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Igiene 17: Fissazione del complemento

Nel caso di una determinazione di un fattore Rh non si utilizza un test di


agglutinazione, perchè l’anticorpo che riconosce il globulo rosso che
presenta la molecola col fattore Rh non è capace di indurre
l’agglutinazione. Viene utilizzato il TEST di COOMBS: lo scopo è quello di
capire se il fattore Rh è legato agli eritrociti e quale ha il bambino e la
madre. questo test si divide in diretto e indiretto:
• Diretto: va alla ricerca dell’anticorpo nel sangue del neonato, sono
anticorpi legati all’eritrocita e vuol dire che il sistema immunitario ha
reagito e ha sintetizzato questi anticorpi (quindi solo se presente il
fattore Rh sulla molecola del globulo rosso). Per vedere se sui globuli
rossi è presente l’anticorpo si aggiunge l’antigene nella provetta, se è
presente si forma l’immunocomplesso, ma non si riesce a vedere
perchè non si scatena una reazione di agglutinazione (diversamente dai
gruppi sanguigni). Ci viene in aiuto il cosiddetto “siero di Coombs” ->
Coombs prese le emazie umane e le inoculò in un animale
immunocompetente (coniglio) che scatenò contro esse degli anticorpi,
si forma quindi un siero che contiene anticorpi anti-anticorpi umani (*);
questo siero lo introdusse nella provetta, gli anticorpi riconoscono
come antigene l’anticorpo che ha legato il fattore Rh, si va a formare il
complesso, che questa volta precipita e ottengo una reazione di
agglutinazione visibile. (*anticorpi che riescono a riconoscere come
estranea l’emazia umana, perchè è stata inoculata in un coniglio)
• Indiretto: va alla ricerca di anticorpi anti-fattore Rh nel siero di
donna Rh-, unita ad un uomo Rh+ (per vedere se la mamma ha già
anticorpi nel suo siero). L’indagine in questo secondo caso è sul siero,
lo scopo è quello di dimostrare se nel siero della madre Rh- ci sono
anticorpi anti-fattore Rh. Si preleva il siero e si aggiunge delle emazie
che hanno il fattore Rh, se ci sono anticorpi, essi reagiranno con il
fattore Rh presente sulle emazie, si formerà l’immunocomplesso che
non si riesce a vedere; si aggiunge il siero di Coombs che scatena la
reazione di agglutinazione come precedentemente.
La cosa che le differenza sono gli obiettivi diversi e i punti di partenza.

FISSAZIONE O DEVIAZIONE DEL COMPLEMENTO


Questa tecnica ci permette di evidenziare la presenza
dell’immunocomplesso. L’agglutinazione è visibile e si verifica quando
l’antigene è corpuscolato, quando invece l’antigene non lo è (è virale o
una tossina) ad occhio nudo non si vede nulla e si usa quindi la
fissazione del complemento.
Perchè si chiama fissazione o deviazione del complemento?
- Fissazione: affinchè si possa sfurttare il complemento per
evidenziare l’immunocomplesso è fondamentale che il complemento sia
fissante l’immunocomplesso, che deve poter agire con il complemento,
se ciò non succede e infatti non sempre l’immunocomplesso riesce a
fissare il complemento non si può utilizzare questa reazione.
- Deviazione: perchè a seconda se c’è il primo immunocomplesso, il
complemento viene deviato ad agire sul secondo; se invece non c’è il
primo, il complemento interagisce sicuramente con il secondo.
Perchè l’immunocomplesso deve fissare il complemento? Quando si
forma l’immunocomplesso il legame antigene-anticorpo induce una
modificazione conformazionale nella porzione costante dell’anticorpo Fc
e questa variazione attiva il complemento -> l’immunocomplesso deve
essere formato e la porzione anticorpale dell’immunocomplesso riesce a
fissare il complemento e a scatenare la sua attivazione.
L’immunocomplesso dev’essere formato perchè il complemento è
attivato solo da esso, perchè esso induce la modificazione
conformazionale di Fc, altrimenti non può essere attivato solo
dall’antigene o da Fc e in più la porzione anticorpale deve essere
fissante il complemento, capace di interagire con esso --> deve esistere
l’immunocomplesso e la porzione anticorpale deve essere fissante il
complemento.
Una delle prime reazioni studiate, sfruttando la deviazione del
complemento come accertamento, fu la reazione di Wassermann per fare
l’accertamento della sifilide (malattia a trasmissione sessuale e dovuta
ad un agente eziologico, uno spirocheta che è chiamato “Trepanema
pallidum”). Quando si deve fare l’accertamento non si potrebbe mai fare
una batterio diagnosi, che permetterebbe di studiare e di isolare e di
caratterizzare l’agente eziologico dal materiale morboso, perchè il
treponema pallidum ha delle condizioni di di vita molto difficili, non vive
nei normali terreni di coltura ma vive solo nei testicoli vivi (quindi un
terreno vivente) del coniglio. Si sposta quindi l’attenzione nella siero
diagnosi (che consiste nell’evidenziare gli anticorpi aggiungendo nella
provetta con il siero gli agenti eziologici), ricercando gli anticorpi nel
siero di una persona che si sospetta essere affetta da sifilide. Ci viene
incontro il fatto di poter utilizzare l’antigene eterofilo, rappresentato da
una particolare molecola che è la CARDIOLIPINA, che è un trigliceride
dove gli atomi di C in posizione 1 e 3 sono legati ad un gruppo fosforico:
è un antigene di membrana della spirocheta ma si trova anche su tessuto
muscolare del cuore di bue e montone, quindi isolata da lì, si utilizza
come antigene. Si ha però a che fare con un antigene eterofilo, che
successivamente potrebbe portare a delle complicanze.
La cardiolipina ci dà l’inizio della fissazione del complemento (la
spirocheta infatti è difficile da coltivare).
Per capire bene la fissazione del complemento si fa un discorso su due
provette:
1. una nel cui siero l’anticorpo (anticorpo anti-sifilide, anti-
cardiolipina) che si vuole evidenziare è presente; si parla di una
persona che è quindi venuta a contatto con l’agente eziologico della
sifilide. (quella di sinistra)
2. l’altra nel cui siero non è presente l’anticorpo; persona che non è
venuta a contatto con la sifilide. (quella di destra)
Si mettono a confronto per renderci conto cosa li diversifica e che cosa
avviene nei due casi. Nel laboratorio ovviamente non utilizza anche la
provetta che può essere negativa, ma utilizzano dei kit e poi si va a
leggere e quantizzare la formazione dell’immunocomplesso, quindi
nell’atto pratico non servono due provette. [Nell’esame non si deve dire,
è solo una spiegazione teorica, ma non pratica]
Abbiamo le due provette:
-> Si aggiunge nelle due provette l’antigene che è la cardiolipina: in
quella di sinistra visto che ci sono gli anticorpi, con l’aggiunta della
cardiolipina si forma l’immunocomplesso che però non si vede, perchè
non si agglutina e non precipita; in quella di destra invece si aggiunge
l’antigene ma non avviene la formazione dell’immunocomplesso non
essendoci anticorpi, ma neanche questo si riesce a distinguere.
-> Si aggiunge il complemento, che riesce ad interagire solo con
l’immunocomplesso e in più la porzione anticorpale dev’essere fissante il
complemento: quindi nella provetta di sinistra sicuramente interagisce
con l’immunocomplesso formato, nell’altra invece il complemento rimane
libero. Si è formato un sistema formato da complemento-antigene-
anticorpo (immunocomplesso-complemento), però non si vede ancora
nulla, perchè se anche il complemento riesce a lisare l’antigene, questo
è una cardiolipina, una molecola e non cambia nulla nel sistema.
-> Si aggiunge un secondo immunocomplesso che si chiama SISTEMA
RIVELATORE: questo immunocomplesso è fatto emazie-anti-emazie di
montone o di bue = parliamo di un antigene (emazie) e di un anticorpo
(anti-emazie), preso da un bue o un montone, ottenute inoculando le
emazie di bue o di montone in un altro individuo immunocompetente che
le ha riconosciute come estranee e ha prodotto anticorpi (anti-emazie).
Introducendo quindi questo secondo immunocomplesso si riesce ad
evidenziare la presenza di anticorpi o meno. Se il complemento ha
interagito con il primo immunocomplesso, non ce ne sarà più a
sufficienza per andare a reagire anche con il secondo; invece nella
seconda provetta dove il primo immuncomplesso non c’è, il complemento
è libero e si va a legare con il secondo immunocomplesso (sistema
rivelatore) e quando agisce si scatena l’attivazione di tutte le proteine
del complemento, per cui una porzione va a determinare il proenzima che
attiva la proteina successiva, ma un frammento entra in circolo e si va a
depositare sull’antigene, che è un emazia, forma il complesso MAC, si
buca l’emazia e la provetta si colora di rosa.
Se non ottengo quindi emolisi nella provetta la reazione Wassermann è
una reazione POSITIVA: il paziente è positivo alla sifilide, perchè vuol
dire che il complemento non ha reagito con il sistema rivelatore, lisando
le emazie, ma con il primo immunocomplesso, che sta ad indicare la
presenza di anticorpi contro la sifilide, quindi il contatto del paziente con
la malattia. Se invece si ottiene l’emolisi, la reazione è NEGATIVA: il
paziente non ha anticorpi, quindi il paziente non è mai venuto a contatto
con la sifilide, per cui il complemento ha interagito con il secondo
immunocomplesso, lisando le emazie.

C’è però un grande problema nella fissazione del complemento e questo


ci dimostra che quando la si può evitare, la si evita: l’antigene non è
corpuscolato e quindi non si può vedere. In alcuni casi c’è la possibilità
di sfruttare una peculiarità di quell’antigene e allora si riesce a non
ricorrere alla fissazione del complemento.
La fissazione del complemento è piuttosto laboriosa perchè si deve fare
in modo che il complemento che si aggiunge nella provetta una quantità
tale che se c’è l’immunocomplesso, se esso è tutto coinvolto nel primo
immunocomplesso si potrebbe ottenere un falso -> supponiamo che si
aggiungono nella provetta 100 unità complementari, se di queste 100, 50
si legano nel primo immunocomplesso, altre 50 rimangono nella provetta
e quando si aggiunge il secondo immunocomplesso si legano anche a lui
e lo lisano e quindi si avrebbe un falso negativo, affermando alla fine che
gli anticorpi della sifilide non sono presenti, quando non è così. Allora è
necessario aggiungere alla provetta una quantità complementare
precisa, non in eccesso, perchè altrimenti si corre il rischio di un
risultato falsificato. Per sapere la quantità di complemento giusta, prima
di tutto si deve scomplementare il siero (il complemento infatti fa parte
dell’immunità innata), nel siero però non si sa se è in quantità giusta e se
ne aggiunge altro siero fresco ci può ritrovare nella situazione del falso
-> il complemento è CRONOLABILE e TERMOLABILE: il siero dev’essere
fresco se la provetta la si lascia a temperatura ambiente per qualche
giorno le proteine del complemento si denaturano, si velocizza il tutto
sfruttando il fatto che è termolabile, quindi si può incubare il siero a 56°C
per 30 min per avere la certezza di allontanare le proteine. Si ha quindi
una provetta dove probabilmente ci sono gli anticorpi che hanno reagito
con l’antigene e vado ad aggiungere il complemento fresco che si prende
da un qualsiasi organismo (essendo un insieme di proteine nel siero).
Però non si è ancora risolto il tutto perchè abbiamo semplicemente
allontanato la porzione delle proteine che potrebbe creare dei problemi,
ma non si sa ancora quanto complemento si deve aggiungere -> si deve
aggiungere nella minima quantità complementare: una quantità minima
tale che sia capace di attivare il sistema rivelatore. Supponiamo che per
attivare il sistema rivelatore servono 10 unità complementari, ovvero se
9 di esse vengono fissate dal primo immunocomplesso ne rimane solo 1
che non è capace di attivare il secondo, ma serve aggiungere la quantità
necessaria per attivare il secondo (quelle che tra i due funge da
discriminate), perchè altrimenti si corre il rischio di non evidenziare la
lisi delle emazie. (ce ne devono essere abbastanza da attivare il secondo
nel momento in cui il primo immunocomplesso non si forma).
Come si determina la quantità minima di complemento? Si preleva il
siero fresco da una cavia, si fanno le diluizioni, si aggiunge una stessa
quantità del sistema rilevatore e di osserva l’ultima diluizione in cui
avviene l’emolisi. Nelle diluizioni la quantià di complemento man mano
diminuisce e nelle provette si aggiunge la stessa quantità del sist
rilevatore, per capire la quantità minima di complemento che è capace di
lisare le emazie; si deve stabilire qual è la provetta dove si ha la più
bassa quantità di complemento che riesce a lisare le emazie-antiemazie.
Quindi la minima quantità complementare coincide con l’ultima
diluizione in cui si è verificata l’emolisi.

Lo scopo finale della fissazione del complemento è quello di determinare


la concentrazione di anticorpi, perchè vedendo come varia la quantità di
anticorpi capisco che sono venuta a contatto con l’agente eziologico e si
riesce a monitorare nel tempo l’andamento della risposta immunitaria.
Quindi qual è il titolo anticorpale nel caso della fissazione del
complemento? Il titolo è il reciproco della diluizione più spinta dove si
può ancora evidenziare la formazione dell’immunocomplesso -> nel caso
della fiss. del complemento il titolo è l’ultima diluizione nella quale non si
osserva l’emolisi. (nelle diluizioni il siero viene diluito, perchè lo scopo è
capire la concentrazione di anticorpi, per cui la fissazione del
complemento riguarda una serie di provette e di diluizioni del siero, si va
ad aggiungere l’antigene e ..... l’intero processo della fissazione... )

Nel caso della sifilide fino al risultato della fissazione del complemento
si può soltanto affermare che se si assiste ad emolisi è una reazione
negativa, quindi niente anti-sifilide, il problema c’è quando risulta
positiva e bisogna proseguire con l’accertamento, perchè l’antigene
utilizzato è eterofilo, non specie specifico per quell’agente eziologico.

COMPLESSO TORCH (toxoplasmosi, rosolia, citomegalovirus, herpes


simplex)
Questi agenti eziologici sono responsabili di diverse malattie e sono
preoccupanti perchè attraversano la barriera placentale. E’ opportuno
quando si programma una gravidanza di andare alla ricerca di anticorpi
specifici per questa malattie, nel caso in cui non si presentano anticorpi
sarebbe meglio fare una vaccinazione (es. rosolia). Diversamente se si
comincia una gravidanza e la mamma non ha questi anticorpi, bisogna
fare molta attenzione perchè attraversano la barriera placentale ed è
opportuno fare una siero profilassi, ovvero introdurre anticorpi già
formati che vanno ad attaccare l’antigene ma al feto non recheranno mai
alcun danno (mai fare una vaccino profilassi, perchè in alcuni vaccini
l’agente eziologico è attenuato, la sua virulenza, ma vivo e può passare
lo stesso la placenta). L’eventuale penetrazione dell’agente eziologico
durante la gravidanza può indurre gravi danni al feto, a volte anche
compromettendone le funzioni vitali, in questi casi rari, sopratutto nei
primi di gestazione quando si stanno ancora differenziando le cellule, è
consigliabile l’aborto terapeutico.
La fissazione del complemento ci torna utile nella toxoplasmosi,
provocata da un protozoo (più grande di un batterio), quindi si possiamo
aspettare di utilizzare una reazione di agglutinazione, ma invece no ->
non perchè non agglutina, ma anzi proprio per le sue grandi dimensioni lo
si osserverà in entrambe le provette, non riuscendo a distinguere che
nella prima dove si è formato l’immunocomplesso, il protozoo forma il
precipitato, nell’altra provetta pur non essendosi formato
l'immunocomplesso il protozoo precipita lo stesso e allora non si arriva a
nessuna conclusione. Per cui una semplice agglutinazione non si può
fare e allora si ricorre alla fissazione del complemento.
Si sfrutta il fatto che gli anticorpi anti-toxoplasmosi sono fissanti il
complemento: nel siero della donna si ricercano anticorpi che
reagiscono con l’antigene (“toxoplasma gondi”), si utilizza la fiss. del
complemento perchè l’immunocomplesso si è formato e la porzione
anticorpale lo ha fissato. Si procede allo stesso modo: scomplementa il
siero, si fanno le diluizioni, si aggiunge l’antigene, l’immunocomplesso
non si vede allora si aggiunge il complemento e il sistema rivelatore -> si
determina il titolo. Il problema è che la capacità di fissare il
complemento la porzione anticorpale la perde dopo tre mesi, ovvero
l’anticorpo non è più capace di fissare il complemento, di attivarlo,
quindi non si riesce più a controllare l’andamento della malattia
attraverso la fissazione, perché l’anticorpo nel siero dopo tre mesi non lo
riesce più a fissare e attivarlo e quindi a non evidenziare l’emolisi dovuta
all’emazie-antiemazie, che è ciò che fa capire il tutto. ( per capire se
l’anticorpo riesce a fissare o meno si fanno degli esperimenti )
Allora si utilizza un altro test, nella toxoplasmosi, che va sotto il nome si
DYE-TEST: va a sfruttare il fatto che il protozoo si colora con il blu di
metilene. Si preleva quindi il siero della paziente, si fanno le diluizioni, si
aggiunge l’antigene che si colora tutto di blu; però quando l’antigene si è
legato all’anticorpo, non si legherà a tutto, ma solo ad alcuni epitopi,
essendo l’antigene molto grande -> per cui quando si va a colorare il
protozoo, il blu non è più così intenso, perchè ci saranno dei punti di
questo protozoo che non si coloreranno perchè in questi punti è legato
all’anticorpo: diminuzione della capacità tintoriale del protozoo. Tutto ciò
torna utile -> il siero non si scomplementa, si vuole vedere la capacità
tintoriale del protozoo, si vanno a fare le diluizioni, là dove è presente
tanto anticorpo il colore del protozoo è un colore molto basso, man mano
che la quantità di anticorpi diminuisce perchè abbiamo diluito il siero il
colore diventa più intenso nel protozoo -> si determina quindi la
concentrazione di anticorpi e in questo caso il titolo è l’ultima diluizione
del siero in cui si evidenzia la perdita delle capacità tintoriali (nella
diluizione successiva a questa il protozoo sarà tutto blu).
Ma il problema non finisce: il toxoplasma una volta entrando
nell’organismo dopo un periodo di tempo varia in una forma cistica. La
malattia si è superata, però l’agente eziol. rimane nell’organismo
sopratutto nelle zone poco irrorate (es. retina) dove si mantiene per
tanto tempo sotto forma di cisti: una cisti che però continua a stimolare
una risposta immunitaria, continuando ad avere perciò un titolo
anticorpale per un periodo lungo di vita piuttosto cocstante. Ciò non
torna utile perchè non si riesce a discriminare in quale fase della
malattia si è. Per questi inconvenienti è necessario fare entrambi gli
accertamenti (la fiss. del complemento e il DAY-TEST) e anche in
parallelo: fin quando i loro due valori sono uguali allora ci si trova nella
parte iniziale della malattia (parte sinistra della curva), se invece i valori
cominciano ad essere differenti e quello che diminuisce è la fissazione
del compl. ci troviamo nella fase successiva della malattia (fase di
destra), perchè di sicuro sono passati tre mesi, non potendo più sfruttare
la fissazione del compl.

Situazioni in cui vengono sfruttate delle caratteristiche peculiari


dell’agente eziologico, non necessariamente sfruttando la fissazione del
complemento:
- TAS (titolo anti streptolisinico): l’antigene che si va a determinare è la
streptolisina , una proteina, quindi una sostanza che non è capace di
agglutinare l’anticorpo, eppure si può non ricorrere alla fissazione del
complemento. (ogni qual volta che è possibile bypassare la fissazione del
complemento è meglio, perchè è un processo abbastanza complicato)
Si sfrutta la capacità della streptolisina di andare ad lisare le emazie di
coniglio. Allora come sistema di rilevatore si utilizzano le emazie di
coniglio, senza andare a sfruttare tutte le potenzialità del complemento,
non serve. Prendo il siero, sempre con le due provette di confronto, in
una c’è il siero con anticorpi anti-streptolisina, che è un antigene di
membrana più particolare e di un terribile batterio, quale lo
streptococco, che si localizza a livello delle tonsille e può provocare
grossi problemi, sopratutto a livello cardiaco. Si effettuano le diluizioni,
per determinare sempre la quantità di anticorpi presenti, si aggiunge la
streptolisina, se ci sono gli anticorpi si forma l’immunocomplesso, che
non si vede perchè non è una reazione di agglutinazione, non è
necessario però aggiungere il complemento -> si aggiunge solo il
sistema rivelatore, costituito dalle emazie di coniglio: se l’anticorpo si è
legato con la streptolisina le emazie non verranno lisate, per cui non c’è
emolisi; se invece l’anticorpo non è presente, la streptolisina ha la
possibilità essendo libera di lisare le emazie di coniglio.
Ma come si fa a determinare la concentrazione di anticorpi? La teoria ci
dice che è il reciproco dell’ultima diluizione dove si osserva la
formazione dell’immunocomplesso, ma qual è un altro metodo? Non è
solo visiva, ma si vanno a caricare le piastre “multiwell” (una piastra di
96 pozzetti, rettangolare dove ci sono 12 colonne e 8 righe) nel
laboratorio vengono caricate queste piastre e vengono inserite in un
lettore per determinare il titolo: si legge attraverso questo macchinario.
Va a valutare l’intensità di emoglobina che si è sviluppata, che si è
liberata, più intenso è il colore tanto più anticorpo era presente, quindi
alla fine è una semplice determinazione spettrofotometrica (legge di
Lambert e Beer).
- ROSOLIA: è un virus quindi l’immunocomplesso non si vede, ma non
è necessario anche in questo caso ricorrere alla fissazione del
complemento, perchè si sfrutta una peculiarità del virus della rosolia ->
emoagglutina le emazie di piccione. Il discriminante è l’inibizione della
capacità emoagglutinante. Alcuni virus hanno a livello della loro
struttura sulla loro superficie hanno delle particolari molecole
agglutinati dette emoagglutinine, che riescono a causare
l’agglutinazione dei globuli rossi. Quindi quando inseriamo il virus nella
provetta questo viene a contatto con il globulo rosso delle emazie di
piccione, l’emoagglutinina interagisce con esso e si forma un’emolisi
del globulo rosso, perchè nella provetta non sono presenti anticorpi,
quindi neanche l’immunocomplesso e il virus può andarsi a legare con i
globuli rossi; là dove invece nel siero fossero presenti degli anticorpi,
questi riconoscono il virus, si forma l’immunocomplesso, poi nonostante
si aggiunge l’emazia di piccione, il globulo rosso non viene attaccato
dal virus, che è appunto legato all’anticorpo, e quindi non si osserva
l’emolisi, ma il precipitato di globulo rosso -> accertamento della
rosolia: test di inibizione dell’emoagglutinazione. Viene detta inibizione
perchè normalmente il virus emoagglutina le emazie di piccione, se
invece è bloccato dal legame con l’anticorpo si ha un’inibizione
dell’emoagglutinazione.

Situazione in cui l’antigene è una molecola solubile: come si fa allora ad


evidenziare la formazione dell’immunocomplesso?
Queste molecole sono le TOSSINE, che si dividono in:
- Esotossine: è localizzata sulla membrana e superficie della cellula
batterica e viene continuamente liberata.
- Endotossine: molecola che il germe produce e che libera all’esterno
in seguito a lisi della cellula batterica stessa, comporta quindi anche la
morte e uccisione della cellula stessa.
Esiste una tecnica, che va sotto il nome di precipitazione, che ci
permette di evidenziare la formazione dell’immunocomplesso, perchè
essi hanno la possibilità di formare l’uno con l’altro delle reti, con delle
forze di adesione tra di loro, formando un reticolo che precipita. Così si
evidenzia la formazione dell’immunocomplesso proprio perchè si nota la
formazione di questo precipitato. Il problema però è che è necessario
che la quantità di anticorpo e di antigene siano in perfetta
proporzionalità l’uno rispetto all’altro. Se ci troviamo in eccesso di
anticorpo, la formazione dell’immunocomplesso ci sarà sempre, ma c’è
talmente un piccolo numero di immunocomplessi che non sono
sufficienti a formare il reticolo e quindi non precipita; anche gli antigeni
possono trovarsi in eccesso e anche in questo caso si formerà un
numero limitato di immunocomplesso. E’ necessario quindi trovare la
giusta proporzione tra anticorpo e antigene, affinchè si possa formare un
giusto numero di immunocomplessi che coesi l’uno all’altro, formano un
reticolo e precipitano per evidenziare la loro presenza. La zona dove c’è
un perfetto equilibrio di proporzione tra gli antigeni e gli anticorpi viene
detta zona di equivalenza: dove c’è l’immunocomplesso e viene anche
evidenziato. Questa zona si evidenza attraverso diversi metodi:
1. Immunoprecipitazione in fase liquida: per poter determinare quali
sono le concentrazioni giuste di due grandezze si varia una sola delle
due quantità, mantenendo l’altra costante, in questo caso si mantiene
costante la quantità di antigene, mentre varia la soluzione di
anticorpi, se ne aggiunge una quantità nota. Se non si nota tra le
diverse fasi nessun’interfaccia -> non si ha ancora individuato la zona
di equivalenza, non si è ancora formato l’immunocomplesso (in questo
caso la concentrazione di antigene è più elevato di quella
dell’anticorpo). Si continua ancora a variare la quantità di anticorpi
fino a quando non si evidenza la zona di equivalenza, in cui Ag=Ab e si
è formato l’immunocomplesso che si manifesta, costituendo un anello
visibile, detto anello di precipitazione. (*)
2. Test di Mancini: si utilizza un vetrino, anche in questo caso si
mantiene costante una delle due variabili (anticorpo, antigene).
L’anticorpo è distribuito su un vetrino da microscopio, sopra il vetrino
viene posizionata una concentrazione variabile di antigene. Man mano
che varia la concentrazione, si arriverà ad un punto in cui la zona di
equivalenza si evidenza, formandosi l’anello (Ag=Ab), il diametro di
quest’anello è direttamente proporzionale alla quantità di antigene
che si aggiunge. (*)
3. Test di Oklabol... : prevede sempre l’utilizzo di un vetrino dove però
vengono caricati in due diversi siti del vetrino l’anticorpo e l’antigene,
uno dei due è mantenuto costante. Si va ad osservare la formazione
della banda di precipitazione, che significa che l’anticorpo e l’antigene
erano in un giusto rapporto da formare il precipitato.

SAGGI IMMUNOENZIMATICI: Test E.L.I.S.A.


Sono dei test poco costosi, molto veloci, dove il lavoro dell’operatore è
estremamente limitato. Consistono nello sfruttare un anticorpo
secondario, detto anche CONIUGATO, legato a vita con un enzima. ->
situazione in cui il termine noto è l’antigene e serve per verificare che
anticorpo è presente nel siero del paziente. Il test ELISA può essere:
- DIRETTO: l’incognita è l’anticorpo, questa è semplicemente una siero
diagnosi.
Si coatta ogni pozzetto della piastra con un antigene noto, uno diverso
per ogni pozzetto, si aggiunge poi una certa quantità di siero: l’utilità del
test ELISA è anche nella quantità di materiale che serve, perchè sono
necessari solo dei microlitri (micropiastra). Aggiungendo il siero, facendo
le diluizione in micropiastra, se nel siero ci sono gli anticorpi si forma
l’immunocomplesso che però non si vede e allora si aggiunge un
anticorpo coniugato con un enzima che è capace di legarsi con
l’anticorpo già presente -> complesso antigene-anticorpo-anticorpo
coniugato con l’enzima, il quale enzima per agire ha bisogno di un
substrato specifico, che viene aggiunto nel pozzetto. L’enzima più
utilizzato è la fosfatasi alcalina, il suo substrato è il pnpp: questo enzima
va ad agire sul substrato, che inizialmente è incolore, ma quando
l’enzima funziona diventa colorato (giallo), quanto più è intenso il colore
(misurato attraverso uno spettrofotometro), tanto più enzima si è
attivato. L’enzima infatti ha incontrato l’anticorpo, nel complesso
precedente -> dall’intensità del colore che si genera, si riesce a risalire
alla quantità di anticorpo. (permette di evidenziare la formazione
dell’immunocomplesso sfruttando l’enzima).
- INDIRETTO: in questo caso l’incognita è l’antigene e si coattano i
pozzetti con anticorpi noti, e poi si aggiungono antigeni diversi, tenuti ad
esempio in un terreno liquido dove sono cresciuti tanti batteri, ma
sconosciuti. Avviene la reazione antigene-anticorpo, se l’antigene viene
aggiunto in un pozzetto dove l’anticorpo non è quello corrispondente, non
si formerà l’immunocomplesso. In questo metodo c’è un pozzetto di
controllo dove non viene aggiunto nulla e nulla si deve verificare e
osservare, infatti quando si va a misurare l’assorbanza in questo caso si
deve avere sempre lo stesso valore, permettendoci di essere sicuri di
avere lavorato bene. Se l’antigene lega l’anticorpo si forma
l’immunocomplesso, che però non si manifesta, allora si aggiunge
l’anticorpo secondario che è coniugato con un enzima -> si forma il
complesso anticorpo-antigene-anticorpo coniugato. Si aggiunge il
substrato che viene trasformato dall’enzima, se esso è in forma attiva
(legato all’anticorpo), di conseguenza il substrato da incolore diventa
colorato. Questa è più che altro una batterio diagnosi per l’incognita è
l’agente eziologico.

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