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Padvsa 2014.

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RICERCHE SUGLI STRUMENTI DA METALLURGO


NELLA PROTOSTORIA DELLITALIA SETTENTRIONALE:
GLI UTENSILI A PERCUSSIONE
Cristiano Iaia*
Introduzione

a presente ricerca si propone, in primo luogo, di ampliare il corpus degli indicatori di produzione metallurgica noti nei contesti protostorici dellItalia settentrionale tra et del Bronzo antico e inizi della prima et del
Ferro (2200/2100-700 a.C.),1 al fine di meglio comprendere e ricostruire quelle sequenze di azioni tecniche che si
definiscono di produzione secondaria. Essa, in particolare, si focalizza sugli strumenti del processo di manifattura
impiegati dagli antichi artefici del bronzo nelle fasi di formatura/forgiatura/rifinitura, ma anche di mantenimento
(ad esempio laffilatura di lame) e riciclo (frammentazione, taglio ecc.): ovvero su quella parte del ciclo di vita degli oggetti in metallo ben resa dalla espressione inglese
post-casting. Ci significa dare risalto ad una parte notevole, in termini di mera durata e intensit degli atti tecnici,
del ciclo produttivo metallurgico, ma che in archeologia
viene solitamente trascurata, per la sua natura elusiva, rispetto allanalisi di strutture e strumenti connessi al momento dellestrazione e dello stampaggio in matrice, quali installazioni pirotecnologiche, e indicatori/strumenti
connessi.
La cornice concettuale, e anche operativa, pi immediata di questo tipo di indagini resta quella della chane
opratoire,2 puntualizzata e articolata in modo da adat-

tarsi alla natura della pratica metallurgica antica. In particolare, alla rigida catena produttiva articolata per
manufacturing steps in successione sembra preferibile
luso di un modello fluviale (Fregni 2014), in cui
diverse, e talvolta parallele, sequenze di atti tecnici, che
rimandano comunque ad altrettante ramificazioni del
ciclo stesso, confluiscono in un unico corso: ad esempio,
la realizzazione di strumenti in materiali refrattari e terracotta (crogioli, tuyeres, forme di fusione), con le connesse problematiche di approvvigionamento di materie
prime e relativo trattamento tecnico; apprestamenti in
legno o sabbia; approvvigionamento di materie prime e
strumenti litici necessari per le varie fasi di lavoro (martelli, forme di fusione, ecc.); fabbricazione di immanicature in materiale organico (legno, corno, osso, avorio);
riciclo dei manufatti.
I limiti geografici prescelti, lItalia settentrionale con
particolare riferimento alla valle del Po e aree limitrofe,
sono giustificati dalla particolare ricchezza e coerenza di
documentazione sulle pratiche metallurgiche offerta da
questarea per il periodo in oggetto.3 Ad integrazione della documentazione ricavabile da numerose pubblicazioni
(finora mai criticamente vagliata in uno studio unitario),
si condotta una schedatura e documentazione grafica di
un consistente campione di strumenti litici e bronzei, in
gran parte inediti, conservati presso il Museo Civico Ar-

* University of Newcastle upon Tyne (uk), Marie Sklodowska-Curie Fellow.


1 La ricerca nata nellambito di un progetto promosso dal Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena dedicato alla tecnologia del
bronzo della facies terramaricola (coordinamento attivit I. Pulini, C. Zanasi; coordinamento scientifico A. Cardarelli, C. Iaia), nel quadro del
programma di archeologia sperimentale su fondi europei OpenArch: una breve sintesi preliminare del progetto in Iaia 2015. Lo scrivente ha
potuto successivamente approfondire largomento in un assegno di ricerca presso la Sapienza Universit di Roma (anno accademico 2013-2014),
condotto sotto la supervisione di Andrea Cardarelli, che si ringrazia per i suggerimenti e i proficui scambi di idee.
2 Per la formulazione originaria, elaborata in ambito francese negli studi di litica: Sellet 1993. Lapplicazione al campo della produzione
metallurgica seguita alcuni anni dopo (ad es. Pernot 1998), e continua con un certo successo, bench gi dagli anni 90 ne siano stati da pi
parti evidenziati i limiti (Vidale 1992, p. 110; 1998). In particolare la rigida e unilineare successione di fasi del ciclo di produzione tipico di questo
modello euristico, appare inadeguata a rendere conto della frammentazione temporale e tecnologica caratteristica della metallurgia a base di
rame in contesti pre-industriali, diversamente da quanto accade, per esempio, per la manifattura litica.
3 Nel testo, come consueto, saranno utilizzate le seguenti abbreviazioni: BA = Bronzo Antico; BM = Bronzo Medio; BR = Bronzo Recente;
BF = Bronzo Finale; PF = Primo Ferro.

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cheologico Etnologico di Modena,1 qui presentata in


parte e in forma abbreviata, per motivi di spazio editoriale. I materiali archeologici inclusi nellindagine (carta di distribuzione a Fig. 1) privilegiano, per le peculiari vicende
delle ricerche, provenienze dagli insediamenti terramaricoli dellEmilia occidentale e da importanti siti lacustri e di
pianura dellarea gardesana; seguono da presso provenienze da siti del Trentino-Alto Adige, del Veronese e del
Polesine; dal Friuli-Venezia Giulia provengono soprattutto reperti bronzei da ripostigli e di rinvenimento sporadico; numericamente molto limitate sono invece le provenienze dallItalia nordoccidentale (Liguria, Piemonte).
La schedatura e classificazione ha dovuto continuamente tenere conto in una sorta di feedback delle distinte problematiche di interpretazione funzionale, rispettivamente, degli strumenti in pietra non scheggiata e di
quelli fabbricati con leghe a base di rame. Non , invece,
per il momento comprovato un uso rilevante della pietra
scheggiata in questo ambito produttivo (idea che potrebbe peraltro essere modificata da future ricerche). Come dimostrato da diversi studi sperimentali e di tracceologia,2
gli strumenti litici impiegati nelle operazioni di foggiatura, rifinitura e restauro/recupero sono in primo luogo
realizzati con materiali adatti per compattezza e grado di
durezza (ad es. rocce a grana fine e cristallina come le
cosiddette pietre verdi), e dotati di una o pi superfici
attive di forma determinata (superfici piane nel caso della
lisciatura/levigatura). Ci presuppone un approccio che
metta in evidenza le porzioni funzionali dello strumento:
non sono stati pertanto definiti tipi nel senso classico,
ma, allinterno delle principali classi funzionali, si proceduto ad ordinare gli strumenti per gruppi accomunati da
caratteri morfo-tecnici, richiamando pertanto unimpostazione largamente prevalente nella letteratura ergologica di ambito protostorico in Europa continentale.3
Anche se non mancano contesti produttivi adeguatamente scavati e pubblicati, per lItalia settentrionale si deve constatare una generale scarsit di dati che consentano

di porre in relazione diretta gli strumenti da lavoro con


unit di produzione ben definite spazialmente, come officine (intese come unit in senso architettonico) e aree
di lavoro artigianale (cfr. Costin 1991; Vidale 1992).Si
adottata pertanto una strategia comparativa volta a valorizzare tutte le informazioni che possano condurre ad
una comprensione della funzione e del significato socioculturale degli strumenti catalogati: ci si riferisce in particolare alla comparazione con i numerosi contesti funerari e depositi (ripostigli) europei, in cui essi appaiono
reciprocamente associati in toolkit ipoteticamente collegati alla produzione metallurgica.4 Non mancano in realt
contesti di questo tipo anche in Italia, specialmente fra i
cosiddetti ripostigli, mentre le deposizioni tombali sono
quasi del tutto assenti nella penisola per gran parte dellet del Bronzo.
necessario premettere come lindagine si sia dovuta
concentrare sulle classi di utensili pi diffuse tra Bronzo e
Ferro in Italia del nord, e che presentano minori problemi
didentificazione; non vengono, inoltre, prese in considerazioni classi come seghe, punzoni, trapani ecc., il cui
numero di attestazioni si riduce a pochissimi esemplari, di
datazione per lo pi tarda. Nel complesso, il lavoro corrisponde ad un primo livello di approssimazione, che si
auspica possa contribuire, congiuntamente a scavi mirati
in aree produttive e allapplicazione pi sistematica di approcci di tipo archeometrico, ad una migliore comprensione delluso di questa vasta gamma di strumenti nellartigianato metallurgico protostorico.
1. Strumenti a percussione lanciata, attivi
Le operazioni di percussione costituiscono una parte assolutamente considerevole, e in termini di tempi di lavorazione preponderante, del processo di produzione metallurgica secondaria (e.g. Pernot 1998). Limportanza
della percussione come gesto tecnico daltra parte notevole in molti altri rami dellartigianato, che pure presen-

1 Si ringrazia in modo particolare la dott.ssa I. Pulini, direttrice del Museo, e C. Zanasi per aver facilitato in tutti i modi lo svolgimento della
ricerca nel Museo Civico di Modena; un ringraziamento speciale inoltre a Gian Luca Pellacani per il fondamentale supporto nellaccesso ai
materiali conservati presso lo stesso.
2 Per i meccanismi chimico-fisici di usura delle superfici in pietra levigata: Adams 1993. Specificamente sullanalisi funzionale degli strumenti in pietra utilizzati nella manifattura di oggetti in rame e bronzo: Delgado-Raack, Risch 2008. Attivit sperimentali con strumenti litici in
ambito metallurgico: Freudenberg 2009; Clarke 2014; Iaia 2015.
3 Vedi in particolare: Jockenhvel 1982; Jantzen 2008; Nessel 2008; 2010. Una metodologia pi radicata nellambito anglo-americano, che
considera insieme analisi delle tracce duso e pratiche sperimentali per giungere ad una ricostruzione della funzione degli strumenti da lavoro:
Fregni 2014.
4 La letteratura sulle deposizioni tombali attribuite a metallurghi nellEuropa centro-settentrionale e penisola iberica fra et del Rame e
Bronzo vastissima: riassuntivamente Fitzpatrick 2009; Brandherm 2010; Nessel 2012. Sulle associazioni di strumenti in depositi di bronzi:
Nessel 2010.

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


tano legami di varia natura con la metallurgia. Si pu ricorrere a questo proposito alle parole di uno degli autori
che maggiormente hanno influenzato le analisi tecnologiche degli ultimi decenni in preistoria, A. Leroi-Gourhan:
Fendere, martellare, tagliare, polire, dividere la materia
per ricomporla in seguito, sono i fini che assorbono il meglio dellintelligenza tecnica. Per tutti questi fini un solo
mezzo offerto: la percussione (Leroi-Gourhan 1971, p.
47. T.d.A.).
Martelli, mazzuoli/magli, e percussori possono essere
definiti strumenti a percussione lanciata (Leroi-Gourhan1971, p. 48); sono inoltre strumenti attivi, cio utilizzati in azioni consistenti nel colpire direttamente un oggetto al fine di modificarne la forma (percussione diretta),
o per agire indirettamente su un secondo strumento che
trasmette i colpi alloggetto in lavorazione (percussione
indiretta). Sono dotati di una o pi facce attive, il battente.
Sono costituiti sostanzialmente dalle classi seguenti.
1. 1. Martelli litici
I martelli litici che si rinvengono in contesti norditaliani
dellet del Bronzo costituiscono una categoria di strumenti estremamente ampia e articolata. In base alla morfologia complessiva e al tipo di immanicatura, possono
suddividersi nelle seguenti classi:
martelli ad occhio
martelli doppi o mazzuoli
martelli asciformi.
La relazione con pratiche della metallurgia non da
considerare esclusiva, anche se, almeno nel caso dei martelli asciformi, sembra lopzione pi verosimile. Come si
vedr nel corso dellesame, ciascuna classe presenta caratteristiche peculiari in termini di morfologia, materiali
impiegati e tecniche di fabbricazione (aspetto peraltro qui
non affrontato, e che richiederebbe approfondimenti ad
hoc). Ci pu dipendere da vari fattori legati al contesto
locale, quali ad esempio la disponibilit di materie prime,
o lesistenza di tradizioni artigianali specifiche di alcune
aree.
1. 1. 1. Martelli a occhio
Nellambito dellampia categoria delle asce-martello forate in pietra levigata, caratteristiche di gran parte dellEneolitico (Colini 1892; Carrisi 2003), ma con evidente prosecuzione in Italia settentrionale ben dentro lantica
et del Bronzo,1 possibile enucleare un piccolo gruppo

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di strumenti le cui caratteristiche morfologiche ne segnalano una pi verosimile interpretazione come strumenti
da lavoro dotati di uno o pi battenti, piuttosto che come
armi (le quali tendono a possedere una lama dotata di capacit fendenti). Bench si tratti in prevalenza di esemplari frammentari, possibile riconoscervi alcune caratteristiche peculiari (Fig. 2): la posizione per lo pi centrale
del foro destinato a ospitare il manico in legno, che fa pensare ad una certa simmetria fra i due battenti; lassenza,
nellunico caso integro (MO1 da Desenzano del GardaCorno di Sotto) di un vero tagliente, che peraltro potrebbe essere stato smussato dallusura; la presenza di almeno un battente piatto (cat. MO2-MO7), molto adatto per
azioni percussive.
Tutti gli esemplari provengono dallarea a nord del Po,
in maggioranza da siti palafitticoli, e secondariamente da
alcune terramare, indicando come la loro produzione non
si sia interrotta con la fine dellantica et del Bronzo, anche se gli scarsi dati in nostro possesso lasciano credere che
difficilmente essa si sar prolungata oltre momenti iniziali e pieni della media et del Bronzo. Verosimilmente al
BM sono da riferire gli esemplari dalle terramare mantovane di Villa Cappella e Castellazzo (cat. MO3, MO4,
MO7, Fig. 2).
In questo ambito, molto peculiari sono i due martelli di
piccole dimensioni da Ledro MO8, MO9 (Fig. 2), dotati
con evidenza di due battenti simmetrici, che potrebbero
far pensare a strumenti per lavori di rifinitura o per foggiatura di piccole lamine, cosa del resto confermata dalle
abrasioni e alterazioni in corrispondenza della porzione
attiva dello strumento.
Catalogo dei martelli a occhio
MO1 Corno di Sotto (Desenzano, bs). Integro. L. 7,4, largh.
4,6. Sopr. Arch. Lombardia, inv. 25586. Tizzoni 1982, p. 166,
n. 7, fig. 27, 4.
MO2 Isolone del Mincio (Volta Mantovana, mn). Scavi 1955-56,
Sopr. Arch. Lombardia diretti da Mirabella Roberti, Rittatore, Zorzi. Frammentario (circa met). L. 5,8, largh. 4,2. Sopr.
Arch. Lombardia, Palazzo Ducale Mantova, inv. 9269. Guerreschi 1982, p. 205, n. 61, fig. 55,28.
MO3 Villa Cappella (Cesarea, mn). Dalla terramara omonima,
dono Luigi Ballarini al Museo Pigorini. Frammentario. L. circa 5,36; testa mm 18 30. Serpentino. Roma, Museo Pigorini, inv. 46098. Colini 1892, p. 153, n. 3, tav. x, fig. 9.
MO4 Villa Cappella (Cesarea, mn). Dalla terramara omonima,
dono Luigi Ballarini al Museo Pigorini. Frammentario. L. 5,8
circa. Serpentino. Roma, Museo Pigorini, inv. 46097. Colini 1892, p. 152, n. 2, tav. x, fig. 6.

1 Per un elenco parziale delle asce a ferro da stiro da contesti insediativi del BA-BM/BR in Italia del nord vedi: Casini 2003, p. 80.

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MO5 Canar (Castelnovo Bariano, ro). Frammentario. L. 5,9,


largh. 3,8, spess. 2,6. Serpentinite. Soprintendenza Archeologica Veneto, Nucleo Operativo Verona inv. St. L.G. 34475.
Salzani 1996a, p. 246, n. 632, fig. 157.7.
MO6 Grezzanin (Povegliano Veronese, vr). Raccolte di superficie in abitato. Frammentario. L. 6,5; largh. 4,5. Serpentinite. Soprintendenza Archeologica Veneto, Nucleo Operativo Verona inv. St.I.G. VR 25459. Salzani 1996a, p. 244, n. 625,
fig. 159.12.
MO7 Castellazzo (Bigarello, mn). Recuperi seconda met 800
da terramara. Frammentario. Serpentino. Roma, Museo
Pigorini, inv. 17515. Colini 1892, p. 150, n. 1, tav. x, fig. 8.
MO8 Ledro (tr). Strato iii scavi R. Battaglia e G. Nicolussi. Lacunoso. L. 14; largh. 2,7; spess. 3,4. Marmo quarzo-cloridico
grigio. Trento, Museo Provinciale dArte, n. inv. St. L 15442.
Dal Ri 1996, p. 246, fig. 162, 1.
MO9 Ledro (tr). Recupero da terreni di frana antistanti la palafitta, scavi Museo Tridentino di Scienze Naturali, anni 60,
dir. G. Tomasi. Frammentario. L. 7,2; largh. 4,4; spess. 3,1. Pietra verde. Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento n.
inv. St. L 12784. Dal Ri 1996, p. 246, fig. 162, 2.

1. 1. 2. Martelli doppi a solco centrale, o mazzuoli


Si tratta di strumenti ricavati da grandi ciottoli, per lo pi
in arenaria, di forma grossolanamente ovoide o sferica
schiacciata, che un solco pi o meno ampio e profondo
spartisce in due met pressappoco simmetriche (Figg.
3,4). Le estremit di queste due met costituiscono con
tutta evidenza le facce attive dello strumento, i battenti,
teoricamente entrambi utilizzabili (anche se le usure denotano in genere un uso preferenziale di un solo battente). Dovevano in gran parte essere immanicati per mezzo
di un bastone in legno, fissato tramite legature al solco ricavato al centro. Tale solco presenta le forme pi varie:
una gola semicircolare, una concavit appena accennata,
una scanalatura regolare realizzata a scalpello, una sottile
incisione la cui natura sembra difficilmente compatibile
con unimmanicatura.
In termini generali, tali utensili si presentano come una
categoria molto problematica e scarsamente studiata. Una
comparazione superficiale indurrebbe ad accostarla ai cosiddetti mazzuoli litici, categoria ampia e generica nota
nella letteratura anglo-sassone sotto la dicitura hammerstones o grooved hammerstones (De Pascale 2003), e in quella centro ed Est-europea come Rillenhammer (Kauba,
Kaiser 2009, con bibl. prec): si tratta di massicci e grossolani magli, o mazze, che si rinvengono di norma in conte-

sti preistorici minerari europei ed extra-europei, tra v e ii


millennio a.C., in associazione con molti altri strumenti in
osso/corno o legno. Ben noti sono gli esemplari da Rudna
Glava, Aibunar, Libiola, Monte Loreto, ecc. (De Pascale
2003; Hunt Ortiz 2003, pp. 281-283). Per questa categoria
di strumenti sussistono, comunque, varie incertezze sulle
sfere funzionali, che oscillano fra lestrazione/arricchimento di minerali (beneficiation, smelting), e la forgiatura o
formatura di oggetti metallici. Rari sono in Europa i contesti in cui la correlazione con pratiche metallurgiche secondarie sicura.1
Gli strumenti qui considerati, tuttavia, differiscono dai
mazzuoli rinvenuti in siti minerari e di smelting sotto vari
aspetti: minori dimensioni e minore peso (che raramente
supera i 400 grammi contro i circa 1-4 kg per quelli da aree
minerarie), maggiore regolarit di forma e accuratezza di
fattura, ma soprattutto uso frequente di materiali pi teneri e friabili, di regola arenarie (anche se non ne mancano in materiali a grana fine, certamente pi resistenti). Parimenti, il tipo di contesti di provenienza, abitati dellet
del Bronzo di area padana, subalpina o alpina in opposizione a siti di estrazione/riduzione del minerale, li segnala come qualcosa di peculiare e distinto.
Nellambito di questa ricerca stato catalogato un
campione di 39 esemplari (esemplificazione in Figg. 3,4),
distribuiti in una vasta porzione dellItalia settentrionale
(con lapparente eccezione del suo settore occidentale),
ma in realt il numero degli esemplari esistenti nei musei
italiani (specialmente in quello di Modena) di gran
lunga pi elevato. Allo stato attuale delle conoscenze, le
provenienze favoriscono in misura schiacciante lEmilia
occidentale, con particolare riguardo al sito di Montale.
Gli scavi ottocenteschi in questultima terramara hanno
restituito in totale circa 45 esemplari, a cui ne vanno accostati numerosi altri dallarea modenese (Casinalbo, Castiglione di Marano, Rastellino, Gorzano ecc.). Gli esemplari da terramare sono per lo pi realizzati in arenarie di
vario tipo, dalle pi fini e compatte, alle pi grossolane e
friabili (quarzose); non mancano per diversi casi di rocce a grana fine, che si accompagnano di regola ad una accurata levigatura delle superfici (vedi ad es. cat. MD16,
MD25 da Montale: Fig. 3). Al di fuori dellEmilia, in particolare nei siti perilacustri del comprensorio gardesano e
nellarea alpina, si riscontra pi frequentemente luso di
materiali pi compatti e resistenti allusura, come gneiss
e granito.

1 In Ukraina, nellinsediamento di Usovo Ozero della cultura Srubnaja, sono testimoniati esemplari recanti tracce di minerale metallico, forse
usati anche per la rifinitura di oggetti: Kauba, Kaiser 2009, p. 178. Nella penisola iberica non mancano anche diverse attestazioni da abitati del
Calcolitico e del Bronzo: Hunt Ortiz 2003, p. 285.

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Le misure di questi strumenti mostrano una certa omogeneit. La maggior parte degli esemplari si concentra fra
5-8 cm di lunghezza e 5-7 cm di larghezza massima. Fanno
eccezione due esemplari, MD33 da Imola, Monte Castellaccio (Fig. 4), e MD39, dal sito altoatesino di Ganglegg
(Fig. 4), che si differenziano nettamente per le dimensioni, ma anche per la forma e il materiale.1 Lanalisi del peso di 62 esemplari di martelli doppi, in grandissima maggioranza da terramare (comprendendo anche esemplari
non inseriti nel catalogo), non ha evidenziato aggregazioni di particolare significato (vedi grafico a Fig. 5). Si pu
osservare che, con leccezione di due esemplari dal sito palafitticolo del BA di Lavagnone, con valori ponderali modesti di 109 e 170 grammi, la stragrande maggioranza dei
martelli copre abbondantemente la gamma fra i 300 e i 400
grammi; una minoranza si attesta fra i 400 e i 500, pochissimi oltre i 500 grammi. Si tratta pertanto di strumenti relativamente pesanti, per lo pi non adatti, dato anche il
materiale a grana grossolana e la morfologia, a lavori di rifinitura.
I martelli doppi catalogati si possono classificare in base
alla forma del battente, che per lo pi convesso ed a
calotta emisferica od ovale (MD1-MD23), pi raramente a
profilo tronco-conico o quadrangolare, marcatamente
appiattito (MD24-MD27), o conico-arrotondato (MD28MD31). In linea generale la solcatura mediana generalmente molto larga, talvolta poco profonda o appena avvertibile. Le tracce duso sui battenti possono essere molto
evidenti, fino al punto di modificare sensibilmente il profilo originariamente simmetrico dello strumento; negli
strumenti in arenaria (fra cui i numerosi da Montale) si
presentano sotto forma di usura da abrasione, mentre in
rocce a grana fine possono presentarsi come picchiettature concentrate (ad es. Fig. 3.MD16). Non mancano comunque esemplari con caratteri del tutto anomali.2
Il gruppo di martelli doppi dallAlto Adige (quasi tutti
da Ganglegg), MD34-MD39 (Fig. 4), presenta caratteri
peculiari. Sono realizzati per lo pi in scisto (non noto il
materiale dellesemplare da Welsberg-Monguelfo) e presentano una forma pi slanciata, a 8, o a doppio cilindro.
Si tratta di strumenti pi piccoli e pi adatti a lavori fini
in confronto a quelli visti in precedenza, a eccezione di

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MD39, che un utensile massiccio, adatto a pratiche di


forgiatura.
In Italia settentrionale si conoscono alcuni contesti
dabitato in cui tali strumenti si rinvengono in relazione,
almeno stratigrafica, con resti di pratiche metallurgiche
secondarie. Si pu citare in particolare lesemplare in
gneiss (MD2) dallarea fusoria di Castellaro del Vho, riferibile alla media et del Bronzo. Un po diversa la situazione del sito venostano di Ganglegg (Steiner 2007),
dove martelli doppi di varia foggia e dimensione si
rinvengono sia in giacitura secondaria ma con qualche
relazione spaziale con indicatori di attivit metallurgica
(pani di rame, forme di fusione ecc.: sett. 3 del 2001) sia
in relazione stratigrafica diretta con generici resti di attivit artigianali, come nella casa 8 del settore 3, databile al
passaggio BM3-BR.
In linea generale, si pu dire dunque che analisi e contesti indiziano, ma non provano realmente, limpiego di
questo genere di martelli nelle fasi secondarie della produzione metallurgica. In particolare, dato luso di materiali particolarmente abrasivi e soggetti ad usura, le dimensioni considerevoli dei battenti e la loro accentuata
convessit, se ne pu immaginare un uso in relazione ad
operazioni preliminari di sgrossatura del metallo grezzo,
meno verosimilmente in fasi di rifinitura dei getti di fusione. Soprattutto, recenti prove sperimentali hanno confermato la tendenziale scarsa economicit nella lavorazione
degli esemplari in arenaria, data la rapidit di esaurimento delle superfici battenti (Iaia 2015, p. 85). Peraltro, va tenuto presente che la loro morfologia li rende molto adatti anche ad un uso nella carpenteria, ad esempio nella
battitura di pali e cunei in legno. I dati sulle terramare, in
particolare il numero particolarmente elevato di esemplari da Montale, fra cui se ne riconoscono sia di usurati che
di apparentemente intatti, induce comunque a ritenere
che in alcune situazioni fossero impiegati con una certa intensit e con un ritmo piuttosto sostenuto di esaurimento-sostituzione.
Catalogo dei martelli doppi a solco centrale
MD1 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Piccole lacune. L. 7,6; diam. 5,5. Gr. 401. Arenaria fine. Museo
Civico di Modena, inv. 7754. Inedito: disegno C. Iaia.

1 Il martello da Monte Castellaccio di Imola, delle dimensioni di cm 14 10, un massiccio strumento in ofiolite, e sembra piuttosto apparentabile ai Rillenhammer dellEuropa centro-orientale, noti anche da contesti minerari (Kauba, Kaiser 2009). Quello da Ganglegg, il cui
materiale definito scisto dalleditore del contesto, presenta invece forma insolitamente slanciata (cm 17,4 5,5), con battenti appiattiti, ed
probabilmente, come si vedr, uno strumento specializzato impiegato nelle fasi secondarie della metallurgia.
2 Il martello a Fig. 4, cat. MD32 dalla terramara di Gorzano presenta diversi caratteri anomali. La forma dei battenti tendenzialmente conica
e appuntita, ma la forte usura ha creato un marcato appiattimento di uno dei due. Il materiale fine e compatto, e il peso notevole (529 grammi). Lusura e il peso potrebbero avvalorare lidea di un uso percussivo piuttosto intenso e prolungato.

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MD2 Castellaro del Vho (Piadena, Cr). Fase 4I, us 511 (da un
contesto con evidenze di pratiche metallurgiche: strutture di
combustione). Lacunoso. L. 8,8; largh. 6,3. Gr. 373. Gneiss
migmatitico. Baioni et alii 2001, tab. 7a, figg. 78, 87.5
MD3 S. Rosa di Poviglio (Poviglio, re). Scavi 1989: 89C, us 100.
Lacunoso. L. 8,6; largh. 4,5; sp. 4. Arenaria. Bernab Brea,
Cremaschi 2004, p. 689, fig. 312,1.
MD4 Castione Marchesi (Fidenza, pr). Scavi xix secolo. Integro. L. 6,7; largh. 5,8. Arenaria o calcare. Mutti et alii 1988,
fig. 70, 3.
MD5 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 5. Integro. L. 7,5; largh.
4.4. Pietra a venatura verdastra e bianca. Perini 1987, p. 117, li
421, tav. xxvi.
MD6 Monticelli di Guardasone (Traversetolo, pr). Terramara,
recuperi xix secolo. Integro. Museo di Parma. Mutti 1993, p.
138, fig. 131, 13.
MD7 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 8,2; largh. 6,2. Gr. 320. Arenaria quarzosa. Museo
Civico di Modena, inv. 7780. Inedito: disegno C. Iaia.
MD8 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Scavi de Marinis,
settore B h15, us 502. Integro. L. 6,15; largh. 3,8. Gr. 109,4.
Arenaria quarzosa. Casini 2003, p. 112, fig. 15, n. 63.
MD9 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Raccolte di superficie. Integro. L. 5,85; largh. 4,7. Gr. 172,7. Arenaria grossolana. Inv. St. 64622. Casini 2003, p. 112, fig. 15, n. 65.
MD10 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Raccolte di
superficie. L. 7,8; largh. 5,7. Gr. 366. Microconglomerato. Inv.
St. 64621. Casini 2003, p. 112, fig. 15, n. 64.
MD11 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Scavi Perini,
Sett. IC1, 5C. Integro. L. 7,8; largh. 6,2. Gr. 400,4. Arenaria
quarzosa. Casini 2003, p. 112, fig. 15, n. 62.
MD12 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Ampia lacuna laterale. L. 8,3; largh. 6. Gr. 320. Arenaria fine.
Museo Civico di Modena, inv. 7769. Inedito: disegno C. Iaia.
MD13 Peschiera (Peschiera del Garda, vr). Integro. L. 7,2;
largh. 5,37. Arenaria. Verona, Museo Civico di Storia Naturale, inv. 3595. Aspes, Buonopane 1982, p. 178, n. 113, fig. 36,22.
MD14 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 8,5; largh. 5,4. Gr. 353. Arenaria fine, compatta.
Museo Civico di Modena, inv. 7733. Inedito.
MD15 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Lacunoso. L. 6,8, largh. 6. Gr. 331. Arenaria quarzosa. Museo
Civico di Modena, inv. 7762. Inedito: disegno C. Iaia.
MD16 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 6,3, largh. 5,3. Gr. 333. Roccia a grana fine beige.
Museo Civico di Modena, inv. 7778. Inedito: disegno C. Iaia.
MD17 Ganglegg (Schludern-Sluderno, bz). Settore 4. Scavi
2000-2001. Frammento. L. 7,5. Scisto. Steiner 2007, p. 149, taf.
44,13.
MD18 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Lacunoso. L. 6,9, largh. 6,4. Gr. 374. Arenaria fine. Museo Civico di Modena, inv. 7750. Inedito.
MD19 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 8,9, largh. 6,3. Gr. 333. Arenaria molto fine e com-

patta. Museo Civico di Modena, inv. 7706. Inedito: disegno C.


Iaia.
MD20 Gorzano (Maranello, mo). Scavi xix secolo. Integro. L.
9,4, largh. 6,9. Gr. 587. Arenaria quarzosa. Museo Civico di
Modena, inv. 1234. Inedito.
MD21 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 5. Integro. L. 6,7, largh.
4.7. Granito lisciato. Perini 1987, p. 117, li 429 tav. xxv.
MD22 Castellaro del Vho (Piadena, cr). Integro. L. 8,25, largh.
5,1. Arenaria. Longhi 1997, fig. 161, 3r.
MD23 S. Rosa di Poviglio (Poviglio, re). Scavi 1990. 90C, uuss
9-10/E. Lacunoso. L. 7,6, largh. 6; sp. 5,1. Arenaria appenninica fine. Bernab Brea, Cremaschi 2004, p. 689, fig. 312,2.
MD24 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 7,96, largh. 6. Gr. 385. Arenaria quarzosa. Museo
Civico di Modena, inv. 7756. Inedito.
MD25 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 6,9, largh. 5,8. Gr. 343. Pietra nerastra molto fine.
Museo Civico di Modena, inv. 7800. Inedito: disegno C. Iaia.
MD26 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 6,8, largh. 6,3. Gr. 447. Arenaria quarzosa. Museo
Civico di Modena, inv. 7739. Inedito.
MD27 Gorzano (Maranello, mo). Scavi xix secolo. Integro. L.
9; largh. 5,2. Gr. 367. Arenaria molto compatta. Museo Civico
di Modena, inv. T.239 1255. Inedito: disegno C. Iaia.
MD28 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 6,8; largh. 6,4. Gr. 378. Arenaria quarzosa. Museo
Civico di Modena, inv. 7776. Inedito: disegno C. Iaia.
MD29 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 7,6; largh. 6. Gr. 302. Arenaria fine. Museo Civico
di Modena Montale, sn 211. Inedito: disegno C. Iaia.
MD30 Fondo Paviani (Torretta di Legnago, vr). Integro. L.
5,88; largh. 6. Arenaria. Museo Fondazione Fioroni Legnago.
Salzani 1976, p. 140, n. 35, fig. 6,10.
MD31 Casaroldo di Samboseto (pr). Integro. L. 8,16; largh.
7,08. Arenaria. Mutti 1993, p. 62, fig. 25,12.
MD32 Gorzano (Maranello, mo). Scavi xix secolo. Integro. L.
10; largh. 6,2. Gr. 529. Arenaria molto compatta e dura, ricca
di feldspati. Museo Civico di Modena, inv. 1240. Inedito: disegno C. Iaia.
MD33 Monte Castellaccio (Imola, bo). Scavi xix secolo. Integro. L. 14,1; largh. 10,14. Ofiolite. Imola, Musei Civici. Mengoli 1996b, p. 301, n. 2861, tav. 3.
MD34 Welsberg-Monguelfo (bz). L. 8,19; largh. 5,22. Bolzano,
Museo Archeologico dellAlto Adige, inv. 167. Lunz 1977, p.
52, abb. 101.
MD35 Ganglegg (Schludern-Sluderno, bz). Settore 5, scavi
2001. Integro. L. 7,2; largh. 3,8. Scisto. Steiner 2007, p. 149,
taf. 51,4.
MD36 Ganglegg (Schludern-Sluderno, bz). In giacitura secondaria da Settore 4, scavi 2000-2001. Integro. L. 7,5; largh. 4.
Scisto. Steiner 2007, p. 149, taf. 44,12.
MD37 Ganglegg (Schludern-Sluderno, bz). Settore 5, scavi
2001. Integro. L. 7,8; largh. 3,36.Scisto. Steiner 2007, p. 149,
taf. 51,3.

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


MD38 Ganglegg (Schludern-Sluderno, bz). Casa 8, settore 3.
Integro. L. 9; largh. 3,66. Scisto. Steiner 2007, p. 149, taf.
15,3.
MD39 Ganglegg (Schludern-Sluderno, bz). Casa 8, settore 3.
Integro. L. 17,4; largh. 5,5. Scisto. Steiner 2007, p. 149, taf.
15,8.

1. 1. 3. Martelli asciformi
Nellambito dei contesti dellet del Bronzo in Italia settentrionale sono stati riconosciuti 25 esemplari di martelli
(quasi tutti riprodotti in Fig. 6) la cui forma, da triangolare a rettangolare e subtrapezoidale, li apparenta strettamente alle accette di tradizione neolitica ed eneolitica; da
queste ultime, si differenziano tuttavia per lassenza del tagliente, e per la presenza al suo posto di una faccia piatta,
pi o meno ampia: un vero e proprio battente. Il riconoscimento dellesistenza di questa classe nei contesti del
Bronzo europeo si deve allacume dello studioso tedesco
H. J. Hundt che per primo la individu, verificandone anche leffettiva funzionalit con pionieristiche prove sperimentali di foggiatura di oggetti in bronzo (Hundt 1975).
Il corpus di reperti riferibili a questa classe si andato allargando in Europa continentale solo di recente, di pari
passo con il procedere di verifiche sperimentali (Delgado-Raack, Risch 2008, p. 239; Freudenberg 2009; Boutoille 2012; Iaia 2015).
Per lItalia settentrionale, non stato possibile individuare contesti abitativi o di altro genere in cui questo tipo
di martelli siano incontrovertibilmente, e stratigraficamente, associati a evidenze di produzione metallurgica; il
fatto che in diversi degli insediamenti considerati tali evidenze siano comunque presenti, da considerarsi ovviamente un dato non probante, anche se pu essere un piccolo indizio. Diversi elementi si ricavano invece da siti di
varia cronologia dellEuropa continentale.1
I martelli asciformi dallItalia settentrionale finora individuati sono di regola realizzati in pietra verde, specialmente eclogite, na-pirossenite, anfibolite ecc. Come nel

71

caso delle accette neo-eneolitiche, ampie porzioni dello


strumento appaiono levigate o lustrate, cosa che in parte
pu essere dovuta, oltre che alla rifinitura complessiva del
pezzo, allazione di ripetuta percussione su materiali
duri.2 Le dimensioni sono per lo pi modeste, non
superando quasi mai i 10 cm di lunghezza (uneccezione
M3 lungo 13,5 cm); il battente, di regola piatto o poco convesso (ma ci probabilmente a causa dellusura), presenta
ampiezza molto variabile. comunque evidente che ci
troviamo di fronte a strumenti adatti a lavori fini, ad
esempio alla laminazione di oggetti in lega di rame non
particolarmente massicci, piuttosto che non a martellature intensive.
Essi dovevano per lo pi essere immanicati alla stessa
stregua delle asce, con linserimento in un bastone ligneo
ricurvo (ricostruzione in Iaia 2015, fig. 6.A): lo indicano sia
la regolare morfologia asciforme della maggior parte degli esemplari, sia, talvolta, alcune tracce osservabili a livello macroscopico (picchiettature in prossimit del tallone,
solchi nella porzione mediana: ad es. n. M14); non si pu
tuttavia escludere che fossero anche utilizzati a mano, come di sicuro doveva avvenire per i percussori (vedi classe
successiva). In alcuni casi possibile si sia trattato di asce
antiche, neo-eneolitiche, riutilizzate come martelli dagli
artigiani dellet del Bronzo:3 in particolare ci vale per gli
esemplari nn. M1-M3, e forse M4, come suggerito dalla forma triangolare e dalla lama tendente a rastremarsi, oltre
che da evidenti tracce di usura e rilavorazione. La presenza di vere e proprie accette in pietra verde non chiaro
se di riutilizzo o prodotte ancora nellet del Bronzo ,
del resto, ancora ampiamente testimoniata in contesti dellantica e media et del Bronzo.4
Deve essere considerato che un censimento di questi
strumenti appena agli inizi.Le provenienze si dividono,
quasi alla pari, fra siti del comprensorio palafitticolo
gardesano e trentino (Lavagnone, Cisano, Bor di Pacengo,
Ledro, Fiav) e terramare (Castellaro di Gottolengo, Montata dellOrto, Santa Rosa di Poviglio, Montale, Gorzano

1 Martelli asciformi sono gi ampiamente documentati in insediamenti iberici calcolitici del periodo Los Millares: Delgado-Raack, Risch
2008, p. 239, fig. 5.3. Un lungo martello subtrapezoidale fa parte del ricco set di strumenti litici della tomba campaniforme di Orca de Seixas: Brandherm 2010, abb.3.8. In epoca molto pi recente, un martello in pietra levigata a profilo triangolare e ampio battente fa parte, unico elemento
litico, del grande complesso di strumenti da lavoro in bronzo di Petite Laugre, Gnelard, il cui legame con operazioni di post-casting appare indubitabile: Thevenot 1998, fig. 3.4. La datazione di questultimo contesto orienta verso una fase iniziale del Bronzo tardo transalpino.
2 Vedi in particolare i nn. M2, M4, M11, M15, dove leffetto di lustro riguarda la porzione distale e il battente del martello.
3 Casini 2003, pp. 88-93, con ampia discussione sullargomento. Da rifiutare in base al complesso delle evidenze sugli strumenti in pietra levigata invece lidea, accennata da S. Occhi (Occhi 1997) che si tratti esclusivamente di asce neo/eneolitiche riutilizzate nellet del Bronzo.
4 Solo a titolo di esempio, un numero consistente di accette litiche proviene da siti del veronese: Salzani 1996a, fig. 157.1-3; 9-11; fig. 158.1; fig.
160.2,3; fig. 161.2-6. Siti circum-gardesani: Cisano: Fasani 1980, tav. xx.1; Porto di Pacengo: Mostra Lazise 1992, p. 63, fig. 2.1; Lazise-la Quercia:
Mostra Lazise 1992, fig. 6.4,5. Analoghi strumenti, bench pi rari, provengono anche da terramare: Castellaro del Vho: Frontini 1997, fig.
161.1.r, 2.r.; Fraore: Occhi 1997, fig. 322.4.

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72

cristiano iaia

ecc.); non mancano esemplari dallarea ligure (Bric Reseghe, Grotta Cornarea) e dallAlto Adige (Tiers-Tires).
Allo stato attuale, si pu osservare una cronologia generica estesa a tutta let del Bronzo, mentre let del Ferro per il momento non attestata. Gran parte degli esemplari sembra potersi datare al BA e BM, mentre lunico
esemplare sicuramente databile al Bronzo tardo quello
di Bric Reseghe, nel Savonese.
Catalogo dei martelli asciformi
M1 Bor di Pacengo (Lazise, vr). Recupero Soprintendenza Veneto. Integro. L. 9,5; largh. 4,5; sp. 2,3. Eclogite. Sopr. Arch.
Veneto, Nucleo Operativo Verona, inv. St. I.G. VR 28434. Salzani 1996a, p. 239, n. 593, fig. 158,2.
M2 Guardamonte (Gremiasco, pv, Ponte Nizza, al). Strato F,
saggio B/1956, scavi Lo Porto 1952-1956. Integro. Onfacitite.
Museo di Antichit, Torino. Giaretti 2004, p. 233, fig. 205.
M3 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Raccolte di superficie Merici 1973-1990. Integro. L. 13,5; largh. max 4,6; spess
max 1,6. Anfibolite. St 38545. Casini 2003, p. 99, n. 1, fig. 7.
M4 Gorzano (Maranello, mo). Strato IB scavi Coppi. Integro.
L. 9,5; largh. 5,2; sp. 2,7. Pietra verde. Museo Civico di Modena, inv. 1245. Occhi 1997, p. 523, fig. 292, 11; disegno C. Iaia.
M5 Castellaro di Gottolengo (Gottolengo, bs). Lacunoso presso il battente/tagliente. Pietra verde. Roma, Museo Pigorini.
Penna 1947-50, p. 71, fig. 4a.
M6 Tiers-Tires (bz). Rinvenimento occasionale. Integro. Pietra levigata. Museo Archeologico di Bolzano. Lunz 2005, p.
341, fig. 171.
M7 Bor di Pacengo (Lazise, vr). Recupero Soprintendenza Veneto. Integro. L. 7,6; largh. 4,4; sp. 2,4. Eclogite. Sopr. Arch.
Veneto, Nucleo Operativo Verona; inv. St. I.G. VR 28435. Salzani 1996a, p. 241, n. 596, fig. 158,5.
M8 Ledro (tn). L. 6,7; largh. 4,1; sp. 1,8. Ardesia nera. Trento,
Museo di Storia Naturale. Hundt 1975, p. 116, taf. 31.5.
M9 Campo Pianelli (Castelnovo ne Monti, re). Scavi Chierici
xix secolo. Integro. L. 7,5; largh. 4,4; sp. 2,25. Eclogite. Reggio
Emilia, Musei Civici, inv. CP58. Occhi 1997, p. 523, fig. 292,5.
M10 S. Rosa di Poviglio (Poviglio, re). Scavi 1987, us 15 b, 1987,
D 14. Integro. L. 5,9; largh. 2,9; sp. 1,6. Eclogite. Occhi 1997,
p. 523, fig. 292,1; Bernab Brea, Cremaschi 2004, p. 688, fig.
311,1.
M11 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Raccolte di superficie Merici 1973-1990. Integro. L. 6,5, largh. 4,2; sp. 2,3. St
38540. Casini 2003, p. 102, n. 4, fig. 7; Casini et alii 2006, tab.
i, n. 4, 739, fig. 1.
M12 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Raccolte di superficie Merici 1973-1990. Piccole lacune. L. 7,7, largh. 4,9; sp.
2,5. Gr. 192,6. Eclogite granatifera. St 38541. Casini 2003, p.
102, n. 5, fig. 7; Casini et alii 2006, tab. i, n. 5.
M13 Cisano (Bardolino, vr). Recuperi 1938-1940 nel porto di Cisano. Lacuna al tallone. L. 5,6; largh. 3,6; sp. 2,1. Pietra verde.
Verona, Museo Civico di Storia Naturale, IS 6173. Fasani
1980, p. 98, tav. xxviii, 6.

M14 Cisano (Bardolino, vr). Recuperi 1938-1940 nel porto di Cisano. Integro. L. 6,2; largh. 4; sp. 1,8. Pietra verde. Verona,
Museo Civico di Storia Naturale, IS 11107. Fasani 1980, p. 98,
tav. xxviii, 4.
M15 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo. L.
5,9; largh. 4,5; sp. 2,25. Pietra verde. Museo Civico di Modena,
inv. 7806. Occhi 1997, p. 523, fig. 292,6; disegno C. Iaia.
M16 Montata dellOrto (Alseno, pc). Raccolte di superficie
MANPr. L. 5,9, largh. 4,05; sp. 2,05. Pietra verde. Mutti 1993, p.
75, fig. 47,14; Occhi 1997, p. 523, fig. 292,3.
M17 S. Rosa di Poviglio (Poviglio, re). Trincea 7, us 3, scavi
1990. Frammento. L. 4,6, largh. 2,2; sp. 2,15. Eclogite. Occhi
1997, p. 523, fig. 292,2; Bernab Brea, Cremaschi 2004, p.
689, fig. 311,2.
M18 San Giorgio (Brignano Frascata, al). Ricognizioni 1974.
Frammentario. Na-pirossenite o eclogite. Salzani, Venturino Gambari 2004, p. 190, fig. 154.7.
M19 Corno di Sotto (Desenzano bs). Scavi Fusco anni 1960. L.
7,7, largh. 5,7. Pietra verde. Sopr. Arch. Lombardia, inv. 25583.
Tizzoni 1982, 166, n. 10, fig. 27, 3
M20 Fiav Carera (Fiav, tn). Lacunoso. L. 6,9, largh. 3,7; sp.
1,1. Pietra verde. Perini 1987, p. 117, li 412, tav. xxiv.
M21 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo. Integro. Foro passante presso il tallone. L. 5,95, largh. 4,5; sp. 2,1.
Pietra verde. Museo Civico di Modena, inv. 7818. Inedito: disegno C. Iaia.
M22 Gorzano (Maranello, mo). Scavi xix secolo. Integro. L.
9,8; largh. 3,7; sp. 2,2. Pietra nerastra molto fine. Museo Civico di Modena. Inedito: disegno C. Iaia.
M23 Grotta Cornarea (Cosio dArroscia, im). Scavi Istituto Paletnologia di Genova, 1975. Integro. L. 9,5, largh. 4. Pietra verde. Odetti 1982, p. 394, tav. vi, 5.
M24 Montata dellOrto (Alseno, pc). Collezione ottocentesca.
Integro. L. 8,6; largh. 3,5; sp. 2,15. Pietra verde. Museo Civico
Piacenza, inv. P386. Mutti 1993, p. 75, fig. 47,10; Occhi 1997,
p. 523, fig. 292,8.
M25 Bric Reseghe (Finale Ligure, sv). Scavi anni 80 Soprintendenza Beni Archeologici della Liguria. Integro. L. 6,6,
largh. 2,8, sp. 1,8. Pirossenite. Genova, Depositi Sopr. Archeologica, inv. 82323. De Marinis, Spadea 2004, p. 176,
scheda iii,24.1.

1. 2. Percussori litici
La classe dei percussori individua strumenti dalla funzione analoga a quella dei martelli, ma che, data la morfologia e lassenza di tracce duso derivanti da immanicatura,
si presume fossero impiegati direttamente a mano o percossi con mazzuoli. La loro forma, pi che corrispondere
a modelli preordinati, sembra determinata dalluso e dallazione percussiva stessa. In una visione prettamente evoluzionistica delle tecniche, si sarebbe passati gradualmente dai percussori ai martelli immanicati (Leroi-Gourhan
1971, p. 51); in realt evidente come, in contesti caratte-

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


rizzati da sistemi tecnici di una certa complessit, quali
certamente le comunit dellet del Bronzo dellItalia settentrionale, le due categorie rappresentino due modalit
molto diverse, e forse in parte complementari, di percussione lanciata: nel caso dei percussori unazione vigorosa
e, in molti casi, estesa a superfici ampie, oltre che dotata di
scarso grado di precisione (attivit di sgrossatura); nel caso dei martelli, unazione pi debole in termini di massa e
impatto, ma pi circoscritta e mirata.
La relazione dei presunti percussori con attivit metallurgiche da considerare probabile nei contesti abitativi
di Monte Castellaccio di Imola,1 Fiav e soprattutto Castellaro del Vho (Baioni et alii 2001). Nel resto dEuropa
percussori/martelli confrontabili con quelli norditaliani
sono attestati in tombe ed insediamenti. In particolare, in
abitati argarici e post-argarici includenti inequivocabili resti di officine metallurgiche sono testimoniati percussori/martelli di forma cilindrica, dei quali anche le tracce
duso rendono verosimile un utilizzo in intense operazioni di percussione su metallo (Delgado-Raack, Risch
2008, fig. 5.4, 12).
Sono stati catalogati come percussori 18 strumenti dallItalia settentrionale, realizzati per lo pi con rocce a grana fine (eclogite, serpentiniti, calcari ecc.), raramente con
arenarie quarzose (Fig. 7).
Le forme e le dimensioni sono le pi varie. I percussori
emisferici o sub-sferici (P1-P4), cilindrici (P5, P6), sub-ovoidi (P7-P9) sono per lo pi di dimensioni medie e grandi. Le
superfici attive variano da piatte (P1, P2, P7), a marcatamente convesse, e in alcuni casi possono essere multiple. I
percussori sub-conici, tronco-piramidali o cilindrici (P10P18), per cui in alcuni casi sussiste il dubbio che si tratti di
lisciatoi/levigatoi, sono a volte di dimensioni piccole o
molto piccole; la superficie attiva generalmente unica e
appiattita, ma non mancano anche qui casi di superfici
multiple, come il n. P16 da Lavagnone, che fu probabilmente impiegato anche come lisciatoio.
Le tracce dusura sono state registrate solo in alcune
pubblicazioni (si veda specialmente Casini 2003 per il caso di Lavagnone), e sembrano per lo pi seguire il pattern
delle fitte picchiettature concentrate sul battente, ma talvolta presenti anche, in misura minore, sul tallone. Gli
esemplari pi grandi e massicci, sia di forma sub-sferica e
cilindrica che tronco-piramidale, mostrano in genere le
tracce di usura pi evidenti, largamente osservabili anche
a occhio nudo: nei casi, ad esempio da Monte Castellaccio

73

(P5), Castellaro del Vho (P4), Fiav (P6), e Lavagnone (P13,


P17), si pu pensare a veri e propri martelli impiegati a mano. In effetti, pratiche di sperimentazione con analoghi
strumenti ne hanno ampiamente confermato lefficacia
nella deformazione plastica di oggetti in lamina di rame o
bronzo.2
Catalogo dei percussori
P1 Monte Barello (Castelvetro, mo). Integro. L. 6; diam. 7. Arenaria fine. Museo Civico di Modena, inv. 1372. Inedito: disegno C. Iaia.
P2 Bor di Pacengo (Lazise, vr). Recupero Sopr. Arch. Veneto.
Integro. Diam. 7,5. Eclogite. Sopr. Arch. Veneto, Nucleo Operativo Verona, inv. St. I.G. VR 28439. Salzani 1996a, p. 241, n.
598, fig. 158,7.
P3 Monte Castellaccio (Imola, bo). Percussore subsferico. Integro. L. 6; diam. 6,4. Selce. Musei Civici di Imola. Mengoli
1996b, p. 297, tav. 3, n. 2062.
P4 Castellaro del Vho (Piadena, cr).Scavi Musei Civici Milano, 1996-1999. Integro. Gneiss. Baioni et alii 2001, p. 143, fig.
87.6.
P5 Monte Castellaccio (Imola, bo). Piccole lacune. L. 8,8;
largh. max 6. Selce. Musei Civici di Imola. Mengoli 1996b,
p. 297, tav. 3, n. 2057.
P6 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 4 D1. Integro. L. 9; largh. alla base 6,8. Roccia cristallina. Perini 1987, p. 118, li 425, tav.
xxvi.
P7 Cisano (Bardolino, vr). Recuperi 1938-1940 nel porto di
Cisano. Integro. L. 8,4; largh. 5,4; sp. 3,1. Calcare. Verona,
Museo Civico di Storia Naturale, IS 11639. Fasani 1980, p. 98,
tav. xxviii, 10.
P8 Porto di Pacengo (Lazise, vr). Recupero Sopr. Arch Veneto.Integro. L. 8,7; largh. 6; sp. 4,5. Pietra verde. Sopr. Arch. Veneto, Nucleo Operativo Verona, inv. St. I.G. VR 28450. Salzani 1996a, p. 241, n. 609, fig. 159,7.
P9 Cisano (Bardolino, vr). Recuperi 1938-1940 nel porto di
Cisano. Lacunoso in corrispondenza del battente. L. 7,2;
largh. 4,5; sp. 2,7. Pietra verde. Verona, Museo Civico di Storia
Naturale, IS 11109. Fasani 1980, p. 98, tav. xxviii, 7.
P10 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Raccolte Merici
1973-83. Integro. L. 5,2; largh. 3,8; sp. 2,2. Quarzilutite. Casini
2003, p. 106, n. 34, fig. 10.
P11 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Scavi de Marinis,
sett. A, 08, us 335c. Integro. L. 7,85, largh. 4,8; sp. 3,2. Arenaria
quarzosa. Casini 2003, p. 110, n. 60, fig. 14.
P12 Bor di Pacengo (Lazise, vr). Recupero Sopr. Arch. Veneto. Integro. L. 7,5; largh. 5,2; sp. 3,4. Eclogite. Sopr. Arch. Veneto, Nucleo Operativo Verona, inv. St. I.G. VR 28440. Salzani 1996a, p. 241, n. 599, fig. 158,8.

1 Sulle tracce di pratiche metallurgiche a Monte Castellaccio (numerosi ugelli, residuo di fusione): Pacciarelli 1996, p. 282.
2 Freudenberg 2009; Clarke 2014. Attivit sperimentali da parte di M. e M. Binggeli nellambito del progetto OpenArch, in corso di pubblicazione: vedi preliminarmente Iaia 2015.

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cristiano iaia

P13 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 5 C1. Lacunoso. L. 11; largh.
5; sp. tallone 3,5. Pietra verde. Perini 1987, p. 118, li 414, tav.
xxv.
P14 Bor di Pacengo (Lazise, vr). Recupero Sopr. Arch. Veneto. L. 4,5; largh. 2,8; sp. 2,1. Serpentinite. Sopr. Arch. Veneto,
Nucleo Operativo Verona, inv. St. I.G. VR 28441. Salzani
1996a, p. 239, n. 600, fig. 158,9.
P15 Monte Venera (Castelnovo ne Monti, re). Scavi Chierici.
Integro. L. 4,8; largh. 3,9; sp. 1,7. Eclogite. Civici Musei di Reggio Emilia, Inv. 17160. Occhi 1997, p. 523, fig. 292,10.
P16 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Scavi de Marinis,
sett. A, us 454. Estese lacune. L. 7,3, largh. 3,7, sp. 2,1. Gr. 373,4.
Lutite quarzosa. Casini 2003, p. 110, n. 56, fig. 13; Casini et
alii 2006, tab. i, n. 56.
P17 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Raccolte di superficie Merici 1973-1990. Piccole lacune. L. 9, largh. 5,2, sp. 5. Gr.
474,8. Quarzoscisto.St 64623. Casini 2003, p. 110, n. 59, fig. 14;
Casini et alii 2006, p. 741, fig. 4, tab. i, n. 59.
P18 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Scavi de Marinis,
sett. B, h-i12, us 516. Integro. L. 6,1, diam. max 2,9. Arenaria
quarzosa. Casini 2003, p. 110, n. 61, fig. 14.

1. 3. Martelli in bronzo
Negli studi su questo particolare tipo di strumento in ambito europeo esistono filoni caratterizzati da approcci nettamente differenziati. Fino ad alcuni anni fa, studi sistematici a carattere regionale di area mitteleuropea hanno
privilegiato laspetto tipologico, pur non trascurando alcune osservazioni a carattere funzionale.1 Parallelamente,
in paesi di area germanica si sono affermate classificazioni
dei martelli in bronzo protostorici maggiormente interessate ad un approccio funzionale, in cui attributi discriminanti prescelti sono il tipo di immanicatura e la morfologia del battente (o dei battenti, quando ve ne siano due).
In questo senso, un ruolo importante ha svolto per anni la
classificazione dei martelli a cannone dovuta ad A. Jockenhvel (Jockenhvel 1982), che riprende la vecchia tipologia funzionale di Ohlhaver e ha ispirato numerosi altri studi in Europa continentale (e.g. Jantzen 2008, pp.
242-252). Tale classificazione, la pi dettagliata finora disponibile, distingue 6 tipi di martelli in base alla morfologia, e alle presunte propriet meccaniche, della faccia battente. Recentemente, B. Nessel ha riconosciuto, fra i
martelli del bacino carpatico, due grandi gruppi funzionali: martelli multifunzione e martelli dimpiego specializzato (Nessel 2008; 2010, pp. 1-5, taf. 1). Al loro interno questi gruppi sono stati ulteriormente suddivisi in
tipi, che tengono conto specialmente della morfologia e

delle proporzioni della faccia attiva, considerati come direttamente indicativi della funzione specifica dello strumento. Un approccio pi largamente interdisciplinare,
ispirato a simili criteri funzionali, ma maggiormente integrati da osservazioni sperimentali, archeometriche e contestuali, stato di recente proposto da E. Fregni per gli
strumenti in bronzo delle isole britanniche (Fregni 2014).
Tali studi appaiono di indubbia utilit per orientare la
classificazione, ma presentano alcuni limiti metodologici:
in particolare le osservazioni funzionali si basano per lo
pi sulla comparazione con strumenti moderni, di morfologia genericamente analoga, ma realizzati in ferro o acciaio, dunque dotati di propriet meccaniche assai diverse
da quelli in rame e bronzo.
La classe dei martelli in bronzo in Italia del nord costituita da un numero piuttosto circoscritto di esemplari;
quelli finora individuati, fra cui non mancano oggetti di
dubbia classificazione, sono in totale appena 15 (Fig. 8).
evidente dunque come la limitatezza del campione renda
difficile (e poco opportuno) elaborare una classificazione
dettagliata, cos come non consenta di inserire il materiale norditaliano in tipi europei gi definiti. In particolare,
molti tipi morfologici che in Europa centrale e Gran Bretagna sono ampiamente diffusi nel Bronzo tardo (ad esempio i roof-shaped hammers cio martelli con battente angolare), in Italia risultano del tutto assenti, o attestati da
esemplari isolati.
In base al tipo di immanicatura i martelli italiani si possono raggruppare in 4 grandi famiglie: 1 A cannone. 2
A foro longitudinale. 3 Massicci. 4 A occhio.
Le teste in bronzo dei martelli dellItalia settentrionale
si presentano di dimensioni piuttosto contenute: la lunghezza media di 7-8 cm, e in ogni caso non supera i 10
cm (sono queste le dimensioni dellesemplare pi grande,
da Castello del Tartaro, cat. MB2). Ci trova conferma nei
martelli litici asciformi (vedi par. 1.1.3), ed indica un loro
uso legato preminentemente ad operazioni di forgiatura
e rifinitura di prodotti gi conformati a fusione, oppure
alla foggiatura di oggetti in lamina. Si tratta di un fenomeno riscontrabile, in linea di massima, anche negli
esemplari carpatici, peraltro molto pi numerosi (Nessel
2008, p. 73).
I martelli a cannone (Fig. 8.MB1-MB8) costituiscono un
gruppo piuttosto eterogeneo dal punto di vista tipologico,
morfo-tecnico e dimensionale; esso comprende 8 esemplari, alcuni dei quali frammentari e non ben classificabili.
Di notevole interesse la cronologia. Il martello dalla ter-

1 Vedi in particolare la classificazione, prettamente tipologica, del ricco repertorio di martelli a cannone dalla Romania: Gogaltan 2000.

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


ramara di Finilone Valle (Fig. 8.MB1), piccolo, di forma
conica, battente stondato (carattere del tutto anomalo che
lo assimila quasi ad un cuneo). Si tratta dellesemplare di
gran lunga pi antico, dovendosi attribuire in base al contesto al BM2. Tale cronologia appare anomala nel generale contesto europeo, visto che la grande maggioranza dei
martelli in bronzo noti si data a partire dal Bronzo tardo
iniziale (Bronzezeit D), e specialmente al Bronzo finale. Il
martello da Castello del Tartaro (Fig. 8.MB2), sito arginato della pianura veronese, si data presumibilmente al
BR in base allassociazione con un pugnale tipo Peschiera,
mentre al BR2-BF1 e al BF generico si possono attribuire,
rispettivamente, i martelli a cannone da Castions di Strada, Porpetto e Belgrado di Varmo. Gli esemplari pi recenti, ma evidentemente appartenenti a tipi del tutto diversi, da Bologna San Francesco e Monte Cavanero di
Chiusa Pesio, si datano invece al Primo Ferro almeno in
base al contesto. La decorazione a triangoli inscritti dellesemplare frammentario MB3 da Belgrado di Varmo
carattere stilistico tipico di alcuni martelli a cannone centro-europei.1
I martelli a foro longitudinale (Fig. 8.MB9-MB11) sono
una classe molto peculiare, caratterizzata dal profilo tendenzialmente quadrangolare e soprattutto dalla presenza,
in luogo di un vero cannone, di un foro stretto longitudinale, per lo pi asimmetrico. Sono per il momento documentati solo a Frattesina, e si datano al BF (e forse anche al primo Ferro iniziale).
I martelli massicci sono una classe problematica, costituita solo da due esemplari. Lesemplare da Castellaro del
Vho (Fig. 8.MB12), somigliante ad un lingotto, pi verosimilmente il getto di fusione di un martello, confrontabile con quello dal ripostiglio di Casalecchio di Rimini
(Fig. 8.MB13). Sono accomunati dallassenza di accorgimenti morfologici destinati ad ospitare un manico, e dalla
presenza di bave di fusione poste al centro in senso longitudinale; questultimo carattere ampiamente documentato nei martelli dellEuropa centro-settentrionale e delle
isole britanniche. Discrepante la datazione: BM-BR per
lesemplare di Castellaro, PF (ma solo per il contesto) per
quello di Casalecchio.
I martelli ad occhio da Montagnana-Borgo San Zeno
(Fig. 8.MB14) e Bologna-San Francesco (Fig. 8.MB15), come si argomenter fra breve, sono strumenti di tipo deci-

75

samente specializzato. Il martello da Montagnana si data


pi esattamente al BF2 per lassociazione con palette a
cannone e pani a piccone (Bianchin Citton 1986), mentre per il secondo lattribuzione potrebbe oscillare fra
Bronzo tardo e primo Ferro. Uniche attestazioni edite in
Italia del nord, essi trovano significativi confronti in importanti ripostigli del Meridione, anchessi in gran parte
databili nelle prime fasi del BF, o al passaggio BR-BF.2
Linterpretazione funzionale dei martelli in bronzo deve necessariamente prescindere dalla suddivisione, sopra
illustrata, in classi definite in base allimmanicatura. Gli
elementi pi significativi da prendere in considerazione,
infatti, sono la forma e le dimensioni del battente. In campo metallurgico, i martelli con battente piatto e ampio
possono essere adatti a stendere metallo e appianarne le
asperit, rinforzare lame (attraverso limpiego della tecnica dellannealing), foggiare aste e fili, ecc. In campo toreutico, e nella lavorazione di prodotti in lamina di bronzo, essi si presentano particolarmente adatti alla ribattitura di
chiodi, ma anche ad operazioni di appianamento delle pareti di vasellame bronzeo (Nessel 2008, p. 74). Nel ripostiglio francese di Genelard (Thevenot 1998), martelli a
cannone con ampio battente appiattito o poco convesso,
confrontabili con lesemplare cat. MB 2 da Castello del
Tartaro, appaiono associati, significativamente con un
martello asciforme in pietra, e con numerose incudini di
varia tipologia, attestando con sicurezza un impiego di
queste forme nella metallurgia secondaria. Martelli a battente ampio possono daltra parte essere impiegati anche
come strumenti a percussione indiretta, ad esempio per
percuotere scalpelli o ceselli, poich in questultimo caso
necessario disporre di una superficie attiva pi ampia, ed
il focus dellartigiano si concentra visivamente sullo scalpello (Fregni 2014, p. 93). Ovviamente del tutto probabile pensare anche ad un impiego di questi martelli nel
campo della falegnameria e della carpenteria.
Il martello cat. MB8 dal ripostiglio di San Francesco a
Bologna (Fig. 8) presenta, unico fra tutti gli esemplari catalogati, un battente convesso di forma ellittica. Appartiene ad una classe di cui non si conoscono altri esempi editi
in Italia. La convessit del battente lo rende particolarmente adatto alla foggiatura, dallinterno, di pareti di vasi in lamina bronzea dal profilo arrotondato, o per la realizzazione di decori plastici (cfr. Jockenhvel 1982; Nessel 2008).

1 Ampia esemplificazione in Gogaltan 2000. Lesemplare da Porpetto si apparenta strettamente ad esemplari dal ripostiglio carpatico di
Uioara de Sus: Gogaltan 2000, pl. x.
2 In particolare il martello di Montagnana identico ai due esemplari dal ripostiglio di Surbo (Bietti Sestieri 1973, p. 387, fig. 1.2,3), mentre
quello da Bologna, leggermente pi massiccio e dal foro quadrangolare, rimanda al martello dal ripostiglio n. 1 (cd. degli Ori) di Roca (Maggiulli 2009,p. 317, fig. 3.1.28), riferito al tipo Mottola: Carancini, Peroni 1999, p. 68.

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cristiano iaia

Un uso molto specifico al contrario presumibile per


martelli appartenenti a tipi differenziati, ma tutti caratterizzati dal battente stretto e regolare, adatto ad agire su superfici metalliche circoscritte. Si tratta degli esemplari a
cannone da Castions di Strada (MB6) e San Francesco di
Bologna (MB7), e da quelli a occhio da Montagnana Borgo San Zeno (MB14) e nuovamente San Francesco di Bologna (MB15). La relazione fra martelli a cannone con battente rettangolare stretto e arte toreutica chiaramente
testimoniata dal ripostiglio austriaco di Sipbachzell (Primas 2008, abb. 5.4), dove il martello si associa a diversi altri strumenti dalla funzione specializzata (punzoni, incudine, preforma) e a un vaso in bronzo.
Catalogo dei martelli in bronzo
MB1 Finilone Valle (Gazzo Veronese, vr). Integro. L. 6,2;
largh. 3,36. Salzani 1996b, fig. 23, n. 7.
MB2 Castello del Tartaro (Cerea, vr). Rinvenimento 1950, in
una canaletta assieme ad un pugnale tipo Peschiera. Integro.
L. 10,1; largh. 4,6. Fuso in matrice bivalve; tracce della giuntura fra le due valve. Legnago, Museo Fondazione Fioroni,
inv. 373. Aspes 1976, p. 131, n. 2, fig. 2, n. 5; Aspes 1984, p. 584.
MB3 Belgrado di Varmo (Varmo, ud). Ripostiglio. Lacunoso.
Museo di Udine. Borgna 2001, p. 317, fig. 12.
MB4 Porpetto (ud). Ripostiglio. Frammento. Borgna 2001, p.
323, fig. 15.
MB5 Monte Cavanero (Chiusa di Pesio, cn). Ripostiglio. Integro, frattura antica sul corpo, in prossimit del battente. L.
6,8; largh. 2,4; sp. 3,7. Stagno 20%. Sopr. Archeologica del Piemonte, inv. 88677. Rubat Borel 2009, pp. 60-61, fig. 42.1, 43;
Angelini et alii 2009, p. 129, tab. 1.
MB6 Castions di Strada (ud). Ripostiglio B. L. 9,2; battente
largh. 3,46, sp. 1,2. Borgna 2001, p. 297, fig. 4; Borgna 2004,
fig. 3, 1.
MB7 Bologna, ripostiglio di San Francesco. Frammento deformato. Bologna, Museo Civico Archeologico, inv. 60166. Bentini, Mazzeo 1993, fig. 8.2; disegno rielaborato da C. Iaia.
MB8 Bologna, ripostiglio di San Francesco. Integro. Bologna,
Museo Civico Archeologico, inv. 60164. Bentini, Mazzeo
1993, fig. 8.2; disegno rielaborato da C. Iaia.
MB9 Frattesina (Fratta Polesine, ro). Raccolte di superficie anni 80. Integro. Lungh. 7,8. Fratta Polesine, Museo Archeologico. Salzani 1989b, p. 68, fig. 2.9.
MB10 Frattesina (Fratta Polesine, ro). Raccolte di superficie
anni 70. Integro. L. 7,1; largh. 3,9; sp. 2,5; foro profondo 2,2.
Fratta Polesine, Museo Archeologico. Bellintani 1984, p.
106, n. 1, tav. i, fig. 2; tav. ii, fig. 7.
MB11 Frattesina (Fratta Polesine, ro). Raccolte di superficie
anni 80. Integro. L. 5. Fratta Polesine, Museo Archeologico.
Salzani 1989b, p. 68, fig. 2.10.
MB12 Castellaro del Vho (Piadena, cr). Raccolte di superficie.
L. 8,8; largh. 3,76. Oggetto non finito con bave di fusione lungo i margini. Frontini 1997, p. 260, fig. 148,10.

MB13 Casalecchio (rn). Ripostiglio. Integro. L. 7,6; largh. 3.48;


sp. 2,3. Morico 1996, p. 239, fig. 135.14.
MB14 Montagnana (Borgo S. Zeno, pd). Ripostiglio. Integro.
L. 8,8; largh. 2,2. Bianchin Citton 1986, p. 49, n. 122, fig. 14.
MB15 Bologna, ripostiglio di San Francesco. Frammento. Bologna, Museo Civico Archeologico, inv. 60163. Bentini,
Mazzeo 1993, fig. 8.2; disegno rielaborato da C. Iaia.

2. Strumenti a percussione lanciata, passivi


2. 1. Incudini litiche
Sono interpretabili come incudini, ovvero strumenti a
percussione passivi o dormienti (Pernot 1998, p.
110), ciottoli per lo pi in roccia a grana fine, di forma tendenzialmente cubica, dalle facce appiattite o piano-convesse, o a lastra rettangolare. Il materiale che sembra prestarsi meglio ad una funzione di base di lavoro per
martellatura di manufatti in lega di rame sono le pietre
verdi, specialmente serpentiniti, ma pu trattarsi talvolta
anche di calcari compatti. Sulle facce, losservazione macroscopica pu riscontrare superfici lustrate e serie di
concavit pi o meno accentuate, accompagnate da concentrazioni di piccole scalfitture. Secondo gli autori di un
recente studio tracceologico e sperimentale (DelgadoRaack, Risch 2008, p. 239), la fattura di questi strumenti si presenta particolarmente impegnativa: inoltre lintensa azione livellatrice delle particelle minerali
contenute nella roccia conduce di regola al tipico aspetto
lucente delle superfici.
A partire dallo studio di Butler e Van der Waals sui contesti campaniformi olandesi (Butler, Van der Waals
1966) invalso nel nord Europa luso di definire cushion
stones ciottoli lavorati in modo da formare un irregolare
parallelepipedo. Lidentificazione con piccole incudini
nasce non tanto dallosservazione delle tracce duso (peraltro spesso macroscopicamente evidenti), quanto dal
loro frequente ricorrere in deposizioni funerarie del Campaniforme e dellantica et del Bronzo includenti altri elementi ipoteticamente connessi a pratiche metallurgiche.
Lesempio pi noto quello del cosiddetto arciere di
Amesbury (Fitzpatrick 2009, fig. 12.3), che trova confronto in analoghi strumenti multifunzione da tombe
campaniformi dei Paesi Bassi (Butler, Van der Waals
1966, p. 63). Spesso le cushion stones si associano a martelli
asciformi (su cui vedi sopra par. 1.1.3) e a zanne di cinghiale, secondo alcuni autori impiegate come strumenti per
levigare metalli teneri, come rame e oro (Bertemes,
Heyd 2002; Bertemes 2004, p. 148). Un completo set di
strumenti del genere proviene anche dalla tomba iberica,
campaniforme anchessa, di Orca de Seixas (Brandherm

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


2010, abb. 3.11). Non mancano attestazioni riferibili allantica et del Bronzo. Una incudine squadrata proviene dalla tomba di Leubingen, dove come gi detto sembra associarsi ad altri possibili strumenti per lavorare il metallo
(martello in pietra, lisciatoio, scalpello in bronzo: Bertemes 2004, p. 145). Incudini litiche sono anche in tombe del
Bronzo antico argarico (Delgado-Raack, Risch 2006,
fig. 5).
Manufatti litici interpretabili come incudini sono rari
nellItalia settentrionale dellet del Bronzo.
I pochi esemplari individuati (Fig. 9.IL1-IL5), sono di
regola realizzate in rocce a grana fine. La maggior parte
proviene da siti in ambiente umido dellarea gardesana di
varia cronologia (dal BA al BR), e in minor misura da
terramare. Il piccolo esemplare cat. IL3 da Montale, levigato su tutte le facce, mostra concentrazioni di scalfitture su quasi tutte le superfici, e potrebbe essere stato utilizzato per lavorare piccoli manufatti. Diverso il caso
dellaltra probabile incudine terramaricola di dimensioni
considerevoli, cat. IL4 da Casinalbo (Fig. 9), anchessa interamente levigata, che si presta alla lavorazione di lame
(come desumibile dalle regolari concavit su una delle
facce).
Alcuni oggetti presentano caratteri anomali per forma
e dimensioni: il ciottolo irregolare n. IL5 da Lavagnone potrebbe essere stato impiegato sia come lisciatoio e percussore che come incudine (fenomeno ben noto in area iberica: Delgado-Raack, Risch 2006). Il grande manufatto
in pietra levigata IL6 da Peschiera-Bacino Marina solo
congetturalmente da considerare unincudine di forma
molto peculiare.
Catalogo delle incudini litiche
IL1 Corno di Sotto (Desenzano, bs). Scavi Fusco. Integra. L.
5,2, largh. 3,7. Pietra verde. Sopr. Arch. Lombardia, inv. 25582.
Tizzoni 1982, p. 166, n. 9, fig. 27, 19.
IL2 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 6 zona 1. L. 10,3, largh. 8;
sp. 4,3. Calcare grigio scuro. Perini 1987, p. 118, li 424, tav.
xxvi.
IL3 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo. Piccole lacune. Lati 5,27 e 4,73. Pietra verde. Museo Civico di Modena, inv. 7745. Inedito: disegno C. Iaia.
IL4 Casinalbo (Formigine, mo). Scavi xix secolo. Integra. L.
22,4; largh. 5,9; sp. 4. Pietra verde. Museo Civico di Modena,
inv.470. Inedito: disegno C. Iaia.
IL5 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Scavi De Marinis,
sett. B, g7, us 798. Integra. L. 11,7; largh. 11; sp. 5,6. Gr. 1027,3.
Serpentinite. Casini 2003, p. 110, n. 55, fig. 13; Casini et alii
2006, tab. i, n. 55.
IL6 Peschiera del Garda, Bacino Marina (vr). Integra. L. 22,7.
Pietra levigata nera. Museo Civico Storia Naturale di Verona,
inv. 3596. Aspes, Buonopane 1982, p. 178, n. 113, fig. 36,23.

77

2. 2. Incudini in bronzo
Le incudini in bronzo sono una categoria di strumenti da
lavoro che ha ricevuto finora scarsissima attenzione negli
studi sulla metallurgia italiana protostorica. Ci, in assenza di analisi delle tracce duso, forse in parte dovuto al fatto che i supporti impiegati, specialmente nellet del Bronzo, sono di forma assai eterogenea, cosa che non facilita
lindividuazione della categoria nel record archeologico.
Deve essere oltretutto tenuto in conto il fatto che anche
supporti in pietra (vedi par. 2.1) o in legno duro, possono
ben funzionare come incudini per lavori metallurgici
(Pernot 1998, p. 110; Fregni 2014, p. 68), per cui dobbiamo immaginare che lutilizzo di questi peculiari oggetti in
bronzo costituisse uneccezione, piuttosto che la regola.
Nei contesti del Bronzo e primo Ferro dellItalia settentrionale sono stati individuati 7 esemplari di oggetti che
possono essere considerati incudini con un grado variabile di certezza (tutti tranne uno in Fig. 9.IB1-IB6). Essi
necessitano di una trattazione dettagliata caso per caso. Le
dimensioni tendenzialmente piccole o molto piccole di
questi strumenti non necessariamente in relazione con
la lavorazione di oggetti piccoli (anche se in alcuni casi tale
relazione incontrovertibile), poich le incudini possono
essere utilizzate in forma incrementale, cio con progressivi spostamenti della superficie del manufatto (Fregni 2014, p. 77).
Lesemplare pi antico cat. IB3 dal sito perilacustre di
Bor di Pacengo (BM 1-2): oggetto singolarissimo, privo di
confronti, si presenta massiccio (peso 1,8 kg), in forma di
mazzuolo cilindrico con due estremit attive, una ovale
e convessa, e laltra circolare e piatta; i margini espansi di
questultima sono un chiaro indizio di battitura ripetuta
(come verificabile in molti scalpelli). Il tenore di stagno
molto elevato della composizione (13%) del tutto compatibile con il suo uso come incudine. Una possibilit tuttavia che si tratti di uno strumento versatile, impiegato
sia come martello che come incudine non solo in corrispondenza delle facce, ma per tutta la sua estensione.
Una datazione non successiva al Bronzo recente possibile per il pezzo cat. IB1 dalla terramara di Gorzano. Si
tratta di un piccolo manufatto rettangolare a lati concavi,
con due facce principali: la probabile faccia attiva principale presenta un listello rilevato al centro, bordato ai lati
da due concavit circolari derivanti da usura; tracce di battitura pi piccole si osservano anche sui lati brevi; la faccia
inferiore, priva di segni di usura, presenta tracce di materia organica nera. Linterpretazione pi verosimile che si
tratti di una incudine per realizzazione di oggetti piccoli,

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cristiano iaia

come spilloni o lamine, e in parte di forma circolare. Questa identificazione ulteriormente rafforzata dallanalisi
chimica (Garagnani et alii 1997, p. 556, tab. 7), che vede
una percentuale elevatissima di stagno (15.8%), oltre che
una presenza del tutto anomala, per lepoca, di piombo
(1.67%).
Le due incudini a fungo, cat. IB4 e IB5, presentano una
certa somiglianza reciproca, ma sono diverse per dimensioni e cronologia: dovevano entrambe essere inserite in
un supporto o base, e servivano probabilmente per foggiare plasticamente oggetti piccoli in metallo. IB4 dalla
terramara di Red ha il piano di lavoro deformato e con
numerose micro-depressioni circolari e subcircolari, ed
probabilmente affine ad un moderno strumento da orefice. Lincudine IB5, dal ripostiglio di San Francesco a Bologna, leggermente pi grande e massiccia, presenta anchessa un piano fortemente deformato dalle percussioni.
Cat. IB6, anchessa da Bologna-San Francesco, , senza
ombra di dubbio, un frammento di incudine per realizzare oggetti in lamina. Segni di martellatura sono ben visibili sul piano quadrangolare di lavorazione. Data la forma,
pu trattarsi della porzione sommitale di una grande incudine cruciforme, tipo ampiamente attestato in Europa continentale fin dal Bronzo recente (Thevenot 1998,
p. 127, fig. 3.2; fig. 8). Anche IB2 da Frattesina, in forma di
piastra con elemento conico sporgente, potrebbe essere
accostata alle incudini di uso specializzato note come beaked anvils, assimilate alle moderne incudini da orefice
(Fregni 2014, p. 77). Un segno di deformazione plastica da
usura potrebbe essere costituito dalla accentuata concavit presente a ridosso della sporgenza.
Unincudine a semplice e grezzo parallelepipedo invece IB7 dal ripostiglio di Monte Cavanero (PF1-2), che appare significativamente associata con un martello e uno
scalpello di foggia peculiare, a lama lanceolata (Fig.
14.SB66), a formare un probabile set funzionale alla lavorazione e rifinitura/decorazione di piccoli manufatti in
bronzo. Lanalisi metallografica ha rivelato in questo caso
segni di accentuata alterazione meccanica della struttura
dendritica (Angelini et alii 2009, p. 131), cosa che ben si accorda con luso ipotizzabile in base alla forma.
Catalogo delle incudini in bronzo
IB1 Gorzano (Maranello, mo). Scavi xix secolo. Integra. L. 9,4;
largh. lato breve 3; largh. centro 2,1; sp. 1,6. Gr. 291. Superfici
levigate; faccia superiore con due concavit da usura ai lati
del listello; faccia inferiore con tracce di materia organica nera; tracce di battitura sui lati brevi. Due prelievi sulla faccia
inferiore. Modena, Museo Civico, inv. 36. Bernab Brea et
alii 1997, p. 586, fig. 337, n. 88 (disegno impreciso). Disegno: C.
Iaia.

IB2 Frattesina (Fratta Polesine, ro). Ripostigli dallarea dellabitato, rinvenuto nel 1985. Integra. L. 10,9. IG 272482. Salzani 2000, p. 45, n. 45, fig. 4.
IB3 Bor di Pacengo (Lazise, vr). Recupero Sopr. Archeologica
Veneto. Integra. L. 22,9; largh. max 5. Kg 1,8. Stagno 13%. Verona, Museo Civico di Storia Naturale, Inv. 2759. Aspes 1984,
p. 574; Aspes 2011, tav. 17, n. 9.
IB4 Red (Nonantola, mo). Scavi xix secolo. Integra. Alt. 7;
diam. testa 2,7. Gr. 63. Piano di lavoro deformato e con numerose micro-depressioni circolari e subcircolari. Modena,
Museo Civico, Red inv. 16. Inedito: disegno C. Iaia.
IB5 Bologna, ripostiglio di San Francesco. Piccole lacune. Piano di lavoro fortemente deformato ai margini e slabbrato.
Bologna, Museo Civico Archeologico, inv. 60167. Bentini,
Mazzeo 1993, fig. 8.2, ridisegnato da C. Iaia.
IB6 Bologna, ripostiglio di San Francesco. Frammentaria. Serie di concavit allungate sul piano di lavoro. Bologna, Museo
Civico Archeologico. Bentini, Mazzeo 1993, fig. 8.2, ridisegnato da C. Iaia. Forse identificabile con Montelius 1895, pl.
68, n. 18.
IB7 Monte Cavanero (Chiusa di Pesio, cn). Ripostiglio. Frammento. Alt. 2,5; basi 1,6 e 2,2. Gr. 75,2. Struttura dendritica che
evidenzia una accentuata alterazione meccanica. Stagno
8,5%. Una faccia liscia, laltra convessa e smussata. Sopr. Archeologica Piemonte, Inv. St. 88680. Rubat Borel 2009, p.
63, figg. 42.4, 45; Angelini et alii 2009, p. 131, tab. 1.

3. Strumenti a percussione posata


Nella semplice ma chiara definizione di Leroi-Gourhan,
poi accolta in molti studi specie di ambito paleolitico, si
parla di percussione posata per strumenti utilizzati direttamente sul materiale da lavorare col semplice ausilio dellazione muscolare; si tratta in genere di utensili litici che
agiscono usurando, abradendo o incidendo le superfici
(Leroi-Gourhan 1971). Rientrano in questa categoria i lisciatoi/levigatoi, gli affilatoi o coti, e gli scalpelli.
3. 1. Lisciatoi/Levigatoi
Si tratta di una classe estremamente variegata, probabilmente impiegata per diversi usi, fra cui devono considerarsi prevalenti lisciatura e levigatura di superfici ceramiche e metalliche. Data la loro prevalente funzione, sono
costituiti in grande maggioranza da materiali litici a grana
fine (serpentiniti, pietre verdi, selce), ma anche da calcari
(calcilutite) e marna. Si tratta di ciottoli di forma e dimensione variabile, con una o pi superfici attive sfaccettate o
smussate a seguito di usura, da piane a leggermente convesse e arrotondate; in ogni caso, lusura ha generalmente condotto ad un appiattimento di queste superfici.
Presi globalmente, i lisciatoi e levigatoi coprono unampia gamma di funzioni, per cui si rende necessaria unat-

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


tenta considerazione delle tracce duso e del contesto di
rinvenimento. Nel caso del sito palafitticolo di Lavagnone
i numerosi lisciatoi/levigatoi di piccole dimensioni sono
stati messi in relazione con la lisciatura e politura delle superfici ceramiche (Casini 2003). Secondo la Casini, le
striature parallele visibili ad occhio nudo sui ciottoli di Lavagnone sarebbero da riferire ad unazione di abrasione
su particelle sabbiose, in particolare di quarzo, presenti
nella ceramica sotto forma di degrassanti (Casini 2003,
p. 96). Per motivi di spazio, non verranno comunque presi in considerazione gli esemplari norditaliani, di piccole
dimensioni, che potrebbero rientrare in questultima classificazione funzionale.
Al contrario, per i lisciatoi/levigatoi di dimensioni maggiori (Fig. 10), esistono pi espliciti indizi di natura contestuale che consentono di ricollegarli alle pratiche secondarie della metallurgia. In ambito italiano si possono citare
i casi dei villaggi di Castellaro del Vho (bm) e Ganglegg
(BM3-BR). Ancora pi frequenti sono gli esempi di lisciatoi (anche se talvolta sussiste il dubbio che si tratti di affilatoi) da deposizioni tombali dellEuropa continentale databili fra il Campaniforme e il Bronzo tardo comprendenti
set di strumenti da metallurgo.1
Ci si limita a commentare quelli che sembrano da mettere maggiormente in relazione con attivit metallurgiche.
I lisciatoi a placchetta di forma oblunga o rettangolare (Fig.
10.L1-L6), sono frequenti in siti terramaricoli, dove possono essere in materiale fine non cristallino, come marna,
scisto o calcare, e presentano una o pi facce fortemente
abrase e smussate; il n. cat. L4, dalla terramara di Monte
Barello, mostra evidenti strie su due facce inclinate, e pu
essere stato usato per sfregare ripetutamente una superficie circoscritta. Si pu confrontare con un esemplare da
Fuente Alamo, insediamento del BA iberico (DelgadoRaack, Risch 2008, fig. 17.3), dove le tracce dusura consentono di metterlo in relazione con operazioni di levigatura del metallo.
Nel caso dei lisciatoi/levigatoi a ciottolo da subrettangolare a subcilindrico (Fig. 10. L7-L13), le provenienze sono
varie, dallarea palafitticolo-terramaricola fino allAlto
Adige. Le superfici di questi strumenti sono per lo pi
smussate e convesse, talvolta con evidenti tracce di sfrega-

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mento o percussione. La potenziale relazione con attivit


metallurgiche sembra avvalorata dai due esemplari dal sito altoatesino di Ganglegg (L12-L13), dove si associano con
numerose altre categorie di strumenti da metallurgo (martelli, forme di fusione ecc.) Dal sito terramaricolo nordpadano di Castellaro del Vho proviene una serie di ciottoli, con facce fortemente usurate in forma di levigatura,
(L14-L17). La provenienza da unarea con evidenti residui
di attivit fusorie consente di ricondurli ad attivit di rifinitura di prodotti metallurgici (Baioni et alii 2001). Lefficacia di impiego di ciottoli con queste caratteristiche, soprattutto nella prima fase di rifinitura di lame di spade o
pugnali appena uscite dalla forma di fusione, stata ampiamente confermata da pratiche sperimentali (Binggeli
2011, p. 19; Iaia 2015).
Catalogo dei lisciatoi/levigatoi
L1 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 4. Integro. L. 13,5, largh. 4;
sp. 1,5. Marna grigia. Perini 1987, p. 117, li 413, tav. xxiv.
L2 Casinalbo (Formigine, mo). Scavi xix secolo. Integro. L. 17,
largh. 3,3; sp. 1,3. Pietra scistosa. Museo Civico di Modena, inv.
sn 541. Inedito: disegno C. Iaia.
L3 Porto di Pacengo (Lazise, vr). Recupero Sopr. Archeologica Veneto. Integro. L. 8,3, largh. 3,4; sp. 1,3. Pietra verde. Sopr.
Arch. Veneto, Nucleo Operativo Verona, inv. St. I.G. VR,
28444. Salzani 1996a, p. 241, n. 603, fig. 159,1
L4 Monte Barello (Castelvetro, mo). Integro. L. 6,9, largh. 1,4;
sp. 1. Pietra rossiccia molto fine. Museo Civico di Modena.
Inedito: disegno C. Iaia.
L5 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Frammentario. L. 6,2, largh. 2; sp. max 1,1. Pietra grigia molto fine. Museo Civico di Modena, inv. 7813. Inedito: disegno
C. Iaia.
L6 Coriano (Forl, fc). Scavi di emergenza 1974. Integro. Pietra levigata.Prati 1996, p. 192, fig. 108, 78.
L7 Cisano (Bardolino, vr). Recuperi 1938-1940 nel porto di Cisano. Integro. L. 6,4, largh. 3,6; sp. 2,5. Calcare. Verona, Museo Civico di Storia Naturale, IS 11112. Fasani 1980, p. 98, tav.
xxviii, 11.
L8 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 5. Integro. L. 10,4, largh. 3; sp.
1,8. Roccia cristallina verde. Perini 1987, p. 118, li 416, tav. xxv.
L9 Gorzano (Maranello, mo). Scavi xix secolo. Integro. L. 12,7;
sp. 3,7. Roccia fine nerastra. Museo Civico di Modena, Gorzano sn xvii. Inedito: disegno C. Iaia.

1 Moravia, Veleovice tomba i, tardo eneolitico: lisciatoio (o cote?) di grandi dimensioni, confrontabile con i nn. L2 e L13 (Fig. 10), in associazione con martelli e incudine litici, e strumenti in rame (Nessel 2012, abb. 4). Portogallo, tomba di So Pedro do Estoril, campaniforme: possibile lisciatoio o percussore subcilindrico (Brandherm 2010, abb. 2.7). Spagna, tomba a camera di Orca de Seixas, campaniforme: due lisciatoi
subovali, a breve distanza da un set comprendente martelli, incudine e probabile affilatoio a placchetta biforata (Brandherm 2010, abb.3.4,5). Austria, tomba 853 di Franzhausen I, Bronzo antico: alcuni probabili lisciatoi/levigatoi subcilindrici, in associazione con martello e incudine litici
(Mller 2002, abb. 15.8-10). Inghilterra, tomba Upton Lovell G2a, Bronzo antico, levigatoio di ardesia con tracce doro e tracce dusura (strie),
associato con un ricco corredo comprendente armi in pietra e altri strumenti litici (Shell 2000).

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L10 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 5. Lisciatoio allungato a sezione ellissoidale. L. 9,4, largh. 4,5; sp. 3,5. Roccia cristallina.
Perini 1987, p. 118, li 415, tav. xxv.
L11 Cisano (Bardolino, vr). Recuperi 1938-1940 nel porto di Cisano. L. 12,5. Calcare. Verona, Museo Civico di Storia Naturale, IS 11641. Fasani 1980, p. 98, tav. xxviii, 16.
L12 Ganglegg (Schludern-Sluderno, bz). Scavi 2001, settore 5,
giacitura secondaria. Integro. Steiner 2007, p. 150, taf. 51,5.
L13 Ganglegg (Schludern-Sluderno, bz). Settore 4. Scavi 20002001, giacitura secondaria. Steiner 2007, p. 150, taf. 44,14.
L14-L16 Castellaro del Vho (Piadena, cr). Scavi 1996-99, uuss
369, 388, 615, 629,346, 410, 487, 600A, 561, 563. Tredici ciottoli
levigatoi integri. L. da 3 a 11,3. Calcare micritico (10), calcare
microcristallino (1), arenaria (1), serpentinite (1). Baioni et
alii 2001, pp. 144-148, fig. 87, 1-3.
L17 Castellaro del Vho (Piadena, cr). Scavi 1996-99, uuss 447,
4632. Due lisciatoi o levigatoi. L. 5,6 e 6,9. Micascisto. Baioni
et alii 2001, p. 145, fig. 87, 4.

3. 2. Affilatoi
Gli affilatoi, noti anche come coti nel linguaggio comune, sono strumenti di forma molto varia, per lo pi in materiale litico con propriet abrasive, soprattutto arenaria,
pi raramente calcare e marna. Il loro ruolo doveva essere fondamentale sia nelle fasi finali della produzione metallurgica secondaria, che nelle fasi di post-produzione,
nelle situazioni in cui si rendeva necessario restaurare il
filo di lame (spade, pugnali, utensili) o altri manufatti
consunti dalluso. La presenza di questi strumenti in deposizioni tombali dellet dei metalli in Europa relativamente diffusa. In area continentale, affilatoi e coti possono costituire un complemento di deposizioni tombali
maschili con corredi anche complessi, talvolta compren-

denti interi set di armi o strumenti da lavoro, in metallo e


non.1 Inoltre, a differenza delle altre classi di strumenti a
percussione, in questo unico caso non mancano attestazioni da contesti funerari italiani,2 segnalandone dunque
un notevole rilievo nelle pratiche quotidiane, oltre che nella sfera rituale.
Gli affilatoi raccolti nei contesti protostorici del nord
Italia (Fig. 11) possono essere raggruppati in base alla morfologia complessiva, ma anche in base alle dimensioni (che
ovviamente determinano in parte la funzione). Provengono in maggioranza da contesti palafitticoli di area gardesana del BA (Lavagnone, Barche di Solferino) e BM (Porto
di Pacengo; Cisano); non mancano esemplari da abitati
terramaricoli, come Castione Marchesi, Castellaro del
Vho, Monte Barello. Nel BF la classe ben documentata a
Frattesina.
Fra i pi diffusi sono i Ciottoli a solcatura mediana longitudinale (A1-A11: alcuni esempi in Fig. 11), per lo pi realizzati in arenaria. Sono caratterizzati da solcature pi o
meno profonde a sezione semicircolare, talvolta per a
V, che potevano essere utilizzate per affilare lame metalliche.3 Secondo Delgado-Raack e Risch (2008), che fondano la loro disamina sullanalisi delle tracce duso presenti su analoghi strumenti dellet del rame e del Bronzo
iberica, sarebbe anche verosimile uninterpretazione di
questi oggetti come levigatoi, ma in tal caso risulterebbe
non agevolmente spiegabile la presenza del solco.Alcuni
dati associativi potrebbero supportare la loro relazione
con la sfera metallurgica.4
Una classe molto significativa quella degli Affilatoi a
pendente (Fig. 11.A12-A16). Questa classe mostra una durata assai notevole, prolungandosi dallEneolitico5 fino al

1 Tomba campaniforme di Knzing-Bruck (Baviera): un ciottolo a solco mediano si associa a un martello in pietra, 3 incudini (cushion stones)
e alcune zanne di cinghiale, formando un chiaro set da metallurgo: Bertemes 2004, p. 148, abb. 7. Lunga cote con foro allestremit dalla ricca
tomba del Bronzo antico brettone di Lannion: Hansen 2002, abb. 5.11. Probabile grande cote a forma di lastra stretta e lunga nella tomba principesca di Leubingen: Hansen 2002, abb. 1. Affilatoio forato identico ad esemplari terramaricoli, da tomba di Mannheim - Seckenheim, Germania meridionale (BR iniziale), dove si associa con altri strumenti da lavoro: Pare 1999, p. 456, fig. 25, n. 13)
2 Una possibile cote a placchetta allungata stata rinvenuta nella necropoli terramaricola di Copezzato, dove apparentemente costituiva lunico elemento di corredo presente nellossuario (Mutti, Pellegrini 1995, p. 356, fig. 19.3). Una cote a pendaglio forato nella ricca tomba 227 di
Frattesina di Fratta Polesine, in associazione con spada, coltello e rasoio (Salzani 1989a, p. 16, fig. 17.14; cat. A15), e unaltra dagli sporadici sulla
superficie del grande tumulo della stessa necropoli (cat. A14); analogo oggetto dalla t. 154 (cat. A16), dove si associa con un minuscolo scalpellino
in bronzo (Salzani 1990-91).
3 Una diversa interpretazione quella riportata da S. Casini (Casini 2003, p. 83; 2004, p. 84) secondo cui la sezione semicircolare della solcatura farebbe pensare piuttosto ad un uso come raddrizzatori di frecce. Non si sono tuttavia reperite analisi delle tracce duso o resoconti di prove sperimentali che confermino tale ipotesi.
4 Allinterno del Riparo dellAmbra di Candalla, in una struttura del BA2, un possibile affilatoio a solco mediano associato ad una panella
in rame a sezione piano-convessa (Cocchi Genick 1986, fig. 30, n. 2). Significativamente, un analogo strumento in arenaria stato rinvenuto nei
livelli di Bronzo Recente della grande struttura ellittica 61 di Scarceta, in Toscana meridionale, perdurata fino agli inizi del BF (Poggiani Keller 1999, p. 68, fig. 52.2), la cui prevalente destinazione ad attivit metallurgiche secondarie sembra assodata.
5 Per lEneolitico, si citano alcuni esempi senza pretesa di completezza: due tombe della necropoli rinaldoniana di Ponte San Pietro (Farnese, vt) presentavano due probabili affilatoi con foro per la sospensione, uno in steatite e laltro in arenaria, non casualmente in associazione con
pugnali in rame (tt. 20 e 21: Miari 1993, fig. 7.2; fig. 10.8).

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


Bronzo finale. Di forma molto regolare, e di fattura accurata, questi oggetti erano probabilmente portati a mo di
pendaglio, come indicherebbero i fori passanti nella met
superiore. Luso come affilatoi di piccole lame metalliche
reso verosimile dallosservata presenza, su pi facce, di
sottili strie multidirezionali, o dalla accentuata usura dellestremit opposta al foro. Nellarea oggetto di studio, si
conoscono due esemplari provenienti entrambi da terremare del Modenese, Monte Barello e Montale (Fig.
11.A12, A13), realizzati in arenaria fine. Il tipo ereditato
poi dalle comunit della pianura veneta, come ampiamente testimoniato in particolare nelle necropoli di Frattesina-Narde (Fig. 11.A14-A16).1
Alcune Piastrine rettangolari in arenaria e calcare, attestate in terramare del Modenese (Fig. 11.A17, A18), mostrano tracce duso visibili a occhio nudo, del tutto compatibili con un uso come affilatoi.
Di pi problematico inquadramento sono Placchette forate (alcuni esempi: Fig. 11.A19-A21), per lo pi in arenaria,
ma anche marna, di forma rettangolare ma talvolta con
angoli smussati, che presentano un numero variabile di fori passanti ai margini del lato breve, da 1 a 4. In Italia del
nord appaiono piuttosto diffuse e provengono soprattutto
da contesti palafitticoli nordpadani, databili al BA-BM.
Vengono solitamente identificate con brassards o bracciali darciere di tradizione eneolitica; in realt, osservazioni
fatte da vari autori indicano come esse presentino spesso
evidenti tracce di usura analoghe a quelle riscontrabili su
affilatoi. Studi analitici di esemplari iberici del BA confermano in pieno questa ipotesi funzionale, supportata anche dalla loro associazione diretta con coltelli in bronzo in
due sepolture del Bronzo antico argarico (Delgado-Raack, Risch 2006; 2008, p. 243). Analoghe osservazioni erano state fatte a suo tempo per Fiav Carera da R. Perini
(Perini 1987, pp. 117-118).
Grandi ciottoli a piastra o a parallelepipedo irregolare in arenaria, micascisto, calcare (A22-A25), sono rappresentati da
diversi esemplari in siti terramaricoli, a eccezione di un
esemplare da Fiav. Un legame con laffilatura di strumenti metallici o armi appare qui piuttosto evidente: intensa usura in forma di solchi concentrici da ripetute affilature e smussatura dei margini si osservano nel n. A22
dalla terramara di Casinalbo (Fig. 11), in cui la porzione
centrale della piastra, risparmiata dallusura, si distingue
per la levigatura; analoghi segni di usura sono stati osservati nel n. A23 da Castellaro del Vho. Il n. A24 (Fig. 11), un
vero ciottolo parallelepipedo, mostra invece unaccentua-

81

ta consunzione delle facce laterali. Nel n. A25, da Fiav,


Renato Perini osserv evidenti tracce di affilatura di uno
strumento metallico, probabilmente unascia (Perini
1987, pp. 117-118).
Un possibile esempio isolato di affilatoio discoidale proviene dal castelliere di Pozzuolo del Friuli (cat. A26), contesto del PF iniziale che restituisce consistenti evidenze di
produzione metallurgica secondaria (Cassola Guida et
alii 1998).
Catalogo degli affilatoi
A1 Barche di Solferino (Solferino, mn). Integro. Arenaria.
Museo Civico di Storia Naturale Verona. Aspes 1984, vol. ii,
501, n. 10.
A2 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Scavo Perini, Sett.
I, G2, 8d, n. 87. Integro. L. 6,5, largh. 4,2; sp. 1,9. Arenaria
quarzosa. Casini 2003, 102, n. 12 fig. 8; Casini et alii 2006, p.
735, fig. 2.12.
A3 Lavagnone (Desenzano del Garda, bs). Scavi de Marinis,
Sett B, g13,US 650. L. 5,9, largh. 4,75; sp. 3,5. Arenaria quarzosa. Casini 2003, p. 102, n 13, fig. 8.
A4 Porto di Pacengo (Lazise, vr). L. 5,5. Arenaria. Verona, Museo Civico di Storia Naturale, inv. MC 4085. Mostra Lazise
1992, p. 65, n. 4 (Simenoni), fig. 2,2.
A5 Castione Marchesi (Fidenza, pr). Scavi xix secolo. Frammento. Calcare molto tenero e poroso. Mutti et alii 1988, p.
138, fig. 70, 4.
A6 Castione Marchesi (Fidenza, pr). Scavi xix secolo. 6 affilatoi a solco centrale. Calcare. Mutti et alii 1988, p. 138, fig. 70,
2.
A7 Cisano (Bardolino, vr). Recuperi 1938-1940 nel porto di
Cisano. L. 4,5, largh. 3,6; sp. 2,7. Arenaria. Verona, Museo
Civico di Storia Naturale, IS 11101. Fasani 1980, p. 98, tav.
xxviii, 2.
A8 Castione Marchesi (Fidenza, pr). Scavi xix secolo. Arenaria. Mutti et alii 1988, fig. 70, 7 (interpretato come forma di
fusione).
A9 Cisano (Bardolino, vr). Recuperi 1938-1940 nel porto di Cisano. L. 8, largh. 2,9; sp. 2,2. Calcare grigiastro a grana fine.
Verona, Museo Civico di Storia Naturale, IS 6173. Fasani
1980, p. 98, tav. xxviii, 5.
A10 Castellaro del Vho (Piadena, cr). Scavi Musei Civici Milano 1996-99, fase 4iii us 447. Arenaria. Baioni et alii 2001, p. 147,
fig. 87.9.
A11 Castellaro del Vho (Piadena, cr). Scavi Musei Civici Milano 1996-99, fase 4iii us 573. Arenaria fine quarzosa. Baioni et
alii 2001, p. 147, fig. 81, 87.8.
A12 Monte Barello (Castelvetro, mo). Integro. Alt. 6,7, largh.
base 2,1, largh. testa 1,2. Arenaria fine grigio-verdastra. Museo Civico di Modena, inv. 1909. Inedito: disegno C. Iaia.

1 Per il tipo Colonna 2006, p. 123, tipo 7, tav. 81/10-14.

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A13 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo. Integro. Alt. 7,2, largh. base 1,5, largh. testa 1,3. Arenaria fine grigio-verdastra. Museo Civico di Modena, Montale 7817. Inedito: disegno C. Iaia.
A14 Frattesina,Le Narde (Fratta Polesine, ro). Scavi 1987-1989;
dalla superficie del tumulo funerario (US 7). Integra. Alt. cm
7. Salzani 1989a, p. 9, n. 8, fig. 5.
A15 Frattesina, Le Narde (Fratta Polesine, ro). Scavi 1987-1989.
Tomba 227. Integra. Alt. 12. Salzani 1989a, p. 16, fig. 17, n. 14.
A16 Frattesina, Le Narde (Fratta Polesine, ro). Scavi 1990.
Tomba 154. Integra. Alt. 6,5. Salzani 1990-91, p. 133, fig. 27,5.
A17 Gorzano (Maranello, mo). Scavi xix secolo. L. 9,7, largh.
1,5; sp. 1,1. Arenaria molto fine. Museo Civico di Modena,
Gorzano sn xvi. Inedito: disegno C. Iaia.
A18 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro. L. 6,5, largh. 2,7; sp. 0,8. Calcare biancastro. Museo
Civico di Modena, Montale 7823. Inedito: disegno C. Iaia.
A19 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 6 zona 1. L. 7,4, largh. 1,9;
sp. 0,5. Marna grigia. Perini 1987, p. 116, li 408, tav. xxiv.
A20 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 4-5. L. 7,2, largh. 2,2; sp. 0,6.
Marna grigia. Perini 1987, p. 117, li 409, tav. xxiv.
A21 Maraschina-Tafella (Sirmione, bs, Peschiera del Garda,
vr). De Marinis 1979, fig. 37, n. 3.
A22 Casinalbo (Formigine, mo). L. 24,9, largh. 7,9; sp. 2,5. Scavi xix secolo. Arenaria molto fine grigiastra. Museo Civico di
Modena, Casinalbo 469. Inedito: disegno C. Iaia.
A23 Castellaro del Vho (Piadena, cr). Scavi Musei Civici Milano 1996-99. Micascisto. Baioni et alii 2001, p. 150, fig. 87.11.
A24 Gorzano (Maranello, mo). Scavi xix secolo. L. 15,3, largh.
5,7; alt. 6,2. Arenaria fine grigio-verdastra. Museo Civico di
Modena, Gorzano, sn xviii. Inedito: disegno C. Iaia.
A25 Fiav Carera (Fiav, tn). Fiav 3, zona 2. L. 12,5, largh. 5,5;
sp. max 2,5. Calcare grigio verde. Perini 1987, p. 118, li 407, tav.
xxiv.
A26 Cjastiei (Pozzuolo del Friuli, ud). Scavi Universit di Udine, us 11. Frammento. Diam. 8,1; sp. 1,7. Arenaria. Cassola
Guida et alii 1998, p. 82, n. 160, tav. xiv.

3. 3. Scalpelli litici
Gli scalpelli litici individuati nellarea oggetto di studio si
riducono a sole 6 unit (Fig. 12). La classe si pone in diretta continuit con la produzione in pietra verde neolitica ed
eneolitica. In alcuni casi potrebbe, in effetti, trattarsi di manufatti recuperati e riutilizzati, anche se la cosa sembra poco verosimile per gli esemplari da contesti terramaricoli,
alcuni dei quali privi di confronti in epoche pi antiche. Come nel caso degli scalpelli neolitici, sono tutti realizzati in
rocce a grana fine, accuratamente levigata. Possono recare due taglienti opposti (SL1, SL2), oppure un solo tagliente opposto a un tallone/piano di percussione (SL3-SL6). Il
tagliente piuttosto largo e appiattito in un grande esemplare da Montale (Fig. 12.SL5), che si avvicina per certi ver-

si alla classe dei martelli. Alcuni scalpelli presentano evidenti tracce di percussione sul tallone (in forma di scheggiature). Le dimensioni variano tra 4 e 12 cm di lunghezza.
Gli esemplari noti provengono sia da contesti palafitticoli localizzati a nord del Po (Cisano, Bande di Cavriana),
sia da siti arginati e terramare emiliane (Pra Grande di
Nogarole Rocca, Montale, Castione Marchesi).
Catalogo degli scalpelli litici
SL1 Cisano (Bardolino, vr). Scavi Salzani. Integro. L. 4,3, largh.
1,4; sp. 1. Onfacitite. Sopr. Arch. Veneto, Nucleo Operativo
Verona, inv. St. I.G. 168522. Salzani 1996a, p. 241, nn. 614, 615,
fig. 157, 5,6.
SL2 Cisano (Bardolino, vr). Scavi Salzani. Integro. L. 6,2,
largh. 1,9; sp. 1. Eclogite. Sopr. Arch. Veneto, Nucleo Operativo Verona, inv. St. I.G. 168527. Salzani 1996a, p. 241, nn. 614,
615, fig. 157, 5,6.
SL3 Pra Grande (Nogarole Rocca, vr). Raccolte di superficie,
Sopr. Arch. Veneto. Lacunoso. L. 7,2, largh. 2,4. Onfacitite.
Nucleo Operativo Verona, inv. St. I.G. 25422. Salzani 1996a,
p. 244, n. 618, fig. 159,10.
SL4 Castione Marchesi (Fidenza, pr). Scavi xix secolo. Lacunoso al tallone. L. 10, largh. 2,2; sp. 2,65. Pietra verde. Mutti
et alii 1988, p. 138, fig. 70, 1; Occhi 1997, p. 523, fig. 292, 7.
SL5 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo. Lacunoso al tallone. L. 11,9, largh. 3,7; sp. 2,4. Pietra grigio-nera
finissima. Museo Civico di Modena, inv. 7814. Inedito: disegno C. Iaia.
SL6 Bande di Cavriana (Cavriana, mn). Scavi Rittatore 1952 e
1967-1974. Integro. L. 11,5. Tallone picchiettato. Museo Storia
Naturale di Verona, inv. N. St. 21115. Piccoli 1982, p. 197, n.
14, fig. 50, 12.

3. 4. Scalpelli in bronzo
Fra gli strumenti potenzialmente utilizzabili nelle pratiche
di metallurgia secondaria gli scalpelli in bronzo costituiscono la categoria numericamente pi consistente. In
termini di gestualit tecnica, la loro estrema versatilit li
colloca a cavallo fra due diversi raggruppamenti (LeroiGourhan 1971, p. 48): da una parte, laddove vengono impiegati direttamente sul materiale con la mano (ad esempio per incidere, intagliare, ecc.), si possono apparentare
allampia famiglia degli strumenti a percussione posata;
dallaltra, possono rientrare in un gruppo tecnologicamente pi sofisticato, di strumenti a percussione posata indiretta (con percussore), la cui testa viene battuta da mazzuoli in materiale pi tenero (legno, corno). Ancora pi
precisa la definizionedi strumenti da taglio (Fregni 2014,
p. 68): risultano infatti utili per tagliare materiali, rimuovere impurit da superfici grezze (ad esempio per rimuovere le bave dai getti di fusione), incidere e scolpire.

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


Come notorio, limpiego degli scalpelli proficuo in diversi tipi di attivit (Speciale, Zanini 2010, p. 38): fra di
esse, falegnameria e carpenteria svolgono certamente un
ruolo importante, ma non necessariamente dominante, in
epoca pre-protostorica; tutto lascia infatti credere che, prima della loro introduzione, e pi tardi con una funzione
complementare ad essi, le asce in bronzo (in seguito anche
in ferro), svolgessero un ruolo centrale nella lavorazione
del legno in varie forme.1 Gli scalpelli pi massicci possono essere inoltre impiegati nella lavorazione della pietra
(cfr. per lEgitto: Flinders Petrie 1917), e ci pu comunque ricondurci ad un ambito tecnico collaterale alla
metallurgia, se pensiamo alle numerose forme di fusione
litiche che conosciamo nellarea padana (cfr. Lefvre-Lehorff 1992; Barbieri, Cavazzuti 2014). Gli scalpelli
pi sottili, comunque dotati di tagliente (da distinguere
dalla semplice punta presente nei punteruoli e nelle
lesine), possono invece aver svolto un ruolo analogo ai
moderni ceselli e bulini, ed il loro uso pu collegarsi a vari
tipi di attivit artigianale, dallosso/corno di cervo (Provenzano 1997), al legno e al cuoio. Nel complesso, dunque, nellavvicinarsi a questa diffusa e articolata categoria
di strumenti, seppure in unottica che privilegia la metallurgia, sembra appropriato adottare un approccio multiartigianale.
La classificazione degli scalpelli in bronzo dallItalia
settentrionale che segue, come gi per le altre categorie,
tiene in primo luogo conto di criteri morfologici e funzionali.2 Una distinzione preliminare risiede nelle modalit
di uso in relazione allimpugnatura, che sono osservabili
sia negli impieghi contemporanei (ma con diversi materiali, privilegiandosi il ferro e lacciaio), che in ambito etnostorico ed etnografico. Un secondo criterio di classificazione costituito dalla forma del tagliente, cio della
parte attiva dello strumento; importante in questo caso
il numero delle facce e linclinazione dellangolo di affilatura (cfr. Jacobi 1974, abb. 5): di regola negli scalpelli dellet protostorica italiana le facce sono due e presentano
la medesima inclinazione, ma possono verificarsi casi in
cui la faccia una sola. Langolo di affilatura un dettaglio importante, ma non sempre desumibile dalla documentazione edita.
Se si eccettua una classificazione sistematica edita di recente (Speciale, Zanini 2010), basata su materiale edito
e che adotta un approccio tipologico classico (anche se

83

con alcuni spunti funzionali), mancano ancora un repertorio esauriente ed uno studio completo degli scalpelli in
bronzo italiani, molti dei quali restano ancora inediti. I caratteri precipui di questa categoria dal punto di vista funzionale ed ergologico in particolare la loro natura di oggetti di uso pratico quotidiano, molto versatili e soggetti a
modifiche continue (deformazioni a seguito di percussione, riaffilature e rifoggiature ecc.) rende pi proficuo un
approccio di tipo interdisciplinare, che compara dati etnostorici, archeometria e sperimentazione (Fregni 2014).
Per di pi, gli scalpelli si prestano con difficolt ad essere inseriti in sequenze crono-tipologiche evolutive; spesso
infatti la loro datazione, specialmente in Italia settentrionale, pu avvalersi di un numero assai limitato di puntuali riferimenti contestuali. In linea generale opportuno
considerare che in Italia, a differenza di quanto noto in
Europa centrale, dove luso di scalpelli in bronzo si diffonde fin dal BA, non sembra che limpiego di questi strumenti sia divenuto corrente prima del BM; allo stato attuale, in territorio italiano si pu segnalare un unico
esemplare di scalpello in bronzo riferibile allavanzata antica et del Bronzo, quello a margini rialzati superiori dal
Lodigiano (De Marinis 1975, fig. 14), forse non a caso
strettamente confrontabile con tipi dellEuropa centrale.
Per il resto, possibile solo fare distinzioni cronologiche
molto grossolane, che verranno accennate nel corso della
classificazione.
Non possibile in questa sede dare conto in maniera
esauriente di tutti gli aspetti di questa categoria, e dunque
ci si limiter ad alcune notazioni generali. I 73 scalpelli in
bronzo dallItalia settentrionale catalogati nellambito della presente ricerca sono stati in primo luogo suddivisi in 4
grandi classi: 1 a tallone; 2 a codolo con fermo a disco;
3 a cannone; 4 a lama lanceolata. Per motivi di spazio,
si pubblica solo il catalogo della classe n. 4, rimandando ad
altri contributi ledizione completa dello stesso.
La notevole variabilit morfologica e dimensionale, e
presumibilmente la polifunzionalit, degli scalpelli evidenziata dal grafico a Fig. 15, che distribuisce gli esemplari delle classi 1 e 4 (per le classi 2 e 3 non si dispone di dati
sufficienti), in base alla lunghezza e allo spessore massimo;
tali attributi dimensionali individuano la consistenza volumetrica dello strumento, segnalandone anche il campo
di azione e il tipo di impatto sul materiale da lavorare. Si
riconosce un cluster molto nutrito, con scalpelli sia a tal-

1 Sui diversi usi dellascia riscontrabili nelle diverse classi di manufatti lignei a Fiav Carera: Perini 1987, p. 379. Sulluso di asce e accette
variamente immanicate in associazione con scalpelli e seghe nella carpenteria navale micenea: Maragoudaki, Kavvouras 2012.
2 Per let del Ferro avanzata resta fondamentale la classificazione, basata su criteri funzionali, di Jacobi 1974, pp. 18-24; 35-38.

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cristiano iaia

lone che della foggia a lama lanceolata, compresi fra 6-7


cm e 15 circa di lunghezza e 0,20-0,80 di spessore; e una distribuzione pi rada, comprendente anchessa entrambe
le classi, di scalpelli massicci, lunghi fino a 28 cm circa e
con spessore anche molto consistente, fra 1 e 1,6. Una distinzione generale potrebbe coincidere con a) strumenti
per incidere o decorare (ceselli ecc.); b) strumenti per tagliare e sgrossare, presumibilmente applicati anche a legno, pietra e metallo.
Gli scalpelli a tallone (ad es. Fig. 13.1-8),comprendono
scalpelli privi di una porzione distinta, atta allinserimento
di un manico in materiale deperibile (cfr. Peroni 1994, p.
80), o tuttal pi provvisti di sfaccettature che possono facilitare linnesto di questultimo. Il tagliente sempre parallelo alla lama. Fra essi, gli scalpelli a tallone immanicabili
sono costituiti da un primo, amplissimo, gruppo di utensili molto piccoli e sottili, o medi con tallone sfaccettato
(Fig. 13.1-3); il tallone pu presentarsi semplicemente appiattito, leggermente appuntito o decisamente sfaccettato
(a sezione per lo pi romboidale), per agevolare linnesto
di un manico in materiale organico, che in alcuni casi si
infatti conservato.1 Si tratta evidentemente di strumenti
da impiegare a pressione, con il semplice uso delle mani,
per i quali evidente lutilit in lavori fini, come intaglio
di legno, cuoio ecc., mentre la connessione con la metallurgia resta da dimostrare. Gli scalpelli a tallone non immanicabili (ad es. Fig. 13.4-8)2 presentano al contrario una
testa appiattita o decisamente espansa a seguito di deformazione meccanica, che dunque doveva essere battuta direttamente con un mazzuolo o martello. Questo tratto
morfo-tecnico accompagna tuttora di regola gli scalpelli
impiegati nella lavorazione di superfici metalliche (cold
chisels)3 o litiche, in cui comunque la battitura particolarmente intensa e prolungata. In linea generale si tratta di
strumenti massicci, a volte di dimensioni decisamente

considerevoli (ad es. Fig. 13.8 da Peschiera), comprese fra


20 e 27 cm di lunghezza, e 1-1,20 di spessore massimo. Sono
ben documentati in terramare e siti palafitticoli di BM-BR,
dove le pratiche metallurgiche certamente fiorivano (fra
questi ad esempio Isolone del Mincio e Peschiera, con ben
due esemplari). Nel caso del tozzo esemplare dal castelliere di Pozzuolo del Friuli (Fig. 13.4), anche testimoniata
una relazione stratigrafica diretta con pratiche di metallurgia secondaria (Cassola Guida et alii 1998).
Per le classi 2 e 3 disponiamo di una documentazione
edita estremamente lacunosa. Gli scalpelli a codolo con fermo a disco (Classe 2) sembrano apparire gi nel BR, come
indica lesemplare da Trebbo Sei Vie presso Bologna (Fig.
13.9),4 ma la loro piena affermazione non precedente alla prima et del Ferro (Casalecchio di Rimini e Bologna
San Francesco).5 Gli scalpelli a cannone con tagliente parallelo (Classe 3), sono strumenti complessivamente pi
massicci di quelli visti in precedenza, e con lama piuttosto
larga. Se si eccettua lesemplare friulano da Lestizza (Fig.
13.11) (Borgna 2001, pp. 321-23, fig. 14), databile al BF, gli
altri provengono tutti dal ripostiglio di San Francesco a
Bologna,6 e devono in gran parte datarsi alla prima et del
Ferro. In base al confronto con i moderni scalpelli in ferro, analogamente immanicati, alcuni autori hanno ritenuto che gli scalpelli a codolo con fermo e a cannone fossero impiegati per lo pi nella lavorazione del legno,7 ma
lipotesi non ancora supportata da osservazioni tracceologiche e sperimentali.
Una trattazione a parte, dato levidente legame con le
pratiche metallurgiche, necessaria per gli scalpelli della
Classe 4: a lama lanceolata (cat. SB57-SB73, Fig. 14). Questa
nutrita classe corrisponde perfettamente con i Meiel mit
lanzettfrmigem Krper definiti da vari autori di ambito
centro-europeo8 e con gli scalpelli a taglio trasversale
definiti a suo tempo dal Peroni.9 Si possono paragonare,

1 Esempi: Castione Marchesi (Fidenza, pr): Mutti et alii 1988, p. 155, fig. 76,7. Monte Titano (San Marino). Seconda Torre, U.T. 403, us 13, s.
8: Bottazzi, Bigi 2008, p. 63, n. 39, tav. 4, n. 8 - G/36.
2 Esempi: Pozzuolo del Friuli (ud): Cassola Guida et alii 1998, p. 55, n. 26, tav. ii. Red (Nonantola, mo): Modena, Museo Civico, inv. Red
22. Inedito: disegno C. Iaia. Corte Vivaro (Nogarole Rocca, vr): Salzani 1987, p. 53, fig. 33.9. Isolone del Mincio (Volta Mantovana, mn): Guerreschi et alii 1985, tav. xxiii, st 9108. Peschiera Imboccatura del Mincio, Peschiera del Garda (vr): Aspes, Buonopane 1982, p. 175, fig. 32, n. 7.
3 http://en.wikipedia.org/wiki/Chisel. Vedi la definizione Flachmeissel in Jacobi 1974, pp. 20-22, che sottolinea la presenza di una testa piatta, destinata ad essere battuta direttamente.
4 Scarani 1960, 526, fig. 5, n. 4. Attualmente esposto presso il Museo Civico di Bologna.
5 Per Casalecchio di Rimini: Morico 1996, p. 239, fig. 135, 16. Gli esemplari dal ripostiglio bolognese di San Francesco, pressoch tutti inediti,
sono attualmente visibili nelle vetrine del Museo Civico di Bologna. Alcune riproduzioni grafiche relativamente precise (ad es. Fig. 13.10) sono
nelle tavole del monumentale lavoro di classificazione di armi e strumenti di sir Flinders Petrie: Flinders Petrie 1917, pl. xxi, 115, 127.
6 Montelius 1895, pl. 68, nn. 7-9; Flinders Petrie 1917, tav. xxi, n. 12S8, n. 138.
7 Vedi la riproduzione di uno scalpello con immanicatura impiegato dai carpentieri navali egizi: Maragoudaki, Kavvouras 2012, fig. 1.e.
Cfr. per lEuropa celtica Jacobi 1974, 35. Per luso nella carpenteria/falegnameria dellet del ferro italiana: Iaia 2006.
8 Mayer 1977, pp. 217-218, 1262-1270, taf. 87; Nessel 2010, p. 6. Jacobi, trattando di analoghi strumenti in ferro di epoca La Tne, li definisce
Kreuzmeissel (Jacobi 1974, p. 23), utilizzando come termini di confronto scalpelli ancora oggi in uso.
9 Peroni 1963, n. 6. 29.

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


fatto salvo luso di un diverso materiale, con i moderni
scalpelli in ferro e acciaio in cui il tagliente, in luogo dellaffilatura a facce inclinate a 30-20 gradi circa, si presenta
con un angolo di 90 gradi rispetto alla lama. In italiano il
termine che meglio corrisponde quello di bedano (francese bedane), proposto da Speciale e Zanini (Speciale,
Zanini 2010, p. 38), ma che non viene qui impiegato poich copre un ambito di applicazione presumibilmente pi
circoscritto rispetto a quanto desumibile dagli strumenti
di et del Bronzo e Ferro, coincidendo sostanzialmente
con la realizzazione di incavi e scanalature nel legno, o
mortase (mortise chisels).1
Questi strumenti si possono suddividere in tre gruppi
sulla base dellimpugnatura: i) a codolo (SB57-SB64); ii) a
tallone (SB65-SB69, SB73): in diversi casi provvisti di un
manico fuso assieme alla lama, che doveva facilitare limpugnatura; spesso mostrano la tipica espansione a fungo
che indica la prolungata battitura della testa; iii) a cannone (SB70-SB72).
Lelemento unificante tali scalpelli, al di l delle differenze nellimmanicatura, dunque dato non solo dal tagliente trasversale, ma anche dalla lama foliata, di regola
a sezione quadrangolare e rastremantesi verso la punta:
tale lama costituisce un carattere di natura prettamente
morfo-tecnica, in quanto chiaramente frutto della foggiatura a martello, su pi lati, di un originaria verga subcilindrica, destinata a incrementarne la robustezza.
Come evidenziato dal grafico a Fig. 15 (simbolo del circoletto) la gamma dimensionale di questi strumenti
quanto mai varia: da piccoli e piccolissimi di 7-9 cm di
lunghezza, soprattutto dotati di codolo (San Vito al
Tagliamento, le Motte, Bologna); a medi di 13-16 cm di
lunghezza (Cervignano, Cisano, Marendole, Peschiera,
Monte Cavanero); a grandi di 20-26 cm di lunghezza
(Castel Porpetto, Ganglegg, Bologna, Segonzano). Lambito funzionale deve essere immaginato ampio, anche se
il tagliente trasversale a 90 gradi si lega soprattutto alla
realizzazione di scanalature e incisioni larghe (Jacobi
1974, p. 23, abb.7.2). Alcuni esemplari (Bologna San Francesco: SB64; Castel Porpetto: Fig. 14.SB72) presentano comunque un tagliente eccezionalmente largo che, se unito
alla lunga lama e alla massiccia immanicatura, fa pensare
a strumenti adatti a lavori di carpenteria e falegnameria,
ad esempio alla realizzazione di mortase e tenoni. Diversa era probabilmente la funzione degli strumenti pi piccoli e sottili, come quello dal tardo ripostiglio di Monte
Cavanero (Fig. 14.SB66), per il quale stata suggerita

85

unaffinit con i moderni bulini da orefice, anche alla luce


dellassociazione con un martello, unincudine e i numerosi ornamenti facenti parte dello stesso complesso (Gaj,
Burdese 2009, p. 214).
In assenza di prove sperimentali e prescindendo dal quadro europeo, un qualche legame degli scalpelli a lama lanceolata con la sfera metallurgica sembra suggerito da elementi contestuali. Nel sito altoatesino di Ganglegg un
massiccio scalpello di questa classe (Fig. 14.SB68) faceva
parte del ricco contesto abitativo della Casa 10, comprendente forme di fusione (una multipla per asce), un crogiuolo, un punzone in bronzo, unascia, e numerosi manufatti in bronzo e corno di cervo (Steiner 2007, p. 114).
La testa espansa per ripetute battiture dello scalpello ne rivela peraltro limpiego nella lavorazione di materiali duri
come bronzo o pietra, o di entrambi. Unaltra indicazione
significativa proviene da un contesto dellItalia centrale
del Bronzo Finale iniziale, la grande capanna 137 di Scarceta (c.d. casa-laboratorio), dove lo scalpellino a lama lanceolata, integro, si associa con numerose evidenze di produzione metallurgica secondaria, fra cui diversi bronzi in
corso di lavorazione (Poggiani Keller 1999, p. 116, fig.
100.14). Nel ripostiglio umbro di Gualdo Tadino, che si data grosso modo nello stesso periodo (BR2 o BF1), lo scalpello, dello stesso tipo a manico fuso e testa espansa documentato a Ganglegg e Segonzano, trova invece posto in
un contesto dalla forte pregnanza simbolica, in associazione sia con strumenti integri (un altro scalpello, un punteruolo), che con beni di prestigio e di valenza cerimoniale in metallo,come ornamenti, dischi aurei, un probabile
braccio di bilancia (Peroni 1963, I.6. 5-(4), n. 29).
Di un certo significato sono i dati sulla cronologia.
Lutilizzo di questo tipo di strumenti sembra gi testimoniato per il passaggio tra BM3 e BR, periodo a cui si data il
contesto di Ganglegg; al BR si data anche lesemplare da
le Motte di Sotto di San Martino di Lupari (Fig. 14.SB60).
Questa pi antica cronologia non sembra in contrasto
con la presenza della stessa foggia in siti che esauriscono
il proprio ciclo vitale nellambito del BR, come Montale,
Cisano, Castellaro di Gottolengo, Marendole, Peschiera,
o tuttal pi si prolungano agli inizi del BF (Servirola-San
Polo). Del resto, la diffusione della medesima foggia anche in Italia centrale fra BR e BF/PF ampiamente testimoniata da contesti stratigrafici e ripostigli di bronzi
(Speciale, Zanini 2010, p. 54). Nel Primo Ferro luso degli scalpelli a lama lanceolata prosegue ampiamente in
Italia settentrionale, come indicherebbe la probabile asso-

1 http://en.wikipedia.org/wiki/Chisel.

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cristiano iaia

ciazione tombale di San Vito al Tagliamento (dove lo


strumento si associava ad un secondo scalpellino di forma
diversa), dal ripostiglio di Monte Cavanero e dai numerosi esemplari, in gran parte inediti, dal ripostiglio di San
Francesco a Bologna.1
Catalogo degli scalpelli a lama lanceolata
SB57 Cervignano (Cervignano del Friuli, ud). Ripostiglio. Integro. L. 13,8; sp. 0,70. Borgna 2001, p. 309, fig. 7; Borgna
2004, fig. 4, n. 2.
SB58 Castellaro di Gottolengo (Gottolengo, bs). Terramara.
Roma, Museo Pigorini. Inedito, esposto al Museo Pigorini.
SB59 Marendole (Monselice, pd). Rinvenimenti fine 800. Integro. L. 16,5; sp. 0,50. Padova, Musei Civici. Aspes 1984, p.
579, nn. 10,11; Cordenons 1897, 72, fig. 1.
SB60 Le Motte di Sotto (San Martino di Lupari, pd-Castello di
Godego, tv). Deposito di bronzi, us 62 nel sito arginato. Lacunoso in corrispondenza della testa. L. 9; sp. 0,60. Bianchin
Citton 1989, p. 251, fig. 33, n. 2.
SB61 Bologna, San Francesco. Ripostiglio. Integro. L. 9; sp.
0,20. Bologna, Museo Civico, inv. 60188. Antonacci Sanpaolo et alii 1992, p. 204, fig. 47.
SB62 San Vito al Tagliamento (pn). Sporadico da sepoltura. Integro. L. 8; sp. 0,25. Cassola Guida 1978, p. 20, fig. 7.2.
SB63 Bologna, San Francesco. Ripostiglio. L. 7; sp. 0,30. Mancante di parte del codolo. Bologna, Museo Civico. Flinders
Petrie 1917, tav. xxi, n. 102.
SB64 Bologna, San Francesco. Ripostiglio. L. 23; sp. 0,80. Bologna, Museo Civico. Flinders Petrie 1917, tav. xxi, n. 117.
SB65 Cisano (Bardolino, vr). L. 14; sp. lama da 0,40 a 0,20. Superficie molto corrosa. Verona, Museo Civico di Storia Naturale; IS 11217. Fasani 1980, pp. 78-79, tav. xix, n. 1.
SB66 Monte Cavanero (Chiusa di Pesio, cn). Ripostiglio. Integro. L. 15,9; diam. manico 0,9; sp. lama 0,6. Gr. 86,3. Stagno
7,6%. Soprintendenza Arch. Piemonte, Inv. 88678. Rubat Borel 2009, p. 61, figg. 42.2; Angelini et alii 2009, p. 129, tab. 1.
SB67 Montale (Castelnuovo Rangone, mo). Scavi xix secolo.
Integro, leggermente deformato, ma con spessi strati di ossido. Fori da prelievo. L. 16,2; sp. manico 1; sp. tagliente 0,50. Gr.
90. Modena, Museo Civico, inv. Montale 275. Inedito: disegno
C. Iaia.
SB68 Ganglegg (Schludern-Sluderno, bz). Casa 10. L. 20,5; sp.
1,30. Steiner 2007, p. 114, taf. 26,5.
SB69 Segonzano (tr). L. 26,8; sp. manico 1,20; sp. lama 0,90.
Marzatico 1994, fig. 6,4; Steiner 2007, abb. 58.1.
SB70 Peschiera Imboccatura del Mincio (Peschiera del Garda,
vr). Integro. L. 16; sp. lama 0,60. Verona, Museo Civico di
Storia Naturale, inv. 1613. Aspes 2011, inv. 1613, p. 58, tav. 17, n.
4 (P. Salzani).

SB71 Paularo (ud). Recupero in superficie. L. 13,7. Gr. 87. Udine, Musei Civici. Tasca 2011, p. 120, n. 21, fig. 2/24.
SB72 Castel Porpetto, Braida detta del Pievano (Porpetto, ud).
Rinvenimento sporadico. L. 20,2; sp. lama 0,70; sp. tagliente
1,60. Gr. 275. Sec. Tasca il tagliente era originariamente arcuato ed stato ribattuto in epoca moderna. Udine, Musei
Civici. Montelius 1895, p, 185, pl. 34, n. 13; Tasca 2011, p. 118,
n. 13, fig. 2/23.
SB 73 Servirola (San Polo dEnza, re). In giacitura secondaria
nei livelli di epoca etrusca. Reggio Emilia, Musei Civici. Tirabassi 2003, p. 29, fig. 45.

4. Prospettive di ricerca: alcune brevi considerazioni


La ricerca ha sollevato una serie di problemi e di spunti di
riflessione, che qui non possibile affrontare nella loro interezza. Ci si limita pertanto a commentare quelli che
sembrano i principali risultati, peraltro suscettibili di numerosi sviluppi e approfondimenti quando si disporr di
un censimento completo degli strumenti e di un certo numero di analisi archeometriche degli stessi, oltre che di
una migliore conoscenza dei contesti produttivi.
Un aspetto generale che merita certamente di essere
sottolineato lavere constatato una sorta di intersezione,
e solo parzialmente di successione diacronica, fra, rispettivamente, sistemi tecnici dominati da uno strumentario
litico (a cui certo dovevano affiancarsi altri strumenti in
materiali organici quali osso/corno, legno ecc., ma anche
in rame), e sistemi per lo pi incentrati sulluso di strumenti in leghe a base di rame. Tale prospettiva suggerisce
di abbandonare schematismi evoluzionistici troppo rigidi,
come lidea di un brusco passaggio fra tecnologia della
pietra e tecnologia del rame/bronzo a partire dallantica
et del Bronzo. La coesistenza nelluso di strumenti in pietra e metallo nellartigianato peraltro fenomeno ben noto, oltre che nellEuropa continentale protostorica, presso
importanti centri di civilt del Bronzo antico mediterraneo, come Cipro e Creta.2
La disponibilit locale, o comunque la circolazione su
distanze relativamente brevi, di rocce potenzialmente impiegabili nel lavoro metallurgico specialmente rocce cristalline fra Alpi, pre-Alpi e Appennino settentrionale pu
spiegare in parte la quantit relativamente elevata di strumenti in pietra che si rinvengono in siti dellet del Bronzo nel nord Italia, sia in pianura che in zone collinari. Ci
spiega forse anche lampia gamma di strumenti restituiti

1 Sommarie riproduzioni grafiche in Flinders Petrie 1917. Un altro esemplare edito in Antonacci Sanpaolo et alii 1992, p. 204, fig. 47.
2 Per Cipro, indicativa la composizione del corredo della tomba 21 di Pyrgos (Limassol), contenente un complesso set di strumenti in pietra
(affilatoi, lisciatoi, mazzuoli) e rame (scalpelli, coltelli): Belgiorno 1997. Per Creta, v. lo studio sperimentale in Clark 2014.

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale


da siti del BA-BM1/2 dellareale gardesano e trentino, quali ad esempio Lavagnone (dove le attestazioni sono particolarmente abbondanti), Fiav Carera e Cisano. A questo
fattore va comunque accostata anche lopportunit di recupero e riadattamento da parte degli artigiani protostorici delle grandi quantit di strumenti in pietra levigata lasciati dai progenitori neo-eneolitici,1 senza per questo
dover necessariamente pensare ad una inverosimile perdita di cognizioni tecniche nella lavorazione di questi materiali fra et del Rame e et del Bronzo (Occhi 1997). Anche nellambito terramaricolo, abitati come Castellaro del
Vho nel pieno BM, e lo stesso Montale, tra BM e BR, mostrano una notevole variet di materie prime e forme di
strumenti litici.
Pertanto, si pu sostenere che il sapere tecnico dei metallurghi dellantica e media et del Bronzo in Italia settentrionale sia il frutto di una sedimentazione di strumenti e pratiche formatasi nellarco di millenni, certo gi a
partire dallEneolitico iniziale. Ci appare in tutta evidenza nella complessit e versatilit di composizione dei set di
strumenti ricostruibili fra BM avanzato e BR/BF, quando
coesistono strumenti di tipo e materiale differenziato.Gi
forse a partire dal BM 2-3, accanto a un uso diffuso di utensili litici (vedi quelli rinvenuti presso larea produttiva di
Castellaro del Vho), appaiono isolati esempi di nuove
classi di strumenti in bronzo, come ad esempio il martello conico da Finilone Valle, lincudine cilindrica di Bor di
Pacengo, il possibile martello massiccio da Castellaro del
Vho. Un esplicito processo di innovazione sembra comunque verificarsi tra BM3 e BR, con lapparizione di una
gamma molto pi ampia di strumenti, fra cui quelli in
bronzo (martelli, incudini e soprattutto scalpelli) iniziano
a rivestire un ruolo notevole, bench forse non esclusivo o
predominante. Gli scalpelli a lama lanceolata di Ganglegg,
Peschiera, San Martino di Lupari, Castellaro di Gottolengo, Montale, strumenti di uso certamente specializzato, si
datano in questo momento, certo non pi tardi del BR
(quando molti di questi siti vengono abbandonati). Ancora a proposito della classe degli scalpelli a lama lanceolata
(ma il discorso vale anche per le altre famiglie di scalpelli),
si gi osservato come la sua grande variabilit dimensionale e morfologica suggerisca un uso non limitato allambito metallurgico: esso dovette includere anche applicazioni nel campo della lavorazione di materie tenere, il
cui legame con la metallurgia evidente sotto diversi punti di vista; si pensi in particolarealleccezionale fioritura
dellindustria in corno di cervo nelle terramare (Proven-

87

zano 1997), ma anche ad un materiale che era sfruttato in


una grande variet di modi in questarea,come il legno.
Per il legno, si pu citare la realizzazione di incastri a mortase e tenoni, tecnica ben nota ad esempio nella carpenteria navale micenea (Maragoudaki, Kavvouras 2012).
Al BR2 stata attribuita, in base ad indagini tecnologiche
dei manufatti osso e corno (Provenzano 1997, p. 527),
lintroduzione della sega in metallo in ambito terramaricolo, un oggetto divenuto di uso corrente solo nei secoli
successivi. Ancora al passaggio BR-BF sembra collocarsi
anche lintroduzione, condivisa dalla metallurgia centroeuropea, di strumenti a percussione la cui funzione rimane ancora da chiarire, come le misteriose palette a cannone (Bellintani, Stefan 2008, con bibl. prec.). Tutte
queste evidenze potrebbero suggerire, piuttosto che avanzamenti settoriali, concomitanti cambiamenti tecnici in
diversi settori produttivi, tutti accomunati da un ampio
utilizzo della percussione.
I risultati di questi cambiamenti, di pari passo con alcuni indizi di trasformazione dellorganizzazione sociale della produzione, si avvertono specialmente nel periodo fra il
xii e il x sec. a.C., quando in Italia del nord appaiono martelli a testa bronzea dotati di battente piatto e stretto, molto adatti per lavorare le lamine (esemplari da Castions di
Strada, Montagnana, Frattesina), che si affiancano ad altri
strumenti in bronzo gi in uso nei secoli precedenti. La
diffusione di batterie di strumenti specializzati in bronzo
tuttavia da considerare solo il sintomo di un cambiamento pi ampio nel quadro della sfera metallurgica, che
vede lemergere e laffermarsi progressivo di rami specialistici dellartigianato, in cui la martellatura e le varie
forme di rifinitura e decorazione assumono un ruolo fondamentale (per lItalia centrale cfr. Lehorff 2007). Ci
potrebbe anche suggerire una maggiore diffusione di
competenze professionali a tempo pieno. Si possono citare, in merito: la produzione di spade da fendente fortemente standardizzate e dalla lama eccezionalmente robusta; i prodotti della primissima toreutica, come corazze,
elmi, cinturoni, o di vasellame in bronzo; la produzione
delle prime fibule tra BR e BF.
In conclusione, si vuole accennare al problema delluso
in ambito rituale e simbolico degli strumenti a percussione da metallurgo, aspetto che ci pu fornire alcune indicazioni sul ruolo sociale degli artefici, indipendentemente dalla loro connotazione socioeconomica. Soprattutto
alla luce di vari filoni dellagency theory, alcuni anni fa si
cominciato ad affrontare in termini teorici pi articolati

1 Sul caso esemplare di Monte Castellaccio di Imola e del suo territorio: Mengoli 1996a, 1996b.

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cristiano iaia

il problema dellidentit sociale degli artigiani (Costin


1998). Una relazione particolarmente stretta stata riconosciuta fra artefici e strumenti da lavoro, questi ultimi
intesi come estensioni solidali delle mani dellartigiano
(definizione gi in Leroi-Gourhan 1971, p. 43), inevitabile elemento di mediazione fra artefice e materia (Fregni 2014).
Nel Bronzo tardo dellEuropa centrale una particolare
enfasi simbolica sugli strumenti dei metallurghi emerge
negli eccezionali Metallhandwerkerdepots (Thevenot
1998; Nessel 2010), ovvero depositi comprendenti quasi
esclusivamente strumenti da lavoro, per lo pi costituiti
da elementi legati alla deformazione plastica, alla rifinitura e alla decorazione. LItalia mostra un quadro un po
diverso: mentre non si conoscono depositi che includono
coerenti set da metallurgo, almeno a partire dal BR avanzato strumenti integri, che in alcuni casi avrebbero potuto comporre insiemi, si trovano a volte accanto a oggetti
intenzionalmente frammentati. Martelli si rinvengono
nei pi antichi ripostigli friulani di Castions di Strada e
Belgrado di Varmo (BR2 o BF1), e poi in quelli poco pi
tardi di Montagnana-Borgo San Zeno (BF2), Porpetto
(BF), Casalecchio di Rimini (PF1) e Monte Cavanero di
Chiusa Pesio (PF1-2), dove si associano con diversi altri
elementi che in qualche modo si connettono alle pratiche
metallurgiche: fra questi, utensili vari anche di tipo specializzato (palette a cannone, scalpelli), ma anche forme
di fusione (in bronzo a Casalecchio) e lingotti (panelle,
ecc.). Molto chiara sembra la relazione con la metallurgia
secondaria nel ripostiglio di Chiusa Pesio, dove una grande quantit di manufatti di prestigio (vasellame in bronzo, ornamenti) si associa con un set selettivo (una pars pro
toto), comprendente un martello a cannone, una incudine e uno scalpello, con cui alcuni dei manufatti potrebbero essere stati realizzati. La deposizione di martelli e
altri strumenti da lavoro interi in quanto segni per eccellenza del lavoro del metallurgo specializzato , del resto,
ancora pi esplicita nel meridione italiano: in particolare
nei ripostigli pugliesi di Surbo e Mottola martelli a occhio, nel caso di Surbo identici agli esemplari nordici di
Montagnana e Bologna, si associano con altri strumenti
da lavoro integri, come gli scalpelli (Bietti Sestieri 1973,
figg. 1,6). Particolarmente suggestivo appare il caso di
Roca, dove il martello a occhio tipo Mottola si inserisce

nellambito di un deposito del Bronzo finale iniziale con


evidenti connotazioni rituali, accanto a numerosi manufatti di alto pregio e forse in connessione funzionale
con altri strumenti, probabilmente legati alle fasi di rifinitura/decorazione di oggetti metallici: fra essi punte varie, punzoni e un probabile trapano.1
Linterpretazione di questi depositi resta certo un argomento molto complesso, che qui non possibile affrontare. Esistono comunque alcuni spunti che ci consentono di ricollegarci alloggetto di questo studio.
Secondo uninterpretazione che riscuote sempre pi
plauso nella letteratura europea, in molti depositi di
bronzi possibile riscontrare una chiara relazione concettuale, nellambito di attivit cerimoniali e rituali (non
necessariamente di culto), fra strumenti da lavoro, prodotti della metallurgia e oggetti frammentati. La revisione dei depositi con oggetti in bronzo frammentati che
in corso da anni in Europa, e recentemente anche in Italia, aggiunge forse alcuni elementi alla comprensione di
questo quadro (riassuntivamente Toune 2009). Limportanza degli strumenti a percussione negli atti rituali in
particolare indiziata dalla frammentazione, dal taglio e
dalla deformazione meccanica (talvolta anche chimicofisica tramite fuoco) di oggetti, secondo modalit ben
precise che non possono non essere considerate intenzionali, e che rimandano metaforicamente a concetti di
morte/nascita/rigenerazione (Brck 2006). In Italia, fra
i casi che pi hanno gettato luce su queste pratiche da
citare il deposito terramaricolo di Pila del Brancn, contenente decine di armi da offesa e difesa soggette a meticolose operazioni di deformazione e frammentazione, attuate con lausilio di strumenti analoghi a quelli indagati
nel presente studio (Bietti Sestieri et alii 2013). Si prospetta pertanto la possibilit di inquadrare i metallurghi
del cruciale periodo a cavallo fra tardo Bronzo e primo
Ferro come, nello stesso tempo, specialisti in senso economico e agenti rituali, impegnati in azioni dalla forte
pregnanza simbolica.
Parole chiave: utensili da metallurgo, percussione, et
del Bronzo, prima et del Ferro, tecniche metallurgiche, metallurgia secondaria
Keywords : smithing tools, percussion, Bronze Age, Early Iron
Age, smithing techniques, secondary metallurgy

1 Ripostiglio 1 o degli ori: Maggiulli 2009, pp. 308-319. La natura rituale del complesso resa verosimile, oltre che dalla presenza dei
dischi doro con rappresentazione di barche solari, dal numero notevole di ornamenti integri, per lo pi in bronzo ma anche in altri materiali,
fra cui si segnalano coppie di fibule e spilloni che potrebbero aver composti intere parures offerte come ex voto. Si confronti anche il caso del
ripostiglio di Gualdo Tadino (Peroni 1963), contenente esclusivamente oggetti integri, dove pure ricorre lassociazione fra scalpello a lama
lanceolata, dischi aurei, ornamenti di pregio ecc.

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale

Riassunto
Larticolo si prefigge in primo luogo di ampliare il corpus degli
strumenti a percussione in pietra e bronzo impiegati dai metallurghi dellItalia settentrionale tra BA e PF, attraverso lelaborazione di un catalogo dei manufatti e di una classificazione volta
a porre in evidenza i loro caratteri morfo-tecnici e funzionali. Si
inoltre tenuto conto dei rari studi analitici finora condotti sulle tracce duso degli strumenti litici di epoca protostorica, di dirette osservazioni macroscopiche e di alcune recenti pratiche di
archeologia sperimentale. Per supportare ulteriormente linterpretazione funzionale si criticamente vagliata la ricorrenza
delle diverse classi di strumenti in contesti archeologici con
legami pi o meno espliciti con lambito della produzione metallurgica, sia in Italia che in altre aree europee. Segue un tentativo di ricostruzione dellevoluzione diacronica dello strumentario legato alla metallurgia secondaria, che alla persistenza di
strumenti tradizionali in pietra contrappone diverse innovazioni nel BR/BF.

Summary
The paper illustrates a study conducted between 2011 and 2014 to complement an experimental archeology project (European project OpenArch), promoted by the Museum of Archaeology and Ethnology of
Modena in collaboration with Sapienza University of Rome. It aims
primarily at expanding the corpus of indicators of metallurgical production in the archaeological contexts of northern Italy between
Bronze Age and Early Iron Age (2200/2100-700 BC). To this end, it focuses on those percussion instruments used by ancient craftspeople in
the stages of shaping/forging/finishing, but also in the maintenance
(such as the sharpening of blades) and recycling (fragmentation, cutting etc.) of objects. This means putting a particular emphasis on a substantial portion, merely in terms of duration and intensity, of the technical sequence of metallurgical production, which studies in Italy have
rarely dealt with. The conceptual and also operational framework of
such a survey is that of chane opratoire, which is further articulated
in order to adapt to the nature of ancient metallurgical practice.
Beside the catalogue of artefacts made from stone, and those manufactured with copper-based alloys, a classification work has been carried out, to put in evidence their morphological, functional and technical features, always assessing their dependence on the type of used
material (rocks of various nature, metal). Through a comparative approach, the classification integrates, where possible, the few analytical
studies on the use-wear of stone tools in protohistoric times, direct
macroscopic observations made from the author and the outcomes of
experimental practices. In order to further support the functional interpretation, the occurrence of different classes of instruments in archaeological contexts with more or less explicit links to the metallurgical industry, both in Italy and in other European areas, has been
critically examined.
Hafted lithic hammers constitute the category far more rich in variants. Shaft-hole hammers is a class of polished stone tools whose origin dates back to the Eneolithic period, although Bronze Age exemplars

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are very different from the earlier ones. Apparently, they continued to
be manufactured in limited numbers in the Bronze Age of northern
Italy, possibly not later than the advanced stages of the Middle Bronze
Age. Their function as metalworking tools is only hinted at by morphological and contextual considerations. Differently, the grooved
hammerstones are known in very large numbers, especially in the
settlements of the central Po valley (so-called Terramare); they are
mostly made of sandstone or marl, but there are also examples in finegrained rocks. As demonstrated by use-wear traces and experimentation, these tools result rather massive, not suitable for fine working of
artefacts, and subject to a high degree of wear and rapid exhaustion.
It is possible to conjecture their usage both for carpentry and the preliminary stages of metalworking (crushing ores and ingots, etc.). On
the contrary, as a long track of experimental activities and use-wear
analyses has widely demonstrated, the axe-like hammers, typically
made of polished ground stone, are highly suitable to the shaping and
finishing of copper-based artefacts. Handheld hammers are irregular
pebbles used directly on the material by hand; they are of varied shape
and size. As shown by numerous experimental studies, the larger and
massive ones lend themselves easily to the manufacture of objects in
copper-based alloys.
Both lithic anvils (very rare in north Italian archaeological contexts) and polishers are instruments preferably made of fine-grained
rocks. They are present in many European burials dating from the late
Copper Age (e.g. in the Iberian Peninsula) and the Early Bronze Age
(Iberian Peninsula, Central Europe). Sharpeners/whetstones comprise tools of variable forms, mostly manufactured with rocks with
abrasive properties such as sandstones. They are very useful in the finishing stages of copper and bronze artefacts, but often might have been
used in the maintenance stage, to sharpen the blades of tools and
weapons. Easily visible use-wear traces (striations, grooves etc.) occur
on them. The presence of these tools is frequently recorded in tombs of
continental Europe (but with some cases even in Italy) since the Copper age. They seem to take part in metalwork toolkits, or being an accessory of copper/bronze weapons or tools.
The rare bronze anvils so far known in northern Italy are usually
very small, and were possibly meant for shaping elements of jewellery,
either made of bronze or gold. They are very heterogeneous in shape:
one specimen assumes the form of a semi-rectangular ingot (Gorzano);
another (Bor di Pacengo) has a very peculiar cylindrical shape, that
may remind that of a hammer. Others, very small, have a typical
mushroom expansion on the top.
Among the tools that could be used in the practice of secondary metallurgy, bronze chisels are numerically the most substantial category.
Chisels are multifunction tools, used in various branches of craft, including especially carpentry, bone/antler working, as well as stone
making and metalworking. They can be divided into classes based on
the presence or absence of the handle, and in part on the shape of the
cutting edge. A fundamental division within the butt chisels is that
into the haftable ones, which are generally small and thin and can be
used with the direct action of the hand, and the nonhaftable ones.
The latter have to be hit intensively with a mallet, and therefore show
clear signs of a mushroom expansion of the butt. A closer link to the
bronze metallurgy is apparently represented by chisels with lance-

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cristiano iaia

shaped blade and cross cutting edge, that partially correspond to the
current mortise chisels. This class appeared at the end of the Middle
Bronze Age or early Recent Bronze Age (about 1300 BC) and was largely used during the Final Bronze Age and the Early Iron Age with a variety of hafting systems and sizes. In northern and central Italy it is
found in various stratigraphic contexts characterized by traces of metallurgical activities, and also in the context of metal artefact deposits.
Its functional characteristics relate both to cutting and incising metals,
and to cutting regular holes in wooden artefacts.
The final result of the paper is an attempt to reconstruct, in the long
term, poorly known aspects of the know-how of the protohistoric
smiths, highlighting both the persistence of traditional components
from the early metal age (stone tools) and the appearance of innovations, such as the various shapes of bronze tools emerging throughout
the Bronze Age. It is also pointed out that such innovations appear to
be marked by a particularly strong acceleration in the initial Late
Bronze Age (or Recent Bronze Age), determining many aspects of manufacturing techniques that will persist until the whole Early Iron Age.
All available evidence on working tools in this period suggests the unfolding of concomitant technical changes in various productive sectors
(e.g. carpentry, antler working), linked each to the other by a wide use
of percussion. In metalworking, a particular importance of the percussion tools, especially of the bronze ones (hammers, anvils, chisels)
seems to start with the emergence of new artefact classes, such as long
cut and thrust swords and laminated bronze vessels and armour. In
the late Bronze Age of Central Europe a particular symbolic emphasis
on the metallurgists implements emerges in the outstanding Metallhandwerkerdepots, that is deposits comprising almost exclusively
bronze working tools, namely hammers, anvils and chisels. In Italy we
have a slightly different picture, that shows, at least from the Recent
Bronze Age on, hoards that include incomplete metallurgists toolkits,
alongside intentionally fragmented objects.
In the conclusive paragraph of the paper the importance of percussion instruments in ritual acts is briefly investigated, drawing particularly on the explicit evidence for intentional fragmentation, cutting and mechanical deformation of objects that is displayed in some
hoards. These are practices that some authors refer to metaphorical
concepts of death/birth/regeneration. Among the cases that have
mostly thrown light on these practices, the Pila del Brancn (Verona)
deposit deserves a particular mention: it included dozens of offensive
and defensive weapons that had been previously subject to meticulous
operations of deformation and fragmentation, implemented with the
help of tools similar to those investigated in the present study. This
perspective therefore presents the opportunity to frame the smiths of
the crucial period between the Late Bronze and Early Iron Age as, at
the same time, specialists in the economic sense and ritual agents,
that is people who were engaged in actions with a strong symbolic
meaning.

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Fig. 1. Carta con la localizzazione dei siti di provenienza dei manufatti catalogati. 1: Monte Cavanero; 2: Grotta Cornarea; 3: Bric
Reseghe; 4: San Giorgio, Brignano Frascata, Guadamonte, Gremiasco; 5: Montata dellOrto; 6: Castione Marchesi; 7: Casaroldo di
Samboseto; 8: Castellaro del Vho; 9: Castellaro di Gottolengo; 10: Villa Cappella; 11: Castellazzo di Bigarello; 12: Pr Grande;
13:Grezzanin; 14: Finilone Valle; 15: Castello del Tartaro; Fondo Paviani; 16: Canar; 17: Frattesina; 18: Marendole; 19: Montagnana;
20: S. Rosa di Poviglio; 21: Monticelli di Guardasone; 22: Servirola; 23: Monte Venera; 24: Campo Pianelli; 25: Gorzano; 26: Montale; Casinalbo; 27: Monte Barello; 28: Red; 29: Bologna, San Francesco; 30: Imola, Monte Castellaccio; 31: Coriano; 32: Casalecchio,
Rimini; 33: Isolone del Mincio; 34: Barche di Solferino; Bande di Cavriana; 35: Lavagnone; 36: Maraschina-Tafella; Peschiera delGarda; Peschiera Imboccatura del Mincio. 37: Corno di sotto; 38: Bor di Pacengo; Porto di Pacengo; 39: Cisano; 40: Ledro; 41: Fiav
Carera; 42: Segonzano; 43: Tiers-Tires; 44: Ganglegg; 45: Welsberg-Monguelfo; 46: Le Motte di Sotto; 47: San Vito al Tagliamento;
48: Belgrado di Varmo; 49: Cjastiei, Pozzuolo del Friuli; 50: Castions di Strada; 51: Porpetto; Braida del Pievano, Castel Porpetto;
52: Cervignano; 53: Paularo.

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cristiano iaia

Fig. 2. Martelli a occhio in pietra. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in par. 1.1.1.

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ricerche sugli strumenti da metallurgo nella protostoria dell italia settentrionale

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Fig. 3. Martelli doppi a solco centrale, o mazzuoli, in pietra. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in
par.1.1.2.

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Fig. 4. Martelli doppi a solco centrale, o mazzuoli, in pietra. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in
par.1.1.2.

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Fig. 5. Grafico dei pesi (in grammi) di 62 martelli doppi a solco centrale.

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Fig. 6. Martelli asciformi, in pietra. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in par. 1.1.3.

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Fig. 7. Percussori in pietra. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in par. 1.2.

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Fig. 8. Martelli in bronzo. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in par. 1.3.

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Fig. 9. Incudini in pietra (IL1-IL5) e in bronzo (IB1-IB6). Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in par. 2.1. e
2.2.

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Fig. 10. Lisciatoi/levigatoi in pietra. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in par. 3.1.

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Fig. 11. Affilatoi, o coti, in pietra. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in par. 3.2.

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Fig. 12. Scalpelli in pietra. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in par. 3.3.

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Fig. 13. Esempi di scalpelli in bronzo con tagliente parallelo. 1-3: scalpelli a tallone immanicabili. 4-8: scalpelli a tallone non
immanicabili. 9,10: scalpelli a codolo con fermo a disco. 11-13: scalpelli a cannone. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche
vedi par. 3.4.

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Fig. 14. Scalpelli a lama lanceolata. Scala 1:3. Per provenienze e fonti bibliografiche vedi catalogo in par. 3.4.

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Fig. 15. Grafico di dispersione delle misure spessore massimo e lunghezza di 61 scalpelli in bronzo. Rombi: scalpelli a tallone.
Circoletti: scalpelli a lama lanceolata.

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