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V
Columbia (Bittoetóftp
THE LIBRARIES
PARNASO ITALIANO
OVVERO
CLASSICI ITALIANI
TOMO XXVII.
Non porta mai di tutti il nome dirti :
.^ ;
À"RIOSTO,BEHNI,
SATIRICI ,
BURLESCHI
DEL SECOLO XVI.
u. COrvc0t£4U 'fi u44~^
VENEZIA MDCCLIXXVII.
TKES30 ANTONIO ZATTAEFI&LI
CcmZicetiza. oc' Superiori eJ?rù>ileqio.
Sono in Italia de' poeti ajfai
Che darian fcaccomatto a V Aretino ,
Ed a quanti Aretini fur già mai .
:
Mauro . .
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54176
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A' S U O I AMICI
Andrea Rubbi.
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( Alvise Vallakesso Rif.
( Girolamo Ascanio Giustinian K. Rif.
LODOVICO ARIOSTO
SATIRA
Poefie Satin A
O tutti dotti ne I' adulazione ,
L'atte che più tra noi fi ftudia e cole,
L'ajutate a biasmarmi oltre a ragione.
Pazzo chi al suo fignor contraddir vuole,
Se ben dicefle ch'ha veduto il giorno
Pieno dì ftelle, è a mezza notte il sole.
O ch'egli lodi, o voglia altrui far scorno,
Di varie voci subito un concento
S'ode accordar di quanti n'ha d'intorno.
E chi non ha per umiltà ardimento
La bocca aprir, con tutto il viso applaude,
E par che voglia dire: anch'io consento:
Ma se in altro biasmarmi , almen dar laude
Dovete , che volendo io rimanere,
Lo diffi a viso aperto e non con fraude.
Difli molte ragioni, e tutte vere,
De le quali per sé sola ciascuna
Eflermi dovea degn* di tenere.
Prima la vita , a cui poche o nefl'una
Cosa ho da preferir: che fia più breve
Non voglio che 'l ciel voglia o la fortuna ,
Ogni alterazione , ancor che lieve ,
1 Ch' avene il mal eh' io sento , o ne morrei ,
O il Valentino e il Poftumo errar deve.
Oltra che 'l dican elfi, io meglio i miei
Cafi d'ogni altro intendo; e quai compenti
Mi Cmi utili so , so quai fien rei .
'Satìriche. \
A i
DiHique voi altri infieme, io dal mattino
A la sera ftarei solo a la cella ,
Solo a la mensa come un certofino ?
Bisogneriano pentole e vasella
Da cucina e da camera , e dotarme
Di rnaflèrizie , qual sposa novella .
Se separatamente cttcinarme
Vorria maftro Parino una o due volte,
Quattro e sei mi farà'l viso de l'arme,
S' io vorrò de le cose ch' avrà tolte
Francesco di Siver per la famiglia,
Potrò mattina e sera averne molte .
S' io dirò : spenditor , quefto mi piglia ,
Che l' umido crudel poco nudrisce ;
Quefto no, che'l catar troppo aflòttiglia;
Per una volta o due che mi obbedisce.
Quattro e sei se lo scorda , o perchè teme
Che non gli ila accettato, non ardisce.
Io mi riduco al pane; e quindi freme
La collera; càgion che a li due motti
Gli amici ed io fiamo a contesa inficine:
Mi potrefte anco dir; de li tuoi scotti
Fa che 'l tuo fante comprator ti ila;
' Mangia i tuoi polli a li tuo' alari cotti.
Io per la mala scrvitude mia
Non ho dal cardinale ancora tanto ,
. Ch' io pofla fare in corte l' ofteria .
Satiriche. j
A ì
Fa a mio senno , Maron , tuoi verfi getto
Con la lira in un ceflo, e un'arte impara,
Se benefizio vuoi , cbe fia più accetta .
Ma tofto che n' hai , pensa che la cara
Tua libertà non meno abbi perduta ,
Che se giocata te l' avefli a zara ;
E che mai più , se bene a la canuta
Età vivi , e viva egli di Neftorre ,
Quefta condizion non ti fi muta .
E se disegni mai tal nodo sciorre ,
Buon patto avrai, se con amore e pace
Quel che t' ha dato fi vorrà ritorre.
A me per efler flato contumace
Di non voler Agria veder nè Buda .
Che fi ritoglia il suo già non mi spiace :
Se ben le miglior' penne ch' a la muda
Avea rimerìe, mi tarpane, come
Che da l' amor e grazia sua mi escluda ;
Che senza fede e senza amor mi nome ,
E che dimoftri con parole e cenni
Che in odio e che in dispetto abbia il mio nome:
E quefto fu cagion ch' io mi ritenni
Di non gli comparire innanzi mai
Dal dì che indarno ad escusar mi venni:
Ruggier, se a la progenie tua mi fai
Sì poco grato , e nulla mi prevaglio ,
Che gli alti gefti e'l tuo valor cantai;
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SATIRA
a. Galasso Ariosto.
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1- Erch' ho molto bisogno, più che voglia,
D' eflcr in Roma , ora che i cardinali
A guisa de le serpi mutan spoglia ;
Or che son mcn pericolofi i mali
A' corpi , ancor che maggior pefte affliga
Le travagliate menti de' mortali ;
Quando la ruota , che non pur caftiga
lfion rio, fi voglie in .mezzo a Roma
L' anime a cruciar con lunga briga ;
Galaflò , appretta il tempio , che fi noma
Da quel prete valente , che l' orecchie
A Malco allontanar fe' da la chioma,
Stanza per quattro beftie mi apparecchia,
Contando me per due con Gianni mio :
Poi metti un mulo, e un' altra rozza vecchia .
Gì mera o buca ove a ftanzare abbia io ,
Che luminosa f}a , che poco saglia ,
E da far foco comoda , defio .
Nè de' cavalli ancor meno ti caglia ;
Che poco gioveria che avefle pofte ,
Dovendo lor mancar poi fieno o paglia.
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SATIRA
ad Annibale malagvzzo .
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a Sigismondo MalaGvzzo.
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S A T I R 4
-1 BoN4rEàTV&A PlSTOFlLO.
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Poefie Satir. D.
J© P O E. S I E
I
Se pur ho da ftar fuor, mi fìa nel sacro
Campo di Marte senza dubbio meno,
Che in quefta fofla , abitar duro ed acro .
Ma se 'I signor vuol farmi grazia a pieno ,
A se mi chiami ; e mai più non mi mandi
» Più là d'.Argenta , o più qua dal Bondeno.
Se perchè amo sì il nido mi dimandi ,
Io non te lo dirò più volentieri,
-Ch' io soglia al frate i falli miei nefandi.
Che so ben che diretti: ecco penfieri
D' uom che quarantanove anni a le spalle
Grofli e maturi fi lasciò l'altr'jeri.
Buon per me ch'io m' ascondo in quefta valle»
Nè- f Occhio tuo può correr cento miglia
A scorger se le guancie ho rofle o gialle .
Che vedermi la faccia più vermiglia,
Ben ch'io scriva da Iunge, ti parrebbe.
Che non ha madonna Ambra, nè la figlia:
O che 'l padre canonico non ebbe ,
Quando il fiasco del vin gli cadde in piazza ,
. Che rubò al frate oltre li dui che bebbe .
S' io ti fofli vicin , forse la mazza
Per baftonarmi piglierefti tofto
Che m' udifli allagar, che ragion pazza
Non mi lasci da voi viver discofto.
Tacili. denar^ eqrau hnior eli pesfe-
Uà questo campote sol qh. archihuqi empi
-Z/2 scivtumucic fanno aspre e nmesfe .
ERCOLE BENTIVOGLIO.
SATIRA
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j4 Poesie
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ÌSvoitCó>u0ritput aeelaua nasini
Miseria- esfrema. nulla doqlta aitiafe- .'
JK-Osbist al fempo rio la virfìi vosba .j,-.s<^.i.sf.
L~
LUIGI ALAMANNI.
SATIRA
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Tra cieca e iiulparyertfe, tnqcyw loschi,
Tiaitao mia sorfe, e vejjjfid'il mondo futfe
Tenebrafo iiviz; mr&i. ejtschi .j^^, j^f;A
ANTONIO VINCIGUERRA.
SATIRA.
Poe/te Salir. E
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E A
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GIOVANNI ANDREA
DALL' ANGUILLARA.
SATIRA
al Cardinal di Trento.
X Ra baffi tra mezzani e tra gli eroi ,
Signor , pattare , e cardinal di Trento ,
Non fi ragiona d' altro , che di voi .
S' io vo , s' io fta , s' io non ascolto , sento
Dir del voftro leggiadro alto intelletto,
£ del raro giudizio che v' è drento .
74 r O E s i E
'.&**.+ -f^
So
Potfie Salir. F
Or , monfignor , mettetevi gli occhiali ,
Ch'io vi voglio moftrar un corpo umano
Di fattezze superbe ed immortali .
Io sono un uom fra i piccioli un mezzano ,
E fra i mezzani un picciolo, e fra i grandi
Mi /ì potrebbe dir ch' io fefli un nano .
E s'avvierr ch'alcun grande mi domandi
Per parlarmi a l'orecchio cheto cheto,
Bisogna ch' ei $' impiccoli, io m'ingrandì.
Viso ordinario e di natura lieto ,
Se la sorte crudel noi fefl'e trifto ,
Che mi persegue in pubblico e in segreto.
Pur con fortezza d' animo reiìfto
Per grazia che mi vien data di sopra ,
E mi contento e mi riposo in Crifto ;
In quel da cui dipende ogni buon' opra
Riposerò fin che la madre antica
Quefto corpaccio mio divori e copra.
Uscirò allor d' affanno e di fatica;
Che nel regno di Crifto io spero certo
Veder la faccia sua grata ed amica.
Quefto spero per grazia, e non per merto .
Che mi confefio peccatore e chiamo :
Pur veggo ch'ei mi moftra il core aperto.
E se ben morto son nel padre Adamo,
Io son poscia rinato a miglior vita
Nel sacrifizio de.l figliuol d' Àbramo.
Satiriche. 8j
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Canfo la caresfia e net vi uditi,
Clic aehiw t'era onor nulla ainalcn .
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G IO V ANN I .M A URO
D' A R C A N O.
CAPITOLO.
CAPITOLO.
Poejìe Satir. G
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BERNARDINO GIAMBULLARI
OTTAVE.
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FRANCESCO BERMI.
CAPITOLO.
Poefie Buri. I
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Scaffinata e scommefla ;
Se le contan le cofte ad una ad una :
Panala il sole e le fIelle e la luna;
E vigilie digiuna,
Che il calendario memoria non fanne:
Come un cignal di bocca ha fuor le zanne.
Chi lei vendefle a canne,
Ed a libbre , anzi a cefte la sua lana,
Si faria ricco in una settimana.
Per parer cortigiana ,
In cambio di baciar la gente morde,
E dà co' piè certe ceffate sorde :
Ha più funi e più corde
Intorno a' fornimenti sgangherati ,
Che non an sei navigli ben armati:
Nolla vorrieno i frati.
Quando salir le vuol sopra il padrone,
Geme che par d'una piva il bordone.
Allor chi mente pone
Vede le calze sfondate al maeftro ,
E la camicia ch' esce dal caneftro .
Con la fede del dellro
Scorge chi ha la vifta più profonda
Il culiseo , l' aguglia , e la ritonda .
Dà una volta tonda
La mula , e via zoppicando e traendo ,
Dice il maeflro : me vobis commendo .
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Madre di
cameriera mia l'Ancroja,
Ferraù , zia di Morgante ,
Arcavola maggior de l' Amoftante ,
Balia del turco, e suocera del boja.
Ev la sua pelle di razza di ftuoja ,
Morbida come quella del lionfante :
Non credo che fi trovi al mondo fante
Più orrida più sudicia e squarquoia.
SONETTO.
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X U ne dirai, e farai tante e tante,
Lingua fracida marcia senza sale,
Ch' al fin fi troverà pur un pugnale
Miglior di quel d'Achille, e più calzante.
1l papa è papa , e. tu sei un furfante
Nudrito del pan d' altri , e del dir male :
Hai un piè in bordello , e l' altro a lo spedale:
Storpiataccio , ignorante ed arrogante.
Giovamniatteo , e- gli altri ch'egli ha preflo,
Che per grazia di Dio son vivi e sani ,
T' affogheranno ancora un dì 'n un celiò .
Boja , scorgi i coftami tuoi ruffiani :
E se pur vuoi cianciar, dì di te fteflb,
Guardati il petto e la tetla e le mani:
Ma tu fai come ì cani ,
Che dà pur lor mazzate se tu sai ;
Scofle" che l' anno , son più bei che mai .
Vergognati oggimai,
Presuntuoso , porco , moftro infame ,
Idol del vituperio e de la fame :
Ch' un monte di letame
T' aspetta , manigoldo , sprimacciato.
Perchè tu muoja a tue sorelle allato.
Burlesche. 159
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FRANCESCO COPPETTA
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LODOVICO DOLCE.
CAPITOLO
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MATTACCINI
CONTRO IL CASTELVETRO.
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CAPITOLO
IN LODE DELL'ASINO.
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Cne mi darefe, visfo Iti j/resenfe.
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PIETRO ARETINO,
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CAPITOLO INEDITO.
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NOTIZIE DE' PO E TI
Contenuti in quefto Volume .
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LODOVICO ARIOSTO.
FWi 7omo ultimo Orlando Furioso .
^..+..^-...>^....>+—>. +-..y+....y+...+ +....y+—>. -4..->.+—v
ERCOLE BENTIVOGLIO
LUIGI ALAMANNI.
Vedi Tomo Didascalici del secolo XVI. al
fine della Coltivazione.
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ANTONIO VINCIGUERRA
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MAY 24 1957
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