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LE ROCCE INTATTE
1. INTRODUZIONE
Un fattore di grande importanza nei problemi strutturali connessi con gli ammassi
rocciosi è rappresentato dall’influenza delle superfici di discontinuità sul loro
comportamento. Le discontinuità, derivanti sia dalle modalità con cui le rocce si
formano (piani di stratificazione, piani di scistosità), sia dagli stati di sforzo cui esse
sono sottoposte durante la loro storia, sono presenti nella quasi totalità delle formazioni
rocciose. Sarà quindi fondamentale distinguere le proprietà della roccia intatta, con
dimensioni di un campione di laboratorio, da quelle degli ammassi rocciosi con volumi
2
proporzionali alla dimensione dell’opera e tali da comprendere anche le discontinuità
(Fig. 1.1). Da questo punto di vista al crescere della dimensione dell’ammasso roccioso
coinvolto nello scavo si può passare dalla roccia senza discontinuità (intatta), alla roccia
con la presenza di alcune discontinuità o alla roccia con discontinuità diffuse. Nei
modelli di previsione del comportamento queste situazioni saranno rappresentate con
modelli diversi. Nel caso di roccia con pochi giunti, il modello più adatto è quello del
“mezzo rigido discontinuo”, in cui si ipotizza che i movimenti o il collasso possa
verificarsi solo in corrispondenza di una o più superfici di discontinuità preesistenti e si
trascura la deformabilità del materiale roccioso dei blocchi a contatto. Questo modello
si adotta frequentemente per la verifica della stabilità di cunei di roccia instabili sulla
superficie dello scavo e per valutarne il conseguente sistema di sostegno. Nel caso di
ammassi rocciosi con discontinuità diffuse si adotta il modello di “mezzo continuo
equivalente” caratterizzato da un materiale con minore resistenza, più deformabile e con
permeabilità più elevata rispetto la matrice rocciosa che lo rappresenta.
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2. CARATTERISTICHE DELLE ROCCE INTATTE
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Rocce ignee. Si ottengono dalla solidificazione del magma. Questo processo di
raffreddamento può essere lento e verificarsi all’interno della crosta terreste (rocce
intrusive) con la formazione di cristalli visibili anche a occhio nudo. L’esempio più
comune di una roccia appartenente a questa classe è il granito. Se la roccia si forma
direttamente in superficie, si parlerà di rocce effusive. Il rapido raffreddamento
modificherà la tessitura. Una roccia molto diffusa di questo tipo è il basalto. Il minerale
che caratterizza tutte le rocce eruttive è l’ossido di Silicio SiO2. Al variare della
percentuale di questo minerale le rocce ignee cambiano il loro colore e si suddividono
in acide, neutre e basiche; esse hanno un migliore affinità con i leganti idraulici
piuttosto che con quelli bituminosi.
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Le rocce sedimentarie di origine organica sono per la maggior parte costituite da
materiale organico, frammenti di organismi vegetali o animali.
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Tabella 1.3 Classificazione semplificata delle rocce sedimentarie (ISRM 1961)
Tabella 1.4 Classificazione semplificata delle rocce ignee e metamorfiche (ISRM 1961)
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Classe e definizione DESCRIZIONE
Le rocce, così come le terre, sono dei materiali porosi. Un volume unitario di roccia
contiene una parte solida e una di vuoti che può essere parzialmente o totalmente
riempita da un liquido. Lo schema di rappresentazione di un volume di roccia
comprende, quindi, tre fasi: la fase solida, la fase liquida (acqua) e la fase gassosa (aria).
Tra le rocce e i materiali sciolti (terre) c’è una sostanziale differenza. Nei materiali
sciolti tutti i vuoti sono connessi e comunicanti con l’esterno e possono, quindi, essere
riempiti d’acqua (terre sature). Nelle rocce esistono anche i vuoti isolati che non
possono essere riempiti d’acqua nemmeno dopo un’immersione prolungata in acqua.
V V s V w V a V s Vv [cm3]
M Ms Mw [g]
Dove:
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E’ definita massa volumica naturale o apparente della roccia
M
[g/cm3]
V
La massa M della roccia viene determinata pesando la roccia con una bilancia di
precisione. Il volume V si può determinare attraverso una pesata idrostatica
provvedendo, qualora necessario, ad impermeabilizzare il campione di roccia con la
paraffina. In quest’ultimo caso sarà necessario determinare anche il volume della
paraffina conoscendone la massa volumica specifica.
La massa della parte solida viene determinata con una pesata dopo aver provveduto
all’essiccazione del campione.
Ms
s [g/cm3]
Vs
Il volume della parte solida viene determinata con misure volumetriche con il
picnometro. In questo caso sarà necessario eliminare completamente i vuoti mediante la
disgregazione del campione in particelle molto fini.
Mw
w 100 [%]
Ms
Si definisce porosità il rapporto tra il volume dei vuoti Vv e quello totale del campione.
Spesso la porosità viene espressa in percentuale (percentuale dei vuoti).
Vv
n
V
Vale la seguente relazione
Vs
V V Vs V M d
n v (1 s ) (1 s ) s
V V V V s
Ms
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La porosità nelle rocce comprende principalmente i vuoti di forma sferica (pori) e in
modo minore le micro fessure da stress. Una parte dei vuoti sono inaccessibili per un
liquido dall’esterno (vuoti isolati Vvi).
E’ definito grado di saturazione il rapporto espresso in percentuale tra il volume
dell’acqua Vw e il volume totale dei vuoti Vv. Esso rappresenta la percentuale di vuoti
riempiti d’acqua.
V
S w 100
Vv
Vw
'
V V I
I v n S
w
S
V V n
Vv
In base alla porosità le rocce si dividono in classi secondo quanto proposto nella tabella
1.6 (Comitato Tecnico AFTES).
2.2.3 Permeabilità
Le rocce per la presenza della porosità apparente (fine rete di capillari comunicanti con
l’esterno), sotto l’azione di un fluido in pressione manifestano un movimento del fluido
attraverso la roccia stessa. Questa proprietà fisica è governata dalla legge di Darcy
espressa dalla seguente formula:
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La costante k, detta permeabilità, ha la dimensione di una velocità m/s. Essa dipende
dalle caratteristiche fisiche del solido e da quelle del fluido dalla relazione:
k ks
Le onde elastiche che si propagano in una roccia si possono dividere in tre tipi:
- Onde longitudinali o di compressione (P), in cui una particella di roccia vibra nella
stessa direzione in cui si propagano le onde.
- Onde trasversali o di taglio (S) in cui la particella di roccia vibra in direzione
normale a quella di propagazione dell’onda.
- Onde di Railegh che si sviluppano in prossimità della superficie libera della roccia il
cui moto è circolare rispetto la direzione di propagazione dell’onda.
E 1
VP
1 1 2
G E 1
VS
2 1
V R 0,92 0,95 VS
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Dove:
ρ è la massa volumica della roccia.
E è il modulo elastico normale
G è modulo elastico tangenziale
υ è il coefficiente di Poisson.
Nei materiali rocciosi la velocità Vp misurata è minore di quella teorica Vp* che può
essere ricavata in funzione della composizione mineralogica della matrice rocciosa.
Nella tabella 1.7 sono indicate alcune proprietà fisiche dei minerali più comuni: la
massa volumica e la velocità teorica di propagazione delle onde elastiche longitudinali.
Si può individuare un indice di continuità della roccia definito con il rapporto tra la Vp
misurata nel campione di roccia e quella teorica riportata nella tabella 1.7.
Vp
IC 100
V*p
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Figura 1.4 Provino dopo una prova di compressione
Il valore della resistenza Rci sarà influenzato dalla forma e dimensioni del provino. Per
provini cilindrici è stata trovata questa espressione :
2.3.2 Deformabilità
Con la stessa prova si ottiene anche il modulo di elasticità di Young E. Esso viene
definito come il modulo tangente della curva tensione/deformazione di una prova di
compressione mono assiale stimato a metà del carico di rottura (coefficiente angolare
della tangente alla curva nel punto Rci/2). Talvolta sono definiti anche un modulo
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iniziale e un modulo secante. Il modulo iniziale coincide con il modulo tangente
calcolato nel punto iniziale della curva. Il modulo secante calcolato in un punto della
curva è uguale al coefficiente angolare della retta che passa per il punto e l’origine (retta
secante). Con il modulo di elasticità E è possibile classificare le rocce in classi di
rigidezza. Le norme AFTES propongono la classifica della tabella 1.9.
Molto diffusa nello studio dei problemi di meccanica delle rocce è la classifica proposta
dal Deere in funzione della resistenza massima di una prova a compressione mono
assiale Rci e del modulo di elasticità E. Come riportato nella tabella 1.8, in base alla
resistenza a compressione, le rocce sono suddivise in cinque classi dalla A alla E. In
funzione del rapporto E/Rci in tre classi H, M, L. (tabella 1.10. ).
Si osserva che i limiti delle classi di resistenza variano secondo una progressione
geometrica di ragione 2. Ciò si spiega considerando che i valori delle resistenze a
compressione sono molto dispersi per le rocce ad elevata resistenza. Ne segue un
intervallo ampio per individuare la classe.
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Figura 1.5 Rocce metamorfiche
15
Figura 1.7 Rocce magmatiche
16
Figura 1.9 Diabasi
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Questo metodo di classificazione, basato sulla determinazione della resistenza e
deformabilità di campioni di roccia, attraverso una prova di compressione mono assiale,
richiede la preparazione di provini. L’operazione richiede grande attenzione e perizia
nel confezionamento dei provini con costi elevati e impiego di tempo notevole. Per
limitare questi inconvenienti si sta diffondendo una classificazione basata su una prova
più semplice, facilmente eseguibile in cantiere, la prova di carico puntuale (o prova di
Franklin) che consiste nel portare a rottura una carota cilindrica di roccia per
applicazione di un carico puntuale applicato su un diametro del cilindro.
Viene definito indice della prova di carico puntuale il rapporto tra il carico applicato di
rottura ed il quadrato del diametro del provino.
Is = P/d2
Questo indicatore è ben correlato con la resistenza a trazione della roccia e quindi anche
con la resistenza di compressione mono assiale Rci.
Rci 20 27 I s
Un’altra prova pratica e molto veloce per determinare le qualità meccaniche di una
roccia è la prova con il martello di Schmidt. (Sclerometro). La prova consiste nel
misurare l’altezza di rimbalzo di una massa che cade sulla superficie della roccia con
una certa energia prefissata. Attraverso dei grafici si ottiene una stima della resistenza
del materiale. Questa prova viene molto usata per caratterizzare la resistenza delle
superfici delle discontinuità nella valutazione del grado di alterazione della roccia e nel
calcolo della resistenza delle discontinuità.
Nella valutazione della resistenza a compressione, come di qualsiasi altra proprietà
meccanica, è necessario verificare eventuali comportamenti anisotropi. In alcune
formazioni rocciose l’indicatore dell’anisotropia, definito come il rapporto tra la
grandezza meccanica oggetto della misura minima e massima valutata con diverse
orientazioni della sollecitazione, può essere anche superiore a 5.
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La prova Brasiliana si esegue su provini cilindrici, di altezza generalmente pari al
diametro, applicando forze di compressione in direzione di un diametro distribuite
lungo una generatrice del cilindro. La sollecitazione a rottura in tale prova è data dalla
seguente espressione:
2 F
Rti
D H
dove:
F è il carico di rottura
H è l’altezza del cilindro
D è il diametro del cilindro.
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E
3
1
V
v 1 2 3 1 1 2
V
Figura 1.12
Molto spesso si osservano comportamenti diversi: andamenti della curva non lineare e
soprattutto andamenti diversi della curva in fase di carico e scarico. Il materiale sarà
perfettamente elastico, quando la curva in fase di carico sarà la stessa di quella in fase di
scarico con restituzione totale dell’energia immagazzinata (a), nell’altro caso con
traiettorie diverse in fase di carico e scarico si parlerà di ciclo di isteresi e di energia
dissipata durante il ciclo (b e c). In questo caso si può definire anche un modulo della
fase di scarico.
Utilizzando una pressa a deformazione controllata è possibile ricavare la curva completa
anche con l’aggiunta del tratto discendente dopo la rottura. Questa prova riproduce
perfettamente il comportamento degli ammassi rocciosi nelle strutture in sotterraneo.
La curva può essere divisa in quattro parti che corrispondono a diversi comportamenti
della roccia. Nel primo tratto la curva presenta una concavità diretta verso l’alto. Cioè le
variazioni di ε sono sempre più piccole all’aumentare del carico. Questo fatto può
spiegarsi con la presenza delle micro fratture e porosità che all’aumentare del carico si
modificano. Questo tratto è anche caratterizzato da un comportamento elastico
(deformazioni solo reversibili) e talvolta si può osservare un modesto fenomeno di
isteresi.
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Il secondo tratto è caratterizzato da un comportamento lineare e per quanto riguarda le
deformazioni sono ancora tutte reversibili come nel tratto precedente. Il limite della
curva B è definito come limite di snervamento
Nel terzo tratto che usualmente inizia a 2/3 del carico di rottura, la pendenza della
tangente nei punti della curva decresce all’aumentare del carico fino ad annullarsi in
corrispondenza del carico di rottura, (resistenza di picco).In questa regione la roccia
cambia progressivamente le caratteristiche. Nel caso di scarico si manifestano elevate
deformazioni permanenti.
Il quarto tratto della curva è caratterizzato da una pendenza negativa della tangente alla
curva fino al raggiungimenti di un nuovo limite (resistenza residua).
Due sono i comportamenti che si evidenziano da quanto detto: il comportamento duttile
e il comportamento fragile.
Figura 1.14
21
Figura 1.15 Tensione deviatorica in funzione della deformazione unitaria
22
Figura 1.17 Tensione deviatorica in funzione della deformazione unitaria
Il tempo di applicazione del carico può variare entro limiti larghissimi, da centesimi o
millesimi di secondo (prove dinamiche) a centinaia di giorni per le prove di viscosità.
Per prove a compressione non dinamiche l’effetto della variazione della velocità di
applicazione del carico è riportata nella figura 1.18 ottenuta da prove su campioni di
calcestruzzo.
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- Proprietà intrinseche reologiche del materiale, che sotto un carico costante
continua a deformarsi nel tempo. Tale comportamento è tipico di certe rocce
saline, gessi, argilliti, alcune rocce carbonatiche ecc:
- Presenza di microfessurazioni in rocce danneggiate. Superando una certa soglia
tensionale si manifesta il comportamento dipendente dal tempo.
- Modifica della pressione del fluido presente nei pori, fessure , discontinuità di
un ammasso roccioso per cambiamenti nelle condizioni al contorno causata dalle
fasi della costruzione (drenaggio naturale o forzato )
Soltanto i primi due meccanismi di deformazione dipendente dal tempo sono associati
al comportamento che viene indicato comunemente “Creep”. Molto spesso nelle
costruzioni di gallerie a foro cieco le deformazioni del profilo dello scavo (radiali o
convergenza) o del fronte di avanzamento (direzione assiale) sono dipendenti, non solo
dalla sollecitazione, ma anche dal tempo (fenomeno dello squeezing).
Molti materiali solidi vengono descritti, in condizioni di piccole deformazioni (small
strain) attraverso la legge di Hooke o dell’elasticità lineare: la sollecitazione è
proporzionale alla deformazione. Nel caso di sollecitazione mono dimensionale la legge
si scrive:
E
o nel caso di uno sforzo di taglio
G
d
dt
d
dt
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condizioni ambientali anche rigorosamente costanti (temperatura e umidità). Il tipico
andamento di prove di creep, con diversi valori della sollecitazione, viene presentato in
figura 1.10. Si possono osservare a seconda del valore della tensione deviatorica
applicata al campione quattro comportamenti tipici.
- Zona 0. Attività di creep nulla o trascurabile
- Zona 1. Definita viscosità primaria o di transizione
- Zona 2. Definita viscosità secondaria o regolare
- Zona 3. Definita viscosità terziaria.
Se la sollecitazione è applicata istantaneamente si osserva una deformazione unitaria
istantanea seguita da una deformazione funzione del tempo che a seconda dell’intensità
del carico applicato può presentare i tre tipici comportamenti:
La zona 0 individua lo stato della sollecitazione al di sotto del quale la deformazione è
praticamente costante nel tempo. (soglia di creep).
La prima zona (1) è caratterizzata da una curva con concavità verso il basso e da un
comportamento del materiale anelastico. Cioè se in un punto di questo tratto il carico
applicato viene annullato si ha un recupero istantaneo della componente elastica di
deformazione e un recupero totale della componente reologica (rilassamento). La
seconda Zona (2) evidenzia un comportamento lineare della deformazione in funzione
del tempo (velocità costante). La velocità della deformazione è funzione del livello di
sollecitazione. La terza zona (3) presenta una concavità della curva rivolta verso l’alto e
si interrompe nel punto di rottura. Questo comportamento è caratterizzato da un valore,
dello stato tensionale superiore ad un valore di soglia. La viscosità secondaria e terziaria
sono caratterizzate da deformazioni permanenti nella fase di rilassamento. La viscosità
terziaria è caratterizzata sempre da un comportamento non lineare tra la causa (stress) e
l’effetto (strain) in un dato tempo.
Le prove di creep sono prove piuttosto complicate per la difficoltà di garantire nel
tempo condizioni ambientali omogenee e costanti e talvolta risulta difficoltosa la scelta
del livelli di sollecitazione.
Esistono due approcci per rappresentare il comportamento reologico dei materiali:
approssimare la curva di creep con funzioni matematiche (modelli empirici) o utilizzare
i modelli reologici.
25
2.3.6.1 Leggi empiriche
t A t b
t A ln t t A ln 1 b t t A 1 b t a 1
Queste leggi sono molto utili per rappresentare una serie di dati sperimentali ottenuti in
un tempo piuttosto limitato. Esse non possono essere utilizzate per predire
comportamenti di sistemi più complicati con la sollecitazione variabile nel tempo. In
questo caso si prestano molto bene i modelli reologici lineari.
Questi modelli sono una combinazione di leggi semplici quali la elasticità lineare e la
viscosità e vengono rappresentati da una combinazione di modelli meccanici elementari.
L’equazione per la soluzione dei problemi mono dimensionali può essere facilmente
generalizzata anche ai casi tridimensionali.
Di seguito si farà riferimento alla sollecitazione di compressione semplice, ma il tutto
sarà uguale anche considerando la sollecitazione di taglio.
Due sono i modelli di base:
- l’elemento molla o elemento di Hooke caratterizzato dalla rigidezza della
molla K (E oG). La legge esprime la proporzionalità tra la sollecitazione e
deformazione.
K
d
t
dt
Modello di Maxwell
Il modello di Maxwell è costituito da una molla di rigidezza K e da un elemento viscoso
caratterizzato dal parametro η e in serie; i due elementi sono soggetti allo stessa
tensione. Se m e v 1 sono le deformazioni rispettivamente della molla e dello
stantuffo si ottiene:
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Figura 1.20 Modello di Maxwell
m v t
K
Se all’istante t=0 viene applicata al sistema una tensione costante pari a σ la funzione
della deformazione nel tempo diventa:
t t
K
d
K
dt
Questa equazione differenziale può essere risolta utilizzando la trasformata di Laplace.
Imponendo a t = 0 un valore costante istantaneo della tensione si ottiene l’equazione
differenziale
d
K
dt
La soluzione per η = 0 per t = 0 diventa:
t
K
1 e t / t1
con t1 = η/K
Questa legge esprime molto bene la viscosità primaria (transient creep).
Ipotizzando che il modello, sollecitato in modo tale da presentare una deformazione e0
all’istante t = 0 , venga scaricato istantaneamente si ottiene la seguente equazione
differenziale:
d
K 0
dt
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Risolvendo tale equazione per t = 0 si ottiene:
t 0 1 e t / t
1
Il modello di Burgers
Il modello di Burgers è costituito da un modello di Kelvin in serie con il modello di
Maxwell. La soluzione di questo modello, quando all’istante iniziale t=0 viene applicata
istantaneamente un sollecitazione costante, è data dall’equazione:
t
K2
K1
1 e t / t1
2
t
dove t1 = η1/K1
Questo modello dà una semplice ma efficace rappresentazione con deformazione
istantanea, creep primario seguito da un tratto di viscosità secondaria o regolare.
Per valutare la resistenza di una roccia alle diverse tecniche di scavo si possono
impiegare tre metodologie concettualmente diverse. La prima individua degli indicatori
di durezza della roccia attraverso prove di penetrazione con utensili adoperati per
perforare (drill) e tagliare (cut) la roccia, la seconda tecnica, di tipo statico, associa la
durezza della roccia alla modalità di incisione con un materiale campione (Vickers test);
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l’ultima tecnica valuta le proprietà di una roccia in funzione dell’altezza di rimbalzo di
una massa sulla superficie della roccia stessa (Shmidt hammer).
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CAPITOLO 2
LE DISCONTINUITA’
1. INTRODUZIONE
Il termine di discontinuità è usato in meccanica delle rocce in senso generale per indicare
qualsiasi interruzione di continuità in un materiale con proprie caratteristiche meccaniche,
idrauliche e termiche. La superficie della discontinuità generalmente è identificata con un
piano. La resistenza a trazione valutata ortogonalmente al piano di discontinuità è bassa o
nulla. In inglese il termine discontinuità corrisponde al termine “joint” (giunto) definito come
un’interruzione tra due parti di roccia senza che vi sia stato alcun movimento relativo tra le
parti. Nella tabella 2.1 sono riportate le caratteristiche delle discontinuità suddivise in
proprietà fisiche e meccaniche.
2 Classificazione
2.1 origine e tipologie delle discontinuità
3 Proprietà fisiche
3.1 Orientazione
3.2 Sistematicità
3.3 Spaziatura
3.4 Estensione o continuità o persistenza
3.5 Rugosità
3.6 Condizioni delle pareti
3.7 Apertura
3.8 Riempimento
3.9 Condizioni idrauliche
4 Proprietà meccaniche
4.1 Deformabilità: rigidezza normale e tangenziale
4.2 Resistenza al taglio: picco, residua, dilatanza
4.3 Criteri di resistenza
28
2 CLASSIFICAZIONE
29
Figura 2.2 Piani di stratificazione di un arenaria
I piani di scistosità (schistosity planes) sono tipici della formazione delle rocce metamorfiche
per effetto delle forti compressioni ed elevate temperature su rocce preesistenti. Questi piani
sono la causa delle rotture in sottili strati di queste rocce.
Le fratture per raffreddamento si formano nelle rocce magmatiche per il consolidamento del
magma. Durante il raffreddamento si generano rotture molto regolari disposte verticalmente o
variamente inclinate.
Tra le discontinuità secondarie, connesse con fenomeni deformativi delle rocce, si citano le
fratture, le faglie, le pieghe ecc.
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Figura 2.4 Piega di una formazione rocciosa
Le fratture e faglie (Faults). Tra le fratture presenti nelle rocce, quelle di maggiore interesse,
nel campo delle opere in sotterraneo, sono le faglie, interessate da movimenti relativi tra le
parti e di grande estensione. Le faglie indicano zone particolarmente degradate proprio a
causa dei movimenti di traslazione ed apertura delle due superfici adiacenti.
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3. PROPRIETA’ FISICHE
3.1 ORIENTAZIONE
Le discontinuità spesso sono assimilabili a dei piani. Tra le proprietà fisiche delle
discontinuità, indicate nella tabella 2.1, l’orientazione descrive la posizione nello spazio
(giacitura) del piano associato rispetto alcune direzioni fisse (nord). Comunemente si
utilizzano due angoli per stabilire in modo univoco la giacitura del piano. Le convenzioni
utilizzate nella definizione degli angoli e delle direzioni di riferimento per valutarli possono
essere diverse. Due sono quelle più diffuse nel campo della meccanica delle rocce (Fig. 2.6).
Figura 2.6 Definizione degli angoli per caratterizzare la giacitura di una discontinuità
La prima fa riferimento alla retta di direzione (direction of the horizontal line) definita come
la retta di intersezione del piano orizzontale con il piano della discontinuità e alla retta di
massima pendenza della discontinuità (dip vector). Si definisce angolo di strike l’angolo che
la retta di direzione forma con la direzione del nord (0° ÷ 90, specificando in quadrante, o 0°
÷ 180° senza specificare il quadrante). L’altro angolo per definire la giacitura è l’angolo di dip
tra il vettore di massima pendenza e la sua proiezione sul piano orizzontale (0° ÷ 90°). La
seconda convenzione, raccomandata dall’AFTES, impiega l’azimut α del vettore di massima
pendenza ( angolo di immersione α = 0° ÷ 360°) e sempre l’angolo di dip (angolo di
inclinazione β = 0° ÷ 90°).
Se l’angolo di strike viene fatto variare tra 0° e 90° per definirlo in modo univoco sarà
necessario precisare il quadrante in cui viene misurato o meglio la direzione a partire dalla
quale l’angolo è valutato. Quindi l’angolo di strike viene indicato tramite una lettera seguita
da un numero e da una lettera ancora, ad esempio N 45° E. La prima lettera indica la direzione
a partire dalla quale viene misurato l’angolo (Nord); il numero indica il valore dell’angolo
(45°); la seconda lettera la direzione verso la quale l’angolo è misurato (Est).
L’angolo di dip è indicato dal valore dell’angolo seguito da due lettere che indicano il
quadrante nel quale la proiezione orizzontale della retta di massima pendenza è contenuta. Nel
caso in cui la proiezione coincide con una delle direzioni cardinali, all’angolo di dip verrà
associata una lettera indicante tale direzione, per esempio 35° E. Di norma tali angoli sono
misurati in gradi sessagesimali.
Attraverso la definizione di questi due angoli non si individua la reale posizione del piano ma
solo la sua orientazione (giacitura). Ciò può essere sufficiente per una famiglia di giunti
(insieme di discontinuità parallele appartenenti alla stessa tipologia), mentre, per una
discontinuità isolata particolarmente estesa (faglia), sarà necessario indicare anche la quota di
alcuni suoi punti o meglio le linee di livello.
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Con questa convenzione sulle carte geologiche o sulle tavole dei rilievi una discontinuità o
una famiglia di discontinuità è indicata con un segmento con direzione della retta di direzione
(angolo di strike con la direzione del Nord), e da un segmentino, normale al precedente che
indica la direzione della retta di massima pendenza. Accanto a questo ultimo segmento viene
riportato il valore dell’angolo di dip.
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Fig. 2.8 Rappresentazione stereografica equatoriale di una retta
La retta in esame interseca la parte inferiore della sfera nel punto A. La retta passante per il
punto A e per il polo P incontra il piano equatoriale x1, x2 nel punto A’. tale punto
rappresenta la proiezione stereografica della retta “a” sul piano x1 x2. La corrispondenza
individuata tra rette del fascio passante per O e punti del piano equatoriale è biunivoca. In
questo modo è possibile rappresentare una qualsiasi retta dello spazio tramite un punto. Si
osservi che la posizione del punto A’ dipende esclusivamente dall’inclinazione della retta e
non dalla sua reale posizione nello spazio. E’ evidente che con le rappresentazioni
stereografiche si possono risolvere solo problemi di giacitura di rette e piani e non problemi
connessi con la loro posizione nello spazio.
Per quando riguarda la rappresentazione di un piano si osservi la figura 2.9. Si consideri una
generica sfera il cui centro O appartenga al piano in esame. Per il punto O come nel caso
precedente si consideri una terna ortogonale d’assi. Il piano considerato interseca la parte
inferiore della sfera con una linea A. I punti di questa linea vengono proiettati sul piano
equatoriale utilizzando come polo il punto P. Si ottiene una nuova linea A’ sul piano
equatoriale. Anche in questo caso c’è una corrispondenza biunivoca tra piani dello spazio e
linee di un piano (piano equatoriale).
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Si osservi che variando l’angolo di inclinazione (dip), varia la posizione e forma della curva.
In particolare un piano verticale è rappresentato da un segmento di retta passante per il centro
del cerchio equatoriale. Il piano orizzontale coincide con la circonferenza equatoriale.
Per una rappresentazione immediata e veloce di piani con proiezioni stereografiche equatoriali
o polari venivano utilizzati dei reticoli prestampati del tipo di quelli riportati nelle figure 2.6,
2.7, 2.8. Esistono due tecniche di rappresentazione e di conseguenza due tipi di reticoli. Una
tecnica consente la rappresentazione degli enti geometrici senza distorcerne l’inclinazione
relativa. (equal angle projection, reticolo di Wulff), l’altra consente una corretta
rappresentazione delle distanze. (equal area projection, reticolo di Schmidt). Oggi la
rappresentazione su questi reticoli prestampati è superata dall’uso dei calcolatori e di
programmi specifici.
35
Figura 2.11 Reticoli per proiezioni stereografiche equatoriali e polari
36
Figura 2.13 Reticolo stereografico equatoriale di Schmidt
37
Figura 214 Rappresentazione delle discontinuità con il diagramma a rosetta
38
Figura 2.16 Rappresentazione assonometrica
3.3 LA SPAZIATURA
Quando si parla di spaziatura ci si può riferire o a una singola famiglia di discontinuità ben
definita e individuata dalla giacitura media dei piani delle discontinuità, o a tutte le
discontinuità che vengono incontrate da un allineamento (per esempio l’asse di una
perforazione con sonda circolare).
La spaziatura è la distanza (valore medio o modale) tra le discontinuità adiacenti appartenenti
ad una famiglia, misurata perpendicolarmente alla orientazione media della famiglia stessa.
Queste misure sono frequentemente influenzate dall’estensione delle discontinuità e dalla
direzione dell’allineamento per le misure.
39
Figura 2.17 Indicazione della spaziatura
La spaziatura viene classificata in funzione della distanza tra due discontinuità adiacenti in
cinque classi secondo quanto riportato nella tabella.
ES4 6 ÷ 20 Ravvicinati
Una rappresentazione completa ed efficace della spaziatura consiste nel realizzare la sua
distribuzione sotto forma di istogrammi o di curve che rappresentano la lunghezza cumulata
dei vari tratti di materiale integro in funzione della lunghezza dei pezzi stessi. Questa
rappresentazione, generalmente in scala logaritmica per le ascisse, è analoga alle curve
granulometriche delle terre. Consente di distinguere tra una fratturazione omogenea, con
spaziatura costante e una fratturazione dispersa. Queste curve sono caratterizzate
matematicamente dalla mediana, detta modulo di fatturazione, dai due quartili al 25 % ed al
75 % e dal RQD che verrà definito nel prossimo paragrafo..
40
Figura 2.18 Istogramma della spaziatura.
41
3.3.1 Indice RQD (Recupero percentuale modificato Rock Quality Designation)
L’indice RQD, definito da Deere (1963), è la lunghezza cumulata di pezzi intatti di carotaggio
con lunghezza superiore a 10 cm (4 inches), espressa in percentuale sulla lunghezza totale del
carotaggio.
Con questa prova viene calcolata un’altra grandezza l’indice R percentuale di recupero del
carotaggio. Esso è definito come il rapporto, espresso in percentuale, tra la lunghezza
cumulata di tutti i pezzi recuperati, indipendentemente dalla loro lunghezza, e la lunghezza
totale del carotaggio. Questo valore deve superare il 90 %, affinché la determinazione di RQD
sia significativa.
L’interesse nella determinazione dell’indice RQD dipende dal suo impiego in alcune
classificazioni globali degli ammassi rocciosi e nelle correlazioni con alcune proprietà
meccaniche degli ammassi rocciosi come la deformabilità ottenuta da prove di portanza con
piastra. E’ necessario fare attenzione sul fatto che l’indice RQD, parametro di qualità di un
ammasso roccioso, fornisce solo informazioni parziali ed incomplete sulla densità delle
discontinuità . E’ facile capire che un ammasso roccioso con RQD = 100% può essere privo
di discontinuità lungo il sondaggio o averne tante con spaziatura di 11 cm.
42
Per caratterizzare la densità delle discontinuità l’AFTES raccomanda di usare l’indice ID e,
quando possibile, fornire dei diagrammi di variazione degli indici più rappresentativi lungo
l’allineamento del rilievo (lunghezza delle carote, frequenza e RQD) come indicato nella
figura 2.16.
Nella classificazione del Barton l’indicatore associato con i dieci profili è un’entità
adimensionale che varia da 0 a 20 (JRC = Joint Roughness Coefficient). I profili di
riferimento hanno una lunghezza di 10 cm. Nella figura accanto ai valori di scabrezza della
scala di Barton vengono riportati anche i corrispondenti valori del coefficiente Jr della
classificazione Q system degli ammassi rocciosi.
Per caratterizzare superfici più estese, Barton e Bandis, sulla base di molti dati ricavati
durante la loro intensa attività professionale, propongono una correlazione per ricavare il
valore di JRC per un profilo di lunghezza Ln, dal valore del coefficiente JRCo stimata per un
profilo di lunghezza standard di 10 cm.
0 , 02 JRCo
L
JRC n JRC o n
Lo
Lo stesso Barton fornisce un’alternativa per la stima del coefficiente JRC utilizzando una
misura delle asperità in mm e la lunghezza del profilo considerato secondo quanto indicato
nella figura 2.19 e nel diagramma associato della figura 2.20.
44
Figura 2.24 Valutazione dell’ampiezza del profilo
0.03 JCS o
L
JCS n JCS o n
L0
45
Figura 2.26 Diagramma per le misure con il martello di Schmidt
Viene definita come la misura della distanza tra le due superfici a contatto della discontinuità.
E’ misurata perpendicolarmente al piano della discontinuità.
3.8 RIEMPIMENTO
La filtrazione dell’acqua attraverso gli ammassi rocciosi deriva principalmente dal flusso
attraverso le discontinuità (permeabità secondaria).
Da questo punto di vista le discontinuità senza riempimento, quelle con riempimento e anche
l’ammasso roccioso in generale (contorno dello scavo, fronte di scavo, ecc), si suddividono in
gradi di filtrazione da I al VI.
46
4. PROPRIETA’ MECCANICHE DELLE DISCONTINUITA’
4.1 DEFORMABILITA’
Si potranno definire un valore iniziale (tangente alla curva nell’origine), un valore tangente
(tangente alla curva in un punto) o un valori secante (coefficiente angolare della retta
congiungente il punto considerato e l’origine).
Molto spesso le curve sforzi normali deformazioni presentano deformazioni irreversibili per il
progressivo schiacciamento delle asperità.
47
Figura 2.27 Rigidezza normale e tangenziale
Il comportamento di una discontinuità durante una prova di taglio è governato dalla natura
delle superfici a contatto, ma soprattutto dalle loro condizioni: rugosità delle pareti,
alterazione delle pareti e tipologia di giunto (chiuso).
Se consideriamo il caso ideale di un giunto, con le superfici piane e perfettamente lisce, la
resistenza a taglio segue la legge dell’attrito (Criterio di Coulomb).
tan b
Dove φb è l’angolo di attrito per superfici piane detto di base. Esso dipende dalle
caratteristiche petrografiche della roccia e dalle condizioni delle pareti esposte. Se invece si
sottopone a scorrimento la roccia in corrispondenza di una superficie di frattura naturale o
artificiale, si osserva un comportamento diverso dovuto essenzialmente alle irregolarità della
superficie di discontinuità.
Dai risultati di una prova a taglio, con valore costante della sollecitazione normale, si
ottengono le curve della resistenza tangenziale in funzione dello scorrimento riportate in
figura 2.23.
48
Figura 2.28 Risultati di una prova di taglio
La resistenza al taglio (resistenza di picco e residua) è rappresentata dalle due curve riportate
in figura 2.24.
r n tan r
La curva che esprime la resistenza di picco, inizialmente presenta una concavità verso il basso
e indica un comportamento non lineare tra il taglio e la sollecitazione normale. Per piccoli
valori della sollecitazione normale la curva presenta una pendenza rilevante dovuta alle
asperità. All’aumentare dello sforzo normale, le asperità si rompono, la dilatanza diminuisce e
la curva tende progressivamente ad un andamento lineare. In quest’ambito la resistenza di
picco può essere approssimata alla relazione lineare
P c a n tan p
Ca è una coesione apparente (fittizia) che non esprime alcuna proprietà intrinseca della
discontinuità. Per bassi valori della sollecitazione normale l’angolo di attrito di picco coincide
con l’angolo di base più un angolo i legato alla dilatanza (pendenza media delle asperità). Per
alti valori della sollecitazione normale l’angolo di attrito coincide con quello di base.
N tan b i
dove
φb = angolo di attrito di base (giunto piano dello stesso materiale)
i = angolo di inclinazione delle asperità.
u n u s tan i
50
Figura 2.30 Modello del criterio di Patton
JCS
p N tan b i N tan b JRC log10
N
Per valori molto bassi della sollecitazione normale (JCS/Sn 100), l’equazione non dà valori
reali. Pertanto Barton suggerisce di usare in questo campo la relazione semplificata
n tan 70 0
51
La soluzione proposta da Barton è stata ampiamente verificata mediante numerose indagini
sperimentali. Essa può ritenersi la più idonea per esprimere la resistenza di picco di una
discontinuità scabra. La resistenza residua è bene rappresentata da una legge lineare con un
valore della coesione nulla o prossima a zero, e angolo di attrito molto vicino all’angolo di
base del materiale.
Successivamente Barton modificò l’espressione del suo criterio sulla base di numerosi dati
sperimentali di prove di taglio sui giunti
JCS
p N tan r JRC log10
N
r
r b 20
R
Dove r e R sono rispettivamente l’altezza di rimbalzo dell’apparecchiatura di Schmid sulla
superficie del giunto bagnata e quella di una superficie secca e appena tagliata.
E’ opportuno osservare che tale modello non è applicabile ai giunti riempiti con aperture
elevate rispetto all’ampiezza delle asperità (non interfering joints). In questo caso la resistenza
del giunto è condizionata dalle caratteristiche del materiale di riempimento fino quando le
asperità non vengono a contatto.
52
CAPITOLO 3
1. PARAMETRI DI IDENTIFICAZIONE
1. Parametri di identificazione
1.1 RQD
1.2 Rapporto velocità
2. Classificazioni tecniche
2.1 Bieniawki RMR
2.2 Barton Q - System
2.3 GSI
3. Proprietà meccaniche
3.1 Deformabilità: Modulo di deformabilità
3.2 Criteri di resistenza degli ammassi rocciosi
3.3 Comportamento plastico
3.4 Comportamento reologico
1.1 RQD
50
roccia: il grado di fratturazione. In base al suo valore l’ammasso roccioso è suddiviso in
classi di qualità.
OTTIMA 100 ÷ 90
BUONA 90 ÷ 75
DISCRETA 75 ÷ 50
SCADENTE 50 ÷ 25
MOLTO SCADENTE 25
Tabella 3.2 Classificazione in funzione del RQD
Usando la stessa procedura impiegata nel definire l’indice di continuità della matrice
rocciosa (IC), si può definire un analogo indicatore per gli ammassi rocciosi (ICM)
come il rapporto tra la velocità di propagazione delle onde longitudinali, misurata su
una base di lunghezza L, e la velocità misurata su un campione in laboratorio.
V PM
ICM 100
VP
51
2. CLASSIFICAZIONI TECNICHE
La classifica del Bieniawski pubblicata la prima volta nel 1976 col nome di Rock Mass
Rating (RMR) ha subito negli anni, alcune importanti modifiche nella definizione dei
parametri di base. L’ultima versione risale all’anno 1989.
La classe della roccia è individuata con la stima di sei grandezze:
Nella tabella 3.3, a ogni valore delle grandezze citate, per quelle definibili in modo
quantitativo, o ad ogni classe prevista per le altre grandezze, si associa un numero la cui
somma stabilisce il valore del parametro RMR
RMR = (A + B + C + D + E) + F
In base al valore RMR (0 ÷ 100 ) l’ammasso roccioso viene suddiviso in cinque classi
secondo la tabella 3.2 a partire dalla classe ottima (RMR = 80 ÷ 100) a quella molto
scadente (RMR = 0 ÷ 20 ).
52
Una particolare nota merita la valutazione del parametro F. Questo parametro,
esclusivamente impiegato per le opere in sotterraneo, indica l’effetto dell’orientazione
delle discontinuità sulla stabilità di uno scavo in galleria. Ci sono alcune configurazioni
favorevoli (Valori 0 di F) e altre molto sfavorevoli (Valori negativi).
La figura 3.1 evidenzia la direzione dell’asse longitudinale della galleria (direzione
dell’avanzamento dello scavo) rispetto una famiglia di discontinuità.
Si osservi che il parametro RMR, che individua la classe della roccia, dipende più
del 70% dalla presenza delle discontinuità nell’ammasso roccioso e quindi dalle loro
caratteristiche fisiche e meccaniche, e solo del 15 % per quanto concerne le
proprietà della matrice rocciosa e ancora del 15 % per le caratteristiche idrauliche.
E’ interessante notare che tale classifica ignora completamente le condizioni della
sollecitazione presente nel sito prima dello scavo. Ciò porta ad individuare un limite
all’impiego di questa classificazione tecnica. Essa dovrebbe essere utilizzata
soltanto quando la risposta dell’ammasso roccioso è governata dalle discontinuità.
E’ opportuno escludere tale classifica quando ci si trova in presenza di rocce deboli
e con elevate sollecitazioni originarie nel sito.
Un’altra osservazione critica a questa classificazione riguarda il numero di classi
(solo cinque) in cui gli ammassi sono suddivisi. Questo schema, in base
all’esperienza maturata fino ad oggi, appare inadeguato per descrivere tutte le
configurazioni di rocce incontrate negli scavi, e soprattutto per coglierne
comportamento,
53
Tabella 3.4Sistema di classificazione di Bieniawski
54
Esempio
2. RQD 80 90 % 17
3. Spaziatura 0,3 1 m
12
5. Condizioni idrauliche 7
RMR di base 68
Classe di roccia II
55
2.2 CLASSIFICAZIONE DI BARTON (ROCK TUNNELLING QUALITY INDEX Q)
Sulla base di numerosi dati sperimentali, Barton nel 1974 propose un metodo per la
determinazione delle proprietà degli ammassi rocciosi e per la definizione delle
caratteristiche dei sistemi di sostegno nelle opere in sotterraneo, che si basa sul calcolo
di un indice Q di qualità attraverso la definizione di sei grandezze:
RQD J r J
Q W
jn J a SRF
Dove
Considerando il rapporto tra le condizioni più favorevoli e quelle meno favorevoli, dei
sei parametri della classifica del Barton, si nota che il peso del parametro SRF, nella
valutazione del valore di Q, è particolarmente elevato (SRFmax/SRFmin = 20/0,5 = 40).
L’indice Q dipende in modo importante dallo stato della sollecitazione esistente nel sito
e meno dalle proprietà intrinseche della roccia.
56
Nella classificazione Geomeccanica RMR, l’orientazione delle discontinuità hanno
un’influenza diretta sulla classificazione.
Entrambe le classifiche forniscono delle correlazioni empiriche tra il valore di RMR o Q
che identifica la classe di roccia e alcuni parametri di resistenza e deformabilità
(coesione, angolo di attrito, modulo di deformazione ecc.)
In ogni caso quando è possibile, è opportuno fornire, per ciascun indicatore, non un
unico valore ma un intervallo di valori (valore medio e deviazione standard). In questo
modo anche il risultato finale avrà un campo di validità.
Esempio 1
RQD = 85 %
Esempio 2
57
Tabella3.5 Classifica di Barton
58
2.3 CLASSIFICAZIONE GEOMECANICA (GSI GEOLOGICAL STRUCTURAL
INDEX)
Questa classificazione stabilisce dei valori dell’indice GSI da 0 a 100, sulla base di una
descrizione geologica dell’ammasso roccioso. E’ necessario indagare sul grado di
fratturazione e sulle condizioni delle superfici di discontinuità. Il valore stimato di GSI
dovrebbe indicare anche l’intervallo di confidenza delle misure (GSI = 25 ± 5). In
questo campo si può ammettere una deviazione standard intorno a 2,5. In certi casi
questa stima può essere ottimistica. L’ammasso roccioso è identificato da due lettere, la
prima indica il gruppo di appartenenza legato al tipo di struttura; la seconda indica una
classificazione in base alle condizioni delle discontinuità. Questa classificazione
introdotta da Hoek nel 1995, per stimare empiricamente le proprietà meccaniche di un
ammasso roccioso, deriva direttamente dai valori di RMR e Q delle classifiche
esaminate in precedenza.
59
Tabella 3.7 Indice GSI
La raccolta dei risultati di indagini eseguite in diverse parti del mondo, ha permesso di
determinare delle correlazioni tra i valori degli indici delle classificazioni trattate
precedentemente.
Ad esempio Bieniawki nel 1976 sintetizza nella figura 3.2 uno studio statistico
sull’indicatore RMR della sua classifica con quello della classifica del Barton e indica la
seguente equazione:
GSI = RMR
60
Figura 3.2 Correlazioni tra le classifiche
GSI = RMR89 – 5
Per valori di RMR inferiori a 23 il sistema non è applicabile. Per stimare il GSI in questi
casi si dovrebbe utilizzare la classifica del Barton.
GSI = 9lnQ+44
Per applicare correttamente queste correlazioni l’indicatore RMR viene stimato con i
valori dei primi cinque parametri ipotizzando le discontinuità prive d’acqua. Nella
valutazione dell’indicatore di Barton Q si trascura il contributo del terzo fattore.
3. PROPRIETA’ MECCANICHE
3.1 DEFORMABILITA’
61
I metodi indiretti misurano il tempo di propagazione delle onde longitudinali di
compressione (P) e di quelle trasversali di taglio (S), conoscendo la distanza tra la
sorgente sismica di emissione e i rilevatori. Le tecniche di impiego di tale metodo
possono essere molto diverse (seismic up-hole test, cross-hole test, downhole test).
Dalla velocità di propagazione delle onde longitudinali e trasversali, nota la massa
volumica della roccia, si possono ricavare il modulo elastico dinamico dell’ammasso e
il coefficiente di Poisson.
Le prove più importanti e largamente impiegate per misurare direttamente la
deformabilità di un ammasso roccioso sono: la prova con piastra rigida, la prova
dilatometrica, ecc.
In questo contesto merita un cenno la prova con piastra. Essa caratterizza la
deformabilità della roccia con il modulo E di deformazione. I dati della prova, pressioni
in funzione dei cedimenti della piastra dei cicli di carico e scarico, sono interpretati con
la teoria di Boussinesq per un carico uniforme su piastra rigida applicato a semi spazio
omogeneo isotropo ed elastico con modulo Eam e coefficiente di Poisson ν. Attraverso la
curva inviluppo dei cicli di carico e scarico è possibili stimare un modulo globale
dell’ammasso.
62
Per quanto riguarda una stima di questo parametro spesso si ricorre a leggi empiriche
proposte nel tempo da diversi autori. La tabella 3.7 raccoglie le espressioni più comuni
per valutare indirettamente il modulo di deformazione di un ammasso roccioso. Queste
relazioni sono state calcolate in particolari contesti; pertanto devono essere utilizzate
sempre con cautela.
RMR RMR 3
Hoek – Brown (1982)
10 10 5
RMR 10 GSI 10
Serafim – Pereira (1983)
40
10 40 10
2
RQD
0,5 Ei Bieniawki (1989)
100
RMR 10 Grimstad – Barton (1993)
10 exp 40
0,07 RQD 0,05 R ci 55 E i Honisch (1993)
0, 5 GSI 10
R
1000 ci 10 40
(Rci <100 MPa) Hoek – Brown (1997)
100
1 D / 2
100000 Hoek – Diederichs (2005)
75 25 D GSI
11
1 e
1 D / 2
Ei 0,02
60 15 D GSI
Hoek – Diederichs (2006
11
1 e
Dove:
Ei è il modulo di elasticità della roccia intatta misurato in laboratorio
Rci è la resistenza a compressione mono assiale della roccia intatta
RQD Rock Quality Desognation
Q Indicatore della classifica di Barton (quality factor)
RMR Indicatore della classifica di Bieniawki (Rock Mass Rating)
GSI L’indicatore della classifica di Hoek (Geological Strenght Index)
63
Un interessante approccio per stimare la deformabilità di un ammasso roccioso e per
verificare le espressioni empiriche riportate nella tabella 3.7, è quello di ricorrere alla
tecnica di back analysis. Con una modellazione agli elementi finiti 2D o 3D di
situazioni di scavo reali, è possibile attraverso misure di convergenza dello scavo o
misure di deformabilità in alcuni punti noti, stimare il modulo di deformazione
dell’ammasso o i moduli, nel caso di comportamento non isotropo.
E am t 0
E am t
1 t
dove:
64
ф(t) è una funzione variabile da 0 al valore α
Usualmente si pone α =1 per rocce moderatamente resistenti e α variabile da 0,3 a 0,5
per rocce più resistenti. E’ evidente che il valore corretto di α andrebbe scelto valutando
la deformazione riscontrata a lungo termine con misure in sito.
Nello spazio questa legge individua una superficie (nel caso di sollecitazioni biassiali il
criterio individuerà una linea nel piano delle sollecitazioni principali). Se lo sforzo di un
punto del materiale è tale da essere contenuto nello spazio limitato dalla superficie, si
parlerà di uno stato di sforzo che non produce rottura. Se la roccia viene schematizzata
con un comportamento elasto plastico ideale (resistenza di picco coincidente con il
punto di plasticizzazione e coincidente con la resistenza residua) si parlerà di
comportamento elastico. Per = 0 si ha la rottura . Non sono ammissibili valori della
sollecitazione tali che sia maggiore di 0.
65
Figura 3.5 Superficie di plasticizzazione
1 3
max o
2
1 Rc
max o
2 2
1 3
o
2
2 3
o
2
1 2
o
2
L’asse del prisma coincide con l’asse idrostatico (σ1 = σ2 = σ3). Se la rappresentazione è
fatta sul piano deviatorico (ottaedrico) cioè il piano ortogonale all’asse idrostatico, si
ottiene un esagono regolare.
66
Figura 3.6 Criterio di Tresca nel piano ottaedrico
Questo criterio si adatta molto bene per i materiali duttili (metalli) con comportamento a
compressione uguale a quello in trazione e per i terreni saturi in condizioni non drenate
quando l’angolo di attrito è zero.
I limiti di questo criterio per i materiali rocciosi sono evidenti e si possono riassumere in
questi punti:
Comportamento uguale in compressione e trazione
La resistenza è indipendente dallo stato della sollecitazione (costante)
Il criterio non tiene conto della sollecitazione intermedia
La superficie risulta discontinua; questo può rappresentare una difficoltà nella
modellazione FEM.
max c tan( )
Nel piano di Mohr questa legge è rappresentata da una retta tangente al cerchio di Mohr
che indica lo stato della sollecitazione nella roccia.
67
Con semplici considerazioni trigonometriche è possibile ricavare l’angolo di
inclinazione del piano di rottura e la relazione che lega le due sollecitazioni principali in
condizioni limite
4 2
1 2 c N 3 N Rci 3 N
con
1 sen( )
N
1 sen( )
Nel piano delle due sollecitazioni principali questa equazione rappresenta una retta con
l’intercetta all’asse delle x pari alla resistenza a compressione mono assiale della roccia
intatta Rci e con pendenza pari arctgN .
Figura 3.8 Criterio di Mohr Coulomb nel piano delle sollecitazioni principali
68
Figura 3.9 Altra rappresentazione del criterio di Mohr Coulomb
La parte della retta nel quadrante per valori negativi di σ3 e inferiori ad un valore limite
non ha significato fisico per le rocce. Il valore della resistenza a trazione è circa 1/8 ÷
1/10 di quella a compressione. Del resto questo tratto non ha nemmeno un significato
matematico. L’ipotesi che S sia positiva significa che s1 maggiore di Rci/2. In questo
quadrante la retta viene troncata e limitata da un andamento verticale in corrispondenza
al valore della resistenza a trazione Rt.
Nella situazione di uno stato di sollecitazione triassiale, con tutte e tre le sollecitazioni
principali diverse da zero, il criterio è governato da sei equazioni che nello spazio
rappresentano una piramide a base esagonale non regolare con l’asse coincidente con
l’asse idrostatico.
1 3
1 3 2 c cos sen
2
1 2
1 2 2 c cos sen
2
2 3
2 3 2 c cos sen
2
69
Figura 3.10 Criterio di Mohr Coulomb
Questo criterio, benché molto diffuso nello studio dei problemi della meccanica delle
rocce, presenta alcuni seri inconvenienti.
La sollecitazione intermedia non ha alcuna influenza sulle condizioni di rottura
La dipendenza lineare della resistenza, soprattutto per ampie variazioni dello
stato di sollecitazione, non è valida. Per comprendere ciò è sufficiente esaminare
la curva inviluppo dei cerchi di Mohr per diverse pressioni di confinamento.
Anche in questo criterio la superficie discontinua della piramide può costituire
un inconveniente nell’analisi numerica.
70
Figura 3.11 Mezzo continuo e discontinuo
Il criterio di Hoek è valido per un ammasso roccioso che può essere schematizzato
come un mezzo continuo (rocce intatte e molto fratturate mezzo continuo equivalente).
La resistenza e deformabilità degli ammassi rocciosi dipendono dalle proprietà della
roccia intatta e dalle dimensioni e forma dei blocchi di roccia intatta delimitati dalle
discontinuità e dalle caratteristiche di scabrezza dei piani.
La curva inviluppo dei cerchi di Mohr ha permesso di individuare una relazione non
lineare tra le due sollecitazioni principali in condizioni di rottura del campione
a
1 3 Rci ma 3 s
Rci
dove:
σ1 e σ3 sono gli sforzi principali massimo e minimo a rottura
Rci è la resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta (I parametro)
ma è il secondo parametro del criterio per l’ammasso roccioso
s e a sono due costanti che dipendono dalle caratteristiche dell’ammasso roccioso.
3
1 3 Rci mi 1
Rci
La relazione tra le sollecitazioni principali, in condizioni di rottura, per una data roccia è
definita da due costanti (criterio bi parametrico), Rci e mi, nel caso di rocce intatte, e
Rcam e ma per gli ammassi. I parametri mi e ma dipendono dal tipo di roccia e svolgono
una funzione analoga a quella dell’angolo di attrito nel criterio di Mohr Coulomb. I
valori relativi alle rocce intatte dovrebbero essere determinati, ove possibile, attraverso
71
un’analisi statistica dei risultati di almeno cinque prove triassiali. Quando non è
possibile ottenere questi due parametri direttamente da prove di laboratorio, si può
riferirsi, in una fase preliminare, ai valori riportati nelle tabelle 3.8 e 3.9.
Originalmente il criterio di Hoek veniva associato ad una matrice di cinque colonne
(cinque tipi di roccia) e sei righe (sei diverse qualità della roccia) per individuare il
parametro ma e la costante s. Successivamente è stato introdotto l’indice GSI
(Geological Strength Index) per stimare la riduzione di resistenza degli ammassi
rocciosi in diverse condizioni geologiche e per superare alcune lacune delle
classificazioni già esistenti soprattutto per le rocce deboli (Bieniawki).
Noto l’indice GSI il parametro ma viene stimato con la seguente relazione:
GSI 100
ma mi exp
28
Per GSI > 25 è applicabile il criterio originale di Hoek e Brown con le costanti s e a così
definite:
GSI 100
s exp
9
a = 0,5
Per GSI < 25 quindi per rocce di pessima qualità il criterio viene modificato ponendo
S=0e
GSI
a 0,65
200
GSI 100
ma mi exp
28 14 D
GSI 100
s exp
9 3D
1 1 15
GSI 20
a e e 3
2 6
Dove D è un fattore che dipende dal disturbo dell’ammasso roccioso, per effetto dello
scavo. (D = 0 minimo disturbo, D =1 massimo disturbo per es. effetto dell’esplosivo).
72
Tabella 3.10 Resistenza a compressione in funzione della classe di roccia
73
Per comodità di calcolo spesso è opportuno impiegare il criterio di Mohr – Coulomb nel
quale la resistenza della roccia è definita attraverso la coesione c e l’angolo di attrito φ..
Figura 3.12 Criterio di Mohr Coulomb e Hoek nel piano delle tensioni principali
Nasce, quindi, la necessità di passare dai parametri empirici del criterio di Hoek a quelli
del criterio di Mohr Coulomb. Non esiste una correlazione diretta tra i parametri dei
due criteri. Questo è un problema di difficile soluzione. La strada più convincente
seguita è quella di simulare con il modello di Hoek-Brown prove triassiali. Attraverso
delle regressioni lineari verranno stimati i valori della coesione e angolo di attrito
equivalenti.
Le figure 3.13 e 3.14 riportano un esempio dei risultati di queste analisi.
74
Figura 3.14 Correlazione tra angolo di attrito e parametro m
d i d i d i
tot el pl
La prima componente della deformazione è sempre fornita dalle usuali relazioni della
teoria dell’elasticità. La teoria della plasticità fornisce il valore della deformazione
plastica.
Un comportamento elastico ideale è individuato dalla condizione di plasticizzazione
(Criterio di rottura o plasticità) che indica il livello di sforzo per il quale si verificano le
deformazioni plastiche irreversibili. Se la sollecitazione è tale che la funzione plastica è
minore di zero allora il comportamento è elastico con deformazioni plastiche nulle. Se
la funzione è uguale a zero, si è in presenza di deformazioni elastiche e plastiche
contemporaneamente. In alcuni casi la condizione di plasticizzazione è influenzata dalla
storia delle deformazioni plastiche precedenti. In questo caso la funzione di
plasticizzazione diventa:
i 0
L’entità delle deformazioni plastiche, per uno stato di sforzo che giace sulla superficie
di plasticizzazione si calcola con la seguente espressione:
pl i
d
i
75
dove δl è una costante di proporzionalità. Il vettore della deformazione plastica è diretto
ortogonalmente alla superficie di plasticizzazione. Si parla di legge di flusso associata,
quando la funzione di potenziale plastico coincide con la funzione di plasticizzazione
(legge di normalità).
I dati sperimentali indicano che nelle rocce non sempre è valido il principio di
normalità. Si osserva spesso che la dilatanza è minore di quella valutata teoricamente
considerando il potenziale plastico coincidente con la superficie di plasticizzazione.
Spesso si assume per il potenziale plastico una funzione analoga a quella di
plasticizzazione ma caratterizzata da un angolo di dilatanza minore dell’angolo di
attrito.
Se si prende in esame uno stato di sollecitazione piano e si consideri il criterio di Mohr
– Coulomb, per definire la retta limite nel piano delle due sollecitazioni principali,
risulta:
d 1 1 d
pl
d 3 N d
pl
dove N vale
1 sen
1 sen
d d 1 d 3 1 N d
dV d 1 d 3 N 1 d
L’ammasso roccioso, prima della fase di scavo, è soggetto ad uno stato tensionale con le
tre sollecitazioni principali diverse da zero. Questa condizione è chiamato stato iniziale
o naturale (virgin stress rock). Essa è dovuta al peso proprio unitamente a sollecitazioni
di origine tettonica. Quando si esegue uno scavo la sollecitazione viene profondamente
modificata in prossimità dell’apertura. La risposta della roccia allo scavo in termini di
deformazione, e di tensione (estensione delle zone dove vengono superati i limiti di
resistenza), dipendono fortemente dalla sollecitazione iniziale.
In assenza di dati precisi è comunemente assunto che la tensione verticale coincide con
una sollecitazione principale ed ha il valore determinato dal peso del carico sovrastante:
76
v h
Queste ipotesi sono valide in siti sub orizzontali e in formazioni di roccia sedimentaria.
Non sono valide in aree montagnose dove l’andamento altimetrico e la tettonica
introduce profonde distorsioni nello stato tensionale.
Per quanto riguarda le sollecitazioni principali orizzontali, normalmente si assumono
uguali con un valore costante pari ad una frazione della tensione verticale.
2 3 h K0 v
Terzaghi e Richard suggeriscono che per formazioni rocciose con carichi gravitazionali
nelle quali durante la formazione vennero impedite le deformazioni laterali, un valore di
K0 =ν/(1-ν).
Queste ipotesi largamente diffuse nei problemi di meccanica delle rocce sono molto
distanti dalla realtà. Raramente la sollecitazione orizzontale è isotropa e frequentemente
il valore K0 varia da 0,5 a 2
La raccolta di misure in sito della sollecitazione orizzontale nelle miniere e in altre
opere civili in diverse parti del mondo indicano che il rapporto k tende ad essere più
elevato negli strati superficiali (piccole profondità) e diminuire col aumentare della
profondità.
Per una stima di tale valore si può ricorrere alla teoria di Sheorey .
1
K 0,25 7 E h 0,001
h
Dove
h è la profondità
77
Eh è il modulo medio di deformazione della parte superficiale della crosta terrestre in
direzione orizzontale. Ovviamente questa precisazione è importante soprattutto per le
rocce anisotrope come per esempio le rocce sedimentarie.
Per opere particolarmente importanti e dove è dimostrata una significativa influenza
della sollecitazione originaria sul comportamento dello scavo, è consigliabile valutare lo
stato della sollecitazione originario direttamente con misure sul campo. Ciò viene fatto
attraverso la tecnica del sovracarotaggio. E’ necessario stimare il rapporto tra la
sollecitazione verticale e quella orizzontale e determinare le loro orientazioni. Nei casi
più complessi è necessario individuare l’entità e la direzione di tutte e tre le
sollecitazioni principali. In una fase preliminare della progettazione può essere
sufficiente per stimare le sollecitazioni preesistenti allo scavo, il ricorso a mappe della
sollecitazione, mappe topografiche, geologiche, rapporti esistenti ecc.
Anche durante la costruzione ha significato ricercare queste grandezze, osservando le
deformazioni delle pareti dello scavo e interpretando tali misure (convergenza), per
verificare le scelte progettuali (Back analysis).
Nei metodi di progetto delle opere in sotterraneo più evoluti, come sarà evidenziato nel
capitolo 5, l’interpretazione della risposta deformativa dello scavo per via teorica,
assume un importanza fondamentale. Appare evidente come la caratterizzazione
geomeccanica dei materiali incontrati durante la fase dello scavo, rappresenti la fase più
delicata nella messa a punto di modelli per la previsione della risposta de formativa. Il
primo passo di questa fase (conoscitiva) interessa lo studio delle caratteristiche
geologiche dell’ammasso roccioso. E’ necessario individuare con un rilievo geologico
di dettaglio, tutti i litotipi interessati dallo scavo e i principali sistemi di discontinuità
presenti nell’ammasso roccioso. Particolare attenzione in questa fase preliminare di un
progetto viene rivolta alla valutazione delle caratteristiche idrogeologiche del sito. Per
raccogliere tutte le informazioni necessarie molto spesso il solo rilievo in superficie,
accompagnato dall’esame delle foto aeree, non è sufficiente a fornire uno schema
geologico dettagliato del sito. Solo l’esecuzione di sondaggi meccanici a carotaggi
continuo, eseguiti dalla superficie del terreno, può consentire di acquisire le necessarie
informazioni di carattere geologico e strutturale. Nell’eventualità che questi sondaggi
fossero di difficile esecuzione o talvolta impossibili per la configurazione del sito, per la
profondità dello scavo (elevati spessori del terreno di copertura), si può far ricorso a
tecniche di sondaggio in avanzamento dal fronte dello scavo o in taluni casi a cunicoli
(foro pilota) alternativi allo scavo principale. Inoltre di grande aiuto nel definire lo
schema geologico del sito sono le indagini geofisiche eseguite in superficie. Dopo la
definizione dello schema geologico è necessario procedere alla determinazione dei
parametri fisici e meccanici necessari per la verifica della stabilità dello scavo e quindi
per la messa in opera dei sistemi di contenimenti più efficaci. Il mezzo a disposizione
per acquisire i dati dell’ammasso roccioso è costituito dai sondaggi meccanici. Nello
schema di figura sono indicati in sintesi le principali indagini che si possono eseguire
nei fori di sondaggio per la caratterizzazione meccanica della roccia.
78
Figura 3.16 Fase conoscitiva: prove effettuate dai carotaggi continui.
79
PARTE II
1. INTRODUZIONE
82
nell’ammasso vengono deviate dall’apertura creando al contorno dello scavo delle zone
di “overstressing”. La diversa collocazione del flusso tensionale genera quel fenomeno
fisico, definito “effetto arco”, che garantisce la stabilità dello scavo anche senza
interventi di sostegno. Gli interventi temporanei e quelli permanenti di sostegno hanno
la funzione di garantire un nuovo stato di equilibrio.
Scavo stabile
Scavo instabile
83
Figura 4.1 Situazione tensionale al bordo dello scavo ed “effetto arco”
Figura 4.2 Situazione tensionale sul fronte e al bordo dello scavo con l’effetto arco.
84
In passato, per garantire la stabilità dello scavo, venivano impiegati sostegni provvisori
(temporanei) realizzati con carpenteria in legno (fig. 4.2). Il rivestimento definitivo
(permanente) era rappresentato da un arco superiore in muratura impostato su due
piedritti. Quando le caratteristiche del sito lo richiedeva si passava alla realizzazione
dell’arco rovescio per contrastare le spinte orizzontali. In situazioni difficili,
nell’attraversamento di “rocce spingenti”era necessario procedere con ausilio di piccoli
cunicoli protetti sempre da un sistema di carpenteria in legno. Eccezionalmente si
usavano strutture in acciaio.
85
Solo nella prima metà del secolo XX (1920 -30), i sostegni provvisori in legno vennero
sostituti da sostegni di prima fase in calcestruzzo proiettato, centine metalliche e talvolta
un sistema di ancoraggi (fig. 4.4), seguiti da un anello di rivestimento di calcestruzzo
(seconda fase). Questa tecnica rivoluzionò il modo di progettare e costruire le gallerie
(fig. 4.5).
86
2. IL COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLA GALLERIA
La deformazione della sezione della galleria per effetto delle azioni del terreno
circostante (pressione della roccia), e le deformazioni della roccia stessa, sono degli
indicatori fondamentali del comportamento della struttura. L’obiettivo della
progettazione sarà quello di limitare, controllare e stabilizzare le deformazioni.
Il comportamento della struttura è complesso e dipende da molti fattori:
Tipologia del sito (terra, roccia, ammasso roccioso)
Caratteristiche meccaniche dei materiali
Condizioni idrauliche del sito
Stato della sollecitazione originaria
Dimensione e forma della galleria
Metodo di costruzione (organizzazione delle fasi di lavorazione)
Nella costruzione delle gallerie, i materiali (terra, roccia, ammasso roccioso), non sono
scelti come accade, usualmente, nelle altre opere dell’ingegneria civile, ma piuttosto
essi si “incontrano” e talvolta si subiscono. E’ chiaro che la conoscenza accurata delle
formazioni rocciose interessate dall’opera in sotterraneo, sarà un aspetto prioritario ai
fini di garantire un progetto affidabile e una costruzione sicura. Molti degli
inconvenienti, anche gravi, che capitano nella realizzazione di gallerie, sono dovuti alla
mancanza di conoscenze adeguate per quanto concerne le proprietà della roccia.
Un altro aspetto da valutare con attenzione è la presenza d’acqua in galleria. L’acqua
diminuisce la resistenza dei materiali riducendone la coesione o diminuendo la
sollecitazione effettiva. Anche per quando riguarda la resistenza al taglio delle
discontinuità, la presenza di infiltrazioni d’acqua o addirittura di acqua in pressione
87
rappresenta un aspetto negativo. In altri casi ed in certe tipologie di rocce, l’acqua può
innescare il fenomeno dell’aumento di volume (rigonfiamento o swelling).
Come è già stato detto nel capitolo precedente, gli ammassi rocciosi sono soggetti ad
uno stato di sollecitazione in sito prima dell’apertura della galleria (fig. 4.7). Questa
condizione originaria varia puntualmente lungo l’asse della galleria. Il tensore della
sollecitazione originaria non può essere determinato in modo teorico, per le condizioni
topografiche mutevoli, per la complessità della struttura dell’ammasso roccioso che
spesso presenta un comportamento non lineare e per le sollecitazioni di origine tettonica
presenti.
La dimensione della sezione della galleria, ovvero la sua larghezza, nel caso di scavo a
piena sezione, può diventare un fattore decisivo nelle valutazioni di stabilità.
Aumentando la larghezza dello scavo aumenta la probabilità di incontrare situazioni
sfavorevoli nella orientazione delle discontinuità che possono determinare condizioni di
instabilità. Nei terreni sciolti la pressione verticale che agisce sul rivestimento aumenta
con l’aumentare del rapporto tra larghezza del foro e altezza del ricoprimento. Se questo
rapporto è minore di uno non è possibile la formazione dell’effetto arco e quindi c’è il
collasso della struttura. La forma dello scavo è in relazione all’entità e direzione della
pressione della roccia. La forma del profilo dovrebbe essere scelta in modo da favorire
la formazione di un arco naturale nella roccia e nel rivestimento (fig. 4.8).
88
2.4 ORGANIZZAZIONE DELLO SCAVO
Un altro fattore molto importante nello sviluppo delle azioni dell’ammasso roccioso e
delle deformazioni nella roccia interessata dallo scavo, è la metodologia seguita
nell’apertura della cavità. La galleria può essere scavata a piena sezione o dividendo la
sezione in due o più parti e organizzando lo scavo in sequenza (fig 4.9).
In alcune favorevoli circostanze lo scavo può essere stabile senza particolari interventi
di sostegno. In altre condizioni, la galleria potrà essere realizzata solo con l’ausilio di
opportune tecniche di sostegno messe in opera tempestivamente e immediatamente a
ridosso del fronte di avanzamento. Durante la costruzione di una galleria, per le
condizioni geologiche diverse che si possono incontrare, ci si può trovare nella prima e
nella seconda situazione. Nella valutazione di tali condizioni sarà opportuno
preliminarmente “capire” il problema per utilizzare la metodologia più corretta per
risolverlo. Per tale ragione è opportuno distinguere tre tipologie di azioni dell’ammasso
roccioso sul rivestimento, concettualmente molto diverse:
3.1 ALLENTAMENTO
89
piani di minor resistenza. Il pericolo del loosening si manifesta con la caduta di blocchi
di roccia in calotta e lo scivolamento laterale lungo i giunti (fig. 4.10). Sfavorevoli
condizioni nell’orientazione delle discontinuità, effetto di disturbo nel terreno
circostante lo scavo provocato dall’impiego di esplosivo, la presenza d’acqua può
contribuire a muovere un gran volume di roccia che col proprio peso graverà sul
rivestimento. Quando si manifesta questo problema un ragionevole approccio
progettuale è quello di considerare un carico verticale gravante in calotta corrispondente
alla zona di roccia allentata e delle azioni laterali attive e passive (metodo dei solidi di
carico).
90
Figura 4.13 Allentamento in una galleria non rivestita (loosening pressure)
In contrasto con quello che accade negli ammassi rocciosi soggetti a problemi di
allentamento, nelle rocce che manifestano un attività spingente, dominano le
caratteristiche di resistenza della roccia in rapporto alla sollecitazione indotta dallo
scavo. La loro bassa resistenza, un comportamento dipendente anche dal tempo (creep)
nonché un elevata sollecitazione originaria, possono favorire questo tipo di
comportamento. Le deformazioni avvengono radialmente in tutte le direzioni con
conseguente riduzione della sezione di scavo (figure. 4.13 e 4.14). Si verifica la rottura
della roccia, e la formazione di una zona plastica. Misure con gli estensimetri multibase,
all’interno dell’ammasso e radialmente lungo il profilo della scavo, evidenziano
deformazioni decrescenti allontanandosi dal profilo dello scavo, tipicche dello stato
tensionale indotto dallo scavo in condizioni plastiche.
Gli interventi di sostegno, contrastando la spinta della roccia, migliorano le
caratteristiche meccaniche dell’ammasso roccioso, riducono la zona plastica e limitano
e stabilizzano le deformazioni radiali.(metodi numerici, linee caratteristiche ).
91
Figura 4.15 Attività spingente (squeezing o genuine rock pressure)
92
4. METODI PER LA PROGETTAZIONE DELLE OPERE DI SOSTEGNO
93
Il progetto di un opera in sotterraneo comprende generalmente tre fasi schematicamente
rappresentate nella figura 4.17. La prima fase comprende l’attività di indagine con
prove di laboratorio ed in sito per caratterizzare al meglio il sito interessato dallo scavo.
Segue la seconda fase di analisi per individuare i problemi di stabilità dello scavo e che
si traduce in ipotesi alternative di progetto. Talvolta questa fase ha bisogno di ulteriori
informazioni per individuare il progetto migliore dal punto di vista tecnico ed
economico (attività integrativa delle indagini). Scelto il progetto si passa alla terza fase
quella di realizzazione del progetto. Nella fase di costruzione, determinanti sono le
misure previste dal progetto. Le misure consentiranno una verifica delle scelte operate
nella fase 2 ed eventualmente porre dei rimedi a valutazioni errate o addirittura
cambiare le scelte.
I metodi per scegliere la tipologia di sostegno e per il suo dimensionamento si possono
raggruppare in quattro categorie: metodi empirici, metodo delle linee caratteristiche,
metodi numerici e metodi dei solidi di carico e delle reazioni indeterminate. Nei capitoli
successivi verranno analizzati i metodi più diffusi.
94
CAPITOLO 5
1. INTRODUZIONE
I metodi razionali di progetto si basano sulla valutazione della risposta di uno scavo, in
termini di sollecitazioni e deformazioni, ipotizzando uno stato tensionale originario
(prima dello scavo) e un modello per il comportamento dell’ammasso roccioso (legge
costitutiva dell’ammasso roccioso) noti. Un ambiente geologico esistente, prima dello
scavo, sia esso un terreno o una roccia, è soggetto ad uno stato naturale di sollecitazione
di tipo triassiale. Lo scavo comporta una ridistribuzione delle tensioni con
concentrazione delle linee di flusso attorno al suo profilo; lo stato triassiale preesistente
si trasforma, in particolari condizioni, in sollecitazione mono o bi assiale, con
conseguente riduzione della capacità resistente della roccia.
Dal punto di vista tensionale, si possono presentare tre situazioni, già evidenziate nella
figura 4.1 del capitolo 4. Nella prima il terreno al contorno dello scavo risponde
elasticamente al nuovo stato tensionale, le deformazioni sono di lieve entità, lo scavo è
stabile, si parla di “effetto arco” che si forma in prossimità del profilo. La seconda
situazione evidenzia la formazione intorno al profilo di scavo di un anello di roccia
plasticizzata per il superamento della sua resistenza. Il flusso tensionale è deviato verso
l’interno con spostamento dell’arco naturale. La parte superficiale di terreno degradato
potrà resistere soltanto con la propria resistenza residua e darà luogo a fenomeni
deformativi di notevole entità. Si parlerà di scavo stabile a breve termine. La terza
situazione avviene quando il terreno non è in grado assolutamente di sopportare
l’incremento delle tensioni e risponde con il crollo istantaneo della cavità. In questo
caso si parlerà di scavo e fronte instabile.
La verifica della stabilità di uno scavo, ed il progetto delle eventuali misure di
contenimento dello stesso (sostegni di prima e seconda fase) che andranno a limitare e
stabilizzare le deformazioni dell’ammasso roccioso, potranno essere fatte soltanto
attraverso un’analisi tensionale accurata.
Il problema di determinare lo stato di sforzo e di deformazione indotto dallo scavo di
una galleria può essere affrontato e risolto senza eccessiva difficoltà utilizzando le
tecniche di analisi numerica oggi disponibili. Per ragioni didattiche ma anche per
facilitare la comprensione dei risultati dell’analisi numerica, talvolta particolarmente
complessi, è utile analizzare alcune situazioni ideali sia dal punto di vista della
geometria (foro circolare), nonché da quello dello sforzo originario (sforzo isotropo). In
tali situazioni è possibile trovare la soluzione esatta (forma chiusa) dell’equazione
differenziale che governa l’equilibrio. Questo consentirà di verificare i modelli numerici
per ipotesi progettuali diverse e più complesse.
95
2. ELEMENTI DI TEORIA DELL’ELASTICITÀ
F
P lim A0
A
x xy xz
yx y yz
zx zy z
Segue che le componenti della sollecitazione si riducono a sei. Per quanto riguarda il
segno di queste componenti spesso si considera il segno positivo per le sollecitazioni
normali di compressione e negativo per le trazioni.
Molto usata è anche la notazione dove gli assi sono indicati dai numeri 1,2,3. In questo
caso, le componenti del tensore della sollecitazione, è quello indicato nella figura. Tutte
le componenti, con la convenzione dei segni usuale, sono positive.
11 1 2 1 3
12 2 2 2 3
1 3 23 33
E’ noto che tra tutte le terne ortogonali per il punto P considerato ne esiste una ed in
generale una sola, con riferimento alla quale il tensore degli sforzi assume una forma
semplificata, le componenti del vettore della sollecitazioni sono soltanto ortogonali ai
piani (componenti di taglio nulle). Tale terna verrà definita principale e le tre tensioni
normali sono chiamate tensioni principali.
1 0 0
0 2 0
0 0 3
3 I1 2 I 2 I 3 0
96
Dove le quantità I1, I2 e I3, indipendenti dalla scelta della terna degli assi cartesiani di
riferimento, chiamate per questo invariati della sollecitazione, sono definite dalle
espressioni:
I1 x y z 1 2 3
I 2 y z x z y x y2 z x2 z y2 x 2 3 3 1 1 3
I 3 x y z 2 y z z x x y x y2 z y x2 z z y2 x 1 2 3
p
1
3
1
1
x y z 1 2 3 I 1
3 3
11 1 2 1 3 S11 1 2 1 3 p 0 0
12 2 2 2 3 = 12 S 2 2 2 3 + 0 p 0
1 3 23 33 1 3 23 S33 0 0 p
in forma compatta:
S p
dal tensore della sollecitazione deviatorica si possono determinare i tre invarianti J1, J2
e J3.
97
l l0
x
l0
11 1 2 13
12 2 2 2 3
1 3 2 3 33
u1 u2 u3
11 xx 22 yy 33 zz
x1 x2 x3
1 u1 u 2 1 1 u 2 u3 1 1 u1 u 3 1
12 xy 23 yz 13 xz
2 x 2 x1 2 2 x 3 x 2 2
2 x 3 x1 2
Anche per il tensore delle deformazioni unitarie è possibile definire i tre invarianti
risolvendo l’equazione del terzo ordine :
3 I1 2 I 2 I 3 0
e
1
3
1
1
x y z 1 2 3 I 1
3 3
ex x e ey y e ez z e
La legge di Hooke è l’esempio più semplice di una legge costitutiva. Per una
sollecitazione monoassiale si esprime con la seguente legge:
E
98
Il parametro costante di proporzionalità tra le sollecitazioni e le deformazioni viene
chiamato modulo di Young.
Nel caso tridimensionale si applica la legge di Hooke generalizzata:
ij Cijkl kl
1
1 1 2 3
E
1
2 2 1 3
E
1
3 3 2 1
E
Il rapporto tra la pressione idrostatica (media delle sollecitazioni normali che agisce
ortogonalmente al piano ottaedrico) è la deformazione unitaria volumetrica essa viene
chiamato modulo di bulk K.
p
K
v
con
v x y z 1 2 3 I1
E q E 9KG 3K 2G
K G E
3 1 2 3 d 2 1 3K G 6 K 2G
Dove:
q 1 2 1 3 2 3 / 2
2 2 2
3
2
oct
2
d 1 2 2 1 2 2 1 2 2 2 oct
3
99
3 STATO DELLA SOLLECITAZIONE INTORNO AD UN FORO
CIRCOLARE IN UN MEZZO ELASTICO E STATO DI SFORZO INIZIALE
ISOTROPO
d r d
r r d r dr r dr d 2 dr 0
dr 2
d r r
0
dr r
B B
r A 2
A 2
r r
a2
r S 1 2
r
a2
S 1 2
r
100
Nel piano delle due sollecitazioni principali è visibile il percorso tensionale (stress
paths) muovendosi lungo un diametro dall’infinito al bordo dello scavo (fig. 6.2). Esso
coincide con un segmento di retta che congiunge il punto σr = σө = S =γh (r = ) con
quello sul profilo dello scavo nel punto σө = 2 S e σr = 0 con la seguente equazione.
2 S r
r a2
max S
2 r2
101
Figura 5.3 Sollecitazioni principali nel piano di Mohr
Se all’interno del foro circolare viene applicato un sistema di opere di sostegno che si
oppongono alla convergenza dello scavo con una pressione radiale di contenimento, le
soluzioni del problema con la nuova condizione al contorno diventano:
a2
r S S q
r2
a2
S S q
r2
Figura 5.4 Sollecitazioni principali in funzione della distanza dal profilo di scavo
L’andamento delle tensioni principali in funzione della distanza dal profilo di scavo è
visibile nella figura (fig. 6.4). Nel piano di Mohr la presenza di una pressione di
confinamento riduce il raggio del cerchio e lo allontana dalla retta limite (fig. 6.5). Il
taglio massimo è espresso dalla relazione seguente:
r a2
max S q
2 r2
102
Figura 5.5 Sollecitazioni principali nel piano di Mohr
Una pressione applicata all’intorno della galleria riduce l’intensità della sollecitazione
principale maggiore e, come si vedrà, anche la deformazione radiale. Tuttavia è da tener
presente che i valori della pressione, normalmente indotti dai comuni sistemi di
supporto, sono dell’ordine di qualche Kg/cm2 e non modificano sostanzialmente lo stato
di sollecitazione indotto dallo scavo nel caso dell’ammasso in condizioni elastiche.
r d r u d u
r d r
103
Si osservi che deformazioni unitarie così calcolate sono conseguenza solo della
realizzazione dello scavo e non dello stato della sollecitazione preesistente. Più
correttamente andrebbero identificate con un Δ r ,Δ .
Ricordando la relazione tra sforzi e deformazioni unitarie della teoria dell’elasticità si
ottiene:
1
r
E
a2
S q 2
r
a2
r S q
r2
si ottiene:
u 1 a2 a2 1 a2
S q 2 S q 2 1 S q 2
r E r r E r
1 a2
u S q
E r
104
La deformazione è inversamente proporzionale al raggio. Pertanto la zona di influenza
delle deformazioni è più estesa di quella relativa allo stato tensionale (fig. 5.7).
105
Figura 5.9 Deformazioni radiali
Se la forma della galleria è diversa da quella circolare l’analisi tensionale risulta molto
più complessa. In letteratura è possibile trovare delle relazioni che esprimono i valori
delle tensioni e deformazioni, per gallerie di forma ellittica o rettangolare con gli spigoli
arrotondati. Oggi è possibile ottenere qualsiasi soluzione anche di problemi complessi
ricorrendo all’analisi numerica.
In un mezzo elastico, lo stato dello sforzo provocato dallo scavo di una galleria, è
massimo in corrispondenza al profilo della parete e diminuisce con legge quadratica
allontanandosi radialmente dal profilo dello scavo. Se la sollecitazione supera la
resistenza della roccia si osserva la plasticizzazione della roccia al contorno con
deformazioni plastiche e una ridistribuzione delle tensioni che porta ad un nuovo stato
di equilibrio dell’ammasso roccioso. Nell’ipotesi di foro circolare, sforzo originario
isotropo (σh =σv =γh), galleria profonda e indefinita (lontano dal fronte di avanzamento
e quindi deformazione piana), la zona plastica diventa un anello circolare di raggio R e
le tensioni radiali e tangenziali, per ragioni di simmetria, saranno ancora sollecitazioni
principali.
106
Per r maggiore di R il comportamento della roccia sarà di tipo elastico e governato dalle
sollecitazioni radiali e tangenziali espresse dalle seguenti equazioni tenuto conto delle
condizioni al contorno.
R2
re S S R
r2
R2
e S S R
r2
per r = R
re R
per r = infinito
re S H
e 2S R
Supponendo che il comportamento della roccia sia definito da una curva limite di
resistenza di picco coincidente con quella residua (modello elastoplastico ideale), il
valore della sollecitazione radiale al confine elastoplastico verrà definita dalla legge di
plasticità. Se il criterio di resistenza è quello di Mohr Coulomb, sarà sufficiente imporre
la tangenza della retta limite con il cerchio che rappresenta lo stato della sollecitazione
al confine.
107
Tale condizione nel piano delle sollecitazioni principali è rappresentata dalla seguente
equazione:
R c N r
1 sen
N
1 sen
2 S Rc
2 S R R c N R R N 1 2 S Rc R
N 1
2 S Rc R2
re S S 2
N 1 r
2 S Rc R 2
e S S
N 1 r2
Dalla figura 5.12 si osserva l’andamento dei rapporti tra le tensioni tangenziale e radiale
e la sollecitazione originaria S, nello spazio elastico. Nella stessa figura sono visibili gli
108
andamenti degli stessi rapporti che si avrebbero senza la formazione dell’anello plastico
intorno al foro circolare. Nel caso di plasticizzazione per r = R (al confine delle due
zone) si ottiene un valore della sollecitazione tangenziale più elevato rispetto quello
che si avrebbe in condizioni di elasticità.
Per quanto concerne l’anello plastico due sono le equazioni che permetteranno di
individuare l’andamento tensionale (σrp e σөp) e di definire l’estensione della zona
plastica (R).
La prima è l’equazione fondamentale di equilibrio in direzione radiale:
d rp p rp
dr r
La seconda è l’equazione della retta limite del criterio di Mohr Coulomb, nel piano delle
sollecitazioni principali:
p Rc N rp
Sostituendo il valore della tensione tangenziale della seconda equazione nella prima si
ottiene la seguente equazione differenziale:
d rp N 1 rp Rc
dr r
ovvero:
dr d rp
r N 1 rp Rc
Risolvendo questa equazione differenziale, con le condizioni al contorno :
r = a (profilo dello scavo) σr = q (pressione radiale esercitata da un eventuale
rivestimento);
si ottiene:
N 1
R r R
rp q c c
N 1 a N 1
per r = R σrp = σre =σR (continuità delle tensioni radiali) si ottiene l’estensione del
raggio plastico R:
N 1
R R Rc 2 S Rc
q c
N 1 a N 1 N 1
da cui si ricava:
1
2 S Rc R N 1
c
R
N 1 N 1
a Rc
q
N 1
109
per q = 0; scavo senza sostegno le espressioni trovate diventano:
Rc r
N 1
rp 1
N 1 a
Rc r
N 1
p N 1
N 1 a
1
R 2 R S N 1 N 1
c
a N 1 Rc
Figura 5.13 Andamento delle tensioni per un modello elasto plastico fragile
N r 1
R r Rcr
rp q cr
Nr 1 a Nr 1
1p Rcr N r rp r R
2 p Rcp N p rp r R
2 S Rcp
1
Rcr N r 1
R N p 1 N r 1
a Rcr
q
Nr 1
con
110
Rcp 2c p N p Rcr 2c r N r
1 sen p 1 sen r
Np Nr
1 sen p 1 sen r
111
Nella figura 5.14 è visibile l’andamento dell’estensione della zona plastica individuata
dal rapporto R/a, in funzione del rapporto tra la resistenza a compressione monoassiale
Rc dell’ammasso roccioso e 2 volte la sollecitazione originaria. Le diverse curve dei
diagrammi dipendono dal valore dll’angolo di attrito.
In accordo con la teoria della plasticità, la deformazione nella zona plastica è la somma
di due contributi quello elastico e quello plastico.
d d el d pl
In presenza di uno stato della sollecitazione mono assiale questa relazione diventa:
pl
E
Ovvero:
E pl
Nel caso più generale di uno stato di sollecitazione triassiale le relazioni diventano:
ij C ijkl ijpl
ij Dijkl kl klpl
Con
d kpl
k
Con ψ potenziale plastico, funzione che descrive in che modo si sviluppano le
deformazioni plastiche. Il potenziale plastico definisce le componenti del vettore pl
112
vettore incremento di deformazione plastiche ha direzione normale alla superficie di
snervamento.
Nel problema di deformazione piana assial simmetrico di uno scavo circolare, con
sollecitazione naturale di tipo idrostatico, noto lo stato della sollecitazione nella regione
a comportamento elastico, con le componenti principali σre σөe , è possibile calcolare le
deformazioni radiali in qualsiasi punto lungo un diametro. Ipotizzando un foro circolare
di raggio R con pressione lungo il profilo dello scavo pari a σR e con una sollecitazione
preesistente pari a S=γh si ottiene:
1 R2
ur S R rR
E r
1
uR S R R
E
r
N
V r N 1
1 N 1
K
2 1 sen
Il parametro K viene chiamato “loosening factor”. Esso ha una forte influenza sulla
deformazione plastica.
Ricordando l’espressioni delle deformazioni unitarie nella simmetria rtadiale:
du
r
dr
u
r
si ottiene l’equazione differenziale la cui soluzione permette il calcolo delle
deformazioni radiali nella zona plastica.
113
du u
K 0
dr r
K
R
u uR
r
dove R = raggio plastico, espresso dalle seguente relazione, nel caso di modello del sito
con comportamento elasto plastico ideale e criterio di Mohr Coulomb.
1
2 S Rc R N 1
c
R
N 1 N 1
a Rc
q
N 1
1
uR S R R
E
2S Rc
R
N 1
d d el d pl
1 2
d el d d r
E 1
d pl
d r d rel d rpl
1 2
d rel d r d
E 1
114
d rpl
r
u u 1 2 K
K K S 1 r S
r r E 1 1
1
u A B C
E
Dove:
R K 1
A S c p cot g p sen p
rK
R K 1
B S c r cot g r 1 2 K r
r
1 K N r K 1 N r 1 R Nr K
C q c cot g K r N r
N r K a N r 1 r r
r
Dove
2 S Rcp
1
Rcr N r 1
N p 1 N r 1
R a
Rcr
q
Nr 1
115
5.2 CRITERIO DI HOEK BROWN
r m p Rc r s Rc2
r mr Rc r s r Rc2
5.2.1 SOLLECITAZIONI
R2
re S S R
r2
R2
e S S R
r2
per r = R
re R
per r = infinito
re S H
r mr Rc r s r Rc2
2
m R r r
r r c
4
ln ln mr Rc q s r Rc2
0,5
q
a a
116
Considerando la continuità della sollecitazione radiale nel passaggio dalla zona plastica
a quella elastica si ottiene:
R S M Rc
con
0,5
1 m
2
S m
M m s
2 4 Rc 8
N
2
mr Rc
mr Rc q s r Rc2
0,5
R a exp
Dove
N
2
m r Rc
mr Rc S s r Rc2 mr Rc2 M
0,5
R S M Rc
S q
ur a
2G
M Rc f 1 R
f 1
ur
a G f 1 2 a
Dove
f 1 F
117
m
F 0 ,5
2 m R s
Rc
R è una funzione di q
G, f, Rc sono proprietà dell’ammasso roccioso
M è una funzione delle proprietà dell’ammasso roccioso e della
sollecitazione naturale idrostatica S
ESEMPIO
Scavo circolare a = 3m
Sollecitazione originaria S =10 MPa
Angolo attrito φ = 20°
Coesione c = 0,5 MPa
Deformabilità ammasso E = 2000 MPa
Fattore di loosening K = 1,52
CONVERGENZA PLASTICA
0,5
0,4
Convegenza [m]
0,3
0,2
0,1
0
0 2 4 6 8
Pressione di confinamento MPa
118
CAPITOLO 6
1 INTRODUZIONE
Questi metodi valutano il carico gravante sul sistema di sostegno di uno scavo
considerando l’estensione della zona dell’ammasso roccioso interessata dalla rottura
(fig. 6.1). Implicitamente, questa ipotesi porta a considerare la completa
decompressione dell’ammasso roccioso intorno lo scavo, con elevate deformazioni
(convergenza) che portano alla plasticizzazione e rottura.
119
C’è un terzo caso che potrebbe giustificare l’impiego di tali metodi: l’applicazione con
notevole ritardo dei sostegni rispetto la fase dello scavo che comporta la completa
decompressione della roccia fino al raggiungimento della rottura. Questo fatto
accadeva, quasi sempre, nella costruzione delle gallerie con i vecchi metodi, quando lo
scavo, preliminarmente veniva sostenuto da un rivestimento provvisorio (sostegno in
legno) e solo in una fase successiva, veniva realizzato il rivestimento definitivo
(piedritti e arco superiore in muratura o calcestruzzo).
Il rivestimento viene interessato da carichi esterni assegnati (carichi attivi) che sono
indipendenti dalle deformazioni del rivestimento e carichi di reazione indotti dalle
deformazioni del rivestimento. Il terreno circostante la cavità, viene schematizzato
scindendo il comportamento deformativo (passivo o resistente) da quello tensionale
(attivo) attraverso la definizione di un carico equivalente originato dal peso proprio di
un eventuale zona di terreno o roccia allentata. Il carico di reazione è invece indotto
dalla interazione tra la struttura e il terreno per effetto delle deformazioni reciproche
(fig. 6.3).
Le deformazioni del rivestimento sono valutate con i metodi usuali della scienza delle
costruzioni ipotizzando il rivestimento come una struttura ad arco con deformazioni
contenute nel piano della struttura. Le azioni di contenimento del terreno, dipendenti
dalle deformazioni della struttura, vengono schematizzate considerando il modulo di
reazione del terreno con il quale la reazione ad ogni punto è assunta essere dipendente
solamente dalla deformazione del punto. Questa grandezza dipende dalle caratteristiche
fisiche e meccaniche del terreno (resistenza e deformabilità), dalla forma e grandezza
della galleria (area nella quale si esplica il carico passivo).
Questo metodo, anche se molto diffuso per la sua semplicità, presenta notevoli
limitazioni dovute alle difficoltà di valutare sia il carico attivo ché le azioni
all’interfaccia terreno rivestimento.
I carichi attivi sono quelli che sono indipendenti dalla deformazione dello scavo.
Agiscono in direzione verticale (direzione della pressione geostatica) e orizzontale. Il
carico verticale sul rivestimento può essere uguale o minore alla sollecitazione verticale
naturale. Lo scavo del foro causa una decompressione della roccia con interessamento
120
di una zona limitata dell’ammasso roccioso o può riguardare tutto il ricoprimento della
galleria sino in superficie. Il carico attivo finale da considerare nella verifica delle opere
di sostegno dipende:
Dalla sollecitazione naturale preesistente allo scavo soprattutto per gallerie
profonde.
Proprietà fisiche e meccaniche dell’ammasso.
Dimensione e forma della galleria.
Metodo di costruzione e avanzamento.
Tempo che intercorre tra l’installazione dei sostegni provvisori e di quelli
definitivi.
In letteratura si possono trovare diverse teorie, più o meno convincenti, che trattano
questo argomento (Bierbaumer, Terzaghi, Kommerell, Ritter, Protodiakonov, ecc),
indicando dei modelli per stimare il carico verticale (solido di carico). Di seguito
saranno riportati alcuni metodi per valutare i carichi attivi verticali (indicazioni
AFTES).
La teoria più diffusa per valutare i carichi verticali sulle opere di sostegno nelle gallerie
realizzate in terreni sciolti è la teoria del Terzaghi.
Il solido di carico che si genera per effetto dello scavo interessa un volume di terra
delimitato da i due piani di rottura inclinati di / 4 / 2
Per una sezione di scavo rettangolare B vale (fig. 5.4):
B b 2h tan
4 2
3
B 2 R tan
8 4
dove:
121
Figura 6.4 Larghezza di influenza delle azioni verticali
122
d V
dz
2c 2 Ko tan V
B B
Dove:
c = coesione
φ = angolo di attrito
H =altezza del ricoprimento.
γ = massa volumica del terreno
b = larghezza dello scavo
B = larghezza del terreno interessata dallo scavo
Ko = σh/σV
c
B 2 2 H tan
B
pv V 1 e B
2 K 0 tan
Il valore che si ottiene per il carico attivo non dovrebbe essere inferiore al carico stimato
per un altezza di terreno pari a B. In ogni caso sarà opportuno verificare la stabilità
anche col valore di tutta la pressione geostatica. In questo caso sarà ammesso un valore
più basso del coefficiente di sicurezza.
La presenza di un sovraccarico in superficie q comporta un carico verticale attivo sul
rivestimento determinato con la seguente espressione:
c
B 2 2 H tan 2 H tan
B
qe B
pv V 1 e B
2 K 0 tan
Per elevate profondità dello scavo (H > 2B) il carico verticale si valuta con
l’espressione:
B 2c
pv
2 tan
Nel caso di un terreno argilloso l’esperienza dimostra che con il tempo il carico attivo
praticamente coincide con il carico litostatico. Generalmente si considera una spinta
idrostatica.
Per gallerie in ammassi rocciosi si può ipotizzare che il carico verticale sul rivestimento
derivi in prevalenza dal rilascio di una zona di roccia allentata in calotta. L’estensione di
questa zona dipende dalle caratteristiche delle discontinuità, dal loro riempimento, dalle
metodologie di scavo e dalla rapidità con cui si installano i sostegni di prima fase.
123
Numerose sono le relazioni proposte per stabilire il carico attivo in funzione dei valori
attribuiti agli indici di qualità dell’ammasso roccioso. La classifica di Terzaghi e quella
rielaborata dal Deere individua tali carichi in funzione della classe di appartenenza (tab.
5.1)
100 RMR
PV H
100
124
2,0
PV Q 1 / 3
Jr
2 Jn1 / 2
Pv Q 1 / 3
3 Jr
In una sezione a ferro di cavallo, se il rivestimento interessa tutto il profilo dello scavo,
compreso l’arco inferiore (rovescio), la pressione verticale diretta verso l’alto, agente
sull’arco rovescio, con direzione contraria alle forze gravitazionali, è usualmente minore
delle reazioni passive dovute alle deformazioni della struttura. Per tali ragioni, quasi
sempre nel progetto, queste azioni sono trascurate. Solo nel caso di sezioni di scavo
molto ampie queste azioni non possono essere ignorate. Anche in terreni rigonfianti
(Swelling) la pressione verticale diretta verso l’alto per effetto del contrasto con l’arco
rovescio deve essere valutata accuratamente.
4 CARICHI ORIZZONTALI
Ph K 0 Pv
dove
PHo
K0
PVo
con
K0
1
Per terreni
K 0 1 sen K 0 0,9 sen
In situazioni particolari è necessario inserire tra i carichi attivi anche la spinta idrostatica
nel caso di gallerie sotto la falda e sovraccarichi in superficie quanto si trattano gallerie
superficiali e altri carichi di servizio o carichi associati con l’attività di costruzione.
125
5 CARICHI PASSIVI
E'
k
1 R
Dove R è il raggio dello scavo e E’ è un coefficiente globale dell’ammasso che può
essere valutato attraverso una prova di carico con piastra circolare. Talvolta il valore del
modulo di deformazione stimato con la prova di carico può essere ridotto
moltiplicandolo per un coefficiente minore di uno per tener conto del comportamento
viscoso del sito.
6 METODI DI CALCOLO
Sulla base delle ipotesi illustrate si sono sviluppati nel tempo diversi metodi per
analizzare la risposta di un rivestimento e valutarne le sollecitazioni massime. In
qualche caso, la soluzione è immediata, in altri casi più complessi si fa uso di
diagrammi. Le ipotesi più restrittive riguardano la forma della galleria (circolare) i
126
carichi attivi (simmetrici) e le condizioni dell’interfaccia rivestimento terreno (azioni
radiali, si trascura l’attrito).
Oggi è possibile trattare il problema, in modo completo senza particolari limitazioni,
con l’analisi numerica, schematizzando la struttura con gli elementi finiti.
127
CAPITOLO 7
1 INTRODUZIONE
Le azioni dell’ammasso roccioso sulle opere di sostegno dello scavo, sia quelle
necessarie per renderlo stabile, sia quelle previste per contenere e stabilizzare le
deformazioni, dipendono, tra l’altro, dalla tipologia del sistema di sostegno (Rigidezza)
e dalle modalità di messa in opera (distanza dal fronte di avanzamento, tempo in cui il
sostegno diventa attivo). In altre parole, le sollecitazioni indotte nelle strutture di
sostegno si possono conoscere solo studiando il fenomeno dell’interazione struttura di
sostegno - ammasso nel suo complesso. Nel capitolo 5 è stata analizzata la nuova
situazione tensionale che lo scavo di una galleria provoca in un ammasso. Nell’ipotesi
di uno scavo non sostenuto e indefinito, ovvero considerando una sezione lontana dal
fronte di avanzamento, la convergenza raggiunge un valore massimo,
indipendentemente dal tempo se l’attività reologica dell’ammasso è trascurabile. In
vicinanza del fronte, la convergenza è variabile con la distanza dal fronte stesso.
All’avanzare dello scavo, in una sezione, si ha un progressivo aumento della
convergenza fino al raggiungimento del valore massimo ad una certa distanza.
Figura 7.1 Convergenza del profilo dello scavo in prossimità del fronte di avanzamento
Le deformazioni radiali non riguardano solo la zona che segue lo scavo ma interessano
anche un tratto che precede lo scavo (fig. 7.1). Queste deformazioni (preconvergenza),
128
con i metodi tradizionali di attacco del fronte di scavo, non si possono controllare, si
subiscono.
Nel metodo della convergenza-confinamento, proposto da diversi autori, per il calcolo
del carico gravante su una struttura di sostegno installata ad una certa distanza dal fronte
di scavo per gallerie profonde, è necessario conoscere:
La curva della convergenza, detta anche risposta dell’ammasso o linea
caratteristica dell’ammasso che associa l’aumento di deformazione radiale del
profilo dello scavo con la diminuzione della pressione di confinamento.
La curva di confinamento o curva caratteristica del sostegno che lega la
pressione radiale e uniforme che agisce sul sostegno con le deformazioni radiali
del sostegno stesso.
L’andamento longitudinale (profilo) della deformazione radiale in funzione della
distanza dal fronte di avanzamento.
f S q, u 0
129
Figura 7.3 Curva del confinamento
f S q u u d 0
La rigidezza del sistema di confinamento indica la pendenza della linea caratteristica nel
grafico sforzo-deformazione ed è determinata dalla somma delle singole rigidezze
corrispondenti ad ogni tipo di sostegno nel caso di interventi combinati (spritz-beton e
centine, ad esempio).
La linea caratteristica individua le deformazioni che il sistema subisce a seguito della
pressione che grava sullo stesso. Il limite di questa linea è indicato dalla resistenza
ultima che caratterizza i materiali di cui è composto il sostegno. Le modalità di messa in
opera del sostegno (distanza dal fronte di avanzamento, tempo in cui il sostegno diventa
attivo) influenzano invece la deformazione già occorsa nell’ammasso. La deformazione
dei cosiddetti sistemi “attivi” dipende esclusivamente dal tempo di applicazione; infatti
il sostegno diventa immediatamente efficace e comincia a sostenere l’ammasso con la
deformazione subita fino a quel momento. Invece, i sistemi “passivi”, prima di
diventare efficaci, devono lasciare che l’ammasso si deformi ulteriormente per colmare
il gioco tra sostegno e ammasso necessario per la sua applicazione.
Una volta costruite le due curve, la loro intersezione determina la condizione di
equilibrio fornita dalla deformazione subita dall’ammasso e dalla pressione di esercizio
130
del sistema di confinamento; è da notare come quest’ultima possa risultare eccessiva se
il sistema viene applicato troppo presto o non è addirittura in grado di resistervi.
Di seguito vengono esposte alcune delle soluzioni proposte per la risoluzione di questo
problema. Le ipotesi molto limitanti che stanno alla base di questi metodi ne
consigliano l’impiego soltanto in fase di pre dimensionamento e quando i problemi di
instabilità dello scavo non sono gravi.
131
2 PRINCIPI DEL METODO (PANET)
q 1 S
dove λ è un parametro che simula lo scavo variabile tra 0 e 1. Esso viene chiamato
tasso di deconfinamento o perdita di confinamento. La perdita di confinamento provoca
l’incremento della convergenza.
Il valore 0 della pressione radiale (λ=1) rappresenta la condizione della sezione senza
sostegno e di lunghezza indefinita (ovvero lontana dal fronte di avanzamento). La
situazione al fronte è rappresentata da una pressione radiale q = (1- λ0) S. La sezione
dietro il fronte, dove lo scavo non ha sortito alcun effetto è caratterizzata da una
pressione coincidente con quella preesistente S e λ =0.
Come lo scavo avanza, λ cresce gradualmente da 0 a 1 con incremento della
deformazione radiale.
La situazione reale della presenza del fronte di avanzamento viene semplificata, come
visto precedentemente, con un problema di deformazione piana e con una pressione
fittizia qi variabile longitudinalmente da 0 a S nella zona di influenza del fronte.
132
Considerando inizialmente un comportamento elastico dell’ammasso e ricordando le
espressioni delle tensioni e deformazioni ricavate in tale situazione per uno scavo
circolare a simmetria radiale si ottiene:
q0 q 1 S qS
Sa Sa
ua ua ua 0
2G 2G
Nella figura 7.7 sono visibili le tensioni principali, in direzione longitudinale, dalla
sezione dove la perdita di confinamento è 0 alla sezione, lontana dal fronte, dove la
perdita di confinamento è pari a 1. Nella figura 7.8 sono riportati gli andamenti delle
tensioni principali sul profilo dello scavo non sostenuto, in funzione della distanza dal
fronte di avanzamento. Nell’ipotesi di Panet, lo stato della sollecitazione sul profilo
dello scavo, non più monoassiale, viene rappresentato con le seguenti equazioni in
funzione della perdita di confinamento.
a2
r S 1 2
r
a2
S 1 2
r
r S 1
133
S 1
Figura 7.7 Rappresentazione tensionale sul profilo dello scavo in prossimità del fronte
134
S q
a u
2G
u
q2G S 0
a
u
q K N
a
u ud
q KN 0
a
135
Figura 7.10 Rigidezza normale di una struttura di sostegno
u S
q K N d
a 2 G
u S q
a 2G
S
K N 1
2G 1
qs 1 S
K 2G
1 N 1
2G KN
k
qS 1 d S
1 k
Dove k vale:
KN
k
2G
136
2.4 COMPORTAMENTO ELASTO-PLASTICO DELL’AMMASSO ROCCIOSO
2 S Rc
R S e S
N 1
137
2S R
C S S e
N 1 N 1
da cui si ottiene
2 RC
e 1
N 1 N 1S
Quando il tasso di deconfinamento supera il valore λe, si sviluppa intorno allo scavo un
anello plastico di raggio R. Il raggio cresce con l’aumento del tasso di deconfinamento.
E’ importante distinguere tre situazioni.
138
Se il rapporto 2S/Rc è maggiore di 5, tutto il fronte si trova in condizioni di plasticità.
La terza situazione è una situazione intermedia. Queste tre condizioni del fronte di
avanzamento che riproducono la sua stabilità, sono simili a quelle individuate dal prof.
Lunardi nella stesura del metodo ADECO. Questo tipo di analisi è fondamentale nella
scelta del metodo di scavo e nel conseguente metodo di sostegno. Nel caso più critico di
plasticità con interessamento di tutto il nucleo di avanzamento (scavo instabile), per
realizzare lo scavo a piena sezione sarà necessario ricorrere a delle tecniche di
presostegno del fronte (metodo ADECO).
u d u 0
2
ma
ad 1
u u 0 m a d
139
u d u 0
u u d 0
ad
u 0 1 0
1
u
dove
u(d) = convergenza alla distanza x=d dal fronte in uno scavo non sostenuto
u(0) = convergenza al fronte x=0 in uno scavo non sostenuto
u(inf) =convergenza lontano dal fronte
a(x) = funzione di forma
140
Nel caso di ammasso a comportamento elastico
Sa
u
2G
u o o u
con λo =0,25 e m =0,75
2
0,75 a
d 1 0,75
0,75 a d
2
0,75 a
d 1 0,75
0,75 a d
Recentemente sono stato introdotti i cosiddetti metodi empliciti che tengono conto del
fatto che la deformazione radiale al fronte è anche funzione della rigidezza del sostegno.
Per scavi sostenuti λ(x) è più basso di quello proposto per scavi non sostenuti. Nella
figura viene riportata la deformazione radiale di una galleria in funzione della distanza
dal fronte ottenuta dai risultati dell’analisi numerica di Chern ed altri e anche da misure
di deformazione in avanzamento durante la fase di scavo. La stessa legge è stata
implementata nel programma ROCSUPPORT.
1
d 1, 7
d
1 e
0 , 55
141
1
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
u(o)/u(a)
0.2
0.1
0
-3 -2 -1 0 1 2 3 4 5
X = Distanza dal fronte D/2a
Figura 7.18 Andamento della convergenza per lo scavo sostenuto e non sostenuto
Le azioni di contenimento del cavo vengono applicate a valle del fronte di avanzamento
e agiscono mediante il contrasto esercitato dalla pressione di stabilizzazione al
detensionamento dell’ammasso al contorno della cavità.
La loro funzione principale è quindi quella di regimare la convergenza che si sviluppa
dopo l’apertura della cavo e di evitare quei fenomeni di instabilità secondaria, quali gli
splaccaggi e il crollo di massi fratturati detensionati. La loro efficacia è funzione della
preconvergenza già sviluppatasi a monte del fronte; pertanto in caso di condizioni
tensodeformative difficili, il loro compito risulta facilitato dalla predisposizione di
interventi di precontenimento.
Gli interventi di contenimento si distinguono in:
142
bullonatura radiale mediante bulloni ad ancoraggio puntuale;
arco rovescio;
Con questa tecnologia, affermatasi nella costruzione delle gallerie già negli anni 40 del
secolo scorso, si intende quel particolare trattamento delle pareti dello scavo e talvolta
del fronte di avanzamento, che si ottiene proiettando calcestruzzo fluido a forte
pressione. Questo elemento, in fase di costruzione della galleria, migliora la sicurezza in
quanto riduce il rischio di rilasci di roccia allentata dallo scavo con esplosivo o per la
presenza di discontinuità e, in aggiunta con altri sistemi di sostegno, contribuisce a
limitare e “regimare” le deformazioni dello scavo.
143
Lo spritz-beton, o betoncino proiettato, è un particolare tipo di calcestruzzo capace di
sviluppare alte resistenze in tempi brevi; esso è caratterizzato da un basso rapporto
acqua/cemento e dall’aggiunta di additivi che accelerano il fenomeno della
carbonatazione. L’applicazione dello spritz-beton sulle pareti dello scavo avviene con
una lancia, che spara il calcestruzzo direttamente sulla roccia provocandone l’adesione.
144
Figura 7.20 Apparecchiatura per il confezionamento della miscela a umido
145
Figura 7.24 Prove di resistenza in strutture rinforzate
146
Figura 7.21 Intervento in calotta con la rete elettrosaldata e il betoncino proiettato
Il rivestimento in calcestruzzo, dal punto di vista strutturale, può essere visto, come un
tubo sottile sottoposto ad una pressione radiale, uniforme sulla superficie esterna, q. Per
equilibrare la pressione q, in un elemento dell’anello, di lunghezza unitaria, nasce in
una sezione diametrale una forza normale baricentrica N.
147
Figura 7.25 Anello di calcestruzzo
qsen R d 2qR 2 N
0
Tale sforzo di compressione N induce una riduzione della lunghezza della circonferenza
N 2 u
C
E a s 2 R
da cui si ricava
Ea s u E s
q 2
u KN KN c
R R R
Se lo spessore s dell’anello circolare del rivestimento non è trascurabile rispetto il
raggio R dello scavo, la rigidezza si valuta con la seguente espressione:
E c r 2 ri 2
1 1 2 r
KN
2
ri 2
dove:
La pressione massima che può sopportare un tale rivestimento, prima della rottura, si
determina con la teoria del cilindro cavo soggetto ad una pressione radiale uniforme.
1 r 2i
q Rc 1 2
2 r
Per rivestimenti sottili con basso valore del rapporto s/r la pressione ultima diventa:
s
q Rc
r
148
Nella tabella sono riportati i valori della massima pressione sopportata da un anello
circolare di calcestruzzo in funzione dello spessore dell’anello, del diametro D dello
scavo, e dalle caratteristiche di resistenza del calcestruzzo.
La rete metallica può essere del tipo a catena (fig.7.27) o a maglie elettrosaldate (fig.
7.26). La prima viene usualmente utilizzata come protezione dai massi nei pendii in
roccia, data la sua maggiore capacità di deformarsi senza raggiungere la rottura. La
seconda è più adatta, per la larghezza delle maglie ad accogliere il calcestruzzo
proiettato e farne una efficacie armatura.
La rete elettrosaldata è un altro elemento strutturale del rivestimento di prima fase che
concorre al contenimento della fascia plasticizzata nel terreno al contorno della cavità.
Essa è costituita da barre d’acciaio di elevata resistenza fra loro saldate a maglie
quadrate o rettangolari. Il suo utilizzo permette di fornire una superficie di aggrappo
durante la posa in opera dello spritz-beton al fine di diminuire lo sfrido, consente una
velocità di posa maggiore se paragonata a strutture armate classiche quali le gabbie,
fornisce le caratteristiche tecniche di resistenza flessionale ed a trazione di cui il
calcestruzzo spruzzato è carente. I principali vantaggi della rete elettrosaldata sono:
149
Figura 7.26 Rete metallica elettrosaldata
Le reti sono fissate sulla parete di roccia utilizzando le teste dei bulloni di
ancoraggio. In galleria, oltre alla rete, allo scopo di ottenere una migliore
collaborazione del sistema di supporto nella ripartizione dei carichi, si possono
utilizzare particolari elementi metallici chiamati per la loro forma “scalette”.
150
Le centine metalliche vengono utilizzate in aggiunta allo strato di spritz-beton per
aumentare le caratteristiche di resistenza a trazione e duttilità di cui è carente. I supporti
in acciao, infatti, offrono il vantaggio di essere egualmente resistenti sia agli sforzi di
trazione che a quelli di compressione; inoltre, sono in grado di sopportare elevati valori
di momento flettente e posseggono buone caratteristiche post-deformative. Le centine
quindi aiutano lo strato di calcestruzzo spruzzato a contenere le deformazioni indotte
dal detensionamento del terreno in quelle condizioni geomeccaniche ove l’ammasso
roccioso si presenta fratturato o in uno stato di degradazione tale che le operazioni di
bullonatura non sortirebbero risultati soddisfacenti oppure in ammassi potenzialmente
collassabili.
La tipologia di centine più utilizzata per il consolidamento nelle opere in sotterraneo è il
profilato rigido avente sezione ad H. Tale profilo è basato sul concetto strutturale di
posizionare la massa della sezione lontano dall’asse neutro per incrementare la
resistenza a flessione. La tipologia di centine si divide a seconda dello spessore delle ali;
si distinguono i profili HEA (serie alleggerita), HEB (serie normale), HEM (serie
rinforzata). La caratteristica tecnica di questi profili è quella di fornire una resistenza
maggiore lungo l’asse neutro XX (Wy) rispetto a quella lungo l’asse YY (Wz), sebbene il
rapporto possa cambiare in funzione della sezione. Il momento d’inerzia Ix sarà dunque
maggiore ma non può essere aumentato indefinitamente a causa della conseguente
debolezza della centina nei confronti delle forze di svergolamento. Tali forze infatti
causano il cedimento o il collasso della centina a seguito di tensioni troppo elevate o di
momenti torcenti inattesi. Esse si sviluppano principalmente nei punti di discontinuità
delle centine; per tale motivo sono installate delle piastre di accoppiamento che
permettono la giunzione tra le strutture di supporto. Le caratteristiche delle piastre
devono essere quanto più simili a quelle delle centine per dare continuità all’elemento e
ridurre i punti di debolezza. Le flange di accoppiamento possono essere saldate alle
estremità degli spezzoni e imbullonate tra loro; questa metodologia permette buoni
risultati dal punto di vista operativo, diminuendo i tempi di posa della centina, ma
comportano debolezze strutturali. Pertanto è bene valutare i carichi a cui saranno
soggette per evitare cedimenti o collassi delle centine.
I profili utilizzati sono molti, ma il più comune è quello ad arco (ferro di cavallo) che
mantiene un compromesso tra le centine circolari chiuse ad anello e la difficoltà legata
ad ottenere tale sezione di scavo con metodi convenzionali di scavo. Le centine
vengono poi chiuse con l’installazione dell’arco rovescio. La loro funzione è
principalmente quella di sopportare i carichi verticali e assolvono al loro compito
principalmente lavorando a compressione. Nel caso siano installate in materiali
argillosi, si possono verificare degli sprofondamenti nel mezzo ai piedi delle centine;
per evitare ciò, si usano dei cordoli di calcestruzzo per distribuire uniformemente su una
superficie maggiore i carichi derivanti dalla volta.
151
Figura 7.28 Forme delle centine metalliche
I profilati più comunemente utilizzati sono profili tipo HEB IPN TH. Nella tabella 7.2
sono riportate le caratteristiche geometriche e meccaniche dei profili più comuni.
152
Tabella 7.2 Caratteristiche meccaniche dei profilati delle centine
Ea A
KN
I R
dove
153
I = distanza tra due centine adiacenti
R = raggio dello scavo o della centina
Nella tabella 7.3 sono indicate le caratteristiche geometriche di alcune centine tra le
più diffuse nelle opere in sotterraneo e le corrispondenti resistenze massime espresse
in valori della pressione radiale.
154
3.4 SISTEMI DI ANCORAGGIO
La bullonatura è uno dei metodi più comunemente usati per il contenimento degli
ammassi rocciosi. I bulloni sono costituiti da materiali in grado di dare buone capacità
di resistenza a trazione, a taglio e di durabilità, quali l’acciaio inossidabile o il
vetroresina.
Negli scavi in roccia la struttura di ancoraggio è costituita da elementi di acciaio
alloggiati in fori e fissati alle estremità o lungo tutta la lunghezza dell’asta.
Generalmente si parla di tiranti e di bulloni quando sono soggetti esclusivamente a
sforzi di trazione; si parla di chiodi, quando la sollecitazione principale dell’elemento è
il taglio.
155
Nelle applicazioni in galleria si possono osservare due comportamenti tipici:
sostegno
rinforzo
Nel primo caso gli ancoraggi hanno il compito di trattenere (sostenere) eventuali
blocchi di roccia che per effetto dell’allentamento potrebbero staccarsi o scivolare lungo
i piani di discontinuità. Nel secondo caso, l’ancoraggio unitamente ad altri sistemi di
sostegno, ha il compito di innescare una pressione di stabilizzazione dello scavo con
l’obiettivo di ridurre la zona plastica, migliorare le qualità della roccia decompressa e
limitare le deformazioni al contorno dello scavo.
Nella figura 7.30 (fonte prof. Hock) sono indicate le applicazioni degli ancoraggi negli
scavi in roccia in funzione della struttura dell’ammasso e del livello di sollecitazione
esistente prima dello scavo. Si possono osservare ancoraggi puntuali per trattenere
blocchi instabili di roccia (sostegno) e ancoraggi distribuiti lungo tutto il profilo dello
scavo con funzione di rinforzo.
156
Figura 7.32 Bullone con ancoraggio meccanico puntuale
La progettazione del sistema di supporto deve tenere conto delle caratteristiche della
roccia in relazione ai suoi meccanismi deformativi e considerare le modalità con cui
l’ancoraggio agisce; si deve quindi porre attenzione a come il bullone riesce a
mantenere le interconnessioni all’interno dell’ammasso roccioso, ovvero come
l’ancoraggio genera la propria capacità portante. Le modalità con cui il bullone
trasmette la sua azione possono essere di due tipi: adesione o frizione. L’adesione
avviene tramite una resina o una malta cementizia iniettata tra bullone e roccia, mentre
la frizione avviene direttamente tra roccia e bullone; a sua volta, la frizione può essere a
carico concentrato o a carico distribuito. La bullonatura del terreno attorno al profilo di
scavo è una tecnica che può avere quindi un effetto conservativo o migliorativo a
seconda del tipo di bulloni utilizzati; della prima categoria fanno parte gli interventi di
bullonatura radiale mediante bulloni ad ancoraggio puntuale, mentre i bulloni ad
aderenza continua esplicano una funzione di rinforzo.
A seconda del tipo di bullone si potranno avere vantaggi e svantaggi, ai quali vanno
sommate le specifiche condizioni del problema in oggetto e le esigenze di cantiere. La
scelta quindi sarà funzione della natura dell’interazione bullone-terreno, della rapidità
d’installazione e della rapidità con cui l’azione diventa efficace.
I bulloni ad ancoraggio puntuale vengono solidarizzati al terreno attraverso le estremità;
la parte interna all’ammasso viene fissata con un sistema ad espansione, mentre quella
rivolta all’esterno mediante una piastra d’appoggio e di ripartizione. I bulloni possono
157
essere lenti o pretesi; quelli lenti avranno quindi una funzione statica esclusivamente al
verificarsi dei fenomeni deformativi di convergenza, mentre quelli pretesi applicano sul
profilo di scavo una pressione di contenimento attiva, non conseguente alle
deformazioni dell’ammasso, con entità funzione della pretensione con cui vengono tesi.
L’azione di contenimento può essere diretta o indiretta a seconda della lunghezza dei
bulloni. Se la lunghezza è superiore allo spessore della fascia plasticizzata essi avranno
un effetto diretta, altrimenti agiranno indirettamente con una pressione pari alla
pressione di contenimento che la fascia di terreno confinata tra le estremità dei bulloni è
in grado di sviluppare.
La loro applicazione è quindi legata alle proprietà dell’ammasso, che deve fornire un
adeguato ancoraggio; è il caso di ammassi a comportamento lapideo, eventualmente
fratturati ma con buone caratteristiche di resistenza. I bulloni ad aderenza continua,
invece, sono costituiti da bulloni inseriti nel terreno e cementati ad esso tramite resine
epossidiche o malte cementizie. Essi creano una fascia di terreno armato al contorno
della cavità, la quale collabora efficacemente alla statica della galleria. L’effetto è
158
quindi analogo a quello ottenuto per il rivestimento di calcestruzzo, ma ha il vantaggio
di avere caratteristiche di deformabilità simili a quello dell’ammasso. I bulloni tendono
a chiudere le discontinuità presenti nel terreno e hanno la funzione di impedire
l’apertura di nuove fessurazioni a seguito delle sovrasollecitazioni indotte dall’apertura
della cavità. Essi lavorano prevalentemente a taglio-trazione e aumentano le
caratteristiche di resistenza sia direttamente, con l’aumento delle caratteristiche di
coesione, sia indirettamente, con il contenimento della dilatanza, fenomeno che porta al
decadimento della resistenza a condizioni residue. L’azione di contenimento è quindi
indiretta avvenendo tramite l’anello di terreno armato. La resina o la malta cementizia
deve rivestire completamente il bullone in maniera tale da lavorare efficacemente,
contenendo ogni deformazione trasversale rispetto all’asse del bullone stesso. Questo
tipo di intervento può essere utilizzato in materiali a comportamento coesivo e la loro
applicazione deve essere prossima al fronte di scavo in modo da regimare fin da subito
il detensionamento del terreno.
u b u a u a L
Eb Ab
T ub
L
E b Ab a u b
q
L t r tl a
con
159
E b Ab a
KN
L t r tl
Eb d 2 a
KN
4 L t r tl
dove:
1 t t 4 L
r l 2
Q
KN a d E b
Q è una costante che può essere ricavata da una prova di carico in sito spinta fino a
rottura del bullone. In assenza di prove di carico si può assumere q= 0,006 m/MN per
bulloni con ancoraggio meccanico e Q = 0,02 m/MN per bulloni con ancoraggio
ripartito mediante cementazione.
La pressione massima radiale che il sistema di ancoraggio con bulloni sopporta è data
dalla seguente espressione:
Tbr
q
t r tl
Dove Tbr è il carico limite di un bullone che può essere determinato con uma prova di
trazione in sito (pull-out test).
Nella tabella 7.4 sono riportate le resistenze massime, espresse in valori della pressione
radiale, di un sistema di bullonatura sistematica, in funzione del diametro del bullone e
della densità dei bulloni.
160
Tabella 7.4. Resistenza massima del sistema di ancoraggio
161
3.5 ARCO ROVESCIO
L’arco rovescio è un elemento strutturale che permette la chiusura del rivestimento della
galleria sia di prima che di seconda fase, conferendo loro maggior rigidezza e capacità
di sviluppare azioni di contenimento del cavo. Esso può essere realizzato in
conglomerato cementizio semplice o armato.
L’arco rovescio ha una funzione statica prevalentemente nei terreni a comportamento
coesivo; in queste situazioni tenso-deformative esso deve essere disposto in prossimità
dello scavo per limitare le deformazioni che si svilupperebbero senza un’adeguata
pressione di contenimento. La sua applicazione a una distanza ridotta dal fronte di
avanzamento permette la riduzione della superficie di estrusione, condizione che, come
visto in precedenza, limita l’entità dei fenomeni deformativi del nucleo e quindi della
cavità.
162
4 COMPORTAMENTO DI UN SISTEMA DI SOSTEGNO
Per rendere più efficace l’azione di contenimento dello scavo spesso viene installato un
sistema di supporto comprendente più tipologie di sostegni. Per esempio nel NATM (
New Austrian Tunnelling method) il sistema di supporto classico di prima fase
comprende : l’anello di spritz beton, la rete elettrosaldata, la bullonatura e talvolta le
centine. Nasce l’esigenza di individuare la rigidezza del sistema totale di sostegno. Nel
caso in cui ogni elemento di supporto sia caricato simultaneamente (stesso spostamento
radiale) il sistema si comporta come se fosse costituito da un insieme di molle in
parallelo. La rigidezza totale diventa:
K Ntot i K Ni
n
Se
163
a
u s u d1 q
K N1
se us > ud2
a
us ud 2 q
K N1 K N 2
La massima deformazione che può essere tollerata dal sistema di sostegni, è quella che
porta a rottura il sistema. Questo accade, quando uno dei due elementi raggiunge la
deformazione limite.
164
5. CARATTERISTICHE DEI RIVESTIMENTI E ATTIVITA’ SPINGENTE
NELLE ROCCE DEBOLI
I dati sperimentali su cui si basa questa teoria sono riportati nelle figure di seguito.
165
Essendo la deformazione funzione dello stato tensionale, altri studiosi indagarono la
correlazione con questo parametro. Un’analisi probabilistica con il metodo Monte
Carlo, in riferimento alle soluzioni analitiche di Duncan-Fama, Carranza-Torres e
Fairhurst, è stata eseguita sulla base di 2000 iterazioni per una vasta gamma di proprietà
di ammassi rocciosi e condizioni in sito; è da notare come tutti i risultati sono
rapportabili ad un trend riportato dalla relazione:
2
R
0,2 ca
S
Nella figura seguente vengono riportati i risultati; è evidente come, quando la resistenza
dell’ammasso scenda sotto un valore critico pari al 20% della tensione originaria, i
fenomeni deformativi, e quindi di instabilità, aumentino considerevolmente.
Sulla base di tutti questi studi, Hoek e Marinos hanno infine tracciato un grafico per
valutare, in relazione del rapporto tra resistenza d’ammasso e stato tensionale presente
in sito, il potenziale d’instabilità della galleria.
166
Figura 7.39 Classificazione dell’attività spingente
Le deformazioni unitarie radiali riportate sull’asse delle ordinate nel grafico di figura
7.36, sono relative a scavi non sostenuti. La presenza di un rivestimento che con una
pressione di confinamento q contrasta le deformazioni dell’ammasso roccioso, limita le
deformazioni radiali e riduce l’ampiezza dell’anello plastico come già evidenziato.
L’estensione della zona plastica può essere stimata con la seguente espressione:
q
0,57
R q R am S
1,25 0,625
a S S
q
2, 4 2
u q Rca S
0,002 0,0025
a S S
dove:
167
La tabella 7.5 riporta le tipologie di rivestimento consigliate per contrastare le
deformazioni radiali negli scavi in sotterraneo in presenza dello “squeezing”. Le
indicazioni della combinazione di supporti elementari dipendono dall’entità della
deformazione radiale in termini percentuali prevista nello scavo non sostenuto.
168
CAPITOLO 8
1. INTRODUZIONE
168
può indurre facilmente le persone inesperte in errori anche grossolani. Per tanto il
metodo è senz’altro vantaggioso e consigliabile per problemi particolarmente
complessi.
169
2.1 FUNZIONI DI SPOSTAMENTO
ESEMPIO N 1
DATI :
Il modello scelto per discretizzare la struttura è quello riportato in figura con mesh
radiale a quattro nodi e con una distanza dai vincoli del contorno di 3 volte il diametro
della galleria
170
Figura 8.1.1 Modello della struttura
171
Figura 8.1.3 Numerazione dei nodi e degli elementi
10
Sigma 1
[MPa]
1.32
1.44
1.56
1.68
0
1.80
1.92
2.04
2.16
2.28
-10
2.40
2.52
2.64
2.76
10 20 30
172
Figura 8.1.5 Sollecitazione tangenziale in funzione della distanza dal bordo dello scavo
173
Figura 8.1.6 Sollecitazione radiale in funzione della distanza dal bordo dello scavo
10
Total
Displacement
[m]
0.00e+000
1.50e-004
3.00e-004
0
4.50e-004
6.00e-004
7.50e-004
9.00e-004
1.05e-003
1.20e-003
-10
1.35e-003
1.50e-003
1.65e-003
1.80e-003
10 20 30
174
Figura 8.1.8 Andamento delle deformazioni radiali con la distanza
ESEMPIO N 2
DATI :
175
ANALISI PLASTICA
176
Figura 8.2.2 Sollecitazione tangenziale
177
Figura 8.2.4 Sollecitazione radiale
178
Figura 8.26 Spostamenti radiali
ESEMPIO 3
Stato della sollecitazione e deformazione, intorno ad uno scavo per una galleria
stradale, in un ammasso a comportamento elasto plastico, con una sollecitazione
preesistente allo scavo nota.
DATI :
Lo scavo è stato simulato con tre fasi: scavo dell’arco superiore, scavo dello strozzo e
dell’arco rovescio.
179
Figura 8.3.1 Schematizzazione dello scavo in fasi. Fase I
180
Total
Displacement
40
[m]
0.00e+000
1.70e-002
1
3.40e-002
30
5.10e-002
6.80e-002
8.50e-002
1.02e-001
20
1.19e-001
1.36e-001
1.53e-001
10
1.70e-001
1.87e-001
2.04e-001
0
-10
Figura 8.3.5 Deformazioni totali lungo l’allineamento 1 nelle tre fasi di scavo
181
Yielded
Elements
[per-cent]
60
0
17
40
25
33 1
42
50
20
58
67
75
0
83
92
100
-20
-40
-40 -20 0 20 40 60
Figura 8.3.6 Estensione della zona plastica nella III fase di scavo
ESERCIZIO 4
182
Figura 8.4.1 III fase scavo completo e applicazione dei sostegni
Figura 8.4.2 Deformazioni totali nella zona plastica intorno allo scavo
183
Figura 8.4.3 Deformazioni totali in funzione della distanza
184
CAPITOLO 9
1 INTRODUZIONE
2. CLASSIFICA DI TERZAGHI
185
Tabella 9.1 Classifica Terzaghi – Deere
3. CLASSIFICA DI LAUFFER
Il Lauffer, elaborando alcuni studi di Stini (1950), considerato il fondatore della Scuola
Austriaca sulla meccanica delle rocce e sulle opere in sotterraneo, introdusse nel 1958
nella progettazione e costruzione, degli scavi in roccia privi di sostegno, un nuovo
concetto il tempo di autosostegno ( Stand-up time). Egli propose un legame in funzione
delle caratteristiche dell’ammasso roccioso, tra il tempo di autosostegno e la lunghezza
dello scavo non sostenuto (Span), definita come la larghezza della sezione della galleria
o la distanza tra il fronte di scavo e il sostegno più vicino, quando tale distanza è
maggiore della larghezza della galleria. La classifica originale di Lauffer fu modificata
successivamente, da altri autori. In particolare il Pacher con altri collaboratori
introdusse questa classifica nella metodologia NATM (New Austrian Tunnelling
Method). La più importante considerazione che si può fare con gli studi del Lauffer
riguarda la dimensione dello scavo: un incremento della dimensione di una galleria, a
186
parità di condizioni dell’ammasso roccioso, riduce il tempo di autosostegno. Questo
significa, per esempio che mentre il foro pilota di una galleria, può essere realizzato con
scavo a piena sezione e talvolta senza particolari accorgimenti, lo scavo di allargamento
della galleria, nelle stesse condizioni di roccia, potrebbe risultare instabile. In questo
caso lo scavo verrà affrontato in sicurezza parzializzando lo scavo dell’intera sezione
(calotta e strozzo - headings and benches - o con cunicoli e successivi allargamenti).
Figura 9.1 Tempo di auto sostegno in funzione della larghezza dello scavo
100 RMR
P B h
100
dove
187
Nella figura 9.2 è visibile l’andamento del carico sui rivestimenti in funzione della
larghezza dello scavo per diversi valori dell’indicatore di qualità RMR.
Bieniawki (1989) pubblica delle linee guida per la scelta delle strutture di sostegno di
scavi in funzione della classe roccia. Le linee guida riportate nella tabella 9.2 sono
applicabili per scavi con sezione a ferro di cavallo con una larghezza di 10 m, realizzati
con la tecnica dell’esplosivo (Drill and Blast) in ammassi rocciosi con sollecitazione
verticale minore di 25 MPa.
Nella tabella 9.2 sono indicate, oltre le tipologie di sostegno di prima fase previste per
ogni classe di roccia, le modalità di scavo e la lunghezza del tratto longitudinale
dell’ammasso che viene scavato in una volata. Si evidenziano tre modalità di esecuzione
dello scavo: a piena sezione, con la tecnica che prevede lo scavo della calotta e
successivamente dello strozzo, e scavi con una forte parzializzazione (cunicoli e
allargamenti).
188
Tabella 9.2 Interventi di sostegno utilizzando la classifica RMR
5. CLASSIFICA DI BARTON
Come riportato nel capitolo 3, il Barton, sulla base dei dati raccolti durante l’analisi di
più di 200 gallerie, propone l’indice di qualità Q per valutare le caratteristiche degli
ammassi rocciosi e per individuare il sistema di supporto più adatto nel caso di opere in
sotterraneo. Oltre all’indice Q, per stabilire il sistema di sostegno dello scavo, Barton
definisce un ulteriore parametro che chiama Dimensione equivalente dello scavo De.
Essa è ottenuta dividendo la lunghezza dello scavo non sostenuta, o il diametro dello
scavo o l’altezza dello scavo per una quantità chiamata Excavation Support ratio ESR.
Il valore di ESR, variabile da 5 a 0,8 dipende dal grado di sicurezza che il sistema di
sostegno dovrebbe garantire per la stabilità dello scavo. Questo valore è funzione
dell’importanza dell’opera: si passa da un valore di 3 ÷ 5 per i cunicoli delle miniere a
0,8 per le cavità adibite a centrali nucleari, stazioni delle metropolotane, impianti
sportivi per il pubblico ecc.
189
La dimensione equivalente De e l’indice di qualità Q definiscono in un piano un numero
che caratterizza la tipologia di supporto consigliata (Figura 9.5). La tabella 9.5 riporta
tutte le combinazioni di sostegni di prima fase previsti dal metodo.
Barton (1980) fornisce ulteriori importanti informazioni associate alla classe di roccia e
precisamente: lunghezza degli ancoraggi, massima dimensione dello scavo senza
sostegni e una stima della pressione sui rivestimenti in calotta (fig. 9.4).
190
Tabella 9.5 Classificazione delle opere di sostegno
La lunghezza L dei tiranti può essere stimata conoscendo la larghezza dello scavo e il
parametro ESR:
191
2 0,15 B
L
ESR
1
2 J n Q 3
Proof
3 J r
192
6 METODO AFTES
La scelta del sistema di sostegno più adatto a stabilizzare lo scavo viene fatta in base
alla classificazione proposta dal Gruppo di Lavoro1 dell’AFTES della tabella 9.2. In
questa tabella si distinguono dieci classi tra ammassi rocciosi e terreni. Le prima sette
classi, dalla R1 alla R5a, identificano rocce con qualità decrescente in funzione della
resistenza di compressione monoassiale. Le ultime tre classi sono relative ai terreni,
identificati con l’ausilio dell’indice di plasticità, dell’indice di consistenza e dell’angolo
di attrito.
193
La tabella 9.3, concepita come una matrice, aiuta a scegliere il sistema di sostegno più
appropriato (colonne della matrice), in relazione alla classe di roccia o di terreno
prevista (righe della matrice). Il sistema di supporto è giudicato come raccomandato
(cella con punto), possibile (cella vuota), non adatto (cella con “x”), impossibile (cella
con “X”).
194
7. CLASSIFICA DI RABCEVICH E PACHER (NATM)
NATM - (NUOVO METODO AUSTRIACO)
Il NATM (Nuovo metodo austriaco per la costruzione delle gallerie) si basa sul
principio di autosostegno degli ammassi rocciosi dopo l’apertura di uno scavo. Per
migliorare la capacità di un ammasso roccioso ad auto sostenersi e garantire stabilità nel
tempo dello scavo stesso si impiegano una serie di rivestimenti. Generalmente vengono
adottati due tipi di sostegno. Il primo, detto anche di prima fase, è un arco interno
flessibile in modo da stabilizzare la roccia interessata dallo scavo e consiste in un arco
naturale rinforzato con un ancoraggio sistematico, un anello di calcestruzzo proiettato
rinforzato da una rete metallica o da fibre, centine ed arco rovescio. Il comportamento
del sistema di prima fase viene controllato con un sistema di monitoraggio durante le
diverse fasi della realizzazione dello scavo e dei sostegni elementari. Il secondo tipo di
sostegno, chiamato definitivo, è un arco esterno in calcestruzzo ed è generalmente
messo in opera dopo che l’arco esterno ha raggiunto l’equilibrio. Il suo scopo, oltre
quello di finire al meglio la superficie della galleria per l’esercizio, è di aumentare il
fattore di sicurezza.
Alla base del metodo viene posta una classificazione qualitativa degli ammassi rocciosi
ideata dal Lauffer e successivamente modificata da Rabcewicz e Pacher. I parametri
fondamentali alla base della classifica sono la lunghezza libera, ovvero il tratto di
galleria che riesce ad essere stabile (autosostenersi) senza interventi, e il tempo di
autosostegno, ovvero il tempo durante il quale il tratto non sostenuto si mantiene stabile.
In funzione di questi parametri la roccia viene suddivisa in cinque classi per ciascuna
delle quali vengono definite le principali caratteristiche di comportamento e fornite
delle indicazioni sulle modalità di scavo e di sostegno (tabella 9.9 e figura 9.8).
195
Tabella 9.9 Classifica di Rabcevic e Pacher (NATM)
196
Figura 9.8 Interventi di I e II fase in funzione della classe di roccia
197
BIBLIOGRAFIA
LIBRI
NORMATIVE
1 ormativa AFTES
PUBBLICAZIONI
198
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura
1. INTRODUZIONE
L’utilizzo del sottosuolo è un’attività antica come l’uomo che trovò, inizialmente, nelle
cavità naturali riparo dagli animali e dalle intemperie e che in seguito, con l’apprendimento
dell’arte della costruzione di cunicoli sotterranei, realizzò le prime infrastrutture adibite, tra
l’altro, al trasporto di merci e persone.
I primi esempi di gallerie utilizzate come strade carrabili risalgono al I secolo a.c. e furono
realizzate dagli antichi Romani. In Italia si trovano numerosi esempi tra i quali la galleria
sulla “Via Flaminia”, nei pressi del Passo del Furlo, realizzata all’epoca dell’imperatore
Vespasiano e ancora oggi in esercizio.
Soltanto nella seconda metà dell’ottocento con l’avvento della ferrovia e con i conseguenti
severi limiti geometrici imposti ai tracciati, si iniziò a pensare alla realizzazione di gallerie
anche di notevole lunghezza. Le gallerie stradali invece per molto tempo furono
considerate delle infrastrutture pericolose da evitare, accettate solo se di lunghezza
limitata e quando non erano possibili soluzioni alternative. Spesso, per ragioni
economiche, erano progettate con sezioni della piattaforma ridotte rispetto le analoghe
sezioni dei tracciati all’aperto.
Col passare del tempo le gallerie stradali diventarono, non solo in un Paese
morfologicamente complesso come l’Italia, ma in tutti i paesi industrializzati del mondo,
un’infrastruttura fondamentale in una rete stradale.
L’espansione maggiore avvenne intorno agli anni 50 – 60 per i seguenti motivi:
L’accrescimento delle conoscenze nel campo della meccanica delle terre e delle
rocce che ha consentito di progettare e realizzare, anche in siti particolarmente
difficili, opere di qualsiasi lunghezza e dimensione.
Il progresso registrato nel campo delle prospezioni e indagini dei siti, che attraverso
una acquisizione sempre più accurata dei parametri fisico-meccanici dei terreni ha
consentito una definizione puntuale e precisa dei luoghi attraversati.
Il progresso tecnologico nelle attrezzature per lo scavo e per il sostegno, che
consente realizzazioni in qualsiasi sito, con elevate produzioni e a costi limitati.
Ricerca di spazi sotterranei sempre più pressante legata anche a ragioni ambientali:
limitazione dell’impatto visivo, dell’inquinamento atmosferico ed acustico
La domanda crescente di mobilità per le persone e le cose, che ha imposto la
realizzazione delle grandi direttrici di trasporto e l’estensione della rete stradale
anche in zone montagnose.
Gli studi sulla sicurezza hanno dimostrato che, con una corretta progettazione
geometrica della galleria e degli impianti connessi, gli incidenti sono sensibilmente
inferiori o al più uguali a quelli nei tratti all’aperto.
La tabella 1.1 riporta la situazione relativa l’anno 1995 della rete di trasporto in galleria per
alcuni paesi dell’Europa.
Si può notare come il nostro Paese ha il primato per quanto riguarda l’estensione delle
gallerie ed in particolare di quelle stradali.
2
ESTENSIONE DELLE GALLERIE [km]
STATO Anno 1995
Metropolitane Gallerie Gallerie TOTALE
Ferroviarie Stradali
AUSTRIA 15 105 210 330
SVIZZERA - 360 140 500
GERMANIA 550 380 70 1000
FRANCIA 270 650 180 1100
INGHILTERRA 200 220 30 450
ITALIA 60 1200 639 1899
NORVEGIA 20 260 370 650
SPAGNA 200 750 100 1050
TOTALE 1315 3925 1739 6979
Tabella 1.1. (da: "Mechanization in Tunneling" A. Haack)
Nel mondo, solo il Giappone ha un‘estensione delle gallerie superiore a quella italiana e in
continua espansione. La lunghezza complessiva delle gallerie stradali in Italia è di 639 km
di cui più della metà riguarda le gallerie autostradali, a doppio fornice, unidirezionali. Le
lunghe gallerie dei trafori alpini (a traffico bidirezionale) hanno un’estensione di soli 30
chilometri.
Lunghezza
Nome Paese Apertura
m
Lærdal 24.510 Norvegia 27 novembre 2000
Zhongnanshan 18.040 Cina 20 gennaio 2007
San Gottardo 16.918 Svizzera 5 settembre 1980
Arlberg 13.972 Austria 1 dicembre 1978
Hsuehshan 12.942 Taiwan 16 giugno 2006
Fréjus 12.895 Italia/Francia 12 luglio 1980
Monte Bianco 11.611 Italia/Francia 19 luglio 1965
Gudvanga 11.428 Norvegia 17 dicembre 1991
Folgefonn 11.150 Norvegia 15 giugno 2001
Kanetsu 11.055 Giappone 1985/1991
Hida 10.750 Giappone 2010
Gran Sasso d'Italia 10.176 Italia 1 dicembre 1984 / 1995
Plabutsch 10.085 Austria 17 dicembre 2004
Le tunnel Est (A86 Rueil-
10.000 Francia ottobre 2007
Malmaison)
3
Nella tabella 3, ricavata con i dati forniti dall’AISCAT, sono indicati tutti i tratti
autostradali della rete italiana con presenza di gallerie. Per ciascuna tratta sono riportate la
lunghezza, l’estensione delle gallerie presenti, il numero delle gallerie e alcuni indici quali
la percentuale di tracciato in galleria ed il numero delle gallerie presenti in una stesa di 100
km. Il tracciato in galleria rispetto la rete autostradale a pedaggio e del 5 %.
Si può notare che su quasi tutte le autostrade ci sono tratte con una presenza rilevante di
gallerie. In particolare si evidenziano le tratte, Genova - Savona e Savona – Ventimiglia,
dell’autostrada A10 con circa il 30% di tracciato in galleria e una presenza di 100, e
rispettivamente 70, gallerie per 100 km. Altre tratte importanti, anche per l’entità del
traffico e la presenza di un elevato numero di veicoli commerciali, sono la Bologna –
Firenze dell’autostrada A1, con 8% di tracciato in galleria e con 26 gallerie per 100 km, la
Messina – Villafranca Furiano con 26 % di tracciato in galleria e 42 gallerie per 100 Km, il
tratto Udine – Tarvisio dell'A24 con circa 20% di tracciato in galleria, il tratto
dell’autostrada A27 tra Vittorio Veneto e Belluno con 29,7 % di tracciato in galleria e con
21 gallerie per 100 km.
Altri elementi, tratti dall’esame dei tabulati dell’AISCAT sono la percentuale di tracciato
in gallerie con la tipologia del doppio fornice (circa il 90 %), i chilometri di gallerie
realizzate ad un unico fornice (24 km nella carreggiata destra e 23,6 in quella sinistra), e il
numero di gallerie di lunghezza superiore al chilometro (70 gallerie).
Le gallerie, unidirezionali, presentano le seguenti caratteristiche geometriche della
piattaforma:
gallerie a due corsie di 3,75 m, larghezza della piattaforma di 9,62 m, e raggio
dell'intradosso di 5.05 m;
gallerie a due corsie di 3.75, con larghezza della piattaforma di 10,5 m e raggio
dell’intradosso di 5,20 m;
gallerie a tre corsie di 3.75, con larghezza della piattaforma di 12,94 m e un raggio
dell'intradosso di 6.63 m;
gallerie a due corsie di 3.75 e una corsia da 3 m per una larghezza della piattaforma
di 11 m, con un raggio dell'intradosso di 5.80 m.
La corsia di emergenza non è prevista tranne che in qualche tratto di recente costruzione.
Per quanto riguarda gli elementi marginali sono possibili diverse soluzioni, secondo le
esperienze fatte dalle società concessionarie. Frequente è la presenza di un marciapiede
rialzato in destra ed in sinistra talvolta di dimensioni diverse. Il marciapiede può essere non
sormontabile e in taluni casi protetto da una barriera invalicabile. Molto diffusa è la
presenza da entrambi i lati di cunette “alla francese” che hanno il vantaggio di raccogliere
l’acqua lontano dalla carreggiata.
Questo quadro è in continua evoluzione, per le tratte in fase di costruzione (circa 50 km),
per lavori di adeguamento e ampliamento della rete (25 km) e per lavori in programma
(700 km).
Tra i nuovi tronchi, in fase di costruzione, con importanti opere in sotterraneo, si segnalano
il raccordo autostradale tra A5 e il traforo del monte Bianco e alcuni raddoppi di
carreggiata nell’autostrada Torino – Savona. Tra le opere in progetto merita particolare
attenzione l'adeguamento del tratto di attraversamento appenninico, tra Sasso Marconi e
Barberino del Mugello, dell’Autostrada A1, Milano – Napoli. Nel progetto i tratti in
galleria costituiscono una percentuale notevole (49,6%) dell’intero tracciato.
4
LUNGHEZZA LUNGHEZZA PERCORSO
AUTOSTRADA TRATTO AUTOSTRADALE N° GALLERIE % TRACCIATO NUMERO GALLERIE
[Km] IN GALLERIA [Km]
IN GALLERIA / 100 km
DESTRA SINISTRA DESTRA SINISTRA
A1 BOLOGNA-FIRENZE 91,1 7,742 7,011 24 23 8,10 25,80
FIRENZE-ROMA 273,0 3,400 3,336 10 10 1,23 3,66
A3 NAPOLI-SALERNO 51,6 0,875 1,000 4 5 1,82 8,72
A4 BRESCIA-PADOVA 146,1 0,750 0,750 2 2 0,51 1,37
A5 RACCORDO A5-SS27
G.S.BERNARDO 5,6 4,800 4,800 1 1 85,71 17,86
IVREA-SANTHIA 23,6 0,582 0,582 1 1 2,47 4,24
TORINO-QUINCINETTO 51,2 0,547 0,507 1 1 1,03 1,95
QUINCINETTO-AOSTA 59,5 2,871 2,814 4 4 4,78 6,72
SARRE-TRAF.M.BIANCO 20,0 14,751 14,840 7 7 73,98 35,00
A6 TORINO-SAVONA 130,9 4,659 10,306 24 17 5,72 15,66
A7 SERRAVALLE-GENOVA 50,0 3,006 9,324 11 15 12,33 26,00
A9 LAINATE-COMO-CHIASSO 32,4 1,959 2,048 5 5 6,18 15,43
A10 GENOVA-SAVONA 45,5 18,066 10,209 50 41 31,07 100,00
SAVONA-VENTIMIGLIA 113,2 33,808 33,151 67 68 29,58 59,63
A11 FIRENZE-PISA 81,7 0,395 0,330 1 1 0,44 1,22
A11/12 VIAREGGIO-LUCCA 21,5 1,857 1,649 4 4 8,15 18,60
A14 BOLOGNA-ANCONA 236,0 2,419 2,411 7 7 1,02 2,97
ANCONA-PESCARA 133,8 14,824 14,541 19 19 10,97 14,20
PESCARA TARANTO 382,3 2,028 2,104 8 8 0,54 2,09
A15 PARMA-LA SPEZIA 101,0 8,112 8,392 15 15 8,17 14,85
A16 NAPOLI-CANOSA 172,3 4,085 3,926 11 11 2,32 6,38
A18 MESSINA-CATANIA 76,8 9,387 8,564 26 22 11,69 31,25
A20 MESSINA-VILLAFRANCA 114,8
FURIANO 108,0 27,333 28,370 43 49 25,79 42,59
BUONFORNELLO-CEFALU' 24,0 2,640 2,767 6 6 11,26 25,00
A22 BRENNERO-VERONA 226,0 6,254 6,426 15 15 2,81 6,64
A23 UDINE-TARVISIO 101,2 20,015 20,056 17 17 19,80 16,80
A24 ROMA-TORANO-TERAMO 166,5 28,577 28,577 20 20 17,16 12,01
A25 TORANO-PESCARA 114,9 6,549 6,549 5 5 5,70 4,35
A26 VOLTRI-GRAVELLONATOCE 165,0 12,414 12,557 26 25 7,57 15,45
A27 V.VENETO-BELLUNO 26,3 7,182 8,478 6 5 29,77 20,91
A30 CASERTA-NOVA-SALERNO 55,3 2,932 2,149 4 4 4,59 7,23
A32 TORINO-BARDONECCHIA 72,4 16,968 16,968 8 8 23,44 11,05
TANGENZIALE NAPOLI 20,2 3,777 3,777 4 4 18,70 19,80
ALTRE
TANG.MILANO EST 1,864 1,998 6 6
TANG. MILANO NORD
TOTALI 3493,7 277,4 281,3 462 451 8,00 13,07
ALTRI TRATTI A PEDAGGIO 2051,9 - - - - - -
TOTALE RETE A PEDAGGIO 5545,6 277,4 276,9 462 445 5,00 8,18
GESTIONE ANAS 894,0
T1 TRAFORO M.BIANCO 11,6 11,600
T2 TRAFORO S.BERNARDO 5,8 5,800
T4 T. DEL FREJUS 12,8 12,800
5
2. LA SICUREZZA NELLE GALLERIE STRADALI
L’aumento dell’estensione del tracciato in galleria sulle reti stradali urbane ed extraurbane,
la realizzazione di gallerie sempre più lunghe, ha indotto studiosi di tutto il mondo ad
interessarsi, negli ultimi anni, non solo dei problemi strutturali, ma anche di quelli legati
all’esercizio con particolare attenzione alla sicurezza della circolazione.
Generalmente uno studio sulla sicurezza relativo ad una strada può prevedere le seguenti
fasi:
L’analisi statistica degli incidenti di tipo aggregato con valutazione dei tassi di
incidentalità, densità e altri indicatori del rischio.
L’analisi degli incidenti avvenuti in un congruo periodo di osservazione finalizzata
a comprendere la causa e la meccanica degli stessi.
L’analisi delle caratteristiche dell’infrastruttura e dell’ambiente attraversato, al fine
di individuare eventuali correlazioni con gli incidenti.
Il documento più completo sulla sicurezza nelle gallerie stradali, sintesi di anni di impegno
del Comitato Tecnico delle Gallerie Stradali dell’Association Internationale Permanente
des Congres de la Route, è stato presentato in occasione del XX Congresso Mondiale della
Strada a Montreal nel 1995 (Road Safety in Tunnels). Questo documento riporta lo studio
sulla sicurezza di 58 gallerie, fra le più importanti, dislocate in 12 paesi di tutto il mondo.
Le gallerie, per una migliore interpretazione dei dati, sono suddivise in tre categorie:
Le gallerie autostradali a traffico unidirezionale.
Le gallerie extraurbane a traffico bidirezionale.
Le gallerie urbane ad elevato traffico sia di tipo autostradale (unidirezionale) che
con circolazione prevista nei due sensi di marcia.
Per ogni galleria sono riportati i dati di traffico, le principali caratteristiche geometriche e i
dati relativi agli incidenti suddivisi in tre tipologie:
Arresto forzato dei veicoli per guasto meccanico.
Incidenti con coinvolgimento di uno o più veicoli, con danni alle cose e/o alle
persone.
Incidenti con propagazione di incendio.
Tutte le osservazioni sono espresse come numero di avvenimenti relativi a 100 milioni di
veicoli per chilometro (n 108 veic / km), ottenute da un’analisi che ha riguardato un
periodo di almeno 5 anni.
La tabella 3 riporta i tassi relativi all’arresto di veicoli per ogni tipo di galleria prevista.
Si osserva, per le gallerie urbane, dei valori sensibilmente più elevati, anche su tratte con
pendenze longitudinali del tracciato modeste.
ARRESTO PER
CATEGORIA CARATTERISTICHE AVARIA
8
N. 10 veic/Km
GALLERIE AUTOSTRADALI TRAFFICO UNIDIREZIONALE 300600
GALLERIE A BASSA QUOTA 300500
GALLERIE EXTRAURBANE
BIDIREZIONALI GALLERIE DI VALICO CON RAMPE
9001900
D'ACCESSO AD ELEVATA PENDENZA
6
Questo fatto trova forse spiegazione con il tipo di guida adottato in città, il conseguente
maggiore impegno del mezzo meccanico, e nella composizione del parco veicolare medio
circolante in ambito urbano sicuramente più datato. E’ evidente l’influenza della pendenza
del tracciato su questo tipo di incidente. Talvolta su tratti ad elevata pendenza longitudinale
i tassi possono anche raddoppiare. L’arresto di un veicolo in galleria è sempre una
situazione di pericolo che deve essere controllata per evitare incidenti più gravi.
I tassi di incidentalità relativi a danni solo materiali e a danni alle persone sono evidenziati
nella tabella 4.
8
TIPO DI INCIDENTE [n 10 avv./Km]
CATEGORIA INCIDENTI CON
INCIDENTI CON DANNI
DANNI SOLO FERITI MORTI
ALLE PERSONE
MATERIALI
Questi valori se confrontati con quelli delle sezioni all’aperto, in tronchi omogenei per
caratteristiche costruttive e per norme di circolazione, confermano condizioni di rischio
minore per le gallerie extraurbane, purché correttamente progettate.
L’utente in galleria guida con maggior prudenza e attenzione, poiché affronta un ambiente
che non gli è abituale; e per queste ragioni spesso riduce la velocità. Inoltre l’utente è al
riparo dei rischi derivanti dalle condizioni atmosferiche (pioggia, ghiaccio e vento).
Le gallerie con traffico bidirezionale hanno delle condizioni di rischio maggiori.
Pochissimi, in ogni caso, sono gli incidenti con urto frontale tra veicoli transitanti nei due
sensi di marcia in quanto, in galleria l’utente rispetta il divieto di sorpasso.
Le gallerie urbane presentano una maggiore incidentalità per i seguenti motivi:
Elevati volumi di traffico
Presenza di innesti, svincoli ecc.
Sezioni inadeguate
Gli incidenti con propagazione di incendio sono riportati nella tabella 5. Possono
interessare sia le autovetture, per problemi all’impianto elettrico, sia gli automezzi pesanti
anche per surriscaldamento dei freni. I valori sono estremamente bassi ma per i danni
devastanti che potrebbero provocare, soprattutto in carenza di dispositivi di sicurezza,
vanno sempre presi in considerazione e attentamente valutati.
INCENDI
CATEGORIE
n 108 avv./Km
7
Le considerazioni sopra esposte, hanno trovano una conferma quasi totale in uno studio
recente, sulla situazione in Francia, di Michel Pérard responsabile del Centro di ricerche
sulla sicurezza delle gallerie del CETU (Centre d’Etudes des Tunnels).
N 108 veic km
EVENTI N 108 veic km
Valori medi
Arresto avaria 400 ÷ 1100 750
Incidenti materiali 30 ÷ 80 50
Incidenti Feriti 7 ÷ 20 9
Incidenti morti 0 ÷ 0,6 0,2
Incidenti incendio 1 ÷9 2
Tabella 1.7 (da: CETU)
Un altro studio interessante relativo all’esperienza giapponese è stato presentato nel 1990 a
Lugano in occasione del seminario dell’OECD “Road Tunnel Managment”. L’analisi di
incidentalità, per un periodo di osservazione di 5 anni (1983 – 1987), ha interessato ben
474 gallerie autostradali.
L’interesse di questo lavoro, sta nel fatto che gli autori hanno considerato facente parte
dell’infrastruttura anche 500 m all’ingresso e 500 all’uscita per capire meglio l’influenza
sulla sicurezza delle zone di transizione. I risultati confermano che il tasso di incidentalità,
all’interno delle gallerie, è quasi sempre uguale e talvolta minore rispetto i tratti di strada
all’aperto. Si nota invece un significativo incremento degli incidenti in prossimità dei
portali di ingresso e di uscita. L’incidente più frequente nell’avvicinamento al portale di
ingresso delle gallerie è la collisione con il veicolo che precede (tamponamento), mentre
nelle uscite, per problemi di aderenza in particolari condizioni meteorologiche, è lo svio
con urto laterale.
Infine si sono analizzati i tassi di incidentalità per l’anno 1997, riportati dal bollettino
dell’AISCAT, sulle tratte con delle elevate densità di gallerie. Si osservano (Tab. 6),
soprattutto nei tratti con una elevata estensione di gallerie, valori sensibilmente più elevati
rispetto alla media su tutta la rete autostradale.
Queste osservazioni portano alle seguenti conclusioni:
Le gallerie stradali, anche se statisticamente meno pericolose dei tratti all’aperto
hanno bisogno di un’attenta progettazione che dovrà necessariamente interessare
non solo le opere civili ma anche tutta una serie di impianti.
Gli incidenti in galleria possono avere conseguenze più gravi.
Gli incidenti più frequenti sono localizzati nelle zone di ingresso ed uscita dalle
gallerie e pertanto sarà necessario individuare le cause per porre i rimedi.
8
PERSONE
NUMERO DI INCIDENTI INCIDENTI TOTALI MORTI
COINVOLTE
AUTOS. TRATTO AUTOSTRADALE
VEICOLI VEICOLI 8 8 8
TOTALE n 10 veic./Km n 10 veic./Km n 10 veic./Km
LEGGERI PESANTI
A1 BOLOGNA-FIRENZE 1084 194 1278 88 28 0,82
FIRENZE-ROMA 1953 385 2338 57 22 0,88
A5 RACCORDO A5-SS27
G.S.BERNARDO
IVREA-SANTHIA 47 12 59 43 16 -
SARRE-TRAF.M.BIANCO 21 3 24 41 3 -
A24 ROMA-TORANO-TERAMO
A25 TORANO-PESCARA
TANGENZIALE MILANO
9
3. ANALISI DEI PRINCIPALI FATTORI CHE INFLUENZANO LA GUIDA
NELLE GALLERIE STRADALI.
La presenza di gallerie nei tracciati stradali può rappresentare una condizione critica per la
circolazione, poiché la loro presenza comporta brusche variazioni nelle condizioni
ambientali e talvolta anche modifiche nelle dimensioni della piattaforma che inducono
negli utenti uno stato di stress psicofisico alterato.
La guida, che si esplica attraverso la visione e percezione di oggetti ed avvenimenti e che
consiste nel controllo del moto del veicolo esercitato dall’uomo, in funzione delle
condizioni di traffico, delle prestazioni dei veicoli, e delle caratteristiche dell’ambiente
stradale attraversato, viene fortemente influenzata dalle mutate condizioni ambientali.
La galleria si presenta come un ambiente artificiale confinato (vano chiuso) e privo di luce
naturale con caratteristiche geometriche della piattaforma talvolta diverse, con presenza di
fumi nell’atmosfera, con una luce artificiale spesso inadeguata e non uniforme che può
alterate la percezione degli oggetti e rendere la guida più impegnativa. Questi elementi,
influendo sulla marcia dei veicoli, possono provocare un aumento della probabilità
dell’incidente.
I fattori che condizionano la circolazione nei tratti in galleria, compresi quelli delle zone
adiacenti all’ingresso e all’uscita, vanno ricercati analizzando sistema ambiente, uomo, e
veicolo (Fig. 1.1).
10
L’attività di guida si esplica attraverso le informazioni che l’utente è in grado di cogliere
con continuità dalla via e dall’ambiente che lo circonda e che, elaborate anche grazie alla
sua capacità ed esperienza, vengono trasformate in comandi e conseguenti modifiche dei
parametri cinematici del veicolo. Questo processo avviene anche in galleria dove
l’ambiente, profondamente modificato, lo condiziona maggiormente.
Gli elementi che caratterizzano l’ambiente esterno e che rappresentano fattori importanti di
stimolo per l’attenzione e di riferimento per la guida, in galleria scompaiono. Il vano
chiuso, il confinamento laterale delle pareti, la sezione ridotta, l’illuminazione artificiale
spesso carente e non uniforme, la presenza di fumi nell’atmosfera con riduzione della
visibilità, rendono più impegnativa e meno confortevole la guida.
In particolare alcuni esperimenti hanno evidenziato che dopo circa 10 secondi di marcia in
una galleria in cui non è possibile vedere l’uscita, il conducente perde rapidamente la
capacità di valutare correttamente lo spazio, il tempo e la velocità relativa degli oggetti.
La percezione temporale degli avvenimenti è fortemente alterata e la valutazione della
durata del tempo risulta, mediamente, due volte superiori a quella corretta.
La presenza di pareti verticali (piedritti della galleria), poste in vicinanza dalle corsie di
marcia, nei tracciati in curva limita sensibilmente il campo visivo dell’utente con
l’impossibilità di valutare lo sviluppo planimetrico del tracciato all’interno della galleria o
semplicemente di riconoscere ed evitare oggetti presenti sulla carreggiata.
La guida per lunghi periodi in un ambiente con caratteristiche non sempre accettate dagli
utenti può provocare in taluni stati di ansia, di fatica, tali comunque da generare situazioni
incontrollabili e quindi pericolose. Inoltre la presenza di un rumore continuo, prodotto dai
veicoli in movimento e dall’impianto di ventilazione, amplificato dall’ambiente chiuso,
può influire sul comportamento dell’utente causando affaticamento.
L’illuminazione artificiale predisposta nelle gallerie influisce in modo significativo sul
comportamento del conducente poiché alterando i meccanismi della visione può provocare
una perdita dell’acuità visiva, una contrazione del campo di visione periferica, una cattiva
percezione dei contrasti e dei colori nonché una alterazione della percezione spazio
temporale.
I disagi sopra menzionati possono incidere in modo pesante sui tempi necessari agli utenti
per percepire situazioni e reagire di conseguenza. Un soggetto di medie capacità
psicofisiche avrà sicuramente bisogno di tempi superiori a quelli necessari in analoghe
situazioni all’aperto. Purtroppo in questo campo non ci sono studi recenti. Si utilizzano
ancora i valori piuttosto datati e comunque ottenuti con sperimentazioni all’aperto. Il
comportamento dell’utente in una galleria non è del tutto noto. E’ auspicabile un
miglioramento delle conoscenze in questo settore attraverso studi ed esperienze con il
coinvolgimento di altre discipline come la medicina e la psicologia.
11
hanno permesso di valutare una velocità di soglia in corrispondenza alla quale si manifesta
lo spostamento del veicolo.
Dalle considerazioni sopra riportate emerge che le caratteristiche della piattaforma nel suo
complesso ed in particolare la dimensione degli elementi marginali, influiscono
direttamente nel moto dei veicoli sia in termini di traiettorie che di velocità. In particolare
le pareti delle gallerie troppo vicine all’asse di percorrenza del veicolo possono indurre
spostamenti del veicolo che in condizione di traffico possono compromettere la sicurezza
ed in ogni caso provocano una riduzione della sezione carrabile e conseguentemente della
capacità. A tale riguardo, interessanti sono i risultati riportati sul rapporto del Comitato
Tecnico delle Gallerie Stradali presentato in occasione del XVII Congresso Mondiale della
Strada del 1983 a Sydney, sul comportamento degli utenti in prossimità degli ingressi in
alcune gallerie stradali con caratteristiche diverse. E’ stato rilevato, oltre che una sensibile
riduzione della velocità, uno spostamento verso il centro della carreggiata, particolarmente
accentuato nei casi dove la banchina viene interrotta prima dell’imbocco. Lo spostamento
raggiunge anche i 70 centimetri.
Altri studi hanno confermato questo effetto nei veicoli in avvicinamento alle gallerie
ricavando una distanza minima di 1,2 metri tra la parete e il margine interno della corsia di
marcia per la quale non si registra alcun spostamento delle traiettorie. Recentemente questo
aspetto è stato oggetto di studio presentato a Pisa al Convegno della SIV sulla Sicurezza
Stradale (“Studio sperimentale sul comportamento degli utenti in corrispondenza
dell’imbocco dei tunnels stradali”: autori: B. Crisman, R. Roberti, S. Fonzari).
E’ stato analizzato l’imbocco della galleria “Cave Ovest”, in direzione Belluno Venezia,
dell’autostrada A 27 Venezia - Belluno. L’andamento planimetrico del tracciato in
prossimità dell’imbocco per la presenza di un lungo rettilineo non poteva in alcun modo
influenzare le traiettorie e le velocità dei veicoli in avvicinamento al portale (Fig. 2).
12
5
4
3
2
1
0
-1
-2
-3 Portale
-4
-5
-6
-50 0 50 100 150
13
4. CARATTERISTICHE GEOMETRICHE DELLE GALLERIE
4.1. INTRODUZIONE
Il nuovo Codice della Strada, approvato con decreto legislativo n. 283 del 30 aprile 1992,
all’articolo 2 classifica le strade riguardo alle loro caratteristiche tecniche e funzionali nei
seguenti 6 tipi:
A – Autostrade
B – Strade extraurbane principali
C – Strade extraurbane secondarie
D – Strade urbane di scorrimento
E – Strade urbane di quartiere
F – Strade locali
Tale classificazione è recepita anche dal Decreto ministeriale D.M. 5/11/2001, “Norme
funzionali e geometriche per la costruzione delle strade”. Esso presenta rispetto alle
precedenti indicazioni deele norme del CNR, un’importante novità. Oltre ad ispirarsi alla
sicurezza della circolazione stradale, perseguendo gli obiettivi di una razionale gestione
della mobilità, della protezione dell’ambiente e del risparmio energetico (art. 1 CDS), la
norma fa riferimento alla funzione che tali infrastrutture svolgono nell’ambito della rete
stradale.
Nella tabella 7 vengono riportate la classificazione delle strade secondo le indicazioni del
Nuovo Codice Strada con le relative velocità di progetto e, per quanto possibile, la
corrispondenza con le norme CNR ormai superate dal D.M. 5/11/2001.
NORME CNR NUOVO CODICE DELLA STRADA
14
La scelta della forma e delle dimensioni della sezione dipendono dalla necessità di
garantire uno spazio utile alla circolazione, dagli spazi necessari per un buon rendimento
degli impianti e dei dispositivi per la sicurezza nonché da aspetti strutturali.
4.2. TRAFFICO
In una galleria le condizioni di traffico, anche se influenzate da diversi fattori, sono simili a
quelle dei tratti all’aperto.
La capacità e i livelli di servizio vengono valutati nello stesso modo anche se con
parametri diversi. Per aumentare la capacità di una galleria è necessario assicurare un
ingresso facilmente percepibile, delle larghezze adeguate della piattaforma e facilità di
deflusso nelle uscite.
L’effetto parete, come pure il possibile ingombro della sede carrabile da parte di veicoli in
sosta di emergenza, può essere evitato inserendo nella piattaforma banchine di dimensioni
come all’aperto e nelle gallerie autostradali prevedendo la corsia di emergenza.
Per il dimensionamento della sede sarà importante conoscere il TGM, il traffico orario di
punta per ogni senso di circolazione e la composizione percentuale delle categorie di
traffico presenti.
Oltre ai dati sopra indicati è importante conoscere, già nella fase di progettazione, anche
situazioni di traffico particolari dovute, per esempio, alla manutenzione, e situazione di
emergenza, causate da incidenti o incendi, o da danni alle apparecchiature di segnalamento
soccorso e sicurezza.
Il progettista deve garantire la sicurezza anche in queste situazioni particolari e di
emergenza con un dimensionamento appropriato di tutti gli impianti e con l’ausilio, se
necessario, di dispositivi per la regolazione del traffico.
L’impostazione della normativa del CNR sulla geometria delle strade prevede per ogni tipo
di strada un adeguato intervallo per la velocità di progetto. E’ importante evidenziare che
la progettazione di elementi di tracciato contigui deve avvenire con variazioni di velocità
contenute. Tale raccomandazione assume maggiore importanza nelle gallerie ai fini di una
rapida e facile lettura del tratto da percorrere.
15
emergenza per i veicoli in avaria, ma soprattutto con prevalente compito di corsia libera da
ostacoli a disposizione dei mezzi di soccorso nonché possibile corsia di marcia, in
condizioni di traffico controllato, durante i lavori di manutenzione
Nel caso di autostrade con tre corsie per senso di marcia le eventuali gallerie dovrebbero
venire realizzate a quattro corsie in un solo fornice. Questa soluzione, anche se
tecnicamente possibile, almeno in certe situazioni geomorfologiche, richiede ingenti
investimenti economici, e pertanto viene adottata soltanto in ambito urbano, realizzando
l’opera con struttura scatolare a cielo a aperto. E’ ragionevole pensare per le gallerie
realizzate a foro cieco al massimo a tre corsie compresa quella di emergenza. In questi
casi, peraltro scarsamente frequenti nel nostro Paese, le soluzioni potrebbero essere
diverse.
Per evitare una diminuzione della capacità le tre corsie in galleria possono venire utilizzate
per la marcia normale. Al posto della corsia di emergenza verranno previsti una serie di
accorgimenti, vie di fuga, nicchie e piazzole di emergenza, rifugi di sicurezza, passaggi
trasversali e tutta una serie di impianti per il controllo e la gestione delle condizioni di
emergenza. Un’altra soluzione possibile è di consentire il traffico su tutte le tre corsie
soltanto per brevi periodi in occasione delle punte di traffico.
Nelle situazioni di traffico normale o limitato la corsia interna torna a svolgere la funzione
di corsia di emergenza con l’ausilio di impianti semaforici e segnaletica differenziata per
ogni corsia.
Un terzo modo di affrontare questo problema potrebbe essere quello di realizzare le vie di
16
Ovviamente la riduzione della larghezza della carreggiata, con il passaggio da tre a due
corsie, dovrà venire opportunamente realizzata ad una certa distanza dalla galleria e
puntualmente segnalata.
Il mantenimento della corsia di emergenza per le autostrade o delle banchine per tutte le
altre strade assicura all’utente una guida in avvicinamento al portale della galleria, priva di
incertezze, senza modifica delle traiettorie o cambi di velocità e quindi sicuramente più
sicura.
Per tutte le strade extraurbane, dove non è previsto un traffico pedonale, i marciapiedi di
servizio, indicati dalla normativa CNR vigente, con funzione di sicurezza per gli addetti
alla manutenzione e per eventuali utenti in difficoltà, vengono sostituiti con un più
funzionale elemento marginale, delimitato dal lato interno da un cordolo rialzato di 7 cm,
per garantire il rispetto degli ingombri della sagoma dei veicoli, e dall’altro lato da un
profilo sagomato in calcestruzzo parzialmente inglobato nei piedritti.
Per le gallerie unidirezionali, in ambito urbano, dove sono previsti flussi pedonali,
l’elemento marginale in destra sarà costituito da un marciapiede di larghezza adeguata e
comunque non inferiore a 2 metri. Nelle gallerie a traffico bidirezionale i marciapiedi
verranno realizzati su ogni lato. Il marciapiede potrà essere delimitato verso la banchina da
un cordolo sagomato di altezza di 7 cm e protetto da un dispositivo di ritenuta invalicabile,
oppure potrà essere delimitato da un cordolo di altezza non inferiore a 20 cm senza alcuna
protezione.
Nelle gallerie di lunghezza superiore ai 1000 metri dovrebbero essere comunque realizzate
piazzole per la sosta di emergenza a distanza di circa 500 metri. Nelle gallerie bidirezionali
le piazzole devono venire realizzate da entrambi i lati.
In tutti i casi, l’altezza libera nelle gallerie, misurata a partire da qualsiasi punto della
piattaforma non deve essere inferiore a 4.80 m che diventa 5 m, nel caso di controsoffitto o
di intradosso piano o di presenza di apparecchi sospesi.
Questo limite comprende l’altezza della sagoma base dei veicoli più ingombranti, il
margine di movimento che tiene conto degli scarti dinamici e delle imprecisioni di guida e
di un margine di sicurezza. Queste ultime due grandezze sono funzione della velocità di
progetto. Quanto descritto sono le soluzioni normali; oggi in relazione al contenimento dei
costi di costruzione, in ambito urbano, in alcuni paesi vengono adottate soluzioni a altezze
ridotte ovviamente per un traffico selezionato.
Tenuto conto della sagoma di altezza 4,80 o 5,00 m indicata dal DM 2001, della sagoma
stradale nelle condizioni in rettifilo e curva con relativa pendenza trasversale, degli
ingombri delle apparecchiature sospese (impianti di ventilazione e di illuminazione), e
segnaletiche, dell’asse della galleria, si potrà valutare se realizzare la linea dell’intradosso
del rivestimento con un arco di raggio unico o con una policentrica (raggio di calotta e
raggio in corrispondenza dei piedritti). Per gallerie con dimensioni elevate della
piattaforma per ridurre la sezione di scavo sarà opportuno ricorrere ad una policentrica.
Questo accade sempre nelle zone di allargamento dove viene collocato uno spazio per le
soste di emergenza (piazzole di sosta).
17
Vp 2
R
min 127 q max fta
Le pendenze trasversali in curva sono calcolate con lo stesso abaco, riportato nel DM 2001
per i tratti all’aperto. Talvolta può essere consigliato per ragioni costruttive limitare la
pendenza massima trasversale al 6 %.
Il criterio di visibilità assicura che in ogni parte del tracciato sia garantita una visuale libera
pari alla distanza di arresto (Fig. 1.5).
Dv 2 2 R n
Sulla base dei valori delle distanze di arresto si determinano i valori del raggio minimo
2
Da 1
Rmin
2 2 n
Per il calcolo della distanza di visibilità, l’occhio del conducente viene posto ad una altezza
di 1 m e a una distanza di 2 m dal margine destro della corsia su cui il veicolo si trova nel
18
caso di una curva a destra, e a 1,5 m dal margine sinistro della corsia nel caso di una curva
sinistra. Gli eventuali ostacoli da considerare sulla carreggiata hanno una altezza di 0.15 m
per un oggetto e 1,20 m per la presenza di un veicolo fermo.
In base alle relazioni sopra riportate sono stati calcolati per le categorie di strade principali
A ed extraurbane secondarie C1 i raggi minimi in funzione della velocità di progetto (Tab.
9 e 10).
Per il calcolo della distanza di arresto si sono seguite le indicazioni previste nel D.M.
5/11/2001 che tra l’altro presenta due distinte curve della quota parte di aderenza
impegnata longitudinalmente, la prima per le autostrade e la seconda per tutte le altre
strade, e dei tempi di reazione in funzione della velocità.
Per garantire una distanza di visuale libera pari alla distanza di arresto nelle curve sinistre
delle gallerie con traffico unidirezionali, i raggi minimi per le velocità più elevate
diventano anche due volte superiori a quelli valutati col criterio dinamico.
Nonostante l’attuale normativa vigente non dia alcuna indicazione relativa alle pendenze
longitudinali da adottare in galleria, per garantire in sotterraneo la stessa capacità e il
livello di servizio del tronco all’aperto nonché per limitare le emissioni degli inquinanti, è
conveniente nelle gallerie di lunghezza superiore ai 1000 metri ridurre opportunamente la
pendenza.
La necessità di assicurare l’evacuazione delle acque, impone al tracciato in galleria una
pendenza longitudinale minima compresa tra 0,2 e 0,4 % senza la presenza di sacche e di
depressioni.
19
I raccordi verticali presenti dovranno garantire una visuale libera almeno pari alla distanza
di arresto. Comunque ai fini di garantire una corretta percezione ottica del tracciato si
dovrebbero adottare raggi di raccordi sensibilmente maggiori di quelli minimi calcolati.
Il raggio dei raccordi altimetrici convessi (dossi) va calcolato, come per le condizioni
all’aperto, per garantire le distanze di visibilità per l’arresto per una velocità di progetto
determinata con il diagramma di velocità.
Nelle verifiche di visibilità dei raccordi concavi può essere importante verificare la
visibilità considerando la linea dell’intradosso in calotta.
Di volta in volta può essere necessario valutare, con gli stessi criteri dei tratti all’aperto,
l’opportunità di inserire delle corsie di arrampicamento, nelle lunghe gallerie in pendenza,
dedicate ai veicoli pesanti per non penalizzare troppo la funzionalità della infrastruttura.
20
Figura 1.7 Portali Håbakken i Lærdal
Per consentire un passaggio graduale dalla luminosità esterna a quella in galleria, onde
evitare il così detto “buco nero”, nelle ore diurne, l’illuminazione nelle estremità delle
gallerie va opportunamente potenziata.
La lunghezza di queste zone di transizione dipende dalla velocità e varia tra 50 e 150 m.
Nelle gallerie bidirezionali l’illuminazione risulterà uguale in entrambe le estremità; in
quelle monodirezionali all’uscita sarà sufficiente una zona di transizione minore.
21
Nelle lunghe gallerie l’uscita non dovrebbe essere visibile da troppo lontano per evitare
aumenti pericolosi della velocità da parte di utenti smaniosi di guadagnare in fretta l’uscita.
All’uscita delle gallerie, gli incidenti più frequenti sono dovuti all’alta velocità, che in certe
situazioni meteorologiche può essere pericolosa per le diverse condizioni di aderenza che
l’utente incontra in questa fase.
Queste situazioni dovrebbero puntualmente venire segnalate agli utenti attraverso
opportuni indicatori (impianto a luci intermittenti, pannelli a messaggio variabile, ecc.)..
Se l’intervallo tra il portale di uscita e quello di ingresso di due gallerie consecutive è
minore di 200 metri, il progettista dovrebbe inserire delle strutture artificiali che diano
sempre delle condizioni di omogeneità per quanto riguarda le caratteristiche superficiali
della pavimentazione e ambientali in genere (vento ecc.)
Come noto la verifica della correttezza della progettazione dell’asse di una strada comporta
la costruzione del diagramma delle velocità di progetto per ogni senso di circolazione.
Come indicato nel DM 2001 ad ogni tipo di strada è associato un intervallo delle velocità
di progetto, con un limite superiore (massimo) e uno inferiore (minimo), per la definizione
degli elementi che compongono il suo asse. Il diagramma delle velocità di progetto è la
rappresentazione grafica dell’andamento delle velocità di progetto in funzione della
progressiva dell’asse stradale. La presenza di una galleria in un tracciato stradale non
cambia le regole per la definizione del diagramma delle velocità e le verifiche richieste dal
decreto per garantire la congruenza del tracciato. Se il tracciato della galleria è collocato
del tutto, o parzialmente in curva, molto spesso, il raggio della curva non soddisfa le
verifiche di visibilità per l’arresto. Per garantire ciò è necessario una geometria in curva
con ampi raggi o predisporre allargamenti della sezione non compatibili per ragioni
economiche. Spesso si supera questa difficoltà imponendo dei limiti di velocità per la
circolazione in galleria.
22
CAPITOLO 2
1. INTRODUZIONE
La ventilazione nelle gallerie stradali oltre che assicurare livelli di inquinamento dell’aria
compatibili con l’esercizio e condizioni ottimali per la visibilità, deve garantire condizioni
di sicurezza anche nel caso di un evento eccezionale come l’incendio, favorendo la
dispersione dei fumi all’esterno della galleria e assicurando vie di fuga e accessi per i
soccorsi ventilati.
La scelta della tipologia di impianto di ventilazione e la sua progettazione dipenderà dai
seguenti fattori:
Lunghezza della galleria, altitudine, ambito territoriale (galleria urbana o
extraurbana), organizzazione della circolazione (galleria unidirezionali o
bidirezionali), e entità del traffico.
Fabbisogno di aria in relazione alle condizioni del traffico (normali o speciali)
Situazione dell’inquinamento dell’aria nelle adiacenze dei portali.
Sicurezza nel caso di incendio.
Nei veicoli con motori endotermici i combustibili più usati (benzina e gasolio) sono delle
miscele di idrocarburi, cioè composti essenzialmente da carbonio C e idrogeno H2. Il
carbonio e l’Idrogeno reagiscono con l’ossigeno secondo le seguenti equazioni:
C + O2 ---- CO2
2H2 + O2 ----2H2O
dove CO2 e H2O sono i prodotti della combustione. Nel caso dell’aria come comburente,
la combustione avviene in presenza dell’azoto contenuto nell’aria per cui le equazioni
diventano:
C + O2 + N2 ---- CO2 + N2
I prodotti della combustione sono dunque CO2, H2O, e N2 se si trascurano gli altri gas e
sostanze presenti nell’aria e nel combustibile e si ipotizza una combustione teoricamente
completa.
Da queste equazioni, con il bilancio di massa, è possibile valutare la massa d’aria
necessaria per la combustione completa di un Kg di combustibile.
23
Rs = Paria/Pcomb.
Questo rapporto detto stechiometrico rappresenta la dosatura teorica ideale per ottenere la
completa combustione. Il rapporto stechiometrico varia di poco al variare del tipo di
combustibile (benzina, gasolio, cherosene ecc.), mentre varia moltissimo il rapporto di
dosatura (rapporto reale aria/combustibile) in relazione al tipo di motore. Nei motori a
combustione interna il rapporto di dosatura della miscela, si discosta sensibilmente dal
valore stechiometrico per diverse ragioni. Si parla di miscele ricche, quando l’aria è in
difetto, di miscele povere quando l’aria e in eccesso.
Nei motori alimentati a benzina AS (a ciclo Otto o ad accensione per scintilla), il rapporto
di dosatura può variare da 11 a 20. Esso generalmente è inferiore al rapporto
stechiometrico (Rs =14 ÷ 15 ). Nei motori ad accensione per compressione AC (motori
diesel o ad accensione per compressione), affinché il combustibile iniettato venga a
contatto con l’aria è necessario un forte eccesso d’aria. Il rapporto di dosatura della miscela
è superiore a 25.
In realtà nei gas di scarico si osserva pure la presenza del monossido di carbonio, del
monossido di azoto e del biossido di azoto. La presenza di CO dipende dalla combustione
incompleta del carbonio. Le reazioni che coinvolgono il carbonio sono due:
2C + O2 ----- 2CO
La prima reazione è molto più veloce della seconda (circa10 volte). Pertanto si ottiene il
CO come prodotto intermedio della combustione e come prodotto finale qualora l’ossigeno
non sia sufficiente a completare la reazione di ossidazione.
La presenza di CO nei gas di scarico di un motore AS dipende:
Dal rapporto di dosature. Ciò spiega che i motori diesel essendo alimentati da
miscele povere emettono una quantità trascurabile di tale ossido.
Dalla temperatura dell’acqua di raffreddamento.
Dalle caratteristiche della camera di combustione.
Dallo stato di usura del motore
Dal regime di funzionamento (numero dei giri del motore)
Gli ossidi di azoto NO e NO2 derivano dalla reazione dei due gas azoto, e ossigeno presenti
normalmente nell’aria in percentuale rispettivamente del 80 % e del 20 % per le elevate
temperature esistenti ( maggiori di 1200° C)
N2 + O2 ---- 2NO
Queste reazioni avvengono soprattutto nei motori AC, che utilizzando miscele povere,
producono più ossidi di azoto dei motori AS. Il biossido di azoto rappresenta circa il 10 %
degli ossidi di azoto presenti nei gas di scarico NOx.
Le emissioni dei motori endotermici AS provengono in massima parte dai gas di scarico e
in misura minore dai gas che escono dal basamento del motore e dall’evaporazione del
24
carburante nell’impianto di alimentazione. Nei motori AS oltre all’anidride carbonica e
all’acqua si producono:
Monossido di Carbonio CO
Ossidi di Azoto NO e NO2 (NOx)
Idrocarburi incombusti o parzialmente ossidati HC
Benzene
Composti di Piombo Pb nel caso delle benzine etilate.
25
condizioni di funzionamento del motore (numero di giri coppia resistente ) e di
conseguenza la produzione dell’ossido di carbonio.
Gli idrocarburi HC sono presenti nei gas di scarico in tutte le condizioni di funzionamento
del motore. La loro concentrazione raggiunge valori particolarmente elevati durante le
decelerazioni e nel regime di minimo.
Gli ossidi di azoto si formano durante la combustione e la loro dissociazione viene
arrestata dalla repentina diminuzione della temperatura dovuta alla fase di espansione. La
concentrazione dipende dalla quantità di ossigeno disponibile per le reazioni e dalla
temperatura. Essa varia con il rapporto di dosatura e con il carico del motore. Nella tabella
sono riportati i valori medi delle emissioni di motori AS funzionanti a carico costante.
CO 1 ÷ 3 % 1,5 ÷ 7,5 %
Oltre alle stesse sostanze individuate nei motori AS, presenti però in percentuali diverse,
nei gas di scarico dei motori diesel si trovano anche delle sostanze incombuste (fumi) e
anidride solforosa per la presenza nel gasolio di una percentuale di zolfo.
,
26
GAS Regime Minimo Regime Pieno carico
Ai fini della valutazione del fabbisogno d’aria fresca, più che le percentuali delle sostanze
inquinanti contenuti nei gas di scarico dei motori endotermici, interessa la produzione di
tali sostanze nell’unità di tempo espressa in m3/sec o l/minuto (unità di misura
volumetriche) o g/s g/minuto (unità di misura ponderali).
Per valutare tali produzioni si può ricorrere alla seguente espressione:
CO R d 1
QCO 1000 c Cc
100 a
Dove:
Questa espressione consente di capire quali sono le variabile più importanti legate alla
produzione dei gas inquinanti. Il consumo specifico dipende ovviamente dal numero di giri
del motore a sua volta legato alla velocità e alla coppia resistente (caratteristiche
geometriche del percorso – pendenza delle livellette). Il rapporto di dosatura varia, con la
temperatura e densità dell’aria (altitudine) e l’usura del motore.
2.3.1 Introduzione
27
Il tipo di modello che si ritiene ottimale per schematizzare l’inquinamento da traffico
stradale, dovrebbe fornire l’emissione del generico veicolo in funzione della sua velocità e
accelerazione. Le difficoltà che si incontrano nel perseguire questa strada sono rilevanti, e
ciò sostanzialmente è dovuto all’indagine di notevole impegno economico e temporale
necessaria per determinare le emissioni per categorie di veicoli e in diversi regimi di
funzionamento. Questa linea è stata seguita negli Stati Unite fin dagli anni 70 dall’EPA
(Enviromental Protection Agency) che realizzo “Automobile exhaust emission modal
analysis model”.
In Italia l’ENEA, l’Ente per le nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, partecipa al
progetto europeo CORINAIR. In questo ambito preliminarmente è stata fatta una ricerca
con i dati dell’ACI sulla composizione del parco veicolare medio circolante in Italia, sulle
tipologie di veicoli in base al tipo di motorizzazione, all’età e alle caratteristiche
meccaniche, e ciò allo scopo di classificarli per quanto possibile in categorie omogenee.
Per quanto riguarda le emissioni, il modello CORINAIR individua alcune relazioni,
diverse per ogni categoria di veicoli, in funzione della velocità.
Le emissioni dei veicoli sono controllate nei Paesi industrializzati (CEE ed altri Paesi
Europei, Giappone e U.S.) da leggi apposite. Negli stati della Comunità Europea, i veicoli
di nuova costruzione, per ottenere l’omologazione e la successiva immatricolazione,
devono rispettare severe direttive antinquinamento. Le tappe in questo percorso verso
un’aria più pulita si chiamano EURO 1 (già superata), EURO 2 (superata da gennaio
2001), EURO 3, EURO 4 e EURO 5. I veicoli EURO 1 e in particolare quelli EURO 2
potranno circolare per molti anni ancora, anche se ovviamente non potranno essere più
immatricolati.
La normativa EURO 3, oltre alla riduzione delle sostanze inquinanti emesse allo scarico da
parte del veicolo, impone anche alcune novità tecniche. Tra queste la più importante
riguarda l’installazione di una centralina di auto diagnosi, l’EOBD, per il rilevamento di
eventuali disfunzioni nel motore che potrebbero provocare un aumento delle sostanze
inquinanti.
La direttiva EURO 4, vigente dal gennaio 2005 ha imposto una ulteriore riduzione delle
sostanze inquinanti che mediamente risulta pari al 50 % dei limiti stabiliti dalla direttiva
EURO 3. Attualmente si sta preparando la direttiva EURO 5 che prevede un’ulteriore
significativo abbattimento delle sostanze più dannose.
Nelle tabelle che seguono sono indicate le direttive per le diverse tipologie di veicoli e la
data di entrata in vigore della disposizione di legge.
Per adattare le normative CEE alla ventilazione delle gallerie stradali, alcuni Paesi
europei, in particolare l’Austria, la Svizzera, la Germania, il Belgio, e la Gran Bretagna,
hanno simulato su banchi di prova le condizioni di guida lungo le gallerie di parecchie
centinaia di veicoli appartenenti al parco veicolare dell’ovest europeo.
I risultati di queste prove sono stati presentati al XX Congresso PIACR (Permanent
International Association of Road Congresses) in Montreal nel 1995. Ovviamente essi sono
applicabilia veicoli per i quali nono valide le normative CEE ed EURO sulle emissioni dei
veicoli.
28
Autoveicoli, anche commerciali, fino a 3,5 tonnellate
CEE 89/458 e
CEE 94/12 e 96/69 CEE 98/69 CEE 98/69b e 98/77
91/441
Motocicli e ciclomotori
ciclomotori omologati
omologati dopo il 17.6.2002 omologati o immatricolati
dopo il 17.6.1999 motocicli immatricolati dopo il 1.1.2006
dal 1.1.2003
immatricolati
dopo il 1.10.1993 o immatricolati immatricolati immatricolati
1.10.96 (a seconda dei dopo il 1.1.1997 dopo il 1.10.2001 dopo il 1.10.2005
gas emessi)
29
In molti Paesi esiste attualmente una situazione di transizione e di evoluzione, che
giustifica una revisione dei metodi di calcolo precedentemente indicati dai rapporti PIARC.
Tuttavia una certa cautela deve essere adottata per i nuovi valori di emissione proposti che
sono nettamente inferiori ai precedenti, in quanto essi dipendono da una serie di parametri
difficilmente valutabili, quali i differenti tempi stabiliti per l’applicazione delle leggi di
emissione e per la revisione periodica dei veicoli, nonché le differenti evoluzioni dei parchi
veicolari nei diversi Paesi.
I valori di riferimento delle emissioni, a seconda della disposizione di legge (pre-EURO e
EURO) e del tipo di motorizzazione (Diesel o Benzina) sono riportati nel documento
“Road Tunnels:Emission, Ventilation Enviromental”, in funzione della velocità media di
percorrenza del veicolo e della pendenza longitudinale del tracciato in gallerie. I valori
intermedi vanno stimati attraverso una interpolazione lineare.
Q q (v, i ) f h f cs f a
dove:
Q è l’emissione di CO o di NOx per i veicoli AS (Benzina) e AC (Diesel), espressa
in g/h veic. o in m3/h veic. e l’emissione del particolato, fumi per i veicoli AC
(Diesel), espressa in m2/h veic.
q(v,i) è l’emissione base, ricavata dalle tabelle PIARC in funzione della velocità media di
percorrenza e della pendenza longitudinale della galleria. L’unità di misura è la
stessa di Q.
fh è il fattore legato all’altitudine
fc è il fattore che tiene conto della partenza a freddo dei veicoli
fa è il fattore che dipende dall’età dei veicoli dotati di marmitta catalitica.
30
aree di parcheggio, influenzerà la percentuale di veicoli con partenza a freddo che potranno
interessare la galleria. Questa percentuale può variare dal 10 al 30 %.
L’altitudine influenza la produzione e composizione dei gas di scarico dei veicoli per la
diversa temperatura e pressione dell’aria. Al livello del mare tale coefficiente vale 1.
Per i veicoli alimentati a benzina e dotati della marmitta catalitica la percentuale delle
sostanze inquinanti contenute nei gas di scarico dei motori, dipende dai km totali percorsi
dal veicolo. Ogni 100.000 km la produzione delle sostanze inquinanti (CO e NOx) può
aumentare del 60 75 %.
Q q (v , i ) f m f e f h
Dove
Anche per i veicoli pesanti è necessario valutare una produzione media in relazione alla
percorrenza media, all’anno di immatricolazione dei veicoli e alle direttive europee sulle
emissioni delle sostanze inquinanti.
Con il coefficiente fe trasformo i valori delle emissioni stimate co riferimento alle direttive
pre EURO, in valori associati alle direttive EURO 1 EURO 2 ecc.
A titolo di esempio la tabella, sintesi del rapporto PICR, dà i valori delle emissioni delle
sostanze inquinanti dei veicoli in funzione della loro classe EURO. I valori sono calcolati
per una velocità media di percorrenza di 60 km/h e per una strada in piano (i = 0 %).
31
Pre
DIRETTIVA EURO 1 EURO 2 EURO 3 EURO 4
EURO
Anno applicazione legge - 1992 1996 2000 2005
C0 [l/h] 300 50 40 40 20
VEICOLI
LEGGERI Fumi [m2/h - - - - -
BENZINA
NOx [l/h] 48 7,2 5,1 4.1 2,5
C0 [l/h] 45 15 15 12 10
VEICOLI
LEGGERI Fumi 43 20 20 12 6
DIESEL
NOx [l/h] 23 13 13 10,5 5,1
C0 [l/h] 212 138 138 95 49
VEICOLI
Fumi 156 101 39 28 5
PESANTI
NOx [l/h] 280 154 126 87 62
32
2.3.3 Francia
Il centro Francese Studi sulle gallerie Stradali (Centre d’Etudes des Tunnels CETU) ha
predisposto la tabella dei valori delle emissioni di automobili ed autocarri (10 t) a 60 km/h,
pendenza longitudinale stradale i = 0 %, riferiti al rinnovamento del parco veicolare. I
valori sono stati calcolati la percentuale di veicoli circolanti di una certa categoria e anno
di immatricolazione tenendo conto dell’anno di applicazione delle direttive CEE in
Francia. I grafici delle figure riportate di seguito che stabiliscono la ripartizione
percentuale delle varie tipologie di veicoli circolanti in Francia negli 2000 2005 con
proiezione fino al 2020 aiutano in questa stima.
33
Figura 2.5 Ripartizione dei veicoli pesanti su un itinerario stradale internazionale
34
Figura 2.7 Ripartizione dei veicoli leggeri diesel
2.3.4 Germania
In Germania il problema della ventilazione delle gallerie stradali è trattato nel documento
del 1994 “Direttive per l’equipaggiamento e l’esercizio dei tunnel stradali” (Richtlinien fur
die Ausstattung und den Betrib von Strasentunneln RABT). Attualmente le sostanze nocive
per la valutazione del fabbisogno di aria fresca nelle gallerie stradali sono il monossido di
carbonio CO e i fumi che caratterizzano l’opacità dell’atmosfera dell’ambiente confinato
della galleria. I valori base delle emissioni di CO e dei fumi, previsti per il parco veicolare
della Germania per gli anni dal 2005 al 2015 sono riepilogati nella tabella per un veicolo
che viaggia alla velocità di 60 km/h, in piano all’altezza del mare.
Autovettura
0,125 0 0,063 0 0,038 0 0,034 0
Benzina
Autovettura
0,024 27,4 0,015 18,3 0,010 13,1 0,010 12,0
Diesel
Veicoli
0,114 94,2 0,078 58,4 0,071 48,0 0,058 34,2
Pesanti 10t
35
La percentuale delle autovetture con motore diesel sul numero totale di autovetture
aumenta costantemente di anno in anno come riportato nella tabella. Di questo fatto
ovviamente occorre tenere conto nel calcolo sia delle emissioni di CO che di quelle dei
fumi.
Tabella 2.10 Quota parte XD delle autovetture con motore diesel sul totale
2.3.5 Austria
Anche in questo Paese per il calcolo delle emissioni si segue la metodologia PIACR. Le
produzioni delle sostanze inquinanti si calcolano moltiplicando le emissioni di base per i
relativi coefficienti. Per quanto riguarda i veicoli leggeri (autovetture) si valutano le
emissioni di base per ogni categoria di veicolo in funzione della velocità media e della
pendenza longitudinale della strada. Le tabelle sono riferite all’anno 1994. Per tenere conto
dell’effettivo anno di calcolo le norme austriache forniscono il fattore di tempo ft per la
conversione. Fino al 2010, le emissioni di riferimento dell’ossido di carbonio per le
autovetture, andranno moltiplicate per 0,87, dal 2010 al 2015 per 0,80.
Per quanto riguarda i valori limiti delle concentrazioni delle sostanze inquinanti, in
galleria, è necessario far riferimento a due aspetti la tossicità dei gas che rappresenta un
forte pericolo per la salute degli utenti e il comfort di guida legato dalla visibilità
dell’atmosfera che in certi casi può determinare condizioni pericolose per la sicurezza della
circolazione. In alcuni Paesi recentemente viene consigliato di valutare pure la
concentrazione degli ossidi di azoto seguendo le raccomandazioni dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (WHO) per l’ambiente.
Il monossido di Carbonio è un gas molto tossico per l’organismo umano, poiché non
appena viene inanellato nei polmoni si combina con l’emoglobina del sangue formando la
carbossiemoglobina (COHb) e provocando, conseguentemente una riduzione della quantità
di ossiemoglobina (HbO2) che ha il compito di trasportare l’ossigeno in ogni parte del
corpo. I soggetti avvelenati da CO evidenziano tutti i sintomi caratteristici di anossia
(mancanza di ossigeno), tipizzati dall’arrossamento dei polpastrelli, delle mucose e della
cute, dovuti al colore rosso brillante della COHb. I sintomi in genere sono quelli descritti
dalle figure e dipendono dalla concentrazione di CO e dal tempo di esposizione.
Se l’affinità con il sangue del CO e dell’O2 fossero uguali, il CO sarebbe praticamente
innocuo, in quanto la quantità di COHb e HbO2 nel sangue del soggetto che respira aria
inquinata sarebbero proporzionali alle pressioni parziali dei due gas nell’aria. La
pericolosità del monossido di carbonio dipende dal fatto che la sua affinità con
36
l’emoglobina del sangue umano è circa 204 volte superiore a quella dell’ossigeno. Ciò
significa che se la concentrazione del CO nell’aria è di 1/204 volte quella dell’ossigeno,
l’emoglobina si associa per un 50 % con il CO e l’atro 50 % con l’ossigeno. Essendo la
percentuale volumetrica dell’ossigeno nell’aria del 20,9 %, tali condizioni si riscontrano
per concentrazioni di CO pari a 20,9/204 circa 0,1 % ovvero 1000 p.p.m.
Gli effetti sull’organismo umano sono visibili dalla tabella 2.11e figura 2.8.
37
Tabella 2.11 Effetti dell’ossido di carbonio secondo Niclouux, Sayers
Nella tabella 2.12 sono riportati i limiti previsti fino al 2010 per le concentrazioni del
monossido di carbonio associati a determinate condizioni di traffico della galleria. Il valore
di 100 p.p.m. corrisponde alle raccomandazioni del WHO per un esposizione di breve
periodo come quella degli utenti delle gallerie stradali. Per evitare un sovra
dimensionamento dell’impianto di ventilazione in rare situazioni di congestione si ammette
un valore più alto 150 p.p.m. Viene stabilito anche un valore limite superiore pari a 250
p.p.m.; in questa situazione è prevista la chiusura dell’accesso alla galleria. In caso di
lavori di manutenzione della galleria in esercizio, per garantire condizioni di sicurezza per
gli addetti ai lavori, il valore limite deve necessariamente essere molto più basso pari 30
p.p.m.
38
2.4.2 Opacità dell’aria per la presenza di fumi – visibilità
Tali valori possono essere espressi ancora in unità ponderali o ottiche. Esistono ottime
correlazioni fra i valori ponderali e quelli ottici in quanto per un dato aeriforme l’opacità o
il coefficiente di estinzione (o di trasparenza) è funzione lineare della massa delle di
particelle di un determinato diametro presenti nell’ambiente.
Generalmente il controllo in esercizio dell’aria della galleria si effettua con apparecchi
ottici (Opacimetri Sigrist, Westinghouse ecc.) pertanto di seguito verrà presentato il
metodo “ottico” per il controllo della quantità di fumi in galleria.
Un raggio luminoso che attraversa un ambiente con la presenza di particelle di incombusti
perde progressivamente la sua intensità secondo il principio di Lambert.
dE
K dx
E
L’integrazione fra due sezioni poste all’ascissa xo e x, distanti L , dove Eo e E
rappresentano rispettivamente l’intensità luminosa nelle sezioni poste in xo e x fornisce:
E E o e K L
ovvero
1 E
K log e
L Eo
dove:
Per garantire una buona visibilità in galleria su una distanza di 100 m il rapporto E/Eo non
deve scendere sotto 0,6.
39
Figura 2.9 Distanze di visibilità e livello di comfort in funzione dell’opacità
Nella tabella 2.12 sono riportati i coefficienti di estinzione ammissibili in galleria per
diverse situazioni di traffico. Il valore di K= 0,005 M-1 significa garantire una visibilità di
di 100 metri, per un piccolo ostacolo, compatibile per una situazione di traffico fluido con
velocità media tra 50 e 100 km/h. I limiti della tabella sono stati proposti dopo attenti studi
valutando la visibilità in galleria e comparandola con le distanze di sicurezza per la
frenatura (Fig 2.9)
CO VISIBILITA’
CONDIZIONE ANNO Estinzione Trasmissione
TRAFFICO 1995 2010 K S su 100 m
ppm ppm 10-3 m-1 %
Fluido 50 100 km/h 100 70 5 60
Congestionato 100 70 7 50
Eccezionalmente
150 100 9 40
congestionato
Lavori di manutenzione 30 20 3 75
Tabella 2.12 Valori limiti delle concentrazioni di CO e dei parametri ottici per la visibilità
40
3 CALCOLO DEL FABBISOGNO D’ARIA FRESCA
La quantità d’aria fresca per la ventilazione delle gallerie stradali, per una data situazione
di traffico, dipende dal numero dei veicoli presenti in galleria, dalle emissioni medie delle
sostanze inquinanti per veicolo e dai valori limiti delle concentrazioni ammissibili delle
sostanze inquinanti.
1 T 10 6
Q ARIA q i v, i f i f ....... L [m3/s]
3600 V Camm Camb
dove:
qi(v,i) è la produzione base del generico inquinante (i) per una fissata velocità di
percorrenza del veicolo e per un valore i della pendenza longitudinale del tracciato
in galleria al livello del mare.
fi fattore generico per tener conto delle diverse situazioni previste (altitudine,
partenza a freddo, chilometri percorsi per le autovetture dotate di marmitta
catalitica, peso dei veicolo commerciali ecc.).
Nel caso di verifica della quantità d’aria fresca richiesta in galleria per garantire condizioni
di visibilità compatibili con la sicurezza, la formula diventa:
1 T 10 3
Q ARIA q fumi v, i f i f ....... L [m3/s]
3600 V Kamm Kamb
dove
qfumi(v,i) è la produzione di fumi dei veicoli leggeri e commerciali diesel espressa in unità
di misura ottiche m2/h
41
3.1 TRAFFICO E PARAMETRI RELATIVI
Nella progettazione degli impianti di ventilazione di gallerie importanti per entità del
traffico e per la lunghezza dell’opera, è necessario valutare e definire diversi scenari
possibili. Le cose più importanti da valutare attentamente sono:
Densità del traffico per ogni corsia. Il valore può coincidere con la capacità della corsia o
può essere ridotto a un valore più basso associato a un determinato livello di servizio.
Traffico uni o bi direzionale. Nel caso di gallerie uni direzionali è necessario considerare
anche l’eventualità di una circolazione bi direzionale (caso di lavori di manutenzione)
Velocità. Spesso nelle gallerie stradali la velocità di percorrenza dei veicoli è limitata dalla
segnaletica e dai limiti imposti dal Codice della Strada. Per quanto concerne i veicoli
pesanti, la loro velocità può venir limitata dalla lunghezza delle livellette e dalla loro
pendenza. In mancanza di dati precisi si può far riferimento ai valori della tabella 2.13.
Velocità [km/h] 80 80 70 55 45 40 35
Traffico orario di punta. In galleria il traffico massimo per corsia corrisponde a una
velocità di circa 60 km/h (Traffico fluido). Nella tabella sono riportati i valori medi del
traffico di punta per corsia espresso in veicoli equivalenti (pcu/h) e le corrispondenti
densità (pcu/km) per gallerie urbane ed extraurbane. Questo valore può essere stimato
considerando il 10 % del TGM.
La direttiva Austriaca per la progettazione degli impianti di ventilazione delle gallerie
stradali, “Calcolo della domanda di aria fresca RVS 9.262 (Vienna Aprile 1997)”,
prescrive di valutare oltre la portata massima anche quella della trentesima ora di punta.
Come si può notare nella tabella 2.14 sono anche indicate due condizioni molto severe di
traffico in galleria: congestionato con velocità medie di percorrenza intorno ai 10 km/h e
traffico bloccato. Per evitare un sovradimensionamento dell’impianto di ventilazione,
specialmente per le lunghe gallerie, è consigliabile prevenire situazioni di questo tipo
attraverso una regolazione del traffico con semaforo.
42
Valori medi di densità di traffico e di traffico di punta per corsia
Gallerie extraurbane
Tipo di traffico Velocità Traffico uni-direzionale Traffico bi-direzionale
V [km/h] pcu/km pcu/h pcu/km pcu/h
Traffico fluido 60 30 1800 23 1400
congestionato 10 70 700 60 600
bloccato 0 150 0 150 0
Gallerie Urbane
Traffico fluido 60 33 2000 25 1500
congestionato 10 100 1000 85 850
bloccato 0 165 - 165 -
Tabella 2.14 Valori medi della densità di traffico (AIPCR)
p p
Tvei.equ. Tveic. 1 f equ.
100 100
dove
43
4. SISTEMI DI VENTILAZIONE
4.1 INTRODUZIONE
NATURALE
LONGITUDINALE
TRASVERSALE
Si definisce ventilazione naturale quando il moto dell’aria nella galleria avviene senza
l’ausilio di apparecchiature meccaniche, ma spontaneamente a causa delle condizioni
meteoriche e del trascinamento dell’aria da parte dei veicoli. In tutti gli altri casi si parla di
ventilazione artificiale. Essa viene suddivisa in tre tipologie di impianti:
Ventilazione semi – trasversale. L’aria viziata viene estratta trasversalmente dalla galleria,
mentre l’aria fresca entra dagli imbocchi con un flusso longitudinale.
Sistemi di ventilazione misti. Tali sistemi nascono dalla combinazione degli ultimi due
sistemi sopra definiti per ragioni economiche e tecniche.
La scelta del sistema più adatto dipende da moltissimi fattori che possono interagire fra
loro. Per chiarezza vengono inseriti in quattro categorie :
Fattori dipendenti dal traffico
Limiti del sistema di ventilazione e fattori esterni
Fattori di sicurezza per l’incendio
44
Fattori ambientali
Tra i fattori che dipendono dal tipo di ventilazione e dai relativi parametri di progetto si
trovano:
Fattori ambientali
45
coppie, intervallati longitudinalmente in modo regolare, oppure disposti solo in prossimità
dell'ingresso (Fig. 2.10 e Fig. 2.11).
In ogni caso devono lasciare libera un’area di altezza di 5 metri per garantire l’iscrizione
delle sagome dinamiche e dei relativi franchi dinamici di sicurezza dei veicoli pesanti in
transito.
I ventilatori o acceleratori o jet fans “inducono” un flusso d'aria all'interno della galleria in
tutta la sua sezione e lunghezza.
La sospensione dei ventilatori non deve essere rigida ma dotata di opportuni dispositivi
“antivibrazione”, in modo da evitare, durante il funzionamento, qualsiasi forma di
sollecitazione dinamica che potrebbe compromettere la stabilità delle apparecchiature
46
sospese.
Gli acceleratori sono inoltre dotati di appositi dispositivi di sicurezza per evitare la loro
caduta sulla carreggiata e l’interruzione, nello stesso tempo, dell'alimentazione elettrica. Il
sistema di ventilazione longitudinale si usa principalmente nelle gallerie unidirezionali,
poiché è possibile sfruttare l’effetto trascinamento dei veicoli concorde con la spinta dei
ventilatori. Inoltre, questo sistema di ventilazione, in caso d'incendio in galleria, ha un
effetto di protezione dei fumi sui veicoli a monte dell’evento. Questo sistema si può anche
usare per le gallerie bi - direzionali. In questo caso il moto dei veicoli in parte è favorevole,
e in parte contrario al flusso d’aria; ne consegue che per garantire, a parità di condizioni, la
stessa portata d’aria, sarà necessario aumentare la “spinta” dei ventilatori. In questa
situazione, può anche essere opportuno, utilizzare dei ventilatori reversibili, che possono
invertire la direzione della spinta in funzione della pressione prevalente dovuta al traffico o
alle condizioni meteorologiche esterne.
Il vantaggio principale di un impianto i ventilazione longitudinale è il costo di
realizzazione che è contenuto rispetto altri sistemi di ventilazione, poiché non necessita di
opere civili aggiuntive (centrale di ventilazione, condotte in muratura, prese d’aria fresca
e/o scarichi di aria inquinata). In compenso occorre assicurare l’energia elettrica all'interno
della galleria mediante cavi dì sezione adeguata per contenere le cadute di tensione entro il
5%; i cavi inoltre sono di tipo speciale, resistenti al fuoco e con bassa emissione di gas
tossici e/o corrosivi. Aspetti fondamentali che verranno affrontati in seguito, da non
trascurare, nel dimensionamento dell'impianto di ventilazione longitudinale sono:
Il vento ed eventualmente gli altri effetti meteorologici, che possono influire
negativamente sul sistema di ventilazione (differenza di pressione atmosferica e di
temperatura fra i due portali);
La lunghezza della galleria: più lunga è la galleria, maggiore è la quantità di
inquinanti presenti in essa, maggiore è quindi la portata d'aria necessaria;
La velocità dell'aria: in galleria non si dovrebbero superare i 10 m/s (gallerie uni-
direzionali) e gli 8 m/s (gallerie bi-direzionali) per i seguenti motivi:disturbo alla
marcia dei veicoli, soprattutto di quelli provenienti in senso contrario alla direzione
dell’aria; inconvenienti per i veicoli in avaria; rapida propagazione del fumo in caso
47
d'incendio.
La concentrazione della generica sostanza inquinante o dei fumi, in galleria, con il sistema
longitudinale di ventilazione è linearmente crescente dal portale d’ingresso a quello
d’uscita dell’aria.
Pertanto, date le condizioni di traffico, la velocità massima dell'aria, la sezione trasversale
della galleria e le concentrazioni massime degli inquinanti, si può definire una lunghezza
limite (massima) della galleria oltre la quale la ventilazione longitudinale non è possibile.
La lunghezza massima si ricava dalla formula seguente:
S wmax c max
Lmax
qo
dove:
Per i tunnel lunghi, onde superare il limite imposto dalla velocità longitudinale dell’aria,
tradizionalmente si procedeva quando ciò era possibile alla suddivisione della galleria in
tronchi collegati all’esterno con dei pozzi di ventilazione al fine di ottenere all'interno di
ogni tronco le condizioni ottimali per tale impianto. Diverse soluzioni sono state escogitate
nel tempo. Le figure 2.14, 2.15, 2.16 ne illustrano alcune tra quelle più interessanti e
frequenti.
Con questo accorgimento,laddove è possibile, si può estendere quasi indefinitamente la
lunghezza della galleria ventilata longitudinalmente. (Fig. 2.14).
48
Figura 2.14 Ventilazione longitudinale con camini
49
4.2.1 Tecnologie per la depurazione dell’aria
In molti casi soluzioni del tipo di quelle riportate in figura 2.14 e 2.15 si sono rivelate
ottime, ma in altri hanno manifestato carenze, soprattutto considerando l'inquinamento
atmosferico dell'ambiente circostante al tunnel che tale soluzione comporta.
Per ridurre l’inquinamento atmosferico nei dintorni del tunnel, si potrebbe scegliere di
sottoporre l'aria ad un processo di depurazione all'interno del tunnel stesso. Possono essere,
infatti, previste delle sezioni di “by-pass” dell'aria in cui sono alloggiati dei filtri
elettrostatici speciali che trattengono le particelle incombuste dei fumi e immettono nella
galleria l'aria depurata. Questa tecnologia giapponese, di acquisizione abbastanza recente,
riesce a filtrare fino a 300 m3/s d'aria con un rendimento di filtrazione 80 % e con una
velocità di attraversamento di 7 m/s.
Durante gli ultimi 10 anni, diversi tunnel stradali norvegesi, sono stati attrezzati con
impianti per l’abbattimento delle polveri. Queste installazioni migliorano le condizioni di
visibilità all'interno dei tunnel e/o di riducono le emissioni di particelle di incombusti
all’esterno.
Varie soluzioni sono state adottate. Tuttavia, la soluzione più affidabile si è rivelata quella
dei “precipitatori elettrostatici” che garantiscono basse perdite di pressione rispetto ai
filtri meccanici. Inoltre, la capacità di depurazione dei precipitatori elettrostatici è molto
elevata soprattutto considerando le dimensioni delle particelle che normalmente si
trovano all'interno del tunnel.
Con tale accorgimento è possibile aumentare la lunghezza di una galleria ventilata
longitudinalmente.
50
Jersey, sotto passando il fiume Hudson. Venne allora calcolata, per quella galleria, la
necessità di ricambiare l’aria per ben 42 volte in un ora che, con un sistema di ventilazione
longitudinale avrebbe imposto una velocità dell’aria di 100 km/h. Fu escogitato il sistema
di ventilazione trasversale per una portata complessiva di 1780 m3/s.
In questo sistema di ventilazione, l'aria fresca viene mandata in un condotto, parallelo
all'asse della galleria, ed immessa attraverso bocchette posizionate con passo costante
lungo il condotto (generalmente ogni 5-10 m).
L’aria viziata viene estratta da un altro condotto, anch'esso parallelo all'asse della galleria,
attraverso serrande di estrazione disposte con passo costante variabile tra i 10 e i 50 metri
(Fig. 2.17).
L'impianto è costituito da una centrale di ventilazione esterna alla galleria, nella quale
vengono ubicati i ventilatori, che aspirando aria dall'esterno, la distribuiscono lungo la
galleria. L'immissione e l'aspirazione dell'aria avvengono in maniera continua nella galleria
in direzione trasversale.
L’aria fresca immessa e quella viziata estratta in continuità trasversalmente lungo la
51
galleria, garantiscono valori costanti delle concentrazioni degli inquinanti in ogni sezione
della galleria.
Le condotte dell'aria fresca e dell’aria viziata hanno usualmente una lunghezza compresa
tra i 1000 ed i 2000 metri con sezione trasversale costante. Il flusso di aria inquinata
estratta è circa l’80% del flusso di aria fresca immesso; il restante 20% viene espulso
attraverso i portali.
I vantaggi di questo sistema di ventilazione sono: facilità di manutenzione, controllo del
livello di rumore nelle centrali di ventilazione, possibilità di risparmio energetico usando
ventilatori a portata variabile, effetti meteorologici contenuti.
Il sistema trasversale richiede opere civili costose (condotti di ventilazione in mandata ed
in aspirazione) che alzano notevolmente il costo di primo impianto.
Al fine di ridurre i costi di realizzazione, si adottano soluzioni che prevedono l'ubicazione
dei condotti di aspirazione e di adduzione immediatamente sotto la volta della galleria. Una
rete di condotti secondari consente poi l'immissione di aria fresca attraverso le bocchette
d'immissione e l’aspirazione dell'aria viziata tramite serrande di estrazione. La riduzione
dei costi dipende dalla minore sezione di scavo.
La ventilazione trasversale è prevalentemente utilizzata per le lunghe gallerie, con traffico
bidirezionale, dove l’effetto di trascinamento dell’aria da parte dei veicoli è trascurabile.
Per il calcolo di un impianto di ventilazione trasversale in galleria è necessario seguire un
procedimento, che può essere così schematizzato:
1) Studio attento delle caratteristiche meteorologiche del sito in cui è ubicata la galleria.
E' importante inoltre un'analisi approfondita delle condizioni di traffico nell'arco
della giornata. Ai fini del dimensionamento dei condotti (di adduzione e di
aspirazione) è determinante la scelta della tipologia di impianto (con i condotti in
calotta o inseriti parte in calotta e parte nel vano ricavato nella parte inferiore della
galleria).
E’ una via di mezzo fra i due tipi di ventilazione già visti, in quanto l’aria pura viene
immessa lungo tutta la galleria dal basso, come nel sistema trasversale, e l’aria
inquinata è allontanata longitudinalmente dai portali e se ci sono, dai pozzi verticali di
ventilazione. La sezione della galleria è divisa in due sole parti anziché, in tre come nel
sistema classico di ventilazione trasversale.
52
Gli impianti di ventilazione semi-trasversale presentano alcune particolarità tecniche:
Gli effetti meteorologici sono molto meno sentiti (il vento non ha un effetto
"tappo" come nel sistema longitudinale).
È richiesta una quantità di opere civili tali da innalzare il costo di primo
impianto rispetto al sistema longitudinale; si ha però il vantaggio di non
portare energia elettrica in galleria se non per l'illuminazione.
Inoltre i ventilatori in centrale sono di grandi dimensioni e, avendo rendimenti
più elevati, richiedono complessivamente meno energia.
Il controllo del rumore è più facile, essendo concentrato nella centrale di
ventilazione.
La manutenzione dei ventilatori è più agevole in quanto può avvennire nella
centrale di ventilazione, con un carro-gru a ponte, ed in condizioni ambientali
e di sicurezza migliori.
53
Figura 2.20 Ventilazione semi trasversale con aspirazione dell’aria viziata
54
5 SISTEMA FISICO E GRANDEZZE TERMOFLUIDODINAMICHE NELLA
VENTILAZIONE DELLE GALLERIE STRADALI
Il sistema fisico che si intende esaminare è costituito dallo spazio racchiuso dall’intradosso
della galleria, dagli eventuali pozzi di ventilazione e dalla presenza dei dispositivi di
movimentazione dell’aria che si rendessero indispensabili per consentire di ottenere una
ventilazione sufficiente a garantire livelli di visibilità e di inquinamento compatibili con i
limiti imposti dalle normative. Il sistema così definito interagisce in modo complesso con
l’ambiente esterno, attraverso opportune condizioni al contorno e sorgenti interne. Le
grandezze termo - fluidodinamiche rilevanti per la discrezione del sistema agli effetti della
ventilazione sono:
1. pressione dell’aria
2. velocità dell’aria
3. intensità di turbolenza dell’aria
4. temperatura dell’aria
5. concentrazione delle sostanze inquinanti
Tali grandezze sono in genere funzione del tempo e delle coordinate spaziali in un sistema
di riferimento cartesiano.
Q wS = cost
dove:
55
Conservazione della quantità di moto. Esprime l’equilibrio di tutte le forze esercitate sul
volume d’aria compreso tra le sezioni considerate.
S p1 p 2 F i 0 [KN]
In questa equazione sono comprese tutte le forze di attrito, le forze esercitate dai veicoli in
movimento (effetto trascinamento o pistone), le eventuali forze esercitate da
apparecchiature di movimentazione dell’aria (ventilatori), e dalle forze legate alle
condizioni meteoriche (forze di galleggiamento a seguito di differenti temperature dell’aria
all’interno della galleria rispetto l’esterno, forze del vento, diverse pressioni agli imbocchi
ecc.).
qi
Ci x [ppm]
Sw
Dove:
a) Resistenze distribuite
Lungo la sezione della galleria si hanno delle cadute di pressione a causa delle perdite
d’attrito lungo le pareti, delle perdite localizzate all’entrata e all’uscita ed eventualmente
all’interno della galleria in corrispondenza delle nicchie, segnaletica, dispositivi per la
sicurezza ecc.
Le resistenze di attrito continue si esprimono con la seguente espressione:
1 L
Pr w2 [Kpa]
2 Dh
in cui
4 S
Dh
U
dove:ù
56
Il coefficiente λ, adimensionale, si determina per mezzo dell’abaco di Moody, in funzione
del numero di Reynolds e della rugosità relativa delle pareti δ.
La rugosità relativa è definita come il rapporto tra l’altezza media delle asperità della
parete del condotto (rugosità assoluta) e il diametro idraulico.
Dh
Tenuto conto dell’ordine di grandezza dei parametri impiegati, nel caso delle gallerie
stradali la variazione del coefficiente di resistenza per attrito, in funzione del numero di
Reynolds e della rugosità è trascurabile. Il flusso è, infatti molto prossimo al regime
turbolento. I valori di λ attualmente impiegati nei progetti di ventilazione longitudinali e
semitrasversali sono:
1
pl w 2 [Kpa]
2
Si chiama così l’effetto di trascinamento dell’aria, nel vano chiuso di una galleria, causato
dai veicoli in movimento. Può essere favorevole al moto dell’aria, quando i veicoli
percorrono la galleria nello stesso senso di marcia della corrente dell’aria e con velocità v
maggiore di quella dell’aria w; è invece resistente al moto quando la velocità è inferiore o
quando i veicoli viaggiano nella direzione opposta. Trascurando la variazione di sezione
per la presenza dei veicoli e il loro distanziamento, tale effetto viene valutato dalla
seguente espressione valida per gallerie unidirezionali a più corsie:
C x i 1
pi i ni vi w
2
[Kpa]
i S 2
57
dove
ei = +1 vi > w
ei = -1 vi > w
COEFFICIENTE DI RESISTENZA
VEICOLI SEZIONE
Aperto Galleria
Nel caso di una galleria bidirezionale a due corsie quando il traffico è molto diverso nelle
due direzioni di marcia e quindi l’effetto trascinamento dei veicoli non è trascurabile
l’espressione diventa:
Ti C x i 1 T C i 1
vi w i x vi w
2 2
pi [KPa]
vi S 2 vi S 2
Sotto questo nome si comprendono gli effetti del vento, della differenza di pressione agli
imbocchi e dell’effetto galleggiamento dell’aria per le diverse temperature all’interno e
all’esterno della galleria.
a)Vento
1
Vw
2
pW [KPa]
2
58
in cui Vw rappresenta la componente in direzione longitudinale della galleria della velocità
del vento.
b) pressione
Quando gli imbocchi sono posizionati a quote diverse, le pressioni relative sono diverse e
possono incidere sul movimento dell’aria.
p p Pe Pu [KPa]
La differenza di temperatura dell’aria tra l’interno della galleria (Ti) e l’esterno della
galleria (Te), con i portali posizionati a quote diverse (H), o in presenza di un camino,
genera una pressione che può essere calcolata con la formula:
Ti Te
p g H g [KPa]
Ti
ρ = densità dell’aria
H = differenza di quota tra gli imbocchi o altezza del camino
Ti = temperatura media all’interno della galleria
Te = temperatura all’esterno della galleria
w
F Fo 1
wv
dove :
59
Fo Qv wv
Talvolta l’azione dei ventilatori viene tradotta direttamente in una sovrapressione statica
convertendo il momento del ventilatore:
1
pv Qv wv w
S
w2 L C x i 1
2
D h n
i
i i
S
v i w pm
2
[KPa]
Q Aria S w
w2 L C x i 1
2
D h n
i
i i
S
v i w pm pv
2
[KPa]
In questo caso stabilita la velocità longitudinale minima dell’aria in galleria w dal rapporto
tra il fabbisogno d’aria fresca stimata attraverso le produzioni degli inquinanti e l’entità e
composizione del traffico (Qaria) e la sezione della galleria S.
L’equazione di equilibrio scritta precedentemente consentirà il calcolo della sovrapressione
totale esercitata dai ventilatori per garantire le condizioni di progetto. Conoscendo le
caratteristiche meccaniche dei ventilatori sarà possibile calcolare il numero di tali
apparecchiature necessario alla ventilazione forzata in galleria.
1 L 1 2
p r uc
3 D h 2
dove:
L è la lunghezza della condotta
Dh è il diametro idraulico della condotta
L è il coefficiente di attrito (valore compreso tra 0,0125 0,0170)
R è la massa volumica dell’aria
Uc è la velocità iniziale dell’aria nel condotto (Valore ottimale 15 a 20 m/s)
61
5.5 CONTROLLO DELL’ INCENDIO E DEI FUMI
5.5.1 La combustione
Gli incendi in galleria sono abbastanza rari e in tanti anni pochi sono i sinistri che
hanno avuto conseguenze gravi per le persone, le strutture e gli impianti. In galleria
l’utente guida con maggiore prudenza, si sente in un ambiente che non gli è abituale, è
più attento e, quasi sempre, diminuisce la velocità del suo mezzo.
Pur tuttavia le conseguenze di un incendio in un ambiente che è chiuso possono essere
più serie che all’aperto a causa delle temperature che possono superare i mille gradi,
del fumo, dei possibili gas tossici, dell’oscurità (se l’illuminazione viene a mancare) e
dei fenomeni di panico tra gli utenti.
Nel mondo l’Italia è, dopo il Giappone, il paese con il maggiore sviluppo di gallerie
stradali. Grandi tunnel alpini la collegano, dalla Valle d’Aosta e dalla Valle di Susa,
alla Francia e alla Svizzera, altri sono in progetto. Le autostrade italiane, anche quelle
lungo il mare, si sviluppano per lunghi tratti in sotterraneo. Proprio per questo, in Italia,
il problema richiede una particolare sensibilità.
62
Un incendio in galleria è raramente la conseguenza di un incidente classico, intendendo
per tale la collisione fra due veicoli o l’urto di un veicolo contro una parete. In genere,
è la conseguenza di un problema meccanico dei veicoli in particolare di quelli pesanti.
Le cause principali di un incendio sono diverse e possono dipendere da:
difetti meccanici o elettrici delle autovetture, ovvero dai guasti (la cui frequenza
statistica è praticamente la stessa dei tratti all'esterno);
da incidenti (collisioni frontali, tamponamenti, urti laterali i quali però risultano
statisticamente meno frequenti in galleria rispetto ai tratti all'aperto, in quanto
l'utente guida con maggiore prudenza, a velocità inferiore e non è esposto a
rischi esterni quali lo stato del fondo stradale, le condizioni meteorologiche,
l'andamento altimetrico e planimetrico);
da guasti alle apparecchiature elettriche o elettromeccaniche installate
all'interno della galleria (cause queste ultime in verità poco frequenti).
Volendo esaminare il caso specifico dello svilupparsi di un incendio in galleria, a causa
di un incidente tra autoveicoli o per perdita incontrollata di liquidi infiammabili da
cisterne, occorre cercare di definire le conseguenze più probabili che tale circostanza
produce e di prevedere il significato di tali conseguenze in termini di sopravvivenza di
utenti coinvolti.
Questo tipo di indagine è certamente influenzato dal carattere tipicamente aleatorio
delle variabili in gioco. Come si è detto, il carico d'incendio, è quasi esclusivamente
imputabile ai veicoli coinvolti nell'incendio (i progettisti delle gallerie hanno cura di
impiegare materiali ignifughi). Tra i materiali combustibili si possono, in particolare,
annoverare:
i materiali con cui è realizzato il veicolo: sedili, pneumatici e materiali plastici
(il cui impiego si fa sempre più consistente col passare degli anni). La
combustione di questi materiali genera una ingente quantità di fumi
estremamente densi;
il carburante contenuto nel serbatoio degli autoveicoli: in caso di combustione
viene rilasciata energia termica in quantità estremamente rilevante;
il carico dei veicoli merci: la natura del carico è estremamente variabile.
Per una condizione tipica d'incendio quale quello prodotto da un'autovettura, si possono
tracciare i diagrammi illustrati nelle figure 2.21 e 2.22.
63
Come si può osservare dalla figura 1.6, nel punto di innesco dell'incendio si sviluppano
temperature dell'ordine dei 1500°C. Tale temperatura decresce rapidamente
allontanandosi dalla zona d'incendio, ma si mantiene al di sopra di 100°C fino ad una
distanza di 150 metri circa.
2000°
Temperatura (°c)
1600° 1550°
1200°
800°
400°
400°
150° 115° 80° 40°
Per quanto riguarda la produzione di fumi, il più importante risultato ottenuto dalla ricerca
e dalle prove d'incendio in galleria è la verifica dell'effetto della stratificazione.
Nel caso di particolari condizioni al contorno (ridotta velocità longitudinale dell'aria e
modesta pendenza, ecc.) i fumi caldi tendono a riempire la sezione superiore della galleria,
mantenendo la sezione inferiore libera per un certo periodo di tempo e per una limitata
estensione longitudinale.
Più precisamente, l'estensione della zona di aria "pulita", cioè non invasa dal fumo, arriva
solo fino ad una distanza di 200 m circa dall'origine del fuoco e per un tempo non
4' 2' 2' 4' 6' 8' 10' 12' 14' 20'
64
superiore ad 8 minuti. Tutto il resto della galleria viene interessato dal fumo. Tutto ciò
nell'ipotesi di una velocità dell'aria in galleria inferiore a 0.5 m/s. In tal caso, infatti, i fumi
si espandono sui due lati dell'incendio.
Se la velocità aumenta (come accade in presenza di ventilazione longitudinale), i tempi si
riducono in maniera inversamente proporzionale in quanto i fumi vengono contrastati dal
flusso dell'aria sana e riescono ad espandersi in un' unica direzione, permettendo così,
almeno da un lato, l'arrivo sul luogo dell'incendio delle squadre d'intervento.
È per questo motivo che la ventilazione longitudinale risulta essere particolarmente adatta
per le gallerie extraurbane a doppio fornice percorso da un traffico monodirezionale.
Nel caso invece di gallerie monodirezionali urbane (soggette a frequenti congestioni) e
ancor di più nel caso di gallerie bidirezionali, questo tipo di impianto comincia a mostrare i
suoi limiti.
Tornando alla figura 2.23, i fumi tendono ad espandersi nella galleria, verso l’alto, nelle
due direzioni. Quando i fumi caldi cominciano a raffreddarsi, inizia la discesa e la
miscelazione con l'aria sana. In queste condizioni, la sopravvivenza degli eventuali utenti
che si vengono a trovare direttamente o indirettamente coinvolti nell'incidente non può
essere certamente affidata all'evacuazione dagli imbocchi. Mentre infatti può essere
possibile allontanarsi dalla zona di incendio per non essere sottoposti a valori eccessivi di
temperatura (basta allontanarsi di 150 m), man mano che ci si allontana si viene avvolti dal
fumo che impedisce la visibilità e rende difficile, fino ad impedire, la respirazione.
Figura 2.24 Confronto tra i risultati del progetto EUREKA e altre curve proposte
65
Tabella 2.15 Curve – temperatura – tempo in funzione della galleria e del traffico
La ventilazione nelle gallerie stradali, oltre che per mantenere i livelli di inquinanti
nell'aria al di sotto di certi limiti, riveste una funzione fondamentale nel caso di
incendio.
La velocità di propagazione del fumo dovuto ad un incendio in un ambiente confinato
come la galleria, è un dato molto importante. I fumi dell’incendio di un'autovettura si
propagano con una velocità di 5 km/h e consentono una evacuazione relativamente
facile poiché la velocità dei fumi corrisponde al passo di una camminata spedita, ma
già l'incendio di un camioncino (8 km/h) o di un pullman (11 km/h) rappresentano forti
ostacoli per l’evacuazione per le difficili condizioni ambientali e per il fatto che non
tutti gli utenti sono degli atleti.
Si può quindi affermare che, sia pure con difficoltà, buona parte delle persone può
allontanarsi e porsi al sicuro anche senza un sistema di evacuazione dei fumi. I Vigili
del fuoco, invece, dovendo agire in prossimità dell’incendio, si troverebbero in
condizioni critiche, dovute alla vicinanza degli strati di fumi caldi.
In questo contesto assume un ruolo fondamentale l’impianto di ventilazione delle
gallerie. Esso, in caso d'incendio, deve favorire un rapido smaltimento del traffico
veicolare che si trova a valle del focolaio dell'incendio e mantenere pulita l'aria a monte
dello stesso, in modo tale da generare condizioni di sopravvivenza per le persone
bloccate in galleria e di agibilità per i VV.FF.
Il sistema di ventilazione longitudinale, nel suo normale funzionamento, si presta
66
ottimamente anche nell’eventualità di un incendio, specie nelle gallerie unidirezionali
dove il flusso dell'aria è sempre coincidente col senso del traffico. I fumi vengono
contrastati dal flusso dell'aria sana e riescono ad espandersi in un' unica direzione,
permettendo, l'arrivo sul luogo dell'incendio delle squadre di pronto intervento almeno
da una direzione.
Per le gallerie bidirezionali sarà opportuno scegliere ventilatori di tipo reversibile, per
poter eventualmente invertire il senso di flusso, in caso d'incendio, orientandolo verso
il portale più vicino o comunque più opportuno, a giudizio degli addetti alla sicurezza,
per favorire l'allontanamento dei fumi, lo smaltimento del traffico e l'intervento delle
squadre di soccorso.
Col sistema semi-trasversale in ripresa è sempre assicurata l'estrazione dei fumi dalla
galleria e l’aspirazione di aria fresca dai due portali. I ventilatori installati, però, (e ciò
vale anche per quelli sul lato aspirazione del sistema trasversale) devono resistere per
alcune ore a temperature elevate: normalmente 3 ore a 200 °C o 2 ore a 400 °C, a
seconda della distanza dall'incendio e della quantità d'aria trasportata.
Nel sistema semi-trasversale in mandata risulta opportuna l'installazione di ventilatori
reversibili (e resistenti alle alte temperature), per gli stessi motivi visti in precedenza.
Il sistema trasversale è di per sé sempre adatto a funzionare anche in caso d'incendio,
senza necessità di operazioni manuali o automatiche d'inversione dei ventilatori,
prevedendo sempre l’aspirazione ed il trasporto dei fumi in condotte.
67
CAPITOLO 3
1. INTRODUZIONE
L’illuminazione delle gallerie stradali deve assicurare, agli utenti, condizioni per la
percezione degli spazi e per la visibilità degli ostacoli, lungo tutta la galleria, tali da
garantire gli stessi livelli per la sicurezza ed il comfort di marcia dei tratti all’aperto. In
particolare sarà necessario dedicare grande attenzione all’illuminazione dei tratti iniziale e
finale di una galleria, per ridurre il disagio, che l’adattamento fisiologico dell’occhio
umano, a condizioni diverse di illuminazione, comporta all’attività di guida degli utenti.
Sebbene il sistema visivo può adattarsi anche a grandi variazioni di illuminazione, il
processo di adattamento richiede del tempo proporzionale alla differenza tra le intensità di
illuminazione. In questa situazione, la scelta della velocità da parte degli utenti assume
grande importanza. All’aumentare della velocità, a parità di condizioni di illuminazione tra
l’esterno e l’interno della galleria, aumenta lo spazio percorso in condizioni di evidente
difficoltà per l’utente. Inoltre l’aumento della velocità comporta una maggiore distanza per
l’arresto dei veicoli e, di conseguenza la necessità di distanze di visuale libere maggiori
lungo tutta la galleria ed in particolare nelle zone d’accesso.
Il processo della visione si manifesta per un insieme di fenomeni, caratterizzati da aspetti
fisico-fisiologici e psicologici che, con una sequenza complessa di eventi, dà luogo a ciò
che si chiama sensazione della luce e percezione delle forme.
L’occhio umano, organo periferico della visione, ha la funzione di ricevere il segnale
dell'energia raggiante contenuta in una banda ristretta di lunghezze d’onda (0.40.7m) e di
trasmetterlo, sotto forma di impulsi di tipo elettrico, in una zona ben precisa della corteccia
cerebrale. L'occhio umano sottoposto a un fascio di luce di intensità costante fornisce una
risposta (sensazione) che raggiunge il suo valore massimo in un tempo assai breve (<0,1
sec); questa sensazione resta poi immutata quando all’occhio continua ad arrivare la luce
del fascio luminoso. Questo significa che la risposta dell’occhio è sensibilmente funzione
della potenza del fascio di luce e non dell’energia da questo trasferita (e quindi del tempo).
Inoltre la sensazione (pur dipendendo dalla potenza) è influenzata dalla sua composizione
spettrale. Occorre tenere conto di questa caratteristica quando si vuol stabilire una
connessione tra l'entità dello stimolo e quella della sensazione.
L’occhio umano riesce ad adattarsi in un campo assai vasto dell’intensità luminosa,
potendo rilevare l'azione di fasci di luce di intensità variabile tra un minimo di 10-11
mW/cm2 (soglia assoluta) e un massimo di 1 mW/cm2. Per realizzare questa facoltà,
l'occhio richiede un certo tempo; tale periodo di tempo risulta maggiore quando si passa da
un livello più alto ad uno più basso, mentre risulta inferiore nel caso opposto.
Una volta che l'occhio umano si è adattato alla visione in un ambiente con un determinato
livello di illuminamento, esso è capace di apprezzare la differenza dell’effetto prodotto da
quel livello ad un livello inferiore o superiore solo quando la differenza tra i due livelli
eccede un valore minimo che non ha valore assoluto ma dipende dal valore del livello
iniziale.
68
Viene definito fattore di contrasto il rapporto tra la minima variazione di livello avvertibile
ed il livello di partenza.
2. GRANDEZZE FOTOMETRICHE
d
I
d
d
E
dS
I
E cos
h2
dove d è l’angolo compreso fra la perpendicolare alla superficie e la direzione
dell’intensità I.
La luminanza di una porzione infinitesimale dS di superficie in una determinata direzione è
il rapporto tra l’intensità luminosa dI da essa emessa in tale direzione e la sua area
apparente, cioè la proiezione della porzione di superficie su un piano perpendicolare alla
direzione stessa ed esprime l’effetto di luminosità che tale superficie produce sull’occhio:
69
dI
L
dS cos
70
Dal momento in cui l’utente si trova, all’esterno di una galleria, ad una distanza
dall’imbocco pari alla distanza d’arresto del suo veicolo, fino a quando si trova in
corrispondenza dell’imbocco, egli ha bisogno di controllare un tratto di strada all’interno
del tunnel. Per poter mettere in condizione il guidatore di percepire all’interno della
galleria l’andamento della strada e la presenza di eventuali ostacoli, occorre che l’interno
della galleria abbia sufficiente luminosità in rapporto alla luminosità esterna. Se la
luminosità interna è troppo bassa rispetto quella esterna, l’interno apparirà al guidatore
come un “buco nero” all’interno del quale non è possibile percepire alcun dettaglio.
L’avvicinamento ai portali delle gallerie e l’ingresso in un ambiente confinato e
illuminato artificialmente non deve provocare rallentamenti dalle conseguenze pericolose
per tutto il traffico veicolare. Si tenga altresì presente che spesso nelle gallerie in
esercizio non esiste la corsia di emergenza, né le banchine; questo fatto può provocare
disagi e lievi spostamenti nelle traiettorie dei veicoli verso il centro.
Le condizioni peggiori si riscontrano in pieno giorno, quando le luminanze
dell’ambiente esterno sono molto elevate.
Sono stati effettuati numerosi esperimenti per individuare, per diversi valori di
luminanza dell’ambiente esterno alla galleria, i livelli di luminanza minima da
assicurare all’interno d’una galleria, per consentirvi la percezione da parte di un
osservatore “adattato” alla luminanza esterna. Si sono ottenute negli anni diverse curve
in funzione del tempo di esposizione dell’ostacolo, delle sue dimensioni (ad esempio
un cartello di 20 x 20 cm2 ) del suo contrasto con lo sfondo, della probabilità di
percezione da parte degli osservatori partecipanti all’esperimento.
Negli ultimi anni, gli studi e le ricerche per una razionale illuminazione delle gallerie
stradali, ed in particolare per quelle autostradali, si sono moltiplicati nei vari Paesi
interessati, allo scopo di pervenire a soluzioni soddisfacenti per la sicurezza del traffico
ed accettabili dal punto di vista economico (Fig. ).
71
Figura 3. 2 Andamento della luminanza media, lungo l’asse delle gallerie
Raccomandazioni Guida C.I.E. 88-90
Occorre individuare soluzioni che minimizzino l’uso dell’energia elettrica richiesta per
tali impianti e che garantiscano un’elevata affidabilità, in modo da contenere al minimo
gli interventi del personale per manutenzione.
Si osserva che gli attuali criteri di dimensionamento dipendono principalmente dai tre
seguenti fattori:
volume di traffico;
composizione del traffico: la presenza o meno di traffico pesante comporta un tipo
di guida differente e necessita di un più elevato livello di illuminamento rispetto al
normale per favorire la concentrazione del conducente;
velocità di percorrenza: al variare della velocità di percorrenza di un veicolo varia
la distanza di arresto del veicolo stesso. Ciò sta a significare che all’aumentare della
72
velocità aumenta la distanza dalla quale il conducente deve poter vedere un ostacolo
all’interno della galleria.
Il progetto d’un impianto d’illuminazione artificiale in galleria, e quindi il suo costo ed
i suoi oneri d’esercizio, sono condizionati non solo dalle qualità riflettenti delle
superfici interne (pavimentazione, pareti, soffitto) ma anche dalle caratteristiche del
tratto di strada antistante l’imbocco, dalle quali dipende la luminanza esterna. E’
necessario, pertanto, che il progettista dell’impianto possa intervenire sin dall’origine
della progettazione di una galleria per studiare, in collaborazione con i progettisti delle
opere civili, tutte le misure atte a minimizzare i costi dell’illuminazione.
73
CAPITOLO 4
1. ITALIA
Con l’allegato alla circolare interministeriale del 25 agosto 2000 vengono definite le
misure di sicurezza da assumere nelle gallerie stradali di nuova costruzione al fine di
permettere principalmente la protezione e l’evacuazione degli utenti e l’intervento dei
servizi di soccorso.
La scelta del tipo di dispositivo è fatta secondo un livello di preferenza decrescente,
rispettando il seguente ordine:
comunicazioni dirette con l'esterno ogni qualvolta possono essere realizzate in
condizioni ragionevoli.
comunicazioni tra fornici, quando ci sono due fornici e questi collegamenti
possono essere realizzati tramite una camera divisoria.
galleria di sicurezza parallela se giustificata.
rifugi con via d'accesso protetta dall’incendio se nessuna delle soluzioni precedenti
è possibile.
I luoghi attrezzati per l'evacuazione e la protezione degli utenti e per l'accesso dei soccorsi
costituiscono un elemento di sicurezza essenziale. Nelle gallerie urbane questi luoghi
saranno sistematicamente previsti ed i loro accessi saranno disposti circa ogni 200 metri.
Nelle gallerie non urbane, questi luoghi attrezzati saranno previsti, a partire da una
lunghezza delle gallerie di 500 metri e posizionati ogni 400 metri.
Le comunicazioni verso l’esterno, (obbligatorie per gallerie di profondità inferiore a 15 ml
dalla superficie), accessibili unicamente ai pedoni, dovranno avere una larghezza minima
di 1,40 ml ed un'altezza di 2.20 ml. Saranno separate dalla galleria con una camera
divisoria di almeno 5 mq di superficie al suolo. Le porte avranno una larghezza minima di
0.90 ml ed un'altezza di 2 ml, e si apriranno tutte nel senso della galleria verso l'esterno.
In assenza di vie di fuga dirette con l'esterno, sarannopossibili, secondo il caso specifico,
diverse soluzioni.
Nelle gallerie a doppio foro, di lunghezza superiore ai 1000 metri, si devono prevedere by-
pass tra il fornice in cui è avvenuto l’incidente con una corsia dell’altro fornice. Queste
comunicazioni possono essere realizzate solo se sarà possibile inserire una camera
divisoria di almeno 15 mq tra i due fornici. Se ciò non fosse possibile si dovrà adottare una
soluzione prevista nel caso di galleria ad una fornice. I by-pass di comunicazione
riservati a pedoni avranno al minimo una larghezza di 1,80 ml per permettere
anche il passaggio del materiale antincendio ed un'altezza di 2,20 ml. Le porte
dovranno avere una larghezza di passaggio di 1.40 ml ed un’altezza minima di 2
ml.
74
I by-pass accessibili ai mezzi di soccorso dovranno possedere al minimo una larghezza di 5
m tra i due piedritti. La larghezza minima carrabile sarà di 3.50 m e l'altezza minima di
3,50 m dovrà essere garantita sulla medesima larghezza. Le porte saranno normalmente
chiuse in modo da evitare il passaggio d'aria e fumi tra un fornice e l'altro.
In presenza di un solo fornice bisogna prevedere o una galleria di sicurezza o dei rifugi
collegati con l’esterno della galleria con un passaggio protetto dal fuoco. Una galleria di
sicurezza parallela alla galleria principale sarà realizzata unicamente se è giustificata da
ragioni tecniche. Le comunicazioni tra la galleria principale e la galleria di sicurezza
saranno accessibili ai soli pedoni. Quando possibile, saranno dotate di una camera
divisoria.
Nel caso nessuna delle precedenti soluzioni può essere messa in atto, saranno costruiti dei
rifugi per permettere agli utenti di usufruire di un luogo sicuro nell'attesa di poter essere
evacuati . Ogni rifugio avrà una superficie di almeno 50 mq, una larghezza minima di 4 ml,
un'altezza minima di 2.20 ml ed un'altezza media di 2,50 ml. I rifugi dovranno essere
collegati all'esterno della galleria con un passaggio protetto contro l’incendio e destinato ai
soccorsi. Ovviamente occorrerà dotare questi ricoveri di una idonea capienza, valutata
dall'esame di un certo numero di probabili scenari.
La presenza dei luoghi sicuri porta come conseguenza la necessità di dotare la galleria di
tutta una serie di attrezzature indispensabili per il corretto funzionamento di tutto il
“sistema”. Tali attrezzature, integrative degli impianti ordinari di galleria, riguardano
essenzialmente:
a) una segnaletica di sicurezza per l'individuazione, in caso di necessità, l’ubicazione
dei luoghi sicuri;
b) una illuminazione di sicurezza, realizzata con lampade poste a non più di 120 cm dal
livello dei marciapiedi, per assicurare l’illuminazione anche in presenza di fumi che
possono offuscare l’impianto centrale.
L’impianto di ventilazione dei luoghi sicuri dovrà essere indipendente dal sistema di
ventilazione centrale della galleria in quanto il vano della galleria potrebbe essere
invaso dai fumi. Dovrà pertanto aspirare aria direttamente dagli imbocchi mediante la
predisposizione di idonee stazioni di pressurizzazione e canalizzazioni adduttrici.
Queste ultime possono trovare ubicazione al di sotto del piano viabile, tra l’arco
rovescio (ove questo sia presente) e la pavimentazione destinata a sopportare il traffico
veicolare.
75
Per gallerie maggiori di 500 metri è necessario prevedere piazzole di emergenza per
facilitare il parcheggio dei veicoli in caso di avaria. Le piazzole vengono anche usate
per sistemare installazioni tecniche di emergenza. Tali piazzole, larghe 3 metri, sono
lunghe 32 metri, oltre a due superfici di raccordo, in ingresso e in uscita, ciascuna
lunga 6 metri.
Le distanze tra le piazzole di emergenza possono variare tra i 250 e i 1000 metri a
seconda del tipo di strada, mentre quelle tra le aree di inversione dei veicoli pesanti
variano tra 1000 e 2000 metri. Per gallerie bidirezionali, le piazzole potranno essere
sistemate alternativamente sui due lati della carreggiata.
Le piazzole e le aree per facilitare le manovre di inversione devono essere ben
illuminate in modo che siano facilmente distinguibili dal resto della galleria.
Le manovre dei veicoli pesanti devono essere facilitate mediante la costruzione di
nicchie, larghe 8 e lunghe almeno 16 metri, poste ortogonalmente all’asse della galleria
di fronte alle piazzole.
Nelle gallerie a tre corsie è possibile fare effettuare l’inversione ai veicoli leggeri sulla
stessa carreggiata. Le piazzole e le aree di inversione non devono essere sistemate alla
fine di curve o nei pressi degli imbocchi.
Un altro elemento essenziale, per una corretta realizzazione di una galleria sono le
nicchie di sicurezza, le quali sono destinate a contenere diverse attrezzature di
sicurezza, in particolare le postazioni SOS e gli estintori.
Bisogna prevedere nicchie di sicurezza ogni circa 200 m all'interno della galleria ed in
prossimità di ogni estremità Queste ultime saranno preferibilmente poste all'esterno
della galleria. Affinché un utente possa utilizzare senza difficoltà la postazione SOS e
gli estintori messi a sua disposizione nelle nicchie, queste dovranno avere al minimo le
seguenti dimensioni:
larghezza: 1,5 ml
profondità: 1 ml
altezza: 2 ml su tutta la superficie
Eventualmente, queste dimensioni saranno adeguate in funzione delle altre attrezzature
di soccorso da installare e dì condizioni particolari. Salvo impossibilità, le nicchie non
dovranno sporgere dall'allineamento dei piedritti. Ove, eccezionalmente fossero
sporgenti, bisognerà realizzare un dispositivo particolare per proteggere gli
automobilisti e gli utenti della nicchia in caso d'impatto.
Le nicchie di sicurezza sono distinte dai luoghi attrezzati per l'evacuazione, la
protezione degli utenti e l'accesso dei soccorsi descritti precedentemente fatto che non
esclude che possano essere poste in prossimità di questi luoghi attrezzati.
Eventualmente, le attrezzature della nicchia di sicurezza possono essere installate prima
delle porte d'accesso a questi luoghi.
76
quale parametro per la scelta dei dispositivi di sicurezza; i giapponesi ed i norvegesi,
considerano anche il traffico medio giornaliero.
Sarebbe possibile stabilire delle direttive in merito alle attrezzature antincendio per le
gallerie italiane in funzione, come in Giappone e in Norvegia, della lunghezza e del
traffico medio giornaliero.
Nella determinazione di questo traffico sarebbe però opportuno tenere conto
dell’incidenza del traffico pesante. Questo si potrebbe ottenere introducendo, ad
esempio, le U.V.P., unità di vetture particolari, che assegnano ad un veicolo leggero il
coefficiente 1 e ad un mezzo pesante il coefficiente 4.
Elemento fondamentale per la sicurezza è la capacità dell'operatore d'informare
correttamente gli utenti sulle condizioni di circolazione in galleria, di ricevere
tempestivamente la segnalazione di ogni evento anomalo e di adottare nel tempo più
breve le misure richieste dalle condizioni che l'evento stesso ha creato.
Un impianto antincendio può essere di due diversi tipi: uno che si limita a segnalare
la presenza dell’incendio ed un altro che, oltre a ciò, interviene automaticamente
nell'estinzione.
Naturalmente quando scatta l'allarme vengono attivati tutti i sistemi di sicurezza
previsti che riguardano:
l’arresto del flusso di traffico in entrata nella galleria;
l'uscita dei veicoli dentro la galleria;
l'adattamento della ventilazione e della illuminazione di emergenza;
la diversificazione delle fonti che forniscono l'energia elettrica (per gallerie
importanti).
77
2. GIAPPONE
Figura 4.3 Classificazione delle gallerie in funzione della lunghezza e del TGM
AA A B C D
Attrezzature di emergenza
Telefono di emergenza ■ ■ ■ ■ -
Dispositivi di allarme Pulsante di allarme ■ ■ ■ ■ -
e di comunicazione Rilevatore di incendio ■ □ - - -
Dispositivo di allarme ■ ■ ■ ■ -
Dispositivi per lo Estintore ■ ■ ■ - -
spegnimento del fuoco Bocchetta antincendio ■ ■ ■ - -
Cartelli indicatori ■ ■ - - -
Equipaggiamenti di
Equipaggiamento di dispersione
indicazione e di fuga ■ □ - - -
dei fumi, vie di fuga
Idrante ■ □ - - -
Equipaggiamento ausiliario di
■ □ - - -
radio-comunicazione
Altri dispositivi Equipaggiamento di
ricetrasmissione, altoparlanti
■ □ - - -
Sistemi di spruzzo di acqua ■ □ - - -
Postazione di osservazione ■ □ - - -
■ = obbligatorio □ = facoltativo
78
4. DIRETTIVA 2004/54/EC PER LA SICUREZZA DELLE GALLERIE STRADALI
Nel rapporto del settembre 2001 la Commissione “Politica dei trasporti europei per il
1010” (European Transport Policy for 2010), evidenziava la necessità di considerare a
livello di Direttiva Europea, i dispositivi minimi per garantire ul alto livello di sicurezza
per gli utenti delle gallerie stradali in particolare per quelle appartenenti alla rete trans –
Europea (TERN). I recenti disastri della galleria del Monte Bianco e dei Tauri nel 1999, e
del Gottardo nel 2001 dimostrarono un livello di sicurezza insufficiente di alcune gallerie
stradali. Con l’obiettivo di prevenire gli incidenti e limitare le eventuali conseguenze venne
redatta la Direttiva 2004/54/EC che stabilisce per le gallerie in esercizio e per le nuove
costruzioni di lunghezza superiore ai 500 m, un minimo di attrezzature di sicurezza. Tale
direttiva stabilisce le responsabilità del proprietario dell’infrastruttura sia questa pubblica o
privata.
Tra gli stati membri della Comunità Europea si possono facilmente individuare diverse
gallerie stradali che progettate con specifiche da lungo tempo superate, dimostrano tutta la
loro inadeguatezza e rientrano negli obiettivi della Direttiva. Nella figura 3.1 sono indicate
il numero di gallerie di lunghezza superiore a 500 m collocate sulla rete TERN, suddivise
per Paese di appartenenza. Si può osservare che il 50 % del totale sono collocate in Italia.
Figura 4.4 Inventario 2002 delle gallerie stradali sulla rete TERN
4.1 CONTENUTI
L’obiettivo primario della Direttiva è la prevenzione di eventi critici che possono mettere
in pericolo la sicurezza degli utenti, l’ambiente e le strutture della galleria. Il secondo
obiettivo è la riduzione delle conseguenze di un eventuale incidente in galleria attraverso
le seguenti priorità:
Garantire la possibilità che l’utente coinvolto nell’incidente possa mettersi in salvo
da solo.
79
Permettere un intervento immediato dagli utenti
Assicurare una azione di soccorso efficiente ed immediata
.Protezione dell’ambiente
Limitare i danni materiali alle strutture.
Per centrare tutti gli obiettivi è necessario operare contemporaneamente su diversi livelli:
indicazioni tecniche ed organizzative.
4.1.1Indicazioni tecniche
Le proposte tecniche traggono spunto dai documenti del Comitato “Road Tunnels” del
PIARC presentati nei diversi convegni Internazionali.
Il livello di sicurezza nelle gallerie stradali è influenzato da diversi fattori che possono
comprendere: l’infrastruttura, caratteristiche operative, veicoli e gli utenti. La Direttiva
agisce direttamente sull’infrastruttura, sulle condizioni operative della stessa e sugli utenti.
Come indicatore del rischio (Intensità di traffico) in galleria può considerarsi il prodotto
del volume di traffico per la lunghezza della galleria. I valori medi di questo indicatore è
riportato nella figura 3.2 per ogni Paese della Comunità Europea. Si può osservare come i
Paesi di transito come La Germania e la Francia presentano il rischio maggiore rispetto
quei Paesi collocati ai margini dell Europa come l’Italia e la Spagna.
Figura 4.5 Intensità di traffico media nei tunnels dei paesi europei
Nelle tabelle 3.1. e 3.2 sono indicati in funzione del traffico espresso in veicoli ora per
corsia e della lunghezza della galleria le apparecchiature per la sicurezza e gli interventi di
tipo strutturale minimi.
80
Tabella 4.2. Apparecchiature per la sicurezza nelle gallerie stradali
Nel testo completo della Direttiva sono previste tutta una serie di condizioni operative nel
caso di un grave evento in galleria, la più importanti interessano la chiusura del tunnels e
l’informazioni agli utenti. I tempi necessari per gli interventi di emergenza devono essere i
più contenuti possibile e dovrebbero venire misurati durante le esercitazioni previste. E’
prevista una stretta collaborazione tra il Tunnels Manager e i servizi di emergenza.
Nelle analisi approfondite sulla dinamica di un incidente stradale emerge con chiarezza che
esso è la conseguenza di qualche errore nel sistema complesso che coinvolge l’utente, il
veicolo e la strada con l’ambiente circostante. E’ necessario, come primo passo, un ampio
81
sforzo per evitare e prevenire l’errore umano; come secondo passo bisogna assicurare che
l’errore umano non produca serie conseguenze. Le azioni possibili possono essere dirette o
indirette. La Direttiva prevede tutta una serie di informazioni per gli utenti sulla sicurezza
nelle gallerie.
5. NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Decreto Legge n.132 del 13/05/1999. Interventi urgenti in materia di protezione civile.
Decreto del Presidente della Repubblica n.495 del 16/12/1992. Regolamento di esecuzione
e di attuazione del nuovo codice della strada.
Circolare Ministeriale n.7938 del 06/12/1999. Sicurezza della circolazione nelle gallerie
stradali con particolare riferimento ai veicoli che trasportano materiali pericolosi
82
4.4 APPENDICE
Art. 1
1. Il presente decreto ha lo scopo di garantire un livello minimo sufficiente di sicurezza agli utentidella
strada nelle gallerie della rete stradale transeuropea mediante la progettazione e l'adozione dimisure di
prevenzione atte alla riduzione di situazioni critiche che possano mettere in pericolo la vitaumana,
l'ambiente e gli impianti della galleria, nonchè mediante misure di protezione in caso diincidente.
2. Il presente decreto si applica a tutte le gallerie situate nel territorio italiano appartenenti alla
retestradale transeuropea, di lunghezza superiore a cinquecento metri già in esercizio, in fase di
costruzione o allo stato di progetto.
3. Sono fatte salve le disposizioni vigenti in materia di valutazione di impatto ambientale in relazione alle
nuove strutture ricadenti nell'ambito di applicazione del presente decreto, ovvero alle modifiche
eventualmente apportate alle strutture esistenti.
Art. 2
Definizioni
83
Art. 3
Misure di sicurezza
1. I Gestori delle gallerie provvedono affinchè le gallerie di loro competenza, rientranti nel campo di
applicazione del presente decreto, soddisfino i requisiti minimi di sicurezza di cui all'allegato
2. Qualora determinati requisiti strutturali di cui all'allegato 2 possano essere soddisfatti unicamente
tramite soluzioni tecniche che non sono realizzabili o che lo sono soltanto a un costo non proporzionato,
i Gestori propongono alla Commissione di cui all'articolo 4 la realizzazione di misure di riduzione dei
rischi come soluzione alternativa a tali requisiti, purchè le misure alternative di traducano in una
protezione equivalente o accresciuta. L'efficacia di tali misure deve essere dimostrata mediante un
progetto di sicurezza contenente un'analisi di rischio effettuata in conformità alle disposizioni del
successivo articolo 13. Il Ministero delle infrastrutture informa la Commissione europea delle misure di
riduzione dei rischi approvate dalla Commissione, come soluzione alternativa, motivando la sua
decisione. Il presente comma non si applica alle gallerie che si trovano allo stato di progetto di cui
all'articolo 8.
Art. 4
1. Le funzioni di autorità amministrativa previste nella direttiva 2004/54/CE per tutte le gallerie situate
sulla rete transeuropea ricadente nel territorio nazionale sono esercitate dalla Commissione istituita
presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici.
2. La Commissione è composta dal Presidente della sezione competente del Consiglio superiore dei
lavori pubblici, che la presiede, da un rappresentante del Ministero della infrastrutture designato dal
Ministro, da un rappresentante del Ministero dei trasporti designato dal Ministro, da un rappresentante
del Ministero dell'interno designato dal Ministro, da un rappresentante del Dipartimento della protezione
civile, da tre componenti del Consiglio superiore dei lavori pubblici. La Commissione è nominata con
provvedimento del Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dura in carica quattro anni.
3. La Commissione assicura il rispetto da parte dei gestori di tutti gli aspetti di sicurezza di una galleria,
emanando, ove necessario, disposizioni volte a garantirne l'osservanza.
4. Per i trafori internazioni ricadenti nella rete transeuropea, tali funzioni sono svolte dalle relative
missioni intergovernative che si avvalgono anche dei comitati di sicurezza già dalle stesse istituiti. Nel
caso in cui esistano due autorità amministrative distinte, le decisioni di ciascuna di esse, ell'esercizio
delle rispettive competenze e responsabilità relative alla sicurezza della galleria, sono adottate previo
accordo dell'altra autorità.
5. La Commissione approva i progetti per l'attuazione delle misure di sicurezza di cui all'articolo 3
predisposti dal Gestore della galleria ed effettua le ispezioni, le valutazioni ed i collaudi di cui all'articolo
11.
6. La Commissione provvede alla messa in servizio delle gallerie non aperte al traffico alla data di
pubblicazione del presente decreto, secondo le modalità fissate nell'allegato 4.
8. La Commissione individua le gallerie che presentano caratteristiche speciali e per le quali occorre
prevedere misure di sicurezza integrative o un equipaggiamento complementare.
10. La Commissione può sospendere o limitare l'esercizio di una galleria se i requisiti di sicurezza non
sono rispettati e specifica le condizioni per ristabilire le situazioni di traffico normali. Tale provvedimento,
84
qualora comporti gravi e lunghe perturbazioni del traffico, sarà adottato d'intesa con gli uffici territoriali di
governo competenti e dovrà anche indicare i percorsi alternativi.
11. La Commissione si avvale delle competenze e dell'organizzazione del Consiglio superiore dei
lavori pubblici, con oneri a carico dei Gestori.
Art. 5
Art. 6
Art. 7
85
1. Il Ministero delle infrastrutture notifica alla Commissione europea il nome e l'indirizzo della
Commissione il giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto. Nel caso di
modifiche di tali dati, lo stesso Ministero ne informa la Commissione europea entro novanta giorni.
Art. 8
Art. 9
Gallerie il cui progetto preliminare è già stato approvato ma che non sono ancora aperte al
traffico
1. La Commissione valuta la conformità con i requisiti di cui al presente decreto, con un particolare
riguardo alla documentazione di sicurezza prevista dall'allegato 4, di tutte le gallerie il cui progetto
preliminare è già approvato ma che non sono state aperte al traffico entro il 1° maggio 2006.
2. La Commissione, se accertata che una galleria non è conforme alle disposizioni del presente
decreto, comunica al Gestore la necessità di adottare le pertinenti misure per aumentare la sicurezza
e ne informa il Responsabile della sicurezza.
3. In tal caso la galleria è messa in esercizio secondo la procedura prevista dall'allegato 4.
4. Agli oneri derivanti dall'attuazione delle misure previste dal presente articolo i gestori provvedono
senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 10
Art. 11
86
Funzioni ispettive
1. La Commissione è responsabile delle ispezioni, delle valutazioni e dei collaudi per tutte le gallerie
situate sulle strade appartenenti alla rete transeuropea ricadenti nel territorio nazionale. La
Commissione per tali attività si avvale di ingegneri, che hanno superato l'esame di qualificazione
previsto dall'art. 12 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, con
particolare riferimento alla funzione di tutela e controllo dell'uso della strada di cui all'articolo 11 dello
stesso decreto, appartenenti al Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonchè all'Amministrazione
centrale e periferica del Ministero delle infrastrutture, che si avvalgono di collaboratori appartenenti
all'Amministrazione centrale e periferica del medesimo Ministero.
2. La Commissione si avvale di ingegneri del Dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e
della difesa civile, designati dal Capo del Corpo, con competenza specifica nelle materie attinenti
all'antincendio, ai piani di evacuazione ed esodo e alle problematiche di difesa civile, che si
avvalgono di collaboratori appartenenti all'Amministrazione centrale e periferica del Ministero
dell'interno.
3. Per i trafori internazionali, le relative Commissioni intergovernative possono avvalersi per le
ispezioni dei comitati di sicurezza già da esse istituiti.
Art. 12
Ispezioni periodiche
1. La Commissione verifica che le ispezioni periodiche eseguite dal personale di cui all'articolo 11,
commi 1 e 2, vengano effettuate al fine di garantire la conformità delle gallerie di cui all'articolo 1,
comma 2, alle disposizioni del presente decreto.
2. Il periodo intercorrente fra due ispezioni consecutive di una galleria non deve superare i sei anni.
3. La Commissione, se in base alla relazione di ispezione, constata che una galleria non è conforme
alle disposizioni di cui al presente decreto, comunica al Gestore ed al Responsabile della sicurezza
le misure destinate ad accrescere la sicurezza della galleria. La Commissione definisce le condizioni
per il mantenimento in esercizio o la riapertura che si applicheranno fino al completamento degli
interventi correttivi, nonchè qualsiasi altra restrizione o condizione pertinente.
4. Qualora le restrizioni per la circolazione abbiano durata superiore alle quarantotto ore o qualora si
abbia giustificato motivo che potrebbero sorgere problemi di ordine pubblico, queste devono essere
adottate d'intesa con gli Uffici territoriali del governo competenti.
5. La gallerie è soggetta ad una nuova autorizzazione di esercizio, secondo la procedura prevista
dall'allegato 4, nei casi in cui gli interventi correttivi comportino modifiche sostanziali nella
costruzione e nel funzionamento, una volta realizzati tali interventi.
6. I gestori provvedono a predisporre tutte le misure necessarie allo svolgimento delle ispezioni.
7. Agli oneri derivanti dall'attuazione delle misure previste dal presente articolo i gestori provvedono
senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 13
Analisi di rischio
1. L'analisi di rischio viene effettuata da un soggetto terzo o funzionalmente indipendente dal gestore
della galleria, con oneri a carico del gestore stesso.
2. L'analisi di cui al comma 1 riferita ad una determinata galleria tiene conto di tutti gli elementi
inerenti alle sue caratteristiche progettuali e delle condizioni del traffico che incidono sulla sicurezza
e segnatamente le caratteristiche ed il tipo di traffico, la lunghezza e la geometria della galleria,
nonchè il numero previsto di veicoli pesanti in transito giornaliero.
3. L'analisi di rischio deve essere svolta, secondo le modalità previste nell'allegato 3, per le gallerie
esistenti che presentano carenze rispetto ai requisiti di sicurezza di tipo strumentale di cui all'allegato
2, ovvero per quelle gallerie che presentano caratteristiche speciali di cui all'articolo 4, comma 8.
L'analisi di rischio deve dimostrare che opportune misure di sicurezza alternative o integrative,
rispetto a quelle previste nell'allegato 2, siano tali da realizzare condizioni con livello di protezione
equivalente o accresciuta rispetto agli obiettivi di sicurezza definiti dall'articoo3, con particolare
riferimento alla sicurezza degli utenti, del personale addetto, dei servizi di soccorso in genere e dei
servizi resi dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
4. Il contenuto e i risultati dell'analisi di rischio devono essere inseriti nella documentazione di
sicurezza trasmessa alla Commissione.
5. LA Commissione provvede a formare ed a tenere aggiornato il catalogo delle analisi di rischio
approvate. Il catalogo è composto da due sezioni, una relativa alle verifiche di equivalenza con il
criterio comparativo, per le gallerie esistenti che presentano carenze di requisiti di sicurezza di tipo
strutturale e l'altra per le analisi integrative delle misure di sicurezza, per le gallerie che presentano
caratteristiche speciali di cui all'articolo 4, comma 8.
6. La Commissione, in assenza di sufficienti e documentate garanzie di livello prestazionale, chiede,
ove lo ritenga necessario e con oneri a carico del gestore, il collaudo tecnico dei sottosistemi adottati
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come misure di sicurezza alternative o integrative nelle analisi di rischio per la compensazione delle
carenze di requisiti a carattere strutturale, al fine di accertare l'affidabilità e l'efficienza, che
caratterizzano la loro prestazione.
Art. 14
Art. 15
Relazioni periodiche
1. La Commissione compila ogni due anni relazioni sugli eventuali incendi verificatisi nelle gallerie e
sugli incidenti recanti pericolo per la sicurezza degli utenti della strada nelle gallerie, nonchè sulla
frequenza e sulle cause di tali incidenti, sentito il Dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso
pubblico e della difesa civile, valuta e fornisce informazioni sul ruolo effettivo e sull'efficacia delle
infrastrutture e delle misure di sicurezza.
2. Il Ministero delle infrastrutture trasmette le relazioni di cui al comma 1 alla Commissione europea
entro la fine di settembre dell'anno seguente al periodo oggetto della relazione.
3. Il Ministero delle infrastrutture elabora, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a
legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, un
piano comprendente un programma per l'applicazione progressiva delle disposizioni del presente
decreto alle gallerie già in esercizio di cui all'articolo 10 e lo notifica entro il 30 ottobre 2006 alla
Commissione europea. Successivamente, il Ministero informa la Commissione europea ogni due
anni sullo stato di attuazione del piano e sugli eventuali adeguamenti, fino al 30 aprile 2019.
4. Il Ministero delle infrastrutture presenta annualmente una relazione al Parlamento sugli interventi
di adeguamento posti in essere nel corso dell'anno e su quelli che si intendono realizzare nell'anno
successivo, sulla base di priorità connesse al volume del traffico ed alla potenziale pericolosità delle
gallerie. La prima relazione è trasmessa al Parlamento entro il 30 giugno 2007.
Art. 16
Sanzioni
1. E' soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da cinquantamila euro a
centocinquantamila euro il Gestore il quale:
a) non adotti le misure di sicurezza di cui all'articolo 3, commi 1 e 2;
b) ometta di nominare il responsabile della sicurezza ed il suo sostituto.
2, E' soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa da diecimila euro a cinquantamila euro il
Gestore il quale:
a) ometta di redigere o trasmettere il rapporto di cui all'articolo 5, comma 3;
b) ometta di trasmettere la relazione tecnica di cui all'articolo 5, comma 4;
c) ometta di curare gli adempimenti di cui all'articolo 10, commi 1, 3 e 5.
3. E' soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila euro a
venticinquemila euro il responsabile della sicurezza il quale ometta di esercitare le funzioni e le
mansioni di cui all'articolo 6, comma 3, del presente decreto. Alla stessa sanzione è soggetto il
sostituto del responsabile della sicurezza il quale, nei casi di indisponibilità del responsabile della
sicurezza, ometta di svolgere i compiti di quest'ultimo.
4, Le sanzioni sono irrogate dal Direttore del Provveditorato regionale ed interregionale per le opere
pubbliche competente per territorio.
5. AL procedimento sanzionatorio si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge
24 novembre 1981, n. 689.
88
Art. 17
Disposizioni finanziarie
1. Gli oneri derivanti dall'attuazione degli articoli 4, 8, 9, 10, 11, 12 e 14, sono posti a carico dei
Gestori sulla base del costo effettivo del servizio e secondo tariffe da determinarsi con decreto del
Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro dell'interno ed il Ministro dell'economia e delle
finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalal data di pubblicazione del presente decreto. Per
l'esame dei progetti di qualunque importo, in prima applicazione, si fa riferimento a quanto previsto
dall'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245, convertito, con modificazioni,
dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21.
2. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica.
Art. 18
Disposizioni finali
1. Il Ministro delle infrastrutture aggiorna con proprio provvedimento gli allegati al presente decreto
nel rispetto della direttiva 2004/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004.
Art. 19
Entrata in vigore
1. Le disposizioni del presente decreto hanno effetto a decorrere dal giorno successivo a quello della
sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti
normativi della Repubblica italiana. e' fatto obbligo a chiunque spetti di osservare e di farlo
osservare.
Dato a Roma, addì 5 ottobre 2006
NAPOLITANO
Prodi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Bonino, MInistro per le politiche europee
Di Pietro, Ministro delle infrastrutture
D'Alema, Ministro degli affari esteri
Mastella, Ministro della giustizia
Padoa Schioppa, Ministro dell'economia e delle finanze
Amato, Ministro dell'interno
Bianchi, Ministro dei trasporti
Visto, il Guardasigilli: Mastella
ALLEGATO 1
89
realizzazione di misure di sicurezza, in modo congruente alle caratteristiche del contesto sociale,
economico, politico del paese nel quale è realizzata l'opera.
CONSEGUENZA
Risultanza dell'accadimento di un vento pericoloso sulla popolazione esposta, sulla struttura,
sull'economia, sull'ambiente.
CURVA DI DEFLUSSO
Curva rappresentativa della variazione della velocità media della corrente veicolare in funzione della
densità di flusso.
DENSITA' DI FLUSSO
Rapporto tra i veicoli equivalenti transitati in una sezione stradale rispetto ai veicoli equivalenti
smaltibili nella stessa unità di tempo.
ESERCIZIO STRADALE
Fruizione dell'infrastruttura nel rispetto delle regole che disciplinano il comportamento degli utenti e il
deflusso veicolare, atte a soddisfare le esigenze della domanda di traffico nel rispetto di
predeterminati standard di sicurezza.
EVENTO ELEMENTARE
Singolo accadimento di una successione di eventi consequenziali
EVENTO INIZIATORE
Accadimento all'origine di una catena di eventi successivi che determinano nel loro complesso uno
scenario di pericolo caratterizzato da una specifica distribuzione di conseguenze che identificano il
danno ad esso associato.
EVENTO RILEVANTE
Evento caratterizzato da bassa probabilità di accadimento ed elevate conseguenze.
FLUSSO VEICOLARE
Numero di veicoli transitati in una sezione stradale nell'unità di tempo conteggiati indipendentemente
dalle loro caratteristiche tipologiche.
GALLERIA SPECIALE
Galleria alla quale sono associate caratteristiche geometriche, funzionali e ambientali che possono
indurre condizioni di pericolo per gli utenti tali da richiedere, suffragata da analisi di rischio ,
l'adozione di misure di sicurezza integrative.
GALLERIA VIRTUALE
Galleria che possiede tutte le misure di sicurezza corrispondenti ai requisiti minimi obbligatori previsti
dall'ALLEGATO 2 non affette da malfunzionamento.
GESTORE DELL'INFRASTRUTTURA
Soggetto incaricato della realizzazione, della manutenzione dell'infrastruttura stradale e della
gestione in sicurezza della circolazione.
INCIDENTE
Evento, o serie di eventi, non intenzionali che causano danni a persone, a cose e all'ambiente
ovvero la disfunzione di un sistema o di un servizio.
INCIDENTALITA' SPECIFICA
Numero di eventi incidentali verificatisi nell'unità di tempo e di sviluppo della strada rapportati ai
veicoli transitati nella stessa sezione e nello stesso tempo.
INDICE DI RISCHIO
Indicatore quantitativo di rischio espresso in funzione della probabilità di accadimento di un evento
incidentale e dell'entità delle conseguenze da esso derivanti.
LIVELLO DI RISCHIO ACCETTABILE
Livello di rischio proprio della galleria virtuale.
LIVELLO DI RISCHIO TOLLERABILE
Livello di rischio associato al livello globale di sicurezza del sistema galleria rispondente ai requisiti
minimi di sicurezza.
LIVELLO DI SERVIZIO
Condizione tipica di deflusso caratterizzata dalla densità veicolare e dalla velocità media di transito.
LIVELLO GLOBALE DI SICUREZZA
Livello di sicurezza del sistema galleria fornito dalle misure di sicurezza installate
LUNGHEZZA DI TRANSIZIONE
Sviluppo stradale di limitata estensione ove, in fase di esercizio, l'utente adegua la marcia a diverse
situazioni geometrico-funzionali.
MALFUNZIONAMENTO
Condizione funzionale delle misure di sicurezza diversa dalle condizioni di progetto e caratterizzata
da una specifica probabilità che essa possa determinare una condizione di pericolo ed un
conseguente danno.
MANOVRE A RISCHIO
manovre che il conducente del veicolo effettua in debito di sicurezza.
MANOVRE ILLEGALI
Manovre che il conducente del veicolo effettua in contrasto con i disposti legislativi e/o regolamentari
90
che regolano l'esercizio stradale.
MANOVRE IN EMERGENZA
Manovre che il conducente del veicolo effettua per evitare l'incidente in situazioni critiche impreviste
e/o imprevedibili
MISURE DI EQUIVALENZA
Provvedimenti adottabili per conseguire un livello globale di sicurezza equivalente quanto non siano
tecnicamente od economicamente realizzabili uno o più dei requisiti minimi caratterizzanti una classe
di gallerie.
MISURE DI SICUREZZA
Provvedimenti strutturali, impiantistici, gestionali mirati a ridurre a probabilità di accadimento e/o le
conseguenze di eventi incidentali.
MISURE DI SICUREZZA INTEGRATIVE
Provvedimenti complementari che integrano i requisiti minimi di sicurezza e sono finalizzati al
perseguimento di un minore livello di rischio per le gallerie che presentano caratteristiche speciali
rispetto ai parametri di sicurezza, tali da determinare condizioni di maggiore potenziale pericolo.
POPOLAZIONE ESPOSTA
Insieme costituito dagli utenti, dal personale di esercizio, dal personale addetto al soccorso.
PREVENZIONE
Misure ed azioni intese a ridurre la probabilità di accadimento di un evento pericoloso.
PROBABILITA' DI INCIDENTE
Sommatoria delle probabilità individuali di incidente estesa al flusso transitato su un tronco stradale
in un definitivo arco temporale.
PROBABILITA' INDIVIDUALE DI INCIDENTE
Sommatoria delle produttorie delle probabilità degli eventi elementari intercettati da ciascun percorso
critico dell'albero degli eventi.
PROBABILITA' DI MALFUNZIONAMENTO
Rapporto normalizzato tra il numero di eventi anomali rispetto al totale degli eventi possibili nelle
condizioni di ordinario funzionamento.
PROTEZIONE
Misure ed azioni intese a ridurre le conseguenze di un evento pericoloso.
QUALIFICAZIONE FUNZIONALE DELLA STRADA
Caratterizzazione dell'itinerario stradale in funzione della tipologia prevista del CdS e dell'ambito
territoriale attraversato.
REQUISITI DI SICUREZZA
Provvedimenti strutturali, infrastrutturali ed impiantistici necessari a garantire il livello globale di
sicurezza associato alla soglia di rischio tollerabile.
RISCHIO
Legame analitico tra probabilità di accadimento di un evento ed entità delle conseguenze da esso
derivanti, inclusiva delle incertezze connesse alla stima delle grandezze di definizione.
SCENARIO
Una successione di eventi che descrive, a partire da un dato evento iniziatore, le modalità
condizionate dalle misure di sicurezza adottate, che inducono determinate conseguenze.
SISTEMA GALLERIA
E' il complesso costituito dagli elementi strutturali, dall'ambiente circostante l'opera, dal traffico,
pertinente l'opera e l'ambiente, dalle dotazioni di sicurezza impiantistiche e dalla procedure di
gestione che caratterizzano n tracciato sotterraneo della strada.
SITUAZIONI CRITICHE
Condizioni strutturali, ambientali e/o funzionali che determinano un'elevata probabilità di
accadimento e/o gravi conseguenze per un evento incidentale.
TASSO INCIDENTALE
Numero di eventi incidentali per unità di sviluppo
TRONCO STRADALE
Sezione longitudinale di un itinerario stradale dello sviluppo di alcuni chilometri caratterizzata da
omogeneità strutturali, di traffico o funzionali.
VALUTAZIONE DI EQUIVALENZA
Analisi di rischio atta a verificare in forma quantitativa l'equivalenza ai fini del perseguimento di un
livello globale di sicurezza tra provvedimenti previsti in alternativa ad eventuali requisiti minimi non
realizzati e/o non realizzabili.
VEICOLI EQUIVALENTI
Quantificazione del flusso veicolare nell'unità di tempo espressa riconducendo tramite l'adozione di
opportuni coefficienti di equivalenza le diverse componenti di traffico ad un'unica tipologia veicolare.
ZONA DI APPROCCIO ALLA GALLERIA
Tratta stradale precedente l'ingresso in galleria ove le condizioni di esercizio possono influenzare la
sicurezza della marcia in sotterraneo.
ZONA IN USCITA ALLA GALLERIA
91
Tratta stradale precedente l'ingresso in galleria ove le condizioni di esercizio possono influenzare la
sicurezza della marcia in sotterraneo.
ALLEGATO 2
MISURE DI SICUREZZA
1. Criteri per decidere sulle misure di sicurezza
1.1. Parametri di sicurezza
1.1.1. Le misure di sicurezza da realizzare in una galleria devono basarsi su una considerazione
sistematica di tutti gli aspetti del sistema consistenti nell'infrastruttura, l'esercizio, gli utenti e i veicoli.
1.1.2. Si tiene conto dei seguenti parametri quali:
- lunghezza della galleria,
- numero di fornici,
- numero di corsie,
- geometria della sezione trasversale,
- allineamento verticale e orizzontale,
- tipo di costruzione,
- traffico unidirezionale o bidirezionale,
- volume di traffico per fornice (compresa la distribuzione nel tempo),
- rischio di congestione (giornaliero o stagionale).
- tempo di intervento dei servizi di pronto intervento,
- presenza e percentuale di veicoli pesanti,
- presenza, percentuale e tipo di trasporto di merci pericolose,
- caratteristiche delle strade di accesso,
- larghezza delle corsie,
- considerazioni relative alla velocità,
- condizioni geografiche e meteorologiche,
1.1.3. Se una galleria ha una caratteristica speciale riguardante i summenzionati parametri, occorre
effettuare un'analisi di rischio conformemente all'articolo 13 del decreto per stabilire se siano
necessari misure di sicurezza integrative e/o un equipaggiamento complementare per garantire un
livello elevato di sicurezza della galleria. Questa analisi di rischio deve tener conto di eventuali
incidenti, che pregiudicano manifestamente la sicurezza degli utenti della strada nelle gallerie e che
possono verificarsi durante la fase di esercizio nonchè della natura e dell'ampiezza dello loro
possibili conseguenze.
92
del traffico giornaliero e se il traffico giornaliero stagionale supera significativamente la media annua
del traffico giornaliero stagionale supera significativamente la media annua del traffico giornaliero,
devono essere valutati i rischi supplementari e di essi occorre tenere conto aumentando il volume di
traffico della galleria ai fini dell'applicazione dei paragrafi che seguono.
2. Misure infrastrutturali
2.1. Numero di fornici e di corsie
2.1.1. I principali criteri per decidere se si debba costruire una galleria a fornice singolo o doppio
devono essere il volume di traffico previsto e la sicurezza, prendendo in considerazione aspetti quali
la percentuale di automezzi pesanti, il dislivello e la lunghezza.
2.1.2. Le gallerie in fase di progettazione, la cui previsione a 15 anni indica che il volume di traffico
supererà i 10.000 veicoli al giorno per corsia, devono essere realizzate a doppio fornice con traffico
unidirezionale, fermo restando l'obbligo, stabilito dalle norme emanate ai sensi dell'art. 13 del
decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, di realizzare gallerie a doppio foro per i tipi di strada a
carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico. la realizzazione dei due fornici piò avvenire
anche per fasi, previa autorizzazione della Commissione permanente per le gallerie.
2.1.3. Fatta eccezione per la corsia di emergenza, il numero di corsie deve restare lo stesso tanto
all'esterno che all'interno della galleria. ogni cambiamento dell'organizzazione della piattaforma deve
intervenire ad una distanza dal portale della galleria allmeno pari a quella percorsa in 10 secondi da
un veicolo che procede alla velocità di progetto della strada. Se particolari circostanze non
consentono di rispettare questa distanza, devono essere adottate misure supplementari e/o
rafforzative per aumentare la sicurezza.
2.1.4. Nel caso di gallerie di nuova costruzione, la corsia di emergenza in galleria può essere
sostituita da una banchina pavimentata di dimensioni tali da consentire la funzione di franco
psicotecnico e, là dove necessario, la funzione di sosta di emergenza, previa analisi di rischio di cui
all'art. 13 del decreto.
93
di emergenza, se mancanti, tramite apposita analisi di rischio.
2.3.8. Quando sono previste uscite di emergenza, la distanza tra due di esse non deve superare i
500 m.
2.3.9. Mezzi appropriati, ad esempio porte, devono impedire la propagazione del fumo e del calore
nelle vie di fuga dietro l'uscita di emergenza, consentendo così agli utenti di raggiungere l'esterno in
condizioni di sicurezza e ai servizi di pronto intervento di accedere alla galleria.
2.6. Drenaggio
2.6.1. Se il trasporto di merci pericolose è autorizzato, il drenaggio di liquidi infiammabili e tossici è
effettuato tramite canali di scolo appositamente realizzati o altri dispositivi all'interno delle sezioni
trasversali delle gallerie. Tale sistema di drenaggio deve essere progettato e mantenuto in funzione
in modo da impedire incendi nonchè il propagarsi di liquidi infiammabili e tossici all'interno di un
fornice e tra i fornici.
2.6.2. Se nelle gallerie esistenti non è possibile soddisfare tali requisiti, o è possibile soddisfarli solo
a un costo sproporzionato, se ne deve tenere conto al fine di decidere se autorizzare il trasporto di
merci pericolose, sulla base di un'analisi dei pertinenti rischi.
2.8. Illuminazione
2.8.1. L'illuminazione ordinaria deve essere prevista in modo tale da assicurare una visibilità
adeguata ai conducenti nella zona di ingresso e all'interno della galleria, di giorno e di notte, nel
rispetto delle norme fissate con D.M. n. 3476 del 14.09.05.
2.8.2. L'illuminazione di sicurezza deve essere prevista in modo tale da fornire un minimo di visibilità
agli utenti della galleria, per consentire loro di abbandonare quest'ultima con i loro veicoli in caso di
interruzione dell'alimentazione elettrica.
2.8.3. I sistemi di illuminazione finalizzati a consentire l'evacuazione della galleria, quali i segnali
luminosi di evacuazione posti a un'altezza non superiore a 1,5 m, devono guidare gli utenti che
sgombrano la galleria a piedi in caso di emergenza.
2.9. Ventilazione
2.9.1. nella progettazione, costruzione e esercizio dell'impianto di ventilazione si deve tenere conto
dei seguenti elementi:
- controllo degli inquinanti emessi dagli autoveicoli, nel caso di flussi di traffico normali e nei pichi di
tarffico,
- controllo degli inquinanti emessi dagli autoveicoli in caso di arresto del traffico per incidenti,
- controllo del calore e del fumo in caso di incendio.
2.9.2. In tutte le gallerie di lunghezza superiore a 1000 m e con un volume di traffico superiore a
94
2000 veicoli per corsia deve essere installato un impianto di ventilazione meccanica.
2.9.3. Nelle gallerie con traffico bidirezionale e/o unidirezonale congestionato, la ventilazione
longitudinale è consentita solo se l'analisi di rischio di cui all'articolo 13 del decreto indica che essa è
accettabile e/o sono adottate misure specifiche, come ad esempio un'adeguata gestione del traffico,
minori distanze tra le uscite di emergenza, estrazioni intermedie dei fumi.
2.9.4. Nelle gallerie in cui è neecssario un impianto di ventilazione meccanica e non è consentita la
ventilazione longitudinale ai sensi del punto 2.9.3., devono essere utilizzati impianti di ventilazione
trasversale o semitrasversale. Tali impianti devono permettere di evacuare i fumi in caso di incendio.
2.9.5. Nelle gallerie di lunghezza superiore a 3000 m con traffico bidirezionale, con un volume di
traffico superiore a 2000 veicoli per corsia, con un centro di controllo e con un impianto di
ventilazione trasversale o semitrasversale, devono essere adottate le seguenti misure minime per
quanto concerne la ventilazione:
- installazione di dispositivi di estrazione dell'aria e del fumo azionabili separatamente o a gruppi;
- controlo costante della velocità longitudinale dell'aria e conseguente regolazione del processo di
controllo dell'impianto di ventilazione (estrattori, ventilatori, ecc.).
95
2000 veicoli per corsia devono essere installati impianti per ritrasmissioni radio ad uso dei servizi di
pronto intervento.
2.16.2. Se vi è un centro di controllo, deve essere possibile interrompere le ritrasmissioni radio degli
eventuali canali destinati agli utenti della galleria per diffondere messaggi di emergenza.
2.16.3. I rifugi e le altre strutture in cui gli utenti della galleria in fase di evacuazione sono tenuti ad
aspettare prima di poter raggiungere l'esterno devono essere dotati di altoparlanti per comunicare
informazioni agli stessi utenti.
2.18. resistenza e reazione al fuoco degli impianti e sistemi e dei loro componenti
Il livello delle caratteristiche di resistenza e reazione al fuoco dei componenti di tutti gli impianti e
sistemi della galleria deve tenere conto della loro strutturazione e grado di esposizione all'incendio e
delle possibilità tecnologiche, e deve consentire il mantenimento delle necessarie funzioni di
sicurezza in caso di incendio.
TIP.
REQUISITO RIF.TO NOTE
(1)
OBBLIGATORIO
obbligatorio se le previsioni su 15 anni
2 o più fornici S 2.1.2 indicano traffico > 10.000 veicoli/corsia
Misure
per
supplementari
pendenza S 2.2.3 Obbligatorie di rischio
tramite analisi
long. >3%
Banchine pedonabili di emergenza
S 2.3.1
Obbligatorie con interdistanza
massima
500 m se il volume di traffico è > 2000
Uscite di emergenza S 2.3.6-8 veicoli per
corsia
96
Ventilazione meccanica: bidirezionale e volume di traffico >
2000 veicoli per corsia, la V.
disposizioni speciali per la v. (semi)trasversale deve prevedere:
(semi)trasversale I 2.9.5 estrazione fumi azionabile
separatamente o a gruppi regolazione
del processo di controllo dell'impianto
di
ventilazione
Obbligatorie idranti a
Erogazione idrica I 2.11 conmax 250 m interdistanze
Obbligatorio secondo prescrizioni
Segnaletica stradale I 2.12 dell'allegato 5
Obbligatorio per G. di L > 3000 m con
Centro di controllo I 2.13.1 volume di traffico > 2000 veicoli per
corsia
Impianti di sorveglianza:
telecamere +
Obbligatorio nelle gallerie servite da un
rilevamento automatico incidente I 2.14.1 centro di controllo
e/o
incendio
Impianto per chiudere la galleria:
I 2.15.1 Obbligatorio per G. di L. > 1000 m
semafori agli imbocchi
Sistemi di comunicazione: ritrasmissioni Obbligatorio per gallerie di L > 1000 m
I 2.16.1 con volume di traffico > 2000 veicoli
per corsia
Sistemi di
comunicazione:
messaggi di emergenza Obbligatorio per
gallerie di L > 3000
via radio destinati m servite da un
agli I 2.16.2 centro di controllo
utenti
della galleria
Alimentazione elettrica di
I 2.17.1
emergenza
Resistenza e reazione al fuoco
degli impianti e sistemi e dei loro Devono consentire
il mantenimento
I 2.18 delle necessarie
funzioni di
sicurezza
componenti
OBBLIGATORIO CON ECCEZIONI
Obbligatorio solo
se le caratteristiche
geomorfologiche
Pendenza long. < 5% S 2.2.2 non consentono
diverse soluzioni
progettuali
Accessi per i servizi di pronto
Obbligatorie per G.
intervento di L. > 1500 m se i
fornici sono allo
stesso livello, o
(gallerie trasversali nelle gallerie S 2.4.1 comunque
collegabili, con
interdistanza
a max 1500 m
doppio fornice)
97
Punti attraversamento spartitraffico agli imbocchi Obbligatorio solo
se le caratteristiche
(G. a doppio fornice) S 2.4.2 geomorfologiche lo
consentono
Obbligatorie ogni
1000 m solo per G
bidirezionali di L >
1500 m con
volume di
traffico >2000
veicoli per corsia,
qualora non sia
prevista la corsia di
Piazzole di sosta S 2.5.1-3 emergenza;
non obblig. se la
largh. residua della
piattaforma,
escluse le corsie di
marcia, è
pari almeno ad una
corsia
Obbligatorio solo
se è autorizzato il
Drenaggio S 2.6.1 trasporto di merci
pericolose
Resistenza al strutture fuoco delle Obbligatorio solo
se un eventuale
cedimento locale
S 2.7 può avere
conseguenze
catastrofiche
Obbligatorio se, in
assenza di centro
di controllo, il
funzionamento
Impianti di sorveglianza: rilevamento automatico della ventilazione
I 2.14.2 per controllo fumi è
incendio
diverso è diverso
da quello
automatico per
controllo inquinanti
Sistemi di comunicazione: altoparlanti nei rifugi e Obbligatorio se gli
utenti della galleria
presso le uscite in fase di
evacuazione
I 2.16.3 devono aspettare
prima di poter
raggiungere
l'esterno
RACCOMANDATO
Raccomandato per
G. di L. > 3000 m e
volume di traffico >
Impianto per chiudere la galleria: semafori
I 2.15.2 2000 veicoli per
all'interno della galleria corsia, con
interdistanza max
1000 m
98
TIP.
REQUISITO RIF.TO NOTE
(1)
OBBLIGATORIO
Misure per
Obbligatorie tramite
supplementaripendenza S 2.2.3 analisi
di rischio
long. >3%
Misure supplementari per
larghezza della corsia > 3,5 m con Obbligatorie tramite
S 2.2.4 di rischio
traffico analisi
pesante
Obbligatorio secondo prescrizioni D.M.
Illuminazione ordinaria I 2.8.1 n. 3476 del
14,09,05
Obbligatorie idranti a
Erogazione idrica I 2.11 conmax 250 m interdistanze
Obbligatorio secondo prescrizioni
Segnaletica stradale I 2.12 dell'allegato 5
Obbligatorio per G. di L > 3000 m con
Centro di controllo I 2.13.1 volume di traffico > 2000 veicoli per
99
corsia
Impianti di sorveglianza:
telecamere +
Obbligatorio nelle gallerie servite da un
rilevamento automatico incidente I 2.14.1 centro di controllo
e/o
incendio
Impianto per chiudere la galleria:
I 2.15.1 Obbligatorio per G. di L. > 1000 m
semafori agli imbocchi
Sistemi di comunicazione:
ritrasmissioni radio ad uso servizi Obbligatorio per gallerie di L > 1000 m
pronto I 2.16.1 con volume di traffico > 2000 veicoli
per corsia
intervento
Sistemi di comunicazione:
messaggi di emergenza via radio Obbligatorio per gallerie di L > 3000 m
agli I 2.16.2
destinati utenti servite da un centro di controllo
della galleria
Alimentazione elettrica di
I 2.17.1
emergenza
Caratteristiche di resistenza e
reazione al fuoco dei componenti Devono consentire il mantenimento delle
degli I 2.18 necessarie funzioni di sicurezza
impianti
OBBLIGATORIO CON ECCEZIONI
Banchine pedonabili di emergenza Obbligatorie misure supplementari tramite
S 2.3.2 analisi dei rischi, se sprovviste
doppio fornice)
Punti attraversamento
Obbligatorio solo se le caratteristiche
spartitraffico agli imbocchi (G. a S 2.4.2 geomorfologiche lo consentono
doppio fornice)
Per G bidirezionali di L > 1500 m con
volume di traffico > 2000 veicoli per corsia,
prive di corsia di emergenza deve essere
Piazzole di sosta S 2.5.2-3 valutata la fattibilità; non obblig. se la
largh. residua della piattaforma, escluse le
corsie di marcia, è pari almeno ad una
corsia
100
Sistemi di comunicazione: Obbligatorio se gli utenti della galleria in
altoparlanti nei rifugi e presso le I 2.16.3 fase di evacuazione devono aspettare
prima di poter raggiungere l'esterno
uscite
RACCOMANDATO
Raccomandato per G. di L. > 3000 m e
Impianto per chiudere la galleria:
I 2.15.2 volume di traffico > 2000 veicoli per corsia,
semafori all'interno della galleria con interdistanza max 1000 m
101
distanza minima dal veicolo che li precede equivalente alla distanza percorsa da un veicolo in 2
secondi. Per gli automezzi pesanti questa distanza deve essere raddoppiata.
In caso di arresto del traffico all'interno di una galleria, gli utenti devono mantenere una distanza
minima di 5 metri dal veicolo che li precede, a meno che ciò non sia possibile a causa id una sosta di
emergenza.
4. Campagne di informazione
Devono essere organizzate periodicamente campagne di informazione riguardanti la sicurezza nelle
gallerie, realizzate in collaborazione con le parti interessate sulla base del lavoro armonizzato di
organizzazioni internazionali. Le campagne di informazione pubblicizzano il comportamento corretto
che gli utenti della strada devono adottare quando si avvicinano alle gallerie e le attraversano,
soprattutto con riferimento a guasti dei veicoli, congestione del traffico, incidenti e incendi.
Le informazioni sull'equipaggiamento di sicurezza disponibile e sul corretto comportamento degli
utenti della strada in galleria vengono esposte in luoghi adatti per gli utenti.
ALLEGATO 3
(previsto dell'art. 13, comma 3)
1. Premessa
La metodologia qui presentata si riferisce esclusivamente all'analisi degli eventi considerati critici
nello specifico ambiente confinato delle gallerie vale a dire incendi, collisioni con incendio,
sversamenti di sostanze infiammabili, rilasci di sostanze tossiche e nocive.
Eventi propri dell'incidentalità stradale, connessi a caratteristiche geometriche dell'infrastruttura e
non indotti dallo specifico ambiente galleria, che non comportino per l'utenza rischi aggiuntivi rispetto
ai rischi connessi alla circolazione stradale, sono da considerarsi e da fronteggiarsi per la
prevenzione nell0'ambito della ragolamentazione del traffico e della progettazione stradale. Le
vittime di questi ultimi incidenti vanno contabilizzate nell'ambito dell'incidentalità stradale.
L'Analisi di Rischio Quantitativa è la metodologia analitica e ben definita identificata come idonea per
determinare il livello di rischio proprio delle gallerie presenti sulla rete stradale italiana recependo le
raccomandazioni contenute nella Direttiva 2004/54/CE inerente i Requisiti Minimi di Sicurezza per le
gallerie presenti sulla rete stradale trans-europea (Rete TERN).
L'Analisi di Rischio Quantitativa nelle gallerie stradali deve essere sviluppata adottando un approccio
sistemico adatto allo specifico ambito del sistema galleria.
il livello di dettaglio da adottare nell'applicazione della metodologia di Analisi si Rischio Quantitativa
al sistema galleria stradale deve consentire la determinazione della salvabilità degli utenti per
scenari derivanti dagli eventi incidentali considerati critici nello specifico ambiente "Galleria".
Con riferimento ai dettami della Direttiva 2004/54/CE, per sistema galleria si intende il complesso
costituito dagli elementi strutturali, dall'ambiente circostante l'opera, dal traffico, pertinente l'opera e
l'ambiente, dalle dotazioni di sicurezza impiantistiche e dalle procedure di gestione che
caratterizzano il tracciato in sotterraneo della strada.
L'Analisi di Rischio deve essere mirata ad ottenere una misura quantitativa del rischio associato alla
singola galleria su un fissato lasso temporale e con riferimento a ben definiti indicatori quantitativi.
Visto l'Articolo 13 del decreto e le raccomandazioni della Direttiva 2004/54/CE concernenti i
parametri di sicurezza ed i requisiti minimi obbligatori (vedi ALLEGATO 2), è possibile identificare i
requisiti minimi obbligatori corrispondenti ad intervalli di valore dei parametri di sicurezza: Lunghezza
e Volume di Traffico. Un progetto di nuova galleria deve possedere tutti i requisiti minimi previsti
nell'ALLEGATO 2.
Per una galleria esistente che non possieda tutti i requisiti obbligatori previsti in base ai suoi
parametri di richiede un adeguamento con misure di sicurezza alternative che rendano il livello di
sicurezza equivalente al livello di sicurezza proprio della galleria virtuale.
I requisiti minimi di sicurezza dell'Allegato II sono prevalentemente preposti a svolgere un ruolo
specifico di protezione, mitigazione o inibizione del potenziale incremento di pericolosità dell'evento
iniziatore (ad es. potenza termica del focolaio, velocità di propagazione dei fumi, etc.), nonchè di
facilitazione delle azioni di autosoccorso per l'esodo (ad es. uscite di emergenza, visibilità, riduzione
di opacità, comunicazione efficace, etc. ) e di soccorso in condizioni di emergenza. Alcuni dei
suddetti requisiti svolgono anche un ruolo generale di prevenzione in condizioni di esercizio.
L'Analisi di Rischio deve essere sviluppata in tutte le circostanze indicate nel D.Lgs. ed in particolare
per ogni galleria che, non ottemperando ai requisiti minimi obbligatori, necessiti dell'adozione di
misure di sicurezza alternative al fine di dimostrare che esse siano in grado di garantire un livello di
sicurezza alternative al fine di dimostrare che esse siano in grado di garantire un livello di sicurezza
equivalente od accresciuto, ovvero, per ogni galleria che abbia caratteristiche speciali rispetto ai
parametri di sicurezza individuati dalla stessa Direttiva.
2. Scopo
L'Analisi di Rischio ha lo scopo di misurare, nell'ambito di applicazione del presente decreto, il livello
di rischio di una galleria stradale in termini di opportuni indicatori quantitativi.
Un'analisi di rischio quantitativa di tipo comparativo è richiesta per una galleria esistente che presenti
un qualche deficit nei requisiti minimi ascritti al gruppo di appartenenza.
La galleria virtuale è la galleria identificata dagli stessi parametri di sicurezza della galleria in esame
102
e che possiede tutti i requisiti minimi obbligatori del grppo di appartenenza caratterizzati da
specifiche prestazioni in assenza di malfunzionamento.
La comparazione, in termini di analisi di rischio, è condotta tra la galleria virtuale e la galleria reale
con un andamento progettuale realizzato introducendo requisiti alternativi e/o misure di scurezza
compensative a parità di condizioni di funzionamento.
Le condizioni prestazionali sono definite in termini di affidabilità ed efficienza dei dispositivi e dei
sottositemi che realizzano le misure di sicurezza.
Una galleria considerata speciale rispetto ai parametri di sicurezza deve essere soggetta ad analisi
prestazionali delle misure di sicurezza da adottare al fine della riduzione del rischio.
L'analisi di rischio, in questo caso, deve dimostrare che l'insieme delle misure di prevenzione,
protezione, mitigazione o inibizione del potenziale incremento di pericolosità dell'evento iniziatore,
nonchè di facilitazione delle azioni di auto-soccorso e di soccorso, sia tale da assicurare che il livello
di rischio della struttura ricada al di sotto del livello di rischio tollerabile considerando il
malfunzionamento dei singoli sottosistemi.
3. Metodologia
La metodologia di Analisi di Rischio Quantitativa si deve riferire ad una galleria determinata e deve
tener conto di:
- incidentalità caratteristica della galleria, rilevata o di progetto;
- tutti gli elementi inerenti alle caratteristiche progettuali della stessa, come la lunghezza, la
geometria e la pendenza;
- caratteristiche prestazionali dei requisiti di sicurezza di cui la galleria stessa è dotata;
- condizioni di traffico che incidono sulla sicurezza, quali il volume, la composizione ed il tipo di
traffico, in particolare la percentuale di veicoli pesanti in transito giornaliero.
La metodologia considera una galleria con le sue specifiche caratteristiche localizzata sul territorio
ed in interazione con l'ambiente circostante.
i sottosistemi di sicurezza determinano la risposta del sistema alle condizioni di emergenza e
conseguentemente definiscono le condizioni di pericolo per la popolazione esposta agli eventi critici
possibili.
Gli scenari incidentali e la loro evoluzione in galleria in termini di pericolosità sono rappresentati
mediante modelli che includano come elementi costitutivi l'albero delle cause, l'evento critico
iniziatore e l'albero degli eventi.
L'evento critico iniziatore è caratterizzato in termini di probabilità di accadimento e pericolosità
potenziale sulla base di evidenze statistiche per i sistemi galleria in generale, eventualmente
integrate da dati disponibili per la singola galleria con riferimento ai tassi di incidentalità rilevati ed
alle specificità progettuali della stessa.
L'albero degli eventi è caratterizzato intermini di probabilità di accadimento degli eventi critici
iniziatori e di probabilità condizionate di evoluzione lungo i singoli specifici rami, come espressione
dell'affidabilità e dell'efficienza delle misure di sicurezza installate o previste.
Gli eventi terminali dei rami dell'albero degli eventi, determinati in numero dalle combinazioni
mutuamente esclusive delle azioni di condizionamento esercitate dalle misure mitigative previste,
individuano gli scenari di fine emergenza possibili.
La salvabilità degli utenti in una specifica galleria è determinata attraverso la quantificazione e la
zonizzazione del flusso del pericolo all'interno della struttura.
Le diverse zone del flusso del pericolo individuano le condizioni nelle quali si realizza il processo di
esodo degli utenti dalla galleria.
La caratterizzazione del flusso del pericolo è ottenuta modellando l'evoluzione condizionata dai
vincoli posti dalle misure di mitigazione previste dei fenomeni chimici e fisici che si instaurano in
conseguenza dell'accadimento di eventi critici iniziatori.
La modellazione del flusso del pericolo è attuata con livelli di dettaglio diversi a seconda delle
necessità ed utilizzando le migliori tecniche note e disponibili.
I risultati della modellazione del flusso del pericolo costituiscono i dati di ingresso per la simulazione
del processo di esodo degli utenti dalla struttura.
Il numero degli utenti coinvolti nel processo di esodo è determinato attraverso la formulazione e la
soluzione di idonei modelli di formazione delle code nella galleria analizzata.
I risultati dell'analisi di rischio sono utilizzati per costruire diversi indicatori quantitativi del rischio, a
seconda delle necessità.
Il rischio connesso ad una galleria è definito come valore atteso del danno ovvero come distribuzione
delle probabilità di superamento di predeterminate soglie di danno (Distribuzioni Cumulate
Complementari riportate sul cosiddetto piano F - N).
- Il rischio come valore atteso del danno si ottiene come somma dei prodotti tra le probabilità dei
singoli eventi critici iniziatori e le corrispondenti sommatorie delle probabilità degli eventi terminali dei
singoli rami dell'albero degli eventi moltiplicate per i corrispondenti indicatori di danno espressi in
numero di vittime normalizzato all'anno.
- Il rischio come distribuzione delle probabilità di superamento di predeterminate soglie di danno è
rappresentato graficamente sul piano F - N (dove F indica la probabilità di superamento della soglia
103
e N il numero di fatalità) dalla distribuzione cumulata complementare (probabilità di superamento
delle soglie di danno= ottenuta in corrispondenza dei valori degli indicatori di danno (soglie di
danno= associati agli eventi terminali dei singoli rami dell'albero degli eventi.
4. Obiettivi di Sicurezza e Criteri di Accettabilità
Gli obiettivi di sicurezza ed i criteri di accettabilità de rischio per le galleria stradali da applicare ad
ogni singola canna nel caso di gallerie a più fornici indipendenti, sono rappresentati dalle linee soglia
riportate nella figura seguente.
(immagine omessa)
Il livello di rischio accettabile rappresenta un riferimento utile per la Commissione permanente delle
gallerie per la valutazione dei risultati dell'Analisi di Rischio effettuata secondo il criterio ALARP.
In tutti i casi previsti dal decreto, incluso il caso in cui si debba verificare il livello di rischio di una
galleria con caratteristiche speciali, si deve direttamente confrontare la distribuzione cumulata
complementare della galleria reale con il limite di rischio tollerabile.
Quando viene richiesta l'analisi di rischio quantitativa con criterio comparativo per la dimostrazione
dell'equivalenza garantita da misure compensative, tale analisi deve essere condotta sulla galleria
reale dotata di requisiti integrativi verificando che il valore atteso del danno della galleria in esame
sia uguale o inferiore a quello della galleria virtuale a parità di condizioni di funzionamento dei
sottosistemi.
Ai fini dell'analisi di rischio dovranno essere usati dati tratti dalla Banca Dati prevista nell'articolo 13,
ovvero provenienti da fonti ufficiali o reperibili in letteratura e ritenuti significativi dalla Commissione
permanente per le gallerie.
la Commissione, dopo un opportuno periodo di osservazione, si riserva, in base all'evoluzione ed
alla previsione del traffico e dell'incidentalità specifica delle gallerie, di modificare i termini di
applicazione della presente procedura.
ALLEGATO 4
(previsto dall'art. 4, comma 6)
APPROVAZIONE DEL PROGETTO, DOCUMENTAZIONE DI SICUREZZA, MESSA IN ESERCIZIO
DI UNA GALLERIA, MODIFICHE ED ESERCITAZIONI PERIODICHE
1. Approvazione del progetto
1.1 Le disposizioni della presente direttiva si applicano a tutte le fasi di progettazione, a partire dalla
fase preliminare di progettazione, con grado di approfondimento e dettaglio commisurati al quadro
informativo del livello di progettazione.
1.2 Prima che abbia inizio la costruzione, il Gestore della galleria compila la documentazione di
sicurezza di cui ai punti 2.2 e 2.3 relativa a una galleria, durante la fase di progettazione e consulta il
Responsabile della sicurezza. Il Gestore della galleria presenta alla Commissione permanente per le
gallerie per approvazione la documentazione di sicurezza corredandola del parere del Responsabile
della sicurezza se disponibile.
1.3 Se conforme, il progetto della sicurezza della galleria viene approvato dall'organo competente,
che informa il Gestore della galleria e lo trasmette, con la relativa decisione, alla Commissione.
2. Documentazione di sicurezza
2.1 Il Gestore della galleria compila la documentazione di sicurezza per ogni galleria e la tiene
costantemente aggiornata e ne fornisce una copia al Responsabile della sicurezza.
2.2 La documentazione di sicurezza contiene il progetto della sicurezza che descrive le misure
preventive ed i sistemi e dispositivi di protezione necessari per garantire la sicurezza degli utenti e
del personale addetto ai servizi di pronto intervento. Il progetto tiene conto di: natura del percorso,
configurazione della struttura, area circostante, natura del traffico e possibilità di intervento da parte
dei servizi di pronto intervento. Inoltre, si dovranno anche prendere in considerazione le modalità di
evacuazione delle persone con mobilità ridotta e delle persone disabili.
2.3 In particolare, il progetto della sicurezza allegato alla documentazione di sicurezza relativa a una
galleria include:
- una descrizione delle caratteristiche geometriche e strutturali della galleria e delle relative zone di
imbocco, corredata degli elaborati progettuali necessari per comprenderne gli aspetti funzionali e
strutturali, nonchè le disposizioni gestionali e operative previste; uno studio sulle previsioni del
traffico che specifichi e giustifichi le condizioni previste per il trasporto di merci pericolose, corredato
dell'analisi del rischio;
- un'indagine specifica sui fattori di rischio che descriva i possibili incidenti che manifestamente
mettono a repentaglio la sicurezza degli utenti stradali nelle gallerie, suscettibili di verificarsi durante
l'esercizio, e la natura e l'ampiezza delle possibili conseguenze; questa indagine deve specificare e
comprovare misure per ridurre la probabilità di incidenti e le loro conseguenze;
- un parere in merito alla sicurezza da parte di un esperto qualificato o di un'organizzazione
specializzata nel settore, che non abbiano partecipato alla fase di progettazione, approvazione o
realizzazione dell'opera;
- l'analisi di rischio, ove prevista, per verificare la validità delle scelte strutturali e impiantistiche
adottate.
2.4 La documentazione di sicurezza per una galleria nella fase di messa in servizio include, oltre alla
104
documentazione predisposta nella fase di progettazione:
- una descrizione dell'organizzazione, delle risorse umane e materiali nonchè delle istruzioni
specificate dal Gestore della galleria per garantire il funzionamento e la manutenzione della galleria;
- un piano di gestione dell'emergenza elaborato in collaborazione con i servizi di pronto intervento
che tiene conto degli utenti, del personale addetto ai servizi di pronto intervento, nonchè delle
persone con mobilità ridotta e delle persone disabili;
- una descrizione del sistema di acquisizione ed aggiornamento del quadro conoscitivo sugli eventi,
incidenti e malfunzionamenti significativi, compresa la loro analisi.
2.5 La documentazione di sicurezza di una galleria in esercizio deve includere, oltre a quella prevista
per la fase di messa in servizio:
- una relazione e un'analisi sugli eventi, incidenti e malfunzionamenti significativi verificatisi
nell'esercizio della galleria;
- un elenco delle esercitazioni di sicurezza svolte, con il loro esito e un'analisi delle esperienze tratte
in merito.
3. Messa in servizio
3.1 L'apertura di una galleria al traffico è subordinata all'autorizzazione da parte della Commissione
in linea con la seguente procedura (messa in servizio).
3.2 detta procedura si applica anche all'apertura al traffico di una galleria dopo qualsiasi modifica
rilevante apportata alla costruzione o al suo funzionamento o qualsiasi intervento significativo di
modifica della galleria che possa alterare in misura considerevole le componenti fondamentali della
documentazione di sicurezza, nonchè in caso di chiusura al traffico protrattasi per almeno 30 giorni.
3.3 Il gestore della galleria trasmette la documentazione di cui al punto 2.4 al Responsabile della
sicurezza, che fornisce il parere sull'apertura della galleria al traffico.
3.4 Il Gestore della galleria inoltra la documentazione di sicurezza alla Commissione, corredandola
del parere del Responsabile della sicurezza. La Commissione decide se autorizzare l'apertura della
galleria al pubblico o imporre restrizioni all'apertura, e lo notifica al Gestore della galleria. Una copia
della decisione viene inviata ai servizi di pronto intervento.
4. Modifiche
4.1 Per qualsiasi modifica sostanziale apportata alla struttura, all'attrezzatura e al funzionamento che
possa alterare significativamente le componenti fondamentali della documentazione di sicurezza, il
gestore della galleria provvede a chiedere una nuova autorizzazione di esercizio secondo la
procedura di cui al punto 3.
4.2 Il Gestore della galleria informa il Responsabile della sicurezza di qualsiasi modifica della
costruzione e del funzionamento. Inoltre, prima di qualsiasi intervento di modifica della galleria,
fornisce al Responsabile della sicurezza la relativa documentazione, corredata dei dettagli delle
proposte.
4.3 Il Responsabile della sicurezza valuta le conseguenze della modifica e in ogni caso esprime il
suo parere al Gestore della galleria, che ne invia una copia alla Commissione ed ai servizi di pronto
intervento.
4.4 I servizi di pronto intervento trasmettono le eventuali proprie valutazioni alla Commissione prima
che questa si esprimi.
5. Esercitazioni periodiche
Il Gestore della galleria e i servizi di pronto intervento organizzano,in collaborazione con il
Responsabile della sicurezza, esercitazioni periodiche comuni per il personale della galleria e i
servizi di pronto intervento.
Le esercitazioni:
- devono essere quanto più possibile realistiche e devono corrispondere agli scenari di incidente
definiti;
- devono fornire risultati chiari di valutazione sulla sicurezza;
- possono svolgersi, in parte, anche sotto forma di simulazioni per ottenere risultati complementari.
Le esercitazioni su scala reale e in condizioni quanto più possibile realistiche o esperienze su
galleria campione rappresentativa del caso reale, sono effettuate in ciascuna galleria almeno ogni
quattro anni. In caso di chiusura della galleria sarà necessario individuare una soluzione idonea per
la deviazione del traffico. Per ogni anno intermedio si effettuano esercitazioni parziali e/o di
simulazione. Nelle zone in cui varie gallerie sono situate in stretta vicinanza l'una dall'altra,
l'esercitazione su scala reale deve essere effettuata almeno in una ogni tre di tali gallerie, con le
caratteristiche più significative si fini della valutazione delle condizioni di sicurezza.
Il responsabile della sicurezza e i servizi di pronto intervento valutano congiuntamente le
esercitazioni , redigono una relazione e presentano proposte appropriate al Gestore.
105
5. BIBLIOGRAFIA
1. S.T. JONES, G. FUDGER:”Planning and design considerations for road tunnels: The
influence of operation and maintenance” Contractor Report 41. Transport and Road
Research Laboratory.
8. Comitato Tecnico Gallerie Stradali : ”Le gallerie stradali”: Quaderni AIPCR, XXIII
Convegno Nazionale Stradale Verona 1998.
9. Bollettini AISCAT.
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