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Il continuum Un’altra importante nozione sociolinguistica che rimanda alle modalità con

cui i parlanti si muovono tra le diverse varietà del repertorio va sotto il nome di

“continuum”. Si tratta, in sostanza, del fatto che tali varietà, soprattutto quelle intermedie –

che si collocano fra i due poli estremi rappresentati dall’italiano più formale e dal dialetto

più stretto –, non sono sempre chiaramente distinte ma, in un certo senso, “sfumano” l’una

nell’altra, mostrando un grado di sovrapposizione che può anche essere notevolmente

ampio. Scrive Berruto (Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Firenze, La Nuova

Italia, 1987, p. 27):

L’uso della nozione di continuum in sociolinguistica si rifà alla concezione tradizionale del

‘continuum dialettale’, riferito alla variazione geografica, con cui si intende una serie di dialetti, di

solito geneticamente imparentati, tale che dialetti adiacenti siano fra loro reciprocamente

comprensibili, mentre non lo siano più i dialetti all’estremità della serie. In altri termini, i parlanti di

un dialetto A comprenderebbero bene il dialetto vicino B (e viceversa), i parlanti di B

comprenderebbero il dialetto C (e viceversa), ma i parlanti di A non comprendono più il dialetto,

poniamo, M, e viceversa.

Per chiarire ora il concetto di continuum, così com’è usato in sociolinguistica, facciamo

subito un esempio concreto.

1. non sono affatto a conoscenza di che cosa sia stato loro detto

2. non sono affatto a conoscenza di che cosa abbiano loro detto

3. non so affatto che cosa abbiano loro detto

4. non so affatto che cosa abbian loro detto

5. non so affatto che cosa hanno loro detto

6. non so mica che cosa gli hanno detto

7. non so mica che cosa gli han detto

8. non so mica cosa gli han detto

9. so mica cosa gli han detto

10. so mica cosa ci han detto

11. so mica cosa che ci han detto

Questi undici modi sinonimici di “dire la stessa cosa”, tutti possibili e tutti provenienti dallo

stesso repertorio (di area settentrionale, anzi piemontese), sono prodotti dall’interazione di

otto diverse variabili linguistiche (l’opposizione fra costruzione passiva e costruzione


attiva, sia stato/abbiano; le forme della negazione, non … affatto/non … mica/ … mica;

l’opposizione fra essere a conoscenza di e sapere; la forme del pronome neutro delle

interrogative, che cosa/cosa/cosa che; quella fra congiuntivo e indicativo per esprimere

incertezza; il troncamento delle vocali finali, abbiano/abbian, hanno/han; le forme del

pronome obliquo di terza persona plurale, loro/gli/ci, il parziale scempiamento delle

consonanti intense in detto) e, come si vede, differiscono l’uno dall’altro solo per modifiche

quasi impercettibili nella combinazione di tali variabili. Ma, mentre la differenza tra 1 e 2, 2

e 3, 3 e 4 è sempre minima, quella tra 1 e 6 è già abbastanza vistosa, mentre fra 1 e 11 è

ormai radicale (con 11 siamo infatti alle soglie della sezione dialettale del repertorio).

Semplificando di parecchio un’analisi che potrebbe essere anche piuttosto lunga e

complessa (ivi, p. 34),

le formulazioni 1 e 2 sarebbero in italiano (aulico) formale, 3 e 4 in italiano standard letterario, 5 e 6

in italiano neo-standard, 7 e 8 in italiano parlato colloquiale, 9 in italiano informale trascurato, 10 e 11

in italiano popolare […]. In realtà, il raggio di dispersione delle varietà è più ampio: lo standard,

globalmente inteso, può spaziare da 1 (massimo di formalità) a 8 (massimo di informalità, ma ancora

standard ‘allargato’), laddove 3 rappresenta forse lo standard non marcato; il parlato colloquiale può

ammettere, accanto alla forma più tipica che ne è forse 8, da (forse) 4 a 7 (se non anche 9), l’italiano

popolare spazia da 9 a 11 ecc.

Infine, se volessimo anche tentare un’assegnazione del continuum a parlanti (peraltro cosa assai

spinosa), potremmo dire che un parlante colto ben competente può svariare da 1 a 9 (anche se la

formulazione 9 andrà esclusa per non pochi parlanti colti), un parlante incolto svarierà fra 9 e 11, un

parlante medio svarierà fra 3 e 9 ecc.

Da questo esempio traspare molto bene sia la “concretezza” del continuum – a cui, nella
nostra normale attività di parlanti, facciamo caso poco o nulla –, sia la sua capacità di
“raccogliere” molte delle considerazioni già svolte a lezione.

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