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Materia: Ortopedia
Professore: Maccauro
Sbobinatore: Daniele Ingusci
Controllore: Antongiulio Lentini
Argomenti trattati: Patologia traumatica dell’arto inferiore, fratture di bacino, femore,
ginocchio e gamba
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che possano dimostrarlo o meno, che ci sia una lesione dei vasi della capsula; vice versa le fratture
basocervicali, pertrocanteriche e sottotrocanteriche, avendo un basso rischio di necrosi secondaria della testa
del femore, vengono trattate con la OSTEOSINTESI, dando per scontato che, non essendoci un danno
ischemico, la frattura può guarire.
Le fratture laterali sono spesso le più scomposte a causa dell’azione di grosse masse muscolari, dei glutei che
si inseriscono sul trocantere, per azione dei quali abbiamo un arto accorciato, perché i glutei trazionano in
alto diafisi ormai svincolata dal resto, ed extrarotato, a causa degli extrarotatori che si inseriscono allo stesso
livello. L’accorciamento e
l’extrarotazione provocano un dolore
molto intenso e a danno impotenza
funzionale assoluta.; questo tipo di
complicanze è molto meno frequente nel
caso di fratture sottocapitate e
transcervicali poiché in questa zona non
ci sono masse muscolari che agiscono e
la capsula, benché danneggiata, in
qualche modo ancora contiene le
componenti ossee, impedendo un grosso
spostamento lungo l’asse verticale e
l’extrarotazione.
Le fratture mediali o intracapsulari vengono ordinate mediante la Classificazione di Garden che
prevede:
- Tipo 1: in cui la testa del femore, lateralmente, va leggermente in valgo, tende ad andare leggermente
verso l’esterno accorciandosi, mentre la parte mediale è perfettamente composta; la testa del femore si
incastra nel collo leggermente in vagismo rispetto alla sua posizione naturale; nelle fratture mediali di
tipo 1 la prognosi è molto favorevole poiché risulta improbabile che vi sia una compromissione dei
vasi della capsula che irrorano la testa del femore; in questo caso, l’intervento di elezione è la sintesi
ossea con 3 viti che danno un effetto di compressione alla frattura che si pensa possa guarire senza
ulteriori interventi, vista la non compromissione dei vasi;
- Tipo 2: la frattura è completamente composta e non ha tendenza al varismo o al valgismo quindi si
preferisce anche in questo caso la sintesi, supponendo un’ottima probabilità di guarigione per gli
stessi motivi della Tipo 1;
- Tipo 3: in cui abbiamo varismo della testa che si abbassa rispetto al collo e si ha un molto probabile,
quasi certo, danno ischemico della testa del femore per la quale si procede con la sostituzione con
protesi, dando per scontata una impossibilità di guarigione naturale;
- Tipo 4: in cui la testa risulta ruotata rispetto al collo e sono su due piani diversi; in questo caso i danni
sono certamente danneggiati e si procede, quindi, con la chirurgia protesica.
Le fratture mediali di tipo 3 e tipo 4 di Garden sono le più frequenti.
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Vice versa, per le fratture laterali, poiché si dà per scontato che non vi sia stato un coinvolgimento della
capsula e dei vasi in essa contenuti, si procede con la sintesi.
Questi sono dati statistici poiché, come detto, non c’è modo certo, un esame utile alla diagnosi di
compromissione dei vasi della capsula (nemmeno un’angiografia risulta utile) e quindi bisogna sfruttare al
massimo questi dati e la propria esperienza per scegliere il giusto approccio.
Domanda: “Sarebbe possibile utilizzare le protesi in ogni caso?”
Risposta: “Le protesi, per definizione, hanno una durata (15-20 anni) quindi se la testa del femore può guarire
non vi è motivo di utilizzare una protesi; ci sono poi motivi tecnici che rendono molto complicata
l’introduzione della protesi nei casi, per esempio, di frattura della regione trocanterica, oltre a minarne la
stabilità e la tenuta. Pertanto non è giustificato l’utilizzo di protesi né biologicamente, in quanto la testa del
femore può guarire da sola, né tecnicamente, viste le maggiori difficoltà e problemi”.
Fratture diafisiare del femore
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Oggi, grazie alla notevole spinta della
chirurgia, pazienti anziani con frattura
della testa del femore, che prima era una
condanna a morte per le complicanze
dell’allettamento, ora ricevono un
trattamento chirurgico la cui tempestività
impatta significativamente sulla prognosi
(la sopravvivenza ad 1 anno di pazienti
operati prima è molto maggiore rispetto a
quella dei pazienti operati tardivamente);
per la Legge italiana, almeno il 60% dei
pazienti anziani devono essere operati
entro 48 ore (in altri paesi il termine è 24
ore).
Le fratture dell’arto inferiore hanno una necessità terapeutica chirurgica finalizzata alla mobilizzazione del
paziente nel minor tempo possibile.
FRATTURE ALLA GAMBA
Le fratture della gamba, di tibia e perone, sono meno frequenti nell’anziano e più frequenti nei giovani e nei
bambini. I traumi che provocano queste fratture possono essere diretti o indiretti e le fratture possono essere
chiuse oppure esposte.
Nelle fratture esposte una complicanza può essere l’infezione, l’osteomielite, identificabile nelle radiografie
da aree di sequestro osseo, ovvero aree devitalizzate di osso infetto, oppure dalla presenza di ascessi.
Nelle fratture della gamba sono implicate minori masse muscolari rispetto a quelle del femore.
Il principio terapeutico rimane lo stesso, riduzione e riallineamento dell’osso con una trazione longitudinale e
sintesi.
Mentre nel femore si applica la trazione a livello dei condili o a livello sopracondilare, per quanto riguarda la
tibia la trazione longitudinale progressiva, con forza peso fino ad 1/10 del peso del paziente (per il femore era
1/7), viene effettuata a livello del calcagno con un filo metallico.
La trazione, oltre a riallineare i capi ossei, è utile per vincere le contratture muscolari causate dal trauma: i
muscoli, non avendo più il supporto osseo, si contraggono e si accorciano non naturalmente, spostando l’osso
in base a come esercitano la loro azione attraverso i loro tendini.
Ultimo passaggio è la sintesi, abitualmente effettuata con l’utilizzo di una placca o di un chiodo metallico,
oppure, più raramente oggi rispetto al passato, con apparecchio gessato.
L’approccio chirurgico permette un miglior trattamento, una stabilità maggiore della sintesi e una più veloce
mobilitazione del paziente con più veloce tempo di recupero rispetto all’apparecchio gessato che, comunque,
dall’esterno, difficilmente riesce a dare la stessa stabilità all’osso rispetto alla sintesi chirurgica perché risulta
difficile la riduzione perfetta della frattura manualmente e la tenuta del gesso dall’esterno è molto scarsa;
questo può portare a scomposizioni secondarie della frattura poiché il gesso non riesce a vincere le forze
muscolari allo stesso modo di una sintesi chirurgica.
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