosi
Prima di tutto è necessario pensare all’eventualità di un infarto splenico in corso, in particolare in presenza
di dolore in ipocondrio sinistro, quadrante che solitamente non dà troppi problemi →in questi casi pensare
sempre all’infarto. Successivamente è fondamentale praticare un’ecografia, esame sufficiente ad escludere
la nostra ipotesi. Qualora non fosse sufficiente, praticare un’angio-TC (la milza ipoperfusa appare più scura).
Gli esami di laboratorio, in caso di infarto splenico, non forniscono alcuna informazione: gli indici di flogosi
possono essere alterati e può esserci una lievissima anemia (ma non è la regola).
Terapia
Splenectomia (trattata in seguito). La parte essenziale dell’intervento consiste nell’identificazione di arteria
e vena splenica in prossimità della coda pancreatica cercando di lasciare intatto il foglietto posteriore del
legamento renosplenico. Questo perché la sua lesione potrebbe comportare la lesione della coda pancreatica
e l’insorgenza di una fistola pancreatica nel post-intervento. I vasi vengono poi legati e si procede con la
splenectomia.
[Dalle linee guida] Altra classificazione, più importante dal punto di vista chirurgico, è la classificazione WSES
[da fare bene, Solej ci tiene particolarmente], che si basa sulla divisione dei pazienti in stabili (WSES I, II, III) ed
instabili (WSES IV):
• WSES I: corrisponde ad AAST 1-2; il paziente è stabile, vi è un danno minore. Il management è non
operativo (sola osservazione), associato a valutazioni cliniche, laboratoristiche e radiologiche serrate.
Bisogna considerare l’angiografia e l’angioembolizzazione.
• WSES II: corrisponde ad AAST 3; il paziente è stabile, vi è un danno moderato. Il management è non
operativo (sola osservazione), associato a valutazioni cliniche, laboratoristiche e radiologiche serrate.
Bisogna considerare l’angiografia e l’angioembolizzazione.
• WSES III: corrisponde ad AAST 4-5; il paziente è stabile, vi è un danno moderato. Si esegue
l’angiografia con l’angioembolizzazione, associata a delle valutazioni cliniche, laboratoristiche e
radiologiche serrate.
• WSES IV: Il paziente è instabile, AAST 1-5. Si tratta di un danno severo. Bisogna intervenire
chirurgicamente.
Terapia
Inizialmente, l’iter attuato era il seguente:
• Instabilità emodinamica → splenectomia
• Stabilità emodinamica:
o Grado 1,2,3 → vediamo, potrebbe essere indicata
la sola sorveglianza
o Grado 3 con anomalie vascolari ed abbondante
emoperitoneo, grado 4 → embolizzazione o
sorveglianza
o Grado 5 → splenectomia
Attualmente, tale iter è cambiato relativamente poco ed il fattore principale è rimasta la stabilità
emodinamica:
Se il paziente è emodinamicamente stabile, dopo ecoFAST e RX della pelvi e del torace è indicata l’angio-TC
al fine di valutare il grado delle lesioni.
- Nei gradi 1,2 (WSES I) e 3 (WSES II) può essere attuato un management non operativo (osservazione).
Nei casi in cui però sia presente blushing si può valutare se fare l’angioembolizzazione, anche se nella
gran parte dei casi è sufficiente la sola osservazione.
- Nelle lesioni WSES III (grado 4 e 5) emodinamicamente stabili (rare ma possono verificarsi), si fa
un’angiografia. Qualora venga identificato un blushing attivo si attua un’angioembolizzazione.
Necessaria in ogni caso la rivalutazione dopo 24-48 h. Se indicata si può rifare l’angio-TC e, se necessario, è
possibile ripetere l’embolizzazione.
In presenza di instabilità emodinamica (WSES IV), a prescindere dal grado della lesione è indicata la
laparotomia d’urgenza con splenectomia o con splenic salvage (preservazione della milza). Quest’ultimo
viene eseguito prevalentemente nei pazienti pediatrici ma si può usare anche negli adulti con lesioni non
eccessivamente gravi. Il paziente non è trasportabile, lo si porta direttamente in sala operatoria.
Ciò che differenzia quindi la classificazione WSES dall’AAST (vecchia classificazione) è il dare la priorità alla
stabilità emodinamica.
Nella figura a lato si osserva una lesione di grado 3-4 con sanguinamento
attivo (non più presente poiché la foto è stata fatta successivamente al
clampaggio dei vasi).
Procedimento: la prima manovra da attuare è detta manovra di Pringle (fig 1), con cui si va a sollevare la
milza. Si tratta di una manovra di fondamentale importanza, perché stacca il legamento freno-splenico
rendendo possibile la mobilizzazione della milza. Tramite questa manovra si toglie l’organo dal campo
operatorio rendendola visibile agli occhi (perché è nascosta). Inoltre, rende visibili i vasi, i quali costituiscono
le prime strutture da ricercare. Con la manovra si solleva anche la coda del pancreas e, per evitare di causare
danni, si vanno a clampare i vasi a livello dell’ilo della milza, bloccando il sanguinamento. Successivamente,
nel caso dell’intervento in urgenza, si inizia la dissezione vera e propria. Se la lesione fosse invece ridotta
potrebbe essere sufficiente utilizzare delle protesi che la comprimono a scopo emostatico. Si posiziona un
telino (fig 3) nella sede della milza, in modo da tenerla sollevata permettendo l’intervento stesso. Si vanno
poi a legare alcuni vasi brevi (fig 4), al fine di separare la milza dallo stomaco. Si procede legando i vasi splenici
il più distalmente possibile dall’ilo (fig 5). Questo perché l’arteria splenica, vaso più importante, è un’arteria
ad altissima pressione; legando vicino all’ilo si rischierebbe di provocare un aneurisma nel futuro. Non si può
tuttavia neanche legare troppo distalmente dall’ilo poiché poco prima del passaggio corpo-coda del pancreas
origina l’arteria gastrica posteriore, il quale di per sé non è un vaso fondamentale, ma lo diventa nel corso di
chirurgia gastrica oncologica (gastroresezione) in quanto l’organo è già stato devascolarizzato attraverso la
legatura di vasi gastrici brevi, arteria gastrica destra e sinistra e gastroepiploica di destra . Risulta in sintesi
importante legare il più prossimalmente possibile ma non dopo l’origine dell’arteria gastrica posteriore.
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Nel caso si voglia fare una spleen preserving splenectomy, si legano e sezionano i vasi dell’area interessata
(fig 6). Il drenaggio è fondamentale: la splenectomia è infatti una delle poche chirurgie in cui tale pratica
risulta utile, perché drena l’eventuale reflusso ematico rimasto per lavaggio inadeguato evitando
complicanze di tipo infettivo. Inoltre, anche se complicanza molto rara, può essere utile nell’emorragia
occorsa in seguito al cedimento delle legature dei vasi principali. Ancora, l’intervento può complicarsi con
una fistola pancreatica, solitamente localizzata a livello della coda ed a bassa portata; il drenaggio è utile nel
far fluire all’esterno i succhi pancreatici.
Esistono alcune protesi a lento riassorbimento che possono essere utilizzate nelle
lesioni traumatiche della milza con lo scopo di compattare e mantenere integro tale
organo. Funzionano come una cuffia che avvolge la milza permettendone la
compressione, rendendo possibile la spleen preserving splenectomy. Sono state
inizialmente utilizzate dai veterinari e dagli anni ’90 sono utilizzate anche sugli esseri
umani. Dal 2000 ne sono state create moltissime di materiali differenti. Sono utilizzate
prevalentemente nel paziente pediatrico.
Splenectomia laparoscopica
Questo tipo di splenectomia rappresenta l’indicazione principale, anche se tecnicamente non vi è una grossa
differenza con quella laparotomica. In urgenza è però preferita la laparotomia in quanto risulta più semplice.
Il limite principale di tale tecnica è costituito dalle dimensioni della milza, in quanto se l’organo occupa molto
spazio non si riesce a creare lo pneumoperitoneo e quindi la cavità entro cui si va a lavorare. Secondo le linee
guida, il diametro massimo della milza per poter andare incontro a laparotomia è pari a 20 cm “anche se,
affrontata in laparoscopia, una milza con queste dimensioni sembra un’anguria”. In laparoscopia si perde
meno tempo rispetto all’open perché non si deve cucire il paziente, poiché chiudere un sottocostale vuol dire
chiudere 3 fasce muscolari-obliqui esterni, trasverso e parte del retto. La laparoscopia è più delicata e
permette di vedere molto più da vicino la milza stessa, oltre al fatto che permette di essere più precisi
nell’isolamento dei vasi e che permette di ridurre notevolmente il rischio di avere una fistola pancreatica,
perciò, laddove possibile, è da preferire.
Dalle slides:
- Minor numero di conversioni (3.9%)
- Minor tempo operatorio
- Meno perdite ematiche
- Riduzione ospedalizzazione e costi
- Ridotto rischio di rottura capsula e splenosi
Le indicazioni sono tutte, non ci sono differenze rispetto alla chirurgia open. In particolare, la laparoscopia è
ben consolidata in anemie emolitiche con emolisi splenica, piastrinopenia con porpora, AIDS con porpora,
patologie neoplastiche (è stato dimostrato che oncologicamente funziona meglio della open), cisti non
parassitarie (non parassitarie in quanto la laparoscopia comporta un maggior rischio di rottura).
Tale tecnica non risulta invece consolidata in ipertensione portale con varici esofagee sanguinanti (a causa
del sanguinamento importante che potrebbe verificarsi), aneurisma dell’arteria splenica e traumi. Fino ad
una decina di anni fa, il trauma splenico costituiva una controindicazione assoluta all’esecuzione della
splenectomia laparoscopica; attualmente è una controindicazione relativa ed entra in gioco l’esperienza del
chirurgo. Il professore corregge la slide - a sua detta un po’ datata - per quanto riguarda l’incidentaloma,
ovvero la lesione accidentale della milza in seguito a pancreasectomia distale: al giorno d’oggi l’intervento è
effettuato anche per via laparoscopica, così come la splenectomia nell’anemia grave in pazienti che rifiutano
la trasfusione.
Tipologie di approccio
Esistono vari modi per effettuare una splenectomia laparoscopica, ma sono due quelli maggiormente
utilizzati: la via anteriore (suspended pendicle), più usata, e la via postero-laterale (hanging spleen). Essi si
differenziano in quanto nel primo caso viene affrontato per prima il peduncolo
vascolare, nel secondo si fa penzolare la milza e, procedendo da posteriormente
ad anteriormente si affrontano per primi i legamenti raggiungendo
successivamente i vasi.
Posizione del paziente: dalle slides - decubito laterale 90°, decubito laterale 30-
45°, decubito supino. La più utilizzata è il decubito supino a 30-45°. Il braccio
viene sollevato con lo scopo di alzare l’emicostato favorendo la successiva induzione dello pneumoperitoneo.
Inoltre, il movimento dell’emicostato abbassa il diaframma e fa scendere un po’
più in basso la milza.
Posizione dei trocar: anche in questo caso esistono vari metodi; il più utilizzato è
quello mostrato in figura, in cui quello da 12 mm (A) è il trocar ottico, B e C (5 mm)
corrispondono ai trocar con cui il chirurgo opera, D è il trocar dell’aiuto, che serve
principalmente ad abbassare la coda del pancreas ed eventualmente la flessura
splenica per poter permettere l’accesso.
Tecnica
Fondamentale ricordare che nel 15-30% de casi sono presenti milze accessorie, che vanno rimosse in toto
(sia in open che in laparoscopia). Spesso ne siamo già a conoscenza perché rilevate nella TC, altre volte
bisogna ricercarle. Analogamente, qualora la milza risultasse frantumata, è necessario rimuoverne tutti i
frammenti, in quanto avendo capacità angiogenetica si può andare a reimpiantare in sedi dove non dovrebbe
farlo. Esempio portato dal prof: pz di 67 anni, splenectomizzato 20 anni prima in seguito ad incidente stradale,
mandato dall’oncologa per un sospetto tumore del retto. All’esplorazione rettale è presente una
compressione esterna, tuttavia la colonscopia risulta negativa. La TC mostra invece una milza di circa 8 cm
impiantata dopo l’intervento e cresciuta molto lentamente. Le milze reimpiantate non sono funzionali e
rappresentano solo un rischio di ulteriore rottura e sanguinamento.
Il procedimento della laparoscopia è il seguente:
- Si approccia per primo il legamento splenocolico, mobilizzando il polo inferiore;
- Si legano i vasi brevi, con l’apertura del legamento gastrosplenico, mobilizzando anche l’ilo;
- Viene così scoperto il legamento
renosplenico permettendo
l’accesso alla faccia antero-
superiore della coda pancreatica,
dove sono presenti i vasi: se
l’anatomia classica è rispettata si
affronta per prima l’arteria, poi la
vena splenica.
- Si prosegue con legatura ed
apertura dell’ultima parte del
legamento gastrocolico;
- Si affronta il polo superiore, a
milza già devascolarizzata,
dissecando il legamento
frenosplenico ed andando così a
mobilizzare la milza.
- Una volta mobilizzata, la milza viene posizionata nell’apposito sacchetto (endobag) e si può decidere
di rimuoverla dall’addome integra, facendo una sorta di mini-laparotomia, oppure di morcellarla. Nel
primo caso si utilizza spesso il Pfannenstiel, ovvero l’incisione sovrapubica che si fa per il taglio
cesareo. Nel secondo caso invece, attraverso l’utilizzo del morcellatore, la milza viene frantumata
divenendo una sorta di pappetta. Questa tecnica può andare bene nelle patologie ematologiche, in
cui l’importante è la ricerca delle cellule; bisogna però assicurars i che il sacchetto sia ben chiuso
perché soprattutto nei tumori secondari (es. rene, colon…) c’è un rischio di disseminazione
endocavitario. Esiste una terza modalità di estrazione, detta “hand assisted technique”, molto usata
negli anni 90’. La splenectomia veniva eseguita per via laparoscopica ma con l’aiuto di una mano: nei
passaggi più complessi è utilizzato un macchinario che mantiene dilatata la zona interessata al fine
di potervi inserire la mano. In alcuni centri questa tecnica viene tuttora usata solo per rimuovere la
milza, andando a dissezionare il legamento frenosplenico con la mano.
[Da internet:]
Via anteriore
Via postero-laterale
Zone difficili: non sono solo un problema quando si interviene laparoscopicamente, ma devono essere
considerate in qualunque tipo di splenectomia. È chiaro che in urgenza si dovrà essere un po’ meno
delicati poiché si punta a raggiungere subito i vasi splenici per poter bloccare il sanguinamento, tuttavia
i tempi anatomici (che poi sono i tempi chirurgici in quanto essi risultano dettati dall’anatomia), sono gli
stessi.
Sono alcuni esempi: legamento gastrosplenico (fig a lato), legamento
splenopancreatico, contenente il peduncolo splenico. Questa struttura
presenta una notevole varietà anatomica. Nel 50% dei casi la coda del
pancreas si trova in posizione normale e nel 42% essa è più vicina al polo
inferiore della milza → queste due posizioni non rappresentano un
problema nel reperimento dei vasi. Nell’8% dei casi in cui la coda si trova
leggermente sollevata rispetto all’ilo splenico, invece, siccome i vasi spesso decorrono sulla faccia antero-
superiore della coda per poi dirigersi posteriormente e passare all’ilo, il rischio di lesione della coda stessa
diventa nettamente superiore. Il legamento splenofrenico è generalmente facilmente dissecabile perché
avascolare, ma se per esempio il paziente ha avuto precedenti pleuriti, patologie infia mmatorie,
secondarietà tumorali che infiltrano il legamento, potrebbe rappresentare una problematica; non solo
rischiamo di provocare la rottura della milza e di far quindi sanguinare rovinando l’approccio
laparoscopico (maggiormente controllabile in open), ma potremmo anche dover togliere un tassello di
diaframma. In sintesi, nel 95% dei casi questo legamento non rappresenta un problema, ma nel restante
5% dei casi rappresenta un problema serio.
Caso clinico
Ragazzo di 15 anni con politrauma a seguito di un incidente. GCS 15, emodinamicamente stabile e buona
saturazione. Presenta una contusione al fianco destro con escoriazioni, non segni evidenti di frattura. Gli
ematochimici sono nella norma. L’ecoFAST evidenzia un modesto versamento nel Douglas. Il paziente viene
tenuto in osservazione.
Circa un’ora dopo il paziente si destabilizza, l’ecoFAST evidenzia versamento periepatico e perisplenico, con
netto incremento del versamento nel Douglas → viene portato in sala operatoria dove viene eseguita una
spleen preserving splenectomy. La lesione riscontrata risulta di tipo 2 (rottura di 1-3 cm con sanguinamento
attivo). L’intervento riesce bene ed il ragazzo torna a casa in decima giornata post -intervento. Nella TC di
controllo è presente ancora un po’ di versamento ed è visibile la capsula della protesi, riassorbita poi
completamente.