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LE FIGURE FEMMINILI

Le figure femminili sono ricorrenti nella poesia di Montale e rappresentano un tu a cui il poeta si rivolge e a cui assegna
di volta in volta funzioni diverse, emblema di un valore potenzialmente salvifico, occasione di ricordo, fantasma del
passato con cui dialogare per fuggire la negatività del presente, evocazione di un altro tempo (della morte, della
religione) o del mondo biologico e istintivo degli animali (mosca, volpe, anguilla).
Mai descritte fisicamente, esse vengono fissate in un gesto o in un particolare, come lo sguardo o la camminata; sono
cioè trasfigurazioni poetiche con cui il poeta non può avere un rapporto diretto, in quanto incarnazioni di un sogno di
salvezza e afferrabili solo in rari barlumi di luce.
Appartiene all’età dell’adolescenza e alle atmosfere giovanili di Ossi di seppia la figura di Arletta (Anna degli Uberti) la
prima donna montaliana, intorno a cui il poeta sviluppa il tema dell’assenza e una prima idealizzazione della donna
salvifica che comparirà in forma più definita nella figura centrale de le Occasioni, la Clizia (la studiosa Irma Brandeis) che
rappresenterà una nuova Beatrice ed incarnerà i valori umanistici della cultura di fronte alla barbarie del nazismo e della
guerra, ma che è destinata a svanire con l’irrompere della bufera.
Con la scomparsa della donna angelo il poeta rivolge il suo sguardo non più verso il cielo, ma verso il mondo reale e
concreto degli uomini, rappresentato dalle figure di Mosca, Volpe, Crisalide.
La prima, pseudonimo della compagna del poeta Drusilla Tanzi, rappresenta l’istinto e la vitalità necessari per vivere
nella negatività del presente, la vera unica pupilla capace di orientare il poeta in un mondo sempre più invaso dalla
spazzatura. La seconda, corrispondente alla figura della poetessa Maria Luisa Spaziani, rappresenta l’antiBeatrice, e a lei
è dedicata la seconda sezione della Bufera, che si conclude con la presa di coscienza del fallimento di una possibilità di
salvezza collettiva (adombrata da Clizia), che diviene ora invece prerogativa esclusiva del poeta.
Infine Crisalide è lo pseudonimo di un’attrice di origini peruviane, Paola Vicoli, conosciuta dal giovane Montale ed
evocata nella raccolta d’esordio come emblema della pulsione sensuale e vitale, ma anche come figura che raccoglie e
condivide la pena del poeta, prigioniero di una realtà quotidiana in cui l’inferno è certo.

http://www.liberopensiero.eu/2016/04/20/le-donne-eugenio-montale/
Le donne di Eugenio Montale
L’amore è sicuramente il tema cardine della letteratura di tutti i tempi. Oggi parliamo di un autore nostrano: il premio
Nobel Eugenio Montale. Di Montale tutti ricordano i meravigliosi versi di Satura, pubblicata nel 1971, in cui troviamo
componimenti famosissimi come “Ho sceso dandoti il braccio…” dedicato alla moglie, Drusilla Tanzi, teneramente
chiamata col soprannome di Mosca per la sua forte miopia. Tutte le poesie che fanno parte delle prime due sezioni della
raccolta Satura, Xenia I e Xenia II, sono dedicate al dolore che segue la morte della moglie:

Avevamo studiato per l’aldilà


un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che tutti siamo già morti senza saperlo.

Ma le Muse che hanno ispirato la poesia montaliana sono ben più di una:

a poco più di 20 anni, infatti, conosce Anna degli Uberti che sarà cantata come Arletta, attorno ad essa sviluppa il tema
dell’assenza ne La casa dei doganieri che fa parte della raccolta Le Occasioni (1939):

Tu non ricordi la casa dei doganieri […]


desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
[…]Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; […] Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

Nel 1927 Montale giunge a Firenze e conosce l’altra grande protagonista femminile della sua poetica, Irma Brandeis,
un’americana che studia italianistica proprio nel capoluogo toscano. Allo scoppio della guerra, la donna è costretta a
ritornare in America per via delle sue origini ebraiche e così s’interrompe la storia d’amore col poeta. A lei è dedicata la
raccolta Le occasioni, che contiene le poesie composte tra il 1928 e il 1939. Ma comparirà anche nella successiva raccolta
“La bufera e altro”.

a Irma Brandeis
Irma Brandeis viene cantata come Clizia, donna mitologica, figlia dell’Oceano e amante di Apollo, il dio del Sole. Quando
venne da lui abbandonata per la sorella Leucotoe, si vendicò denunciando il fatto al padre Oceano che fece sotterrare
quest’ultima viva; Clizia, persa la speranza di poter riconquistare l’amore del dio, si trasformò in girasole. Nel mito ella
resta sempre fedele al Sole, cioè Apollo, dio della cultura; il girasole, infatti, si volge sempre verso il sole, e cioè verso il
valore supremo della cultura:

Clizia e Apollo
[…] Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi
fino a che il cieco sole in te porti
si abbacini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti.
(da La primavera Hitleriana)
e ancora:
La frangia dei capelli che ti vela
la fronte puerile, tu distrarla
con la mano non devi. Anch’essa parla
di te. […] (da La frangia dei capelli…)
Montale, invece,
non conobbe mai Dora Markus.
Aveva visto una fotografia delle sue gambe inviatagli
da un amico insieme a un post scriptum:
«Ha delle gambe bellissime.
Fanne una poesia. Si chiama Dora Markus»
[…] La tua irrequietudine
mi fa pensare
agli uccelli
che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche
la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d’indifferenza ch’è il
tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra. […]
Un’altra donna che dobbiamo ricordare
è Maria Luisa Spaziani che Montale conobbe nel 1949:
“Io ero la volpe, lui l’orso. Non sono mai stata bella: era sedotto dalla mia vitalità. Lui non era mai stato giovane. Avevo
venticinque anni e morivo dalla voglia di incontrarlo.
Conoscevo a memoria Ossi di seppia e qualche poesia delle Occasioni.”
Se t’hanno assomigliato
alla volpe sarà per la falcata
prodigiosa, pel volo del tuo passo
che unisce e che divide, che sconvolge
e rinfranca il selciato […] o forse solo
per l’onda luminosa che diffondi
dalle mandorle tenere degli occhi,
per l’astuzia dei tuoi pronti stupori. […]
Maria Pisani
http://www.usserorivista.it/?p=653
Bruselli M., “Le figure femminili in Montale”
Le figure femminili in Montale
Mario Bruselli
Introduzione
Un bel giorno l’amico Renzo Bartalena mi chiede: “Ti piacerebbe fare un paio di incontri su un autore di Letteratura
italiana all’Accademia Nazionale dell’Ussero?” … e mi informa delle iniziative che l’Accademia aveva intenzione di
intraprendere. Come mio solito, spinto dall’incoscienza che a volte mi contraddistingue, gli dico: “Certo, perché no? Ma
di che cosa devo parlare?” Ci siamo messi a tavolino (anzi ad un banco dell’I.T.C. dove l’UNIDEA – l’Università degli Adulti
– svolge le sue quotidiane lezioni) e abbiamo scambiato i nostri pareri e fatte le dovute considerazioni.
“Mi piacerebbe che tu facessi qualcosa su Montale”, mi dice.
“Ci posso provare, ma non vorrei affrontare temi o poesie già ben note”.
“Che ne dici delle figure femminili che compaiono nelle sue liriche ?”
“L’idea mi piace; mi metto all’opera e vediamo cosa succede”.
Ed è successo che, mentre effettuavo le mie ricerche, il quadro si complicava sempre di più, perché alle figure femminili
più conosciute (Clizia, Dora Markus, Gerti), se ne aggiungevano altre, da me poco, se non totalmente sconosciute. Ad un
certo punto ho dubitato di poter fornire un quadro generale chiaro, adeguato all’uditorio, sono stato assalito da
ripensamenti ed incertezze, ma alla fine, confortato dal parere dell’amico Bartalena, mi sono, come si suol dire,
“buttato”.
Il frutto di tutto il mio lavoro è questo breve opuscolo, in cui sono fornite alcune note biografiche delle donne
montaliane, una breve esegesi dei brani letti in conferenza e le liriche scelte all’occorrenza.
Non è chiaramente un’opera “accademica”, non avevo affatto la pretesa che lo fosse, ma una semplice guida che mi ha
permesso di ripercorre alcune tappe significative del mondo femminile montaliano.
Spero con questo di aver fatto cosa gradita.
ALCUNE NOTIZIE SULLE “DONNE” DI MONTALE.
ANNA DEGLI UBERTI = ANNETTA – ARLETTA

Ispiratrice di Montale è Annetta (o Arletta), la donna crepuscolare. Montale la frequentò in gioventù, poi non la vide più
e a quel punto Annetta entrò nella sua poesia. Annetta appare ormai una creatura fatta di nulla, simile a uno sciame di
pensieri, inafferrabile. Sembra morta e al poeta si mostra diversa da com’era, persino nella sua risata. La donna, che per
un attimo è venuta a visitare la sua memoria, sta per abbandonarlo, diventa un’immagine sprofondata nel nulla.

ESTERINA
Le informazioni su Esterina Rossi le ricaviamo dal carteggio di Montale con Bianca Messina. Il 23 settembre 1923 il poeta
scriveva alla sua interlocutrice: «Saluti per me la cara scugnizza – possibilmente in genovese»; si ricordi che Esterina
Rossi viene menzionata da Montale già nelle precedenti lettere del 3 e del 14 agosto 1923.

GERTI
Gerti è l’austriaca di origine ebraica Gerti Frankl Tolazzi (1902-1989), di Graz, amica di Bobi Bazlen (ma anche
di Svevo o Saba) e del poeta, e sposata con l’ingegnere Carlo Tolazzi, in quel periodo ufficiale di stanza a Lucca; si tratta
della stessa Gerti che secondo Bazlen aveva fotografato le gambe di Dora Markus); Montale la conosce nel dicembre
1927 a casa di Drusilla Tanzi e Matteo Marangoni. Nei versi della poesia, con riferimenti all’incontro reale tra Montale e
Gerti a casa Marangoni (il piombo fuso a mezzanotte), il poeta descrive l’amica nel suo desiderio di fermare la fuga del
tempo, e nel comune destino umano di sofferenza[1].

DORA MARKUS
Poesia scritta tra il 1928 e il 1939, trae spunto dalla figura di una giovane austriaca di origini ebraiche, Dora Markus, che
Montale non aveva conosciuto personalmente ma di cui gli aveva parlato l’amico Bobi Bazlen, inviandogli una foto delle
gambe di Dora e indicandola come amica di Gerti Fránkl Tolazzi, di Graz (anche se viveva a Trieste), di cui il poeta parla
in Carnevale di Gert (1928), nella stessa raccolta; la foto sembra esser stata scattata dalla stessa Gerti.
Montale scrive a Gianfranco Contini nel 1943 che la protagonista di Due nel crepuscolo (in La bufera e altro) è ancora
Dora Markus.

IRMA BRANDEIS
Irma Brandeis (1905 – 1990) è stata una critica letteraria e docente statunitense. Nel 1933 incontra Eugenio
Montale a Firenze durante un viaggio estivo (aveva letto Ossi di seppia), e nasce una storia d’amore destinata a
concludersi definitivamente nel 1938; la storia è peraltro vissuta da Montale contemporaneamente a quella con Drusilla
Tanzi (con cui il poeta si sarebbe sposato agli inizi degli anni sessanta), e Drusilla avrebbe cercato di interrompere il
rapporto tra Eugenio e la Brandeis. Nel 1939 cessa anche il loro intenso scambio epistolare, una volta scaduta l’ultima
possibilità per il poeta di imbarcarsi per raggiungerla negli Stati Uniti. Montale idealizza poeticamente la figura di Irma,
chiamata nelle liriche con il soprannome-senhal di Clizia, soprattutto ne Le occasioni, come visitng angel capace di
ridare senso alla sua vita e a permettergli di confrontarsi con i suoi drammi esistenziali. Paolo De Caro in Journey to
Irma… (1999) vede Irma-Clizia per Montale come una “Donna-Messia” interna a una forma simbolica di “religione
privata” del poeta, con riferimenti ad antichi testi mistici. Francesco Zambon analogamente, pur rivedendo tutta
l’umanità di questo personaggio femminile, riconosce in lei un “segno divino” misterioso.

MARIA LUISA SPANZIANI

Maria Luisa Spaziani (Torino, 7 dicembre 1922 – Roma, 30 giugno 2014) è stata
una poetessa, traduttrice e aforista italiana. Nel gennaio del 1949 conosce Eugenio Montale durante una conferenza del
poeta al teatro Carignano di Torino e fra i due nasce, dopo un periodo d’assidua frequentazione a Milano, un sodalizio
intellettuale caratterizzato anche da un’affettuosa amicizia

LIUBA

Dedicata a Liuba Blumenthal, ebrea triestina vittima insieme alla sua famiglia delle persecuzioni raziali. Liuba è una delle
tante figure femminili della raccolta, incarnazione della capacità umana di resistere al male e di aggrapparsi alla vita.
Viene costretta a lasciare l’Italia dove viveva da molti anni. Montale la salutò alla stazione di Firenze, nel 1938, mentre la
ragazza faceva ritorno in Inghilterra.

DRUSILLA TANZI

Un’altra figura femminile è quella di Drusilla Tanzi (Milano, 5 aprile 1885 – Milano, 20 ottobre 1963) è stata
una scrittrice italiana, moglie di Eugenio Montale che a lei avrebbe dedicato due sezioni, Xenia I e Xenia II, della raccolta
poetica Satura (1970). conobbe Eugenio Montale, che nel 1927 ospitò a casa sua in via Benedetto Varchi e con cui andò
a vivere nel 1939 in via Duca di Genova. Secondo una lettera inviata ad Irma Brandeis, Montale impedisce due volte il
suicidio di Drusilla, che teme la partenza di Eugenio da Irma (del cui rapporto parallelo era stata da lui informata) per
gli Stati Uniti; tale partenza del poeta, paventata fino al 1938, in realtà non avverrà mai. La Tanzi sposerà invece Montale
il 23 luglio 1962 (qualche anno dopo la morte di Marangoni), e morirà l’anno dopo al Policlinico di Milano, in seguito a
complicazioni derivanti da una caduta e dalla conseguente rottura del femore.
Drusilla è la donna concreta, sua moglie, morta nel 1960, la sua compagna di vita che Montale paragona alla mosca nella
poesia Ho sceso, dandoti il braccio, un milione di scale. Il fatto di scendere le scale (situazione chiaramente allegorica) è
un’operazione molto comune, ma che richiede vista buona, altrimenti si può mettere il piede nel vuoto. Montale pensa
al vuoto di un’esistenza priva di punti di riferimento. Adesso che la sua Mosca non c’è più, egli fa appunto l’esperienza
amara di questo vuoto radicale. La Mosca manca tanto al poeta perché fra i due, era proprio lei miope com’era, la sola in
grado di vedere nel viaggio della vita. Quando era viva la Mosca percepiva, con le sue “pupille…tanto offuscate” i segni di
un mondo in sfacelo. In un mondo dove le cose vanno a rovescio, appunto la Mosca, umile insetto della casa e miope
com’era, sapeva muoversi a suo agio nella vita; sapeva sprigionare, con i suoi quattr’occhi, una luce interiore che si
rifletteva nella certezza di arrivare alla meta.

ANNALISA CIMA

Annalisa Cima è nata a Milano il 20 gennaio del 1941, da una famiglia di Lecco che aveva consolidate tradizioni
nell’industria della carta, infatti ad Acquate e a Castello sopra Lecco sorgevano due delle Cartiere Cima appartenenti ai
trisnonni. Il padre Giovan Battista era figlio unico di Elisa De Thoma e di Francesco Cima, la madre Ileana Anna anch’essa
figlia unica di Alice Schlesinger. Nel 1968 incontrò Eugenio Montale ed ebbe inizio una grande amicizia basata su una
profonda stima reciproca che si materializzò nel lascito montaliano. Nel 1978 A.C. con Montale e Segre dà vita alla
Fondazione Schlesinger e invita a fare parte del Comitato Scientifico alcuni amici scrittori.

GIUSEPPINA RICCI
Esponente della media borghesia genovese, appartenente a famiglia di notari.

COMMENTO ALLE POESIE

INCONTRO (ANNA DEGLI UBERTI = ARLETTA- ANNETTA)


Il pessimismo montaliano si approfondisce a partire soprattutto dalle ultime liriche degli Ossi, quelle aggiunte nella
seconda edizione(1928), che formano un ponte verso la poesia delle Occasioni. Quello che prima appariva come una
posizione personale di decadimento e fuga dalla vita, di incapacità di vivere la rivelazione balenata in un mitico sogno di
adolescenza, diventa ora una condizione comune, in un presente di storia avvilita. L’atmosfera di vite sterili, di sargassi
umani, di un anonimato totale che è, prima di tutto, incapacità di esistere originalmente come individui, avvicina questa
lirica all’Eliot di Terra desolata, da poco presente alla cultura europea, alla testimonianza di una crisi totale di valori.
FALSETTO (ESTERINA)
Questa notevolissima lirica, anch’essa fra le prime della raccolta degli Ossi di seppia, sviluppa il motivo dell’opposizione
tra l’io del poeta che si sente irrimediabilmente prigioniero del «male di vivere» e quanti – qui Esterina ventenne che si
tuffa in mare – trovano o sembrano trovare la «maglia rotta nella rete», «l’anello che non tiene» che consente di liberarsi
dall’angoscia e di vivere felici. [Ossi di seppia] II mare è oggetto simbolico nella poesia di Montale: il pesciolino che trova
la smagliatura nella rete e si libera, può liberamente fluire nel mare e nella vita; l’immagine del mare che di tanto in
tanto appare nel percorso tra le viuzze contornate da muri che hanno in cima cocci aguzzi di bottiglia («è tutta la vita e il
suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia», Meriggiare pallido e assorto)
costituisce un possibile indizio di liberazione, se non fosse che è contemplato di lontano («Osservare… / il palpitare
lontano di scaglie di mare», ivi).
In Falsetto Esterina è simbolo della vita che si realizza, della vita non coartata dall’angoscia, non “strozzata” dalla
riflessione che paralizza: le basta una crollata di spalle per distruggere «i fortilizi / del suo domani oscuro». Esterina è
creatura che attinge una divina, pagana felicità nell’immedesimazione stessa con la natura, nell’adesione totale e
irriflessa alla vita e alla realtà. Esterina ha infranto la «campana di vetro» che separa il poeta dalla felicità, ha trovato la
smagliatura che le consente il tuffo simbolico. II poeta è viceversa «della razza / di chi rimane a terra», di chi è
condannato a osservare da lontano la vita, coartato nel suo viluppo d’angoscia. E tutta nella prospettiva di paralizzante
riflessione propria del poeta è l’ambivalenza iniziale della giovinezza “minacciosa” di Esterina: Esterina non percepisce la
minaccia del tempo e della vita, per questo è «divina» e felice; la percepisce invece Montale che trema per lei, pensando
a sé, e per lei prega che il destino non le riservi quelle delusioni, quell’angoscia che a lui altro non permette che
osservare da lontano, trepidante e ammirato, la vita che si realizza.

CARNEVALE DI GERTI
Questo è uno dei testi fondamentali della poesia di Montale.
“Gerti” è un nome tedesco di donna.
La prima strofa è formata da un periodo ipotetico diviso in due parti, protasi e apodosi. Il poeta evidenzia qui un aspetto,
facendo precedere la seconda parte della strofa dal trattino. Tutta la prima parte, fino al trattino, è una lunga
reiterazione di protasi. Il trattino sostituisce un segno di interpunzione normale e serve a riassumere, in un solo punto,
una situazione che si è venuta manifestando in modo più articolato. Osservando un altro aspetto legato al trattino
notiamo che l’apodosi dà una “confusione” che merita attenzione.
Montale è il poeta del periodo ipotetico perché la poesia che gli sta a cuore è proprio quella dell’ipotesi e della
domanda. La sua è una poesia “della domanda” che gli permette di legarsi al lettore. Il Nostro vuole governare la
complessità sintattica del periodo attraverso il trattino. Quest’ultimo introduce l’elemento fattuale decisivo, ovvero,
l’elemento biografico. Montale scrive a Roberto Balzen, legato a Gerti, e dice: << Ho fatto leggere in giro questa poesia ,
e mi hanno detto che funziona anche per chi non è al corrente dei fat>>. Nel periodo ipotetico il “forse” serve a
rafforzare la stessa situazione ipotetica. Le ipotesi elencate sono tutte riferite ad una cosa che deve succedere: sono
delle previsioni, delle incertezze. Abbiamo, però, una strana situazione: una predizione volta al passato.
DORA MARKUS
Il ricordo della Markus e dell’incontro con lei a Ravenna (il “porto Corsini” del v. 2) è lo spunto narrativo per imbastire
una profonda riflessione sul senso della memoria e delle azioni umane. All’evocazione di Dora dei vv. 1-10 segue infatti
la proiezione del ricordo che il poeta ha di lei, e in particolare della “irrequietudine” (v. 16) che la fa somigliare ad un
uccello migratore, in perenne lotta per quella sopravvivenza forse assicurata solo da un “amuleto” (v. 25) che Dora ha
con sé e che ci ricorda pure la funzione del “correlativo oggettivo” negli Ossi di seppia, cui questa prima parte è assai
vicina. Nella seconda parte, Montale allarga e complica il proprio sguardo: se l’“ormai” di apertura (v. 29) indica da
subito la frattura temporale tra i due momenti del ricordo della Markus, a ciò s’aggiunge la dislocazione geografica. Da
Ravenna si passa alla Carinzia, terra d’origine di Dora e probabile meta del suo vagare da esule. Montale ricostruisce
l’ambiente di provenienza della donna, e ne sottolinea la vicenda (quella di un’ebrea su cui sta per abbattersi la “fede
feroce” della persecuzione nazista) per alludere tra le righe ad un più generale fallimento esistenziale e storico. Dora, in
cui per ammissione dello stesso Montale si sommano le figure di altre donne (tra cui Gerti Frankl Tolazzi, ebrea di origine
austriaca e destinataria della poesia Il carnevale di Gert, e Clizia, e cioè quella Irma Brandeis costretta alla fuga negli Stati
Uniti per sfuggire alle leggi razziali), diventa allora simbolo di una vera e propria condizione umana,

LA FRANGIA DEI CAPELLI (CLIZIA= IRMA BRANDEIS)

La frangia appartiene alla creatura che popola letteralmente i sogni del poeta: Clizia, la donna-angelo che innova
radicalmente tutta la tradizione poetica italiana per la sua caratteristica di essere un angelo limitato, un angelo
-soprattutto in questi versi- bambino, impotente e vulnerabile alla tragedia della guerra.

LA BUFERA (CLIZIA)

“La bufera è quella guerra dopo quella dittatura…; ma è anche guerra cosmica, di sempre e di tut “. Come al
solito Montale risolve in significati esistenziali e metafisici anche gli eventi oggettivi, come, in questo caso, il secondo
conflitto mondiale e la persecuzione antisemita. Per riproporre l’intensità del duplice scacco storico ed esistenziale ( il
devastante scoppio del conflitto e l’allontanamento definitivo di Irma Brandeis, Clizia, la donna – angelo portatrice di
salvezza ) il poeta sceglie, come al solito, alcuni correlativi oggettivi.
Una serie di immagini ha il compito di ricostruire, in una penetrante successione di significati, la contraddittorietà del
reale, che si manifesta ora con la violenta intensità di una bufera, ora con la luce sorprendente di un lampo. Quest’ultimo
è capace di connotare gli oggetti in modo ambiguo e straniato, tanto da evidenziare nell’eternità di un
istante la condanna dell’uomo alla sua dolorosa necessaria sofferenza.
L’ANGUILLA (CLIZIA)

Ancora una volta, dunque, come in Le Occasioni e nella maggior parte dei componimenti de La bufera ed altro,
l’interlocutrice privilegiata del poeta è una figura femminile, enigmatica e sfuggente compagna di viaggio, cercata come
rifugio e fonte di salvezza, sulla quale in questa raccolta si proietta l’angoscioso clima bellico, postbellico, nel caso
specifico de L’anguilla.
Si tratta di un motivo tipico dell’universo poetico di Montale. Qui la donna-anguilla è un’immagine ambigua, sospesa,
proprio come l’anguilla nelle pozze e nei fondi melmosi, tra visibilità ed invisibilità (la sua identità resta nascosta). È qui,
anziché donna-angelo come in altri componimenti, portatrice di valori bassi, istintuali, di una vitalità biologica,
sessuale, ma pur sempre estrema difesa contro il male del mondo. La poesia viene in tal modo ad essere un atto di
omaggio, di lode alla donna. L’accostamento ad un essere così forte, pur se povero (viene in mente A mia moglie di
Saba), fa acquistare alla figura femminile acquista qualità di figura salvifica, di annuncio e di speranza di vita, garanzia di
continuità, di sopravvivenza, di resistenza anche là dove la vita sembra impossibile, araba fenice («la scintilla che
dice/tutto comincia quando tutto pare/incarbonirsi, bronco seppellito»), angelo terrestre di «paradisi di fecondazione»,
luce che brilla «intatta», come il «guizzo» dell’anguilla «in pozze d’acquamorta».

A LIUBA CHE PARTE

La breve lirica appartiene alla prima sezione delle Occasioni. E’ dedicata a Liuba Blumenthal, ebrea triestina vittima
insieme alla sua famiglia delle persecuzioni razziali. Liuba è una delle tante figure femminili della raccolta, incarnazione
della capacità umana di resistere al male e di aggrapparsi alla vita. Viene costretta a lasciare l’Italia dove viveva da molti
anni. Montale la salutò alla stazione di Firenze, nel 1938, mentre la ragazza faceva ritorno in Inghilterra.

DICONO CHE LA MIA …


(DRUSILLA TANZI, LA MOGLIE – MOSCA)
La commistione tra assenza e ironia crea uno scarto fondamentale. In Le occasioni e in La bufera la mancanza del valore
si tramutava nella valorizzazione della poesia in quanto tale. Ora, nel “trionfo la spazzatura”, la fine del linguaggio
poetico rischia di ridicolizzare la figura del poeta, che nella speranza di una nuova vita rinnova se stesso.
Al tono sublime si sceglie il prosastico e il taglio giornalistico. Alla lirica, l’ironia. Ecco la grandezza di Eugenio Montale: il
rifiuto, la crisi, la depressione, l’accettazione mista a rifiuto di un certo stile di vita non hanno portato al vuoto e al nulla.
Affatto. C’è stato un giustificabile periodo di sconforto e silenzio, ma alla fine la risposta è arrivata. Un grande poeta non
può rinunciare alla sua arma. In Montale la negazione di una determinata poesia non porta alla cancellazione di tale
arte. Porta solo alla costruzione di un’altra poetica, affatto inferiore alle raccolte precedenti.
HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO, ALMENO …
(DRUSILLA TANZI)

Il tema iniziale della poesia (Satura) è il senso della perdita e dello smarrimento provocato dalla morte della moglie:
insieme hanno sceso, nel viaggio della vita, milioni di scale e ora, a ogni gradino, il poeta avverte una sensazione di
vuoto. A lei egli affidava il disbrigo delle incombenze pratiche durante i viaggi fatti insieme, come badare alle
coincidenze, preoccuparsi delle prenotazioni, ma queste sono solo “trappole” e “scorni” per chi crede che la realtà si
esaurisca tutta nel mondo visibile. La seconda strofa chiarisce quale sia il vero senso di smarrimento del poeta. Mosca
aveva infatti una conoscenza profonda delle cose, che non si arrestava alla superficie della “realtà che si vede “. La sua
miopia era solo apparente; lo sguardo di Mosca era difatti anche più penetrante di quello del poeta.

SE T’HANNO ASSOMIGLIATO…
(MARIA LUISA SPANZIANI = LA VOLPE)
La «falcata prodigiosa» è quella di Maria Luisa Spaziani, scrittrice e traduttrice italiana che con il poeta intessé un
rapporto mai definito. Montale sposò la sua mosca (Drusilla Tanzi) e lei restò accanto ad Elémire Zolla per molti anni.
Questo impedì ai due di considerare qualsiasi unione: «Eugenio ed io non avemmo coraggio di staccarci da queste due
persone». Amarezze, ironia, rimpianti e comici racconti di vita quotidiana, è tutto nel suo recente libro, Montale e la
volpe pubblicato nel 2011, a trent’anni dalla morte del poeta.
AD ANNALISA CIMA
Montale ci dice che lei sarebbe piaciuta alla Mosca, la moglie Drusilla Tanzi («Se la mosca ti avesse vista / anche una sola
volta / quanto amore di avrebbe / accordato. Non è facile / per me dare se non / per interposta persona, / cosa direbbe
la Gina / se decidessi d’essere / padre all’improvviso.», dal “Diario postumo”) per l’aria di sprezzatura che si respira
standole accanto; anche se in questa investitura riconosco una volontà di divinizzazione della Cima, di creazione di una
sorta di mito dove non poca parte hanno le poesie che la stessa componeva in quegli anni e dava a leggere a Montale,
che se ne dimostrava poi convinto ammiratore (soprattutto le raccolte “Terzo modo”, “Immortalità” e “Sesamon”). Si
capisce pure in cosa sia consistito l’improvviso desiderio di paternità di Montale, e così lentamente il lettore è reso
partecipe della nascita e della crescita di un rapporto d’amicizia, nel quale il poeta diventa musa/madre e allo stesso
tempo padre/nonno.

A MIA MADRE

In questo testo, scritto durante i difficili anni della seconda guerra mondiale, l’autore si intrattiene in colloquio con la
madre da poco defunta. Intenzione dell’autore è esprimere l’amore profondo per colei che gli diede la vita, che
sopravvive alla morte grazie al ricordo che ha lasciato, dentro di lui, del suo corpo, dei suoi gesti, delle sue parole.

INCONTRO (ANNA DEGLI UBERTI = ANNETTA – ARLETTA)

Tu non m’abbandonare mia tristezza dal giorno sparsa già. Prega per me
sulla strada allora ch’io discenda altro cammino
che urta il vento forano che una via di città,
co’ suoi vortci caldi, e spare; cara nell’aria persa, innanzi al brulichio
tristezza al soffio che si estenua: e a questo, dei vivi; ch’io t senta accanto; ch’io
sospinta sulla rada scenda senza viltà.(da “Ossi di seppia”)
dove l’ultme voci il giorno esala La foce è allato del torrente, sterile
viaggia una nebbia, alta si flette un’ala d’acque, vivo di pietre e di calcine;
di cormorano. ma più foce di umani at consunt,
Forse riavrò un aspetto: nella luce d’impallidite vite tramontant
radente un moto mi conduce accanto oltre il confine
a una misera fronda che in un vaso che a cerchio ci rinchiude: visi emunt,
s’alleva s’una porta di osteria. mani scarne, cavalli in fila, ruote
A lei tendo la mano, e farsi mia stridule: vite no: vegetazioni
un’altra vita sento, ingombro d’una dell’altro mare che sovrasta il flutto.
forma che mi fu tolta; e quasi anelli Si va sulla carraia di rappresa
alle dita non foglie mi si attorcono mota senza uno scarto,
ma capelli.Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari simili ad incappat di corteo,
qual sei venuta, e nulla so di te. sotto la volta infranta ch’è discesa
La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari quasi a specchio delle vetrine,
in un’aura che avvolge i nostri passi un ronzio qual di sfere quando un’ora
fitta e uguaglia i sargassi sta per scoccare;
umani fluttuant alle cortne e cado inerte nell’attesa spenta
dei bambù mormorant. di chi non sa temere
Se mi lasci anche tu, tristezza, solo su questa proda che ha sorpresa l’onda
presagio vivo in questo nembo, sembra lenta, che non appare.
che attorno mi si effonda

Hai ben ragione tu!


Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortlizî
del tuo domani oscuro.
T’alzi e t’avanzi sul pontcello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esit a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbat fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.
(da “Ossi di seppia”)
FALSETTO (ESTERINA)
Esterina, i vent’anni t minacciano, percossa!; io prego sia
grigiorosea nube per te concerto ineffabile
che a poco a poco in sé t chiude. di sonagliere.
Ciò intendi e non pavent. La dubbia dimane non t’impaura.
Sommersa t vedremo Leggiadra t distendi
nella fumea che il vento sullo scoglio lucente di sale
lacera o addensa, violento. e al sole bruci le membra.
Poi dal fiotto di cenere uscirai Ricordi la lucertola
adusta più che mai, ferma sul masso brullo;
proteso a un’avventura più lontana te insidia giovinezza,
l’intento viso che assembra quella il lacciòlo d’erba del fanciullo.
l’arciera Diana. L’acqua’ è la forza che t tempra,
Salgono i vent autunni, nell’acqua t ritrovi e t rinnovi:
t’avviluppano andate primavere; noi t pensiamo come un’alga, un ciottolo
ecco per te rintocca come un’equorea creatura
un presagio nell’elisie sfere. che la salsedine non intacca
Un suono non t renda ma torna al lito più pura.
qual d’incrinata brocca

CARNEVALE DI GERTI
E il natale verrà e il giorno dell’anno
che sfolla le caserme e t riporta
gli amici spersi e questo carnevale
pur esso tornerà che ora ci sfugge
tra i muri che si fendono già. Chiedi
tu di fermare il tempo sul paese
che attorno si dilata? Le grandi ali
screziate t sfiorano, le logge
sospingono all’aperto esili bambole
bionde, vive, le pale dei mulini
rotano fisse sulle pozze garrule.
Chiedi di trattenere le campane
d’argento sopra il borgo e il suono rauco ove è negato pur morire; e col tempo che ti batte
delle colombe? Chiedi tu i matni al polso e all’esistenza ti ridona,
trepidi delle tue prode lontane?Come tutto si fa strano e tra le mura pesanti che non s’aprono
difficile al gorgo degli umani affaticato,
come tutto è impossibile, tu dici. torna alla via dove con te intristisco
La tua vita è quaggiù dove rimbombano quella che mi additò un piombo raggelato
le ruote dei carriaggi senza posa alle mie, alle tue sere:
e nulla torna se non forse torna alle primavere che non fioriscono.
in questi disguidi del possibile. (da “Le occasioni”)
Ritorna là fra i morti balocchi

Se la ruota si impiglia nel groviglio ora chiedi il paese dove gli onagri
delle stesse filant ed il cavallo mordano quadri di zucchero dalle tue mani
s’impenna tra la calca, se t nevica e i tozzi alberi spuntino germogli
fra i capelli e le mani un lungo brivido miracolosi al becco dei pavoni.
d’iridi trascorrent o alzano i bambini (Oh, il tuo carnevale sarà più triste
le flebili ocarine che salutano stanotte anche del mio, chiusa fra i doni
il tuo viaggio e i lievi echi si sfaldano tu per gli assenti: carri dalle tinte
giù dal ponte sul fiume di rosolio, fantocci ed archibugi,
se si sfolla la strada e t conduce palle di gomma, arnesi da cucina
in un mondo soffiato entro una tremula lillipuziani: l’urna li segnava
bolla d’aria e di luce dove il sole a ognuno dei lontani amici l’ora
saluta la tua grazia-hai ritrovato che il gennaio si schiuse e nel silenzio
forse la strada che tentò un istante si compì il sortilegio. È carnevale
il piombo fuso a mezzanotte quando o il dicembre s’indugia ancora? Penso
finì l’anno tranquillo senza spari. che se muovi la lancetta al piccolo
Ed ora vuoi sostare dove un filtro orologio che rechi al polso, tutto
fa spogli i suoni arretrerà dentro un disfatto prisma
e ne deriva i sorridenti ed acri babelico di forme e di colori… )
fumi che ti compongono il domani;

DORA MARKUS
2. Ormai nella tua Carinzia È scritta là. Il sempreverde
di mirt fiorit e di stagni, alloro per la cucina
china sul bordo sorvegli resiste, la voce non muta,
la carpa che tmida abbocca Ravenna è lontana, distlla
o segui sui tgli, tra gl’irt veleno una fede feroce.
pinnacoli le accensioni Che vuole da te? Non si cede
del vespro e nell’acque un avvampo voce, leggenda o destno…
di tende da scali e pensioni. Ma è tardi, sempre più tardi.(da “Le occasioni”)
La sera che si protende Fu dove il ponte di legno
sull’umida conca non porta mette a porto Corsini sul mare
col palpito dei motori alto
che gemit d’oche e un interno e rari uomini,
di nivee maioliche dice quasi immot, affondano
allo specchio annerito che t vide o salpano le ret. Con un segno
diversa una storia di errori della mano additavi
imperturbat e la incide all’altra sponda
dove la spugna non giunge. invisibile la tua patria vera.
La tua leggenda, Dora! Poi seguimmo il canale
Ma è scritta già in quegli sguardi fi no alla darsena
di uomini che hanno fedine della città, lucida di fuliggine,
altere e deboli in grandi nella bassura dove s’affondava
ritrat d’oro e ritorna una primavera inerte,
ad ogni accordo che esprime senza memoria.
l’armonica guasta nell’ora E qui dove un’antca vita
che abbuia, sempre più tardi. si screzia in una dolce
ansietà d’Oriente, turbina e non appare,
le tue parole iridavano e i suoi riposi sono anche più rari.
come le scaglie Non so come stremata tu resist
della triglia moribonda. in questo lago
La tua irrequietudine d’indifferenza ch’è il
mi fa pensare tuo cuore; forse
agli uccelli di passo t salva un amuleto che tu teni
che urtano ai fari vicino alla matta delle labbra,
nelle sere tempestose: al piumino, alla lima:
è una tempesta anche un topo bianco,
la tua dolcezza, d’avorio; e così esist!

L’ANGUILLA (CLIZIA) che solo i nostri botri o i disseccat


ruscelli pirenaici riconducono
L’anguilla, la sirena a paradisi di fecondazione;
dei mari freddi che lascia il Baltco l’anima verde che cerca
per giungere ai nostri mari, vita là dove solo
ai nostri estuari, ai fiumi morde l’arsura e la desolazione,
che risale in profondo, sotto la piena avversa, la scintlla che dice
di ramo in ramo e poi tutto comincia quando tutto pare
di capello in capello, assotgliat, incarbonirsi, bronco seppellito;
sempre più addentro, sempre più nel cuore l’iride breve, gemella
del macigno, filtrando di quella che incastonano i tuoi cigli
tra gorielli di melma finché un giorno e fai brillare intatta in mezzo ai figli
una luce scoccata dai castagni dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta, non crederla sorella?
nei fossi che declinano
dai balzi d’Appennino alla Romagna; (Dalla V sezione, “Silvae”, de “La bufera ed altro”)
l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra
LA FRANGIA DEI CAPELLI
(CLIZIA= IRMA BRANDEIS)

La frangia dei capelli che t vela tuoi distendono, l’ala onte tu vai,
la fronte puerile, tu distrarla trasmigratrice Artemide ed illesa,
con la mano non devi. Anch’essa parla tra le guerre dei nat-mort; e s’ora
di te, sulla mia strada è tutto il cielo, d’aeree lanugini s’infiora
la sola luce con le giade ch’ài quel fondo, a marezzarlo sei tu, scesa
accerchiate sul polso, ne tumulto d’un balzo, e irrequieta la tua fronte
del sonno la cortna che gl’indult si confonde con l’alba, la nasconde.

LA BUFERA (CLIZIA)

La bufera che sgronda sulle foglie eternità d’istante – marmo manna


dure della magnolia i lunghi tuoni e distruzione – ch’entro te scolpita
marzolini e la grandine, port per tua condanna e che t lega
più che l’amore a me, strana sorella, –
(i suoni di cristallo nel tuo nido e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
notturno t sorprendono, dell’oro dei tamburelli sulla fossa fuia,
che s’è spento sui mogani, sul taglio lo scalpicciare del fandango, e sopra
dei libri rilegat, brucia ancora qualche gesto che annaspa…
una grana di zucchero nel guscio Come quando
delle tue palpebre) t rivolgest e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella mi salutast – per entrar nel buio.
SE T’HANNO ASSOMIGLIATO… (MARIA LUISA a un carnivoro biondo, al genio perfido
SPANZIANI = LA VOLPE) delle fratte (e perché non all’immondo
pesce che dà la scossa, alla torpedine?)
Se t’hanno assomigliato è forse perché i ciechi non t videro
alla volpe sarà per la falcata sulle scapole gracili le ali,
prodigiosa, pel volo del tuo passo perché i ciechi non videro il presagio
che unisce e che divide, che sconvolge della tua fronte incandescente, il solco
e rinfranca il selciato (il tuo terrazzo, che vi ho graffiato a sangue, croce cresima
le strade presso il Cottolengo, il prato, incantesimo jattura voto vale
l’albero che ha il mio nome ne vibravano perdizione e salvezza; se non seppero
felici, umidi e vint) – o forse solo credert più che donnola o che donna,
per l’onda luminosa che diffondi con chi dividerò la mia scoperta,
dalle mandorle tenere degli occhi, dove seppellirò l’oro che porto,
per l’astuzia dei tuoi pront stupori, dove la brace che in me stride se,
per lo strazio lasciandomi, t volgi dalle scale?
di piume lacerate che può dare (“La bufera e altro”)
la tua mano d’infante in una stretta;
se t’hanno assomigliato
A LIUBA CHE PARTE
Non il grillo ma il gatto
del focolare
or t consiglia, splendido
lare della dispersa tua famiglia.
La casa che tu rechi
con te ravvolta, gabbia o cappelliera?,
sovrasta i ciechi tempi come il flutto
arca leggera – e basta al tuo riscatto

(DRUSILLA TANZI, la moglie – MOSCA)

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno … (DRUSILLA TANZI, la moglie – MOSCA)


Ho sceso, dandot il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Dicono che la mia non è diverso dalla stasi,


sia una poesia d’inappartenenza. che il vuoto è il pieno e il sereno
Ma s’era tua era di qualcuno: è la più diffusa delle nubi.
di te che non sei più forma, ma essenza. Così meglio intendo il tuo lungo viaggio
Dicono che la poesia al suo culmine imprigionata tra le bende e i gessi.
magnifica il Tutto in fuga, Eppure non mi dà riposo
negano che la testuggine sapere che in uno o in due noi
sia più veloce del fulmine. siamo una sola cosa.
Tu sola sapevi che il moto
(da Xenia)

Ho sceso milioni di scale dandot il braccionon già perché con quattr’occhi forse si vede di più.Con te le ho scese perché
sapevo che di noi duele sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,erano le tue.

Ad ANNALISA CIMA

Se la mosca t avesse vista accordato. Non è facile


anche una sola volta per me dare se non
quanto amore t avrebbe per interposta persona,
cosa direbbe la Gina padre all’improvviso.
se decidessi d’essere

A mia madre

Ora che il coro delle coturnici chi t proteggerà? La strada sgombra


t blandisce dal sonno eterno, rotta non è una via, solo due mani, un volto,
felice schiera in fuga verso i clivi quelle mani, quel volto, il gesto di una
vendemmiat del Mesco, or che la lotta vita che non è un’altra ma se stessa,
dei vivent più infuria, se tu cedi solo questo t pone nell’esilio
come un’ombra la spoglia folto d’anime e voci in cui tu vivi.
(e non è un’ombra, E la domanda che tu lasci è anch’essa
o gentle, non è ciò che tu credi) un gesto tuo, all’ombra delle croci.

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