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2006
Estratto dagli atti del 15° Congresso C.T.E. Bari, 4-5-6 novembre 2004
F. CERONI e M. PECE
Università degli Studi del Sannio, Benevento
SUMMARY
Masonry buildings are a structural typology very common in the Southern Italy: most of
historical downtowns are characterized by masonry buildings with relevant historic,
artistic, religious relevance.
Behaviour of masonry structures depends not only on mechanical properties of stones and
mortar used, but also on texture typology and construction modalities. Often the typology
of stone used is strictly related to its availability in the areas near the towns. Properties of
stone could be variable according to the provenience area.
In this paper a frame of the most diffuse masonry typology of Southern Italy is reported in
terms of techniques and materials. Therefore a large experimental characterization about
the mechanical properties of different qualities of ‘tuff’, a typical stone of the Southern
Italy, and mortar is developed.
1. INTRODUZIONE
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I fattori climatici, il comportamento fisico degli edifici e le regole della cultura materiale,
radicata e differenziata tra regione e regione, sono elementi fondamentali nella
formalizzazione dei caratteri tradizionali locali. Ogni realtà urbana presenta casi edilizi
differenti a causa di soluzioni costruttive dettate da esigenze contingenti che implicano
variazioni della prassi costruttiva consolidata. Situazioni al contesto, particolari di origine
geografica, climatica e orografica o la conformazione artificiale del paesaggio, la necessità
di dover spesso costruire su preesistenze stratificate che comportano la ricerca di soluzioni
di simbiosi tra tecniche differenti, motivi economici e culturali sono tutti fattori
determinanti che rendono ogni edificio un unicum in una casistica ricca e complessa.
Il patrimonio edilizio dell’Italia centromeridionale [01] è caratterizzato in prevalenza da
strutture in murature di pietra di tufo di differente origine. Grazie alla sua grande
lavorabilità, questo materiale è sempre stato nel corso dei secoli cavato facilmente e
ridotto in blocchi da costruzione, assumendo anche per tali motivi un ruolo assolutamente
primario nell’architettura sacra, civile e militare come materiale strutturale e decorativo di
gran parte dei tessuti storici di regioni dell’Italia Meridionale quali Lazio, Campania, Puglia
e Sicilia. Il tufo presenta buone caratteristiche dal punto di vista statico e dell’isolamento
termico, ma è alquanto deteriorabile se esposto agli agenti atmosferici. Per tale motivo si
è spesso ricorso all’impiego generalizzato di intonaco a difesa della muratura e
l’utilizzazione, solo in rarissimi casi del “tufo a faccia vista”.
Schematicamente, in ragione delle particolari condizioni geo-litologiche e storico-culturali
dell’area in esame, le tessiture murarie in tufo possono essere classificate in [02]:
Lo spessore della muratura dipende dalla dimensione dei conci di pietra utilizzati e risulta
multiplo della “testa” (larghezza del concio) che diviene modulo base di riferimento e del
giunto di malta. Si possono così avere murature ad una, due o più teste. Nella
realizzazione i “corsi” sovrapposti hanno configurazioni geometriche differenti in quanto i
conci simili assumono posizione diversa alternando e sfalsando la localizzazione dei giunti
nei due sensi. Inoltre alcuni elementi vengono disposti “di punta”, ossia con la dimensione
maggiore perpendicolare allo spessore murario, in modo da realizzare la connessione fra i
paramenti paralleli (esterno/interno) o l’ammorsatura con le sezioni interne di
conglomerato nel caso di muri “a sacco”: ciò avviene con regolarità, minimo ogni due
pietre poste longitudinalmente (“di fianco”).
La struttura che deriva dall’unione degli elementi lapidei presenta caratteristiche simili ad
un blocco monolitico, caratterizzato da una coesione senza soluzioni di continuità dovuta,
oltre che alla disposizione dei blocchi a giunti sfalsati, anche a caratteristiche quali la
regolarità delle facce dei blocchi, necessaria per una disposizione “a ricorsi”, l’accurata
scelta del materiale (resistenza, durevolezza, tenacità, lavorabilità) e la buona
composizione della malta. La regolarità delle facce ed il loro parallelismo nella messa in
opera, garantiscono la trasmissione degli sforzi con le medesime caratteristiche iniziali. La
malta ha inoltre la funzione di ripartire i carichi tra i vari elementi di una muratura
colmandone i vuoti.
In passato la maggior parte delle murature era realizzata con la tecnica “a sacco”, per i
vantaggi economici che derivavano dall’uso di tali materiali e della mano d’opera, associati
anche alla rapidità di esecuzione. Tale sistema ha tuttavia spesso evidenziato da un lato il
debole collegamento tra i paramenti in quanto affidato a pochi elementi passanti, dall’altro
la presenza di malta di scarsissima qualità. Questa tipologia di muratura è stata utilizzata
prevalentemente per costruzioni con un numero limitato di piani (due o tre). La sua
realizzazione prevedeva la sbozzatura dei conci di tufo disposti con le facce regolari verso
l’esterno ed in maniera da formare due paramenti murari fra i quali veniva posta la malta
e le scaglie di tufo residui della sbozzatura.
Le tecniche costruttive adottate dai maestri muratori dell’Italia Meridionale non variano
molto da zona a zona e sono individuabili un pò dovunque qualora sia possibile osservarne
la “tessitura” ad esempio in fase di demolizione di vecchie fabbriche o quando, per
interventi di recupero, si può analizzare uno spaccato murario [03].
La città di Napoli rappresenta un interessante esempio dell’evoluzione costruttiva delle
strutture in muratura dell’Italia Meridionale. In particolare, la quasi totalità degli edifici che
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definiscono il tessuto storico napoletano è realizzata con murature portanti in tufo giallo
campano, prodotto di una cultura costruttiva databile dalle origini alla Rivoluzione
Industriale. Col tempo, l'attento controllo dell'impianto strutturale ha condotto non solo ad
un impiego sempre più razionale del tufo, ma anche all’introduzione di altre pietre locali.
Se infatti nelle prime chiese di Napoli quasi tutti gli elementi strutturali sono in tufo, come
i pilastri e le nervature delle volte della chiesa di S. Eligio (Fig.1), i grandi archi e i relativi
piedritti della chiesa di S. Lorenzo (Fig.2), in seguito, per la realizzazione di membrature
resistenti lineari (archi acuti, pilastri, costoni) o delle parti più sollecitate nelle murature (i
cantonali, ad esempio) diverrà prassi l’impiego del piperno, della trachite e del tufo grigio
di Nocera, messi in opera sempre a faccia vista.
Le murature che caratterizzano l’edilizia monumentale sono eseguite, in generale, con una
tessitura compatta nella quale i conci lapidei sono accuratamente lavorati nelle facce a
contatto per realizzare una omogenea ripartizione dei carichi. Per la realizzazione dei
paramenti, le pietre di tufo venivano squadrate a mano sui tre lati, mentre la faccia verso
l’interno veniva solo grossolanamente sbozzata. Le pietre venivano messe in opera a
giunti sfalsati, in modo che le connessure dei corsi verticali contigui non corrispondessero.
I ricorsi erano realizzati con abbondante malta di pozzolana e le pietre battute con
martello fino a ridurre la malta allo spessore strettamente necessario (mai inferiore ad un
centimetro). Il sistema a sacco veniva dimensionato prevalentemente sulla base
dell’esperienza. Lo spessore delle murature variava da un minimo di 50cm fino a spessori
maggiori, in relazione al tipo di edificio da realizzare. Nelle figure 3 e 4 si riportano alcuni
esempi di modalità realizzative per murature di tufo per diversi spessori.
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La diversa provenienza del medesimo materiale gli attribuiva proprietà variabili, e per
questo motivo si preferiva utilizzare pietre di tufo più pregiate e più resistenti per le
zoccolature ed i cantonali, zone dell’edificio che esigevano all’esterno maggiore resistenza
agli urti ed agli agenti atmosferici, sia nella parte basamentale, che nelle parti più esposte
dei paramenti superiori.
Particolare importanza nell’edilizia cinquecentesca della città di Napoli rivestono i Quartieri
Spagnoli, che a tutt’oggi costituiscono una porzione significativa e rappresentativa del
costruito storico napoletano. A differenza dei palazzi gentilizi tradizionalmente costruiti
con spesse mura e solai a volta, i palazzi dei quartieri spagnoli vennero realizzati con
murature di minor spessore in blocchi di tufo squadrati collegati con malta di pozzolana.
Gli spessori medi delle pareti variavano tra 70 e 80cm al piano terra, e tra 40 e 50cm agli
ultimi piani. Gli edifici che costituiscono il primitivo vero nucleo dei quartieri spagnoli,
hanno oggi solo quattro o cinque piani fuori terra e conservano le loro altezze originarie,
mentre gli edifici più interni, a carattere più popolare dei primi, raggiungono sei o sette
piani, probabilmente per successiva sopraelevazione.
Successivamente si passa attraverso diverse fasi storiche caratterizzate dalla tecnica a
cantieri poi sostituita con quella a filari [03], con una lavorazione sempre più accurata
degli elementi lapidei. Tale evoluzione ha fatto registrare il generale decremento dello
spessore medio dei letti di posa e dei giunti verticali (1.5 - 2cm) ed il tendenziale disuso
dei ringrossi di malta e del minuto di cava usati nelle connessure per pareggiare gli
orizzontamenti. Questa tecnica fu limitata agli inizi del secolo alle fabbriche monumentali,
come si evince nelle cortine del Palazzo Reale di Capodimonte (Fig.5) e del Palazzo Reale
di Portici (Fig.6).
5a 5b
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Figura 5. a) Palazzo Reale di Capodimonte, cortina del fronte occidentale, al piano terra;
b) Palazzo Reale di Portici, braccio ovest del belvedere, particolare del fronte occidentale.
Tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900, gli edifici realizzati ad opera della Società pel
Risanamento di Napoli rappresentano l’ultimo esempio di costruzioni in muratura portante
di tufo nel napoletano. Le strutture in muratura erano realizzate con blocchi squadrati di
altezza costante, spesso inseriti di punta per assicurare un più efficace ammorsamento tra
i paramenti, e disposti secondo corsi regolari e giunti verticali sfalsati. Si faceva ricorso
esclusivamente a malte di tipo pozzolanico e a malte idrauliche ottenute miscelando un
terzo di calce spenta in pasta e due terzi di pozzolana vesuviana.
Un accenno merita anche l’impiego nelle costruzioni delle pietre calcaree di cui tutta la
dorsale appenninica è costituita, le cui caratteristiche variano a seconda dell’area
geologica di appartenenza. Analogamente per quanto praticato per il tufo, in passato le
pietre estratte venivano impiegate sul luogo stesso per la realizzazione di manufatti in
muratura e per gli elementi di completamento come stipiti, cornici, davanzali e per le
pavimentazioni stradali. Generalmente le costruzioni in pietrame non venivano intonacate
ed erano realizzate con strutture murarie del tipo a sacco, spesso caratterizzate
dall’impiego di ciottoli a superfici tondeggianti e abbondante malta.
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I tufi sono di origine vulcanica e le caratteristiche fisiche e meccaniche sono molto variabili
da luogo a luogo ed anche nella medesima località. In tabella 1 si riporta un’ampia
raccolta di risultati di prove sperimentali a compressione pubblicata da [05], che ha
proposto una classificazione delle diverse varietà di tufo giallo napoletano allo stato
asciutto in base alla resistenza a compressione, fbm.
Il grado di diagenesi, ossia le condizioni di temperatura ed il contenuto dei gas presenti
all’atto della sedimentazione, influisce in modo determinante sulla resistenza meccanica.
La resistenza dipende dalle dimensioni medie degli inclusi lapidei e pumicei (quanto
maggiori sono gli inclusi, tanto minore è la resistenza del tufo), nonché dal grado di
saturazione della roccia.
fbm
CATEGORIA Varietà
[MPa]
Tufo turrunello
2.64
mezzano
Tufo tunnarello
2.87
tostarello
La resistenza a trazione uniassiale fbtm varia in genere tra 0.5MPa e 5.0MPa e può essere
posta in relazione con la resistenza a compressione fbm attraverso l’espressione empirica
fornita da [06, 07, 08]:
t
fbtm/pa = T(fbtn/pa) (1)
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Prove sperimentali hanno mostrato che i moduli elastici variano da 800 a 3000MPa; con
valori più frequenti (l’80% dei casi) compresi fra 1000 e 2000MPa. Questi valori
relativamente modesti del modulo E stanno ad indicare come il tufo sia da considerare una
roccia lapidea tenera, a causa della sua particolare struttura.
Uno dei parametri che può influenzare la resistenza delle rocce lapidee tenere è la porosità
n, definita come segue:
n = (Va+Vw)/V (2)
essendo Va il volume dei vuoti, Vw, il volume della fase liquida e V, il volume totale del
provino. In figura 6 si riporta la correlazione tra la porosità n e la resistenza a
compressione del tufo giallo napoletano, del tufo laziale e delle calcareniti [09].
Indagini sperimentali [09] sul tufo giallo napoletano hanno evidenziato che un altro
parametro che riduce la resistenza del materiale lapideo è il grado di saturazione. In
particolare la resistenza media del tufo saturo è all’incirca pari al 75% di quello asciutto.
Altri risultati hanno dimostrato, inoltre, che il tufo, se sottoposto ad essiccamento in stufa
a 105C°, subisce una consistente degradazione meccanica. In Figura 7 si riportano i valori
della resistenza a compressione per provini di tufo precedentemente essiccati: si nota
come il deterioramento per effetto termico sia evidente già alla temperatura di 70°C.
In tabella 2 si riassumono alcune proprietà fisico-meccaniche delle principali varietà di tufo
desunte dalla letteratura tecnica [10].
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3
fbm fbtm E
?d [kN/m ] [GPa]
[MPa] [MPa]
Ciappi (1) 16
17.0
Di Pasquale - - (1) -
0.8
Nella serie di prove sperimentali realizzate sui diversi materiali lapidei sono stati usati
soprattutto materiali nuovi; infatti la conoscenza delle proprietà di questi materiali
individua parametri spesso sufficientemente approssimati anche per quelli antichi. Per
ciascuna varietà di tufo sono stati impiegati provini prelevati dalla stessa cava.
Complessivamente sono state prese in considerazione sette tipologie di tufo: tufo giallo
napoletano; tufo grigio campano; tufo bianco pugliese; tufo chiaro e tufo scuro di Roma;
tufo chiaro e tufo scuro di Viterbo. Solo per il tufo giallo napoletano sono considerati
campioni provenienti dalla demolizione di una muratura storica.
Sulla base di una preliminare indagine bibliografica sulle normative esistenti a livello
nazionale sono state individuate le normativa di riferimento per le prove di
caratterizzazione dei materiali lapidei.
Per le prove di compressione uniassiale monotona si sono seguite le indicazioni fornite
dalla norma UNI9724/3 [11]. Il dispositivo di carico utilizzato è di tipo meccanico, capace
di applicare forze di compressione in controllo di spostamento e corredato di una cella di
carico in grado di misurare il carico applicato. I provini sono stati sottoposti ad un
processo di carico monotono, in controllo di spostamento con una velocità di applicazione
minore o uguale a 0.5MPa/s. Tra le facce del provino ed i piatti di carico non è stato
interposto alcun materiale.
Le prove sono state effettuate su un numero minimo di 6 campioni essiccati per ogni
varietà di tufo considerata. Le dimensioni dei provini sono state fissate tra quelle indicate
dalla norma UNI, in relazione alle dimensioni della grana della pietra. In particolare si
sono scelti provini di forma cubica con lato di 100mm. I provini sono stati essiccati (S=0)
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prima della prova per almeno 24h in forno a 65°C e successivamente conservati per oltre
48h in un ambiente a temperatura di 20°C e ad umidità compresa tra il 50% ed il 70%,
secondo quanto indicato dalla UNI 6686 [12]. Solo per i tufi giallo napoletano e grigio
campano sono stati testati anche 3 provini in condizioni sature (S=1) e 3 con grado di
saturazione pari al 50% (S=0.5), allo scopo di determinare l’influenza del contenuto di
umidità. Nel complesso sono stati testati 58 campioni di tufo. Quando i provini
presentavano superfici di carico piuttosto irregolari, queste sono state rettificate con
scostamento dalla planarità non superiore a 0.2mm. Il quadro delle prove è riportato in
dettaglio in Tab.3.
Giallo napoletano 6 3 3
Giallo napoletano
3 - -
da demolizione
Grigio campano 7 3 3
Bianco pugliese 6 - -
Chiaro romano 6 - -
Scuro romano 6 - -
Giallo viterbese 6 - -
Grigio viterbese 6 - -
2
dove A è l’area nominale del provino (10000mm ).
In Tabella 4 si riportano per ogni tipologia di tufo i valori medi della resistenza a
compressione fbm [MPa] ottenuti dalle prove sperimentali con relativi scarti quadratici
medi in parentesi.
In Figura 8 si riportano alcune tipiche modalità di rottura a compressione dei provini.
Dai risultati evidenziati in Tabella 4 si osserva come la resistenza a compressione del tufo
grigio campano risenta negativamente, e in maniera più marcata, delle condizioni di
umidità, presentando una diminuzione del 41% dalla condizione di essiccazione, alla
condizione S=50%. Per S=50% ed S=100% non si riscontrano, invece, abbattimenti della
resistenza. Per il tufo giallo napoletano è stato riscontrato un decadimento della resistenza
anche nel passaggio da S=50% ad S=100% (Figura 9).
Giallo napoletano
3.28 (0.94)
da demolizione
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a) Tufo giallo viterbese b) Tufo giallo napoletano c) Tufo bianco leccese d) Tufo giallo romano
Per la valutazione del modulo elastico si sono seguite le indicazioni fornite dalla norma
UNI9724/8. Il dispositivo di carico è lo stesso utilizzato per le prove di compressione
monoassiale per la valutazione della resistenza a compressione.
Attraverso le misure della cella di carico è stata rilevata in continuo la tensione di
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compressione, come rapporto tra il carico applicato e l’area di base del provino, mentre le
corrispondenti deformazioni longitudinali sono state valutate posizionando su due facce
opposte due trasduttori induttivi di spostamento in prossimità della mezzeria dei provini
su una base di misura di 50mm (1/8 dell’altezza del provino). Le prove sono state
effettuate su 3 campioni essiccati (S=0) per ogni varietà di tufo considerata. Le
dimensioni dei campioni sono state maggiorate mantenendo fisso il rapporto relativo tra
spigolo di base e altezza (1:4), secondo quanto prescritto dalla norma UNI9724/8 [13].
Ciascun provino presenta, pertanto, forma prismatica con base quadrata di lato 100mm e
altezza pari a 400mm. Quando i provini presentavano superfici di carico piuttosto
irregolari, queste sono state rettificate con scostamento dalla planarità non superiore a
0.2mm. I provini sono stati essiccati prima della prova. Nel complesso sono state
realizzate prove su 21 campioni di tufo. I provini sono stati sottoposti ad un processo di
carico monotono, in controllo di spostamento e con una velocità di applicazione minore o
uguale a 0.5MPa/s. Il valore della deformazione longitudinale, ε, è dato dalla media delle
misure dei due trasduttori, calcolata come:
ε =Δ/l (4)
Et Em Es
TUFO
[MPa] [MPa] [MPa]
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Per le prove di flessione si è fatto riferimento alle indicazioni fornite dalla norma UNI
9724/5 [14]. Il dispositivo di carico è lo stesso utilizzato per le prove di compressione, ma
è stato munito di un coltello di acciaio per l’applicazione del carico e di due coltelli di
appoggio per il provino a distanza di 300mm anziché 100mm. Stante la difficoltà nel
tagliare provini di tufo secondo le indicazioni prescritte dalla norma UNI 9724/5, si è
derogato infatti alle dimensioni ivi riportate, tentando di mantenere invariati i rapporti
relativi tra lunghezza/larghezza/altezza [4/1/1.5] indicati. I campioni hanno quindi forma
prismatica di dimensioni 370×60×90 mm [rapporti relativi 4/1/1.3]. I bordi dei coltelli a
contatto col provino sono stati arrotondati con raggio di curvatura di 0.5cm. In figura 12 si
riporta in dettaglio il set up della prova.
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I provini sono stati essiccati prima della prova. Solo per i tufi giallo napoletano e grigio
campano sono stati testati 3 provini anche in condizioni sature (S=1), allo scopo di
valutare l’influenza del contenuto di umidità. Nel complesso sono stati sottoposti a prova
27 campioni di tufo applicando un processo di carico monotono fino a rottura, in controllo
di spostamento e con una velocità di applicazione minore o uguale a 0.5MPa/s.
La resistenza a trazione per flessione fbtm di ogni provino è calcolata come:
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fbtm = M/W=6[(Fmax/2)/(b*h )]*(L/2) (5)
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Per il tufo giallo campano si trova che la resistenza a trazione valutata con l’espressione
(1) è pari a 0.35MPa che corrisponde al valore sperimentale riportato in Tabella 6.
In figura 13 sono diagrammate le tensioni medie di rottura a trazione per flessione fbtm
(σt) in funzione della tensione media di rottura a compressione fbm (σc). Si osserva come
le coppie σc,σt siano contenute in una fascia piuttosto ristretta. Inoltre, distinguendo i tufi
per provenienza, si osserva che risulta elevato coefficiente di correlazione per una
regressione lineare passante per l’origine.
Analogo risultato si ritrova per il modulo elastico sempre in funzione della resistenza a
compressione.
I coefficienti angolari delle regressioni lineari sono riportati in Tabella 7.
Per la produzione delle malte di prova a partire dai costituenti secchi ed i metodi per il
prelievo del campione di prova globale d’impasto, si è fatto riferimento alla norma UNI EN
1015-2 [15], mentre per le specifiche per la determinazione della resistenza a flessione e
a compressione dei campioni di malta così preparati si sono seguite le indicazioni della
norma UNI EN 1015-11 [16]. Il programma di prove ha previsto test di compressione e
flessione su provini di malta idraulica e pozzolanica. Sono stati realizzati anche provini di
malta in cui le proporzioni tra inerti, legante e acqua, sono state appositamente formulate
in modo da riprodurre le caratteristiche di porosità e di traspirabilità delle antiche malte a
base di calce e pozzolana adoperate per le murature di tufo dell’area campana. In
particolare è stato impiegato un legante idraulico a reattività pozzolanica, con cariche
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minerali fini e fibre sintetiche secondo una formula sviluppata in laboratori di ricerca.
La miscelazione dell’impasto è avvenuta con le seguenti proporzioni:
3
- Legante: 310 kg/m
3
- Sabbia vagliata (3÷4mm): 1245 kg/m
3
- Acqua: 195 kg/m
In realtà, una possibile variazione alle caratteristiche attese è dovuta alla variabilità in
fase d’impasto, dei rapporti relativi tra legante, sabbia e acqua.
Il programma delle prove è illustrato in Tabella 8.
Malta pozzolanica 5 2
Malta idraulica - 10
Malta Mapei 8 16
Per ogni tipologia di malta, dall’impasto sono stati realizzati almeno tre prelievi per mezzo
di paletta al di sotto della superficie all’interno della tramoggia, in posti differenti e
distribuiti in modo regolare rispetto alla massa. Dopo la raccolta, si sono combinati e
mescolati a fondo i prelievi, su una superficie pulita, per circa 5min, ottenendo il
“campione globale”, che è stato ridotto mediante successive quartature. Sono stati
riempiti appositi stampi, ciascuno delle dimensioni 160×40×40mm (Figura 14).
Gli stampi sono stati conservati in sacchetti di polietilene per 2 giorni; i provini sono stati
rimossi dallo stampo e conservati per 5 giorni in sacchetti di polietilene; per i successivi
21 giorni sono stati conservati a temperatura ambiente. I campioni sono stati sottoposti a
prove di flessione dopo 28 giorni di maturazione. Ciascun provino è stato posizionato con
una delle sue facce (scelta tra quelle che sono state gettate contro le pareti dello stampo)
su rulli di sostegno, secondo lo schema di figura 15.
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distanza tra i due rulli di sostegno di acciaio è pari a 100mm, mentre il terzo rullo è
posizionato al centro del provino. Il valore del carico è stato registrato in continuo, fin
quando non si è attinta la rottura del provino nella sezione di mezzeria. La resistenza a
trazione per flessione, fbtm, è stata calcolata utilizzando l’espressione 5.
Le metà di ciascun campione sottoposto alla prova di flessione sono state ridotte alle
dimensioni di 40×40×40 mm per realizzare successivamente le prove di compressione.
Sono stati scartati i provini che non fornivano un cubo regolare.
In tabella 9 si riportano per ciascuna tipologia di malta i valori medi delle resistenze a
compressione, fbm, e a trazione per flessione, fbtm, con indicati in parentesi i relativi scarti
quadratici medi.
6. CONCLUSIONI
7. BIBLIOGRAFIA
[02] E. Attaianese, V. Fiore, M.R. Pinto, S.Viola, “La costruzione tradizionale - note
sulle tecniche costruttive nel napoletano”, de Costanzo Editori, Napoli, 1993.
[05] L. Dell’Erba, “Il tufo giallo napoletano”, Casa editrice Libraria Raffaele Pironti, 1923.
[06] D.J. Hannat, “Nomograms for the failure of plain concrete subjected to short-term
multiaxial stresses”, The Structural Engineer, 1974.
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[08] P.V. Lade, “Three parameter failure criterion for concrete”, J. Engng. Mech. Div.
A.S.C.E, 1982.
[10] N. Augenti, “Il calcolo sismico degli edifici in muratura”, Casa editrice UTET Libreria
Srl, 2000.
RINGRAZIAMENTI
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