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2006

Estratto dagli atti del 15° Congresso C.T.E. Bari, 4-5-6 novembre 2004

ANALISI E CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DI MURATURE DI TUFO

F. CERONI e M. PECE
Università degli Studi del Sannio, Benevento

G. MANFREDI, G. MARCARI, S. VOTO


Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento di Analisi e Progettazione Strutturale

SUMMARY

Masonry buildings are a structural typology very common in the Southern Italy: most of
historical downtowns are characterized by masonry buildings with relevant historic,
artistic, religious relevance.
Behaviour of masonry structures depends not only on mechanical properties of stones and
mortar used, but also on texture typology and construction modalities. Often the typology
of stone used is strictly related to its availability in the areas near the towns. Properties of
stone could be variable according to the provenience area.
In this paper a frame of the most diffuse masonry typology of Southern Italy is reported in
terms of techniques and materials. Therefore a large experimental characterization about
the mechanical properties of different qualities of ‘tuff’, a typical stone of the Southern
Italy, and mortar is developed.

1. INTRODUZIONE

La conoscenza delle diverse tipologie costruttive e delle tessiture murarie che


caratterizzano le strutture in muratura gioca un ruolo fondamentale nel definire la risposta
strutturale degli edifici in muratura. Le strutture murarie sono indubbiamente molto
tradizionali, tuttavia la loro analisi tipologica si presenta complessa e comunque non può
essere facilmente schematizzata. Molti sono i centri storici nell’Italia Meridionale per i
quali, sebbene la varietà di strutture murarie sia di notevole rilevanza per dimensione e
ricchezza di valori, alla diffusa conoscenza dei caratteri architettonici, urbanistici e
ambientali e delle evoluzioni da essi subite nel tempo si associa una cognizione molto
generica dei materiali e del loro uso. L’analisi cronologica dei paramenti murari risulta
spesso maggiormente complicata per la mancanza di trattazioni sistematiche delle tecniche
edilizie adoperate a partire dal tardo Medioevo.
Oltre alla tipologia di materiale lapideo, assume un ruolo fondamentale per la definizione
del comportamento strutturale e di un eventuale intervento di rinforzo la tecnologia di
realizzazione, che può essere molto variabile. In particolare le tessiture murarie sono
strettamente dipendenti dalla disponibilità locale di materia prima (tufi, pietre calcaree,
laterizi, leganti etc.) e dalla struttura sociale ed economica dell’area. Questi fattori
influenzano notevolmente le modalità di realizzazione dei setti murari e conferiscono loro
connotati e proprietà strettamente locali e che, quindi, non possono essere direttamente
estese ed applicate in un contesto geografico diverso.
Nel caso della città di Napoli ad esempio nel corso dei due millenni e mezzo di storia della
città, si è fatto costante e quasi esclusivo ricorso al tufo giallo, prelevato direttamente dal
sottosuolo o da cave localizzate sui fianchi delle circostanti colline, e messo in opera
soprattutto negli ultimi cinque o sei secoli, secondo tessiture non molto dissimili tra loro.
In particolare, le tipologie murarie dell’area napoletana hanno una storia ed un’evoluzione
legate agli sviluppi storici, economici e sociali di un più ampio contesto che è quello dei
Paesi del bacino del Mediterraneo.
Il lavoro è stato svolto sia mediante analisi bibliografica delle tipologie edilizie e murarie,
sia realizzando una vasta campagna di prove di caratterizzazione sperimentale su tipologie
di tufo provenienti da diverse cave e vari tipi di malta. Sono stati studiati tufo giallo
napoletano, tufo grigio campano, tufo bianco pugliese, tufo chiaro e tufo scuro di Roma,
tufo chiaro e tufo scuro di Viterbo, malte idrauliche e pozzolaniche tradizionali, nonché
malte sintetiche con caratteristiche fisico-meccaniche simili a quelle antiche. I numerosi
dati raccolti, sia di letteratura che sperimentali, sono sicuramente un importante tassello
per un inquadramento strutturale degli edifici in muratura, indispensabile in una corretta
progettazione di interventi di recupero strutturale o di adeguamento sismico.

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2. TIPOLOGIE E TECNICHE COSTRUTTIVE DELLE MURATURE DELL'ITALIA


MERIDIONALE

I fattori climatici, il comportamento fisico degli edifici e le regole della cultura materiale,
radicata e differenziata tra regione e regione, sono elementi fondamentali nella
formalizzazione dei caratteri tradizionali locali. Ogni realtà urbana presenta casi edilizi
differenti a causa di soluzioni costruttive dettate da esigenze contingenti che implicano
variazioni della prassi costruttiva consolidata. Situazioni al contesto, particolari di origine
geografica, climatica e orografica o la conformazione artificiale del paesaggio, la necessità
di dover spesso costruire su preesistenze stratificate che comportano la ricerca di soluzioni
di simbiosi tra tecniche differenti, motivi economici e culturali sono tutti fattori
determinanti che rendono ogni edificio un unicum in una casistica ricca e complessa.
Il patrimonio edilizio dell’Italia centromeridionale [01] è caratterizzato in prevalenza da
strutture in murature di pietra di tufo di differente origine. Grazie alla sua grande
lavorabilità, questo materiale è sempre stato nel corso dei secoli cavato facilmente e
ridotto in blocchi da costruzione, assumendo anche per tali motivi un ruolo assolutamente
primario nell’architettura sacra, civile e militare come materiale strutturale e decorativo di
gran parte dei tessuti storici di regioni dell’Italia Meridionale quali Lazio, Campania, Puglia
e Sicilia. Il tufo presenta buone caratteristiche dal punto di vista statico e dell’isolamento
termico, ma è alquanto deteriorabile se esposto agli agenti atmosferici. Per tale motivo si
è spesso ricorso all’impiego generalizzato di intonaco a difesa della muratura e
l’utilizzazione, solo in rarissimi casi del “tufo a faccia vista”.
Schematicamente, in ragione delle particolari condizioni geo-litologiche e storico-culturali
dell’area in esame, le tessiture murarie in tufo possono essere classificate in [02]:

▪ Murature di tufo in conci squadrati con tessiture irregolari o isodome;


▪ Murature di tufo a sacco, sorte spesso utilizzando come riempimento materiali di
demolizioni, o sfruttando i residui dei conci frantumati o ricavati dal taglio delle pietre dal
blocco estratto dalle cave;
▪ Murature miste, listate, con tufo e filari di mattoni, questi ultimi con il compito di
ottenere una maggiore uniformità nella ripartizione dei carichi, conferire maggiore
resistenza nelle parti più sollecitate dell’edificio.

Lo spessore della muratura dipende dalla dimensione dei conci di pietra utilizzati e risulta
multiplo della “testa” (larghezza del concio) che diviene modulo base di riferimento e del
giunto di malta. Si possono così avere murature ad una, due o più teste. Nella
realizzazione i “corsi” sovrapposti hanno configurazioni geometriche differenti in quanto i
conci simili assumono posizione diversa alternando e sfalsando la localizzazione dei giunti
nei due sensi. Inoltre alcuni elementi vengono disposti “di punta”, ossia con la dimensione
maggiore perpendicolare allo spessore murario, in modo da realizzare la connessione fra i
paramenti paralleli (esterno/interno) o l’ammorsatura con le sezioni interne di
conglomerato nel caso di muri “a sacco”: ciò avviene con regolarità, minimo ogni due
pietre poste longitudinalmente (“di fianco”).
La struttura che deriva dall’unione degli elementi lapidei presenta caratteristiche simili ad
un blocco monolitico, caratterizzato da una coesione senza soluzioni di continuità dovuta,
oltre che alla disposizione dei blocchi a giunti sfalsati, anche a caratteristiche quali la
regolarità delle facce dei blocchi, necessaria per una disposizione “a ricorsi”, l’accurata
scelta del materiale (resistenza, durevolezza, tenacità, lavorabilità) e la buona
composizione della malta. La regolarità delle facce ed il loro parallelismo nella messa in
opera, garantiscono la trasmissione degli sforzi con le medesime caratteristiche iniziali. La
malta ha inoltre la funzione di ripartire i carichi tra i vari elementi di una muratura
colmandone i vuoti.
In passato la maggior parte delle murature era realizzata con la tecnica “a sacco”, per i
vantaggi economici che derivavano dall’uso di tali materiali e della mano d’opera, associati
anche alla rapidità di esecuzione. Tale sistema ha tuttavia spesso evidenziato da un lato il
debole collegamento tra i paramenti in quanto affidato a pochi elementi passanti, dall’altro
la presenza di malta di scarsissima qualità. Questa tipologia di muratura è stata utilizzata
prevalentemente per costruzioni con un numero limitato di piani (due o tre). La sua
realizzazione prevedeva la sbozzatura dei conci di tufo disposti con le facce regolari verso
l’esterno ed in maniera da formare due paramenti murari fra i quali veniva posta la malta
e le scaglie di tufo residui della sbozzatura.
Le tecniche costruttive adottate dai maestri muratori dell’Italia Meridionale non variano
molto da zona a zona e sono individuabili un pò dovunque qualora sia possibile osservarne
la “tessitura” ad esempio in fase di demolizione di vecchie fabbriche o quando, per
interventi di recupero, si può analizzare uno spaccato murario [03].
La città di Napoli rappresenta un interessante esempio dell’evoluzione costruttiva delle
strutture in muratura dell’Italia Meridionale. In particolare, la quasi totalità degli edifici che

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definiscono il tessuto storico napoletano è realizzata con murature portanti in tufo giallo
campano, prodotto di una cultura costruttiva databile dalle origini alla Rivoluzione
Industriale. Col tempo, l'attento controllo dell'impianto strutturale ha condotto non solo ad
un impiego sempre più razionale del tufo, ma anche all’introduzione di altre pietre locali.
Se infatti nelle prime chiese di Napoli quasi tutti gli elementi strutturali sono in tufo, come
i pilastri e le nervature delle volte della chiesa di S. Eligio (Fig.1), i grandi archi e i relativi
piedritti della chiesa di S. Lorenzo (Fig.2), in seguito, per la realizzazione di membrature
resistenti lineari (archi acuti, pilastri, costoni) o delle parti più sollecitate nelle murature (i
cantonali, ad esempio) diverrà prassi l’impiego del piperno, della trachite e del tufo grigio
di Nocera, messi in opera sempre a faccia vista.

Figura 1. Chiesa di Sant’Eligio

Figura 2. Chiesa di San Lorenzo Maggiore

Le murature che caratterizzano l’edilizia monumentale sono eseguite, in generale, con una
tessitura compatta nella quale i conci lapidei sono accuratamente lavorati nelle facce a
contatto per realizzare una omogenea ripartizione dei carichi. Per la realizzazione dei
paramenti, le pietre di tufo venivano squadrate a mano sui tre lati, mentre la faccia verso
l’interno veniva solo grossolanamente sbozzata. Le pietre venivano messe in opera a
giunti sfalsati, in modo che le connessure dei corsi verticali contigui non corrispondessero.
I ricorsi erano realizzati con abbondante malta di pozzolana e le pietre battute con
martello fino a ridurre la malta allo spessore strettamente necessario (mai inferiore ad un
centimetro). Il sistema a sacco veniva dimensionato prevalentemente sulla base
dell’esperienza. Lo spessore delle murature variava da un minimo di 50cm fino a spessori
maggiori, in relazione al tipo di edificio da realizzare. Nelle figure 3 e 4 si riportano alcuni
esempi di modalità realizzative per murature di tufo per diversi spessori.

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Figura 3. Muratura in tufo per Figura 4. Muratura in tufo per spessori


spessori fino a 70cm. maggiori di 100cm.

La diversa provenienza del medesimo materiale gli attribuiva proprietà variabili, e per
questo motivo si preferiva utilizzare pietre di tufo più pregiate e più resistenti per le
zoccolature ed i cantonali, zone dell’edificio che esigevano all’esterno maggiore resistenza
agli urti ed agli agenti atmosferici, sia nella parte basamentale, che nelle parti più esposte
dei paramenti superiori.
Particolare importanza nell’edilizia cinquecentesca della città di Napoli rivestono i Quartieri
Spagnoli, che a tutt’oggi costituiscono una porzione significativa e rappresentativa del
costruito storico napoletano. A differenza dei palazzi gentilizi tradizionalmente costruiti
con spesse mura e solai a volta, i palazzi dei quartieri spagnoli vennero realizzati con
murature di minor spessore in blocchi di tufo squadrati collegati con malta di pozzolana.
Gli spessori medi delle pareti variavano tra 70 e 80cm al piano terra, e tra 40 e 50cm agli
ultimi piani. Gli edifici che costituiscono il primitivo vero nucleo dei quartieri spagnoli,
hanno oggi solo quattro o cinque piani fuori terra e conservano le loro altezze originarie,
mentre gli edifici più interni, a carattere più popolare dei primi, raggiungono sei o sette
piani, probabilmente per successiva sopraelevazione.
Successivamente si passa attraverso diverse fasi storiche caratterizzate dalla tecnica a
cantieri poi sostituita con quella a filari [03], con una lavorazione sempre più accurata
degli elementi lapidei. Tale evoluzione ha fatto registrare il generale decremento dello
spessore medio dei letti di posa e dei giunti verticali (1.5 - 2cm) ed il tendenziale disuso
dei ringrossi di malta e del minuto di cava usati nelle connessure per pareggiare gli
orizzontamenti. Questa tecnica fu limitata agli inizi del secolo alle fabbriche monumentali,
come si evince nelle cortine del Palazzo Reale di Capodimonte (Fig.5) e del Palazzo Reale
di Portici (Fig.6).

5a 5b

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Figura 5. a) Palazzo Reale di Capodimonte, cortina del fronte occidentale, al piano terra;
b) Palazzo Reale di Portici, braccio ovest del belvedere, particolare del fronte occidentale.

Tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900, gli edifici realizzati ad opera della Società pel
Risanamento di Napoli rappresentano l’ultimo esempio di costruzioni in muratura portante
di tufo nel napoletano. Le strutture in muratura erano realizzate con blocchi squadrati di
altezza costante, spesso inseriti di punta per assicurare un più efficace ammorsamento tra
i paramenti, e disposti secondo corsi regolari e giunti verticali sfalsati. Si faceva ricorso
esclusivamente a malte di tipo pozzolanico e a malte idrauliche ottenute miscelando un
terzo di calce spenta in pasta e due terzi di pozzolana vesuviana.
Un accenno merita anche l’impiego nelle costruzioni delle pietre calcaree di cui tutta la
dorsale appenninica è costituita, le cui caratteristiche variano a seconda dell’area
geologica di appartenenza. Analogamente per quanto praticato per il tufo, in passato le
pietre estratte venivano impiegate sul luogo stesso per la realizzazione di manufatti in
muratura e per gli elementi di completamento come stipiti, cornici, davanzali e per le
pavimentazioni stradali. Generalmente le costruzioni in pietrame non venivano intonacate
ed erano realizzate con strutture murarie del tipo a sacco, spesso caratterizzate
dall’impiego di ciottoli a superfici tondeggianti e abbondante malta.

3. PROPRIETA' MECCANICHE DEI TUFI

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I tufi sono di origine vulcanica e le caratteristiche fisiche e meccaniche sono molto variabili
da luogo a luogo ed anche nella medesima località. In tabella 1 si riporta un’ampia
raccolta di risultati di prove sperimentali a compressione pubblicata da [05], che ha
proposto una classificazione delle diverse varietà di tufo giallo napoletano allo stato
asciutto in base alla resistenza a compressione, fbm.
Il grado di diagenesi, ossia le condizioni di temperatura ed il contenuto dei gas presenti
all’atto della sedimentazione, influisce in modo determinante sulla resistenza meccanica.
La resistenza dipende dalle dimensioni medie degli inclusi lapidei e pumicei (quanto
maggiori sono gli inclusi, tanto minore è la resistenza del tufo), nonché dal grado di
saturazione della roccia.

Tabella 1. Resistenza a compressione di alcune varietà di tufo giallo napoletano [05]

fbm
CATEGORIA Varietà
[MPa]

Tufo arenoso 1.91


Tufi con lieve resistenza
Tufo fino comune molle 1.69
(< 2MPa)
Tufo fracido 1.26

Tufo cima di monte 2.52

Tufo turrunello
2.64
mezzano

Tufi di mediocre Tufo turranello fino 2.99


resistenza (2-3MPa)
Tufo tunnarello
2.16
pomicioso

Tufo tunnarello
2.87
tostarello

Tufo selvaiuolo 3.00

Tufo fino comune a


Tufi di media resistenza
pomici miste e non 3.58
(3-4MPa)
scarse

Tufo biancolillo 3.18

Tufo fino comune a


pomici piccole e poco 4.78
Tufi di buona resistenza abbondanti
(4-5MPa)
Tufo fino propriamente
4.68
detto

Tufi di forte resistenza


Tufo duro grossolano 5.39
(5-7.5MPa)

Tufi di elevata resistenza Tufo duro a grana fina 9.1


(>7.5MPa) Tufo ferrigno 12.1

La resistenza a trazione uniassiale fbtm varia in genere tra 0.5MPa e 5.0MPa e può essere
posta in relazione con la resistenza a compressione fbm attraverso l’espressione empirica
fornita da [06, 07, 08]:

t
fbtm/pa = T(fbtn/pa) (1)

essendo pa la pressione atmosferica, T e t parametri adimensionali. Sulla base di dati


sperimentali per il tufo giallo napoletano si sono ottenuti da regressioni statistiche i valori:
T=0.190, t=0.805. La resistenza a trazione risulta in genere di un ordine di grandezza
inferiore rispetto a quella a compressione.

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Prove sperimentali hanno mostrato che i moduli elastici variano da 800 a 3000MPa; con
valori più frequenti (l’80% dei casi) compresi fra 1000 e 2000MPa. Questi valori
relativamente modesti del modulo E stanno ad indicare come il tufo sia da considerare una
roccia lapidea tenera, a causa della sua particolare struttura.
Uno dei parametri che può influenzare la resistenza delle rocce lapidee tenere è la porosità
n, definita come segue:

n = (Va+Vw)/V (2)

essendo Va il volume dei vuoti, Vw, il volume della fase liquida e V, il volume totale del
provino. In figura 6 si riporta la correlazione tra la porosità n e la resistenza a
compressione del tufo giallo napoletano, del tufo laziale e delle calcareniti [09].

Figura 6. Relazione fra porosità e resistenza a compressione uniassiale

Indagini sperimentali [09] sul tufo giallo napoletano hanno evidenziato che un altro
parametro che riduce la resistenza del materiale lapideo è il grado di saturazione. In
particolare la resistenza media del tufo saturo è all’incirca pari al 75% di quello asciutto.
Altri risultati hanno dimostrato, inoltre, che il tufo, se sottoposto ad essiccamento in stufa
a 105C°, subisce una consistente degradazione meccanica. In Figura 7 si riportano i valori
della resistenza a compressione per provini di tufo precedentemente essiccati: si nota
come il deterioramento per effetto termico sia evidente già alla temperatura di 70°C.
In tabella 2 si riassumono alcune proprietà fisico-meccaniche delle principali varietà di tufo
desunte dalla letteratura tecnica [10].

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Figura 7. Resistenza a compressione in funzione della temperatura di essiccamento.

Tabella 2. Proprietà fisico-meccaniche delle principali varietà di tufo

3
fbm fbtm E
?d [kN/m ] [GPa]
[MPa] [MPa]

Cavalieri di S.B. (1) 4.7÷5.8


12.1÷13.0

Clericetti (1) 4.7


17.4

Breymann (1) 5.6


12.5

Salmoiraghi (1) 4.7÷5.8


12.2÷13.0

Russo (1) 4.7÷5.8


12.2÷13.0

Ciappi (1) 16
17.0

Guerra (1) 3.0÷17.5


12.5÷17.0

Stabilini - (1) 0.8 3÷15


3.0÷7.0
(1) 2.5÷6.0 - -
12.0÷16.0

Nicotera Lucini (2) 12.1÷14.7 - -


14.6÷15.3
(3) 11.6÷16.6 - -
15.0÷15.9

Pellegrino (2) 3.5÷7.5 - 1÷3


15.6÷17.5

Di Pasquale - - (1) -
0.8

Koening - (1) 0.7÷1 3÷15


3.0÷7.0

(1) (2) (3)


Tufo grigio campano; Tufo giallo napoletano; Tufo verde napoletano

4. PROVE DI CARATTERIZZAZIONE MECCANICA SU MATERIALI LAPIDEI

4.1. Prove di compressione monoassiale per determinare la resistenza a


compressione

Nella serie di prove sperimentali realizzate sui diversi materiali lapidei sono stati usati
soprattutto materiali nuovi; infatti la conoscenza delle proprietà di questi materiali
individua parametri spesso sufficientemente approssimati anche per quelli antichi. Per
ciascuna varietà di tufo sono stati impiegati provini prelevati dalla stessa cava.
Complessivamente sono state prese in considerazione sette tipologie di tufo: tufo giallo
napoletano; tufo grigio campano; tufo bianco pugliese; tufo chiaro e tufo scuro di Roma;
tufo chiaro e tufo scuro di Viterbo. Solo per il tufo giallo napoletano sono considerati
campioni provenienti dalla demolizione di una muratura storica.
Sulla base di una preliminare indagine bibliografica sulle normative esistenti a livello
nazionale sono state individuate le normativa di riferimento per le prove di
caratterizzazione dei materiali lapidei.
Per le prove di compressione uniassiale monotona si sono seguite le indicazioni fornite
dalla norma UNI9724/3 [11]. Il dispositivo di carico utilizzato è di tipo meccanico, capace
di applicare forze di compressione in controllo di spostamento e corredato di una cella di
carico in grado di misurare il carico applicato. I provini sono stati sottoposti ad un
processo di carico monotono, in controllo di spostamento con una velocità di applicazione
minore o uguale a 0.5MPa/s. Tra le facce del provino ed i piatti di carico non è stato
interposto alcun materiale.
Le prove sono state effettuate su un numero minimo di 6 campioni essiccati per ogni
varietà di tufo considerata. Le dimensioni dei provini sono state fissate tra quelle indicate
dalla norma UNI, in relazione alle dimensioni della grana della pietra. In particolare si
sono scelti provini di forma cubica con lato di 100mm. I provini sono stati essiccati (S=0)

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prima della prova per almeno 24h in forno a 65°C e successivamente conservati per oltre
48h in un ambiente a temperatura di 20°C e ad umidità compresa tra il 50% ed il 70%,
secondo quanto indicato dalla UNI 6686 [12]. Solo per i tufi giallo napoletano e grigio
campano sono stati testati anche 3 provini in condizioni sature (S=1) e 3 con grado di
saturazione pari al 50% (S=0.5), allo scopo di determinare l’influenza del contenuto di
umidità. Nel complesso sono stati testati 58 campioni di tufo. Quando i provini
presentavano superfici di carico piuttosto irregolari, queste sono state rettificate con
scostamento dalla planarità non superiore a 0.2mm. Il quadro delle prove è riportato in
dettaglio in Tab.3.

Tabella 3. Quadro delle prove per la determinazione della resistenza a compressione

TUFO S=0 S=0.5 S=1

Giallo napoletano 6 3 3

Giallo napoletano
3 - -
da demolizione

Grigio campano 7 3 3

Bianco pugliese 6 - -

Chiaro romano 6 - -

Scuro romano 6 - -

Giallo viterbese 6 - -

Grigio viterbese 6 - -

In base al carico massimo applicato Fmax la resistenza a compressione fbm si ottiene


come:

fbm = Fmax/A (3)

2
dove A è l’area nominale del provino (10000mm ).
In Tabella 4 si riportano per ogni tipologia di tufo i valori medi della resistenza a
compressione fbm [MPa] ottenuti dalle prove sperimentali con relativi scarti quadratici
medi in parentesi.
In Figura 8 si riportano alcune tipiche modalità di rottura a compressione dei provini.
Dai risultati evidenziati in Tabella 4 si osserva come la resistenza a compressione del tufo
grigio campano risenta negativamente, e in maniera più marcata, delle condizioni di
umidità, presentando una diminuzione del 41% dalla condizione di essiccazione, alla
condizione S=50%. Per S=50% ed S=100% non si riscontrano, invece, abbattimenti della
resistenza. Per il tufo giallo napoletano è stato riscontrato un decadimento della resistenza
anche nel passaggio da S=50% ad S=100% (Figura 9).

Tabella 4. Resistenze a compressione sperimentali.

TUFO S=0 S=0.5 S=1

Giallo napoletano 3.72 (0.39) 2.72 (0.75) 2.36 (0.11)

Giallo napoletano
3.28 (0.94)
da demolizione

Grigio campano 4.47 (0.63) 2.59 (0.09) 2.53 (0.56)

Bianco pugliese 8.57 (0.31) - -

Chiaro romano 5.78 (0.95) - -

Scuro romano 6.05 (0.72) - -

Giallo viterbese 2.88 (0.70) - -

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Grigio viterbese 4.68 (0.46) - -

a) Tufo giallo viterbese b) Tufo giallo napoletano c) Tufo bianco leccese d) Tufo giallo romano

Figura 8. Modalità di rottura per compressione

Figura 9. Esempi di resistenza a compressione in funzione del grado di saturazione

4.2. Determinazione del modulo elastico

Per la valutazione del modulo elastico si sono seguite le indicazioni fornite dalla norma
UNI9724/8. Il dispositivo di carico è lo stesso utilizzato per le prove di compressione
monoassiale per la valutazione della resistenza a compressione.
Attraverso le misure della cella di carico è stata rilevata in continuo la tensione di

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compressione, come rapporto tra il carico applicato e l’area di base del provino, mentre le
corrispondenti deformazioni longitudinali sono state valutate posizionando su due facce
opposte due trasduttori induttivi di spostamento in prossimità della mezzeria dei provini
su una base di misura di 50mm (1/8 dell’altezza del provino). Le prove sono state
effettuate su 3 campioni essiccati (S=0) per ogni varietà di tufo considerata. Le
dimensioni dei campioni sono state maggiorate mantenendo fisso il rapporto relativo tra
spigolo di base e altezza (1:4), secondo quanto prescritto dalla norma UNI9724/8 [13].
Ciascun provino presenta, pertanto, forma prismatica con base quadrata di lato 100mm e
altezza pari a 400mm. Quando i provini presentavano superfici di carico piuttosto
irregolari, queste sono state rettificate con scostamento dalla planarità non superiore a
0.2mm. I provini sono stati essiccati prima della prova. Nel complesso sono state
realizzate prove su 21 campioni di tufo. I provini sono stati sottoposti ad un processo di
carico monotono, in controllo di spostamento e con una velocità di applicazione minore o
uguale a 0.5MPa/s. Il valore della deformazione longitudinale, ε, è dato dalla media delle
misure dei due trasduttori, calcolata come:

ε =Δ/l (4)

essendo Δ la variazione della lunghezza longitudinale e l la lunghezza longitudinale iniziale


della base di misura (50mm).
Sulla base del legame costitutivo tensionedeformazione di ogni singolo provino, la norma
UNI9724/8 definisce tre valori del modulo elastico:
- Modulo elastico tangente Et, calcolato come pendenza della curva σ/ε in corrispondenza
del 50% del carico di rottura;
- Modulo elastico medio Em, definito come pendenza media della fase iniziale a
comportamento lineare del legame costitutivo;
- Modulo elastico secante Es, calcolato come rapporto σ/ε tra il valore zero della tensione
ed il 50% della tensione massima.
In tabella 5 si riporta il valore medio su tre prove dei moduli elastici tangenti, medi e
secanti ed in parentesi lo scarto quadratico medio.

Tabella 5. Moduli elastici sperimentali

Et Em Es
TUFO
[MPa] [MPa] [MPa]

Giallo napoletano 1897 (157) 1844 (263) 1956 (306)

Grigio campano 2747 (24) 3495 (1165) 2790 (694)

Bianco pugliese 5217 (800) 5642 (902) 5404 (1113)

Chiaro romano 2808 (326) 2534 (222) 2534 (192)

Scuro romano 2721 (876) 2207 (233) 2617 (640)

Giallo viterbese 1678 (146) 1305 (472) 1089 (454)

Grigio viterbese 3056 (528) 3103 (1037) 3448 (1709)

In figura 10 si riportano i legami costitutivi σ/ε ottenuti da prove sperimentali su due


campioni di tufo giallo napoletano e tufo scuro romano. In figura 11 si riporta un esempio
di modalità di rottura.

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Figura 10. Legame costitutivo σ/ε

Figura 11. Modalità di rottura per Tufo giallo napoletano

4.3. Prove di flessione per determinare la resistenza a trazione

Per le prove di flessione si è fatto riferimento alle indicazioni fornite dalla norma UNI
9724/5 [14]. Il dispositivo di carico è lo stesso utilizzato per le prove di compressione, ma
è stato munito di un coltello di acciaio per l’applicazione del carico e di due coltelli di
appoggio per il provino a distanza di 300mm anziché 100mm. Stante la difficoltà nel
tagliare provini di tufo secondo le indicazioni prescritte dalla norma UNI 9724/5, si è
derogato infatti alle dimensioni ivi riportate, tentando di mantenere invariati i rapporti
relativi tra lunghezza/larghezza/altezza [4/1/1.5] indicati. I campioni hanno quindi forma
prismatica di dimensioni 370×60×90 mm [rapporti relativi 4/1/1.3]. I bordi dei coltelli a
contatto col provino sono stati arrotondati con raggio di curvatura di 0.5cm. In figura 12 si
riporta in dettaglio il set up della prova.

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Figura 12. Set up per le prove di flessione

I provini sono stati essiccati prima della prova. Solo per i tufi giallo napoletano e grigio
campano sono stati testati 3 provini anche in condizioni sature (S=1), allo scopo di
valutare l’influenza del contenuto di umidità. Nel complesso sono stati sottoposti a prova
27 campioni di tufo applicando un processo di carico monotono fino a rottura, in controllo
di spostamento e con una velocità di applicazione minore o uguale a 0.5MPa/s.
La resistenza a trazione per flessione fbtm di ogni provino è calcolata come:

2
fbtm = M/W=6[(Fmax/2)/(b*h )]*(L/2) (5)

essendo Fmax il carico massimo applicato, L la distanza tra i coltelli di appoggio, b ed h la


larghezza e l’altezza del provino.
In Tabella 6 si riporta il valore medio su tre prove della resistenza a trazione per flessione
fbtm con in parentesi il relativo scarto quadratico medio.

Tabella 6. Resistenze a trazione per flessione

fbtm [MPa] fbtm [MPa]


TUFO
S=0 S=1

Giallo napoletano 0.35 (0.15) 0.32 (0.26)

Grigio campano 1.26 (0.51) 0.25 (0.04)

Bianco pugliese 3.49 (0.04) -

Chiaro romano 1.83 (0.45) -

Scuro romano 1.93 (0.42) -

Giallo viterbese 0.45 (0.09) -

Grigio viterbese 0.71 (0.18) -

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Per il tufo giallo campano si trova che la resistenza a trazione valutata con l’espressione
(1) è pari a 0.35MPa che corrisponde al valore sperimentale riportato in Tabella 6.

4.4 Correlazioni tra i risultati sperimentali

In figura 13 sono diagrammate le tensioni medie di rottura a trazione per flessione fbtm
(σt) in funzione della tensione media di rottura a compressione fbm (σc). Si osserva come
le coppie σc,σt siano contenute in una fascia piuttosto ristretta. Inoltre, distinguendo i tufi
per provenienza, si osserva che risulta elevato coefficiente di correlazione per una
regressione lineare passante per l’origine.
Analogo risultato si ritrova per il modulo elastico sempre in funzione della resistenza a
compressione.
I coefficienti angolari delle regressioni lineari sono riportati in Tabella 7.

Figura 13. Relazione tra la resistenza a compressione e la resistenza a trazione

Tabella 7. Rapporti σ /σ et E/σ


t c c

VARIETA’ DI TUFO σt/σc E/σc

Tufo chiaro romano


0.317 467.5
Tufo scuro romano

Tufo giallo napoletano 0.094


561.9
Tufo grigio campano 0.286

Tufo bianco pugliese 0.417 658.5

Tufo giallo viterbese


0.164 664.5
Tufo grigio viterbese

5. PROVE DI CARATTERIZZAZIONE MECCANICA SU MALTE

Per la produzione delle malte di prova a partire dai costituenti secchi ed i metodi per il
prelievo del campione di prova globale d’impasto, si è fatto riferimento alla norma UNI EN
1015-2 [15], mentre per le specifiche per la determinazione della resistenza a flessione e
a compressione dei campioni di malta così preparati si sono seguite le indicazioni della
norma UNI EN 1015-11 [16]. Il programma di prove ha previsto test di compressione e
flessione su provini di malta idraulica e pozzolanica. Sono stati realizzati anche provini di
malta in cui le proporzioni tra inerti, legante e acqua, sono state appositamente formulate
in modo da riprodurre le caratteristiche di porosità e di traspirabilità delle antiche malte a
base di calce e pozzolana adoperate per le murature di tufo dell’area campana. In
particolare è stato impiegato un legante idraulico a reattività pozzolanica, con cariche

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minerali fini e fibre sintetiche secondo una formula sviluppata in laboratori di ricerca.
La miscelazione dell’impasto è avvenuta con le seguenti proporzioni:
3
- Legante: 310 kg/m
3
- Sabbia vagliata (3÷4mm): 1245 kg/m
3
- Acqua: 195 kg/m
In realtà, una possibile variazione alle caratteristiche attese è dovuta alla variabilità in
fase d’impasto, dei rapporti relativi tra legante, sabbia e acqua.
Il programma delle prove è illustrato in Tabella 8.

Tabella 8. Prove di caratterizzazione delle malte

Tipologia di malta Flessione Compressione

Malta pozzolanica 5 2

Malta idraulica - 10

Malta Mapei 8 16

Per ogni tipologia di malta, dall’impasto sono stati realizzati almeno tre prelievi per mezzo
di paletta al di sotto della superficie all’interno della tramoggia, in posti differenti e
distribuiti in modo regolare rispetto alla massa. Dopo la raccolta, si sono combinati e
mescolati a fondo i prelievi, su una superficie pulita, per circa 5min, ottenendo il
“campione globale”, che è stato ridotto mediante successive quartature. Sono stati
riempiti appositi stampi, ciascuno delle dimensioni 160×40×40mm (Figura 14).

Figura 14. Campioni di malta

Gli stampi sono stati conservati in sacchetti di polietilene per 2 giorni; i provini sono stati
rimossi dallo stampo e conservati per 5 giorni in sacchetti di polietilene; per i successivi
21 giorni sono stati conservati a temperatura ambiente. I campioni sono stati sottoposti a
prove di flessione dopo 28 giorni di maturazione. Ciascun provino è stato posizionato con
una delle sue facce (scelta tra quelle che sono state gettate contro le pareti dello stampo)
su rulli di sostegno, secondo lo schema di figura 15.

Figura 15. Set up per la prova di flessione

Il dispositivo di carico è lo stesso utilizzato per le prove di flessione su materiali lapidei; la

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distanza tra i due rulli di sostegno di acciaio è pari a 100mm, mentre il terzo rullo è
posizionato al centro del provino. Il valore del carico è stato registrato in continuo, fin
quando non si è attinta la rottura del provino nella sezione di mezzeria. La resistenza a
trazione per flessione, fbtm, è stata calcolata utilizzando l’espressione 5.
Le metà di ciascun campione sottoposto alla prova di flessione sono state ridotte alle
dimensioni di 40×40×40 mm per realizzare successivamente le prove di compressione.
Sono stati scartati i provini che non fornivano un cubo regolare.
In tabella 9 si riportano per ciascuna tipologia di malta i valori medi delle resistenze a
compressione, fbm, e a trazione per flessione, fbtm, con indicati in parentesi i relativi scarti
quadratici medi.

Tabella 9. Resistenze a compressione e flessione delle malte

MALTE fbm [MPa] fbtm [MPa]

Pozzolanica 2.33 (0.15) 0.65 (0.02)

Idraulica 0.98 (0.21) -

Mapei 5.05 (0.60) 2.89 (0.52)

6. CONCLUSIONI

Il patrimonio delle strutture in pietra naturale dell’Italia meridionale ed in particolare


dell’area napoletana è molto esteso e di grande valore storico culturale. Tuttavia da un
punto di vista tecnico l’analisi strutturale dei sistemi e la caratterizzazione dei materiali si
presentano molto articolate, attesa la varietà dei materiali e la complessità delle tessiture.
Le indagini di letteratura e le prove sperimentali effettuate hanno confermato l’ampio
spettro di proprietà meccaniche che si possono riscontrare per le murature in pietra
naturale. Inoltre appare non trascurabile l’influenza delle condizioni ambientali soprattutto
in termini di contenuto d’acqua, che può modificare la resistenza meccanica fino al 40%.
Le prove sperimentali hanno evidenziato come anche le malte presentino una rilevante
variazione della resistenza, parametro che assume un ruolo fondamentale nella resistenza
a taglio dei pannelli murari.
Le indagini di letteratura e le prove sperimentali hanno quindi confermato che per una
corretta analisi strutturale di un edificio in muratura, è necessario inquadrare il materiale
ed anche la tipologia costruttiva, al fine di rendere più affidabile la conoscenza delle
caratteristiche meccaniche.

7. BIBLIOGRAFIA

[01] G. Ausiello, “La tradizione costruttiva mediterranea“, Centro interdipartimentale di


ricerca per lo studio delle tecniche tradizionali dell’area mediterranea, ricerche Cittam,
1999.

[02] E. Attaianese, V. Fiore, M.R. Pinto, S.Viola, “La costruzione tradizionale - note
sulle tecniche costruttive nel napoletano”, de Costanzo Editori, Napoli, 1993.

[03] E. Burattini, G. Fiengo, L. Guerriero, “Murature tradizionali napoletane: problemi


di datazione e formazione di una base di conoscenza in Multimedia “- Beni culturali e
formazione (a cura di G. Gisolfi), Salerno, 1994.

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tradizionali, Roma, NIS La Nuova Italia Scientifica, 1992.

[05] L. Dell’Erba, “Il tufo giallo napoletano”, Casa editrice Libraria Raffaele Pironti, 1923.

[06] D.J. Hannat, “Nomograms for the failure of plain concrete subjected to short-term
multiaxial stresses”, The Structural Engineer, 1974.

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materials and Method for Low Cost Road Rail and Reclamation Works, Leura Australia,
1976.

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[08] P.V. Lade, “Three parameter failure criterion for concrete”, J. Engng. Mech. Div.
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italiane”, Atti del 3° Ciclo di conferenze di Meccanica e Ingegneria delle Rocce, Torino, 26-
29 Novembre 1990, SGE ed.

[10] N. Augenti, “Il calcolo sismico degli edifici in muratura”, Casa editrice UTET Libreria
Srl, 2000.

[11] UNI 9724/3, “Determinazione della resistenza a compressione semplice”, Ottobre


1990.

[12] UNI6686, “Macchine per prove di compressione su materiali da costruzione, 1994.

[13] UNI 9724/8, “Determinazione del modulo elastico semplice (monoassiale)”,


Gennaio 1992.

[14] UNI 9724/5, “Determinazione della resistenza a flessione”, Ottobre 1990.

[15] UNI EN 1015-2, “Campionamento globale e preparazione delle malte di prova”,


Giugno 2000.

[16] UNI EN 1015-11, “Determinazione della resistenza a flessione e a compressione


della malta indurita”, Giugno 2001.

RINGRAZIAMENTI

Si ringrazia la Mapei per la fornitura della malta sintetica “MAPE-ANTIQUE LC”.


Le prove sperimentali presentate in questo lavoro sono state svolte nell’ambito delle
attività del progetto P.O.N. T.E.M.P.E.S. “Tecnologie e Materiali Innovativi per la
Protezione Sismica degli Edifici Storici”.

Contatti con gli autori:

Francesca Ceroni: ceroni@unisannio.it


Marisa Pecce: pecce@unisannio.it
Simona Voto: simvoto@unina.it
Gaetano Manfredi: gamanfre@unina.it
Giancarlo Marcari: marcari@unina.it

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