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di Alberto A. Sobrero, vol.

2, La variazione e gli usi

Gaetano Berruto, La verietà del repertorio

Giuseppe Francescato, Sociolinguistica delle minoranze

Sommario
Gaetano Berruto – Le Varietà Del Repertorio ................................................................................................... 2
1. Il repertorio linguistico degli italiani ...................................................................................................... 2
2. Varietà dell’italiano: dimensioni di variazione e gamma di varietà ...................................................... 2
3. Il continuo e il discreto nelle varietà dell’italiano ................................................................................. 3
4. Modelli di repertorio ............................................................................................................................. 4
5. Tra italiano e dialetto ............................................................................................................................ 5
Giuseppe Francescato – Sociolinguistica delle minoranze ................................................................................ 7
01. Le minoranze linguistiche in generale ............................................................................................... 7
02. Minoranze linguistiche in Italia ......................................................................................................... 7
03. Provenzale e franco-provenzale ........................................................................................................ 7
04. Minoranze tedesche lungo la catena alpina ...................................................................................... 8
05. Italiano e tedesco nell’Alto Adige ...................................................................................................... 8
06. La minoranza ladina dolomitica ......................................................................................................... 9
07. La lingua friulana ............................................................................................................................... 9
08. La minoranza slovena ........................................................................................................................ 9
09. La varietà croata .............................................................................................................................. 10
10. Le varietà dell’abanese .................................................................................................................... 10
11. I “grichi” di Calabria e Puglia ........................................................................................................... 10
12. La varietà algherese ......................................................................................................................... 10
13. La lingua sarda ................................................................................................................................. 11
14. Le parlate degli zingari ..................................................................................................................... 11
15. Bilinguismo ed emigrazione............................................................................................................. 11
Gaetano Berruto – Le Varietà Del Repertorio
1. Il repertorio linguistico degli italiani
È impensabile sostenere che tutti gli italiani parlino solo l’italiano anche se è altrettanto vero che vengono
considerati parlanti nativi dell’italiano tutti coloro che hanno come lingua della socializzazione primaria,
quella cioè acquisita in famiglia, l’italiano o un dialetto del gruppo italo-romanzo. Data la loro distanza
strutturale reciproca i dialetti italiani vanno però considerati varietà linguistiche a se stanti, non semplici
varietà dell’italiano; quindi per dare una definizione grossolana a livello numerico delle varietà del
repertorio linguistico degli italiani bisognerebbe contare la quindicina di varietà romanze dialettali da
affiancare all’italiano alle quali vanno aggiunte le cinque altre lingue o varietà romanze e le sei lingue o
varietà non romanze parlate nelle comunità alloglotte. Non esiste dunque un unico repertorio linguistico
panitaliano, valido per tutti gli italiani, perciò per “repertorio linguistico” si intende l’insieme dei due
(dia)sistemi che lo compongono vale a dire la lingua nazionale e il dialetto. Per diasistema si intende in
linguistica un insieme di sistemi con molti tratti in comune o più tecnicamente un sistema di livello
superiore costruito a partire da più sistemi aventi somiglianze parziali, con (dia)sistema invece intendiamo
un sistema complessivo che con maggior rigore si potrebbe definire come un diasistema. Questi due sistemi
sono apparentemente legati da un rapporto di diglossia ma forse sarebbe più opportuno parlare di
“macrodiglossia” e “microdiglossia” per fare una giusta differenziazione tra aree e classi sociali in cui il
dialetto è più forte di altre aree e classi sociali in cui invece e l’italiano la lingua maggiormente usata. Un
altro fattore tipico della lingua italiana è che quasi ovunque manca l’elemento principale della diglossia,
cioè che la prima lingua viene utilizzata negli usi scritti e formali mentre la seconda per gli usi parlati e
informali, in quanto le due varietà si scambiano spesso di ruolo; si può dire pertanto che italiano e dialetto
abbiano un rapporto di dilalia. È questa una situazione in cui vengono chiaramente usati e compresi due
diversi (dia)sistemi linguistici la cui differenza strutturale è tuttavia inferiore a quella che si riscontra nei
repertori bilingui classici, sistemi che invece si sovrappongono in maniera imprevista e ricorrente. Dati
statistici confermano che oggi esiste una maggioranza della popolazione italofona che sa e usa sia l’italiano
che il dialetto, un ampia minoranza che non sa o non usa il dialetto e una piccola minoranza che non sa o
non usa l’italiano con molte zone (praticamente sono unica eccezione Sardegna e Friuli) che oltre a servirsi
dei due livelli (alto dell’italiano e basso del dialetto locale) ne utilizzano uno intermedio del dialetto italo-
romanzo circostante e dove il dialetto non è più il livello più basso del repertorio ma viene sostituito dalla
parlata alloglotta locale. Dunque partendo dal presupposto di considerare l’italiano o un dialetto italo-
romanzo come lingua della socializzazione primaria e l’italiano come lingua della socializzazione secondaria
se si vuole affrontare uno studio del repertorio linguistico degli italiani bisogna confrontarsi con l’intera
somma delle risorse linguistiche a disposizione della comunità parlante, la loro stratificazione in quel tutto
che è il repertorio e il loro organizzarsi in varietà.

2. Varietà dell’italiano: dimensioni di variazione e gamma di varietà


Le varietà dell’italiano vanno studiate innanzitutto in base a dei criteri di variazione, parametri
extralinguistici in base ai quali una varietà è più utilizzata di altre. Le fondamentali dimensioni della
variazione sincronica della lingua sono costituite dall’area geografica in cui questa viene usata (variazione
geografica o diatopica), dallo strato o gruppo sociale a cui appartengono i parlanti (variazione sociale o
diastratica), dalla situazione comunicativa nella quale si usa la lingua (variazione situazionale o funzionale-
contestuale o diafasica), dal mezzo utilizzato per effettuare la comunicazione (variazione diamesica).

Sobrero, A. A. – Introduzione all’italiano contemporaneo, Vol. 2: La variazione e gli usi


Berruto, G. – Le varietà del repertorio. Francescato, G. – Sociolinguistica delle minoranze
Riassunto a cura di Enzo Santilli, opera trattata per soli fini didattici e divulgativi.
Tutti i diritti appartengono ai rispettivi proprietari. Info e feedback: enzo.santilli.13@gmail.com Pag. 2
Queste quattro dimensioni della variazione costituiscono degli assi di riferimento lungo i quali si possono
ordinare le varietà compresenti nello spazio di variazione dell’italiano contemporaneo; ciascun asse può
costituire un continuum che unisce due varietà contrapposte come poli estremi fra cui si collocano varietà
intermedie. L’ungo l’asse della variazione diatopica si collocano gli italiani regionali e i poli sono costituiti
dall’italiano standard normativo (a base fiorentina) e dall’italiano regionale fortemente dialettizzante;
l’ungo l’asse diastratico si va dall’italiano colto ricercato all’italiano popolare basso; l’ungo l’asse diamesico
dall’italiano formale aulico all’italiano informale trascurato. Non va dimenticato che nelle reali varietà d’uso
della lingua le varie dimensioni si intersecano e possono determinarsi contemporaneamente (ad esempio
ad esempio i gerghi si definiscono contemporaneamente sull’asse diastratico in quanto propri di certi
gruppi funzionali e sull’asse diafasico in quanto svolgenti una particolare funzioni in date classi di situazioni
comunicative, così come un italiano fortemente marcato in diatopia sarà per lo più anche una varietà
sociale bassa mentre l’italiano popolare tipico di fasce sociali non istruite sarà per i suoi parlanti anche una
varietà diafasica, il registro da utilizzare in occasioni formali). Nella situazione italiana è praticamente
impossibile separare la variazione diatopica da quella diastratica, in quanto in base alla classe sociale a cui
appartiene il parlante egli acquisirà come lingua primaria una varietà differente di italiano. Esiste quindi un
rapporto fra le variazioni che vede la diastratia agire dentro la diatopia, e la diafasia dentro la diastratia con
la diamesia a sua volta dentro la diastratia come in un sistema di cerchi, o meglio gruppi, concentrici: un
parlante nel periodo dello sviluppo linguistico impara una varietà sociale dell’italiano della propria regione,
entro la quale impara diversi registri adeguati a diverse situazioni entro cui impara la fondamentale
dicotomia fra parlato e scritto. È importante notare però come mentre varietà diatopiche possano fungere
anche da varietà diastratiche e varietà diastratiche da varietà diafasiche e varietà diafasiche da varietà
diamesiche, non sia altrettanto possibile il contrario. Seguendo lo schema di Berruto si può dare a tutte le
produzioni linguistiche un valore sulle quattro dimensioni separatamente, quindi determinare quanto
quella produzione sia marcata in diatopia, diastratia, diafasia, diamesia.

3. Il continuo e il discreto nelle varietà dell’italiano


Trattare i rapporti strutturali fra le varietà in termini di continuum (vale a dire escludere la divisione o
l’interruzione che dividono gli elementi del repertorio) implica la presenza di una scala di varietà in cui
ciascuna sfuma impercettibilmente nell’altra senza che sia possibile stabilire i confini ben delimitati fra
l’una e l’altra. Ma se è vero che varietà dell’italiano e varietà del dialetto non possono propriamente far
parte di uno stesso continuum è anche vero che la gamma delle varietà sono facilmente identificabili ma
senza dei confini troppo netti fra di loro dato che ciascuna varietà è contrassegnata oltre che da un certo
numero di tratti tipici diagnostici anche da un particolare infittirsi e co-occorrere di tratti che sono peraltro
condivisi da più varietà. È un caso questo di “continuum con addensamenti”. Oltre che all’ampio common
core del (dia)sistema linguistico italiano numerosi tratti non standard sono distribuiti su più varietà: è il caso
dei tratti comuni a tutte le varietà, dei tratti comuni ad alcune varietà e dei tratti peculiari ad ogni varietà. Il
continuum ad addensamenti italiano è quindi pluridimensionale, non lineare, perché le varietà non
sembrano ordinabili in maniera tale che ciascuna occupi un gradino di una scala e passando dall’una
all’altra varietà si scenda o si salga inevitabilmente di un gradino lungo un asse con un polo alto e uno
basso. Ogni varietà può poi avere un’ulteriore variabilità interna e la frequenza dei tratti variabili di ognuna
può essere un aspetto significativo per caratterizzare le varietà. Ogni elemento ha comunque la sua
collocazione nel continuum e quindi bisogna anche capire, al fine di comprendere meglio le differenze fra le
varie varietà, quali di questi elementi hanno valore neutro, quindi appartengono al common core o ad un

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gran numero di varietà, e quali invece siano marcati su una o più dimensioni perché tipici di una fetta
particolare di varietà o di una sola determinata varietà. Volendo collocare particolari elementi su una scala
lineare si nota che la continuità raggiunge il suo massimo nella variazione diafasica dove si passa davvero
impercettibilmente da una varietà situazionale all’altra, mentre se consideriamo per intero il numero delle
varietà repertorio e all’interno di queste anche le varietà d’italiano strutturalmente più vicine al dialetto e
quelle di dialetto strutturalmente più vicine all’italiano, la scala strutturale delle varietà non corrisponde
alla scala sociale: sulla scala sociale una varietà fortemente italianizzata di dialetto è più alta di una varietà
dialettizzata di italiano.

4. Modelli di repertorio
Partendo dal sistema base del Pellegrini che identificava quattro varietà fondamentali del repertorio,
numerose sono state le variazioni apportare a questo primo tentativo di distinguerle e classificarle:

1. Pellegrini, 1960: 4 varietà. Italiano standard o comune, italiano regionale, koinè dialettale o dialetto
regionale, dialetto locale.
2. Mioni 1, 1975: 6 varietà. Tre sul versante italiano con italiano aulico, italiano parlato formale e
italiano parlato informale, e tre sul versante dialettale con dialetto di koinè, e/o dello stile più
elevato, dialetto del capoluogo di provincia, dialetto locale. È uno schema che da grande rilevanza
alla dimensione diafasica.
3. Mioni 2, 1983: 7 varietà. Standard formale, standard colloquiale-informale, italiano regionale,
italiano popolare, dialetto formale, dialetto informale urbano e dialetto informale rurale.
4. Sobrero, 1981: 6 varietà. Tre gradini di italiano comune, italiano regionale e dialetto ciascuno diviso
a sua volta in due gradini alto e basso mettendo così in risalto la variazione diatopica.
5. De Mauro, 1980: 6 varietà fortemente in relazione alla variazione diafasica. Italiano scientifico,
italiano standard, italiano popolare unitario, italiano regionale colloquiale, dialetto regionale,
dialetto locale stretto.
6. Sanga, 1981: 8 varietà per l’italiano, 5 per il dialetto e 3 per i gerghi. Italiano: Italiano anglicizzato,
italiano letterario standard, italiano regionale, italiano colloquiale, italiano burocratico, italiano
popolare (unitario), italiano dialettale, italiano-dialetto. Dialetto: dialetto italianizzato, koinè
dialettale (regionale), dialetto urbano (provinciale), dialetto locale civile, dialetto locale rustico.
Gerghi: gergo italiano (regionale), gergo dialettale urbano, gergo dialettale rustico.
7. Trumper, 1982: 6 varietà per il parlato e 4 per lo scritto. Parlato: italiano regionale formale, italiano
regionale informale, italiano regionale trascurato (fortemente interferito), dialetto koinè, dialetto
urbano, patois locale. Scritto: italiano standard, italiano sub-standard, italiano sub-standard
interferito, dialetto letterario.
8. Stehl, 1990: 5 varietà su base regionale. Italiano standard, italiano con poche interferenze dialettali,
italiano con numerose interferenze dialettali, dialetto con numerose interferenze dall’italiano,
dialetto locale.
9. Sabatini, 1985: 2 varietà a carattere nazionale e 4 a livello regionale. Nazionale: italiano standard e
italiano dell’uso medio. Regionali: italiano regionale delle classi istruite, italiano regionale delle
classi popolari (italiano popolare), dialetto regionale o provinciale e dialetto locale. Importante
distinzione anche fra scritto e parlato.

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Nonostante alcuni facciano riferimento a particolari usi della lingua da parte degli italiani ognuno di questi
presenta le varietà secondo diversi continua che riassumono diverse dimensioni di variazione. Sembra
esserci comunque un certo accordo su alcuni assi portanti come il rilievo della differenziazione diatopica, il
riconoscimenti di una tensione fra l’italiano standard della tradizione letterario e una forma comune e il
riconoscimento dell’italiano popolare come varietà sub-standard come varietà primariamente diafasica ben
consolidata.

Se ci si volesse concentrare invece su modelli che riguardino esclusivamente il dialetto innanzitutto


bisognerebbe tener conto che questo presenterebbe una variazione minore che non la lingua su tutte e tre
le dimensioni della variazione; infatti mentre la gamma di funzioni dell’italiano è aperta verso il basso,
quella del dialetto è chiusa o quantomeno limitata verso l’alto nel senso che il dialetto per sua stessa natura
non può essere impiegato in funzioni alte o troppo elaborate. Si deve inoltre considerare la forte differenza
che esiste fra i parlanti della città e quelli della campagna e allo stesso tempo la presenza di una koinè che
attenui le differenze locali tipiche delle singole parlate dialettali. Si potrebbe proporre senza troppi
problemi uno schema con quattro varietà: il dialetto letterario, il dialetto urbano (raggruppa i diversi modi
di uso parlato nella società cittadina contemporanea), il dialetto locale rustico (più tipico della campagna
che della città), dialetto gergale ( comprende tutte le forme marcatamente espressive sia soprattutto veri e
priori gerghi a base dialettale come ad esempio quello di mestiere e di gruppi emarginati). Eliminare la
variazione diafasica potrebbe semplificare la stesura di uno schema definitivo in quanto il dialetto viene
utilizzato praticamente sempre negli stessi contesti, il che a porta considerare come cardini del repertorio
linguistico italo-romanzo varietà socio geografiche che si incontrano più comunemente e facilmente. Le
seguenti varietà allora potrebbero essere rappresentate con uno schema non dissimile da quello base del
Pellegrini:

a) Italiano medio (standard), o dell’uso comune o colto;


b) Italiano popolare (regionale);
c) Dialetto italianizzato;
d) Dialetto locale rustico.

5. Tra italiano e dialetto


Il settore di contatto e confine che divide italiano e dialetto è indubbiamente assai difficilmente
identificabile. La presenza di italianismi nel dialetto ad esempio si intensificano quando le sfere oggetto del
discorso riguardano fatti e cose tipiche della società moderna e lontane dalla quotidianità della vita,
bisogna considerare anche il dialetto italianizzato come fortemente variabile in chiave diatopica perché
quello cittadino sarà sicuramente più ricco di italianismi rispetto a quello di campagna. Allo stesso modo, da
un punto di vista diastratico, il dialetto dei ceti medi e medio-bassi sarà sicuramente più italianizzato di
quello dei ceti bassi. Dialetto e italiano possono dunque arrivare a compenetrarsi anche in maniera molto
profonda quindi è importare guardare anche all’aspetto morfologico di una frase: generalmente il tipo di
morfologia e di lessico presenti n quel contesto determina quanto quella frase possa essere più dialettale o
italianizzata; ovviamente fare bene attenzione che il numero di parole espresse in una lingua o un dialetto
può essere utile ma non è sufficiente a determinare se quale frase sia più vicina al dialetto o all’italiano
perché potremmo avere frasi composte da una maggioranza di termini italiani seppur evidentemente
espresse in dialetto. La fonetica rimane pressoché intatta e non è un elemento valido per fare una giusta
distinzione, così come potrebbe essere il lessico. Fatto è che l’italiano e il dialetto riescono sempre a
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sceverare l’uno dentro l’altro, anche grazie alla facoltà di due linguaggi di entrare in “comunicazione”
secondo le norme del code-switching e del code-mixing, quest’ultima presentissima nelle conversazioni di
tutti i giorni. È questo un elemento caratterizzante del vasto repertorio linguistico degli italiani, e conferma
ancora di più che la convivenza fra italiano e dialetto esiste, è possibile, e soprattutto non conflittuale.

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Giuseppe Francescato – Sociolinguistica delle minoranze
01. Le minoranze linguistiche in generale
L’Italia è considerato un paese ‘monolitico’ nel senso che si ritiene che l’italiano sia la lingua comune a tutti
gli italiani, credenza invece falsa visto che ben il 4,8% del totale dei residenti entro i confini nazionali ha
come lingua materna una varietà linguistica diversa dall’italiano. È dunque una minoranza quel gruppo di
persone alloglotte che hanno come prima lingua o lingua materna (la lingua cioè che viene acquisita nella
prima socializzazione) una diversa da quella nazionale. Visto che tali parlanti non possono comunque
esimersi dall’apprendere anche l’italiano si instaura fra le due lingue un rapporto di bilinguismo, che in
particolari circostanze può essere sia di bilinguismo che di diglossia. Si ha allora a che fare con bilinguismo
collettivo, quando cioè tutti i membri della comunità conoscono sia la lingua X che la lingua Y, le quali
insieme formano il repertorio linguistico della comunità. Ci sono come si è visto isole o oasi e penisole o
propaggini sono ampiamente presenti entro i confini geografici dell’Italia ma si possono anche verificare
circostanze in cui ci sia un isola all’interno di un'altra isola e sarebbe allora più conveniente parlare di
“minoranze di I ordine” e “minoranze di II ordine” (dove le condizioni di bilinguismo accadono
generalmente quando si ha a che fare con minoranze di I ordine e il trilinguismo avviene più facilmente
quando sono presenti anche minoranze di II ordine). Ad eccezione del valdostano in quasi tutta Italia c’è un
calo del numero di praticanti parlanti il dialetto, fattore che determina forti cambiamenti nella vitalità dei
dialetti stessi e quindi anche su un piano sociolinguistico.

02. Minoranze linguistiche in Italia


Le varietà minoritarie alloglotte in Italia si assommano ad almeno una quindicina, anche se è impossibile
determinarne con assoluta precisione numero e confini poiché molte sono simili fra loro e interferiscono
più o meno diversamente con altre, e soprattutto ogni minoranza ha un rapporto diverso con la lingua
tetto. È possibile comunque tracciare in grandi linee dei bordi geografici entro i quali le più importanti
varietà sono racchiuse e danno luogo a bilinguismo, cioè dove due lingue vengono utilizzate l’una a
discapito dell’altra alternativamente, a seconda dei bisogni sociali.

03. Provenzale e franco-provenzale


Il provenzale (o occitano) e il franco provenzale (o arpitano) sono molto simili per struttura linguistica,
entrambe di matrice gallo-romanza (aventi cioè come lingua principale il francese) e anche per questo
presentano simili problemi sociologici. A ovest del Piemonte abbiamo entrambe le varietà con il franco-
provenzale parlato da circa 120mila persone concentrato principalmente in Valle D’Aosta mentre la Val Di
Susa – in Piemonte appunto – è invece principalmente provenzale. Queste due varietà hanno non pochi
problemi a fissare i propri rapporti con le altre lingue usate in loco in quanto prevedono e riconoscono la
presenza di almeno altre due lingue (italiano e francese, oppure piemontese). Il francese ad esempio è la
lingua obbligatoria all’interno delle scuole e delle chiese, pur non essendo la prima lingua; ecco perché
queste zone sono fra le più evidentemente affette da trilinguismo (provenzale o franco-
provenzale/francese/italiano) che in alcuni casi diventa quadrilinguismo. Il provenzale è opposto dunque
all’italiano in un rapporto di diglossia, stessa cosa valida per provenzale e francese mentre italiano e
francese diventano due opposti punti di riferimento instaurando così un rapporto di bilinguismo collettivo.
Stessa cosa avviene nella ristretta parte del Piemonte che parla franco-provenzale il quale però ha il
dialetto piemontese come intermediario fra le due lingue maggiori, diventando a volte addirittura sostituto

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del franco-provenzale stesso. Comunità franco-provenzali sono presenti in provincia di Foggia e Cosenza, e
in una decina di località sparse in Sicilia orientale, tutte insediate a seguito di immigrazioni passate.

04. Minoranze tedesche lungo la catena alpina


Le minoranze tedesche sono molteplici ma tutte contano un numero di parlanti assai ridotto, eccezion fatta
ovviamente del complesso alto-atesino. Si va dalla Valle d’Aosta e Nord del Piemonte in cui sono presenti i
mochèni per poi passare alle zone dei tredici comuni veronesi e sette comuni vicentini entrambe in Veneto
dove ci sono i cimbri mentre altre minoranze sono presenti infine in Carnia e nella Val Canale nel Friuli-
Venezia Giulia. I dialetti della Val D’Aosta sono di tipo alemannico (vallese). La popolazione originaria si
trasferì qui dall’Oberland Bernese a partire dal XIII secolo e grazie all’isolamento perpetrato per anni
conserva ancora ampi tratti delle influenze tedescofone originarie, similarmente ai mochèni presenti nel
Nord del Piemonte, di origine bavarese. Entrambe le varietà, comunque, col passare degli anni hanno visto
drasticamente mutare le loro peculiarità dialettali a favore dell’italianizzazione del luogo, dovuta al sempre
più crescente interesse turistico. Ancor in più costante regresso sono le parlate tedesche dei tredici comuni
veronesi e dei sette comuni vicentini dei cimbri, una popolazione dal dialetto originariamente di tipo
bavarese-austriaco. Anche in questo caso i disastri della guerra e l’espansione turistica e industriale hanno
portato, soprattutto nella città principale Asiago, ad un rapido stravolgimento delle tradizioni e quindi alla
perdita della maggior parte del patrimonio linguistico di matrice tedesca che invece era molto forte fino ad
un secolo fa. Non si può più, infatti, neanche parlare di zona bilingue, ma solo di centri che oppongono una
strenua resistenza alla scomparsa delle proprie radici, ponendo però italiano e minoranza linguistica in un
rapporto più che altro di diglossia; risulta paradossale infatti che laddove si tenti di salvaguardare il
costume linguistico tradizionale si possa operare solo con mezzi che sviluppino l’interesse socioeconomico
della zona, il quale non può essere favorito se non dall’affermazione preventiva dell’italiano. Esempi di
forte resistenza agli influssi dell’italiano sono Luserna (TN) per la lingua cimbra. Similmente abbiamo
Sappada (Belluno, Veneto) e Sauris, la prima è una località turistica che presenta una parlata di tipo
pustero-carinziano con caratteristiche proprie mentre a Sauris si può riscontrare anche il fenomeno del
trilinguismo (saurano/friulano/italiano). Singolare la situazione di Timau e Cleulis, frazioni di Paluzza che
nonostante la vicinanza hanno repertori linguistici differenti: timavese (di origine tedesca)/friulano/italiano
per la prima e friulano/italiano per la seconda.

05. Italiano e tedesco nell’Alto Adige


Una grande minoranza linguistica è presente nel Südtirol, una regione che geograficamente fa grosso modo
capo all’intera provincia di Bolzano, dove vivono 450mila abitanti di cui una maggioranza pari al 62
percento parla tedesco. È anche vero, e non di poco conto, che quasi tutti i parlanti tedesco sono
concentrati nelle maggiori località della provincia (Bolzano, Merano, Bressanone, Laives). Mentre i
tedescofoni premono per avere un rapporto, anche a livello ufficiale, di diglossia col tedesco da utilizzare
nelle situazioni che richiedano un registro alto, per gli italofoni questo problema non si pone in quanto
questi a differenza degli altri non sentono la necessità di imparare l’altra varietà linguistica. Ne consegue
una confusione a livello didattico e scolastico in quanto i tedescofoni che vorrebbero riconosciuto il tedesco
come lingua A non sono in realtà in grado di parlarlo visto che quello che conoscono già è solo una varietà
dialettale mentre gli italofoni sono più propensi, ovviamente, ad apprendere la varietà letteraria standard
del tedesco, e non assumono quindi la capacità di esprimersi correttamente nella varietà minoritaria del
Südtirol. Per favorire un certo grado di bilinguismo si è pertanto deciso di inserire l’insegnamento di

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tedesco e italiano a partire dal secondo anno della scuola elementare, ma questo crea non pochi problemi
per i genitori che decidono precedentemente di iscrivere i figli a scuole primarie di tipo tedesche o italiane i
quali vorrebbero propendere invece a dare alla propria prole un’identità più tipica di questo o di quell’altro
popolo.

06. La minoranza ladina dolomitica


A cavallo fra Veneto e Trentino, attorno al Piz Boè, monte più alto del gruppo dolomitico del Sella, si
estendono quattro vallate che presentano varietà dialettali affini, tutte facenti capo a quella lingua che
viene definita “ladino”. Termine di origine sicuramente tradizionale, non vale più se esteso alle parlate di
Cortina d’Ampezzo e della Valle del Piave, maggiormente di stampo veneto-bellunesi e cadorine. Nella
provincia di Bolzano la parlata ladina è riconosciuta e tutelata, anche se ovunque soprattutto dal punto di
vista lessicale presenta delle singolarità che difficilmente potrebbero farla confondere con altre. Affetta
come tutte le altre minoranze al fenomeno dell’indebolimento a vantaggio dell’italiano, il ladino è
comunque parlato da oggi da circa 30mila persone ed in alcune vallate addirittura insegnato (seppur con
ore insufficienti a garantire un apprendimento corretto) nelle scuole. Purtroppo la diversificazione fra una
varietà ladina dall’altra ne ha sempre compromesso un’ufficializzazione vera e propria, tanto che ad oggi
non c’è pieno accordo neanche sulla grafia inerente la parte scritta della lingua e probabilmente la falla più
grande presente nell’espansione di questa minoranza risulta essere la mancanza di una koinè vera e propria
che dovrebbe fare da sorgente e guida a tutte le altre zone d’interesse.

07. La lingua friulana


Di forma grossolanamente quadrangolare, il Friuli presenta tre province: Udine, Gorizia e Pordenone le
quali parlano tutte (circa 700mila persone) un dialetto comune con eccezioni qua e la di tedesco, sloveno e
monolingui italiani. Recentemente riconosciuto come una lingua differenziata dai cosiddetti dialetti italiani,
il friulano presentava fino a qualche tempo fa anche due sotto-varietà (tergestino di Trieste e muglisano di
Muggia) oggi scomparse, ed è stato a lungo al centro della “questione ladina” per identificarne la posizione
all’interno del sistema linguistico. È ovvio, come quasi ovunque, che si tratta di una varietà parlata
principalmente da persone avanti con l’età residenti in ambiti rurali e, così come il ladino, esiste il problema
dell’assenza di una vera e propria koinè che di certo non favorisce la resistenza della varietà in questione
agli attacchi dell’italiano. Così come per le minoranze tedesche l’unico modo per tutelare la lingua locale
risulta essere quello di investire in settori che promuovano l’insediamento dell’italiano e il problema si fa
ancora più serio laddove sono presenti anche varietà dialettali intermedie come a Udine col veneto e a Erto
con l’ertano. Altro grande ostacolo alla conservazione della lingua è poi rappresentato dall’assenza di molte
terminologie specifiche (eccezion fatta, ovviamente, per la terminologia rurale), limitazione che pone il
friulano – nonostante sia la lingua maggiormente parlata – in un rapporto di diglossia con l’italiano (o per
meglio dire bilinguismo che si manifesta come diglossia).

08. La minoranza slovena


È una minoranza esplicitamente protetta con speciali disposizioni legislative in accordo coi governi sloveni e
croati. Queste disposizioni parallele assumono particolare rilievo a proposito dell’istruzione scolastica
impartita a tutti i livelli nella lingua materna dei parlanti delle relative minoranze. In Italia il territorio
interessato copre l’intera provincia di Trieste e la parte orientale delle province di Gorizia e Udine per un
totale di circa 53mila parlanti. Curiosamente fino a qualche anno fa si riteneva che gli abitanti della Val

Sobrero, A. A. – Introduzione all’italiano contemporaneo, Vol. 2: La variazione e gli usi


Berruto, G. – Le varietà del repertorio. Francescato, G. – Sociolinguistica delle minoranze
Riassunto a cura di Enzo Santilli, opera trattata per soli fini didattici e divulgativi.
Tutti i diritti appartengono ai rispettivi proprietari. Info e feedback: enzo.santilli.13@gmail.com Pag. 9
Canale (UD) avessero una parlata di origine russa poi rivelatasi in realtà di origine slovena con radici però
ignote. Qui si mescolano incredibilmente dunque varietà di sloveno, tedesco, friulano e italiano dando
ovunque vita a fenomeni di quantomeno bilinguismo.

09. La varietà croata


Presente in tre comuni del Molise questa parlata di origine slava venne importata qui nel 1600 ed è
utilizzata da circa 3000 anime. Linguisticamente è una varietà di tipo dalmatico stokavo/ikavo e presenta
molte influenze dai dialetti abruzzese e molisano. Laddove viene parlata da in sommi capi vita a
trilinguismo (croato/dialetto/italiano) ma a livello strettamente localmente è di tipo maggiormente bilingue
e diglossico in assenza di un vero e proprio dialetto locale. L’uso del croato come lingua ufficiale non è
comunque ufficialmente riconosciuto.

10. Le varietà dell’abanese


I parlanti che costituiscono la minoranza di lingua albanese in Italia sarebbero circa 100mila sparsi in 38
comuni nelle regioni meridionali e in Sicilia. L’albanese è una lingua indoeuropea che ha subito una forte
influenza da parte del latino che ne ha generato due varietà principali: il tosco (che è anche la lingua
ufficiale dell’Albania) e il ghego con le colonie italo-albanesi che si rifanno al dialetto tosco ma che, a
seguito dell’ovvia pressione dell’italiano, hanno assunto una fisionomia propria. Differentemente da altre
minoranze va citato che quella albanese ha prodotto anche una notevole tradizione letteraria e risulta
quindi sorprendete che questo fattore, assieme a quello del numero di parlanti, non abbia portato ad una
tutela di tipo ufficiale della minoranza. Così come per la varietà croata molisana l’albanese è relazionato
all’italiano da un rapporto di bilinguismo che diventa, a tratti, trilinguismo con l’intervento di un dialetto
locale; l’assenza di una koinè ne ha infine impedito una vera e propria affermazione netta e ufficializzabile.

11. I “grichi” di Calabria e Puglia


Un numero limitato di parlanti (circa 35mila) sparso fra Puglia e Calabria di avvale ancora oggi di questa
parlata di origine ellenica – probabilmente ma non sicuramente lascito delle antiche colonie presenti in
tutto il Sud Italia – che in tempi passati copriva un territorio molto più vasto di quello odierno. A differenza
dell’albanese che ha sempre avuto un rapporto positivo con l’italiano il grico è sempre stato abbastanza
malvisto e anche per questo ha subito una drastica riduzione nell’utilizzo negli ultimi tempi, anche qui poi a
causa della mancanza di una koinè si è dato avvio ad un processo di disgregazione tutt’ora in corso. La
distanza abissale dall’italiano o comunque dal tipo linguistico romanzo, una sorta di “gricofobia” sempre
esistita e la mancanza dell’utilizzo di tale minoranza quasi ovunque durante la fase della prima
socializzazione ha fatto si che non sorgesse mai il problema di valorizzare questa lingua a livello legislativo,
ne tantomeno a livello dell’ insegnamento didattico.

12. La varietà algherese


Circa 20mila (su 40mila totali) abitanti della città di Alghero in provincia di Sassari usa questa varietà che è il
segno tutt’ora vivente della passata dominazione catalana in Sardegna, durata circa 150 anni. L’algherese è
una varietà di catalano che però per ovvi motivi di distanze non è mai evoluto di pari passo con la lingua
originale, e parimenti al sardo assume lo status di lingua romanza, ma negli ultimi tempi a causa del sempre
più frequente inutilizzo da parte dei giovani ha subito un drastico calo di interesse e sviluppo. Un ampio
numero di parlanti ha dunque una conoscenza solo passiva di questo catalano – che non è tutt’ora

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riconosciuto in via ufficiale – il quale viene oramai parlato solo a livello familiare. Nel sud dell’isola esiste
una varietà di ligure conosciuta come “tabarchino”.

13. La lingua sarda


È la minoranza che ha il più elevato numero di parlanti in Italia, circa 1.500.000, e riconosce quattro varietà
dialettali: il meridionale (campidanese), il centrale (logudorese), il settentrionale (gallurese) e la varietà di
Sassari (sassarese) che più delle altre ha subito le interferenze da parte dei dialetti corsi. La varietà
logudorese è quella che presenta i tratti più conservativi ma è anche vero che in tutta l’isola non esiste un
centro in grado di dare vita a koinè. Per il sardo come per il friulano è sorta la questione di considerare la
parlata come dialetto dell’italiano o lingua a se (una varietà cioè indipendente nel dominio neolatino),
d’altronde punti di contatto e rapporti storici con l’italiano indicano che il sardo e l’italiano sono
strettamente coordinati tra loro.

14. Le parlate degli zingari


A causa delle loro continue migrazioni è difficile indicare con precisione il numero di parlanti zingari che
sono suddivisi in sinti nel Nord Italia e rom nel Centro-Sud per un totale di 50-80mila persone.
Generalmente questi si avvalgono di una lingua base, il romans, che ha un fondo lessicale di 500 parole ed è
di origine indiana. Il romans è parlato oggi solo in famiglia o come lingua segreta e a seconda del luogo in
cui viene espressa subisce aggiunte e contaminazioni dalle parlate circostanti. Le parlate zingare non sono
tutt’oggi riconosciute né tutelate a nessun livello.

15. Bilinguismo ed emigrazione


Si potrebbero considerare bilingui tutti gli italiani che per una serie di motivi risiedendo all’estero e hanno
dovuto imparare un’altra lingua e viceversa gli stranieri che fanno lo stesso in Italia, anche se detta
affermazione va presa con le molle perché assume una valenza diversa a seconda del caso specifico che si
sta trattando. È importante poi distinguere casi che possono essere di vero bilinguismo o solo di diglossia:
sono principalmente diglossici gli adulti i quali parlano in casa la lingua natia e sul posto di lavoro la lingua
del paese in cui sono ospiti, in opposizione col bilinguismo vero e proprio solitamente proprio dei giovani i
quali hanno altri modi e tempi di socializzare e quindi acquisire la nuova lingua ad un livello più profondo.

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