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IL VUOTO UTILE IL RIUTILIZZO DI ANFORE NELL'EDILIZIA ROMANA

Author(s): Fulvio Coletti and Francesca Diosono


Source: Archeologia Classica , 2019, Vol. 70 (2019), pp. 679-710
Published by: L’Erma di Bretschneider

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/10.2307/27119337

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ArchCl LXX, 2019, pp. 679-709

Fulvio Coletti, Francesca Diosono

IL VUOTO UTILE
IL RIUTILIZZO DI ANFORE NELL’EDILIZIA ROMANA

Usi originari, riusi e dispersione in discarica: la multiforme vita di un contenitore


da trasporto. Metodo, fini e limiti della ricerca

Oltre alle caratteristiche primarie di contenere derrate liquide o semiliquide al fine di


conservarle o racchiuderle ermeticamente, assicurandole al trasporto di piccolo o medio
cabotaggio, oppure a quello di lungo corso trasmarino o ancora per via di terra, il vasella-
me anforico si qualifica come particolarmente versatile per le sue caratteristiche intrinse-
che, quali la morfologia (ovoide o globulare, cilindrica, affusolata o bi-troncoconica) e le
proprietà che gli conferisce l’impasto, tanto da trovare un variegato uso che spesso esula
da quello originario. Al riguardo, gli studi specialistici sulla classe, correlati alle numerose
relazioni di scavi e ritrovamenti sia in area urbana che suburbana, ci documentano una
vasta casistica di reimpiego, tanto negli ambiti dell’edilizia quanto in quelli dell’idrauli-
ca. Così, una volta arrivate nel luogo di stoccaggio e diffusione delle merci per le quali
originariamente erano state prodotte, travasati i contenuti in altri recipienti per facilitare
l’entrata di quei beni nel circuito commerciale locale della vendita al dettaglio, le anfore
potevano avere vari utilizzi rientrando nel sistema dei traffici mercantili. In tale contesto,
quindi, potevano essere riusate e nuovamente valorizzate come contenitori da trasporto
per ulteriori e differenti derrate, raggiungendo altri porti rispetto a quelli per cui inizial-
mente erano state destinate, com’è stato proposto nello schema riassuntivo riguardante il
complesso ciclo di vita della ceramica elaborato da Peña, in base al quale l’ottava fase,
prima cioè della dispersione in discarica, è rappresentato dal riuso delle anfore per il tra-
sporto di altre derrate a fini commerciali1. Informazioni in merito a tale riutilizzo, inoltre,
sono ravvisabili nella lettura dei tituli picti riportati su alcuni contenitori2; ed, ancora, un
chiaro esempio delle dinamiche di riuso è ravvisabile nella documentazione pertinente
le numerose cataste di anfore rinvenute a Pompei tra le quali, solo a titolo di esempio, si
cita il complesso di vasi rinvenuti nella cd. bottega del garum (tutte anfore di tipo Dressel
21-22) da interpretarsi, secondo gli autori dello scavo, in una partita di contenitori che,
arrivata a destinazione, era in attesa di essere riutilizzata per trasportare altre derrate, for-

Fulvio Coletti, Parco Archeologico del Colosseo, fulvio.coletti@beniculturali.it


Francesca Diosono, Ludwig-Maximilians-Universität München, francescadiosono@virgilio.it
1
Peña 2007, pp. 8-9 e 326 fig. II.2; vd., anche, Contino, D’Alessandro 2013.
2
Panella 2003, p. 185.

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se il garum prodotto nella città3. Legato, altresì, a questa pratica ed emblematico per la
tipologia dei rinvenimenti è il caso rappresentato dagli equipaggiamenti anforici portati in
luce in diversi relitti del Mediterraneo: in essi la valenza di carichi di ritorno con vasellame
riusato per contenere altri beni è connotata grazie alla presenza di anfore che viaggiano
con altri contenuti rispetto a quelli originari, rinvenute fuori delle rotte tradizionalmente
battute e documentate (il relitto di Grado, ad esempio, ha restituito anfore della Procon-
solare in associazione ad altre prodotte localmente e destinate al trasporto del garum4).
Rispetto a quello di finire disperse in una discarica, le anfore potevano subire altri
e diversificati destini, per noi altrettanto interessanti, che prolungavano la loro fruizione
mediante nuove modalità di impiego. Queste ultime riguardano precipuamente le dina-
miche di assorbimento nella complessa filiera dei materiali da costruzione, nell’ambito
delle quali sarebbero state adoperate, intere o in frammenti, per la variegata tipologia dei
rivestimenti (preparazioni pavimentali o parietali, oppure veri e propri pianciti in cemen-
tizio5) o per i conglomerati murari, ivi compresi i sistemi di alleggerimento delle volte.
Inoltre, è frequente l’impiego di questi contenitori sia nelle attività di bonifica e aerazione
dei terreni, soprattutto nei comparti suburbani, nell’ambito degli estesi appezzamenti ter-
ritoriali nei pressi e alle dipendenze delle grandi città sia negli allestimenti idraulici, fun-
gendo da veri e propri canali o condotte per lo scolo, lo sfioro o l’adduzione delle acque.
Per questo uso, citeremo un caso vicino Roma, il deposito anforico della Longarina nel
territorio suburbano di Ostia6, ma numerosi sono i rinvenimenti di questa tipologia in aree
semipaludose dell’Italia suburbicaria: casi emblematici sono quelli della pianura padana
di Vicenza o Cremona7.
Se per ognuno degli usi sopra accennati, numerose sono le testimonianze diffuse in
tutto il territorio peninsulare, di cui la documentazione archeologica ci fornisce una messe
rilevante di informazioni, il presente contributo focalizza soprattutto l’impiego dei conte-
nitori anforici negli allestimenti strutturali, sia quelli con legante in conglomerato cemen-
tizio, sia quelli messi in opera a secco. In tale categoria rientrano, così, le strutture mas-
sive voltate, nell’ambito delle quali solo a titolo di esempio si annoverano gli eccellenti
esemplari dell’architettura romana riferibili alle fabbriche imperiali, dei palazzi urbani o
suburbani di Roma, oltreché le opere murarie nella loro complessa morfologia: i muri di
spina e le strutture portanti, i muri di confine e le piccole tramezzature, oppure i semplici
manufatti struttivi di contenimento per carichi non eccessivi.
Ci preme, tuttavia, puntualizzare che gli obiettivi di questo studio sono ben lungi dalla
realizzazione di un corpus esauriente che raccolga grosso modo tutti i casi in cui sono
documentati riutilizzi di anfore con modalità costruttive. In primis perché lo spazio con-
cesso non consentirebbe la discussione della gran messe di rinvenimenti, che a quanto ci
consta sono ormai sempre più numerosi. In seconda istanza, perché tali ritrovamenti sono
sovente mal conservati e insufficientemente documentati ma, ancor peggio, interpretati
in modo difforme. Spesso, infatti, gli studiosi dell’architettura e delle tecniche edilizie
romane tendono a sottovalutare il dato proveniente dal materiale fittile impiegato nelle
murature che non sia opera laterizia; e nel caso in cui se ne occupino è solo per dedicare ai
fittili quel minimo di credito per la datazione che il vaso suggerisce, utile solo all’inqua-
dramento cronologico della struttura di cui è parte. In definitiva, molte volte non si è pre-
stata la dovuta attenzione alla qualità funzionale del manufatto anforico nel suo particolare

3
Bernal et Al. 2014.
4
Auriemma 2000, pp. 27-51.
5
Guidobaldi et Al. 2014.
6
Hesnard et Al. 1980, pp. 35-37; D’Alessandro, Pannuzi 2016.
7
Pesavento Mattioli 1998; Bruno 2003; Mazzocchin 2013. Vd. infra.

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utilizzo in ambito edilizio, relegandolo alla stregua di materiale di seconda scelta o, cosa
peggiore, dando il giudizio di valore del tutto fallace di materiale per un’architettura pove-
ra, ecc. La causa sta nel carattere evanescente che il vasellame acquisisce nel momento in
cui esce dal suo contesto originario di contenitore da trasporto di merci di prima necessità
o di medio lusso ed entra nel complesso mondo del ciclo produttivo dell’edilizia, cambian-
do circuiti commerciali, funzione e modalità di impiego non sempre chiari.
Tra le finalità che, invece, si propone il testo seguente c’è quella di offrire una rifles-
sione su alcuni casi particolarmente emblematici, che evidenziano il sistema di costruire
con anfore da parte delle maestranze romane, dettato da ben precise scelte funzionali nelle
quali già in fase progettuale sussistono parametri di necessità strutturali oltreché di eco-
nomicità: i contenitori, infatti, sopperiscono evidentemente a esigenze non altrimenti rea-
lizzabili dalle componenti tradizionali come il laterizio o la pietra. Inoltre, sul piano della
periodizzazione, che come avremo modo di osservare caso per caso, si dipana per tutta
l’epoca repubblicana e imperiale, questi manufatti presentano caratteristiche materiali (le
anfore stesse o altri elementi ceramici che occasionalmente possono essere rinvenuti al
loro interno) che permettono di individuare con un certo margine di certezza la loro cro-
nologia assoluta, solo in apparenza più precisa rispetto a quei manufatti in laterizio o in
pietra che presentano elementi di datazione desumibili dalle loro apparecchiature; infatti,
la datazione di questi allestimenti è da intendersi, come post quem, essendo le anfore quasi
sempre in posizione residuale o almeno alla fine del ciclo di fruizione primaria, prima cioè
della loro dispersione in discarica8. Tale considerazione, ripresa e sviluppata nel paragrafo
finale, induce alla conclusione che i contenitori anforici anche dopo aver assolto alla loro
funzione originaria, dovevano essere alla base di un organizzato e specifico commercio
interno alla filiera dei materiali da costruzione, nell’ambito del quale essi occupavano un
importante ruolo, alla stregua dei laterizi o degli altri costituenti lapidei; inoltre, a seconda
dei quantitativi offerti dal mercato, ad essi si attingeva in base alle necessità specifiche di
ordine economico, geografico e architettonico.

F.C.

Il riutilizzo di anfore con funzioni idrauliche

L’uso delle anfore nelle operazioni di bonifica e drenaggio su grande e piccola scala è
assai studiato9 (Fig. 1) e non è questa la sede per occuparcene. Per quanto riguarda le fonda-
zioni murarie costruite su accumuli di anfore in terreni umidi o comunque problematici, si
rimanda agli studi a riguardo di Antico Gallina10, che sottolinea come le fondazioni continue
sotto muri portanti o accumuli per carichi concentrati siano adottate solo in edilizia domestica
o in horrea e limitatamente ad uno o alcuni ambienti, mentre altre soluzioni con anfore in
fosse quadrangolari o trincee, con platee di fondazione per carichi distribuiti, siano proprie
anche di massicciate stradali, terrazzamenti ed aree aperte. Ostia ha, naturalmente, da sempre

8
Giannichedda 2007.
9
Vd. Antico Gallina 1996; Antico Gallina 1997; Pesavento Mattioli 1998; Cipriano, Maz-
zocchin 1998; Mazzocchin et Al. 2006; Peña 2007, pp. 181-192; Cecchini, Ridolfi 2010; Antico Gal-
lina 2011; Cipriano, Mazzocchin 2011; Morelli et Al. 2011, pp. 269-271; Antico Gallina, Legrot-
taglie 2012; Antico Gallina 2014; Cipriano, Mazzocchin 2018.
10
Antico Gallina 2006, pp. 94-96; Antico Gallina 2008, pp. 89-90. La studiosa afferma inoltre che
la tecnica di utilizzare anfore per bonificare avrebbe avuto origine nell’estremo Oriente a partire dal VII secolo
a.C., per poi giungere in Italia attraverso la mediazione dell’area mediterranea.

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Fig. 1. Terracina, loc. Pantanello. Alcuni dei filari paralleli di anfore Dressel 1B in una bonifica
idraulica (da Pesavento Mattioli 1998).

presentato problemi di umidità del terreno e anche qui sembra costante nel tempo il ricorso
alle fondazioni con anfore. Si pensi all’Amphora wall al di sotto della Domus del Protiro11,
con 76 anfore di provenienza, tipo e contenuto eterogeneo del terzo quarto del I secolo a.C.
poste orizzontalmente in una trincea a fianco o al di sopra l’una dell’altra fino al livello della
falda acquifera; ai due depositi della Longarina e a quello presso il parcheggio orientale della
stazione Roma-Lido12, realizzati in età augustea, che costeggiavano lo Stagno con anfore
impilate l’una sull’altra o disposte in gruppi; alle anfore Beltrán 2 A1 e Dressel 20 nella col-
mata al di sotto dei pilastri e di un muro delle Terme del Nuotatore13. Di solito le anfore sono
semplicemente immerse nei terreni umidi, ma una soluzione particolare è rappresentata dal
giardino di una villa sulla costa di Mondragone, nell’ager Falernus, dove l’isolamento dalla
risalita di acqua salmastra è ottenuto tramite una platea di malta in cui sono immerse verti-
calmente su due livelli delle anfore Dressel 1, poi ricoperte dal terreno14 (Fig. 2). Riguardo a
Pompei, che evidenzia meno problemi idrogeologici, i recenti scavi hanno fornito uno straor-
dinario numero di esempi di II secolo a.C. di una o più anfore da drenaggio, prive di fondo,
orlo e anse e spesso con alcuni fori praticati nelle pareti, poste in verticale capovolte al di sotto
di pavimenti di cocciopesto realizzati sopra colmate che rialzavano il livello di un ambiente

11
Boersma, Yntema, van der Werff 1986, pp. 96-133.
12
Hesnard 1980; Rivello 2002; Pannuzi et Al. 2006; D’Alessandro, Pannuzi 2016; Pannuzi
2018.
13
Panella 1977, p. 299.
14
Gasperetti et Al. 1997, p. 251.

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rispetto a fasi precedenti15; nei casi in cui


i pavimenti erano meglio conservati, si è
potuto osservare che ad esse corrispondeva
al di sopra una piccola apertura circolare nel
cocciopesto16 (Fig. 3), segno che la funzio-
ne di tali anfore era più di smaltimento delle
acque reflue nella casa che per il drenag-
gio del terreno sottostante. Le anfore, qua-
si tutte greco-italiche, sono state collocate
nel momento iniziale della colmata, come
dimostrano le zeppe di terreno compattato e
schegge litiche che le sorreggono, ricoperte
poi dal terreno di riporto17. In un caso, l’an-
fora è posta al di sopra di una cisterna pre-
cedente obliterata18, in un altro due anfore
puniche vengono poste affiancate e contrap-
poste in posizione orizzontale sull’orlo di un Fig. 2. Mondragone, località Casino di Tran-
precedente pozzetto19. so, giardino di villa marittima. Platea in malta
Un altro impiego delle anfore è legato isolante per il giardino contenente file di anfore
alla costruzione di canali e canalette. Abba- Dressel 1 (da Gasperetti et Al. 1997).
stanza diffusi sono a Pompei gli esempi di
file di contenitori privi di orlo e puntale
sovrapposte in verticale all’interno di muri per realizzare condotti per lo smaltimento di
acqua o scarti liquidi dal livello superiore di una casa20 o verso l’esterno21 (Fig. 4). Un
interessante esempio anche a Roma, dove nel grande complesso edilizio sotto Piazza della
Consolazione22 è stata inserita in un muro in opera laterizia una canalizzazione verticale
fatta di Africana 1 prive di orlo, anse e puntali. In questi esempi, l’uso delle anfore si deve
probabilmente alla volontà di risparmiare costruendo con materiale di reimpiego invece
che utilizzando gli appositi tubuli fittili.
Molto più comuni sono le canalizzazioni sotterranee in orizzontale, in cui le anfore
sono infilate una di seguito all’altra sempre prive di fondo e orlo; questa tecnica di realiz-
zazione delle canalette per lo smaltimento delle acque ha una lunga continuità e moltissimi
esempi, in cui si evidenzia che il materiale di reimpiego utilizzato è molto più eterogeneo
ed anche in frammenti di minori dimensioni. A Pompei, tra fine II ed inizi I secolo a.C., la
domus VII, 3, 6 ha la canaletta che trasporta l’acqua piovana dall’impluvium alla cisterna

15
Coarelli, Pesando et Al. 2005, p. 180 (Protocasa del Granduca Michele), pp. 183-184 (Casa dei Fio-
ri), pp. 202-204 (domus IX, 7, 21); Pesando et Al. 2006, pp. 176, 228 e 233 (Casa del Centauro); Zaccaria
Ruggiu et Al. 2006, p. 57 (Casa di Apollo); Stella, Laidlaw 2008, p. 150 (Casa di Sallustio); Uroz Sáez,
Poveda Navarro, Uroz Rodríguez 2008, p. 270 (domus VII, 3, 5); Gallo 2008, p. 326 e n. 32 (Casa di
M. Epidio Sabino).
16
Coarelli, Pesando, Zaccaria Ruggiu et Al. 2003, p. 304 (Casa del Centauro); Coarelli, Pesan-
do et Al. 2005, p. 173 (domus VI, 2, 17-20).
17
Coarelli, Pesando et Al. 2005, pp. 175-176 (domus VI, 2, 16-21).
18
Esposito 2008, p. 74 (Casa dei Gladiatori).
19
Coarelli, Pesando et Al. 2005, p. 199 (domus VII, 15, 11).
20
Allison 2004, p. 117.
21
Botte 2008, p. 169. L’autore fa riferimento in particolare al riutilizzo di Dressel 21-22 nelle tubature,
facilitato dalla loro forma cilindrica e dall’orlo molto largo, quasi quanto la spalla.
22
Ghini 1985, p. 426.

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Fig. 3. Pompei, Casa dell’Ancora. Anfora posta Fig. 4. Pompei, via di Nola. Conduttura verti-
al di sotto di un’apertura nel pavimento di coc- cale realizzata con anfore Dressel 21 inserite
ciopesto (da Pesando et Al. 2006). nel muro (da Botte 2006).

realizzata con due anfore riutilizzate, tra cui una Dressel 1c23. Nella villa repubblicana
della Piscina a Centocelle, una canaletta è in parte scavata nel tufo e in parte realizzata in
colli d’anfora ed imbrices sempre di riutilizzo24. Anche a Minturnae il condotto fognario
sotto la Basilica vede un probabile restauro/riparazione di una conduttura fittile di addu-
zione sostituita con un’anfora punica25.
Il riutilizzo a carattere idraulico delle anfore in alzati e strutture vede anche altri esempi
di minore entità, in cui parti di anfore fungono da tubi o contenitori di liquidi, in quanto
garantiscono comunque impermeabilità e resistenza. Si vedano i casi riportati da Flohr26, in
cui colli di piccolo anfore sono usati come troppo-pieni o per canali di scolo delle vasche
nella Fullonica del Cardo (I, XIII, 3) (Fig. 5) e nella fullonica V, VII, 3 a Ostia o nella fullo-
nica VI, 15, 3 a Pompei; sempre a Pompei, nel Giardino di Ercole (II, 8, 6) la parte superiore
di un’anfora che attraversa il muro nord in funzione di conduttura per riempire dall’esterno
un dolio27. Per quanto riguarda le fullonicae, Flohr28 ha sottolineato che questo impiego
di materiali di riutilizzo nelle vasche è attestato soprattutto, ma non solo, nelle botteghe

23
Uroz Sáez, Poveda Navarro, Uroz Rodríguez 2008, p. 269.
24
Coletti, Pacetti 2004, p. 441.
25
Nardelli 2015, pp. 124-125.
26
Flohr 2013, pp. 135 e 154.
27
Jashemski 1993, p. 94.
28
Flohr 2013, pp. 131-136.

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più piccole, dove si tende a risparmiare.


Tale tendenza al recupero si nota anche in
edifici privati vesuviani: la Casa del Mosai-
co di Nettuno e di Anfitrite ad Ercolano
ha, nel suo giardino riccamente decorato
da un elaborato ninfeo, un collo di anfora
all’imboccatura della cisterna, chiuso da
un tappo sempre d’anfora29. Nei restauri
post-terremoto nella casa di Trebius Valens
a Pompei (III, 2, 1), il rifornimento di acqua
per le fontane del peristilio è fatto attraverso
un’anfora inserita nel muro che comunica
con tubature di terracotta30. Altri esempi di
Fig. 5. Ostia, Fullonica del Cardo. Collo di
incerta funzione, ma sempre in connessione
31 anfora inserito come tubo nella parete di una
con l’acqua, si hanno in un molo di Cosa
vasca (da Flohr 2013).
e in un canale a Foligno32.
Nella domus I, 14, 2 di Pompei, una
Dressel 21/22 è inserita tra i muretti di sostegno di una latrina, con un foro di uscita realizzato
nella sua parte inferiore33. Mentre l’utilizzo in edifici privati è raro, la metà inferiore di una o
due anfore veniva frequentemente murata a fianco delle postazioni di lavoro delle fullonicae
vesuviane34, come anche altri recipienti fittili, per contenere detergenti o altre sostanze utiliz-
zate nella lavorazione. Questa è anche l’interpretazione data da Musco e Caspio per le sei metà
inferiori di anfore poste al centro degli ambienti pigiatoi della vastissima fullonica/conceria di
Casal Bertone, lungo l’antica via Collatina a est di Roma35.
Un particolare impiego idraulico delle anfore le vede inserite come specus nelle pareti
interne delle piscinae repubblicane per l’allevamento dei pesci. Scrive Columella36 che
alcune specie di pesci hanno bisogno di spazi chiusi e bui dove proteggersi dal sole, dai
predatori o per deporre le uova37; questo veniva garantito da anfore intere murate nelle
sponde della vasche da allevamento, con l’orlo rivolto verso l’acqua, dal diametro relati-
vamente limitato che dava però accesso ad uno spazio interno più ampio corrispondente
alla vasca dell’anfora stessa. In questo caso dunque, rispetto ai precedenti, non si tratta
solo di risparmiare sui materiali edili da utilizzare, ma anche di sfruttare le caratteristiche
morfologiche dell’anfora, adattissime di per sé allo scopo.
Un vero e proprio impianto di allevamento intensivo doveva essere la cosiddetta Piscina
di Lucullo al Circeo; la sua prima fase di prima metà I secolo a.C. era divisa in diversi settori,
in ognuno dei quali erano murate anfore per un totale di circa cento esemplari. Il bacino ret-
tangolare davanti alla Grotta della villa di Tiberio a Sperlonga ha circa 120 anfore ancora con-
servate all’interno della muratura in opus incertum, ma è probabile che ce ne fossero anche

29
Jashemski 1993, p. 268.
30
Jashemski 1993, p. 99.
31
Felici 1998, pp. 327-329.
32
Albanesi 2014, p. 561.
33
Hobson 2009, p. 53.
34
Flohr 2007; Flohr 2013, p. 129.
35
Caspio, Musco 2012.
36
Colum. Rust. VIII, 17, 5.
37
Higginbotham (1997, p. 27) tende a collegare la presenza di anfore/specus in peschiere quasi solo
all’allevamento di anguille, mentre Jashemski (1979, pp. 108-110) crede che fossero impiegati per l’alleva-
mento di diverse specie ittiche.

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di più visto il danneggiamento di alcune


parti della struttura. Tra i molti altri esempi
noti, citiamo solo quello che è forse il più
antico, la villa of Manlio Vopisco a Tivoli
di fine II-inizi I secolo a.C., e il più recente,
la piscina nel santuario di Venere a Paestum
degli inizi del I secolo d.C., il primo con-
tenente solo tre anfore ed il secondo due38.
Condivisibile anche l’ipotesi di Higginbo-
tham39 che vede destinato all’itticultura
anche il piccolo bacino rettangolare lungo il
lato settentrionale della Palestra di Ercola-
no, con le sue 35 anfore. Anche alcune case
private di Pompei di tarda età repubblicana
presentano nei peristili piccole piscinae per
l’allevamento dei pesci allestite con anfore;
oltre alla Casa dei Capitelli Colorati e alla
domus di Gavius Rufus, entrambe con una
sola anfora40, appare interessante la solu-
zione adottata nella domus VIII, 2, 14 (Fig.
6). Qui, nelle scalette sui due lati corti della
bassa piscina rettangolare in opera incerta
sono inserite da un lato 11 e dall’altro 17
Fig. 6. Pompei, domus VIII, 2, 14. Anfore per
anfore su due filari, che, coperte da tegole,
itticoltura inserite nella struttura del gradino
costituivano parte del corpo di fabbrica dei
della piscina (da Jahsemski 1993).
gradini stessi41.
Collegati ad attività produttive che
prevedevano l’impiego di acqua sono anche alcuni bacini scavati nel terreno le cui pareti
sono realizzate con anfore intere poste in verticale, a mantenerne i limiti, come il caso
della fossa circolare foderata da due file di anfore sovrapposte e con all’interno una ruota
idraulica in legno rinvenuta presso la stazione della ferrovia Roma – Lido ad Ostia42 o,
forse, della fossa foderata da anfore, tra cui una Tripolitana I, rinvenuta nello spazio aperto
di un edificio imperiale in piazza della Chiesa Nuova a Roma43.

F.D.

Il riutilizzo di anfore nelle murature e nei rivestimenti

La presenza di frammenti di anfore nelle murature ha spesso la stessa funzione che


possono rivestire laterizi di reimpiego: si tratta di terrecotte abbastanza spesse, resistenti
ed adatte ad essere usate come semplici inerti nel cementizio insieme ad altri materiali di

38
Higginbotham 1997, pp. 154-156 (Circeo), pp. 162-163 e 263, n. 172 (Sperlonga), p. 128 (Tivoli), p.
221 (Paestum).
39
Ibid., p. 196.
40
Ibid., p. 201 (Casa dei Capitelli Colorati); Jashemski 1993, p. 173 (domus di Gavius Rufus).
41
Ibid., pp. 198-200.
42
Pannuzi, Carbonara 2007; Pannuzi 2018.
43
Filippi 2010, pp. 69-71; lo scavo è edito in via preliminare.

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note e discussioni 687

scarto44 o ad essere inseriti in tamponature, in riparazioni o negli interstizi di filari della


muratura45; lo stesso di può dire per i frammenti di anfora annegati nella malta insieme ad
altri materiali ceramici e litici, nelle preparazioni pavimentali o di vari tipi di rivestimenti.
Tali frammenti possono essere utili nel fornire termini cronologici relativi per la datazione
dei diversi interventi edilizi in cui sono utilizzati46, ma si tratta di un uso che è sia conti-
nuato nel tempo che di per sé poco caratterizzante.
Innumerevoli possono essere gli usi di orli di anfore inseriti nelle pareti ed è impos-
sibile enumerarli tutti: l’anfora in questo si dimostra estremamente versatile, tanto da sti-
molare la tendenza dei costruttori ad impiegarla nelle funzioni più disparate. A volte lo
scopo può essere rendere più resistenti cavità in cui inserire pali di legno, come la Dressel
2/4 che funge da cavità in cui inserire una spranga nelle fauces di I, 10, 1647 o la fila di
cinque anfore inserite alltesrno di un muro per fissare i pali della pergola che copriva un
triclinium nel giardino che occupa la intera Insula 5 della Regio II48. Ad Ostia, nel mitreo
di Lucrezio Menandro le due nicchie una di fronte all’altra a metà dell’ambiente sono
realizzate con parti di anfore segate, inserite a rivestimento della muratura49.
In altri casi, le anfore sono inserite intere orizzontalmente nei muri a dare forma a pic-
cole aperture che mettono in comunicazione l’interno con l’esterno, come a Pompei l’anfora
cilindrica africana posta all’altezza di m 2,25 rispetto alla strada a fianco dell’ingresso di I,
10, 150, la vasca di un’anfora tagliata a metà che serve da piccola finestra della latrina di IX,
1, 751, la parte superiore di una Dressel 2/4 che ha funzione di camino del forno in I, 10, 452 o
il collo d’anfora inserito nella struttura in cementizio della cupola del forno di una panetteria
come condotto di areazione; ad Ercolano (Or. II, 8)53. Più difficile da interpretare la funzione
dei cinque spatheia, mancanti del fondo e dell’orlo, con il collo rivolto all’esterno del muro,
inclinati verso il basso, attraversanti l’intero spessore della muratura in opera listata della
cosiddetta domus I, XVI, 3 di Ostia, nella sua fase tra la fine del IV ed il VI secolo54 (Fig.
7). Secondo Crupi, che cita un caso analogo e coevo anche nel Caseggiato delle Taberne
Finestrate, dato l’innalzamento del livello stradale esterno, le anfore servivano da sfiatatoi
o da fognoli distribuiti sui due piani della casa; entrambe le spiegazioni non appaiono con-
vincenti, mentre probabilmente la loro funzione dovrebbe essere piuttosto legata all’attività
commerciale o artigianale, purtroppo non identificata, che l’edificio ospitava.
L’inserimento di anfore intere o di grandi frammenti anforici appositamente lavorati
e modificati55 nelle murature presenta diverse particolarità e funzioni. Come ha sottoline-

44
Come ad esempio a Ercolano, in una parete della casa dello Scheletro (III, 3), rifatta dopo il sisma usando
pietre, materiali recuperati e anfore messe in orizzontale, in grandi pezzi (Monteix 2010, pp. 296-298), oppure
nella ricostruzione di alcune strutture nel santuario di Diana a Nemi dopo il sisma di età adrianea (Diosono,
Romagnoli 2014, p. 488). A Sinuessa la costruzione di muri in frammenti di anfore e malta è definita una tec-
nica tipica della zona in Gasperetti et Al. 1997, p. 251.
45
Nella domus di Giove Fulminatore a Ostia, ad esempio, alcuni muri di opera mista hanno puntali di
anfora a regolarizzare i ricorsi di tegole e tegoloni (Lorenzatti 1998).
46
Esemplare lo studio dei materiali ceramici, tra cui le anfore, sulle superfici delle murature dell’Insula
della Casa del Menandro a Pompei (Arthur 1997), in cui sono rappresentati quasi tutti i casi di seguito citati.
47
Arthur 1997, p. 329.
48
Jashemski 1979, pp. 215-216.
49
Becatti 1954, p. 18.
50
Arthur 1997, p. 330.
51
Sogliano 1889, p. 125.
52
Arthur 1997, p. 328.
53
Monteix 2000, p. 155.
54
Crupi 2002, pp. 23-25 e 45-47.
55
Sui diversi modi di rilavorare le anfore vd. Peña 2007, pp. 121-123.

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688 note e discussioni

ato Antico Gallina56, l’utilità dell’impiego


delle anfore in edilizia si deve al loro esse-
re un solido a doppia curvatura soggetto a
sforzi di compressione, ma non a sforzi di
taglio o di torsione, alla loro leggerezza, al
peso specifico molto basso, alla notevo-
lissima resistenza ai carichi ed alla mag-
giore superficie di attrito laterale. A Pom-
pei sono noti muri che inglobano filari di
anfore di forma allungata, intere e poste in
verticale con l’orlo verso il basso. Si tratta
Fig. 7. Ostia, domus I, XIV, 3. Gli spatheia di muri di recinzione di spazi aperti e dun-
inseriti in orizzontale ad attraversare il muro que non soggetti a carichi statici notevoli.
(da Crupi 2002). Due esempi vedono l’impiego di anfore
di produzione punica: il muro del cortile
della Caupona di Hermes (II, 1, 1)57 con
Ramon Torres 7.4.1 (Fig. 8) e il muro di cinta settentrionale del vasto giardino annesso
alla bottega I, 20, 558 (Fig. 9); per entrambi Jashemski ha proposto che le anfore spezzate
sulla sommità del muro servissero ad evitare intrusioni dall’esterno. Non è detto però che
le anfore fossero in origine già spezzate ed inoltre tale ipotesi non è applicabile per un
esempio più antico, il muro del giardino del termopolio II, 9, 2, in cui le anfore (probabil-
mente delle Dressel 1) sono integre ed inserite nel muro fino quasi all’altezza del puntale
(Fig. 10). Questa dell’uso di filari orizzontali di anfore all’interno delle murature sembra
piuttosto una vera e propria tecnica, che può derivare da diverse esigenze, quali il rispar-
mio dei materiali da costruzione, un alleggerimento della massa degli alzati (importante
soprattutto in un’area sismica come Pompei ma anche a Roma) o anche un modo per con-
trollare l’umidità e la ventilazione delle pareti59.
Altre volte, le anfore allettate nella malta servono per costruire piccole strutture, come
nell’altare costruito sopra parti superiori di anfore africane ed italiche nel triclinium di II,
1, 9; nella Ostia di V secolo d.C., al centro della Semita dei Cippi, una vera di pozzo ret-
tangolare è interamente realizzata con 12 anfore Keay 2660: ogni lato è fatto da contenitori
sovrapposti orizzontalmente, con gli orli tutti rivolti a sinistra e scaglie di tufo mescolate
alla malta negli interstizi.
Tra gli aspetti del reimpiego di anfore nelle murature il più studiato è senza dubbio
quello del loro inserimento nelle volte in cementizio, che a lungo è stato confuso con la
realizzazione delle volte in tubuli fittili o vasi. Si tratta però di due tecniche diverse, che
in comune hanno solo il fatto di utilizzare materiali ceramici61: i tubuli o i vasi funzionali
alla costruzione sono prodotti appositamente e sono disposti in successione, incastrandosi

56
Antico Gallina 2006, p. 95.
57
Jashemski 1993, p. 75.
58
Jashemski 1979, pp. 188-189.
59
Antico Gallina 2006, p. 96. Un possibile esempio ad Aosta di un muro semi-interrato contenente
anfore a scopo isolante in Antico Gallina 2008, p. 85.
60
Peña 2007, pp. 171-172.
61
Poisson 2005. Invece, secondo Antico Gallina 2009, pp. 22-23, l’uso di anfore, tubuli o vasi in
costruzione dovrebbe essere differenziato al suo interno solo per funzione (bonifica geotecnica e idraulica, iso-
lamento, fulmine, sollevamento e auto-sollevamento delle strutture) e non per tecnica, perché tutti hanno in
comune l’uso di elementi ceramici cavi e leggeri. Il problema, tuttavia, è che la natura di questi elementi è
innegabilmente diversa.

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note e discussioni 689

Fig. 8. Pompei, Caupona di Hermes (II, 1, 1). Muro del cortile con la parte sommitale realizzata in
anfore puniche Ramon Torres 7.4.1 (foto Autori).

Fig. 9. Pompei, bottega I, 20, 5. Muro del giardino con la parte sommitale realizzata in anfore di
produzione punica (da Jahsemski 1979).

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690 note e discussioni

Fig. 10. Pompei, Termopolio II, 9, 2. Muro del giardino contenente anfore Dressel 1 (foto Autori).

progressivamente e formando una parte indipendente rispetto alla struttura, su cui viene
gettata la copertura; le anfore sono materiale riutilizzato e vengono annegate nel cementi-
zio singolarmente, andando ad essere parte integrante della struttura62.
In Italia gli esempi si concentrano a Roma e nel Suburbio63 a partire dall’età adria-
nea fino al IV/V secolo, con caratteristiche che cambiano nel tempo. La tecnica secondo
Lancaster64 sarebbe una evoluzione del riutilizzo, già da tempo diffuso, delle anfore in
bonifiche e drenaggi, da cui sarebbe derivato il loro inserimento nelle strutture verticali in
cementizio, al semplice scopo di risparmiare nelle materie prime, per poi passare anche
alle volte. Gli esempi di volte con anfore di II secolo sono solo due65, i cosiddetti “Magaz-
zini traianei” di Ostia e la suburbana Villa delle Vignacce (dove queste si trovano anche
all’interno delle strutture murarie); in entrambi i casi, le anfore sono Dressel 20 disposte
orizzontalmente ma con una distribuzione casuale all’interno delle masse murarie, con la
semplice funzione di riempitivi inerti.

62
Lancaster 2005, p. 68; Spanu 2008, p. 191.
63
L’elenco completo delle attestazioni, con caratteristiche, bibliografia e datazioni, in Lancaster 2005,
p. 215.
64
Lancaster 2005, pp. 73-74 e 167. Secondo Spanu 2008, p. 216, in questi primi esempi di II secolo
si tratterebbe semplicemente di una pratica occasionale adottata saltuariamente nei cantieri per risparmiare sui
materiali. Una cronologia più tarda per la diffusione di questa tecnica in Giuliani 2001, p. 130.
65
Lancaster 2005, p. 70; Spanu 2008, p. 210.

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note e discussioni 691

Il gruppo principale delle attestazioni


di Roma e Suburbio appartiene ad un oriz-
zonte cronologico piuttosto limitato, che
va dalla fine del III agli inizi del IV seco-
lo. In un unico caso, la cosiddetta “Casa
di Giulio Romano” alle pendici del Cam-
pidoglio, viene utilizzata l’Africana I, la
cui forma era forse più adatta alla strette
arcate addossate all’edificio principale in
cui andava inserita66; tutti gli altri esem-
pi vedono l’esclusivo impiego di Dressel
20 e Dressel 2367, disposte seguendo uno Fig. 11. Roma, Mausoleo di Elena a Torpi-
schema ordinato e progettato, affogate nel gnattara. Ricostruzione della disposizione delle
cementizio secondo il loro asse verticale, anfore nella volta (da Spanu 2008).
con l’orlo rivolto indifferentemente verso
l’alto o verso il basso; la scelta di tali particolari tipi di anfore si deve al fatto che garanti-
vano il migliore rapporto volume-resistenza, grazie alle pareti estremamente spesse ad alla
forma globulare che le rende più resistenti alla compressione68. Si tratta solo di edifici di
prestigio, i cui committenti appartengono ai più alti livelli della società urbana e in parti-
colar modo alla famiglia imperiale: sono, infatti, la Basilica di Massenzio, l’arco quadri-
fronte al Foro Boario, il “tempio di Venere e Cupido” al Sessorium, il cosiddetto Tempio
di Minerva Medica, il Mausoleo di Elena a Torpignattara (Fig. 11), il circo di Massenzio
(Fig. 12) e il vicino Mausoleo di Romolo, l’Aula Ottagona e il Mausoleo della Villa dei
Gordiani. L’importanza della committenza, il limitato arco geografico e temporale in cui
si concentrano le testimonianze e la possibilità di disporre di una grande quantità di anfore
olearie betiche integre (forse fino ad 8.000-10.000 nel caso del Circo di Massenzio69) han-
no fatto giustamente ipotizzare a Spanu70 che esso sia stato un accorgimento adottato da
uno specifico gruppo di maestranze edili che lavorava per tale specifica alta committenza,
la quale inoltre poteva disporre dei contenitori di scarto dell’annona. I calcoli strutturali
eseguiti da Lancaster71 dimostrano come sia da scartare la lettura tradizionale, che vedeva
nelle anfore un modo per alleggerire il peso delle volte (come proposto ad esempio da
Rodríguez Almeida per il circo di Massenzio72), come anche quella che vede in esse una
soluzione per far asciugare più velocemente la massa del cementizio73, ma resta comunque
non del tutto soddisfacente la soluzione che vede nel loro utilizzo unicamente la volontà
di risparmiare sui costi dei materiali edili, addirittura in alcuni casi andando contro agli
principi statici stessi per la costruzione di volte, e questo a causa soprattutto della qualità
degli edifici in cui esse si trovano. Una possibilità che varrebbe la pena di valutare è la
eventuale funzione antisismica che potrebbero rivestire le anfore poste in quel particolare
punto della struttura, visto anche che Roma episodi sismici e conseguenti danni e distru-

66
Lancaster 2005, p. 75.
67
Vd. infra, Conclusioni.
68
Lancaster 2005, p. 75; Spanu 2008, pp. 210-211.
69
Rodríguez Almeida 1999, p. 245.
70
Spanu 2008, p. 213.
71
Lancaster 2005, pp. 68, 74-83, 160, 164, 172.
72
Rodríguez Almeida 1999. Lancaster 2005, p. 168 afferma che solo nel caso del Tempio di Minerva
Medica, le anfore poste sopra le finestre (e non quelle alla base della volta) servono a scaricare il peso dalle
aperture.
73
Su questa ipotesi vd. da ultimo Spanu 2008, p. 217.

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692 note e discussioni

Fig. 12. Roma, Circo di Massenzio. I resti di anfore Dressel 23 inserite nella muratura alla base della
copertura voltata (da Rodríguez Almeida 1999).

zioni erano all’epoca abbastanza frequenti.


L’unico caso in cui l’inserimento di
anfore ha realmente l’effetto di alleggerire
il peso della struttura è quello, più tardo, di
Santa Maura sulla via Casilina, dove alcu-
ne Dressel 23 sono aggiunte non sui fian-
chi ma sul culmine della volta74. Questo
esempio di IV-V secolo prefigura l’evo-
luzione successive della tecnica, attestata
nel V-inizi VI secolo in Italia settentriona-
le, quando le anfore non sono più inserite
Fig. 13. Ravenna, Mausoleo di Galla Placidia. nelle strutture murarie delle volte ma poste
Disegno del riempimento di spatheia al di sotto sugli estradossi come riempimento fun-
del tetto del tiburio (da Novara 2015). zionale al sostegno delle strutture del tet-
to, legate tra loro con malta e sovrapposte
accuratamente. Le attestazioni sono il sacello di San Simpliciano e le volte delle cappelle
di Sant’Ippolito e Sant’Aquilino nella basilica di San Lorenzo a Milano, il Battistero e il
criptoportico della chiesa di san Calogero ad Albenga, il Mausoleo di Galla Placidia (Fig.
13) e il Battistero degli Ariani a Ravenna75. In tutti i casi noti, comunque, sono utilizzate
in particolar modo anfore africane, sia quelle cilindriche di grandi dimensioni che altre di
dimensioni minori, oltre a qualche anfora orientale e lusitana. Anche questi edifici, come
quelli citati in precedenza per Roma, sono opere di alta committenza. Appare chiaro come

74
Lancaster 2005, p. 164.
75
Lamboglia 1956; Pallarés 1987; Bocchio 1990a; Bocchio 1990b; Poisson 2005; Gandolfi et
Al. 2010, pp. 34-37; Dell’Amico 2010; Marcenaro 2011; Greppi 2016; Novara 2016; Ranzi 2019.

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note e discussioni 693

le anfore siano selezionate non solo in base alla loro immediata disponibilità in grandi
quantità, ma anche alla loro forma, scegliendo per ogni edificio il tipo più adatto in base
alla soluzione architettonica da realizzare.
Infine, un utilizzo ben attestato e diffuso di anfore tagliate in tasselli o fette rettangolari è
quello collegato alla messa in opera di sectilia pavimenta o di rivestimenti parietali in marmo
(incrustationes)76. Già durante lo scavo dell’edificio fuori porta Marina ad Ostia, Becatti nel
distaccare dalla parete una decorazione in marmo vi trovò al di sotto pezzi di anfore segate e
scarti di marmo, inseriti per far aderire meglio il prezioso rivestimento77. Ormai è considerato
un dato di fatto che i rivestimenti marmorei sia di pavimenti che di pareti fossero composti
prima su pannelli prefabbricati e solo successivamente collocati in situ (la difficoltà tecnica
maggiore riguardava le incrustationes, perché lì il piano di posa era verticale). Tali pannelli,
preparati dentro casseforme lignee modulari, venivano composti a faccia in giù, sistemando
prima il disegno formato dalle lastrine e poi sovrapponendo ad esse elementi di rinforzo con-
sistenti appunto in tasselli di anfore, schegge di pietre e scarti di lavorazione. Il processo ter-
minava con una gettata di malta sul retro, che rendeva il tutto una formella unica, con i giunti
stabilizzati e la superficie non decorata irregolare, in modo da aderire meglio, anche grazie a
grappe, ai livelli di preparazione gettati sul muro o sul pavimento. In caso di distacco del pan-
nello, la malta di fissaggio resta aderente al marmo, mentre la malta di allettamento trattiene
gli elementi di supporto in pietra o in terracotta in situ. La presenza di materiale marmoreo,
litico o di tasselli di anfore nella preparazione delle decorazioni marmoree sembra essere una
costante nell’area romana dall’età tiberiana alla metà circa del VI secolo, ed in particolare in
età tardoantica si utilizzavano soprattutto pareti di anfore tubolari africane, tagliate in lunghe
e strette strisce, la cui porosità facilitava inoltre la presa della malta78. Come ha sottolineato
Guidobaldi79, i tasselli di anfore erano disposti secondo schemi coerenti ma ortogonali rispet-
to a quelli della decorazione marmorea, dovendo andare a rafforzare i punti dove diverse
lastrine erano a contatto tra loro; in presenza di disegni articolati formati da piccoli elementi,
tali elementi di sostegno erano più fitti, coprendo l’intera superficie sia con tratti paralleli che
a stuoia. Le anfore comunque, oltre a rappresentare la testimonianza di una decorazione mar-
morea perduta, permettono a volte di recuperarne lo schema compositivo generale e qualche
traccia dei motivi decorativi. Si veda il caso delle ipotesi ricostruttive della decorazione mar-
morea parietale di Santa Maria Antiqua, nel Foro romano, nella sua fase di fine IV-inizio V
secolo, avanzate da Guiglia Guidobaldi anche sulla base di posizione e disposizione dei lun-
ghi tasselli di anfore africane ancora preservati in alcuni punti dell’edificio sacro80 (Fig. 14).
Sugli aspetti tecnici della lavorazione di tali tasselli di anfore, va segnalato lo studio analitico
dei listelli conservati in un pavimento settile realizzato nella seconda metà del IV secolo nelle
Terme del Sileno a Ostia81. Sono stati analizzati 123 frammenti (circa il 12% del totale pre-
sunto) che sono risultati appartenere ad almeno 30 esemplari di anfore diverse del tipo Africa-
na I, II e II; si sono individuati anche alcuni attacchi tra listelli, anche di diverse dimensioni,
fatto che suggerisce che nelle botteghe dei marmorai si disfacessero sistematicamente interi
stock di anfore, che venivano tagliate in tasselli, conservati in contenitori pronti per l’uso.

F.D.

76
Sulla questione vd. Guidobaldi 1985, pp. 222-223; Guidobaldi 1994, pp. 49-51; Guidobaldi,
Angelelli 2005, pp. 37-38.
77
Becatti 1969, p. 18.
78
Guidobaldi 1985, p. 223.
79
Guidobaldi 1994, pp. 54-55; Guidobaldi, Angelelli 2005, p. 38.
80
Guiglia Guidobaldi 2004.
81
David et Al. 2014, pp. 177-179.

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694 note e discussioni

Fig. 14. Roma, Santa Maria Antiqua. Resti dei tasselli di anfore africane a supporto dei pannelli di
rivestimento parietale in marmo (da Guiglia Guidobaldi 2004).

Allestimenti murari privi di conglomerato per tramezzature, recinti da esterno e


semplici sostruzioni

In questa categoria rientrano tutte quelle murature realizzate con file semplici o
composite di anfore inserite nel terreno, messe in opera alternativamente dritte o capo-
volte per uno o più ordini, tali da raggiungere non oltre i m 4 o 5 di altezza. Sebbene
siano generalmente prive di legante in conglomerato, tali allestimenti sono costituiti da
terra argillosa costipata e raffinata, inzeppata con altri frammenti anforici, atta al conte-
nimento dei singoli manufatti; questi ultimi, inoltre, in alcuni casi sono impiegati vuoti,
mentre in altri sono riempiti di terra o frammenti fittili, al fine di conferire stabilità alla
struttura, altresì assicurata dal lavoro di contrasto che i contenitori eseguivano tra di
loro.

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note e discussioni 695

Fig. 15. Roma, Nuovo Mercato Testaccio. Vista generale dell’area orientale con muri costituiti da
anfore (da Serlorenzi 2010).

Iniziando il nostro esame dalle semplici tramezzature divisorie per spazi interni, dalle
recinzioni ad una sola fila di anfore da esterno e dai più compositi muri di contenimento,
si descriveranno di seguito i rinvenimenti effettuati dalla Soprintendenza Speciale per il
Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’area Archeologica di Roma nell’ambito degli
scavi di archeologia preventiva per la costruzione del mercato comunale nel Rione Testac-
cio82 e quelli effettuati dallo scrivente per la valorizzazione del quartiere dei servizi del
santuario della Magna Mater sul Palatino83.
Le indagini nell’area a sud del monte Testaccio hanno intercettato larghe parti di due
complessi horreari, contigui tra di loro ma architettonicamente differenti, cronologicamente
inquadrabili alla media età imperiale. Edificato con muri in opera mista e fondazioni in late-
rizio, il più occidentale dei due edifici era costituito da una corte centrale intorno alla quale
si disponevano ambienti con funzione di tabernae, mentre ad un livello leggermente più
elevato rispetto al precedente, era posto l’horreum orientale che si articolava con un serie di
pilastri del tipo architettonico delle porticus84. Nei livelli sottostanti i due fabbricati è stato
evidenziato un esteso impianto costituito da un sistema di muri eretti mediante la messa in
opera di anfore che, in base alla lettura stratigrafica e ai materiali ad essa associati, si svilup-
pava secondo due fasi costruttive (Figg. 15-16). Riferibili alla prima fase è stato possibile
riconoscere un totale di 14 allineamenti, che definiscono sette recinti o veri e propri cortili.
Prevalentemente costituiti da contenitori da trasporto vinari tipo Dressel 2-4 di produzio-
ne egea e dell’area italico-tirrenica e di Dressel 6A adriatiche, gli allestimenti individuati
nell’angolo sud occidentale dell’area formano tra loro tre cortili e risultano orientati in senso
nord-sud, secondo uno schema planimetrico che sarà rispettato anche per i successivi edifici
in muratura, mentre nella zona settentrionale presentano un orientamento sud ovest- nord
est, inclinato, quindi, di circa 45° rispetto al precedente asse. Le dinamiche di approvvigio-

82
Sebastiani, Serlorenzi et Al. 2008; Sebastiani, Serlorenzi 2011.
83
Coletti, Margheritelli 2008, pp. 425-427; Panella et Al. 2010, p. 73.
84
Sebastiani, Serlorenzi 2011, pp. 77-83.

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696 note e discussioni

Fig. 16. Roma, Nuovo Mercato Testaccio. Uno dei muri realizzati con anfore infisse in ver-
ticale nel terreno (da Serlorenzi 2010).

namento e la messa in opera dei materiali sono definite sia dagli indizi che la stratigrafia ha
fornito, sia dalla specifica collocazione topografica dei nostri impianti, prossimi al porto con
i suoi approdi di merci e quindi con la possibilità di disporre di un gran numero di materiali;
infatti, le anfore una volta svuotate del loro contenuto originario, dovevano essere pronta-
mente smaltite per non creare accumuli e ingombri, cosicché i contenitori integri venivano
messi in opera per gli allestimenti, mentre quelli frammentari andavano a formare i vespai
sui quali si gettavano le superfici calpestabili, oltreché i percorsi di servizio tra un recinto
e l’altro. Parimenti le stratigrafie riferibili ai battuti di frequentazione o lavorazione per la
messa in opera degli allestimenti hanno consentito di recuperare un ingente quantitativo di
materiali, della medesima cronologia, ma più ricchi di anfore vinarie orientali. Si delinea,
così, fin dalla prima fase la presenza di un impianto manifatturiero con spazi deputati allo
stoccaggio delle merci liquide o semiliquide, forse, finalizzato alla rimessa in circolo dei
contenitori vuoti per il reimpiego nel commercio o nell’edilizia, alle strette dipendenze con
le vicine strutture portuali.
Ad un momento successivo, quando cioè l’intero complesso di muri ad anfore viene
suddiviso in due ambiti tramite la costruzione di un muro in reticolato, devono essere fatti
risalire gli allestimenti più curati per tecnica e modalità di esecuzione: cinque ambienti,
uno dei quali con pavimentazioni in spicato e intonaco dipinto, sono localizzati nella metà
meridionale del settore orientale dell’area indagata, a sud del suddetto muro85. La tecnica

85
Serlorenzi 2010, pp. 74-78; Sebastiani, Serlorenzi 2011, p. 136; D’Alessandro 2013, p. 351.

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note e discussioni 697

costruttiva risulta particolarmente interessante perché i vuoti tra i colli e i puntali delle
anfore sono accuratamente colmati da frammenti di stesso materiale e terra, prima del-
la loro intonacatura e dipintura. Attribuibili forse al passaggio di proprietà, questi nuovi
allestimenti e il muro in reticolato caratterizzano la fase di ingrandimento, potenziamen-
to e specializzazione della precedente “impresa”, presumibilmente in concomitanza con
l’incremento dei volumi di traffico commerciale che coinvolsero la città di Roma con il
volgere dell’era e con la pace augustea86. In tale ottica gli ambienti con allestimenti murari
accurati e con rivestimenti parietali e pavimentali sono stati interpretati, dagli editori dello
scavo, come sorta di uffici, nei quali i gestori del complesso commerciale potevano svol-
gere le loro attività amministrative di controllo delle merci in entrata e in uscita87. Riguar-
do alla cronologia dell’impianto, va specificato che essa è desumibile dal terminus post
quem suggerito dalla data di diffusione a Roma dei contenitori anforici. Infatti, quelli mes-
si in opera negli allestimenti di prima fase definiscono un periodo compreso tra gli anni
30 e quelli finali del I secolo a.C. Invece, ad un momento costruttivo di poco successivo
va fatta risalire la ristrutturazione dell’intero complesso con la edificazione del muro in
reticolato, nonché dei cinque ambienti coperti. Tra questi allestimenti spicca l’attestazione
di anfore di tipo Dressel 1B, una delle quali recante un titulus pictus datato al 34 a.C.,
menzionante i consoli L. Scribonio Libone e L. Sempronio Atratino 88, ma soprattutto di
tipo Dressel 6A, molte delle quali con ricco apparato epigrafico, bolli in negativo privi di
cartiglio con la menzione del probabile del dominus associato a quella del conductor e in
alcuni casi dello “schiavo manager”; è il caso, ad esempio, degli esemplari bollati da C
IVLI POLY, produttore dei contenitori, associato al quale è il nome del padrone del prae-
dium BARBVLA di area fermana, datati alla piena età augustea89. L’impianto ad anfore,
tuttavia, deve aver vissuto con continue ristrutturazioni, ma non mutando planimetria e
tecnica edilizia, fino alla fine del I/inizi II secolo d.C.: dall’analisi dei crolli in situ, è stato
possibile contare almeno tre ordini di anfore sovrapposte, ma è verosimile che ve ne fosse
qualcuno in più, tali da raggiungere un’altezza non superiore a 3 m. Come materiali datan-
ti, questi contesti hanno restituito alcune anfore tarde del Falerno90 (tipi simili alle Dressel
1 tarda Ostia IV, 282-283), manufatte negli atélier rintracciati nei pressi di Mondragone
e la cui diffusione inizia dall’età traianea. Su tali contesti di distruzione, del resto, si get-
tarono le colmate di terra e materiali che servirono per livellare il terreno su cui vennero
edificati i due complessi horreari in muratura91. Allestimenti murari molto simili ai nostri
per cronologia e tecnica costruttiva sono diffusi in tutta la piana sub aventina non distanti
dal nucleo di attestazioni del testaccio appena descritte.
Il sistema dei recinti con anfore è attestato soprattutto in ambito funerario, la docu-
mentazione più fedele del quale, per l’area romano-laziale, proviene dalle necropoli
ostiensi e di Isola Sacra92 (Fig. 17). Anche in questo caso le delimitazioni assolvono
al ruolo di inquadrare veri e propri lotti di terreno più o meno estesi, definendo precisi

86
Panella 2001, p. 178.
87
Sebastiani, Serlorenzi 2011, p. 140.
88
Serlorenzi 2008, p. 77. Trovato per la prima volta durante le ricerche al Castro Pretorio a Roma, il
riferimento bibliografico di questo titulus pictus è in CIL, XV 4606. Altri esempi di Dressel 1B con la stessa
iscrizione sono state rinvenute nello scavo del Foro di Cartagena (Pérez Ballester 1995, p. 184; Bodel
1995, p. 287). Sulle anfore con iscrizioni dipinte con la data consolare si rimanda a Rigato, Mongardi 2016,
pp. 101-125.
89
D’Alessandro 2013, pp. 359, 362.
90
Panella 1989, pp. 141-143.
91
Serlorenzi 2010, p. 176.
92
Calza 1940, p. 44; Angelucci et Al. 1990, pp. 49-113; da ultimo vd. Olivanti, Spanu 2018.

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698 note e discussioni

Fig. 17. Ostia, Necropoli dell’Isola Sacra. Pianta e sezione/prospetto di area sepolcrale delimitata
da un muro di anfore (da Angelucci et Al. 1990).

limiti di proprietà adibite ad uso funerario, all’interno delle quali giacciono le deposi-
zioni.
Di tutt’altro orizzonte cronologico sono da considerare gli allestimenti evidenziati nel-
le indagini presso il santuario della Magna Mater, nell’ambito del quartiere commerciale di
fullonicae e tabernae posto al di sotto della platea antistante il tempio. In seguito alla rimo-
zione delle stratigrafie di abbandono, databili al tardo V secolo d.C., sono venuti in luce

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note e discussioni 699

Fig. 18. Roma, Tempio della Magna Mater sul Palatino. Muro di contenimento realizzato con anfo-
re nel vano 9 del quartiere meridionale dei servizi del santuario (da Panella et Al. 2010).

importanti resti di strutture con anfore poste in verticale e allineate l’una accanto all’altra,
costipate con una terra molto raffinata e compatta93 (Fig. 18). Tali allestimenti sono stati
rinvenuti all’interno di due delle fullonicae più occidentali del quartiere, ma una sola strut-
tura è quasi integralmente conservata. Essa attraversa il vano da est a ovest ed è composta
da due file di anfore prevalentemente di forma cilindrica, la cui morfologia evidentemente
assolveva più di altre alla funzione strutturale di contenimento a contrasto che questo tipo

93
Panella et Al. 2010, pp. 64-65.

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700 note e discussioni

di allestimento doveva avere. Le anfore sono collocate in verticale su due o tre ordini per
fila, infisse una nell’altra, in modo tale che quelle dell’ordine inferiore, conservate all’al-
tezza dell’attacco tra corpo e spalla, potessero ospitare le anfore del secondo ordine, alcune
delle quali sono state rinvenute integre. In alcuni casi, in prossimità del settore centrale
della struttura, in asse con il cervello della volta del vano, si è ricostruito anche il terzo ordi-
ne di contenitori, rinvenuti in frammenti al momento dello scavo. La funzione di questo
allestimento, oltre a quella di contraffortare le strutture perimetrali e di sostegno delle volte
degli ambienti già in questa fase pericolosamente deteriorati, doveva essere anche quella
di sostruire l’interro di scarico di materiali ceramici e edilizi, che si trovava alle sue spalle,
da noi datato alla fine del IV secolo. Le anfore sono state rinvenute riempite di frammenti
di laterizi, tegole, malta ecc., che assicuravano alla struttura equilibrio e stabilità, ulterior-
mente garantiti dal fatto che i contenitori, allineati e aderenti tra loro, a livello strutturale
lavoravano a contrasto l’uno con l’altro. In totale si sono recuperate quarantacinque esem-
plari. La prima fila dell’ordine inferiore è costituita prevalentemente da anfore di tipo Afri-
cano IIC-D, 9 esemplari, un contenitore cilindrico di medie dimensioni, Keay 25, tipo 2, ed
uno “spatheion”, tipo Keay 26, variante A. La seconda fila è essenzialmente formata dagli
stessi tipi di anfore, Africano IIC e D, in numero di undici esemplari, con l’associazione di
due contenitori lusitani per salse di pesce, tipi Almagro 51 C. Il secondo ordine di anfore,
collocato superiormente, all’interno dei corpi ceramici dell’ordine inferiore, è costituito
da cinque contenitori tipo Africano II D, cinque anfore cilindriche, Keay 25, tipi 1 e 2, tre
“spatheia” del tipo Keay 26, varianti A e B, uno dei quali rinvenuto in posizione rovesciata
in modo tale che il suo corpo fungesse da “zeppa”, nello spazio di risulta tra il muro e l’ulti-
mo contenitore. Il terzo ordine di anfore, ridotto in frammenti sotto la pressione dell’interro
più tardo e del potente crollo della volta del vano, è formato da circa dieci anfore di diverse
dimensioni. Sono state identificate due Keay 26, varianti B e D, due anfore del Bruttium
Keay 52, due anfore della Mauretania Caesariensis, tipo Ostia IV, 116/117 un contenitore
di piccole dimensioni tipo Ostia I, 45394. In conclusione le anfore che costituiscono questa
struttura sembrano essere state messe in opera tra gli anni finali del IV e quelli iniziali del
V secolo d.C. Inoltre, la presenza preponderante di anfore residuali, i tipi Africano II C-D e
l’esemplare di piccole dimensioni Ostia I, 453, che presumibilmente uscirono dal circuito
produttivo nel corso della prima metà del IV secolo, fanno ritenere che questi contenitori
possano essere stati recuperati da spazi ormai abbandonati, forse depositi di derrate situati
nell’area del Palatino, e messi in opera per l’occasione. Piuttosto diffusi in area urbana con
funzione di piccole sostruzioni, terrazzamenti o comunque contenimenti anche strutturali,
questo tipo di allestimenti caratterizzano tanto le aree a giardino quanto gli ambienti chiusi
come sistema per frenare il degrado delle pareti evidentemente lesionate. Il caso più antico
noto nella letteratura scientifica è quello messo in luce nel quartiere romano di Traste-
vere, nei livelli sottostanti gli edifici moderni della pendice orientale del Gianicolo. Le
indagini della Soprintendenza hanno evidenziato un allineamento costituito da 43 anfore
(Dressel 2-4, 6A, 7-11) costipate con terra organico limosa e sabbia, avente la funzione
di contenere un terrazzamento (sorta di aiuola al centro della quale si sono rinvenute 254
olle per la piantumazione di piccoli arbusti con fiori) ed evitare il conseguente ristagno
delle acque, nell’ambito di un più ampio contesto architettonico monumentale che gli edi-
tori dello scavo hanno interpretato facente parte degli Horti Caesaris95. Invece, analogo
agli allestimenti sopra descritti del santuario della Magna Mater per cronologia e modalità
costruttiva è quello pertinente alla fase di abbandono di alcuni ambienti che si affacciava-

94
Panella et Al. 2010, pp. 64-65; Casalini, Pegurri, Capelli 2018, pp. 254 e 258.
95
Filippi 2008, pp. 65-66 e 78; Ferrandes 2008, p. 249.

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note e discussioni 701

no sulla banchina portuale dell’edificio commerciale del lungotevere Testaccio. Si tratta


di una struttura che conta circa venti anfore cilindriche di produzione della Proconsolare
(tipi Africana II A, C-D, Keay XXV e XXVI) disposte verticalmente secondo un’unica
fila e su due ordini sovrapposti: la risultante è un muro realizzato per creare una divisione
all’interno di uno degli ambienti che aveva la finalità di frenare la risalita delle acque in
periodi di piena del fiume96. Un recente rinvenimento da parte della Soprintendenza non
lontano dall’area appena citata, ha permesso di verificare nuove aree interessate da questi
allestimenti anforari e di aggiungere, così, ulteriori informazioni sul loro funzionamento e
sulla loro messa in opera. Infatti, serie di allineamenti, consistenti per lunghezza e numero
dei contenitori, sono stati documentati nei livelli sottostanti la moderna via Marmorata.
Sebbene in questo caso non sia stato possibile identificare la reale ampiezza di questi alli-
neamenti e determinarne, quindi, la destinazione, se fossero cioè muri di confine o spazi
recintati97, come nel caso dell’area del Testaccio, tuttavia permettono di verificare come
tale fenomeno costruttivo fosse particolarmente diffuso nel comparto territoriale della valle
sub aventina. Inoltre, queste ulteriori attestazioni connotano l’area tra la pendice occiden-
tale dell’Aventino e il Tevere come già largamente specializzata alle attività manifatturiere
in epoca tardorepubblicana, capace di accogliere una gran quantità di merci destinata al
sostentamento della popolazione e mediante una perfetta organizzazione mettere in moto il
meccanismo di riconversione dei contenitori per industria edile.
Per mostrare l’ampiezza cronologica della tecnica di realizzare terrazzamenti con
anfore, appare interessante riportare il caso tardo-repubblicano del Convento di Sant’An-
tonio a Taranto, dove, nei pressi dell’antico porto, si ha un muro che sostiene un livello
rialzato realizzato con anfore greco-italiche allineate e infisse nel terreno, con argilla cru-
da a fare da legante98.

F.C.

Conclusioni

Quella appena presentata è solo una sintetica panoramica dei vari allestimenti e reim-
pieghi di anfore attestati nell’Italia antica, con variegate modalità e tecniche, conseguente
al loro primario utilizzo come contenitori da trasporto. Non desideravamo né potevamo
citare tutti i casi noti, ciononostante già da questa selezione di esempi si può apprezzare
come, pur nel riciclo, le maestranze romane siano state capaci di rivalutare questo tipo
di oggetti di uso quotidiano e pratico, cogliendone la duttilità ad essere adattati a svol-
gere diverse funzioni grazie alla loro peculiarità di contenitori da trasporto in terracotta:
impermeabili, adatti ad essere maneggiati e con un buon rapporto peso/volume/resistenza.
Queste caratteristiche, come si è visto, garantivano la vasta gamma di possibilità analiz-
zate con il minimo impegno economico e costruttivo ma con la soddisfacente resa tecni-
ca, contribuendo anche alla realizzazione di maestose architetture. In drenaggi ma anche
all’interno delle murature in cementizio, le anfore potevano fungere da isolante termico
e probabilmente anche sismico, da condotta idraulica, proteggevano dalle infiltrazioni,
permettevano di areare ed alleggerire le strutture che le contenevano, resistevano alla pres-
sione e all’acqua e permettevano il costipamento o la sostruzione di terreni.

96
Meneghini 1985, pp. 433-441; Giovannetti 2016, pp. 75-77.
97
Bertoldi 2011, pp. 111-114.
98
Dell’Aglio 2015.

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702 note e discussioni

Si tenterà, in questa sezione, di discutere alcuni spunti che la trattazione dei para-
grafi precedenti ha sollecitato, toccando solo quegli aspetti più precipuamente attinenti
agli impieghi specifici condizionati dalla morfologia dei contenitori con le conseguenti
prospettive economiche sottese a questo tipo di uso. Per prima cosa, è importante sem-
pre considerare il rapporto tra la forma del contenitore e la funzione per la quale esso
viene riutilizzato. Ad esempio, per la edificazione di strutture verticali come per gli
allestimenti murari privi di legante (ma anche per i tasselli di rinforzo per sectilia) si
preferivano forme anforiche cilindrico-affusolate, che in età tardoantica sono rappre-
sentati dalle anfore di produzione africana. La preferenza per il materiale manufatto
della Proconsolare può essere semplicemente spiegato considerando che esso contem-
pera due importanti caratteristiche tecnologiche connotate dalla miscela dell’impasto
fortemente calcareo che lo rendeva molto duro e compatto con pareti relativamente
sottili ma soprattutto impermeabili: la risultante, pertanto, era un contenitore leggero
ma resistente, ideale nell’impiego edile o idraulico, ma soprattutto in manufatti di non
grande impegno architettonico (piccole sostruzioni per terrazzamenti da giardino, muri
di recinzione in conglomerato o a secco ecc.), oppure strutture più complesse con coper-
ture relativamente leggere, come le capriate lignee con tegole. Diverso impiego, invece,
avevano le forme ovoidi o globulari (la predilezione in questo caso ricade particolar-
mente sulle anfore della Betica), destinate alle grandi architetture voltate massive, dove
erano inserite affogate nel conglomerato.
Inoltre, com’è evidente dai casi citati, bisogna scindere l’utilizzo di anfore nei cantieri
privati, per opere di modesto impegno economico, da quello di edifici e strutture di mag-
giore portata. Da un lato, infatti, i privati avevano bisogno di quantità decisamente limi-
tate e selezionavano i contenitori sia in base alla disponibilità nel contesto che anche alla
forma migliore rispetto all’utilizzo prefissato, ma comunque con una maggiore variabilità;
dall’altro gli esempi tardoantichi di anfore usate nelle volte e nelle coperture mostrano
l’accesso a grandi partite di anfore, probabilmente di natura annonaria, ed anche un canale
di rifornimento che consente di immagazzinare per lunghi periodi e fornisce grandi quan-
tità selezionandone i tipi maggiormente funzionali allo scopo.
Riguardo infine all’aspetto cronologico, come visto in numerosi casi, le anfore
appartengono ad ambiti produttivi più antichi a volte anche di due generazioni, rispetto
alla datazione (accertata dalla documentazione) dei monumenti dove esse sono messe in
opera. La grande quantità di contenitori vuoti ed inutilizzati, pertinenti alle eccedenze
alimentari che dovevano approdare nelle grandi città per garantire i congiaria alla plebe
urbana, induce a ritenere che vi fossero depositi nei quali stazionavano anche per anni
prima del loro reimpiego. L’esempio più evidente sono le anfore Dressel 20 (per le quali
l’ultima data consolare attestata nel Testaccio è del 257 d.C.) impiegate nella cupola del
mausoleo di S. Elena a Roma, costruito nel 325 d.C. 99 La presenza di anfore Dressel
20D in edifici ben datati tra il primo quarto e la metà del IV secolo pone un problema di
complessa risoluzione. Se, infatti, le ultime attestazioni di questi contenitori sono ricon-
ducibili alle produzioni del terzo quarto del III secolo, tra i regni di Valeriano e Gallie-
no, come indicano i dati del Testaccio (la piattaforma orientale del monte è interamente
costituita da scarichi effettuati tra il 242 e il 257 d.C.100) si crea il difficile dilemma della
presenza di enormi giacenze di assemblaggi anforari oramai fuori dei circuiti commer-
ciali per oltre un settantennio. Lo stesso è già stato messo in evidenza in relazione alle
anfore del deposito della Longarina 2, dove il consolidamento augusteo della sponda

99
Sul Mausoleo di Elena vd. Vendittelli 2011.
100
Rodríguez Almeida 1972, pp. 230-233; Remesal Rodríguez 2004, p. 141.

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note e discussioni 703

dello Stagno utilizza lotti di anfore leggermente più antichi in un intervento unitario di
risanamento del suolo101.
La città di Pompei ha restituito una nutrita serie di esempi di strutture messe in opera
post terremoto del 62 d.C., nelle quali le anfore appaiono affogate nel conglomerato intere
o tutt’al più private dell’orlo. Anche in questo caso si tratta di contenitori tardo-punici,
la cui produzione, ormai da anni esaurita, dà conto delle grandi eccedenze che nell’a-
rea vesuviana dovevano stazionare forse in magazzini deputati, specifici per il reimpiego
nell’edilizia. Sul piano tecnico, inoltre, a ben vedere la grande presenza statistica di tali
allestimenti pompeiani può essere letta come dovuta alla volontà di realizzare strutture
elastiche che sopportassero stress da movimenti tellurici di non grande entità a cui la città
era costantemente soggetta nel periodo successivo al grande sisma del 62 d.C. Lo stesso
potrebbe essere possibile per le più tarde Dressel 20 e 23 inserite nelle basi delle volte di
grandi edifici in area romana.
In conclusione, vista la casistica esaminata, si può affermare che il riutilizzo di anfore
in edilizia superi a volte i limiti di semplice reimpiego volto al risparmio di materie prime,
per essere invece da considerare una vera e propria tecnica edilizia, almeno nei casi in cui
esso preveda un certo livello di competenza tecnica e di selezione del materiale.

F.C., F.D.

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101
D’Alessandro, Pannuzi 2016; Pannuzi 2018.

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SUMMARY

The reuse of amphorae in roman buildings is widespread already in the late Republican period, but
sees its apex between the middle and late imperial age. Indeed, once they arrived at the end of their
original purpose, the amphorae could end up in landfills managed by urban communities or even
state and often they were reused in different aspects of the building sector, both in the public and
private ones. Their reuse depends both on the different morphological and technical characteristics
of the materials and on the context in which they are reused, and, finally, on the necessary quantity.
This contribution examines several buildings and structures of Roman Italy, in order to provide the
first time a comprehensive analytical framework of this particular technique of ancient building with
fictile material.

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