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INSEGNARE IL PROBLEM SOLVING NELLA SCUOLA PRIMARIA

Capitolo 1

INTRODUZIONE
Popper afferma che la vita di tutti li esservi viventi è costituita da problemi da risolvere e, imparare a vivere
significa imparare a risolvere problemi. Recenti ricerche mostrano che i processi cognitivi coinvolti nel
problem solving sono spesso associati al successo scolastico, in quanto la competenza nella risoluzione dei
problemi prepara gli studenti a ragionare efficacemente in situazioni non familiari, e a riempire l’eventuale
vuoto di conoscenze. Numerosi autori hanno fornito definizioni di problem solving che possono essere
inglobate nella definizione proposta da Pisa 2012. Nella ricerca dell’OCSE il problem solving è definito come:
“la capacità di un individuo di impegnare i propri processi cognitivi per comprendere e risolvere situazioni
problematiche in cui un metodo di soluzione non è immediatamente ovvio. Include anche il desiderio di
impegnarsi nella situazione a realizzare il proprio potenziale, come cittadino costruttivo e riflessivo”.
Nella definizione adottata da Pisa 2012 viene anche sottolineato come l’abilità nella risoluzione dei problemi
dipenda anche da fattori affettivi, come gli aspetti motivazionali. Il processo di risoluzione dei problemi è
talmente evidente nella matematica, apprenderla, infatti, implica lo sviluppo della capacità di risoluzione di
problemi. La RACCOMANDAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA 2018, relativa alle competenze chiave di
cittadinanza per l’apprendimento afferma che “la competenza matematica è l’abilità di sviluppare e
applicare il pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane” Nell’ambito
primario l’acquisizione di questa abilità viene ritenuta fondamentale, in quanto contribuisce alla formazione
del pensiero nei suoi vari aspetti di creatività, intuizione, deduzione e verifica.

IL PROBLEM SOLVING IN PSICOLOGIA


Lester e Khele fanno notare che le varie definizioni di problem solving contenevano tre assunzioni condivise:

1. L’obiettivo teorico consisteva nel comprendere i processi cognitivi di una persona durante la
risoluzione di un problema.
2. I processi cognitivi erano guidati da obiettivi interni.
3. I processi cognitivi erano gli stessi in tutti i problemi.

LA PROSPETTIVA ASSOCIAZIONISTA
Problem solving: applicazione per prova ed errore di associazioni stimolo-risposta.

Siamo uno stimolo, una situazione di problem solving, a cui seguono delle risposte e noi rafforziamo quella
che ci interessa. Poi L’associazione stimolo-risposta diventa automatica non c’è bisogno più del rinforzo.

Molti psicologi sostenevano che il comportamento umano potesse essere analizzato assumendo unità più
elementari: gli stimoli, le risposte e i legami tra esse.

Stimoli: eventi esterni alla persona.

Risposte: atti che le persone compiono in relazione a quegli eventi esterni.

In questo ambito un ruolo fondamentale è svolto dalla monografia Animal Intelligence di Thorndike, nella
quale vengono descritti i processi di pensiero e di problem solving, a partire da numerosi esperimenti
condotti su animali. Ad esempio un esperimento consisteva nell’inserire un gatto in una scatola di legno,
che poteva essere aperta dall'interno solo tramite un chiavistello. Il gatto, muovendosi, faceva scattare il
chiavistello e riusciva a fuggire. La situazione veniva ripetuta poi volte e il gatto impiegava sempre meno
tempo per trovare la via di fuga. Secondo Thorndike l’apprendimento che avviene in questo modo è per
prova, errore e successo accidentale. In generale, si può affermare che sono tre gli elementi principali che
consentono di interpretare le condotte nella soluzione dei problemi nella teoria associazionista: lo stimolo
(particolare situazione di problem solving); le risposte (particolari risposte comportamentali al problem
solving) e le associazioni tra un particolare stimolo e una particolare risposta. Il risolutore prova la risposta
dominante nella sua gerarchia, R1, e se questa fallisce, prova R2, e va avanti fino a trovare la risposta più
adatta. Per descrivere il processo di soluzione Thorndike elabora due leggi: la legge dell’esercizio e la legge
dell’effetto.

Legge dell’esercizio: Se presentiamo più volte uno stimolo simile, ci sono più probabilità che la risposta
corretta venga messa in atto velocemente. Quindi la pratica intende ad incrementare lo specifico legame S-
R.

Legge dell’effetto: Quando viene fatto un collegamento modificabile tra una situazione e una risposta e
questo collegamento è accompagnato o seguito da uno stato di cose piacevole, la forza di quel
collegamento viene accresciuta; quando viene posto un collegamento accompagnato o seguito da uno stato
di cose spiacevole, la sua forza viene diminuita. Ritornando all’esperimento del gatto è la ricompensa della
fuga che rafforza il legame tra la situazione sperimentale e la particolare risposta messa in atto.

Queste ricerche hanno avuto un’enorme influenza sulla didattica, i cui effetti persistono ancora oggi se si
pensa all’utilizzo degli esercizi ripetitivi.

Non mancano le critiche a questa teoria. Brownell, sottolinea che gli esercizi meccanici fanno perdere di
vista il significato reale di ciò che stiamo apprendendo. Gli esercizi meccanici non conducono gli studenti
alla comprensione e all’applicazione delle loro conoscenze in situazioni nuove. Critiche più generali mettono
in evidenza l’impossibilità di cogliere le potenzialità del pensiero umano, che non può essere ricondotto
esclusivamente ad un’applicazione per prove ed errori di schemi di pensiero precedentemente costruiti.

LA PROSPETTIVA DELLA GESTALT


Problem solving: è una ricerca che collega un aspetto di una situazione problema ad un altro, e il risultato è
una comprensione strutturale, cioè l’abilità di comprendere come tutte le parti del problema stanno bene
insieme, per soddisfare la richiesta dell’obiettivo.

Mentre per gli associazionisti la risoluzione del problema consiste nel provare alcune possibili soluzioni,
finché non si trova quella che funziona, i gestaltisti considerano fondamentale una riorganizzazione degli
elementi del problema per giungere ad una soluzione dello stesso. Le principali ricerche in quest'indirizzo
furono quelle di Koehler. Egli studio il comportamento di animali, in particolare di scimpanzé, posti in
situazioni problematiche e mise in luce come questi animali siano capaci di ristrutturazioni improvvise
dell’ambiente, che costituiscono una soluzione del problema. Dunque avveniva una percezione globale del
problema, come totalità funzionale. I rapporti tra gli elementi in gioco si mostravano nella loro evidente
chiarezza. Questo fenomeno fu indicato dai gestaltisti con il termine di insight (riorganizzazione degli
elementi della situazione prima sconnessi tra di loro in una nuova configurazione mentale) che significa
“vedere dentro.” È l’esito di un processo attivo ed intelligente, che si manifesta nella capacità di collegare
insieme, elementi distribuiti nell’ambiente, che fino ad allora erano considerati in modo isolato.

Si tratta di un processo cognitivo in base al quale il risolutore di un problema si muove, da uno stato in cui
non sa risolvere il problema, ad uno in cui vi riesce. L’apprendimento dipende dalla capacità della persona di
ristrutturare gli elementi cognitivi in una nuova totalità dotata di significato. Per la Gestalt, insight implica
una riorganizzazione degli elementi della situazione, prima sconnessi fra loro in una nuova riconfigurazione
mentale. Fu però il lavoro di Wertheimer a chiarire il significato di “struttura” e “insight” nell’ambito più
specifico dell’insegnamento, e della matematica in particolare. Il suo lavoro ha per oggetto il pensiero
umano e si svolge attraverso un’analisi minuziosa del modo in cui concretamente una persona affronta un
problema, si affatica intorno ad esso ed infine lo risolve. Per illustrate il suo pensiero lui racconta di essere
entrato in una classe in cui stava insegnando ai bambini a trovare l’area di un parallelogramma. Quando
però lui entrò nella classe pose un “inquietante” problema: mostrò un parallelogramma ruotato e chiese
agli alunni di trovare l’area ma loro non riconoscevano la figura e dissero che “non era giusto.” Ciò
preoccupava molto Wertheimer perché sentiva che la scuola del suo tempo instillava l’abitudine ad
applicare procedimenti in modo privo di senso. Nell’ambito scolastico le soluzioni auspicabili per una
corretta procedura di insegnamento-apprendimento, sono relativi al fatto che non bisogna essere accecati
da abitudini, procedendo con un modo di pensare meccanico. Katona sottolinea che l’apprendimento
basato sulla comprensione delle relazioni strutturali non solo migliora le abilità di risoluzione, ma anche
quelle di ritenzione delle informazioni per un certo periodo di tempo. Classificò i vari tipi di apprendimento
in “privi di senso” e “significativi”.

Privo di senso: memorizzazione meccanica. (criticano i comportamentisti)

Significativo: organizzazione di un insieme di idee o di componenti strutturalmente collegate.

Basandosi su vari esperimenti Katona arrivò ad alcune conclusioni riguardo l’apprendimento:

1. L’apprendimento mnemonico è un processo diverso dall’apprendimento per comprensione.


2. L’apprendimento per comprensione implica lo stesso processo del problem solving: la scoperta di un
principio.
3. Sia il problem solving sia l'apprendimento significativo consistono principalmente nel modificare, o
organizzare, il materiale. Il compito dell’organizzazione è quello di stabilire, scoprire o capire una
relazione intrinseca.

Trovare la “struttura del problema” (il principio che sta alla base di esso), non solo rende più facile la
risoluzione di problemi simili, ma mette anche in grado di ricostruire la risoluzione molto tempo dopo averla
affrontata per la prima volta.

Se per l’ottica associazionista, l’utilizzo delle abitudini nel problem solving può essere efficiente.
Per la Gestalt l’esperienza passata può limitare il tipo di soluzione che uno studente mette in atto. L’idea che
vi è alla base è che l’applicazione riproduttiva di precedenti soluzioni inibisce il problem solving riproduttivo.
Ciò è chiamato fissità funzionale. Anche Dunker ha indagato il modo in cui l’esperienza passata può limitare
la produttività del problem solving. Egli, ha definito la fissità funzionale come un blocco mentale contro
l’utilizzo di un oggetto in un nuovo modo, che è richiesto per la risoluzione del problema. La fissità
funzionale è quindi, una ridotta capacità di scoprire un nuovo impiego per un oggetto. Può anche essere un
“bias” cognitivo, che limita l’uso di un oggetto nel solo modo in cui viene tradizionalmente utilizzato. Dunker
sottolinea che il fenomeno si verifica non solo con oggetti fisici, ma anche con concetti. Un esperimento
molto famoso condotto da lui consisteva nel fornire a due gruppi candele, puntine e spilli ma in un caso
questi oggetti vengono forniti all’interno di scatole e, nell’altro, al di fuori di esse. Ad entrambi i gruppi viene
poi chiesto di montare la candela verticalmente, in modo da usarla come lampada. La soluzione è molto
difficile da trovare per coloro che hanno ricevuto gli oggetti dentro le scatole. Dunker dice che l’inserimento
degli oggetti dentro la scatola fissa la sua funzione di contenitore, per cui diventa più difficile riformulare la
sua funzione come supporto. Dunker fece una distinzione tra il procedimento “dall’alto” (Botton-Up) che
consiste nel partire dall’analisi degli obiettivi, dalla consegna e il procedimento “dal basso” (Top Down), che
parte dall’analisi dei materiali del problema.
Concludendo, possiamo affermare che l’orientamento gestaltista, ha contribuito dall’analisi di una
determinata tipologia di problemi, definiti in seguito “problemi non routinari.”

LA PROSPETTIVA COGNITIVISTA
A differenza della prospettiva gestaltista, che ha rivolto la sua attenzione ai problemi di tipo non routinari, la
cui soluzione richieda insight la psicologia cognitiva si è invece occupata dei problemi di tipo routinaria.
Inoltre la Gestalt non si soffermava sul come, mentre i cognitivismo sì. Il cognitivismo si è evoluto
contemporaneamente all’affermarsi del computer e allo sviluppo di software sempre più sofisticati per la
soluzione di compiti molto variegati. Nell’ambito di questa corrente psicologica, Newell e Simon definiscono
il problem solving come l’esecuzione di sequenze di operazioni ordinate strategicamente verso una meta, ed
identificano tre elementi principali che lo costituiscono: il problema in sé – lo spazio del problema –
strategie utilizzate per la soluzione.

Problema in sé è costituito dalle informazioni che riguardano:

1. I dati, sia quelli effettivamente presenti, sia le definizioni e gli assiomi sottostanti.
2. Le azioni eseguite sui dati, sia di carattere manipolatorio che cognitivo.
3. Lo scopo, cioè il risultato che deve essere raggiunto e che talvolta può essere scomposto in sotto-
obiettivi, ognuno dei quali ha uno scopo specifico.

Lo spazio del problema, invece, riguarda la rappresentazione di tutte le possibili vie che un risolutore
esamina per trovare la soluzione che risponde al suo scopo.

Le principali strategie di soluzione sono:

1. Analisi mezzi-fini: consiste nello scomporre il problema in diversi sotto problemi, la cui soluzione
consente di raggiungere la meta finale.
2. Il metodo di pianificazione: consiste nell’eliminazione di alcuni elementi di dettaglio, riducendo così
anche il numero di operazioni da compiere.
3. La ricerca a ritroso: partono dallo stato meta del problema, per giungere gradualmente allo stato
iniziale.

In particolare Newell e Simon hanno individuato due tipologie di conoscenze necessarie per la soluzione di
un problema matematico:

Conoscenze dichiarative: conoscenze specifiche che consentono di comprendere ed individuare le


informazioni chiave.

Conoscenze procedurali: che riguardano, invece, le strategie più utili per la risoluzione di un problema.
Nella pratica scolastica però, gli studenti presentano una forte dissociazione tra questi due tipi di
conoscenze. Occorrerebbe promuovere “progressivamente e contemporaneamente una costruzione
significativa e stabile sia delle conoscenze dichiarative, sia di quelle procedurali collegate”, insieme allo
sviluppo della consapevolezza dei processi e delle strategie necessarie per risolvere il problema è per
verificarne la soluzione. È questo l’ambito di ricerca che viene denominato “meta cognizione”

Mayer ha proposto invece un modello più generale di problem solving, secondo cui il processo di soluzione
è articolato in codifica e ricerca.

Codifica: è guidata da un processo di traduzione (analisi di tipo linguistico, che permette la


comprensione del significato del testo, e una di tipo semantico, che estrae le implicazioni logiche) e da
uno di integrazione (con l’integrazione delle differenti parti del problema il bambino poi costruisce una
rappresentazione matematica coerente).

Ricerca: si articola in pianificazione (individuazione dei sott obiettivi che rappresentano il piano
risolutore del problema) e calcolo (i processi di calcolo realizzano i sott obiettivi, recuperando la
conoscenza relativa alla semantica delle operazioni e agli algoritmi di calcolo).

La psicologia cognitiva vede coinvolti (nel processo di risoluzione dei problemi) dei meccanismi che,
secondo la sintesi di Mayer includono:

1. La sensazione e la percezione: elaborazione interna degli stimoli che ci vengono all’esterno.


2. L’apprendimento: macchina che ci consente di codificare queste informazioni.
3. La memoria: quando impariamo qualcosa dobbiamo richiamare ciò che abbiamo fatto in passato.
4. Il pensiero: molto importante è il pensiero critico.

Di seguito saranno brevemente analizzati alcuni processi cognitivi implicati nel problem solving approfonditi
dal cognitivismo:

1. Rappresentazioni mentali: Bruner sottolinea la necessità di rappresentarsi mentalmente gli eventi


che ricorrono regolarmente nell’ambiente circostante al fine di trarne beneficio. L’autore intende la
rappresentazione come una sorta di modello, secondo il quale il soggetto codifica la realtà è
l’esperienza e ne distingue tre tipologie:
Rappresentazione esecutiva: tipica dei primi mesi di vita, caratterizzata principalmente dall’azione,
si ha infatti una conoscenza motoria della realtà. (manipolazione di oggetti).
Rappresentazione iconica: consiste nel codificare la realtà mediante immagini mentali.
Rappresentazione simbolica: la realtà viene espressa tramite segni e simboli convenzionali, cioè
condivise socialmente.
Per Bruner le tre forme di rappresentazione non costituiscono una sequenza fissa, ma tutte
coesistono, conservando la propria autonomia.
Il Concrete Pictorial Abstract è uno schema molto usato a Singapore dove i livelli di istruzione sono
molto alti. Sin dalle primarie vengono usati blocchi, regoli, barre. Riescono a risolvere fin da piccoli
sistemi di equazioni, cosa che in Italia avviene alle scuole superiori.

2. Creatività: La creatività corrisponde alla produzione di una gamma di possibili soluzioni per un dato
problema che non prevede un’unica risposta corretta. Infatti, molti ricercatori hanno considerato la
creatività come uno dei processi cognitivi fondanti nella risoluzione dei problemi. Per Guilford la
creatività (o pensiero divergente) è caratterizzata da sensibilità ai problemi, flessibilità (capacità di
trovare idee diverse dinanzi ad un problema), fluidità (vengono prodotte molte idee che possono
essere molto simili tra loro) ideativa e originalità (capacità di trovare idee insolite, uniche). Durante
il problem solving, la produzione di una soluzione può avvenire sia tramite il pensiero convergente
(ragionamento logico, se sono utilizzate molte informazioni) o tramite il pensiero divergente (se
sono disponibili poche informazioni).
Della creatività ha parlato molto anche Krutetskii che ha scritto un libro sulla creatività definendola
come “una rapida e libera conversione delle inclinazioni del pensiero.” Capacità di capire che, se sto
andando in una direzione che non serve più è necessario cambiare.

3. Memoria: Memoria di lavoro (immagazzinamento limitato e temporaneo delle informazioni ai fini


di un’immediata utilizzazione); memoria a lungo termine (immagazzinamento di tutto ciò che
l’individuo sa).
4. Abilità di lettura: L’influenza dell’abilità di lettura sul problem solving dipende dalla familiarità che il
solutore ha con la lingua. Gli studenti che stanno apprendendo una lingua di istruzione, leggono più
lentamente e, di conseguenza ottengono punteggi più bassi nel problem solving.

LA PROSPETTIVA COSTRUTTIVISTA
Secondo l’approccio costruttivista, la conoscenza è costruita attraverso le interazioni psicologiche con
l’ambiente. Il costruttivismo quindi “riconosce che è colui che apprende che costruisce la conoscenza, e non
l’insegnante che la impartisce”. Nella prospettiva costruttivista l’esperienza assume un ruolo fondamentale,
dal momento che essa incorpora l’apprendimento e dà significato a colui che apprende. Savery e Duffy,
inoltre, affermano che è il conflitto lo stimolo per l’apprendimento. Infatti quando gli studenti si trovano
davanti ad un problema, come nel caso della matematica, il conflitto nasce tra ciò che gli alunni sanno e ciò
che ancora non sanno, e ciò costituisce il punto di partenza per il loro apprendimento. L’apprendimento che
parte da un conflitto attiva i processi mentali, diventa significativo.

Per Mayer l’apprendimento costruttivista avviene quando gli studenti costruiscono attivamente
rappresentazioni mentali significative a partire dalle informazioni presentate. Secondo quest’ottica,
dunque, il problem solving è un processo attraverso il quale lo studente riorganizza le proprie attività e
conoscenze per risolvere situazioni che considera problematiche.

Secondo Davis, il processo di costruzione della conoscenza e l’applicazione di strategie di dominio generale
si verificano simultaneamente, durante il problem solving. Attraverso l’esperienza con i problemi gli studenti
acquisiscono non soltanto la conoscenza relativa a quel particolare dominio del problema, ma anche la
conoscenza sulle strategie applicate, vale a dire come funziona, perché funziona e perché una è più
appropriata di un’altra.

Dixon e Brown distinguono il transfer prossimale da quello distale.

transfer prossimale: si verifica quando gli studenti applicano le loro conoscenze e abilità in situazioni e
contesti molto simili a quelli in cui si è verificato l’apprendimento.

transfer distale: si verifica quando un’abilità viene eseguita in un contesto che è molto diverso dal contesto
in cui è stata appresa.

LA PROSPETTIVA SOCIO-COSTRUTTIVISTA
La prospettiva socio costruttivista si fonda sull’idea che l’apprendimento, oltre ad essere costruito
individualmente, è anche interattivo. Questo approccio si è sviluppato a partire dalla teoria socioculturale di
Vygotsky, secondo cui il processo di costruzione del significato è mediato dall’uso di strumenti simbolici,
quali il linguaggio o altri artefatti culturali. Secondo Bruner questa costruzione di significati è facilitata dalle
interazioni sociali con gli altri. Vygotsky descrive questo spazio come zona di sviluppo prossimale, nel quale
il discorso della persona che possiede più conoscenze supporta un aumento di conoscenze in colui che
apprende. Questa zona di sviluppo prossimale può emergere attraverso le interazioni tra l’insegnante e
l’allievo, o attraverso un gruppo di apprendimento collaborativo. La psicologia socio-costruttivista sostiene,
quindi, che il problem solving di gruppo fornisce, a tutti gli studenti, la possibilità di allargare i propri
orizzonti, di imparare gli uni dagli altri, di sviluppare il linguaggio matematico e rifinire meglio il proprio
pensiero.
I socio-costruttivisti rispetto ai costruttivisti aggiungono l’elemento della verbalizzazione e della discussione
in classe.

CRITICHE AL SOCIO-COSTRUTTIVISMO:

Si crea confusione in aula, in un gruppo ci sarà qualcuno che ha lavorato di più e qualcuno che ha lavorato di
meno, il bambino timido se interpellato può trovarsi a disagio. Una critica riguarda l’eccessiva quantità di
tempo che si impiega nel fare lavoretti pratici piuttosto che spiegarle.

LA PROSPETTIVA POST-COSTRUTTIVISTA
Nel socio-costruttivismo gli studenti non riuscivano a trasferire ciò che avevano appreso nel contesto reale.
Vi era una carenza del Transfer. Ai post-costruttivisti interessava che una qualsiasi cosa appresa sia applicata
nei contesti reali.

Negli ultimi anni, alcune ricerche hanno messo in discussione alcuni aspetti della prospettiva costruttivista,
sostenendo che essa ignora, le strutture che costituiscono la cognizione umana. Per quanto riguarda le
strutture cognitive, la prospettiva post-costruttivista sottolinea il ruolo della memoria a lungo termine e
della memoria di lavoro. La prima non è più vista semplicemente come un contenitore passivo di
informazioni isolate frammentate, ma assume, invece, un ruolo centrale, poiché sono proprio le numerose
informazioni in essa contenute che consentono il rapido, e a volte inconscio, riconoscimento delle
caratteristiche di una situazione e di agire su di essa. Inoltre, a differenza della prospettiva costruttivista, che
sembra quasi ignorare il ruolo della memoria di lavoro, gli studi più recenti mettono in luce le sue interazioni
con la memoria a lungo termine, sottolineando la sua durata e capacità limitata quando si tratta di
processare nuove informazioni, e la sua capacità illimitata quando, invece, vengono processate informazioni
già presenti nella memoria a lungo termine. Ciò ha delle importanti ricadute sui processi di pensiero
complessi, quali ad esempio il problem solving, Sweller ed altri studiosi suggeriscono, infatti, che il mettere
gli studenti di fronte ad ambienti altamente complessi può generare un sovraccarico della memoria di
lavoro, che ha degli effetti negativi sull’apprendimento. Ciò è particolar mente vero per i novizi, che non
dispongono ancora di veri e propri schemi per integrare le nuove informazioni alle conoscenze precedenti.
Alla base della prospettiva post-costruttivista vi sono anche i risultati di numerose ricerche empiriche, che
confermano la maggiore efficacia di approcci di insegnamento/apprendimento guidati, rispetto a quelli con
una guida minima. Diverse ricerche sperimentali hanno quasi uniformemente affermato che quando si ha a
che fare con nuove informazioni, agli studenti dovrebbe essere esplicitamente mostrato che cosa fare e
come farlo.

CRITICHE AL POST-COSTRUTTIVISMO:

Molte ricerche hanno evidenziato un apprendimento maggiore nel caso di un insegnamento diretto, che
includa una maggiore guida.
IL PROBLEM SOLVING IN MATEMATICA
IL termine “problem solving” può avere vari significati, che sono riconducibili al raggiungimento di un certo
obiettivo. Adesso verranno descritti alcuni modelli di problem solving in matematica.

MODELLO DI POLYA
Nel campo del problem solving matematico, il contributo dello studioso ungherese Polya ha avuto un ruolo
cruciale, per le ricadute che la sua famosa opera How to solve it ha avuto sulle ricerche successive in questo
ambito.

L’autore, influenzato dalla teoria della Gestalt e basandosi sulla sua esperienza di insegnante, ha descritto
un modello di problem solving formato da quattro stadi:

Comprensione: identificazione delle informazioni fornite e di quelle che bisogna trovare, introduzione della
notazione simbolica ed eventuale disegno della figura.

Pianificazione: a partire dalle relazioni tra i dati e la meta da raggiungere, vengono determinate le possibili
strategie da applicare e scelte le più appropriate ottenendo un piano di risoluzione.

Messa in atto: consiste nella messa in atto delle procedure che consentono di giungere alla risposta.

Guardare indietro: implica una riflessione sulla correttezza o meno della strategia utilizzata, oltre che
un’analisi della ragionevolezza della risposta rispetto al contesto del problema. Si tratta di una fase spesso
trascurata anche dagli studenti che solitamente conseguono i risultati migliori.

Al fine di aumentare la probabilità di intuizione e migliorare la capacità generale di risolvere problemi, per
ciascuna fase Polya fornisce una serie di domande specifiche.

COMPRENSIONE

Qual è l’incognita? Quali sono dati? Qual è la condizione da soddisfare È possibile soddisfare la condizione?
La condizione è sufficiente per determinare l’incognita? O insufficiente? O superflua? O contraddittoria?
Disegna la figura. Introduci notazioni adatte. Separa le varie parti della condicione. Puoi scrivere quali sono?

PIANIFICAZIONE

Hai già visto prima questo problema? O hai visto lo stesso problema in forma leggermente diversa?

MESSA IN ATTO

Mentre esegui il tuo piano di risoluzione, controlla ogni passaggio. Puoi vedere con chiarezza se è esatto?
Puoi provare che è esatto?

GUARDARE INDIETRO

Puoi controllare il risultato? Puoi controllare il ragionamento?

Polya suggerisce infine una fase nella quale gli insegnanti dovrebbero incoraggiare gli studenti ad
immaginare i casi in cui potrebbero essere utilizzate nuovamente le procedure usate.
MODELLO DI SCHOENFELD
Il modello di problem solving descritto da Schoenfeld ha aperto nuove strade per l’insegnamento della
matematica. Lo studioso ha condotto numerose ricerche, che lo hanno portato ad affermare che quando
l’insegnamento si focalizza esclusivamente sulla padronanza di informazioni e procedure, gli studenti non
necessariamente sviluppano abilità di pensiero di alto livello, necessarie per “pensare matematicamente”.
Dunque appare rilevante il ruolo del problem solving.

Schoenfeld descrive quattro aspetti qualitativamente diversi che caratterizzano le attività intellettuali
complesse come il problem solving:

Risorse cognitive: l’insieme delle conoscenze matematiche possedute dagli individui che possono essere
utili per la risoluzione del problema. Sono incluse anche le intuizioni e le conoscenze informali.

Euristiche: strategie e tecniche per fare progressi nella risoluzione di problemi non familiari e per rendere
effettivo il processo di problem solving. Riguardano, ad esempio, il disegno di figure, l’introduzione di una
notazione adeguata, il collegamento con problemi simili, la riformulazione del problema, il guardare
indietro, il testare e verificare le procedure.

Controllo: riguarda la pianificazione, il monitoraggio e la valutazione, la presa di decisione e la


consapevolezza delle azioni metacognitive.

Sistema di credenze: definito come la propria “visione matematica del mondo”. Riguarda sé stessi,
l’ambiente, l’argomento e più in generale la matematica.

Dalle ricerche condotte emerge che ciò che distingue un bravo solutore di problemi da uno inesperto è la
rapidità e l’efficienza con cui sono utilizzate le strategie.

IL MODELLO DI BURTON, MASON, STACEY


Analizzando i processi cognitivi messi in atto dall’allievo o dal- l’insegnante durante la risoluzione dei
problemi, Burton, Mason e Stacey identificano a loro volta quattro fasi principali: fase di inizio, fase di
attacco, fase di revisione, fase di estensione.

Durante la fase iniziale il soggetto cerca di capire di cosa si tratta, chiarisce le azioni da fare, sceglie e utilizza
un’adeguata forma di rappresentazione (anche attraverso esempi concreti o forme illustrative). Questa fase
termina con successo se lo studente è pronto per proseguire nel lavoro.

Nella fase di attacco viene cercata e trovata la soluzione, pertanto questo passaggio costituisce una delle
fasi di maggiore rilevanza. A volte, però, la soluzione non viene trovata subito e lo studente si può bloccare,
risulta utile pertanto fornire delle indicazioni operative, che suggeriscano possibili modi per superare
l’ostacolo, o, invece, tornare alla fase precedente, per rappresentarsi meglio il problema e prendere poi una
nuova direzione.

Segue la fase di revisione in cui la soluzione è già stata raggiunta, ma se essa risulta inadeguata, è necessario
ritornare alla fase iniziale, altrimenti, è necessario trascrivere la soluzione, in modo che sia comprensibile
per tutti, affinando quindi le abilità comunicative.

Infine, la fase di estensione dona continuità al processo di soluzione, collegando il problema risolto ad altri
che possono essere considerati come estensione del precedente, permettendo di focalizzare gli errori che
potrebbero essere stati sottovalutati in precedenza. Quest’ultima fase, attivando un nuovo problema, fa sì
che l’intero processo di soluzione possa essere considerato come una spirale.
LA RICERCA ITALIANA SUL PROBLEM SOLVING

La ricerca sul problem solving in Italia si inserisce in un più ampio dibattito, sul miglioramento
dell’insegnamento/apprendimento della matematica e sul passaggio dell’attenzione dagli aspetti concettuali
della matematica (la cosiddetta matematica moderna) agli aspetti più procedurali. Infatti, da un lato, alcuni
matematici come Ugo Morin, Luigi Campadelli e Francesco Speranza, promuovevano lo sviluppo della
“moderna matematica”, cioè delle strutture e dei concetti matematici già a partire dalla scuola primaria, e in
questo senso, inserivano il problem solving come un’area cruciale dell’insegnamento e dell’apprendimento.
D’altro canto, didatti come Bruno De Finetti, Emma Castelnuovo, Hans Freudenthal, sostenevano invece che
“la matematica non poteva essere ridotta ad oggetti e strutture matematiche, ma include anche attività
matematiche finalizzate alla descrizione e interpretazione dei fenomeni del ‘mondo reale’

In questo modo,

“il problem solving diventa il nucleo centrale dell’insegnamento/apprendimento della matematica, poiché il
problem solving fornisce agli studenti l’opportunità di impegnarsi in attività matematiche significative, che
mostrano loro la necessità di strumenti matematici per risolvere i problemi e permettere lo sviluppo della
padronanza di questi strumenti come oggetti matematici”

Nel panorama delle ricerche italiane sul problem solving di ambito psico-pedagogico già a partire dal 1967
Calonghi metteva in evidenza le possibilità offerte dal problem solving per conoscere e potenziare le
capacità intellettive dell’alunno. A partire dalla comprensione di alcuni elementi e di elementi già presenti
nell’intelletto (comprensione), la mente esplora varie direzioni (invenzione) sino a trovare le soluzioni
possibili e scegliere la più adatta (direzione) per procedere, infine, a controllare e valutare l’esattezza della
soluzione raggiunta (controllo). Lo studioso fornisce delle utili indicazioni per valutare ciascuno di questi
processi negli studenti durante il problem solving. Ad esempio bisogna tener conto che la comprensione
riguarda vari elementi, dalla comprensione dei vocaboli, dei dati e delle loro relazioni sino alla
comprensione della domanda e delle istruzioni fornite dall’insegnante. L’invenzione include sia aspetti
quantitativi, come il numero delle diverse soluzioni fornite e la rapidità con cui vengono trovate, sia aspetti
qualitativi, quali l’originalità e la flessibilità. Per quanto riguarda la direzione, invece, bisognerebbe tener
conto del punto di partenza, dei passaggi messi in atto per il raggiungimento della soluzione, ma anche della
capacità di utilizzare le conoscenze precedentemente acquisite. Infine, si dovrebbe anche tener conto della
spontaneità con cui viene effettuato il controllo, ma anche della completezza o meno della verifica e
dell’esattezza del procedimento seguito.

Nell’ambito delle ricerche in didattica della matematica, Boero ha elaborato invece un modello teorico in cui
sono esplicitati gli elementi costitutivi di un problema individuandoli negli aspetti seguenti:

Testo del problema: solitamente costituisce “l’elemento di accesso” al problema per lo studente, viene però
suggerita la possibilità della sua costruzione o formulazione da parte dello studente. Tecnicamente, “il testo
è costituito da segni linguistici (verbali e non verbali) che possono essere interpretati come “informazioni” e
“domande.”

Situazione problema: “è costituita da quegli aspetti del mondo reale o dell’esperienza culturale implicati dal
testo del problema (quando il testo già esiste), o esprimibili attraverso un testo.”

Soluzioni del problema: si tratta dell’insieme delle soluzioni che possono considerarsi accettabili per il
problema. Viene comunque sottolineato che un problema può non avere soluzioni accettabili o averne
molte.
Nel panorama della ricerca italiana sul problem solving in campo psicologico spicca il modello unitario
elaborato da Lucangeli, Tressoldi e Cendron che integra le diverse componenti implicate nella soluzione dei
problemi:

la comprensione, che include sia le abilità generali di comprensione dei testi verbali, sia le abilità specifiche
di comprensione dello schema matematico.

la rappresentazione, che consente di tradurre e integrare tutte le informazioni in un’adeguata


rappresentazione mentale, svolgendo un ruolo cruciale nel guidare verso una soluzione corretta.

la categorizzazione, che permette al soggetto di classificare uno specifico problema nella categoria dei
problemi che si risolvono allo stesso modo.

la pianificazione che è legata all’elaborazione di un piano di azione, strutturato tenendo conto delle fasi
precedenti, un vero piano di azione, traducibile in operazioni concrete e di calcolo, nella corretta sequenza
solutoria.

il monitoraggio che consiste nel controllo durante l’esecuzione del compito in tutte le fasi del problem
solving;

l'autovalutazione che riguarda il controllo di quanto effettua to per verificare se il processo di soluzione
applicato ha portato o meno al successo.
IL RUOLO DELLA METACOGNIZIONE

La meta cognizione riguarda le conoscenze possedute riguardo ai propri processi cognitivi e il monitoraggio
e la regolazione di questi ultimi al fine di raggiungere un obiettivo.

Le ricerche sulla metacognizione nell’attività matematica, specialmente nel problem solving matematico,
hanno quindi riguardato principalmente due componenti: la consapevolezza dei propri processi di pensiero
che riguarda sia l’insieme di conoscenze che un individuo possiede riguardo al funzionamento della propria
mente. L’autoregolazione o controllo, dato dall’insieme dei processi autoregolatori che presiedono
l’esecuzione cognitiva del compito stesso. L’autoregolazione fa riferimento a pensieri, sentimenti e azioni
autogenerati, pianificati e ciclicamente adattati per il raggiungimento di obiettivi personali, come la
risoluzione di problemi.

Lo sviluppo di un atteggiamento metacognitivo consente, quindi, di potenziare le abilità già possedute, di


acquisire una maggiore propensione nell’utilizzo delle strategie ed una maggiore consapevolezza delle
finalità del compito, delle abilità e dei processi che vengono messi in atto per la sua esecuzione, della
capacità di portarlo a termine; permette, inoltre, di organizzare il lavoro nelle sue fasi, di svolgere una forma
di controllo e di valutazione del proprio operato.

Vi sono state numerosissime ricerche, i cui esiti sono stati brevemente riassunti da Schoenfeld in tre
conclusioni:

1. Un’efficace attività metacognitiva durante il problem solving richiede la conoscenza non solo di che
cosa e quando monitorare ma, anche, di come monitorare.
2. Insegnare agli studenti ad essere più consapevoli dei propri processi cognitivi e a monitorare le loro
azioni di problem solving dovrebbe aver luogo in contesti di apprendimento specifici. Si è visto,
infatti, che un insegnamento metacognitivo più generale è meno efficace.
3. Lo sviluppo di buone abilità metacognitive è difficile.

Numerose ricerche hanno sottolineato che gli studenti che risolvono un problema con successo, sono coloro
che mostrano un miglior controllo delle loro attività. D’altro canto, coloro che mostrano lacune nei processi
di controllo manifestano più comunemente difficoltà nella risoluzione.

A risultati molto simili è giunta anche una ricerca condotta da Lucangeli e Cornoldi, secondo cui gli abili
solutori di problemi evidenziano maggiori capacità di controllo strategico attraverso processi di:

1. Previsione (valutazione del livello di prestazione attraverso l’analisi della difficoltà del compito e
della corretta applicazione strategica);
2. Pianificazione (organizzazione delle azioni che conducono all’obiettivo previsto);
3. Monitoraggio (cioè il controllo step by step del processo);
4. Valutazione (cioè la valutazione globale della prestazione e delle strategie utilizzate per raggiungere
il risultato finale).
Schoenfeld evidenzia la rilevanza del controllo strategico nella soluzione dei problemi distinguendo le
decisioni tattiche (relative alla scelta del metodo da applicare) dalle decisioni strategiche (in grado di
influenzare il tipo di percorso di soluzione scelto, regolandone la distribuzione di risorse). Lo studioso fa
notare come sia prevalentemente il secondo tipo di decisioni a caratterizzare gli abili solutori di problemi.

Sternberg ha enfatizzato il ruolo dei processi di controllo, identificandone sei tipologie: la decisione sulla
natura del problema, la selezione delle componenti per la soluzione, la selezione di una strategia per la
combinazione degli elementi, la decisione su una rappresentazione mentale, la distribuzione delle risorse e
il monitoraggio dei processi di soluzione.

Lucangeli, Tressoldi e Cendron, analizzando le abilità metacognitive coinvolte nella risoluzione di problemi
matematici, considerano tre ulteriori aspetti: la stima approssimativa del risultato, l’autovalutazione delle
procedure e l’autovalutazione dei calcoli.

Wilson e Clarke dimostrano che l’uso frequente di strategie metacognitive non necessariamente conduce al
successo nel problem solving, perché anche la sequenza delle azioni e funzioni metacognitive influisce sul
risultato finale.

Montague e Applegate hanno dimostrato che i bambini con difficoltà migliorano le loro performance dopo
un training che comprende strategie quali: lettura finalizzata alla comprensione, parafrasi, visualizzazione,
ipotesi di un piano di soluzione, stima del risultato, calcolo e verifica di procedure e calcoli.

Anche Mevarech e colleghi hanno progettato un intervento didattico, denominato Improve.


I ricercatori hanno osservato effetti positivi dell’intervento sulla risoluzione dei problemi matematici sia
immediati e che a lungo termine.

Lo sviluppo di un atteggiamento metacognitivo, quindi, permette di potenziare le abilità già possedute, di


acquisire una maggiore propensione nell’utilizzo delle strategie ed una maggiore consapevolezza delle
finalità del compito, delle abilità e dei processi che vengono messi in atto per la sua esecuzione, della
capacità di portarlo a termine.

Il problem solving metacognitivo diviene quindi un buon allenamento per l’abilità di autoregolazione.
FATTORI AFFETTIVI
Numerosi orientamenti teorici hanno messo in luce che, il processo di soluzione di un problema è
fortemente influenzato anche da una serie di variabili emotivo-motivazionali.

Tra queste variabili che entrano in gioco bisogna innanzitutto considerare i sistemi attributivi. I successi e gli
insuccessi, infatti, possono essere attribuiti a diverse cause (controllabili o non controllabili) quali l’impegno,
la facilità del compito, l’aiuto, la fortuna. Gay sottolinea la notevole influenza che le attribuzioni possono
avere sulla natura e sulla qualità dell’impegno nella risoluzione di problemi.

Nel contesto di apprendimento un ruolo fondamentale è svolto anche dal sistema di credenze e convinzioni.
Esse spesso variano da soggetto a soggetto e, se errate, determinano difficoltà preoccupazioni durante
l’esecuzione di compiti. Schoenfeld, in particolare, ha fornito alcuni esempi di credenze diffuse tra gli
studenti riguardo al problem solving. Tra esse si annoverano le seguenti:

1. I problemi matematici hanno una sola risposta giusta;


2. Esiste solo un modo corretto per risolvere un problema, che prevede l’impiego delle regole che
l’insegnante ha spiegato da poco;
3. solitamente agli studenti non è richiesto di comprendere la matematica, ma di impararla a memoria
e meccanicamente;
4. la matematica è un’attività solitaria, svolta da individui isolati;
5. gli studenti che hanno compreso la matematica e hanno studiato saranno in grado di risolvere
qualsiasi problema in cinque minuti o meno;
6. la matematica imparata a scuola non ha niente a che vedere con il mondo reale.

Anche Verschaffel e colleghi hanno fatto notare come la credenza che un problema abbia una sola risposta
ed una sola strategia risolutiva influisce notevolmente sul fatto che non vengano prese in considerazione
alternative ed efficaci strategie di risoluzione.

Numerose ricerche hanno poi indagato anche la relazione tra le credenze e convinzioni degli studenti e le
tipologie di approccio alla risoluzione dei problemi.

Ad esempio Silver ha messo in evidenza che gli studenti che credono che la struttura di un problema abbia
un’importanza maggiore rispetto ai dettagli superficiali, sono più abili nella risoluzione dei problemi rispetto
a coloro che pensano il contrario.

Lester e Garofalo, invece, hanno sottolineato come la convinzione che un problema possa essere risolto da
una combinazione di calcoli, induca alcuni studenti ad esercitare uno scarso controllo metacognitivo, e a
risolvere il problema tramite tentativi di calcolo con le diverse operazioni, sino ad ottenere un risultato che
sembri sensato.

Zan ha indagato se i buoni e i cattivi solutori di problemi possiedano convinzioni significativamente diverse
sui problemi stessi. Dall’analisi dei risultati emerge che i bravi solutori, a differenza dei cattivi solutori, non si
fanno influenzare da elementi sintattici, quali la lunghezza del testo o il numero delle domande, e all’interno
del processo risolutivo danno maggiore importanza al procedimento piuttosto che ai calcoli.

I risultati di una ricerca condotta da Frank hanno mostrato, inoltre, che le credenze degli insegnanti sulla
matematica influiscono sui processi di problem solving che si svolgono in classe.

Bandura ha sottolineato invece l’importanza del senso di autoefficacia. L’autoefficacia se positiva, può
giocare un ruolo determinante nello sviluppo stesso dell’autoefficacia.
Numerose ricerche, infine, hanno messo in luce anche il ruolo dell’ansia specifica per l’ambito matematico
nel determinare situazioni di insuccesso. Essa è definita come una sensazione di tensione, apprensione o
paura che interferisce con le performance matematiche. Una scarsa performance matematica può a sua
volta aumentare l’ansia.

Hannula sottolinea un’importante distinzione tra ansia come stato emotivo, legata cioè ad una ben precisa
situazione contestuale che può cambiare rapidamente, e ansia come tratto distintivo di una persona che
tende a sperimentare determinati stati emotivi in una varietà di situazioni.

La metacognizione può mediare gli effetti dell’ansia durante la risoluzione di problemi matematici.

ALTRI FATTORI: DIFFERENZE DI GENERE


Diverse ricerche hanno cominciato ad indagare il ruolo delle differenze di genere sulle performance
matematiche degli studenti. Non ci sono grosse evidenze di differenze di genere durante i primi anni di
scuola primaria, ma che queste emergono, in modo crescente, man mano che si passa dagli ulti- mi anni
della scuola primaria alla scuola secondaria.

In una meta-analisi si è visto che le ragazze ottengono risultati migliori rispetto ai ragazzi nel calcolo, mentre
i ragazzi superano le ragazze nei problemi che richiedono l’applicazione di concetti.

All’età di 11 anni, nei ragazzi si assiste ad una vera e propria accelerazione nei punteggi. Gli autori
concludono avanzando l’ipotesi che è proprio questa accelerazione che contribuisce a creare l’immagine dei
maschi in carriere professionali legate alla matematica.

La matematica, ha un’influenza maggiore per i maschi. Le femmine, invece, sono maggiormente influenzate
dall’aiuto della famiglia, dalla percezione degli stereotipi di genere in matematica e dalla percezione stessa
della difficoltà della matematica. È stato osservato inoltre che, le ragazze più indipendenti e che ricevono
meno aiuto dai familiari, che non hanno una visione stereotipata della matematica come un dominio
prettamente maschile, hanno molta più probabilità di raggiungere risultati di più alto livello.

Una serie di ricerche ha analizzato più nel dettaglio le differenze di genere nell’utilizzo di determinate
strategie di problem solving.

Fennema e colleghi hanno indagato l’evoluzione (dal primo al terzo anno di scuola primaria) delle differenze
di genere nell’utilizzo di strategie di problem solving. I loro dati mostrano che non ci sono grosse differenze
nel numero di risposte corrette fornite durante il primo e il secondo anno di scuola primaria, mentre già a
partire dal terzo anno i maschi risolvono problemi molto più complessi rispetto alle femmine. Le ragazze
hanno la tendenza ad utilizzare strategie più concrete, come la manipolazione e il conteggio, mentre i
maschi utilizzano delle strategie più astratte, tra cui anche algoritmi inventati.

Carr e Davis hanno cercato di comprendere meglio se l’utilizzo di una strategia piuttosto che un’altra
rappresenti il riflesso di un’abilità o di una preferenza, in bambini del primo anno di scuola primaria. Le
femmine tendevano ad utilizzare le strategie più elementari di manipolazione nell’addizione e sottrazione.
Invece, quando il ricercatore chiedeva esplicitamente di utilizzare una determinata strategia (richiamo o
manipolazione) i maschi ottenevano risultati migliori delle femmine, dimostrando di essere capaci di
utilizzare entrambe le strategie, mentre le ragazze erano meno abili nell’utilizzare le strategie di richiamo.
Gallagher e DeLisi hanno trovato che le differenze di genere, nell’utilizzo di strategie differenti, continuano
ad essere presenti nella scuola secondaria, anche in situazioni in cui non ci sono differenze nei punteggi ai
test. I loro risultati mostrano che le ragazze svolgono meglio i problemi convenzionali ed utilizzano strategie
convenzionali, mentre i maschi i problemi non convenzionali e strategie non convenzionali.

Altre ricerche si sono concentrate invece maggiormente sulle differenze di genere legate ai fattori affettivi
che influenzano il problem solving. I risultati di alcune ricerche hanno rivelato che le ragazze esibivano
un’ansia legata alla matematica superiore rispetto ai ragazzi sia a livello di scuola primaria che secondaria,
ma al tempo stesso sembrano far fronte alla loro ansia in modo più efficiente rispetto agli studenti maschi.

CONCLUSIONE
Da quanto presentato nei paragrafi precedenti emerge il ruolo centrale che il problem solving ha avuto e
continua ad avere nel campo dell’apprendimento della matematica. Le numerose ricerche condotte negli
anni possono comunque offrire alcuni interessanti spunti per il miglioramento della didattica e il
superamento della dicotomia tra “sogni” e “realtà.”

La sfida è comprendere le ragioni di questo fallimento degli sforzi di migliorare


l’insegnamento/apprendimento del problem solving nelle classi italiane, e provare a fare delle ipotesi
realistiche su come superare questa situazione.”
Capitolo 2

La didattica del problem solving in matematica


La maggior parte dei curricoli scolastici di molti paesi, a seguito di svariate riforme, enfatizza il ruolo delle
abilità di problem solving e della loro applicazione a situazioni di vita reale, ponendo tale competenza come
uno dei maggiori obiettivi dell'educazione matematica già dalla scuola primaria.

Il problem solving non richiede semplicemente l'applicazione di procedimenti meccanici, ma rimanda anche
a processi cognitivi complessi, in cui prevale il ragionamento, la formulazione di ipotesi e la gestione di
informazioni strutturate, la verifica dei risultati e dei processi.

Diverse ricerche, però, mettono in evidenza le numerose difficoltà riscontrate dagli studenti in questo
ambito ed hanno provato ad individuare i fattori da cui dipendono tali problemi: scarsa familiarità con le
situazioni descritte, disposizione dei problemi in serie, numero di operazioni, lunghezza del testo, numero di
oggetti non familiari e di elementi non essenziali.

Tipologie di problemi
Alcuni studiosi fanno notare come i libri di testo tradizionali spesso non forniscano agli studenti delle ricche
esperienze di problem solving.

Una distinzione frequentemente effettuata nella letteratura di riferimento in didattica della matematica è
quella tra esercizio e problema: entrambi sono proposti dall’insegnante e possono fare riferimento ad una
situazione realistica. Tuttavia, gli esercizi possono costituire una sorta di rafforzamento o di verifica delle
regole o delle nozioni (acquisite o in fase di consolidamento), mentre i problemi richiedono, invece,
un’azione creativa, che comporta una riorganizzazione delle conoscenze in un modo nuovo, prevedono un
atto strategico e divergente che riguarda la combinazione di più regole o nozioni apprese o una diversa
successione nella loro messa in atto. Bisogna tuttavia tener presente che non sempre la distinzione tra
esercizio e problema è così netta e spesso dipende dal contesto: ciò che in una classe è un problema, in
un’altra può (e in certi casi dovrebbe) costituire un esercizio.

Non va tuttavia tralasciato l’aspetto della sfida e della scoperta, che caratterizza invece il problem solving
propriamente detto.

Risulta molto utile la classificazione operata da Nunokawa che, proprio sulla base delle intenzioni degli
insegnanti, distingue quattro tipi di approcci alle scelte didattiche relative ai problemi.

 Enfasi sull’applicazione delle conoscenze pregresse

Corrisponde all’insegnamento finalizzato alla risoluzione dei problemi, che si concretizza, da un lato, nel far
sì che gli studenti imparino il maggior numero possibile di schemi risolutivi, dall’altro, si traduce anche
nell’utilizzo di testi di problemi in cui alcuni termini richiamano facilmente le operazioni da svolgere.

 Enfasi sulla comprensione della situazione problema

In questo caso ci si concentra maggiormente sull’approfondimento e comprensione della situazione


problema (riferita a contesti reali o a fenomeni “straordinari”) che va esplorata utilizzando le proprie
conoscenze matematiche e, attraverso l’applicazione delle stesse, si può giungere a nuove ed interessanti
informazioni sulla situazione considerata.
 Enfasi sui nuovi metodi matematici o idee che danno senso alla situazione

In questo caso è la situazione problematica che consente l’emergere nello studente di nuove idee e
contenuti matematici, a partire da una riorganizzazione delle conoscenze pregresse. Ciò consente anche di
evidenziare gli aspetti culturali della matematica.

 Enfasi sulla gestione dei processi di soluzione

In questo tipo di approccio gli studenti vengono incoraggiati a diventare consapevoli di come affrontare le
situazioni problematiche, di come gestire i processi di soluzione e, più in generale, prendono coscienza dei
loro progressi nelle varie fasi del problem solving. Grande importanza assumono quindi la metacognizione e
l’autoregolazione, ma anche gli aspetti affettivi e le convinzioni.

Per favorire la risoluzione di problemi occorre creare un “ambiente di apprendimento” in cui vengano
adeguatamente sollecitati i “processi mentali” dell’alunno verso l’obiettivo (o gli obiettivi) da raggiungere.
Questi ultimi dovrebbero essere immediatamente comprensibili al bambino, mentre i passaggi necessari
per raggiungerli dovrebbero essere sufficientemente ‘nascosti’, in modo che lo sforzo per individuarli sia
uno sforzo costruttivo.

Favorire la comprensione del testo dei problemi


Numerose ricerche mettono in evidenza infatti come la principale difficoltà nella risoluzione di problemi
derivi da lacune nelle abilità di comprensione, più che da lacune nelle abilità di calcolo e viene evidenziato
che la complessità delle caratteristiche linguistiche dei problemi matematici dev’essere separata dalla
complessità matematica degli stessi. In alcune ricerche condotte era stato chiesto a studenti di scuola
primaria di ascoltare e ripetere il seguente problema: “Joe ha tre biglie. Tom ha cinque biglie in più di Joe.
Quante biglie ha Tom?”. La ripetizione più frequente è risultata la seguente “Joe ha tre biglie. Tom ha cinque
biglie. Quante biglie ha Tom?”, da cui si può dedurre che gli studenti non hanno colto la relazione (“in più”)
codificata nelle due frasi del problema. Durante la risoluzione di problemi matematici percentuali di errori
comprese tra il 25% e il 75% sono riconducibili ad una mancata comprensione del testo.

Diverse ricerche hanno messo in evidenza come interventi didattici specifici volti al miglioramento della
comprensione della lettura avessero delle ricadute positive anche sul miglioramento delle abilità di
risoluzione dei problemi.

Una ricerca condotta da Mayer ha messo in evidenza in particolare come i buoni risolutori di problemi
spesso tendono a fermarsi, e a ritornare sulla fase di lettura del te- sto del problema, a differenza dei cattivi
risolutori di problemi che, al contrario, usano una rapida strategia di soluzione, come ad esempio abbinare
la lettura frettolosa di una parola chiave (“meno di”) con un’operazione matematica (la sottrazione).

Di Martino e Zan e Boero sottolineano invece l’importanza della parafrasi del problema, per favorire una
maggiore comprensione. Essa consiste nel leggere il problema, sottolineare o evidenziare le parole chiave,
riscrivere il problema con le proprie parole e, infine, scrivere le operazioni matematiche necessarie. Se la
parafrasi avviene quando gli studenti lavorano in coppia, le risposte sono più rea realistiche maggiormente
corrette rispetto a quando gli studenti riformulano un testo individualmente.
Per favorire la comprensione del testo di un problema, Leu e Kinzer hanno elaborato la strategia SQR
(Survey, Question, Read) che aiuta gli studenti a giungere ad una propria soluzione attraverso una ricca
discussione con l’insegnante. La strategia si articola in tre fasi: survey, che consiste nella lettura del
problema e in una parafrasi con le proprie parole; question, che consiste nel domandarsi cosa chiede il
problema e cosa si sta cercando di determinare e, infine, read, che consiste nel rileggere la domanda,
determinare le esatte informazioni che si cercano, eliminare le informazioni irrilevanti e cominciare ad
organizzare un piano di soluzione.

Boero sottolinea l’importanza degli aspetti linguistici legati alla risoluzione dei problemi. Le ricerche
condotte in quest’ambito hanno dimostrato che l’appoggio linguistico dell’insegnante è molto più efficace se
avviene durante lo svolgimento del problema, invece che dopo, durante la correzione dell’elaborato. Altre
ricerche si sono poi concentrate, più nello specifico, sul ruolo svolto dal vocabolario e dal contesto nella
risoluzione dei problemi.

Il ruolo del vocabolario matematico


La risoluzione di problemi matematici di tipo verbale è fortemente dipendente dal linguaggio, non solo per il
pesante utilizzo di vocaboli e concetti matematici, che raramente si incontrano nell’esperienza di tutti i
giorni (a scuola e fuori dalla scuola), ma anche per la sfida che rappresenta la comprensione anche delle
convenzioni di questo linguaggio. Il linguaggio utilizzato, incluso quello scolastico, dovrebbe essere pensato
esplicitamente, in modo che gli studenti comprendano che cosa è richiesto dal problema e come dovrebbe
essere risolto. Questo aspetto dovrebbe essere sempre tenuto presente dagli insegnanti durante la
pianificazione delle attività di problem solving da svolgere in classe.

Shuard e Rothery hanno esplicitato delle specifiche raccomandazioni per la semplificazione del testo dei
problemi matematici:

 Usare frasi corte;


 Usare parole semplici;
 Rimuovere il materiale espositivo non necessario;
 Utilizzare i verbi al presente ed evitare il modo condizionale;
 Evitare di cominciare le frasi con delle subordinate.

Lavorando con studenti stranieri, per favorire la comprensione di alcuni termini, potrebbe risultare
particolarmente utile l’utilizzo del Modello di Frayer. Si tratta di una sorta di mappa concettuale di istruzioni
che consente di fare delle connessioni relazionali con alcuni vocaboli.

Essa può essere costruita anche direttamente dagli studenti, ed è costituita da cinque sezioni:

1. Identificare i concetti/vocaboli.

2. Definirli con le proprie parole.

3. Fare una lista delle caratteristiche.

4. Riportare alcuni esempi.

5. Riportare alcune cose che non rappresentano un esempio della parola/concetto.

Alcune ricerche hanno messo in evidenza che, per gli studenti che stanno apprendendo la lingua di
istruzione, risulta utile il ricorso alla lingua nativa, in modo da facilitare la comprensione.
Il ruolo del contesto
Sull’abilità di risoluzione dei problemi incidono anche le variabili legate al contesto, che differenziano i
problemi che presentano la stessa struttura matematica.

Diverse ricerche hanno dimostrato che gli studenti risolvono i problemi matematici più facilmente quando
hanno familiarità con il contesto presentato nel problema. Infatti, gli studenti che risolvono problemi
riguardanti contesti che piacciono e conoscono (persone, posti e cose) hanno risultati migliori, nella
risoluzione di problemi ad essi collegati, rispetto a studenti che risolvono gli stessi problemi, ma in contesti
più generici.

Una delle strategie suggerite agli insegnanti da diverse ricerche consiste nel riscrivere i problemi basandosi
sull’esperienza degli studenti (personale, familiare e comunitaria). L’insegnante, dunque, dovrebbe
sostituire i nomi, gli oggetti e le attività non familiari che appaiono nei problemi, con quelli più familiari, in
modo da creare un contesto del problema maggiormente allineato con l’esperienza dello studente.

Numerose ricerche, in diversi paesi, hanno documentato una tendenza, generalizzata a molti bambini, di
rispondere ai problemi matematici senza tener conto della realtà della situazione descritta dal testo dei
problemi. Si tratta del fenomeno definito da Schoenfeld come “suspension of sense-making”. Le analisi di
questi comportamenti suggeriscono che questo comportamento non è collegato a un deficit cognitivo del
bambino, quanto, piuttosto, alla cultura della classe, in cui i problemi sono presentati in una forma
stereotipata, secondo un’implicita assunzione che la soluzione derivi sempre da una o più operazioni e che i
numeri forniti dal testo sono sempre appropriati.

Favorire la rappresentazione del problema


Le rappresentazioni grafiche aiutano gli studenti a risolvere i problemi, poiché consentono l’organizzazione
delle informazioni fornite nel testo del problema e, di conseguenza, la comprensione delle relazioni,
favorendo l’ideazione di un piano di soluzione. Secondo diverse ricerche gli studenti che rappresentano le
informazioni matematiche nel problema prima di scrivere un’equazione hanno risultati migliori nel problem
solving. Diverse ricerche hanno messo in evidenza il ruolo positivo svolto dalla manipolazione di materiali
concreti e dalle rappresentazioni grafiche sullo sviluppo delle abilità di problem solving. Ciò riveste
un’importanza ancora maggiore nei contesti con alta percentuale di studenti stranieri, che a volte hanno
una scarsa padronanza della lingua di istruzione.

Manipolazione di materiale concreto


Haldford e Boulton-Lewis hanno elencato sette ragioni per cui gli oggetti fisici/concreti possono facilitare
l’apprendi- mento. Essi, infatti, consentono: un aiuto per la memoria, permettono di verificare la realtà, di
incrementare la flessibilità, facilitano il richiamo, mediano il transfer, facilitano indirettamente l’astrazione e
generano predizioni su fatti non conosciuti. Tuttavia, questi stessi oggetti possono distrarre gli studenti, che
possono semplicemente essere utilizzati come divertimento.

Secondo questa teoria, chiamata Physically Distributed Learning, non è la rappresentazione in sé che induce
l’apprendimento, quanto il processo di trasformazione e di reinterpretazione della configurazione in
rappresentazione. Questa teoria è supportata da una serie di ricerche che mostrano come i bambini siano
più abili nel risolvere problemi con operazioni con le frazioni, se supportati da materiale concreto, rispetto
alle annotazioni su fogli. Molte ricerche sottolineano anche il ruolo importante svolto dalla motricità e dalla
gestualità nel problem solving e nell’apprendimento.
Rappresentazioni grafiche
Le rappresentazioni grafiche includono tabelle, grafici, linea dei numeri, diagrammi a barre, percentuali e
schemi. Diverse ricerche sostengono che l’insegnante dovrebbe scegliere le rappresentazioni grafiche che
funzionano meglio con i propri studenti e dovrebbe, poi, utilizzarle più volte in problemi simili.

Varie ricerche sottolineano l’importanza dell’utilizzo del pensiero ad alta voce, da parte dell’insegnante,
durante la presentazione di una nuova modalità di rappresentazione grafica.

Una delle difficoltà che si riscontrano negli studenti consiste nell’includere, nella rappresentazione grafica,
le informazioni non necessarie, ed escludere, invece, quelle rilevanti per la risoluzione del problema, non
giungendo quindi ad identificare la natura matematica del problema. L’insegnante, quindi, potrebbe
spiegare quali sono le differenze tra i dettagli rilevanti e irrilevanti e come una rappresentazione grafica può
evidenziare importanti dettagli e relazioni. A tal fine, l’insegnante dovrebbe chiedere agli studenti di
condividere la propria rappresentazione con la classe e di spiegare come e perché hanno utilizzato quel
particolare tipo di rappresentazione per risolvere il problema.

Dal momento che i concetti e le relazioni matematiche sono spesso basate sulle rappresentazioni visive
mentali legate alle informazioni verbali, l’abilità di generare, ritenere e manipolare immagini astratte è
importante nel problem solving matematico.

Anche gli insegnanti, utilizzando prevalentemente un approccio piuttosto che un altro, in relazione alla
propria cultura, possono contribuire all’utilizzo delle rappresentazioni grafiche da parte degli studenti.
Mentre gli insegnanti cinesi utilizzano frequentemente delle rap- presentazioni grafiche, come la linea dei
numeri, i diagrammi o altre rappresentazioni che mostrano le relazioni tra le quantità, mentre gli insegnanti
statunitensi ricorrono più facilmente ai simboli.

La notazione simbolica
Ogni parte della rappresentazione grafica può essere trasformata in notazione matematica. Gli studenti,
cioè, dovrebbero imparare come, per esempio, ad ogni quantità e relazione della rappresentazione,
corrispondano quantità e relazioni nell’equazione.

Fornire agli studenti problemi aritmetici concreti, prima di chiedere loro la comprensione della notazione
algebrica, migliora significativamente i risultati.

Utilizzare diverse strategie di risoluzione


Woodward e colleghi sottolineano che gli studenti dovrebbero essere incoraggiati a sviluppare e scoprire le
loro strategie di problem solving, diventare abili nell’utilizzarle e flessibili nello sceglierle. Ciò li aiuta ad
acquisire fiducia nella propria capacità di risolvere problemi in diverse situazioni e accrescere le loro abilità
di ragionamento.

Dowker e Siegler sostengono che i risolutori di problemi che conoscono molteplici strategie di soluzione
hanno risultati migliori. Dunque se gli studenti sono regolarmente esposti a problemi che richiedono
differenti strategie, imparano differenti modalità di risoluzione. Le ricerche dimostrano che, di conseguenza,
i soggetti diventano più efficienti nel selezionare la modalità più appropriata di risoluzione e si approcciano
alla risoluzione dei problemi matematici con più disinvoltura e flessibilità.
Utilizzo di esempi svolti
Alcune ricerche hanno messo in evidenza come il fornire agli studenti degli esempi svolti abbia effetti
positivi. Johnson e Johnson sostengono poi che i maggiori benefici si hanno quando gli studenti lavorano in
coppia sugli esempi svolti, perché diventano più flessibili e fluidi rispetto a quando vi lavorano
individualmente e, più in generale, quando partecipano attivamente al processo di apprendimento. Gli
insegnanti, dunque, dovrebbero fornire agli studenti opportunità di lavorare insieme e di utilizzare esempi
svolti per facilitare il confronto di strategie che, in certi casi, consentono di mettere in luce alcuni concetti.
Gli esempi svolti dovrebbero essere presentati nella stessa pagina, invece che in due pagine separate.

Numerose ricerche hanno dimostrato che gli studenti che di- spongono di esempi svolti durante le lezioni
hanno un miglior apprendimento, con minor sforzo, rispetto a coloro che ricevono, invece, semplicemente
problemi da risolvere. Gli studenti che lavorano con gli esempi svolti, riducono il peso della memoria di
lavoro e dirigono la loro attenzione direttamente sulle relazioni tra gli elementi del problema. Va tuttavia
sottolineato che ci sono condizioni in cui gli esempi svolti non funzionano. Si tratta, ad esempio, del caso in
cui tali soluzioni sono cognitivamente molto strutturate e richiedono un notevole carico cognitivo.

Presentazione di strategie errate


Quando si insegnano strategie multiple di risoluzione, è utile impiegare periodicamente anche delle
strategie che non funzionano ed esplicitare i cambiamenti necessari per trovare una strategia alternativa, in
modo da mostrare agli studenti che i problemi non sempre sono risolti subito (a primo colpo) e che qualche
volta i risolutori di problemi hanno bisogno di provare più di una strategia di risoluzione. Ciò aiuterà gli
studenti a sviluppare la persistenza, necessaria per completare problemi sfidanti e non routinari.

Condivisione di strategie diverse


Quando gli studenti cercano di risolvere i problemi usando molteplici strategie e quindi condividono e
confrontano le loro strategie, la loro abilità di risolvere problemi migliora. In particolare, questa ricerca ha
mostrato che quando gli studenti lavorano in coppie generano molte più strategie rispetto a quando
lavorano individualmente. Bisognerebbe anche assicurarsi che gli studenti non presentino semplicemente la
loro strategia, ma spieghino anche le ragioni del suo utilizzo.

Occorre comunque tener presente che alcuni studenti potrebbero aver paura di presentare delle risposte
sbagliate e ciò potrebbe incidere sulla condizione emotiva di alcuni di essi nella condivisione delle loro
strategie. È importante dunque creare un ambiente nel quale gli studenti si sentano supportati e
incoraggiati a condividere, indipendentemente dalla correttezza o meno delle strategie. L’insegnante
dovrebbe enfatizzare il fatto che la maggior parte dei problemi possono essere risolti usando una varietà di
strategie e che ogni studente può proporre una strategia che altri studenti della classe non hanno pensato o
utilizzato. Gli studiosi propongono anche un altro modo utile per favorire la condivisione: consiste nel
chiedere ad un altro studente di discutere la procedura proposta dal compagno.
Risoluzione di un problema simile
Già Polya aveva affermato che uno dei principali doveri dell’insegnante è quello di non dare agli studenti
l’impressione che i problemi matematici abbiano poche connessioni tra loro e nessuna connessione con
qualsiasi altra cosa. Gli insegnanti dovrebbero incoraggiare dunque gli studenti ad immaginare casi in cui
essi possono utilizzare nuovamente le procedure usate o applicare i risultati ottenuti.

Tale esercizio nel problem solving consente anche di individuare come appartenenti alla stessa categoria i
problemi che hanno lo stesso schema risolutore. Diverse ricerche hanno dimostrato come gli abili solutori
non si fanno trarre in inganno da etichette verbali simili, ma riconoscono lo schema di soluzione e lo
applicano a tutti i problemi che condividono la stessa struttura matematica. Tale competenza, che gli
insegnanti riconoscono come complessa da acquisire, è carente nei solutori meno esperti.

Favorire il monitoraggio e la riflessione


Numerose ricerche sostengono anche la rilevanza del monitoraggio del proprio ragionamento, durante tutte
le fasi del problem solving. Monitorare e riflettere durante il problem solving aiuta gli studenti a pensare su
cosa stanno facendo e sul perché lo stanno facendo, a valutare i passi intrapresi per risolvere il problema e a
connettere nuovi concetti con quelli già conosciuti.

La riflessione può essere stimolata in varie forme.

Il fornire agli studenti una lista da compilare autonomamente (checklist) ha degli effetti positivi, che
persistono anche dopo quattro mesi dalla fine dell’intervento. Può trattarsi sia di una lista di compiti da
svolgere (Tabella 2) sia di una serie di domande (self-questioning) (Tabella 3), ma in entrambi i casi le
richieste devono essere in numero ragionevole e devono riferirsi ai vari stadi del processo di problem
solving, dalla fase iniziale di lettura e comprensione del problema fino alla determinazione e messa in atto
della strategia di soluzione, e alla valutazione della soluzione fornita.

L’obiettivo dovrebbe dunque essere quello di far sì che gli studenti monitorino e riflettano autonomamente
durante tutte le fasi di problem solving. Tuttavia, soprattutto nella fase iniziale, quando vengono introdotti
nuovi concetti matematici, potrebbe risultare molto utile anche il supporto dell’insegnante, che può
utilizzare la riflessione ad alta voce dello studente, per migliorarne il monitoraggio e per aiutarlo a
comprendere il processo di problem solving.

Alcune ricerche suggeriscono di incoraggiare gli studenti a spiegare e giustificare le loro risposte, sia
oralmente che per iscritto, sia individualmente, sia in piccoli gruppi, anche risolvendo problemi al computer.
Gli studenti sembrano monitorare meglio i processi se riflettono oralmente e in piccoli gruppi. Infatti,
quando lavorano in gruppo, gli studenti possono formulare quesiti e rispondere alle domande, o leggere
ogni domanda ad alta voce e rispondere ad essa. Inoltre, dal momento che condividono le soluzioni in
piccoli gruppi, gli studenti possono favorire il modeling all’interno del gruppo, permettendo agli studenti di
imparare gli uni dagli altri.

Nel caso in cui gli studenti forniscano delle risposte errate, Cardelle-Elawar evidenzia l’utilità, per
l’insegnante, di chiedere allo studente quale domanda si è posto, in modo da aiutarlo a riflettere ad alta
voce, piuttosto che fornire direttamente la risposta corretta. Per Siegler l’insegnante può anche fornire la
risposta corretta, ma a condizione di chiedere anche il perché della correttezza della risposta, rispetto a
quella originariamente fornita.
Verschafell e colleghi sottolineano il fatto che, man mano che gli studenti diventano più fiduciosi nelle
proprie abilità di ragionamento e si assumono la responsabilità del monitoraggio e della riflessione durante
il problem solving, gli insegnanti dovrebbero gradualmente ridurre la quantità di supporto fornita.

King sottolinea l’importanza di abituare gli studenti alla riflessione e al monitoraggio anche durante la
risoluzione di problemi più semplici, perché ciò li aiuta a comprendere e risolvere meglio i problemi, oltre
che a facilitare la condivisione delle proprie strategie con i compagni.

Questioning
Le domande poste dagli insegnanti possono aiutare gli studenti a chiarificare e ridefinire il loro
ragionamento, e a stabilire un metodo di monitoraggio e riflessione che per loro abbia senso. Anche
lavorando in gruppo gli studenti possono porsi a vicenda delle domande. Dai risultati è emerso che coloro
che hanno generato le domande più elaborate hanno avuto dei risultati migliori, sia per quanto riguarda le
spiegazioni fornite durante la discussione, sia per quanto riguarda gli esercizi di comprensione del post-test.

Una delle varie procedure di questioning è quella chiamata “guided cooperative questioning” in cui, ad
esempio, gli studenti usano una serie di domande stimolanti generiche (Quali sono i punti di forza e di
debolezza? Cosa pensi succeda se? Perché è importante?) per creare le proprie domande sui materiali
studiati. Dopo aver generato le domande, gli studenti lavorano in piccoli gruppi cooperativi o in coppia, per
chiedere e rispondere a vicenda alle varie domande. In questo modo le domande generiche guidano il
livello di discussione e di pensiero, all’interno dei gruppi cooperativi di apprendimento.

Uno degli elementi primari, che contribuisce al successo nel “guided cooperative questioning”, è la struttura
stessa delle domande che consente di promuovere non solo l’attività cognitiva degli studenti, ma anche
quella metacognitiva: il pensiero critico sui materiali presentati, l’attivazione delle conoscenze precedenti
rilevanti, la comprensione e il monitoraggio. Per esempio domande come “Qual è il significato di…?” e
“Spiega come…” promuovono il ragionamento, la riflessione sulle strategie utilizzate, stimolando anche le
inferenze e le spiegazioni. Altre domande possono indurre a:

 pensare ad alcune applicazioni (“Come useresti…per…?”)


 sviluppare esempi (“Qual è un nuovo esempio di…?”)
 analizzare relazioni (“Come…interessa…?”)
 fare previsioni (“Cosa pensi che succederebbe se…?”)
 sintetizzare idee (“Quali sono alcune possibili soluzioni per il problema del…?”)
 comparare e contrastare (“In cosa… e… sono simili e/o differiscono?”)
 valutare (“Perché…è meglio di…?”)
 Le ultime due tipologie di domande sviluppano il pensiero critico.

Usando domande generiche ci si aspetta anche che gli studenti attivino le conoscenze precedenti, sia per
porre che per rispondere alle domande. Si può pensare, dunque, che un’inadeguatezza nel porre o nel
rispondere alle domande possa essere dovuta ad una mancanza di comprensione, che quindi necessita di
una maggiore chiarificazione.

Utilizzato il “cooperative guided questioning”, è stato trovato che non solo questi utilizzano domande più
stimolanti, ma si impegnano anche in più spiegazioni durante le loro discussioni, rispetto a coloro che
interagiscono liberamente.
Modeling
Nello specifico della didattica del problem solving, il ruolo di modello potrebbe essere svolto
dall’insegnante, che mostra come monitorare e riflettere mentre si risolve un problema. Può essere utile a
questo proposito esplicitare ad alta voce, non solo la risposta a ciascun suggerimento, ma anche le ragioni
di ogni decisione e del suo funzionamento.

L’apprendimento in coppia
Alcuni studiosi hanno preferito lavorare con coppie di studenti durante la risoluzione di un problema
matematico, sostenendo che questa scelta consente l’emergere di discorsi più intensi tra gli stessi, a
differenza della discussione in gruppi asimmetrici, che possono incoraggiare una partecipazione
disequilibrata o possono anche generare un sovraccarico cognitivo. Da una ricerca è emerso che dare agli
studenti un tempo per riflettere individualmente (circa 5 minuti) influisce sul numero di domande che gli
studenti pongono e costituisce uno strumento extra, che favorisce lo scambio delle idee. Inoltre si è visto
che gli studenti, lavorando in coppia, non riflettono soltanto sull’elaborazione della propria comprensione,
ma anche sull’integrazione ed elaborazione degli input provenienti dai partners.

Basandosi su diverse ricerche in cui gli studenti lavorano a coppie ad una serie di problemi al computer,
Light suggerisce che il dover utilizzare il linguaggio per rendere i piani di soluzione più espliciti, per prendere
decisioni e per interpretare i feedback sembra facilitare la risoluzione dei problemi, e pro- muovere la
comprensione. Uno dei compiti utilizzati da Light e dai ricercatori che lavoravano con lui era un gioco di
avventura, in cui era richiesto di trovare e mettere in salvo la corona del re, nascosta in un’isola, mostrata in
una mappa dello schermo. Scegliendo tra una varietà di possibili strategie, agli studenti era richiesto di
manipolare diverse caratteristiche e significati dei trasporti, per evitare i pirati che bloccassero loro la via.
L’analisi della discussione tra i bambini ha mostrato che le coppie che mettevano in atto una maggiore
pianificazione e negoziazione verbale, oltre che una discussione sui feedback, avevano più successo nella
risoluzione dei problemi. D’altra parte, però, queste ricerche non supportano l’idea che lavorare con pari più
competenti sia necessariamente utile per l’apprendimento, dal momento che i bambini che hanno abilità
più simili sembra che apprendano meglio, di quelli che si trovano in coppie di pari asimmetriche. Infatti, un
compagno che ha più conoscenze può avere un ruolo dominante nella presa delle decisioni e può insistere
sull’uso delle proprie strategie di problem solving, invece di aiutare gli studenti meno abili.

L’apprendimento collaborativo
Diverse ricerche empiriche hanno messo in evidenza come la discussione nei piccoli gruppi sia uno dei
meccanismi in base al quale gli studenti diventano abili nell’affrontare la complessità tipica del problem
solving. Già Good, Mulryan e McCaslin avevano sottolineato l’importanza di utilizzare il cooperative
learning nell’apprendimento della matematica: “Tra le varie potenzialità dell’uso dell’apprendimento in
piccoli gruppi, crediamo che forse il maggior punto di forza consista nell’aiutare gli studenti a sviluppare le
abilità e le disposizioni al problem solving.”

Il cooperative learning fornisce infatti agli studenti l’opportunità di concepire, scrivere, discutere e spiegare i
problemi, in particolar modo quelli basati sui loro interessi e su situazioni che incontrano nella vita di ogni
giorno. Questo processo necessita di una forte concentrazione sulla comunicazione tra insegnanti e
studenti, ma in particolar modo tra gli stessi studenti. Fornisce, inoltre, agli studenti un’eccellente
opportunità di imparare dagli altri e di comprendere come gli altri studenti leggano e interpretino i
problemi.
Quando gli studenti si impegnano a scrivere i loro problemi (o durante l’attività di problem solving),
diventano soggetti attivi del proprio apprendimento. Sono obbligati a chiarificare il pensiero, a riflettere
sulle strategie che usano e ad imparare quando una strategia è utile ed appropriata.

Altre ricerche condotte sostengono il valore dell’interazione verbale tra gli studenti, in quanto di per sé
coinvolge l’elaborazione di spiegazioni, che è positivamente legata ai risultati in matematica. Le situazioni di
apprendimento cooperativo consentono agli studenti di partecipare attivamente in queste discussioni.
Inoltre, altri studi mettono in evidenza che il cooperative learning, utilizzato durante le situazioni di problem
solving, incoraggia gli studenti a collaborare con gli altri, piuttosto che a competere, consentendo
l’apprendimento reciproco, non solo dei contenuti disciplinari, ma anche del linguaggio e delle strategie
utilizzate dai pari, in vista del raggiungimento di una meta comune. Inoltre, l’apprendimento cooperativo
contribuisce anche alla costruzione della leadership, alla presa di decisioni e allo sviluppo delle abilità di
gestione dei conflitti e, più in generale, ad un atteggiamento positivo nei confronti della matematica.

Muth riprendendo alcuni principi del cooperative learning di Johnson e Johnson li ha adattati nello specifico
al problem solving matematico. Essi possono essere brevemente riassunti nelle seguenti indicazioni
didattiche:

 Insegnare agli studenti le abilità interpersonali necessarie per lavorare cooperativamente (prendere
la parola quando è il proprio turno, ascoltare gli altri, fornire feedback costruttivi);
 Far lavorare prima gli studenti in coppia e poi gradualmente in gruppi (varie ricerche consigliano
gruppi eterogenei, composti da quattro persone.
 Disporre la classe in modo da promuovere la comunicazione lo sguardo e la manipolazione dei
materiali tra i diversi membri dei gruppi.
 Assegnare ruoli (es. leader, registratore, gestore dei materiali) soltanto se sono significativi e
necessari, dando la possibilità agli stessi studenti del gruppo di determinare la necessità o meno di
un determinato ruolo;
 Spiegare tutti i compiti chiaramente e dare il tempo per porre delle domande, assicurandosi che
ogni gruppo abbia chiaro in cosa consista il compito e il tempo a disposizione per por- tarlo a
termine.
 Utilizzare problemi matematici che incoraggino gli sforzi cooperativi tra gli studenti; (i problemi
dovrebbero essere né troppo semplici, in quanto potrebbero apparire routinari, né troppo difficili,
perché promuoverebbero sforzi individuali e non cooperativi);
 Assicurarsi che gli studenti sappiano che oltre al lavoro come gruppo, essi sono anche
individualmente responsabili del compito (ad esempio potrebbero essere chiamati ad esporre la
strategia di problem solving al resto della classe; potrebbero essere valutati sui materiali alla fine
dell’unità).
 Monitorare tutti i gruppi durante il lavoro, incoraggiando la cooperazione e assicurandosi che tutti
gli studenti siano coinvolti e che nessuno stia dominando all’interno del gruppo (intervenendo se
necessario);
 Alla fine di ogni compito, fornire un feedback specifico, non solo su come ogni gruppo ha
completato il compito, ma an- che relativo al clima di lavoro all’interno del gruppo.
Anche Davidson ha elaborato delle linee guida per favorire la cooperazione degli studenti durante le attività
di problem solving. In alcuni casi gli insegnanti le forniscono direttamente ai gruppi di studenti, in modo che
essi possano averle come punto di riferimento se necessario. Esse sono:

 lavorare insieme in gruppi di quattro;


 cooperare con gli altri membri del gruppo;
 raggiungere una soluzione di gruppo per ogni problema;
 assicurarsi che ognuno comprenda la soluzione prima che il gruppo vada avanti;
 ascoltare attentamente gli altri e provare, quando possibile, a costruire le proprie idee;
 condividere la leadership del gruppo;
 assicurarsi che tutti partecipino e che nessuno domini;
 attribuire a turno l’impegno di scrivere la soluzione dei problemi alla lavagna;
 procedere ad una velocità confortevole per il proprio gruppo.
 Questi esempi e quelli precedenti basati sulle ricerche possono offrire indicazioni per elaborare una
strategia didattica del problem solving potenzialmente efficace.

Conclusione
Le competenze di risoluzione di problemi in gruppi stanno diventando via via sempre più importanti nella
società contemporanea, che nella globalizzazione deve affrontare in modo cooperativo problemi sempre più
complessi: tale traguardo è centrale anche nella rilevazione PISA 2015, che ha previsto anche la valutazione
di questa abilità, “un’abilità critica e necessaria sia nell’ambito educativo che lavorativo”

Nel quadro teorico di PISA 2015 si legge:

La competenza di problem solving cooperativo è la capacità di un individuo di impegnarsi efficacemente in


un processo in cui due o più agenti stanno cercando di risolvere un problema condividendo la comprensione
e lo sforzo richiesto per pervenire alla soluzione, mettendo in comune le loro conoscenze, abilità e sforzi per
pervenire alla soluzione.

Assume, dunque, un ruolo fondamentale anche la capacità di discutere in gruppo e di argomentare e di


giustificare la scelta delle proprie strategie di risoluzione.
Capitolo 3

DESCRIZIONE DI INTERVENTO QUASI-SPERIMENTALE DI DIDATTICA DEL PROBLEM SOLVING


Indipendentemente dalla diversità culturale e linguistica, tutti i bambini hanno diritto ad un’istruzione
matematica di alta qualità, che sviluppi le loro capacità di comunicazione e di soluzione dei problemi fin
dall’inizio della scuola primaria. Tuttavia analizzando più nel dettaglio i percorsi scolastici de- gli studenti di
origine straniera si constata che, a fronte di un’uguaglianza formale nelle opportunità di accesso al sistema
scolastico italiano, garantita dalla legge, si evidenziano significative differenze di successo scolastico.

I risultati dell’indagine condotta con prove standardizzate hanno infatti messo in evidenza il divario tra gli
studenti italiani e gli studenti stranieri, in tutti gli ambiti indagati (processi cognitivi, lingua italiana,
matematica) con conseguente rischio di insuccesso e abbandono scolastico.

Da un’analisi più dettagliata dei risultati matematici si nota, però, che il problem solving e l’argomentazione,
di fatto, costituiscono le principali difficoltà matematiche degli studenti stranieri (competenze complesse
anche per gli italiani) e pongono, quindi, l’esigenza di potenziare questi ambiti tenendo conto delle diversità
culturali e linguistiche. Si auspica che lo studio, descritto nel presente capitolo, potrà avere una ricaduta
significativa anche sugli studenti italiani, che pure incontrano difficoltà negli ambiti considerati. Diverse
ricerche nazionali ed internazionali hanno messo in luce inoltre come l’insuccesso nella risoluzione di
problemi matematici sia spesso legato anche agli aspetti metacognitivi e motivazionali legati
all’apprendimento.

Quadro teorico
I processi cognitivi coinvolti nel problem solving sono spesso associati al successo scolastico, in quanto la
competenza nella risoluzione di problemi prepara gli studenti a ragionare efficacemente in situazioni non
familiari, a integrare le conoscenze eventualmente mancanti, osservando, esplorando ed interagendo con
un sistema non noto. Il problem solving, infatti, non richiede semplicemente l’applicazione di procedimenti
meccanici, ma rimanda anche a processi cognitivi complessi in cui prevale il ragionamento, la formulazione
di ipotesi, la gestione di informazioni strutturate e il controllo critico e metacognitivo sui processi e sui
risultati. Per quanto riguarda il campo specifico del problem solving matematico, particolare rilevanza
assume il lavoro svolto dall’ Institute of Education Sciences’ (IES) What Work Clearinghouse! Che, basandosi
sull’analisi di una grande quantità di ricerche per sintetizzarne le evidenze, ha elaborato una guida, centrata
su cinque raccomandazioni, volte al miglioramento della competenza di problem solving in ambito
matematico da parte di studenti di età compresa tra gli otto e i quattordici anni:

 Preparare i problemi e usarli con tutta la classe.


 Aiutare gli studenti nel monitoraggio e nella riflessione sul processo di problem-solving.
 Insegnare agli studenti come utilizzare le rappresentazioni visive.
 Esporre gli studenti a più strategie di problem-solving.
 Aiutare gli studenti a riconoscere e articolare concetti matematici e notazione.
Indicazioni utili per la didattica del problem solving:

Favorire la comprensione del testo del problema

Le ricerche evidenziano la necessità di:

 attenzionare sia il linguaggio dei testi dei problemi matematici (aspetti lessicali e sintattici) che il
contesto (concreto, piacevole, familiare e reale).

Favorire la rappresentazione del problema

Le ricerche evidenziano la necessità di:

 distinguere tra le informazioni rilevanti (da includere nella rappresentazione) e quelle irrilevanti,
mostrando anche il processo che porta all’eliminazione dei dettagli inutili.
 rappresentare le informazioni matematiche del problema prima di scrivere il procedimento di
soluzione.
 evitare rappresentazioni parziali che potrebbero produrre una pianificazione altrettanto parziale
delle operazioni da compiere per la soluzione.

Utilizzare diverse strategie di risoluzione

Gli studenti dovrebbero essere incoraggiati a sviluppare e scoprire le loro strategie di problem solving,
diventando abili nell’utilizzarle e flessibili nello sceglierle.

Favorire il monitoraggio e la riflessione

Per favorire il monitoraggio e la riflessione può essere utile fornire agli studenti una lista di compiti (poi
progressivamente tolta) che comprenda tutte le fasi del problem solving, incoraggiare gli studenti a spiegare
e giustificare le loro risposte, sia oralmente che per iscritto, sia individualmente che in piccoli gruppi,
assumendosi la responsabilità del monitoraggio, già a partire dalla risoluzione dei problemi più semplici.
Tuttavia, soprattutto nella fase iniziale, quando vengono introdotti nuovi concetti matematici, potrebbe
risultare molto utile anche il supporto dell’insegnante, che può utilizzare la riflessione ad alta voce dello
studente, per migliorarne le capacità di monitoraggio e per aiutarlo a meglio comprendere il processo di
problem solving.

Favorire le interazioni tra pari nello sviluppo di strategie e di capacità argomentative

Nella discussione e nell’argomentazione relativa alle strategie risolutive adottate, gli studenti sono sollecitati
a confrontarsi con punti di vista diversi, a trovare elementi comuni, a scoprire nuovi criteri classificatori, a
trarre inferenze anche dalle idee e dai contributi proposti da altri.
“Si ipotizza che un metodo innovativo di insegnamento/apprendimento della matematica, pianificato sulle
principali fasi di problem solving come emergono dalla letteratura (comprensione, rappresentazione,
pianificazione, diverse strategie di soluzione, controllo e monitoraggio) e caratterizzato da:

 Situazioni problematiche complesse e autentiche.


 Interazione in piccoli gruppi.
 Discussione di confronto collettivo.
 Riflessione metacognitiva (individuale e collettiva).
 Modeling e feedback nella discussione tra pari e collettiva.

Incida positivamente su:

 Competenze matematiche di risoluzione di problemi.


 Motivazione, percezione di autoefficacia e autostima.
 Credenze e convinzioni rispetto alla matematica.
 Atteggiamenti verso la cooperazione di gruppo.”

Ci si aspetta dunque che i soggetti italiani e stranieri coinvolti nell’intervento didattico innovativo ottengano
punteggi più alti nel problem solving e un incremento della motivazione nei confronti della matematica e,
più nello specifico, della risoluzione dei problemi matematici, rispetto a coloro che non sono stati coinvolti
nell’intervento didattico.

La ricerca si propone inoltre di verificare l’incidenza di alcune variabili indipendenti, come la tipologia di
origine (italiano, straniero di prima o di seconda generazione), la percentuale di composizione delle classi
sulle competenze di problem solving e sugli aspetti metacognitivi ed affettivi.

Le variabili dipendenti sono rappresentate da:

 Competenze matematiche di Problem Solving.


 Metacognizione.
 Motivazione, Autostima ed autoefficacia.
 Credenze e convinzioni nei confronti della matematica.
 Atteggiamenti verso la cooperazione di gruppo.

Strumenti di ricerca
Nella ricerca si rende necessario valutare le competenze nel problem solving in matematica di studenti al
quarto e quinto anno di scolarizzazione della scuola primaria, oltre che il loro livello di motivazione,
autostima ed autoefficacia, le credenze e le convinzioni nei confronti della matematica e gli atteggiamenti
verso la cooperazione di gruppo. A tal fine sono stati elaborati i seguenti strumenti:

 Prove strutturate per la rilevazione della competenza matematica di problem solving;


 Questionario studenti “Per me la matematica è…”. Si tratta di un questionario autodescrittivo per la
rilevazione della meta- cognizione, motivazione, autostima, percezione di autoefficacia, credenze e
convinzioni nei confronti della matematica e gli atteggiamenti verso la cooperazione di gruppo.
 Questionario insegnanti: volto alla rilevazione, da un lato delle caratteristiche del contesto della
classe, e dall’altro all’insegnamento/apprendimento del problem solving.
Prove strutturate per la rilevazione della competenza di problem solving in matematica
Nella prova di problem solving per le classi quarte e quinte, costituite rispettivamente da 29 e 32 quesiti, si
distinguono due domini principali: uno relativo al problem solving e uno relativo a specifici contenuti
matematici.

PROBLEM SOLVING

Comprensione

Rappresentazione

Pianificazione

Diverse strategie di risoluzione

Verifica e monitoraggio

Problem posing

CONTENUTI MATEMATICI

Operazioni di base

Frazioni

Logica

Geometria

Gli item delle prove prevedono diversi formati: a scelta multipla e a risposta aperta.

Agli studenti viene fornito tutto il tempo necessario per completare le prove, che generalmente oscilla dai
60 ai 120 minuti, eventualmente in due sessioni, ognuna della durata massima di 75 minuti in modo da
evitare che l’affaticamento e il calo dell’attenzione inficino il risultato della prova.

Questionario studenti
Si tratta di un questionario autodescrittivo, per la rilevazione della metacognizione, motivazione, autostima,
percezione di autoefficacia, credenze e convinzioni nei confronti della matematica e gli atteggiamenti verso
la cooperazione di gruppo.

Questionario insegnanti
Si tratta di un questionario rivolto a tutti gli insegnanti che han- no partecipato alla ricerca. Esso è costituito
da tre parti: la prima parte raccoglie una ricca serie di informazioni di contesto, la seconda parte raccoglie le
valutazioni del livello di apprendimento raggiunto degli studenti, e infine, la terza parte riguarda le
informazioni relative alla didattica del problem solving.
Descrizione del campione
La popolazione presa in esame è costituita da studenti al quarto e quinto anno di scuola primaria dell’area
metropolitana di Torino. È stato effettuato un campionamento ragionato della popolazione studentesca
concentrata in aree metropolitane con alto flusso migratorio.

Dai dati ricavati dal questionario insegnanti emerge che quasi tutti i bambini coinvolti dimostrano una
conoscenza sufficiente della lingua italiana, anche se di origine straniera, e, nella maggior parte dei casi
hanno frequentato la scuola dell’infanzia in Italia.

Nel campione la percentuale di studenti stranieri si attesta attorno al 46,1%. All’interno della percentuale di
alunni con cittadinanza italiana (53,9%) emerge la consistente presenza di studenti italiani figli di coppie
miste (italiano-straniero) che costituiscono il 7,8% del campione complessivo.

L’esperienza di servizio dei docenti è piuttosto variegata.

Rispetto al titolo di studio 10 insegnanti sono in possesso del Diploma magistrale, mentre i restanti 8 di una
Laurea, di cui 3 in Scienze della Formazione Primaria.

Disegno della ricerca


Per verificare l’ipotesi della presente ricerca occorre pianificare un disegno sperimentale a due gruppi: gli
studenti del gruppo sperimentale saranno sottoposti ad un intervento didattico specificatamente
progettato per migliorare i processi di comprensione, rappresentazione e pianificazione, con particolare
attenzione alle diverse strategie di soluzione e al controllo e monitoraggio messo in atto durante e al
termine della risoluzione dei problemi. Le classi di controllo sono scelte nello stesso ambiente socio-
economico-culturale. Si tratta di classi in cui è presente una didattica di tipo tradizionale che, a differenza
delle classi del gruppo sperimentale, riceveranno in dotazione i materiali necessari alla sperimentazione e le
indicazioni dettagliate su come utilizzarli solo al termine della ricerca.

A tutte le classi del campione dovranno essere somministrate le prove specifiche sviluppate nell’ambito del
progetto sulla competenza di problem solving e un questionario relativo agli aspetti metacognitivi,
motivazionali e alle convinzioni nei confronti della disciplina, oltre che i questionari relativi alle competenze
linguistiche (solo per gli studenti stranieri) e i questionari rivolti agli insegnanti.

Iter di attuazione dell’intervento sperimentale


L’iter di attivazione dell’intervento prevede le fasi di seguito brevemente sintetizzate.

 Incontri preliminari con i presidi e i docenti aderenti alla sperimentazione per presentare il progetto,
le modalità attuative e individuare le classi sperimentali e di controllo.
 Somministrazione della prova iniziale per la rilevazione delle competenze di problem solving, del
questionario per la rilevazione autodescrittivo, per la rilevazione della metacognizione, motivazione,
autostima, percezione di autoefficacia, credenze e convinzioni nei confronti della matematica e gli
atteggiamenti verso la cooperazione di gruppo e del questionario per gli insegnanti.
 Programmazione e calendarizzazione degli incontri relativi all’intervento nelle classi sperimentali.
 Attuazione dell’intervento nelle 10 classi sperimentali. L’intervento sarà attuato direttamente dalle
insegnanti.
 Incontri periodici con gli insegnanti al fine di verificare l’andamento della sperimentazione.
 Rilevazioni finali tramite la somministrazione sia della prova relativa alle competenze di problem
solving che del questionario dell’auto-percezione riferita rispetto agli ambiti metacognitivi e
affettivi-socio-motivazionali.

Strutturazione dell’intervento
L’intervento didattico finalizzato allo sviluppo cognitivo delle competenze trasversali di problem solving e di
argomentazione, ha una durata complessiva di 40 ore. Esso mira a:

 Potenziare il problem solving sviluppandone i processi cognitivi (memoria, comprensione,


ragionamento, creatività, capacità critica) e favorendo la comprensione, la rappresenta- zione, la
categorizzazione, la pianificazione, il monitoraggio e l’individuazione di molteplici strategie di
soluzioni.
 Sviluppare la capacità di argomentare, sia come strategia atta a comunicare una conoscenza, sia
come possibilità di chiarificazione a sé stessi. Di seguito sono brevemente sintetizzate alcune
indicazioni generali sul metodo che si è utilizzato per rispondere alle difficoltà manifestate dagli
studenti durante la risoluzione di problemi matematici.
 Guidare gli studenti nella comprensione dei concetti e nell’apprendimento di diverse strategie di
soluzione.
 Stimolare gli studenti a rispondere creativamente, richiedendo più soluzioni per uno stesso
problema e valorizzando le vie intraprese spontaneamente.

L’approccio metodologico dell’intervento prevede, per ciascuna attività, lo svolgimento di alcune fasi tipiche,
di seguito descritte:

 narrazione iniziale.
 lavoro individuale.
 condivisione nel piccolo gruppo.
 discussione matematica con l’intera classe orchestrata dall’insegante, che dà la parola, permette ai
bambini più timidi di intervenire per primi.
 report metacognitivo che consente un monitoraggio e una riflessione su quanto appreso e, in alcuni
casi, anche la possibilità di estenderne le possibili applicazioni.

L’insegnante (o lo sperimentatore) dovrà tuttavia tener conto dei tempi necessari per promuovere la
cooperazione, la comprensione reciproca e la partecipazione di tutti gli studenti.

Per quanto riguarda i criteri da seguire per la formazione dei gruppi, è stata suggerita la creazione a volte di
gruppi di livello, a volte di gruppi misti, formati in ogni caso da un massimo di 4 o 5 studenti.

Per dare spazio al dialogo, alla diversità e alla negoziazione, la classe è disposta in assetto di gruppo già a
partire dall’inizio di ciascuna attività. Per favorire l’interazione di tutti gli studenti durante i lavori di gruppo,
a ciascuno studente viene attribuito uno dei seguenti ruoli:

lettore: ha il compito di leggere i materiali che vengono forniti al gruppo;

scrivano: ha il compito di redigere/compilare i report o le schede di gruppo;

portavoce: riferisce al gruppo classe quanto emerso nel lavoro di gruppo, il proprio modo di operare e i
risultati a cui si è pervenuti;

moderatore, durante il lavoro di gruppo dà la parola, si accerta che tutti esprimano la propria opinione, che
non si divaghi su discussioni non attinenti al compito da svolgere, che nessuno si distragga;
custode: custodisce i materiali assegnati al gruppo (graffette, elastici, carte, nastri…), schede individuali e di
gruppo.

I ruoli sono riportati su delle card. Sul retro di ognuna di esse viene appuntato di volta in volta il nome dello
studente che ha ricoperto quel ruolo e la data, in modo da consentirne la rotazione negli incontri successivi.

Il contesto narrativo: motivazione e fattori affettivi


L’intervento didattico è fortemente caratterizzato da un’impronta narrativa. Le ragioni dell’interesse
privilegiato verso questo genere di testi, diffusi e familiari per gli studenti, sono da ricondursi alla capacità di
coinvolgere fortemente la dimensione affettiva e motivazionale del lettore o dell’ascoltatore. Solitamente, la
narrazione è considerata prevalentemente in ambito letterario, perciò, narrare una fiaba in matematica si
mostra sorprendente. Durante la sperimentazione sono state proposte una serie di situazioni problematiche
fantastiche. Questa situazione problematica fantastica con la quale affrontare la risoluzione di problemi
matematici e, mediante la quale, creare una situazione di apprendimento che tenga conto del soggetto che
apprende, delle sue caratteristiche, delle sue paure, è un “giallo interattivo”: “giallo” poiché in esso si
possono riscontrare quelle che sono alcune delle caratteristiche tipiche di tale genere letterario;
“interattivo” perché è accompagnato da schede operative e materiali, appositamente predisposti che
richiedono interventi di manipolazione, di costruzione, di abbinamento, oltre ad accese discussioni.

La narrazione, dunque, consente di coinvolgere gli studenti dal punto di vista affettivo, influendo sulla loro
capacità di risolvere i problemi. L’intervento, pertanto, mira anche alla costruzione di un’immagine positiva
di sé come “abile risolutore di problemi matematici”.

Problem solving
L’intervento intende promuovere negli studenti un atteggiamento autenticamente problematico,
incoraggiando loro a ragionare per trovare una soluzione o acquisire delle nuove conoscenze.
Nell’intervento proposto è la stessa situazione problematica. L’intervento prevede anche attività con diverse
forme di rappresentazione della situazione problema (immagini, manipolazione di materiale concreto) in
modo che an- che a partire dalle azioni e dalle rappresentazioni varie si possano dedurre le relazioni che
incoraggiano la formulazione di ipotesi per giustificare la soluzione del problema. Si tratta di situazioni-
problema in cui gli studenti, confrontandosi con certe informa- zioni estrinseche (che gli sono fornite) ed
intrinseche (che già possiedono), tentano di rispondere ad una domanda o di svolgere un compito
pianificando una soluzione non evidente a primo acchito. La comunicazione che si produce durante e dopo
la situazione di risoluzione dei problemi aiuta gli studenti a vedere il problema sotto angoli differenti,
moltiplicando i punti di vista, permettendo loro di osservare diverse strategie di soluzione, le più razionali, le
più insolite, le più numerose.

In altre parole, l’intervento, proponendo i contenuti in modo euristico e induttivo, impegna gli studenti nella
risoluzione di problemi: anzitutto nella comprensione dei termini, nella ricerca di una soluzione e nella
verifica dell’esattezza. Si cercherà anche di fare in modo che ogni studente si sforzi di applicare le
conoscenze raggiunte in nuovi ma simili problemi; che identifichi concetti e procedure in contesti diversi,
che dia prova di flessibilità e fluidità nel moltiplicare le ipotesi, nell’immaginare le vie di soluzione,
abituandolo anche a verificare e a rivedere criticamente i procedimenti impiegati.
Discussione e argomentazione
L’intervento si articola, altresì, in una serie di attività volte a pro- muovere lo sviluppo di un atteggiamento
argomentativo e la progressiva abitudine a motivare, giustificare le affermazioni e le ipotesi individuali.
Inoltre, tali attività consentono di affinare le competenze linguistiche degli allievi. Infatti, è solo attraverso lo
sforzo di rendere chiaro agli altri il proprio pensiero che si raggiunge una maggiore consapevolezza dei
mezzi linguistici che si hanno a disposizione. Tra l’altro, nelle stesse Indicazioni Nazionali per il curri- colo
della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione del 2012 tra i traguardi per lo sviluppo di
competenze alla fine della scuola primaria si legge “… (lo studente) costruisce ragionamenti formulando
ipotesi, sostenendo le proprie idee e confrontandosi con il punto di vista di altri.” Per promuovere lo
sviluppo dell’argomentazione sin dalla scuola primaria è necessario abituare gli studenti alla formulazione di
ipotesi motivate e alla loro validazione, oltre che al confronto di ipotesi, strategie e testi. Lavorare
matematicamente su situazioni concrete, con la possibilità di discutere con i compagni le proprie
conoscenze, ipotesi e strategie, avendo anche la possibilità di sbagliare, è importante per strutturare
concetti solidi e condivisi. Il lavoro di gruppo e la discussione con l’intero gruppo classe, contribuisce, infatti,
oltre ad esplicitare il proprio pensiero, anche a sintetizzare le acquisizioni concettuali della classe in discorsi
via via più astratti e generali. In questo contesto l’insegnante non fornirà spiegazioni, ma modererà il
dibattito guidano la discussione e rilanciando alcuni interventi.

Per mettere in atto le potenzialità linguistiche di tutti gli allievi, risulta di fondamentale importanza costruire
le condizioni affinché essi si sentano liberi di intervenire, rispettino il proprio turno e imparino ad ascoltare i
compagni. .

La riflessione metacognitiva
Nell’intervento didattico proposto, la competenza metacognitiva è stimolata tramite una scheda
(solitamente una lettera indirizzata ai personaggi del racconto) che si propone di indurre gli studenti a
riflettere su quanto appreso, sulle eventuali difficoltà riscontrate, a controllare il proprio operato, a porsi in
modo critico di fronte alle informazioni provenienti dall’esterno. È importante che l’insegnante stabilisca un
clima di classe nel quale l’impegno degli studenti sia valorizzato e l’errore sia riconosciuto come facente
parte integrante del processo di apprendimento. Attraverso le situazioni-problematiche proposte si intende,
inoltre, consentire agli studenti di:

 stabilire dei legami tra i diversi concetti matematici;


 riflettere sulla scelta di strategie più appropriate;
 interessarsi alla matematica ed interrogarsi sul suo utilizzo nel mondo che ci circonda;
 trovare l’elemento essenziale comune a diverse categorie, estendere il processo a fenomeni e
situazioni simili, non incluse nella descrizione della situazione iniziale.

Il contenuto matematico
Inevitabilmente l’intervento focalizza l’attenzione anche su alcuni contenuti matematici. Molte delle attività
proposte richiedono solo semplici abilità di calcolo legate alle operazioni di base. Nelle classi quinte
l’attenzione è rivolta in modo particolare ai numeri razionali-frazioni per le particolari difficoltà che questo
argomento presenta, sia dal punto di vista epistemologico che didattico.
Tempi
Nelle linee guida fornite agli insegnanti è stato indicato il tempo previsto per ciascuna attività. Esso ha
tuttavia un valore solo indicativo, molto dipende anche dal grado di partecipazione degli studenti, dal loro
affaticamento, dalle direzioni che prenderà la discussione di classe e da eventuali situazioni contingenti.

Materiali
Agli insegnanti che hanno aderito alla sperimentazione è stato fornito tutto il materiale necessario. Esso è
costituito principalmente da schede, flash card di vario tipo e altro materiale concreto di facile reperibilità
fornito agli insegnanti già suddiviso per gruppi. Oltre a ciò, in alcune occasioni si è reso necessario anche
l’utilizzo di fogli bianchi o a quadretti, matite nere e colorate, righello, forbici e nastro adesivo.

Linee Guida per gli insegnanti


Sono state elaborate delle linee metodologiche-didattiche per gli insegnanti, dettagliate per ogni incontro,
che consentono di comprendere lo spirito dell’intervento e attuarlo. Per ogni incontro è stata anche
predisposta una scheda nella quale gli insegnanti è richiesto di appuntare il nome degli studenti assenti, la
composizione dei gruppi, le difficoltà emerse, gli spunti di riflessione più interessanti.

Valutazione
La valutazione dell’intervento prevede la somministrazione di prove iniziali e finali volte a rilevare sia le
competenze matematiche generali e quelle più specifiche del problem solving, sia la motivazione e le
credenze riguardanti la risoluzione dei problemi.

Attività proposte
Agli alunni viene quasi sempre proposto di partire da un problema pratico, contestualizzato nella
narrazione, che spesso richiede la manipolazione e alcune trasformazioni, fino a giungere alla
formalizzazione e alla simbolizzazione delle operazioni da compiere, alla memorizzazione di quanto appreso
e, infine, anche all’utilizzo delle nuove conoscenze in altre situazioni concrete simili. Va tuttavia sottolineato
che tutte le attività proposte non si prefiggono esclusivamente il raggiungimento di obiettivi di contenuto,
ma sono state elaborate in modo da impegnare anche le strutture cognitive degli allievi.

INCONTRO

Lo scopo dell’incontro è quello di focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti linguistici legati all’apprendimento
della matematica. Ci si soffermerà in particolare su alcuni enunciati, frequenti nei testi matematici, ma che
possono risultare complessi per gli studenti di origine straniera. Si tratta di enunciati contenenti frasi
subordinate, negazioni, locuzioni avverbiali, gerundi, participi presenti, ecc. Il gioco, brevemente descritto di
seguito, consente di rendere visibile, attraverso la manipolazione di materiale concreto, quanto espresso
dall’enunciato.
Attività 4: IL GIOCO DELL’OCA
Ad ogni gruppo di studenti viene distribuito un tabellone e la scheda contenente le istruzioni del gioco che
vengono lette ad alta voce dall’insegnante. A turno, dopo aver lanciato i dadi, ogni studente si ritroverà ad
affrontare la prova corrispondente al numero della casella in cui ha mosso la pedina.

Gli studenti del gruppo dovranno valutare la correttezza o meno di quanto svolto dal compagno che sta
spostando la pedina. Nel caso in cui non si è d’accordo con quanto realizzato dalla persona che sta
affrontando la prova è importante spiegare le motivazioni del disaccordo.

I vincitori di ogni gruppo si sfidano in una partita conclusiva che coinvolge l’intera classe. In questo caso sarà
la squadra a realizzare quanto previsto dall’enunciato e a fornire eventuali argomentazioni e/o contro-
argomentazioni su quanto effettuato dalle squadre avversarie.

INCONTRO

Numerose ricerche enfatizzano l’importanza di impegnare gli studenti nel processo di “generazione” dei
problemi come uno strumento utile per valutare meglio i processi di comprensione e i ragionamenti messi
in atto. L’attività proposta in questo incontro si propone di esercitare questa competenza complessa,
promossa anche dalle Indicazioni per il curricolo. Ponendo gli studenti nella condizione di inventare
problemi a partire da dati, calcoli, rappresentazioni, risposte e formule essi hanno modo di riflettere sulle
relazioni profonde che legano le varie parti della risoluzione di un problema e, nella discussione di gruppo e
di classe che ne segue, hanno anche la possibilità di monitorare i propri processi e di rendersi conto del
ruolo essenziale della precisione linguistica per limitare al massimo le possibilità di equivoci.

 Descrizione attività

In base al livello della classe gli insegnanti decidono di mantenere tutti gli indizi contenuti in ciascuna busta
o di toglierne qualcuno ritenuto più complesso o riguardante argomenti non ancora affrontati. Nella
maggior parte delle classi che partecipano alla sperimentazione sono presenti 5 gruppi di studenti
all’interno della classe. Ne consegue che la busta con le immagini (che sarà oggetto anche di attività
successive) o quella con le formule (se non sono state ancora affrontate) non va fornita agli studenti.

 Fase Iniziale

Lettura della Storia da parte dell’insegnante. Distribuire agli studenti una busta per gruppo e i fogli bianchi
su cui viene chiesto di appuntare in alto il nome del gruppo, dei componenti e l’etichetta riportata sulla
busta (es. DATI). Chiarire la consegna agli studenti: dovranno inventare il maggior numero possibile di
problemi con gli indizi contenuti in ciascuna busta in 10 minuti di tempo. Per ogni problema inventato, e
ritenuto risolvibile an- che dalle altre squadre, verrà attribuito 1 punto. Chiarire eventuali dubbi. Le altre
buste contengono operazioni svolte, formule, rappresentazioni e risultati.

 Fase di lavoro individuale

Far in modo che tutti gli studenti rapidamente guardino gli indizi contenuti nella busta, solo dopo far
scattare i 10 minuti di tempo.

 Fase di gruppo

In gruppo, gli studenti condividono le loro idee su ciascun indizio e insieme inventano i testi dei problemi.
Può risultare utile la scansione del tempo rimanente soprattutto a 5, 3 e 1 minuto dalla fine. Allo scadere del
tempo tutti gli indizi vengono riposizionati nella busta e le buste vengono fatte ruotare tra i gruppi, sempre
nello stesso senso di rotazione (orario o antiorario). Continuare fin quando tutti i gruppi hanno avuto la
possibilità di inventare problemi sui vari indizi contenuti nelle buste.
 Discussione di classe

È utile avviare una discussione con l’intera classe che consenta di mettere a confronto i problemi inventati
da ciascun gruppo. Occorre disegnare alla lavagna una tabella per l’attribuzione dei punteggi. Ad ogni
squadra va attribuito un punto per ogni problema inventato che sia ritenuto risolvibile dalle squadre
avversarie.

Fare attenzione anche ad alcune sottigliezze linguistiche presenti nei testi elaborati.

Può essere utile porre le seguenti domande:

Siamo sicuri che questo problema si può risolvere?

La formulazione del problema fatta dal gruppo si riferisce esattamente a quello che il gruppo voleva dire?

Lascia dei dubbi?

Riflettere sulle strategie adottate in particolar modo per risalire dai calcoli al problema:

Come avete individuato i dati nelle operazioni fornite?

Con quali parole avete cercato di indicare l’operazione all’interno del testo?

Avete controllato se il problema si risolveva effettivamente in quel modo?

Riflettere insieme anche sulle difficoltà incontrate:

Quale tipologia è stata più difficile? Perché? Quale la più facile?

Report metacognitivo

Il report metacognitivo consente di riflettere sulle difficoltà riscontrate e sulle procedure messe in atto.

Possibili estensioni

I dati contenuti nella tabella dei punteggi potrebbero essere utilizzati come fonte per eventuali altre attività
di statistica (es. calcolare i punteggi medi di ciascun gruppo, costruire grafici a barre per gruppo e per
tipologie di indizi…) o anche come contesto reale dal quale creare eventuali ulteriori problemi.

Conclusione

L’impianto di ricerca appena delineato appare piuttosto lungo, di conseguenza è emerso la presenza di
fattori di rischio legati ad esempio alla possibile mortalità campionaria oltre che la persistenza e la
perseveranza degli insegnanti nel portare avanti la sperimentazione.
Capitolo 3

AREA METROPOLITANA TORINESE


Le ricerche sul problem solving in ambito psicologico e matematico hanno dato un forte impulso alle
ricerche in ambito didattico. La ricerca intende verificare l’efficacia di un intervento didattico innovativo sul
problem solving con studenti italiani e stranieri di quarta e quinta primaria dell’areametropolitana torinese.
La ricerca è stata fatta in 5 istituti situati in quartieri con alto flusso migratorio. Tra le scuole selezionate si
riscontrano delle differenze in termini di concentrazione straniera, in due scuole il flusso migratorio è molto
basso. Ci si aspetta che coloro che sono stati coinvolti nella ricerca ottengano punteggi più alti nel problem
solving rispetto a coloro che non sono stati coinvolti.

Per valutare le competenze nel problem solving oltre che i livelli di motivazione, autoefficacia sono stati
elaborati i seguenti strumenti:

 Prove strutturate: per la rivelazione delle competenze nel problem solving. Ciascuna prova è
costituita da due parti: una parte relativa al problem solving ed una ai contenuti matematici che
facevano riferimento alle frazioni, logica, geometria, operazioni di base.
 Questionario studenti: per la rivelazione dei livelli di motivazione.
 Questionario insegnati: È costituito dal tre parti, relative rispettivamente a informazioni sul
contesto, al livello di apprendimento, alla didattica del problem solving.

Capitolo 4

Come avviamo visto le prove sono costituire da due parti una relativa al problem solving ed un'altra metteva
in evidenza gli ambiti matematici su cui verteva la prova. Le domande che costituivano la prova possono
essere distinte in domande a risposta chiusa (si è cercato di costruire dei distrattori possibili) e domande a
risposta aperta (lunghezza del testo non eccessiva).

Capito 5 e 6

Dai risultati delle analisi emerge come strategie di intervento come quelle delineate nel presente lavoro
possono attenuare molte delle difficoltà manifestate dagli studenti nella risoluzione di problemi matematici.
Il gruppo sperimentale ha tratto profitto dall’intervento didattico cui è stato sottoposto, registrando livelli di
meta cognizione, motivazione superiori rispetto al gruppo di controllo. Le classi con percentuali più alte di
stranieri hanno registrato progressi maggiori rispetto a dove la percentuale era più bassa.

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