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INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA

DELLE ORGANIZZAZIONI, CHMIEL,


FRACCAROLI, SVERKE
Psicologia del Lavoro
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna (UNIBO)
61 pag.

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Chmiel, N., Fraccaroli, F., Sverke, M. (2019). Introduzione alla psicologia delle
organizzazioni. Bologna: Il Mulino.

RIASSUNTI LIBRO
CAPITOLO 1: Analisi e progettazione del lavoro organizzato
OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO

 Acquisire una definizione essenziale di analisi del lavoro

 Comprendere la distinzione tra analisi «incentrata sul lavoro» e analisi «incentrata sul
lavoratore»

 Conoscere la funzioni principali dell’analisi del lavoro in ambito organizzativo

 Comprendere il significato del modello KSAO (Knowledge, Skills, Abilities e Other


Attributes)

 Conoscere i principali metodi di analisi del lavoro, i loro campi di applicazione e i loro
limiti

1. CHE COS’E’ L’ANALISI DEL LAVORO?


L’analisi del lavoro è un processo sistematico che consiste nello scoprire la natura di un lavoro
scomponendolo in unità più piccole, un processo che ha come risultato uno o più prodotti scritti
che specifichino che cosa fanno le persone quando svolgono quel lavoro e di quali capacità
hanno bisogno per svolgerlo efficacemente.
2. TIPI DI ANALISI DEL LAVORO: ANALISI INCENTRATE SUL LAVORO E SUL
LAVORATORE
Classicamente si parla di due forme di analisi del lavoro, che si differenziano per l’oggetto di
analisi e per i tipi di dati che vengono prodotti:
1. analisi incentrata sul lavoro (work-oriented analysis): si propone di scomporre un
lavoro nelle sue parti costitutive. L’idea è che le parti di un lavoro siano ordinate in una
sorta di gerarchia. Al vertice della gerarchia si trova il LAVORO, che è costituito da un
insieme di POSIZIONI. Le posizioni sono composte da MANSIONI, le quali consistono in
COMPITI. I compiti possono essere considerati come insiemi di ATTIVITÀ, scomponibili in
ELEMENTI, le unità lavorative minime, che si trovano in fondo alla gerarchia. Questo tipo
di analisi permette di comprendere un ruolo lavorativo nel suo complesso. Il risultato di
tale analisi è un quadro completo di ogni aspetto di un lavoro.
Parti costitutive di un lavoro:
LAVORO, JOB Una famiglia di posizioni, raggruppa assieme
le posizioni che hanno responsabilità simili in
diverse organizzazioni (es: addetto alla
reception)
POSIZIONE, POSITION Un insieme di mansioni cui è preposto un
singolo individuo in una specifica
organizzazione (es: addetto alla reception
dell’azienda x)
MANSIONE, DUTY Un insieme di compiti che concorrono a uno
stesso obiettivo (es: la comunicazione con il
cliente)
COMPITO, TASK Un insieme di attività finalizzate a un
complesso di specifiche richieste lavorative

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(es: comunicare con i clienti per telefono)
ATTIVITA’, ACTIVITY Un insieme di elementi finalizzati a una
singola richiesta lavorativa (es: reindirizzare
le chiamate dei clienti a chi di competenza)
ELEMENTO, ELEMENT L’unità lavorativa minima e più elementare,
che non è possibile analizzare ulteriormente
(es: alzare la cornetta del telefono)

2. analisi incentrata sul lavoratore (worker-oriented analysis): L’obiettivo è individuare


le caratteristiche che definiscono le persone che svolgono efficacemente un lavoro. Il
complesso di queste caratteristiche è designato dall’acronimo KSAO (Knowledge, Skills,
Abilities e Other Attributes), i quattro gruppi di caratteristiche di cui si occupa l’analisi
incentrata sul lavoratore. Tale analisi quindi produce un profilo delle caratteristiche
personali che definiscono la persona ideale per un lavoro.
Le caratteristiche KSAO:
KNOWLEDGE Le conoscenze necessarie a svolgere
efficacemente i compiti previsti da un lavoro
(es: la conoscenza di processi e procedure)
SKILLS Le capacità fisiche, mentali e sociali relative
a specifici compiti lavorativi, sono acquisite
con l’esperienza e rafforzate con la pratica
(es: conduzione di un macchinario)
ABILITIES Le capacità fisiche e cognitive innate che
possono essere applicate in modo flessibile a
una varietà di compiti lavorativi (es:
ragionamento verbale)
OTHER ATTRIBUTES Ogni altra caratteristica personale pertinente
che non ricada nelle categorie precedenti
(es: motivazione)

3. I PRODOTTI DELL’ANALISI DEL LAVORO


Nell’analisi incentrata sul lavoro, il risultato finale è un JOB DESCRIPTION: una descrizione del
lavoro che specifica l’obiettivo generale del ruolo lavorativo, nonché i compiti e le mansioni
principali cui è preposto chi svolge quel lavoro.
Il prodotto dell’analisi incentrata sul lavoratore è una PERSON SPECIFICATION, una
specificazione della persona adatta per un certo ruolo. Si tratta di un profilo delle
caratteristiche KSAO, dell’esperienza e dei comportamenti necessari a svolgere efficacemente
quel lavoro. Tipicamente le caratteristiche di tale profilo sono di due tipi: le caratteristiche
essenziali per il lavoro (cioè quelle che la persona deve possedere per svolgere efficamente il
lavoro) e le caratteristiche ritenute desiderabili (quelle che non sono in condizione necessaria
dell’efficacia, ma possono differenziare i lavoratori nei termini della loro idoneità al ruolo e del
livello di prestazione che raggiungeranno).
L’analisi incentrata sul lavoro e quella sul lavoratore dovrebbero essere considerate strumenti
complementari. Insieme forniscono un quadro completo delle richieste poste da un lavoro e
delle caratteristiche che permettono al lavoratore di svolgerlo efficacemente.

4. METODI

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L’analisi del lavoro ci dà tanti metodi per studiare un lavoro. Ciascuna tecnica offre una
prospettiva unica su quel lavoro fornendo info che altre tecniche non sono in grado di cogliere.
LA RICERCA DOCUMENTARIA
Il modo più semplice ed economico per chiarire la natura di un lavoro è usare gli studi già
compiuti sull’argomento. Il punto di partenza dell’analisi di un lavoro dovrebbe essere sempre
l’esplorazione dei dati disponibili. Molti dipartimenti delle risorse umane conservano JOB
DESCRIPTIONS e PERSON SPECIFICATIONS riferite ai ruoli previsti dall’organizzazione, a volte
sono conservati, almeno in parte, i dati d’analisi alla base di quelle descrizioni e specificazioni.
Però questi dati possono essere vecchi, perciò non sono molto utili per la definizione del ruolo
lavorativo. I dati di questo tipo dovrebbero essere considerati solo come punto di partenza per
costruire il profilo del lavoro e del lavoratore, da integrare con dati più recenti.
Una fonte di dati di analisi del lavoro è il database O*NET, è un database in espansione di dati
di analisi del lavoro a cura dell’U.S Department of Labor/Employment and Training
Adminsitration. Creato nel 2001 per fornire al pubblico un database di info occupazionali
sempre aggiornato, che fosse in grado di gestire i cambiamenti dei ruoli lavorativi dovuti alle
trasformazioni tecnologiche e sociali.
O*NET comprende sia dati orientati al lavoro, sia al lavoratore, su 974 occupazioni.

METODI DI ANALISI DEL LAVORO INCENTRATI SUL LAVORO


La ricerca documentaria non coglie pienamente i fattori contestuali che influenzano la natura
delle posizioni lavorative all’interno delle specifiche organizzazioni. Perciò è opportuno
integrarla con uno o più metodi di raccolta di dati utili all’analisi del lavoro.
OSSERVAZIONE E SHADOWING
Uno dei metodi più semplici per raccogliere info sui compiti previsti da un lavoro è recarsi sul
luogo di lavoro e osservare i lavoratori all’opera. Questa raccolta dati è utile per l’analisi di
attività procedurali o ripetitive, per comportamenti messi in atto più volte al giorno in un ordine
fisso.
Quando il tipo di lavoro è più complesso, l’analista potrebbe decidere piuttosto di osservare un
singolo dipendente seguendolo per l’intera giornata lavorativa e registrandone i comportamenti
(shadowing).
Questi due metodi forniscono un’istantanea del comportamento, quindi possono mancare di
cogliere comportamenti messi in atto di rado o circostanze eccezionali. Inoltre, l’interpretazione
dei comportamenti è di solito compito dell’analista stesso, cui può sfuggire questo o quel
dettaglio del lavoro osservato. Questi metodi sono inadatti ai lavori in cui vi sia problema di
riservatezza.
IL METODO DEI DIARI
Si può chiedere ai lavoratori di TENERE UN DIARIO mentre svolgono i compiti previsti dal loro
lavoro, registrando i comportamenti in un arco di tempo relativamente breve, dopo
consegnano il diario all’analista che ha il compito di interpretarlo. Tale metodo può essere
quantitativo o qualitativo, secondo le esigenze dell’analisi. Tra i dati quantitativi è la frequenza
giornaliera di certi compiti, tra quelli qualitativi la descrizione più articolata del lavoro che si
svolge quotidianamente.
L’ANALISI DEL COMPITO
E’ probabile che il metodo osservazionale e quello dei diari generino una vasta mole di dati e
che non siano di facile interpretazione.
I metodi di ANALISI DEL COMPITO (TASK ANALYSIS) sono un insieme di tecniche per imporre un
ordine a questo genere di dati. L’obiettivo dell’analisi del compito è strutturare i dati osservativi
in modo che abbiano un carattere più sistematico e quantitativo. L’analista osserva e registra i
comportamenti, la loro frequenza e durata, l’ambiente in cui hanno luogo, i mezzi necessari a
metterli in atto e così via. L’analista cerca poi di strutturare questi dati per contestualizzare
specifici comportamenti lavorativi all’interno di sistemi più ampi.

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Un tipo di analisi del compito largamente utilizzato nell’analisi del lavoro è l’analisi gerarchica
del compito (Hierarchical task analysis, HTA). Questo metodo consiste nello scomporre un
compito in sottocompiti e mostrare come ciascuno di essi interagisca con gli altri concorrendo
alla realizzazione del compito. Il compito è descritto nei termini del suo OBIETTIVO, delle
OPERAZIONI necessarie per raggiungere l’obiettivo e del PIANO che definisce l’ordine in cui le
operazioni saranno eseguite. Tale tecnica grazie alla sua flessibilità permette di descrivere i
compiti nei minimi dettagli.
Altro tipo di analisi del compito è l’ANALISI FUNZIONALE DEL LAVORO (Functional job analysis).
Questa tecnica classifica i compiti sulla base delle somiglianze dei loro requisiti funzionali
utilizzando un sistema che codifica ciò che il lavoratore fa quando esegue il compito. I compiti
sono suddivisi in 3 categorie generali secondo il loro oggetto che può essere costituito da dati,
persone o cose. Il compito è codificato nei termini dell’azione condotta sul suo oggetto. Il
risultato ultimo dell’analisi funzionale del lavoro è una specificazione del compito che lo
descrive nei termini delle abilità necessarie (contenuto formativo) per svolgere una specifica
funzione secondo gli standard richiesti (standard. di prestazione).
METODI DI ANALISI DEL LAVORO INCENTRATI SUL LAVORATORE
I metodi incentrati sul lavoratore riguardano proprio ciò che contraddistingue un lavoratore
competente. Questi tendono a risaltare le caratteristiche critiche che differenziano le persone
con prestazioni buone, eccellenti e cattiva permettendo all’analista di comprendere meglio le
caratteristiche personali più impo per il ruolo.
INTERVISTE
Per sapere cosa caratterizza un lavoratore efficace la cosa efficace è parlare con un esperto
della materia. Le interviste sono in genere condotte individualmente, benchè possono essere
anche organizzati focus groups di esperti, che permettono all’analista di raccogliere i dati in
modo molto più efficiente. Ma i focus gruops sono soggetti a biase (distorsioni di giudizio) se
uno o due membri del gruppo fanno sentire la propria voce più degli altri si può pensare che
quelle siano le opinioni di tutto il gruppo.
Utile è l’intervista sugli eventi critici. Interviste semi-strutturate nelle quali l’intervistato
descrive eventi specifici in cui un dipendente abbia dato prova di una condotta particolarmente
efficace o inefficace, e questo informa non solo sui comportamenti che distinguono buone e
cattive prestazioni ma anche su aspetti critici rari che possono essere difficili da cogliere con
l’osservazione.

GRIGLIE DI REPERTORIO
Le griglie di repertorio può essere usata per individuare le caratteristiche tra i lavoratori con
prestazioni buone e quelli con prestazioni cattive.
Ad alcuni esperti vengono presentati gruppi di 3 lavoratori, due giudicati inefficaci a differenza
del terzo. L’esperto definisce un costrutto che differenzia il singolo lavoratore dalla coppia. Il
lavoratore o la coppia efficace oppure un polo del costrutto e la coppia (o il lavoratore)
inefficace occupa l’altro polo. L’esperto poi valuta ciascun lavoratore dell’insieme di partenza
da cui sono stati estratti i 3, collocandoli in questo continuum.
A disorganizzato ………………………………B e C organizzati (dopo l’esperto valuta D E F dove si
collocano, così l’analista capisce meglio ciò che distingue i lavoratori efficaci/inefficaci)

QUESTIONARI
Le interviste per capire se un lavoratore è efficace sono dettagliate ma presentano difetti.
Tendono a essere scarsamente quantitativi, con i conseguenti problemi di attendibilità e
validità.
In alternativa sono stati sviluppati diversi questionari pronti all’uso.

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La Fleishman Job Analysis Survey (F-JAS) si propone di individuare le abilità fisiche, cognitive e
sociali richieste da un lavoro. Un certo numero di esperti risponde al questionario valutando 73
abilità distinte nei termini del livello necessario per svolgere i compiti previsti dal lavoro.
Il F-Jas è relazionato all’HANDBOOK OF HUMAN ABILITIES un manuale che contiene un elenco di
test pubblicati co cui valutare le abilità. Questo consente all’analista di interpretare i risultati
dello F-JAS attraverso strumenti di valutazione migliori per misurare le abilità più importanti per
il lavoro.
Il NEO JOB PROFILER è un questionario costruito per individuare i tratti di personalità NEO PI-R
sviluppato da Costa, esso cerca di scoprire quanto siano desiderabili per un ruolo lavorativo i 5
tratti di personalità noti come BIG FIVE (apertura, coscienziosità, estroversione, amicalità e
nevroticismo) e le loro declinazioni. Il risultato è un profilo di personalità ideale che può essere
usato nel processo di selezione, come termine di confronto per valutare l’idoneità a quel lavoro
di un candidato o nei contesti formativi per individuare le potenziali aree di sviluppo.
Un ultimo questionario è il POSITION ANALYSIS QUESTIONNAIRE. Diversamente dagli altri
questionari descritti, il PAQ è uno strumento incentrato sul lavoro. Esso si propone di scoprire
come viene svolto un lavoro attraverso l’esplorazione sistematica di 189 elementi del lavoro,
classificati in sette grandi categorie. Un esperto valuta ciascuno di questi sulla base di sei
scale, che misurano l’importanza dell’elemento. E’ stato però sostenuto che l’attendibilità delle
sue valutazioni può far difetto quando l’analisi sia rivolta agli elementi più astratti, meno
osservabili di un lavoro come la presa di decisione e la soluzione di problemi. Anche se l’analisi
prodotta è molto dettagliata e quantitativamente ricche di compiti previsti da un lavoro.

TECNICA INCENTRATA SUL DATI QUALITATIVI PIU’ UTILE PRODOTTO


LAVORO O SUL O QUANTITATIVI? QUANDO…
LAVORATORE?

RICERCA Entrambi Non vengono raccolti …si tratta di un Raccolta di informazioni sul
DOCUMENTARIA dati, che provengono lavoro che esiste lavoro d’interesse
da fonti preesistenti già e c’è una vasta
letteratura
disponibile

OSSERVAZIONE Lavoro Descrizioni Il lavoro è Descrizioni del


qualitative del procedurale o comportamento osservato
comportamento; dati ripetitivo con dati di frequenza
quantitativi di
frequenza del
comportamento
osservato

SHADOWING Lavoro Qualitativi: resoconti Il lavoro è Descrizioni strutturate delle


scritti del lavoro complesso e vario, attività lavorative svolte
svolto da uno c’è bisogno di
specifico individuo informazioni su un
ampio spaccato di
attività

METODO DEI DIARI Lavoro Qualitativi: Il lavoro è Diario (descrittivo o basato su


descrizione del lavoro complesso, ma domande standardizzate)
svolto esigenze di prodotto dal lavoratore e
quotidianamente riservatezza restituito
Quantitativi: dati impediscono lo
sulle frequenze di shadowing o
particolari attività quando lo
registrati a intervalli shadowing non
regolari cattura
adeguatamente
l’inteso ventaglio
dei compiti

ANALISI Lavoro qualitativi Il lavoro Diagramma di flusso


GERARCHICA DEL comprende molte gerarchico che scompone i
COMPITO procedure da compiti in sottocompiti ed

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eseguire con elementi più piccoli
precisione e
accuratezza

ANALISI Lavoro Qualitativi: i compiti Il lavoro è Insieme di specificazioni del


FUNZIONALE DEL lavorativi chiave sono generalmente ben compito, che collegano
LAVORO analizzati in relazione definito e assieme in modo coerenti i
al contenuto e caratterizzabile nei compiti chiave
classificati secondo il termini delle
contenuto funzionale attività rilevate
centrale

INTERVISTE CON I Lavoratore Qualitativi: Vi è una Resoconti scritti delle


LAVORATORI esplorazione dei molteplicità di interviste
principali requisiti soggetti
(personali e KSAO) interessati
del lavoro ciascuno con punti
di vista peculiari
(lavoratori,
manager, clienti)

INTERVISTE SUGLI Lavoratore Qualitativi: Il lavoro permette Descrizioni strutturate dei


EVENTI CRITICI descrizioni scritte di un elevato livello comportamenti che
comportamenti critici di autonomia, e di influenzano l’efficacia della
per distinguere le conseguenza prestazione lavorativa
prestazioni lavorative comportamenti,
efficaci da quelle decisioni e scelte
inefficaci d’azione possono
infleunzare gli esiti

GRIGLIE DI lavoratore Qualitativi: Il lavoro offre un Elenchi di caratteristiche in


REPERTORIO descrizioni di elevato livello di grado di differenziare le
caratteristiche in autonomia, e di prestazioni e valutazioni di
grado di differenziare conseguenza le importanza/efficacia delle
la prestazione caratteristiche caratteristiche di interesse
individuali possono
Quantitativi: differenziare
valutazioni di chiaramente le
efficacia che possono prestazioni o
essere usate per quando i valutatori
strutturare i dati o hanno un’opinione
determinare chiara delle
l’importanza relativa prestazioni di più
delle caratteristiche lavoratori
impegnati nel
lavoro d’interesse

QUESTIONARI (PAQ, Lavoro o lavoratore Quantitativi La natura del Dati quantitativi (punteggi)
F-JAS) lavoro è poco nota basati su scale e dimensioni
all’analista, e dei vari questionari a
richiede un’ampia disposzioen dell’analista
valutazione dei
compiti lavorativi o
delle
caratteristiche che
i lavoratori devono
avere per
svolgerli, o quando
c’è una
molteplicità di
prospettive su cui
raccogliere dati in
modo efficiente, o
quando il lavoro è
spiccatamente
multidimensionale,
o quando è
necessario fare
confronti con altri
lavori, come nel
caso della
valutazione del
lavoro (job
evaluation)

COMBINATION JOB Entrambi QUALITATIVI: È necessario Descrizioni strutturate di


ANALYSIS descrizioni e un’analisi mansioni e compiti lavorativi

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METHODOLOGY specificazioni delle approfondita, ed è chiave, e delle componenti
mansioni lavorative e desiderabile una KSAO necessarie per svolgere
dei requisiti KSAO più metodologia mista tali mansioni e compiti
importanti per capire come i
risultati delle
Quantitativi: analisi possono
valutazioni di compiti essere usati in
e componenti KSAO differenti funzioni
per definire i di gestione delle
contenuti prioritari risorse umane

LA COMBINATION JOB ANALYSIS METHODOLOGY CJAM


L’approccio proposto dalla Cjam è globale all’analisi del lavoro che combina l’approccio
incentrato sul lavoro e l’approccio incentrato sul lavoratore. La CJAM riunisce le caratteristiche
di vari tipi di analisi del lavoro con l’obiettivo di avere un quadro completo del contenuto di un
lavoro e delle caratteristiche personali di chi svolge efficacemente quel lavoro.
Un team di esperti del settore e di analisi costruisce, sulla base di metodi incentrati sul lavoro,
una lista completa dei compiti lavorativi. Questa lista viene poi sintetizzata a formare un elenco
di mansioni, che il team ordina per importanza. Il team elabora una lista delle caratteristiche
KSAO richieste dal lavoro utilizzando una varietà di metodi incentrati sul lavoratore. Le KSAO
risultati vengono ordinate per importanza, come nel caso delle mansioni, questo processo
tende a produrre job description e person specification compelte e attendibili.

5. L’ANALISI DEL LAVORO NEI CONTESTI FORMATIVI: L’ANALISI DEI BISOGNI


FORMATIVI

Un’applicazione dei metodi di analisi del lavoro a specifiche pratiche di gestione delle risorse
umane è quella dell’ANALISI DEI BISOGNI FORMATIVI (training need analysis, TNA). La TNA è un
processo sistematico di esplorazione per scoprire in quali punti di un’organizzazione è
necessario un intervento formativo, quali sono i fattori contestuali che potrebbero influenzare il
suo successo e qual è la natura dell’apprendimento richiesto.
Goldestein e Ford descrivono la TNA come un processo a tre stadi. Il 1° è l’analisi organizzativa
(organizational analysis), ha un duplice obiettivo: raccogliere info su dove e quando
l’organizzazione abbia bisogno di un intervento formativo; individuare i fattori contestuali che
potrebbero influenzare il processo formativo (es: la cultura dell’organizzazione). Il 2° stadio è
l’analisi del lavoro/compito (job/task analysis). Questo stadio ha l’obiettivo di definire il livello di
prestazione che ci si attende dai dipendenti. L’analisi dei bisogni formativi per questo piò
servirsi dei metodi descritti in precedenza. Nel 3° stadio si ha l’analisi della persona (person
analysis), si tratta di valutare la prestazione effettiva dei dipendenti. Questa valutazione
fornisce info su chi abbia bisogno di essere formato e sui contenuti che dovrebbero essere
inclusi nel programma di formazione. Le inadeguatezze della prestazione effettiva rispetto a
quella individuata definiscono i bisogni formativi dei dipendenti. Oltre a individuare i bisogni
formativi, la person analysis può far luce su quelle differenze individuali tra i lavoratori che
potrebbero influenzare il processo di formazione.

QUADRO 1.2 : COME RENDERE CIO’ CHE LE PERSONE FANNO QUANDO LAVORANO
DAVVERO POSITIVO, SANO E MOTIVANTE
L’analisi del lavoro può aiutarci a capire se il lavoro che le persone svolgono è dannoso o
benefico per la loro motivazione e la loro salute. Certe caratteristiche dei compiti lavorativi li
rendono intrinsecamente più o meno motivanti. Per esempio la teoria delle caratteristiche
lavorative (JOB CHARACTERISTIC MODEL) di Hackman e Oldham ha individuato 5
caratteristiche critiche:
- varietà delle capacità richieste
- identità del compito

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- significatività del compito
- autonomia
- feedback
Se si progetta un lavoro in modo che soddisfi certe caratteristiche il lavoro risulterà più positivo
e motivante. Nel caso dello stress lavorativo le caratteristiche costituiscono potenziali rischi
psicosociali.
L’analisi del lavoro non solo può chiarire che cosa fanno le persone quando lavorano o che cosa
dovrebbero fare in un certo ruolo lavorativo, ma può essere usata come strumento diagnostico
per capire se un lavoro è motivante e positivo o al contrario stressante, nocivo alla salute e
demotivante.
I manager e i progessionisti possono fare in modo che i lavori potenzialmente stressanti e
dannosi per la salute siano modificati e progettati meglio per ridurre i rischi. Woods e West
sottolineano l’importanza della progettazione del lavoro per la DECENT WORK AGENDA
(Agenda per un lavoro dignitoso) della INTERNATIONAL LABOUR ORGANIZATION (ILO). Un
lavoro dignitoso è qualcosa che riflette le aspirazioni delle persone per la loro vita lavorativa e
dovrebbe implicare: opportunità di un lavoro produttivo che garantisca un equo compenso;
sicurezza sul posto di lavoro e protezione sociale per le famiglie; migliori prospettive di crescita
personale e itnegrazione sociale; libertà di esprimersi, organizzarsi e partecipare alle decisioni
che riguardano la propria vita, e infine pari opportunità e trattamento per donne e uomini.
LA DECENT WORK AGENDA sottolinea gli aspetti cruciali della dignità del lavoro (la creazione di
lavoro, la garanzia del diritto al lavoro, l’allargamento della protezione sociale e la promozione
del dialogo tra parti sociali) e definisce le linee guida per la sua attuazione nei diversi paesi.
Tale valutazione è basata su indicatori strutturali come la partecipazione al mercato del lavoro
(es:occupazione e disoccupazione) e su indicatori psicosociali (es: numero di ore lavorative).
La DECENT WORK AGENDA riconosce la capacità del lavoro di contribuire positivamente alla
vita delle persone, purchè sia organizzato in modo corretto e etico, poggi su adeguate strutture
economiche, sociali e politiche e rispetti le persone e i loro diritti sul posto di lavoro.
Molti dei diritti e aspetti che definiscono la dignità del lavoro possono essere descritti come
fattori igienici critici (= fattori estrinseci, come la paga).
Un buon lavoro non è solo un’occupazione dignitosa: esso è progettato per accrescere il
benessere e per dare significato al lavoro.

6. APPROCCI MODERNI ALLO STUDIO DEL LAVORO

Critiche all’analisi del lavoro: è statica e poco flessibile, un suo assunto implicito è che i
compiti di un lavoro e le caratteristiche KSAO necessarie a svolgerlo non cambino nel corso del
tempo. E questo è un problema visto le rapidi trasformazioni del mondo attuale.
Perciò molti professionisti hanno cercato alternative che fossero più flessibili e fornissero
risultati a prova di futuro. DUE APPROCCI che prendono il posto dell’analisi del lavoro
tradizionale:
IL COMPETENCY PROFILING: la specificazione del profilo delle competenze. E’ simile per
l’ambito di applicazione all’analisi incentrata sul lavoratore, ma a differenza di questa non
definisce i lavoratori efficaci direttamente nei termini delle loro caratteristiche KSAO, li
definisce nei termini delle competenze di cui hanno bisogno per essere efficaci nel lavoro. Le
COMPETENZE sono: comportamenti osservabili sul posto di lavoro che costituiscono la nase di
una valutazione differenziata. Il fatto di definire la prestazione in termini comportamentali
permette alle competenze di essere integrate in modo naturale in un’ampia varietà di processi
di gestione delle risorse umane (selezione, formazione) e questo permette alle organizzazioni
di valutare i lavoratori usando gli stessi criteri in ambiti diversi.
Le competenze possono essere organizzate in sistemi di competenze, che abbracciano varietà
di ruoli lavorativi. Molte organizzazioni hanno sviluppato sistema di competenze loro propri per
descrivere i comportamenti dei loro dipendenti rilevanti per la prestazione.

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Altri sistemi permettono di descrivere i comportamenti associati a una famiglia di lavori in
un’ampia varietà di contesto. Una TASSONOMIA generale è quella delle OTTO
MACROCOMPETENZE DI BARTRAM abbastanza flessibili da poter essere usate per distinguere i
lavoratori efficaci da quelli inefficaci in vari ruoli e contesti diversi.
IL COMPETENCY PROFILING consiste nell’individuare le competenze utili per un lavoro.
L’analista selezionerà le competenze richieste per il ruolo facendo appello alla propria expertise
o consultando esperti del settore.
QUADRO 1.3 LA GREAT EIGHT COMPETENCIES DI BARTRAM
- dirigere e decidere: assumere il controllo, esercita la leadership, prende l’iniziativa,
dà istruzioni, si assume responsabilità
- sostenere e collaborare, sostiene gli altri e mostra rispetto e considerazione positiva
per le altre persone nelle situazioni sociali. Mette la persona al primo posto, sa lavorare
efficacemente con individui e team, clienti e personale. Agisce coerentemente alla luce
di chiari valori personali a integrazione dei valori dell’organizzazione.
- interagire e presentare, Comunica e si mette in rete efficacemente. Riesce a
persuadere e a influenzare gli altri. Si relaziona con gli altri in modo aperto e rilassato.
- analizzare e interpretare, Chiaro pensiero analitico. Va al cuore dei problemi
complessi. Applica e proprie competenze in modo efficace.
- creare e concettualizzare, Mostra apertura a nuove idee ed esperienze. Cerca
opportunità di apprendimento. Tratta situazioni e problemi con spirito di innovazione e
creatività. Mostra ampiezza di pensiero e senso strategico. Sostiene e indirizza le
trasformazioni organizzative.
- organizzare ed eseguire, Pianifica e lavora in modo sistematico e organizzato. Segue
istruzioni e procedure. Si preoccupa della soddisfazione del cliente e offre un servizio di
qualità o un prodotto del livello appropriato.
- adattarsi e fare fronte ai problemi, si adatta e risponde adeguatamente ai
cambiamenti. Gestisce le pressioni efficacemente e fronteggia le difficoltà.
- avere intraprendenza, focalizzarsi sulla prestazione, Si concentra sui risultati,
raggiunge gli obiettivi lavorativi personali. Lavora meglio quando il lavoro è
immediatamente collegato ai risultati e l’effetto degli sforzi personali è visibile. Capisce
di economia, finanza e commercio. Cerca opportunità di crescita personale e di
avanzamento professionale

Il risultato del competency modelling è la specificazione delle competenze nei termini delle loro
componenti e di come le prestazioni si differenziano in livelli diversi. Rispetto all’analisi del
lavoro tradizionale, non solo viene specificato ciò che le persone devono fare per svolgere il
ruolo, ma anche come differenziare le persone che lo svolgono più efficacemente rispetto a
quello che lo svolgono meno.
LA WORK ANALYSIS è un ampliamento del concetto di analisi del lavoro, mette l’accento sulla
comprensione dell’esperienza lavorativa (WORK ANALYSIS NON APPROFONDITA PERCHE’ NON
TRATTATA SULLE SLIDE SE NECESSARIO PAG 57).
- guardare se ci sono esercitazioni sul libro, possibili domande

CAPITOLO 3: FISSARE OBIETTIVI E VALUTARE I COLLABORATORI NELLE


ORGANIZZAZIONI
OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO:

 Comprendere le funzioni psicologiche degli obiettivi nel lavoro in team e nella vita
organizzativa

 Conoscere la teoria del goal setting e comprenderne le applicazioni in ambito


organizzativo e nella valutazione delle prestazioni

 Conoscere i diversi metodi per valutare la prestazione

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 Conoscere alcuni modelli di valutazione integrati, quali: il feedback a 360 gradi, la
tecnica feedforward e il coaching continuo

1.INTRODUZIONE
Gli obiettivi per una persona devono essere sfidanti e specifici. Gli obiettivi danno un significato
a compiti che altrimenti ne sarebbero privi. Se l’obiettivo è generico e vago, anziché specifico,
alcuni dipendenti si attribuiranno meriti inesistenti, mentre altri saranno inutilmente autocritici.
Il raggiungimento di un obiettivo difficile e specifico dà alle persone un senso di riuscita. Ciò
accresce il loro senso di efficacia personale. Una volta raggiunto un obiettivo difficile, le
persone di solito si prefiggono un obiettivo ancora più elevati per fare ancora meglio.
Una volta definiti gli obiettivi, il compito è valutare il contributo di ciascuna persona al
raggiungimento dell’obiettivo.
Un vantaggio delle valutazioni di prestazione delle valutazioni di prestazione è che la legge,
nella maggior parte dei paesi occidentali specifica cosa si possa e non si possa fare quando si
conduce una valutazione di prestazione.
2. PERCHE’ COMPIERE VALUTAZIONI DI PRESTAZIONE?
La maggior parte dei paesi occidentali richiedono una dimostrazione documentale del perché
un individuo sia stato promosso, demansionato (in Italia è vietato dal Codice civile), trasferito,
licenziato, abbia avuto il contratto risolto, gli sia stato accordato o negato un aumento o premio
salariale. Questo perché la legge stabilisce che queste decisioni devono essere basate solo
sulla prestazione della persona. In mancanza di documentazione scritta è difficile se non
impossibile difendere le valutazioni di prestazione date ai dipendenti.
Un’altra ragione per condurre una valutazione di prestazione è sviluppare e motivare i vostri
dipendenti.
Per questo è fondamentale fissare obiettivi SFIDANTI E SPECIFICI e farlo alla luce della teoria
DEL GOAL SETTING (fissazione degli obiettivi). Questa teoria sottolinea l’importanza di:
- tenere conto della capacità di goal setting dei dipendenti
- fornire ai dipendenti un feedback sulla realizzazione dell’obiettivo
- fare in modo che essi abbiano le risorse necessarie per raggiungere l’obiettivo
L’idea alla base delle valutazioni di prestazione è che avere un feedback esterno sulla propria
prestazione porti a un miglioramento della stessa. Ma molti studi mostrano che il feedback è
solo informazione che il dipendente può recepire o ignorare. Esso porta a un miglioramento
solo se il dipendente lo usa per definire obiettivi elevati e specifici e per impegnarsi a
raggiungerli.
3. PERCHE’ FISSARE OBIETTIVI?
Una teoria permette di predire, comprendere e influenzare il comportamento dei dipendenti.
GOAL SETTING: una variabile critica per creare un team ad alte prestazioni e cruciale anche per
l’autogestione.
LA TEORIA DEL GOAL SETTING afferma che un obiettivo elevato e specifico condurrà a una
prestazione migliore rispetto a un obiettivo più facile o vago (es: fare del proprio meglio). Essa
inoltre afferma che vi è una relazione lineare tra la difficoltà dell’obiettivo e la prestazione
lavorativa.
Alcune precisazioni:
- il dipendente deve essere in grado di raggiungere l’obiettivo prefissato
- la persona deve ricevere un feedback sui progressi fatti nel perseguimento
dell’obiettivo, in modo che possa sapere che cosa deve cominciare o continuare a fare
per raggiungere l’obiettivo
- la persona deve impegnarsi per raggiungere l’obiettivo quindi l’obiettivo deve essere
considerato importante dal dipendente, esso deve essere congruente con i valori del
dipendente.
- la persona deve avere le risorse per raggiungere l’obiettivo. I vincoli situazionali devono
essere ridotti al minimo. (Le ricerche mostrano che i supervisori che hanno

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l’impressione di non avere le risorse e le capacità per raggiungere gli obiettivi assegnati
loro dai manager ai quali rispondono, finiscono spesso con il maltrattare i loro
sottoposti).

4 MOTIVAZIONI per cui la definizione di obiettivi elevati e specifici è decisiva per produrre
prestazioni elevate:
- un obiettivo specifico, non generico, fa si che la persona scelga di concentrarsi su X
piuttosto che su Y o Z
- il commitment verso un obiettivo elevato e specifico porta a un incremento dello sforzo
- esso porta anche a perseverare fino al raggiungimento dell’obiettivo
- un obiettivo elevato e specifico fa si che le persona elaborino piani su come
raggiungerlo

4 TIPI DI OBIETTIVI:
- OBIETTIVI VAGHI (es: farò del mio meglio per essere produttivo) conducono a una
prestazione scadente. La loro vaghezza rende impossibile al dipendente sapere quando
l’obiettivo è stato raggiunto
- OBIETTIVI DI PRESTAZIONE (performace goals) talvolta chiamati obiettivi riferiti al costo
(cost-related goals) o obiettivi risultato (bottom-line goals). Questi obiettivi dovrebbero
essere scelti quando il dipendente ha le conoscenze e le abilità per raggiungerli (es:
ridurre i costi del x%).
- Le ricerche mostrano che mettere l’accento esclusivamente sul risultato può avere esiti
controproducenti, per questo la necessità di fissare OBIETTIVI COMPORTAMENTALI (es:
gioco di squadra) al posto degli obiettivi di prestazione, o accanto a questi. Gli obiettivi
comportamentali specificano come devono essere perseguiti gli obiettivi di risutlato alla
luce dei valori dell’organizzazione.
- Quando un dipendente non ha le conoscenze e le abilità per raggiungere un obiettivo di
prestazione, dovrebbe essere fissato un altro obiettivo, anch’esso elevato e specifico,
ma di apprendimento. GLI OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO riguardano la scoperta o lo
sviluppo di una strategia, un processo o una procedura per raggiungere un obiettivo.

Indipendentemente dalle caratteristiche dell’obiettivo fissato, quando l’ambiente è complesso e


l’obiettivo a lungo termine, dovrebbero essere definiti i sottobiettivi.
Gli obiettivi prossimali facilitano la gestione degli errori perché quando sono fissati dei
sottobiettivi, anziché solo uno distale, i dipendenti ricevono più informazioni di feedback.

Gli obiettivi prossimali elevati e specifici forniscono una maggiore motivazione rispetto a un
solo obiettivo distale. Perseguire un obiettivo prossimale e poi un secondo e un terzo accresce
il commitment verso l’obiettivo.
La fissazione di obiettivi prossimali e distali sfidanti e specifici permette di avere un chiaro
riferimento che può essere usato dai vostri dipendenti per valutare la loro prestazione. Di qui
l’autogestione.

La relazione fra il raggiungimento di obiettivi e il livello di benessere dei dipendenti è diretta.


Quanto maggiore è il successo nel perseguimento di obiettivi sfidanti, tanto maggior e il livello
di soddisfazione lavorativa del dipendente e il senso di competenza aumenta.

Le ricerche mostrano che il benessere aumentava solo quando venivano raggiunti obiettivi
difficili.

Solo la definizione di uno scopo comportamentale elevato e specifico era associata a una
prestazione elevata. Ciò era particolarmente vero per quei dipendenti che prendevano parte al
processo di definizione degli obiettivi. Essi sceglievano obiettivi più elevati di quelli assegnati
unilateralmente ai dipendenti da un supervisore.

Altre ricerche mostrano che la definizione di obiettivi elevati e specifici ha una relazione
positiva significativa con la prestazione lavorativa.

QUAL E’ IL METODO OTTIMALE PER LA FISSAZIONE DI OBIETTIVI?


Non è tanto impo IL MODO in cui gli obiettivi vengono definiti, quanto il fatto che essi siano
sfidanti e specifici. Un obiettivo assegnato dall’esterno contribuisce a elevare la prestazione

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tanto quanto un obiettivo fissato in modo partecipativo, purchè sia noto il senso o la logica
dell’obiettivo stesso (ciò è vero quando le persone hanno già le conoscenze e le abilità per
raggiungere l’obiettivo).

Il vantaggio di definire un obiettivo in modo partecipativo con un dipendente è più cognitivo


che motivazionale. Quando le persone non sono in grado di raggiungere un obiettivo, pongono
più domande se hanno partecipato alla definizione dello stesso e le info raccolte migliorano la
prestazione. Inoltre ciò può accrescere l’autoefficacia (la fiducia che sia possibile costruire una
strategia vincente pe raggiungere l’obiettivo).

La difficoltà degli obiettivi, la loro accettazione, il loro raggiungimento e la prestazione nei


compiti specifici del lavoro (task performance) non differivano rispetto a quando gli obiettivi
erano assegnati da altri o erano fissati in modo partecipativo. Altri mostrano che gli obiettivi
autodefiniti tendono a essere meno difficili rispetto a quelli assegnati da altri o fissati in modo
partecipativo.

QUALI SONO LE IMPLICAZIONI GIURIDICHE DELLA VALUTAZIONE DI PRESTAZIONE?


Tantissimi paesi vietano la discriminazione lavorativa sulla base di fattori quali: razza, sesso,
età, religione, nazionalità, preferenze sessuali, disabilità fisica, quindi questi fattoti non
dovrebbero influire la valutazione della prestazione.

La normativa italiana con la conseguente applicazione in sede giudiziale sanziona qualsiasi tipo
di discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in
qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il
settore o ramo d’attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale.

Nel corso degli anni la normativa ha subito numerosi perfezionamenti (ultimo con la
legislazione Fornero del 2012 e con il Jobs Act del 2015) e oggi in materia vi sono norme
speciali che si adattano alle diverse ipotesi di discriminazione.

In particolare il CODICE DELLE PARI OPPORTUNIT’ (d.l. 198/2006) considera le misure volte a
eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di
compromettere o impedire i riconoscimento, godimento o esercizio dei diritti umani e delle
libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile ecc.

La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i
settori.

6. QUALE SCALA DI MISURAZIONE DOVREI USARE PER VALUTARE LE PRESTAZIONI DEI


DIPENDENTI?

Per valutare le prestazioni dei dipendenti si usano SCALE DI TRATTO: riferite in genere a
disposizioni di personalità (es: intraprendente). Perché NON usare questa scala: i tratti sono
vaghi ed è poco probabile che due o più persone (capi, colleghi, sottoposti) concordino sul
giudizio da assegnare a un dipendente. I tribunali poi li tengono in scarso conto proprio per la
soggettività del giudizio. Infine, è arduo definire obiettivi difficili e specifici che richiedano di
mostrare questo o quel tratto nell’attività lavorativa.

MISURE DI RISULTATO (BOTTOM-LINE MEASURES), tali misure si contrappongono alle scale di


tratto perché appaiono più oggettive (Es: ridurre i costi di z dollari). E’ facile definire obiettivi
sfidanti e specifici per una misura di risultato. Ma anche queste hanno controindicazioni: sono
tipicamente influenzate da fatto che non hanno nulla a che vedere con ciò che il dipendente fa
nel suo lavoro. Così i dipendenti possono essere premiati/penalizzati per fattori su cui non
hanno alcun controllo. Un secondo problema è che le misure di risultato sono spesso
inadeguate perché non includono comportamenti dei quali il dipendente dovrebbe essere
considerato responsabile (etica, valori). L’attenzione esclusiva per il risultato, incoraggia una
mentalità “costi quel che costi”. Le misure di risultato non forniscono insegnamenti ai
dipendenti su che cosa dovrebbero cominciare o continuare a fare per svolgere bene il proprio
lavoro. Una misura di risultato è solo un indicatore del punteggio ottenuto.

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La soluzione di questi problemi è l’uso di MISURE COMPORTAMENTALI. Possono essere ricavate
da un’analisi sistematica del lavoro che specifichi i comportamenti che definiscono l’efficacia
della prestazione, i valori fondamentali dell’organizzazione e i metodi etici di perseguire il
profitto da parte dell’organizzazione. Questi comportamenti osservabili desiderati sono
individuati e descritti da esperti (il capo, i sottoposti, i clienti del dipendente).
Il risultato è una BEHAVIOURAL OBSERVATION SCALE (BOS: SCALA DI OSSERVAZIONE
COMPORTAMENTALE) disegnare esempio pag 85, che può essere usata per l’autovalutazione e
il self-coaching, ma anche per la valutazione di un dipendente da parte del capo, colleghi,
sottoposti e clienti.
In uno studio i partecipanti che ricevevano un feedback basato su BOS raggiungevano livelli
significativamente superiori di chiarezza di obiettivo e di commitment verso l’obiettivo rispetto
a quelli che ricevevano un feedback basato su una scala di tratto.
Uno studio di follow-up ha mostrato che le valutazioni basate su BOS producevano un più alto
livello di soddisfazione per il processo di valutazione rispetto alle scale di tratto. Ciò perché le
BOS contengono specifiche descrizioni comportamentali che permettono ai dipendenti di capire
esattamente ciò che dovrebbero fare per essere apprezzati nel loro lavoro.
Alcuni professionisti preferivano le BOS alle scale di tratto per ciò che riguarda l’oggettività, il
feedback fornito sulla prestazione, la differenziazione dei partecipanti, la definizione di obiettivi
e la facilità d’uso complessiva.
L’uso della BOS porta alla definizione di obiettivi elevati e specifici. Inoltre, quando il formato di
valutazione implica valutazioni basate su comportamenti osservabili, i biases di giudizio di
riducono.

7.VI SONO ALTERNATIVE ALLA VALUTAZIONE DI PRESTAZIONE TRADIZIONALE?


Uno studio mostra che in seguito a valutazioni di prestazione, le prestazioni dei dipendenti
mostravano spesso un peggioramento, anziché miglioramento e questo accadeva fino a 12
settimane dopo la valutazione. Le ragioni di questi risultati erano varie: la mancata definizione
di obiettivi elevati e specifici; i dubbi avanzati dai dipendenti sull’obiettività di chi li aveva
valutati, un dipendente che riceveva un inaspettato feedback negativo.
Per quanto riguarda l’obiettività del valutatore, la maggior parte dei manager sono consapevoli
delle leggi che proibiscono le valutazioni influenzate da elementi come età, sesso, razza, ma
spesso cadono in atre fonti di bias (es. si valutano più negativamente i fumatori in ambito
professionale).
Ci sono 3 alternative alla tradizionale valutazione di prestazione capo-sottoposto: il feedback a
360 gradi; la tecnica di feedforward e il coaching continuo, compreso il coaching basato sul
feedback di un cliente misterioso.

IL FEEDBACK A 360°
La critica secondo cui il capo non ha un quadro completo di che cosa fa un dipendente può
essere superata conducendo valutazioni basate su più fonti d’informazione. In pratica le
valutazioni sono fornite in forma anonima dai sottoposti dei vostri dipendenti, oltre che da voi.
In alcuni casi le valutazioni possono essere fornite sempre in forma anonima anche dai clienti e
dai dipendenti stessi (autovalutazioni). Per questo l’espressione FEEDBACK A 360 GRADI.
Avremo così un quadro completo della prestazione di una persona prima ancora di condurre la
valutazione. Così si ricevono info da diverse fonti, le quali hanno modo di osservare aspetti
differenti della prestazione del dipendente, in modo da avere un quadro olistico di un
dipendente che compensa le limitazioni di una valutazione condotta da un unico punto di vista.
Le ricerche mostrano che il feedback a 360 gradi discrimina accuratamente i manager con
prestazioni elevate da quelli con prestazioni scadenti.

LA TECNICA FEEDFORWARD
Una seconda alternativa alla valutazione di prestazione tradizionale è la feedforward interview
(FFI : intervista orientata al futuro). L’idea alla base è che i dipendenti possono individuare se
interrogati le cose che sono riusciti a fare bene. E quindi possono creare le condizioni per fare
ancora meglio. A differenza della valutazione di prestazione tradizionale la FFI guarda agli
obiettivi di prestazione che un individuo può perseguire in futuro, piuttosto che soffermarsi
sulle manchevolezze della prestazione passata. I dipendenti danno il meglio di sé quando sono
consapevoli dei propri punti di forza e sanno come sfruttarli a una varietà di contesti lavorativi.
ES: anche se il tuo ultimo anno è stato brutto mi puoi parlare di uno specifico evento in cui ti ha
fatto piacere raggiungere un obiettivo.

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Altra alternativa alla valutazione tradizionale consiste nel fare COACHING ai dipendenti, sulla
base del feedback proveniente da un cliente misterioso.

8. QUALI SONO I VANTAGGI DEL COACHING CONTINUO DEL PERSONALE?


Un obiettivo delle valutazioni di prestazione è infondere nei dipendenti il desiderio di migliorarsi
costantemente. Questo obiettivo è ostacolato dal fatto che le valutazioni sono condotte di tanto
in tanto. Gli studi mostrano che il coaching del personale basato su un ciclo annuale (feedback,
analisi dei risultati, definizione degli obiettivi) migliora la prestazione organizzativa.
Un altro studio ha trovato che il coaching basato sul feedback a 360 gradi portava a
miglioramenti significativi della prestazione dei manager, secondo la valutazione dei diretti
sottoposti e dei capi.
Offrire un feedback continuo ai dipendenti sul raggiungimento degli obiettivi è utile ma c’è uno
svantaggio: l’impossibilità di trovare il tempo (per i manager) per fare coaching a ciascun
dipendente su base continua. Il Feedback p importante non solo per l’apprendimento, ma
anche per la decisione di impegnarsi a perseverare fino al raggiungimento degli obiettivi.
Un feedback relativamente immediato è di gran lunga più efficace per rafforzare
l’apprendimento e la motivazione rispetto al feedback differito (ogni 3,6 mesi o annuale).
Il COACHING CONTINUO risolve il problema della tempestività. La relazione fra ciò che un
dipendente fa e gli esiti che può attendersi è chiara: le buone prestazioni vengono lodate, le
prestazioni inadeguate corrette e gli individui sanno quali comportamenti condurranno a
prestazioni elevate.
L’attività manageriale oggi è organizzata in modo da estendere di molto l’ambito di controllo
di un manager. E così per loro è sempre più difficile fornire valutazioni tempestive.

L’alternativa per superare i problemi descritti sopra è il CLIENTE MISTERIOSO (mistery shopper)
permette di superare una difficoltà incontrata da molti manager di fornire tempestivamente ai
dipendenti un feedback sistematico sulla loro prestazione.
Il feedback proviene da una terza parte, un cliente ignoto sia al dipendente sia al suo
superiore, perciò misterioso.
Alcune ricerche discutono sulla necessità del coaching continuo sostenendo che una volta che
un comportamento è stato apprendo non è più necessario rinforzarlo di continuo.
Se viene fornito un rinforzo a intervallo fisso il comportamento si intensifica rapidamente ma
quando si avvicina la fine del periodo di tempo predeterminato (es: con un prof che fa prove a
sorpresa gli studenti studieranno con più regolarità).

Alcuni sostengono che LEADER e COACH dovrebbero essere considerati sinonimi. Un buon
leader trova il tempo di far crescere i suoi sottoposti.
es: una catena di ristoranti ha ingaggiato dei clienti misteriosi per avere un feedback circa
immediato sulla cui base fare tempestivamente coaching ai dipendenti. Prima è stata eseguita
un’analisi del lavoro per individuare i comportamenti lavorativi associati a una maggiore
soddisfazione del cliente, poi ciascun dipendente si è dato un obiettivo (sui comportamenti
legati alla soddisfazione del cliente) sapendo che il raggiungimento di quell’obiettivo avrebbe
giovato ai profitti del ristorante. Tecnica vantaggiosa perché_
- il cliente misterioso si presentava al ristorante in media ogni 30 giorni (poteva venire 2
volte in due giorni o far passare 45 giorni dalla visita). Poiché non sanno l’identità dei
clienti i dipendenti devono mantenere un livello di prestazione elevato se vogliono una
buona valutazione
- il feedback ai dipendenti è incentrato sui comportamenti individuati dall’analisi del
lavoro. L’analisi del lavoro riduce la probabilità che l’importanza dei comportamenti
valutati sia messa in discussione dai dipendenti e aumenta la probabilità che i profitti
del ristorante siano influenzati favorevolmente
- il feedback del cliente misterioso può essere abbastanza tempestivo. Nello studio in
questione, veniva fornito 18 ore o meno prima che fosse visualizzabile sul computer del
ristorante
- il feedback dato ai dipendenti proviene da una terza parte neutra, il cliente misterioso.
Ciò permette al manager di svolgere il ruolo di coach minimizzando la probabilità che il
dipendente interpreti la valutazione come un attacco personale.
- veniva valutato solo un dipendente al giorno.
= E’ comunque da chiarire se questa tecnica di coaching basata sull’uso di clienti misteriosi
possa essere adottata anche fuori dal settore dei servizi.

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9. CHE DIRE DELLE AUTOVALUTAZIONI?
La chiave per fare bene nel proprio lavoro non è aspettare il feedback degli altri ma cercarlo
attivamente (“Cosa potrei fare diversamente?”) Dopo di che si definiscono obiettivi elevati e
specifici e si perseguono. Diventare manager di sé stessi.
Le persone le cui autovalutazioni concordano con le valutazioni altrui sono tipicamente
individui con prestazioni elevate.

Guardare se ci sono esercitazioni, domande alla fine del capitolo

CAPITOLO 8 - SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA E CONTRATTO PSICOLOGICO


OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO:

 Conoscere la definizione di socializzazione organizzativa e del processo di onboarding

 Comprendere gli elementi di base in gioco nel processo di ingresso di nuovi membri in
una organizzazione (il modello delle 5 C)

 Conoscere le strategie che le organizzazioni possono adottare per promuovere


inserimenti di successo

 Conoscere quali sono le caratteristiche individuali che possono facilitare una efficace
socializzazione organizzativa

 Conoscere quali sono i principali benefici individuali e organizzativi di una


socializzazione positiva

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 Comprendere le problematiche emergenti del processo di socializzazione: l’inserimento
in team virtuali, la riduzione dello stress per in nuovi arrivati e i potenziali lati oscuri
della socializzazione

La socializzazione organizzativa è un momento critico nel quale i nuovi dipendenti, durante


il primo anno di lavoro nell’organizzazione, imparano le regole del gioco e dalla condizione di
esterno all’organizzazione divengono interni. Le ricerche mostrano che gli individui più proattivi
hanno più successo. Le organizzazioni che aiutano i dipendenti ad attraversare questo
passaggio hanno più probabilità di godere di una forza lavoro soddisfatta, con più commitment
verso l’organizzazione e meno probabilità di lasciarla. Il modello di BAUER incentrato su
ottemperanza, chiarezza, collegamento, fiducia e cultura (Compilance, clarity, connection,
confidence, culture) cui il nome FIVE C’S MODEL, modello delle 5c) descrive diversi tipi di
socializzazione e di strumenti di inserimento, dai più basilari a quelli più sofisticati.

INTRODUZIONE
Una funzione cruciale delle organizzazioni è accogliere e integrare i nuovi dipendenti il più
rapidamente possibile in modo da metterli in condizione di dare il loro contributo
all’organizzazione. Questo processo è l’INSERIMENTO (ONBOARDING) O SOCIALIZZAZIONE
ORGANIZZATIVA (ORGANIZATIONAL SOCIALIZATION)= processo attraverso il quale un individuo
acquisisce le conoscenze e le abilità sociali necessarie ad assumere un ruolo
nell’organizzazione.
Il processo di SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA va oltre l’apprendimento degli aspetti tecnici
del nuovo lavoro (in termini di ruolo o posizione), si tratta di acquisire familiarità con la cultura
dell’organizzazione- le norme non scritte su come comportarsi e interagire con gli altri e di
trovare il proprio posto nel tessuto sociale della nuova organizzazione. Una transizione che ha
luogo ogni volta che c’è un cambiamento significativo nel contesto lavorativo di una persona.
Es: quando un individuo è promosso o cambia ruolo, o quando trova un lavoro ponte prima del
pensionamento.
E’ anche il momento in cui i nuovi dipendenti si formano una prima impressione sulla nuova
organizzazione e capiscono se potranno adattarsi in modo soddisfacente, se il lavoro è come se
lo aspettavano e se resteranno a lungo nell’organizzazione. Il periodo tra il primo giorno di
lavoro di un dipendente e quello in cui si entra davvero a far parte dell’organizzazione è un
periodo critico che dura circa un anno. Le ricerche mostrano che la metà dei nuovi dipendenti
con paga oraria è destinata a lasciare l’organizzazione durante il primo anno e che nello stesso
tempo la metà dei neoassunti in posizioni dirigenziali non riesce a inserirsi efficacemente
nell’organizzazione. Questo è costoso sia per le organizzazioni sia per i dipendenti, poiché
entrambe le parti investono molto tempo ed energie per incontrarsi.
Le ricerche mostrano anche che le persone con esperienze di socializzazione organizzativa più
positive hanno maggiori probabilità di essere soddisfatte del proprio lavoro, di avere più
commitment verso l’organizzazione e meno probabilità di lasciarla.
Uno dei problemi principali di questa condizione è la riduzione dell’incertezza. Essere nuovo è
una condizione stressante, i nuovi dipendenti hanno di fronte un nuovo ambiente di lavoro,
nuovi colleghi, nuovo manager e nuovi compiti lavorativi. Perciò un obiettivo importante di
socializzazione organizzativa è fornire ai nuovi arrivati risorse utili a ridurre le ambiguità e a
comprendere meglio il loro ruolo e la loro nuova organizzazione.
La socializzazione organizzativa è un processo di apprendimento e di adattamento che può
richiedere fino a un anno da quando un dipendente comincia il suo nuovo lavoro, ma le
ricerche mostrano che gli eventi e le esperienze che hanno luogo nei primi 30-90 giorni sono
cruciali (Es: scrivania pronta e accoglienza per il neoassunto).
E’ ragionevole concepire il processo di inserimento come una parte del processo di formazione.
Di conseguenza fattori come i bisogni, le conoscenze e i sentimenti dei nuovi dipendenti
influenzano il processo di apprendimento nel periodo di socializzazione.

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L’ingresso in azienda e nei primi 30 giorni la socializzazione tende a essere più intensa rispetto
al periodo compreso tra 180 giorni e 1 anno dopo l’ingresso.
2. QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DI UN PROGRAMMA DI INSERIMENTO DI
SUCCESSO?
IL FIVE C’S MODEL DELL’INSERIMENTO
BAUER ha descritto cinque fattori collegati all’inserimento. Essi sono:
- ottemperanza - compliance
- chiarezza- clarity
- il collegamento - connection
- la fiducia - confidence
- la cultura – culture

L’OTTEMPERANZA: risoluzione della documentazione richiesta dal lavoro, come moduli fiscali,
documenti legali e quanto serve all’identificazione dei dipendenti. Questi adempimenti devono
essere svolti nel corso del processo di inserimento per motivi legali e logistici e variano
secondo i luoghi e i paesi. Le organizzazioni devono occuparsi di queste cose, ma ci sono
strategie per farlo (ES: i nuovi dipendenti passano 2 minuti o 2 ore in attesa per ricevere il
nuovo badge?). Quanto più le organizzazioni sono in grado di focalizzarsi sull’inizio della vita
aziendale del neoassunto tanto è meglio, perché gli adempimenti sono una necessità ma
diventano un problema se non sono svolti correttamente. I nuovi arrivati si aspettano un
inserimento agevole. Le organizzazioni dovrebbero cercare di rimuovere gli ostacoli e venire
incontro ai nuovi arrivati mentre si dedicano agli adempimenti formali e in generale dovrebbero
occuparsi maggiormente di tali adempimenti.

LA CHIAREZZA: si riferisce alla quantità di informazioni a disposizione di un nuovo dipendente e


al suo livello di consapevolezza. Le organizzazioni possono influire su esso fornendo
direttamente informazioni, assegnando compagni o mentori ai nuovi dipendenti o mettendo a
disposizione materiali informativi. I nuovi arrivati possono influire adottando comportamenti
proattivi, come ricercare informazioni e fare domande. Le ricerche mostrano che chi cerca più
info facendo domande ai colleghi e ai supervisori riferiscono una maggiore padronanza e
comprensione del nuovo ruolo, di essere più consapevoli della cultura organizzativa e di
sentirsi più integrati nel posto di lavoro. Più i nuovi arrivati hanno idee chiare su che cosa li
aspetta e su come funzionano le cose nella nuova organizzazione, tanto più sarà alto il loro
livello di adattamento e migliore la prestazione lavorativa

IL SENSO DI COLLEGAMENTO si riferisce al senso di integrazione e di accettazione del nuovo


dipendente all’interno dell’organizzazione. All’inizio il punto critico è sentirsi ben accolti. Con il
tempo anche la costruzione di relazioni diventa importante. Le organizzazioni possono influire
sul senso di collegamento inviando segnali di apprezzamento delle diversità e dell’identità
individuale assegnando compagni o mentori e creando gruppi di affinità es: google istituisce
gruppi di interesse speciali, come quelli che si portano il cane a lavoro, questi gruppi variano
per dimensioni e oggetto e permettono a ciascun dipendente di trovare il micro-gruppo di suo
gusto all’interno di un’organizzazione molto vasta.
I nuovi dipendenti possono influire sul senso di collegamento entrando a far parte dei gruppi o
costruendo relazioni sociali sul lavoro. Uno studio ha mostrato che i dipendenti che sviluppano
un buon rapporto con il loro capo e hanno colleghi su cui poter contare riferivano una migliore
socializzazione, meno stress da ruolo e meno burnout rispetto a quelli che non avevano le
stesse risorse sociali

LA FIDUCIA: si riferisce al successo che il nuovo dipendente pensa di poter avere nello
svolgimento dei compiti associati al suo ruolo. Avere fiducia significa che ci sono difficoltà i
nuovi arrivati riusciranno a superare le difficoltà e andare avanti. Quanto più l’organizzazione
aiuta i nuovi arrivati a capire che cosa ci si aspetta da loro, a fare chiarezza sul loro ruolo e a
sostenerli mentre cercano di imparare cose nuove, tanto più i nuovi dipendenti saranno
fiduciosi. Inoltre i nuovi dipendenti entrano nell’organizzazione con i loro diversi livelli di
autostima e di autoefficacia e con i loro modi di affrontare le situazioni nuove e stimolanti e
questi fattori influenzano anch’essi il livello di fiducia. Studi mostrano che l’autoefficacia era
correlata positivamente con le prestazioni lavorative e con l’intenzione di restare

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nell’organizzazione, e correlata negativamente con il turnover registrato. In generale quanto
più i nuovi arrivati sono fiduciosi, tanto più essi saranno efficaci e positivi nel loro nuovo lavoro.

LA CULTURA: si riferisce alla cultura organizzativa dell’azienda di cui i nuovi arrivati entrano a
far parte. Le organizzazioni, proprio come le persone sono differenti. Buona parte del processo
di inserimento consiste nel trasmettere ai nuovi dipendenti la missione e i valori
dell’organizzazione e nell’aiutarli a capire come essa funziona. Ciò influenza i loro risultati e li
aiuta a comprendere se sono adatti all’organizzazione, cosa che è correlata al successo
dell’inserimento. Man mano che le organizzazioni evolvono, così fanno le loro culture, perciò è
necessario che anche narrazioni, rituali e artefatti vengano aggiornati costantemente

3. IL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE
CHE COSA FANNO LE ORGANIZZAZIONI PER INSERIRE I NUOVI DIPENDENTI?

Le organizzazioni con i programmi di socializzazione di successo sono quelle che tengono conto
delle esperienze dei nuovi dipendenti dal momento della candidatura fino a quando, circa dopo
un anno, sono integrati nell’organizzazione.

La figura mostra alcune strategie che le organizzazioni possono impiegare per favorire il
successo della socializzazione

ANTECEDENTI ED ESITI DELLA SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA

Sforzi organizzativi Caratteristiche e comportamenti dei


Tattiche neoassunti
Reclutamento Personalità
Orientamento Comportamenti proattivi
Interna all’organizzazione
Esiti a breve termine
- autoefficacia
- chiarezza del ruolo
- accettazione sociale
- adattamento
- persona-organizzazione
Esiti a lungo termine
- atteggiamenti lavorativi
- prestazione
- turnover (ridotto)

RECLUTAMENTO: i potenziali dipendenti ancora prima di entrare in un’organizzazione si


formano un’impressione: quali sono i valori dell’organizzazione, se può far al caso loro, come
potrà essere il nuovo lavoro. Questa fase di reclutamento in cui l’organizzazione e il potenziale
dipendente interagiscono e si valutano è importante e contribuisce a definire le aspettative e le
impressioni del nuovo dipendente sull’organizzazione. Il processo di reclutamento è il concreto
contesto organizzativo in cui i nuovi arrivati si formano le loro aspettative prima di entrare
nell’organizzazione

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ANTEPRIME REALISTICHE DEL LAVORO: Le anteprime realistiche del lavoro sono una specifica
tecnica di reclutamento che è stata oggetto di numerose ricerche. (Realistic Job Preview, RJP)
forniscono informazioni (positive e negative) sul ruolo lavorativo e permettono al candidato di
formarsi delle aspettative più aderenti alla realtà.
es: un’anteprima realistica del lavoro può dire ai candidati un’idea realistica di ciò che il lavoro
implica, i benefici associati
Quando ai candidati vengono presentate delle RJB essi hanno meno probabilità di uscire dal
processo di reclutamento e hanno turnover inferiori e prestazioni più elevate.

ASPETTATIVE E CONTRATTI PSICOLOGICI: quando un neoassunto è al primo giorno di lavoro


avrà già interagito con l’organizzazione in altri momenti. Ogni interazione apporta piccola ma
preziose informazioni che contribuiscono allo sviluppo del contratto psicologico tra il nuovo
arrivato e l’organizzazione. I contratti psicologici sono costituiti dalle credenze che gli individui
hanno riguardo a ciò che dovrebbero dare all’organizzazione (tempo, impegno, expertise) e ciò
che si aspettano di ricevere in cambio (retribuzione, opportunità). Le ricerche mostrano come
la violazione percepita di questo contratto psicologico possano provocare nei neoassunti
sentimenti di tradimento e di rabbia e danneggiare il rapporto di lavoro. D’altra parte, quando i
dipendenti pensano che le loro esperienze e ciò che ricevono dall’organizzazione siano in linea
con le aspettative, sono più disposti a impegnarsi a fondo nel processo di socializzazione e
giungono a esiti migliori.

ORIENTAMENTO: Uno degli strumenti usati più spesso dalle organizzazioni per aiutare i nuovi
dipendente a conoscere meglio l’organizzazione in cui sono appena entrati e l’orientamento dei
neoassunti, che coincide con l’inizio della loro vita aziendale.
L’orientamento dei neoassunti consiste tipicamente in programmi di formazione strutturati,
condotti dall’organizzazione stessa, in cui i nuovi dipendenti ricevono informazioni sul nuovo
lavoro e sull’ambiente lavorativa, sull’organizzazione nel suo complesso.
L’orientamento dei nuovi dipendenti avviene di solito nel primo giorno o nella prima settimana
di lavoro, risulta come molte informazioni insieme ma è utile. Infatti alcune organizzazioni
prevedono una seconda sessione di orientamento.

TATTICHE DI SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA: Gli strumenti di inserimento utilizzati dalle


organizzazioni possono essere più o meno formali. Tutti questi strumenti, detti tattiche di
socializzazione organizzativa, influenzano l’adattamento percepito dei nuovi dipendenti quando
entrano nell’organizzazione. Le ricerche mostrano che i programmi di socializzazione più
strutturati e formalizzati sono correlati a esiti migliori in termini di adattamento dei nuovi
dipendenti

GLI INTERNI ALL’ORGANIZZAZIONE: Le ricerche mostrano che gli interni all’organizzazione


influenzano i nuovi arrivati e sono da questi influenzati. I manager e i colleghi possono
condizionare profondamente i cinque fattori dell’inserimento, ad es. condizionano la quantità di
nuove informazioni ricevute dai neoassunti, condizionano il modo in cui essi si sentono accolti.
Perciò le organizzazioni possono incidere sul processo di inserimento attraverso gli interni
all’organizzazione.

figura 8.3 MIGLIORI PRATICHE DA SEGUIRE NEL PROCESSO DI INSERIMENTO


L’inserimento dei nuovi dipendenti: un elenco delle migliori pratiche per creare un senso di
collegamento
- fare in modo che il primo giorno sia speciale per i nuovi dipendenti.
- Considerate che il manager ha un ruolo speciale
- verificate che i nuovi dipendenti abbiano ciò di cui hanno bisogno fino dal primo giorno
- Dite loro quanto siete felici di averli nel vostro team
- Il modo più efficace per far imparare le regole ai nuovi dipendenti è metterli a proprio
agio attraverso queste pratiche così saranno più ricettivi e potranno concentrarsi
sull’apprendimento
- attenetevi alle procedure di inserimento per i nuovi dipendenti
- assicuratevi che i vostri valori e la vostra cultura si esprimano nel modo in cui trattate e
salutate i nuovi dipendenti
- programmate dei momenti di verifica con i nuovi dipendenti per capire come stanno
andando le cose

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CHE COSA FANNO I DIPENDENTI PER IMPARARE LE REGOLE?
Le ricerche mostrano come il processo di socializzazione organizzativa sia un duplice processo
nel quale sia l’organizzazione sia il nuovo dipendente possono svolgere un ruolo importante. Gli
studiosi parlano a questo riguardo di prospettiva interazionista; un’implicazione è che, sebbene
l’organizzazione possa aiutare i nuovi dipendenti ad adattarsi al nuovo ruolo, è compito dei
nuovi arrivati cogliere le opportunità offerte e se occorre creare nuove occasioni di
apprendimento. Alcune caratteristiche individuali possono aiutare i nuovi arrivati.

PERSONALITA’: Vi sono persona che più di altre ricercano opportunità per saperne di più sulla
nuova organizzazione o per conoscere i nuovi colleghi. Per esempio, gli individui con
personalità proattiva, cioè quelli che tendono a impegnarsi attivamente per produrre
cambiamenti nel proprio ambiente, hanno maggiori probabilità di condurre felicemente il
processo di socializzazione. Queste persone non esitano a rivolgersi altri altri per ricercare
informazioni, si attiveranno per sviluppare le proprie abilità e le proprie relazioni sociali e sono
più motivate ad apprendere. Coloro che sono più estroversi e aperti all’esperienza tendono ad
adattarsi meglio ai nuovi ruoli. Estroversione intesa come tendenza a essere energica,
socievole, assertiva, mentre l’apertura all’esperienza è associata a curiosità, intelligenza e
voglia d’avventura. Anche chi ha più autoefficacia, convinte di avere le capacità per svolgere
un nuovo ruolo con successo tendono a conseguire un adattamento migliore, con più
soddisfazione lavorativa e commitment.

COMPORTAMENTI PROATTIVI: La tendenza dei nuovi dipendenti a darsi da fare per saperne di
più sul loro ruolo, sui colleghi, sull’organizzazione nel suo complesso è un elemento importante
per il successo della socializzazione. Le ricerche mostrano che vi sono comportamenti per
adattarsi più rapidamente. I nuovi arrivati possono ricercare informazioni e feedback presso i
colleghi o il supervisore. Sapere più info permette di comprendere meglio in che modo il loro
ruolo è collegato ad altri nell’organizzazione o in che modo ci si aspetta che essi interagiscano
nell’organizzazione. La ricerca di feedback permette di farsi un’idea più chiara sul proprio ruolo
e di capire se c’è bisogno di cambiare qualcosa nel proprio lavoro. Attraverso la richiesta di
feedback e info i nuovi dipendenti interagiscono con altri membri dell’organizzazione e hanno
l’opportunità di conoscerli e di stringere relazioni significative con loro. Altre forme di
comportamento proattivo dei neossunti riguardano la costruzione di relazioni e di reti sociali e
la socializzazione con altri membri dell’organizzazione. Tutte cose che sono predittive di un
maggior livello di soddisfazione lavorativa tra i neoassunti.

GLI ESITI DEL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE


Il processo di socializzazione può avere esiti diversi in termini di adattamento. Considerando
questi esiti è possibile valutare la riuscita del processo di socializzazione.

ESITI A BREVE TERMINE: gli esiti a breve termine possono manifestarsi fin dai primi passi del
processo di socializzazione e possono servire da indicatori della riuscita dell’adattamento. Studi
mostrano l’importanza di tre esiti a breve termine.
1) LA CHIAREZZA DEL RUOLO: i nuovi arrivati sappiano che cosa ci si aspetta
da loro nel ruolo cui sono chiamati
2) L’AUTOEFFICACIA: la fiducia di poter svolgere il proprio lavoro con
successo
3) L’ACCETTAZIONE SOCIALE: sentirsi parte dell’organizzazione e stringere
amicizie al suo interno
4) LA CONGRUENZA PERCEPITA: la credenza che i propri valori e obiettivi
coincidano con quelli dell’organizzazione
5) CONOSCENZA DELLA CULTURA ORGANIZZATIVA: la conoscenza delle
norme dell’organizzazione e come essa funziona

ESITI A LUNGO TERMINE: tra gli esiti a lungo termine del processo di socializzazione vi è
l’adozione di atteggiamenti e comportamenti lavorativi più efficaci da parte dei nuovi arrivati. I
programmi di socializzazione riusciti sono collegati con l’aumento della soddisfazione
lavorativa, del commitment organizzativo e dell’identificazione organizzativa e con la
diminuzione dell’intenzione di lasciare l’organizzazione. Inoltre i dipendenti ben adattati alle
loro organizzazioni e ai ruoli tendono a fare meglio il proprio lavoro, a portare a termine i
compiti assegnati. Le ricerche mostrano che chi ha una socializzazione positiva ha meno
probabilità di turnover, uscita dall’organizzazione.

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2. LA SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA: PROBLEMI ATTUALI
La forza lavoro e gli ambienti di lavoro mutano continuamente, il che implica nuove sfide e
nuove riflessioni su come gestire al meglio questo momento critico per i nuovi dipendenti.

INSERIMENTO VIRTUALE
Accade sempre più spesso che le organizzazioni adottino modalità lavorative virtuali rese
possibili dal progresso tecnologico. Queste modalità permettono di entrare in contatto con
persone di talento in ogni parte del mondo e offrono un potente strumento di flessibilità ai
lavoratori alle prese con il problema di conciliare richieste domestiche e lavorative. Ma
pongono la sfida dell’efficace inserimento dei nuovi dipendenti. In che modo i canali di
comunicazione mediati dalla tecnologia, come e-mail e sistemi di videoconferenza possono
cambiare il modo di fornire info di orientamento o la propensione dei nuovi dipendenti di
rivolgersi ai colleghi per avere info? Dalle prime ricerche si conclude che gli interventi di
orientamento condotti online possono essere utili alla chiarezza e forse alla fiducia, ma non
sono così efficaci per ciò che riguarda il collegamento. Ma anche questo potrà cambiare.

LA RIDUZIONE DELLO STRESS PER I NUOVI ARRIVATI


Entrare in una nuova organizzazione comporta una buona dose di incertezza che può essere
vissuta come stressante dai nuovi dipendenti, che devono affrontare molte sfide: sul proprio
ruolo, su cosa aspettarsi, i nuovi compiti, le nuove amicizie. I nuovi arrivati possono essere
accolti a braccia aperte dagli interni all’organizzazione o possono essere guardati con
scetticismo o vissuti come una minaccia. Uno studio recente mostra che la conflittualità tra i
nuovi dipendenti dell’organizzazione e quelli vecchi è frequente. La conflittualità fa si che i
nuovi arrivati provino ansia nei confronti dei colleghi e siano meno propensi a cercare info
presso di loro. In questa situazione, i nuovi dipendenti sono a rischio di stress e burnout.
ES: studio di caso sull’inserimento lavorativo “felice” da L’Oreal

IL LATO OSCURO DELLA SOCIALIZZAZIONE


Può accadere che la socializzazione sia controproducente. es: una cultura organizzativa tossica
che ostacoli la creatività individuale o nella quale i dipendenti siano ostili gli uni agli altri può
creare situazioni in cui la socializzazione non sia desiderabile.
Possiamo immaginare un’organizzazione in cui certi comportamenti non etici siano la norma, e
i nuovi dipendenti che desiderano legare con i colleghi e farsi accettare da loro potrebbero
sentirsi spinti a conformarsi a questo tipo di comportamenti.
Le ricerche mostrano che se il sistema di socializzazione organizzativa incoraggia i nuovi
dipendenti ad anteporre le norme e gli standard etici dell’organizzazione al loro sistema di
credenze, i nuovi dipendenti avevano più conflitti etici e erano più esauriti emotivamente. La
socializzazione può fallire sia per eccesso sia per difetto di omologazione. Le ricerche mostrano
che quando i nuovi arrivati si sentono apprezzati e hanno la possibilità di riversare nel lavoro il
proprio sé autentico, la socializzazione è più efficace. Quando c’è congruenza tra la loro
identità autentica e ciò che sono al lavoro i neoassunti possono investire le loro risorse e i loro
sforzi per conoscere meglio il ruolo che devono svolgere e il nuovo ambiente di lavoro, senza il
peso dello stress che grava sui nuovi arrivati quando sentono di non poter essere chi
veramente sono

esercitazioni:
1. che cosa potrebbe fare un’organizzazione per sapere se l’inserimento dei nuovi
dipendenti è andato bene?
2. Nel vostro prossimo lavoro che cosa potreste fare per facilitare il vostro
adattamento?

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CAPITOLO 9 – IL POTERE NELLE ORGANIZZAZIONI
OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO:

 Conoscere il significato psicologico del potere all’interno delle organizzazioni

 Conoscere i diversi tipi di influenza sociale (o forme di esercizio del potere su altri)

 Conoscere le teorie sulle basi e sulle fonti del potere

 Conoscere le conseguenze positive e negative associate all’esercizio del potere e i


fattori di moderazione di tali conseguenze

L’assunto di base è che il potere è una risorsa critica per gli attori organizzativi. Una persona
che ha potere emana un senso di autorità, rispetto e influenza.
Avere potere significa essere in grado di influenzare gli altri più facilmente e di svolgere il
proprio lavoro in modo più efficace con ovvie implicazioni per il raggiungimento di obiettivi
personali e organizzativi.

Le relazioni di potere influenzano il modo in cui i manager e i dipendenti lavorano insieme per
prendere decisioni e gestire l’attuazione.

CHE COS’E’ IL POTERE E PERCHE’ E’ IMPORTANTE?


Il potere è una forza fondamentale dell’interazione umana. Per comprendere le relazioni umane
è essenziale identificare chi ha potere, chi è influenzato da esso e in che modo è esercitato. Il
potere è definito come la capacità di influenzare altre persone grazie al controllo delle risorse o
alla capacità di punirle = questa definizione deriva dalle teorie della dipendenza e
dell’interdipendenza. L’idea è che le persone con alto potere abbiano maggiore controllo su
risorse di valore e, spesso, possano agire a proprio piacimento senza gravi conseguenze. Le
persone con basso potere, d’altra parte, devono essere più caute perché dipendono
maggiormente dagli altri per far valere i propri interessi. Le persone con meno potere
dipendono maggiormente dalle risorse rispetto alle persone con più potere, queste ultime
hanno più possibilità di soddisfare i propri bisogni e desideri.

Una caratteristica importante del potere è il suo essere CONTESTUALE o RELAZIONALE. Il


potere scaturisce da un peculiare intreccio di relazioni sociali e può essere compreso solo in
relazione altri: il potere non risiede nella persona, ma nella relazione. Il potere di una persona

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deriva dalla situazione in cui essa opera e nel caso la situazione cambi, muterà anche il potere
della persona.
L’importanza e il potenziale di potere di un individuo all’interno di un gruppo possono essere
compresi solo tenendo conto delle relazioni che quell’individuo ha con il gruppo.
La natura intrinsecamente relazionale del potere lo distingue dalla dominanza, cioè la tendenza
degli individui a essere assertivi, energici e sicuri di sé in gruppi differenti. Anche se non c’è
identità la dominanza è spesso predittiva del potere di un individuo in contesti specifici.

Una seconda caratteristiche del potere è che esso è POTENZIALE: una persona può avere
potere senza necessariamente esercitarlo. Avere disponibilità di risorse non significa che le si
debba utilizzare.
L’influenza sociale può essere considerata come una delle conseguenze principali del potere.
Spesso il potere di una persona sta nell’esercitare pressione sugli altri in modo che facciano
qualcosa per aiutarla a raggiungere i suoi obiettivi. Su questa base, il potere è stato definito
come la capacità di influenzare gli altri in modi psicologicamente significativi. C’è chi definisce
il potere come un esercizio effettivo di influenza: c’è il potere solo quando una persona causa o
modifica direttamente il comportamento di un’altra. French e Raven paragonano il potere
all’energia potenziale e l’influenza all’energia cinetica, sia metaforicamente sia letteralmente;
da questo punto di vista, il controllo sulle risorse può essere considerato come una fonte
potenziale di influenza e paragonato all’energia che può essere immagazzinata e più tardi
liberata.

French e Raven definiscono l’influenza come una forza che una persona esercita su un’altra per
cambiarne i comportamenti, gli atteggiamenti o i valori. L’influenza è potere in atto e
corrispondentemente il potere è influenza potenziale. Può esservi potere anche quando non vi
sono effetti comportamentali diretti. Quindi in linea di principio le persone non devono usare
per forza il loro potere per essere considerate potenti.

Il potere è anche distinto dalla leadership, dallo status o dall’autorità che sono ruoli sociali in
grado di conferire potere agli individui. Le ricerche mostrano che le persone che hanno potere
sono più rispettate e ammirate e alle persone che sono rispettate tende a essere attribuito il
controllo di risorse di valore. Il leader tende ad avere più potere dei seguaci perché i gruppi
conferiscono a lui il ruolo di controllare importanti decisioni e informazioni.
Può anche accadere che persone che non hanno uno status elevato all’interno
dell’organizzazione abbiano una considerevole capacità di influenzare gli altri grazie
all’esperienza, alle loro relazioni o a variabili di. personalità come la dominanza.

IL SENSO DI POTERE personale è la percezione della propria capacità di influenzare una o più
persone. Quando gli individui acquisiscono il controllo di risorse e punizioni, si rendono spesso
conto di avere una maggiore capacità di influenzare gli altri. Le persone che hanno potere sono
anche meno disposte a prestare attenzione a quelle che non lo hanno. Chi è potente tende ad
avere aspirazioni più elevate a chiedere di più e a concedere di meno. Il potere favorisce anche
l’orientamento all’azione e il comportamento diretto a obiettivi.

Avere potere ha due vantaggi: un lavoro più sicuro, maggiori guadagni, l’opportunità di
influenzare più facilmente gli altri e di svolgere il proprio lavoro in modo più efficace. Le
persone priva di potere hanno minore autonomia e minor controllo sul proprio lavoro, hanno
più probabilità di essere trattate ingiustamente, sono meno soddisfatte del proprio lavoro e
hanno un morale più basso.

Gli studiosi hanno studiato come gli individui raggiungano il potere dentro i gruppi
organizzativi. Due approcci teorici complementare: il primo è incentrato sulle BASI DEL POTERE
e il secondo sulle CONSEGUENZE DEL POTERE. Il primo studia le fonti e le specifiche risorse
utilizzate per influenzare gli altri. Il potere qui è concepito come una variabile strutturale e una
proprietà delle relazioni sociali. Il secondo afferma che il potere può anche diventare un
attributo psicologico di chi lo detiene. Le differenze nel controllo di risorse di valore producono
differenze nelle relazioni di dipendenza e queste trasformano psicologicamente gli individui.
Questo modo di intendere il potere, che ha le sue radici nella cognizione sociale, è divenuto un
livello di analisi imprescindibile per capire come e perché l’essere in una posizione di potere
influenzi gli individui. Questo approccio fa luce sul modo in cui il potere influenza chi lo detiene
e chi è privo.

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LE BASI DEL POTERE
Le ricerche sulle BASI DEL POTERE studiano le risorse usate da chi ha potere per influenzare le
convinzioni, gli atteggiamenti e il comportamento altrui. Per analizzare le basi del potere
considereremo il modo in cui le persone reagiscono ai tentativi di influenzarle e il nesso tra le
basi del potere e queste relazioni

I PROCESSI DI INFLUENZA
Negli studi sul modo in cui le persone reagiscono ai tentativi di influenzarle, viene fatta una
distinzione tra il cedere alla pressione sociale esercitata (direttamente o indirettamente) da
un’altra persona e la persuasione vera e propria. L’influenza di chi ha potere può essere
abbastanza forte da permettergli di controllare il comportamento di una persona, la quale si
conformerà esteriormente (che sia convinta o meno). Altre volte il processo di influenza può
modificare l’atteggiamento o il giudizio privato di una persona e indurla a fare propria la
richiesta di chi ha potere. Su questa base ci sono 3 tipi di influenza:
- L’ACQUIESCENZA (compliance): cambiamento superficiale del comportamento e degli
atteggiamenti esteriori delle persone, spesso dovuto a coercizione o al desiderio di
ottenere una ricompensa. Non riflette un cambiamento interiore, di solito persiste solo
finchè vi sia qualcuno a sorvegliare il suo comportamento.
- L’INTERIORIZZAZIONE implica un’accettazione soggettiva che produce un vero
cambiamento interno, persiste anche senza sorveglianza. La norma diventa un principio
comportamentale interiorizzato. La persona aderisce genuinamente alle richiesta di chi
ha potere perché esse appaiono desiderabili e di accordano ai valori e credenza della
persona
- L’IDENTIFICAZIONE: si fonda sull’attrattività che chi ha potere esercita sulle persone,
che imitano il suo comportamento e i suoi atteggiamenti per ottenerne l’approvazione. Il
desiderio di mantenere uno stretto rapporto con chi ha potere fa nascere nelle persone
un bisogno di accettazione e stima.

Gli esiti di queste forme di influenza possono anche coesistere.

LE BASI E LE FONTI DEL POTERE


5 basi del potere (+ 1 aggiunta dopo): Chi ha potere detiene queste risorse e può servirsene
per cambiare le credenze, gli atteggiamenti, e i comportamenti altri. E’ stato mostrato che la
natura della risorsa controllata da chi ha potere può influenzare il modo in cui gli altri
rispondono a quel potere
- POTERE DI RICOMPENSA (reward power) E POTERE COERCITIVO (coercive power) di una
persona nascono quando altri credono che possa fornire loro il beneficio desiderato
(potere di ricompensa) o punirli (potere coercitivo). Il potere su queste basi produce solo
un cambiamento superficiale: le credenze, gli atteggiamenti e i valori non cambiano. Si
ottiene acquiescenza, ma questa persiste solo fino a quando il comportamento è
sorvegliato.
- POTERE LEGITTIMO (legitimate power) quando altri credono che essa abbia il diritto
legittimo di esercitare influenza su di loro e credono di essere obbligati ad accettare tale
influenza. Questo può essere associato a tutti e tre i tipi di processi di influenza e può
avere elementi in comune con ciascuno di essi.
- POTERE DI RIFERIMENTO (reference power) quando altri si identificano in lui. E’ un
potere che porta accettazione privata: permette alle persone di mantenere una
relazione gratificante con l’individuo che ha potere e di considerarsi simili a lui per
questo o quell’aspetto importante.
- POTERE DELLA COMPETENZA (expert power) si basa sulla percezione del possesso di
competenze o di conoscenze in un certo ambito. Quando consideriamo competente una
persona, il risultato sarà la nostra accettazione privata dell’influenza di quella persona.
- POTERE DELL’INFORMAZIONE (informational power) conduce a cambiamenti
interiorizzati e duraturi delle credenze, degli atteggiamenti o dei valori delle persone.
Rispetto alle altre basi del potere sociale, la persistenza del cambiamento fondato sulle
informazioni non è subordinata al mantenimento della dipendenza sociale dell’attore,
ma discende dall’importanza e dalla validità attribuite alle informazioni. Solo il potere
dell’informazione produce cambiamenti cognitivi nelle persone, perché diventa
immediatamente indipendente dall’attore.

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Un’altra dimensione del potere è quella delle FONTI DEL POTERE. Nel caso delle basi del
potere, sono in questione le risorse a disposizione di una persona per influenzarne altre o
l’ambiente. Quando si parla di fonti del potere, ci si riferisce al modo in cui una persona giunge
a controllare queste risorse. Sono state individuate due diverse fonti del potere. Il POTERE
DELLA POSIZIONE che deriva dallo status di individuo in un gruppo o in un’organizzazione ,
mentre IL POTERE PERSONALE deriva dagli attributi personale e dal tipo di relazione stabilito
con l’altra persona. Nel caso del potere della posizione, il potenziale controllo può derivare da
un diritto legittimo, dalla facoltà di ricompensare o punire, dalla possibilità di accedere a info
importanti per il gruppo.
Le persone con un elevato potere personale utilizzano le relazioni sociali, il prestigio, la
conoscenza del compito e le aspettative per creare una situazione di aiuto reciproco con gli
altri. Abbiamo identificato fin qui due fonti del potere, 6 basi del potere e tre processi di
influenza.

LE CONSEGUENZE DEL POTERE


Le conseguenze psicologiche del potere dipendono non solo dalla quantità di risorse a
disposizione di una persona, ma anche dal modo in cui il potere è concepito, acquisito ed
esercitato. Il potere non è dato solo dal controllo delle risorse, né unicamente dalla posizione
sociale all’interno di un gruppo. Il potere è uno STATO PSICOLOGICO, la percezione della
propria capacità di influenzare gli altri.
es: i genitori controllano le risorse che sono più importanti per i figli: cibo, sicurezza, comfort,
accudimento cura. Tuttavia alcuni genitori si sentono impotenti che può indurli a usare tattiche
di influenza inefficaci che riducono la loro effettiva influenza. Le credenze di una persona sul
proprio potere possono modificare la sua influenza effettiva sugli altri indipendentemente dalla
posizione occupata nella rete sociale. Il risultato è che coloro che si percepiscono come
detentori di potere tendono ad agire più efficacemente, accrescendo così il loro potere
effettivo.

Gli effetti del potere dipendono dal modo in cui il detentore del potere lo concepisce e dalla
relazione di interdipendenza tra chi ha potere e chi non ne ha.
Gli studiosi hanno visto per quanto riguarda gli effetti psicologici del potere che esso agisce in
senso trasformativo sullo stato psicologico delle persone e che, di conseguenza, la persona che
ha potere si muove in uno spazio molto diverso da quello della persona che non ne ha.

Le associazioni tra potere e tendenze sono state descritte sulla base delle ricerche sul PRIMING
COMPORTAMENTALE. Gli studi sul priming comportamentale mostrano come le
rappresentazioni cognitive dei concetti possano essere rese psicologicamente salienti in modo
da influenzare il comportamento, spesso senza consapevolezza conscia.
L’idea è che con l’andare del tempo le esperienze delle persone producano un insieme di
associazioni apprese tra concetti e che queste siano immagazzinate nella memoria. Il concetto
di potere è associato nella memoria a una miriade di tendenze cognitive, affettive e
comportamentali, con la conseguenze che, quando viene attivato il concetto di potere,
vengono attivati anche atri concetti. Anche la semplice esposizione al potere produce nelle
persone un’esperienza di controllo personale. Il potere può dunque essere attivato
sperimentalmente: se i partecipanti immaginano una situazione nella quale abbiano potere su

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qualcun altro, o nella quale impersonino un direttore generale, essi sperimenteranno un senso
di potere personale.

Nell’insieme i risultati della letteratura indicano che l’insieme cognitivo del potere è costituito
in gran parte di concetti collegati all’agentività. Con tale termine si intende l’esperienza del sé
come entità indipendente con una focalizzazione sull’autoespressione e l’autoespansione e di
conseguenza un orientamento proattivo all’azione. Fiducia, decisione, attività, perseveranza e
indipendenza sono concetti che fanno parte di tale insieme cognitivo del potere. Affianco a ciò
sono associate tendenze comportamentali affini all’agentività (agisci nel contesto sociale per
generare un cambiamento) come l’orientamento all’azione, la ricerca del rischio, il
perseguimento di obiettivi.

Rispetto a chi è privo di potere, chi ne ha sperimenta più affetti positivi che negativi, affronta il
mondo in modo più assertivo, si impegna per migliorarlo, prova meno avversione per le perdite
potenziale e gode di un’autostima più elevata, di migliore salute fisica e maggiore longevità.

Chi ha potere non dovrebbe solo influenzare gli altri ma anche occuparsi di loro e prendersi
cura dei loro bisogni.

Conseguenze negative del potere: i dati confermano come spesso il potere favorisca la
corruzione, l’egoismo, l’aggressività, riduca l’empatia e l’attenzione verso gli altri e alimenti i
pregiudizi e incentiva. le molestie sessuali. Le ricerche mostrano che quando si parla di
corruzione il potere non è sempre diretto all’interesse personale, avere potere aumenta la
tendenza ad agire, indipendentemente dalla natura prosociale o antisociale delle conseguenze.

Conseguenze affettive, cognitive e comportamentali del potere: il potere favorendo i


comportamenti diretti all’ottenimento di ricompense, attivi il SISTEMA DI APPROCCIO (approach
system) comportamentale, invece la mancanza di potere, conducendo all’inibizione
comportamentale e all’evitamento delle minacce, attiverebbe il SISTEMA DI INIBIZIONE
(inhibition system) comportamentale.

Un alto grado di potere è associato alla possibilità di ottenere più benefici, avendo più risorse.
Poi le persone che hanno potere incontrano meno difficoltà a ottenere benefici, ovvero hanno
più facilità a compiere azioni che producano benefici. Corrispondentemente, la mancanza di
potere tende ad attivare il sistema di inibizione, perché gli individui con meno potere hanno più
difficoltà a ottenere benefici e sono più soggetti a minacce materiali e psicologiche quando
cercano di procurarsene.
Mentre coloro che hanno potere trovano più opportunità nel loro ambiente, coloro che ne
hanno meno incontrano più difficoltà.

Vi è un’asimmetria tra i benefici e le minacce percepite dagli individui che intrattengono


relazioni di potere. In un ambiente dato, le persone con più potere godranno di più opportunità
rispetto a quelle con meno potere, le quali saranno soggetti a più minacce rispetto alle prime.
Queste asimmetrie percettive a parità di ambiente faciliteranno una risposta di approccio nelle
persone con più potere e una risposta di inibizione di quelle con meno potere.

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Le persone con basso potere obbediscono alle richieste esplicite delle persone con alto potere,
mentre le persone con alto potere possono comportarsi in modo più libero e avere relazioni
interpersonali più varie. Così l’attivazione del sistema di approccio si manifesta nella
propensione di chi ha potere a sperimentare più affetti positivi, ad agire prontamente e a
focalizzarsi sulle ricompense e sulle opportunità disponibili nell’ambiente. Per ragioni
complementari, le persone con basso potere sono soggette a un numero maggiore di minacce
sociali e materiali. In questo senso l’attivazione del sistema di inibizione può essere paragonata
a un sistema di allarme che produce evitamento e inibizione della risposta.

Le ricerche considerano la possibilità che gli effetti psicologici del varino a seconda degli
individui e delle culture.

I FATTORI DI MODERAZIONE DEGLI EFFETTI PSICOLOGICI DEL POTERE

LEGITTIMITA’
Diversi studi partendo dalla teoria APPROCCIO/INIBIZIONE hanno studiato in che modo il potere
e la sua legittimità influenzino le tendenze associate ad esso. C’è chi sostiene che il nesso tra
potere e approccio è temperato dalla legittimità percepita del potere. Anche se il potere
legittimo sia focalizzato sui guadagni (approccio) e la legittima mancanza di potere
sull’evitamento delle perdite (inibizione), questo effetto in condizioni di illegittimità potrebbe
essere meno marcato. Sulla base di questa ipotesi, sono stati condotti diversi studi che
manipolavano il potere e la legittimità. Anche se il potere legittimo favorisce i comportamenti
di approccio più di quanto non facesse la mancanza di potere anche se legittima, in condizioni
di illegittimità è stato osservato l’effetto opposto: l’illegittimità della mancanza di potere
favoriva il comportamento di approccio più del potere legittimo.

Diversi studi mostrano quindi che il potere legittimo rafforza il comportamento d’approccio, ma
quando il potere è accompagnato dall’ombra dell’illegittimità chi ha potere non mostra più
comportamenti di approccio di chi ne è privo.

Risultati contrapposti degli studi si hanno invece sugli effetti del potere sulla tendenza a
cooperare. Questi effetti possono dipendere dalla legittimità percepita del potere: quando il
potere è considerato legittimo, le persone che hanno potere cooperano meno di quelle che ne
sono prive, quando invece il potere è considerato illegittimo, le persone che hanno potere
cooperano più di quelle che ne sono prive.

CULTURA
Studi mostrano come la cultura influenza il modo di intendere il potere e le sue conseguenze
comportamentali.
Le culture occidentali tendono a porre l’accento sull’indipendenza: il processo di socializzazione
fa si che le persone concepiscano sé stesse come entità separate e slegate dagli altri e le
incoraggia a seguire la propria strada indipendentemente da ciò che gli altri si aspettano.

Le culture dell’Asia orientale spingono gli individui a tenere conto degli altri e sottolineano che
le società produttive dovrebbero essere incentrate sulle relazioni e sul gruppo. Si concepiscono
come relativamente interdipendenti.

Si può affermare che


- il potere è connesso, per come è concepito e sperimentato, ai valori della cultura
d’appartenenza
- dalle diverse culture derivano esiti cognitivi e comportamentali diversi in termini di
potere
- occidentali il potere ruota intorno all’influenza e al senso di entitlement (dell’avere
diritto, mi è dovuto) e ci si comporta in modo asservito per raggiungere i propri scopi
- asiatici concepiscono il potere in termini di responsabilità e tengono conto di come il
loro comportamento influenza gli altri
= la cultura modera gli effetti psicologici del potere e non senza importanti implicazioni. IN
primo luogo l’interpretazione del sé (indipendente o interdipendente) moderna il
comportamento sociale degli individui verso il potere. Poi i risultati che indicano l’esistenza di
una stretta associazione tra potere e tratti e comportamenti agentivi dall’altro, possono essere

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specifici delle culture occidentali o di chi associa il potere al senso di entitlement. Infine vi sono
variabili individuali che determinano se il potere avrà esiti positivi o negativi.

COME AVERE PIU’ POTERE QUADRO 9.1


chi si metterebbe più in luce nella prima riunione del gruppo e perché? Sono le caratteristiche
di personalità che predicono il successo individuale nel conseguimento del potere. Dato il
bisogno personale di potere, gli individui desiderosi di ottenerlo sono più proattivi nei loro
sforzi. Perciò i membri del gruppo di lavoro che ambiscono al potere cercheranno di accrescere
la loro visibilità nella prima riunione per mettere in mostra competenze o abilità apprezzate.
Inoltre la capacità di influenzare socialmente gli altri può avere una varietà di fonti, come
l’abilità argomentativa ecc. Invece la capacità di far valere i propri desideri anche senza aver
persuaso altri in azienda ad agire in tal senso dipende dal controllo delle risorse, il controllo di
qualcosa che altri nel gruppo potrebbero apprezzare. Quindi sia le caratteristiche personali che
la sua posizione nella rete sociale potrebbero giocare a suo vantaggio.
Il rispetto degli altri può dipendere anche da altri criteri come la competenza, la capacità e la
reciprocità.
Le prime azioni della persona che si distingue dal gruppo sono destinate a gettare una lunga
ombra. Come abbiamo visto il potere trasforma quelli che lo esercitano perché il senso di
potere che e deriva modifica la loro forma mentis. L’esperienza psicologica del potere può
incoraggiare l’espressione del sé negli individui che lo detengono e trasformare ciò che essi
pensano, sentono e fanno. Ma anche le differenze personali e culturali possono influenzare gli
effetti psicologici del potere. Il potere legittimo tende a favorire i comportamenti di approccio,
ma quando sul potere grava l’ombra dell’illegittimità chi ha potere non mostra più
comportamenti di approccio rispetto a chi non ha potere.

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CAPITOLO 10 : LEADERSHIP NELLE ORGANIZZAZIONI
Obiettivi di approfondimento

 Comprendere la relazione controversa tra leadership e successo organizzativo

 Conoscere la definizione di leadership organizzativa

 Comprendere lo sviluppo delle teorie dei tratti sulla leadership

 Conoscere i principi delle teorie comportamentali sulla leadership

 Conoscere le linee generali delle teorie basate sulla contingenza della leadership

 Conoscere le linee generali della teoria dello scambio leader-membro

 Conoscere le linee generali delle teorie transazionale e trasformazionale della


leadership

 Conoscere i tratti salienti della leadership negativa

I leader sono spesso gravati dalla responsabilità di portare al successo le loro organizzazioni.
I risultati indicano che la leadership è certamente determinante e che la cosa più impo NON E’
chi ci guida ma il MODO in cui chi esercita la leadership agisce, si adatta alle diverse situazioni
e costruisce relazioni positive con i seguaci.

LA LEADERSHIP CONTA?
La leadership conta? Ci comportiamo come se la leadership fosse uno dei fattori più importanti
del successo organizzativo, ad essa viene associata a numerosi esiti organizzativi.
Un problema dello studio dell’efficacia della leadership è la nostra tendenza a giudicare se un
leader sia efficace o no in base al successo dell’organizzazione che guida. Confondiamo la
valutazione della leadership di un individuo con il successo dell’organizzazione, invece
quest’ultimo dipende da tantissimi fattori. Uno studio mostra che il carisma degli
amministratori delegati non era predittivo dei risultati finanziari dell’organizzazione. Tuttavia
quando le imprese hanno successo i loro leader sono giudicati più carismatici. La leadership
può essere, piuttosto che la causa, l’effetto del successo dell’organizzazione.

La leadership è stata associata ad atteggiamenti come il commitment verso l’organizzazione, la


soddisfazione e la fiducia nei confronti del leader e l’intenzione dei dipendenti di lasciare
l’organizzazione. La leadership è stata associata anche alla creatività e alla motivazione dei
dipendenti. Inoltre la leadership ha valore predittivo per le prestazioni.
I leader influenzano anche il benessere dei dipendenti: studi mostrano che la relazione
negativa con i leader portano all’aumento della pressione sanguigna nei dipendenti.
La leadership è predittiva anche della sicurezza dei dipendenti.
= tutte le variabili di esito nell’ambito della psicologia della salute lavorativa sono correlate
empiricamente con la leadership organizzativa.
Questi dati indicano che la leadership conta.

CHE COSA SERVE PER ESSERE UN BUON LEADER


Nella prima prospettiva, i ricercatori studiano l’emergere della leadership. Domanda: “Come e
se un individuo pervenga a un ruolo di leadership formale nell’organizzazione”.
La seconda prospettiva riguarda lo stile di leadership: al centro dell’attenzione è il modo in cui i
leader si comportano e l’efficacia di questi comportamenti.

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In questo senso ognuno è o può essere un leader nella misura in cui è in grado di influenzare
gli altri.

Kelloway e Barling mettono assieme queste due prospettive e concludono che parlare di
leadership organizzativa significa parlare del comportamento e dell’efficacia delle persone che
ricoprono ruoli di leadership formali nelle organizzazioni.

L’approccio adottato in questo capitolo ha per oggetto il COMPORTAMENTO DEI LEADER


FORMALI. Il centro d’interesse della ricerca sulla leadership si è spostato dalle caratteristiche
peculiari dei leader all’importanza della situazione, fino a focalizzarsi sul comportamento dei
leader e sulle relazioni che essi hanno con i loro seguaci, come nelle moderne teorie della
leadership.

TEORIE DEI TRATTI


- teoria del grande uomo
- approcci basati sui tratti

TEORIE COMPORTAMENTALI DELLA LEADERSHIP


- Ohio State Studies

TEORIE DELLA CONTINGENZA


- teoria della contingenza di Fiedler
- Griglia manageriale
- Path Goal Theory
- Teoria dei surrogati della leadership

TEORIA MODERNA DELLA LEADERSHIP


- teoria dello scambio leader-membro
- teoria trasformazionale della leadership

LEADERSHIP NEGATIVA
- supervisione abusiva
- supervisione ingiusta
- leadership non etica

TEORIE DEI TRATTI


TEORIE DEL GRANDE UOMO

Il primo approccio allo studio della leadership si basava sulla considerazione che la storia del
mondo fosse fatta dai grandi uomini. L’idea era che studiando la vita e le caratteristiche di
leader come Napoleone, si potesse far luce sulle caratteristiche che rendono efficace un leader
(approccio venuto meno).

ALTRE TEORIE DEI TRATTI


L’approccio del grande uomo allo studio della leadership cerca di individuare le caratteristiche
o i tratti associati ai leader. I tratti sono caratteristiche relativamente stabili e durature di un
individuo. Sia le caratteristiche fisiche (es: statura) sia quelle psicologiche (la personalità) sono
considerare dei tratti.

Uno dei primi approcci è stato il tentativo di individuare i tratti che distinguevano i leader dai
non-leader. L’approccio dei tratti allo studio della leadership ha dominato la prima parte del
20° secolo, ma è stato in larga parte accantonato quando le analisi di questa letteratura sono
giunte alla conclusione che non vi fossero evidenze a sostegno dell’associazione fra tratti e
leadership.
Ma ulteriori ricerche recenti dicono che la leadership è associata positivamente all’intelligenza
e alla statura. Anche i tratti di personalità noti come Big Five sono associati alla leadership, in
particolare l’estroversione e l’assenza di nevroticismo. Questi risultati indicano che alcune
caratteristiche individuali sono associati alla leadership e che le organizzazioni possono
migliorare la selezione dei leader preferendo individui in possesso di questi tratti.

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GENERE: L’approccio del grande uomo alla leadership, che esclude per definizione le donne è
oggi considerato sbagliato. Ma resta il fatto che gli uomini hanno maggiori probabilità di
ricoprire ruoli di leadership rispetto alle donna e soprattutto per ruoli più elevati. Da una parte
le donne si scontrano con il “soffitto di cristallo” tutte quelle barriere organizzative che
impediscono loro di accedere alle posizioni di responsabilità più elevate. C’è chi ha descritto
anche il “precipizio di cristallo” in cui possono imbattersi le donne nelle organizzazioni: le
donne tendono ad avere più probabilità di essere selezionate in posizioni di leadership per
progetti ad alto rischio di insuccesso. E quando il progetto fallisce la responsabilità è attribuita
alla donna. Un’altra possibilità è che le donne siano meno motivate a conseguire posizioni di
leadership più elevate o perché gravate da un carico di responsabilità famigliari o perché
consapevoli degli stereotipi sulle donne quali leader.
Le ricerche mostrano che le donne leader tendono a essere meno autocratiche e più
partecipative e ad avere comportamenti di leadership più efficaci rispetto agli uomini.
alla domanda: “Ha importanza chi ci guida” la risposta dell’approccio dei tratti alla leadership
dice si: i leader in possesso di certi tratti hanno maggiori probabilità di essere leader efficaci
rispetto a quelli che ne sono privi.

TEORIE COMPORTAMENTALI
L’incertezza riguardo al ruolo dei tratti indusse i ricercatori ad accantonare i tratti in favore
dell’analisi dei comportamenti. Si passa alla domanda: Come si comporta un leader efficace?
I ricercatori dell’ Ohio State Studies individuarono due aspetti del comportamento dei leader
che apparivano particolarmente importanti:
- la CONSIDERAZIONE (consideration) includeva comportamenti focalizzati sulle persone
(e non sui compiti) come costruire relazioni di fiducia e dimostrare interesse per il
benessere altrui
- Invece la PROMOZIONE DI STRUTTURA (initiating structure) che riferita a comportamenti
incentrati sul compito, es: stabilire linee guida e procedure chiare su come svolgere il
lavoro. Fissare obiettivi espliciti, definire programmi e standard di prestazione sono
comportamenti di promozione di struttura

Le 4 possibili combinazioni delle due dimensioni comportamentali della leadership descritte


nelle ricerche della Ohio State University.
CONSIDERAZIONE
PROMOZIONE DI STRUTTURA Elevata considerazione, Elevata considerazione,
bassa promozione di elevata promozione di
struttura struttura
Bassa considerazione, bassa Bassa considerazione,
promozione di struttura elevata promozione di
struttura

I risultati delle ricerche non sono sempre stati univoci. In una metanalisi delle ricerche sulla
leadership comportamentale, alcuni ricercatori hanno mostrato che le precedenti incongruenze
dei risultati derivavano da problemi metodologici. Al netto di questi problemi emerge una
chiara correlazione fra la considerazione, da un lato, e il morale e gli atteggiamenti dei
dipendenti, dall’altro. La promozione di struttura per parte sua è associata con la prestazione
nei compiti specifici del ruolo ( task performance) e con la prestazione di gruppo. Perciò la
teoria comportamentale della leadership sembra ben corroborata dai dati empirici.
L’idea di partenza era che lo stile di leadership più efficace fosse quello che coniugava livelli
elevati di considerazione e di promozione di struttura, cioè che i leader efficaci fossero quelli
focalizzati in alto grado sia sul compito sia sulle persone, tuttavia la correlazione tra questi due
tipi di comportamento è piccola e in alcuni studi addirittura negativa e questo ci fa pensare che
il leader con un’elevata promozione di struttura possano dimostrare poca o nessuna
considerazione per i dipendenti. L’importanza di questi primi studi sulla leadership può non
risiedere nei particolari risultati ottenuti. Piuttosto con lo studio comportamentale è emerso un
nuovo modo di concepire l’efficacia della leadership, nei termini del comportamento effettivo
dei leader. E questo paradigma ha aperto la strada alla possibilità di formare o istruire i leader
nei comportamenti che definiscono una leadership efficace.
Idea alla base dell’approccio comportamentale: specifico insieme di comportamenti buono per
tutte le condizioni

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LE TEORIE DELLA CONTINGENZA
I modelli della contingenza erano basati sull’idea che i leader dovrebbero mostrare
comportamenti diversi in circostanze diverse: che lo stile di leadership più appropriato da
mostrare dipenda dalla situazione.
es: famiglia in fiamme si pensa a salvarli non ai loro sentimenti. Nei termini delle teorie
comportamentali, si può dire che le situazioni di emergenza richiedono elevata promozione di
struttura e bassa considerazione. Quando un gruppo deve mettersi d’accordo su una
questione, per i leader può essere meglio mostrare una considerazione elevata (far si che
ciascuno possa esprimere la propria opinione) e dare meno importanza alla promozione di
struttura.

LA TEORIA DELLA CONTINGENZA DI FIEDLER


Fred Fiedler è spesso ricordato come il padre della prima teoria della contingenza applicata alla
leadership. Come i teorici del comportamento, anche Fiedler riteneva che i leader fossero
orientati soprattutto al compito (cioè alla promozione della struttura) o alle persone (cioè alla
considerazione).
Fiedler estese la sua analisi a 3 aspetti situazionali impo per definire lo stile di leadership. Egli
sosteneva che i seguenti elementi:
a) la qualità delle relazioni fra leader e seguaci
b) l’esistenza di un’autorità o un potere formale nella relazione
c) la chiarezza degli obiettivi della prestazione, concorressero tutti a quella che egli
chiamava favorevolezza della situazione.

Secondo Fiedler, i leader orientati al compito sono più efficaci quando la favorevolezza è molto
alta o molto bassa. Al contrario i leader orientati alle relazioni hanno più successi nelle
situazioni meno estreme.
I leader orientati al compito sono considerati efficaci anche in situazioni più favorevoli in cui vi
sono relazioni forti e positive tra dipendenti e leader, gli obiettivi sono chiari e vi è una
struttura di potere ben definita.
Tuttavia quando le condizioni sono più eterogenee (situazioni nuove) allora un leader orientato
alle relazioni potrebbe essere più efficace.
Ci sono chiare prove sulla tesi per cui differenti comportamenti dei leader sono più efficaci in
differenti circostanze.
Aspetto più problematico della teoria di Fiedler è l’idea per cui si debba cambiare il leader
secondo la situazione: Fiedler infatti era convinto che l’orientamento dei leader fosse stabile,
un po' come i tratti. Questo è un principio difficile da applicare per le organizzazioni, poiché
significa cambiare manager ogni volta che la situazione cambia, cosa ovviamente problematica
in un’azienda.

LA GRIGLIA DELLA LEADERSHIP


La griglia manageriale di Blake e Mouton ribattezzata Leadership Grid è uno strumento di
valutazione dello stile di leadership manageriale basato sull’idea che quest’ultimo possa
variare secondo la situazione. Si tratta di una griglia che colloca l’orientamento ai risultati
(=portare a termine i compiti) e l’orientamento alle persone (= andare incontro ai bisogni dei
seguaci) lungo due dimensioni, ed è in riferimento a questi due assi che gli autori individuano
cinque stili di leadership principali
1. gestione ricreativa (country-club management): il leader presta attenzione alla
soddisfazione dei bisogni dei seguaci e alla costruzione di relazioni, mettendo in
secondo piano il raggiungimento dei risultati
2. gestione debole (impoverished management): il leader non si occupa né delle persone
né dei risultati, impegnandosi al minimo nella leadership
3. gestione intermedia (middle-of the roas management): un approccio di leadership che
concilia in modo equilibrato i comportamenti orientati alle persone con quelli orientati ai
risultati
4. gestione di squadra (team management) un elevato orientamento alle persone
combinato con un elevato orientamento ai risultati produce altri livelli di commitment
verso il lavoro da parte dei seguaci e un’elevata efficienza.

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5. gestione autorità-obbedienza (authority compliance management): il leder pensa
soprattutto all’efficienza e al raggiungimento dei risultati e mostra scarsa attenzione per
le persone.

Secondo questo modello i leader devono scegliere lo stile più adatto tenendo conto sia delle
persone sia dei risultati, e uno stile di gestione orientato alla squadra è quello più efficace per
accrescere la produttività.

LA PATH GOAL THEORY


E’ fondata sull’idea che i leader debbano adattare il proprio comportamento alle circostanze.
House riteneva che il leader avesse un duplice ruolo:
a) coordinare gli obiettivi dell’organizzazione e quelli dei seguaci
b) aiutare i seguaci a raggiungere tali obiettivi. I leader possono aiutare i seguaci
intervenendo sul cammino (sui mezzi per raggiungere lo scopo) o sull’obiettivo (sul
valore che i seguaci attribuiscono all’obiettivo o sulla loro percezione di poter
raggiungere l’obiettivo)
Sono quattro gli stili di leadership (dal forte orientamento alle relazioni al forte orientamento al
compito) che sono stati proposti come comportamenti che i leader possono adottare per
motivare i seguaci:
1. LEADERSHIP PARTECIPATIVA: coinvolgere i seguaci nel processo decisionale e
richiederne il feedback
2. LEADERSHIP SUPPORTIVA: mostrare attenzione per i bisogni dei seguaci
3. LEADERSHIP DIRETTIVA: dare una struttura ai compiti, fissare obiettivi chiari e fornire
feedback volta per volta
4. LEADERSHIP ORIENTATA ALLA RIUSCITA: definire standard elevati per le prestazioni e
stimolare i seguaci a soddisfare questi standard.

Secondo la PATH -GOAL THEORY l’efficacia di questi quattro stili di leadership varia secondo la
situazione, cioè le caratteristiche dell’ambiente lavorativo (es: la strutturazione dei compiti) e
le caratteristiche dei seguaci (la capacità).
La teoria ha trovato un certo sostegno nei dati, ma la sua complessità per cui i leader
dovrebbero valutare le caratteristiche dei seguaci e dell’ambiente lavorativo e poi modificare di
conseguenza il proprio stile di leadership, rende difficile testarla.

LA TEORIA DEI SURROGATI DELLA LEADERSHIP


Kerr e Jermier hanno proposto una teoria contingentista della leadership, basata sull’idea che le
caratteristiche situazionali possano sostituire o annullare gli effetti della leadership.
ES: ai medici non serve un leader per essere motivati e fare bene il loro lavoro

LE MODERNE TEORIE DELLA LEADERSHIP


Le teorie sopra sono state soppiantate dalle moderne teorie della leadership.
- LA TEORIA DELLO SCAMBIO LEADER-MEMBRO (Leader-member exchange LMX)
- LA TEORIA DELLA LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE

LA TEORIA DELLO SCAMBIO LEADER-MEMBRO- LMX


Piuttosto che concentrarsi sulle caratteristiche o sui comportamenti del leader, al centro della
teoria LMX è la qualità della relazione tra il leader e il seguace che si influenzano a vicenda.
Quando si sostengono, vi è lealtà e fiducia ne seguono risultati positivi in termini di
commitment, soddisfazione e prestazione dei dipendenti.
Dal punto di vista pratica non aiuta i leader a capire che cosa dovrebbero fare per migliorare la
qualità della loro relazione con i seguaci. La teoria afferma che tale relazione è importante ma
non dice molto su come migliorarla. I leader e i seguaci potrebbero non concordare sulla
qualità della relazione.
I leader perciò potrebbero non rendersi conto che questa importante relazione non è
soddisfacente per i dipendenti

LA LEADERSHIP TRANSAZIONALE
Le transazioni possono essere sia di segno positivo che negativo.
- Il caso limite è quello della leadership laissez-faire, che coincide con l’assenza di
leadership, in cui non avvengono transazioni. Essa ha luogo quando il leader non dà

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alcuna risposta al comportamento dei seguaci. Questo tipo di leader evita o nega la
responsabilità e si rifiuta di prendere qualsiasi iniziativa sul posto di lavoro.
- la gestione per eccezioni ha luogo quando le transazioni sono principalmente
negative. I leader rispondono solo agli errori e al mancato raggiungimento di uno
standard. Nella gestione per eccezioni di tipo attivo, i leader sono attivamente
impegnati a individuare gli errori dei dipendenti. Fanno microgestione, sorvegliano
attentamente i dipendenti e li controllano per assicurarsi che i compiti siano svolti come
si deve. In caso di errori il leader punisce il seguace, al punto che per i dipendenti può
sconfinare nell’abuso
- la gestione per eccezioni di tipo passivo: combina elementi di entrambi gli stili
descritti sopra. Per la maggior parte del tempo, questi leader seguono uno stile laissez-
faire, ignorano i seguaci. Ma quando viene portato alla loro attenzione un errore o il
mancato raggiungimento di uno standard, i leader rispondono con critiche e punizioni. A
differenza della forma attiva non prevede la ricerca attiva delle cose che non vanno ma
fornisce la medesima risposta negativa
- i comportamenti di ricompensa contingente: sono basati su transazioni positive
anziché negative. I leader che adottano questo stile fissano obiettivi chiari per i
dipendenti e forniscono un feedback immediato e contingente sulla base del
comportamento. Qui contingente significa che il comportamento del leader è basato sul
comportamento del seguace. In caso di errori, il leader fornisce un feedback negativo e
una correzione. Tuttavia quando tutto va bene il leader loda e supporta i dipendenti.

La metanalisi mostra che quanto più i leader adottino comportamenti di laissez faire e di
gestione per eccezioni, tanto più i dipendenti esprimono insoddisfazione nei confronti dei
leader e del loro lavoro e li giudicano meno efficaci. Nel loro studio sulla sicurezza nei luoghi di
lavoro hanno osservato che se i leader sono passivi e ignorano la sicurezza, la sicurezza stessa
del luogo di lavoro viene messa a repentaglio.
Se i leader sono passivi e ignorano i problemi di sicurezza, inviano il messaggio che la
sicurezza non è importante e questo influenza ciò che i seguaci stessi pensano e fanno
riguardo alla sicurezza nel luogo di lavoro.
Le transazioni non sono esclusivamente negative e quando i leader hanno comportamenti di
ricompensa contingente più positivi i dipendenti riferiscono maggiore soddisfazione e
motivazione.
I comportamenti di ricompensa contingente sono associati anche a un miglioramento delle
prestazioni individuali e organizzative. Anche se quelli di ricompensa contingente sono
annoverati tra i comportamenti di leadership transazionale i dipendenti li considerano come
una forma di leadership estremamente positiva, molto vicina alla leadership trasformazionale.

LA TEORIA DELLA LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE


La teoria della leadership trasformazionale è stata oggetto di più ricerche di tutte le altre teorie
della leadership messe assieme. La teoria della leadership trasformazionale prende le mosse
dalla distinzione tra il comportamento di leadership transazionale e quello trasformazionale. Il
comportamento di leadership transazionale si concentra su una transazione o uno scambio tra
il leader e il seguace. Il leader mette in atto certi comportamenti (Es:lode) in risposta al
comportamento del seguace. Il comportamento di leadership trasformazionale, va oltre il piano
delle transazioni e per ottenere prestazioni migliori guarda ai processi e ai risultati da una
prospettiva più ampia.
Tutti gli stili di leadership previsti dalla teoria generale della leadership trasformazionale
possono essere ordinati in un continuum che varia dalla leadership attivo-costruttiva a quello
passivo-evitante. I leader attivo-costruttivi sono partecipi, efficaci e positivi, mentre i leader
passivo-evitanti minimizzano gli sforzi, sottraendosi più che possono alla responsabilità della
leadership.
La leadership trasformazionale è basata su quattro tipi di comportamento:
- l’influenza idealizzata: quando i leader si preoccupano di ciò che è meglio per i seguaci
e per l’organizzazione (di fare la cosa giusta). I leader creano un senso di missione
condivisa e costruiscono fiducia e rispetto tra i loro seguaci perché si può contare su di
loro per andare oltre l’interesse personale e fare ciò che è giusto
- la motivazione ispirazionale: è quella suscitata dai leader che fissano standard elevati
ma raggiungibili e che incoraggiano i seguaci a fare più di quanto pensassero, mira ad
accrescere il senso di motivazione e di autoefficacia dei dipendenti

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- fornire una stimolazione intellettuale significa mettere in discussione le opinioni ricevute
e incoraggiare i dipendenti a pensare con la propria testa per trovare nuove soluzioni a
vecchi problemi. Adottare un atteggiamento critico e interrogativo, incoraggiare la
creatività e favorire il pensiero indipendente sono tutte caratteristiche dei leader che
forniscono stimolazione intellettuale
- i leader mostrano considerazione individualizzata quando riconoscono pregi e difetti
individuali e prestano attenzione ai seguaci quali individui. Il coaching, il mentoring e il
sostegno individuale sono tutti esempi.

Vi sono molti dai a conferma dell’efficacia del comportamento di leadership trasformazionale. I


leader giudicati trasformazionali dai loro seguaci sono considerati più produttivi, ottengono dai
loro seguaci prestazioni migliori a livello degli individui, del team e dell’organizzazione e hanno
seguaci che sono più soddisfatti del proprio lavoro e del leader.
E’ stato osservato che la leadership trasformazionale può essere insegnata ai manager.
Quando i leader apprendono i comportamenti associato alla leadership trasformazionale e li
mettono in atto, i dipendenti hanno atteggiamenti e prestazioni migliori che si traducono in
migliori risultati organizzativi. Nel complesso, la leadership trasformazionale è chiaramente
correlata con la prestazione a livello degli individui, del team e dell’organizzazione.

Polo attivo-costruttivo
Leadership trasformazionale
- influenza idealizzata
- motivazione ispirazionale
- stimolazione intellettuale
- considerazione individualizzata
Leadership basata sulla ricompensa contingenze
gestione per eccezioni e di tipo attivo
gestioni per eccezioni di tipo passivo
leadership laissez-faire
Polo passivo evitante

GLI APPROCCI ALLA LEADERSHIP MESSI A CONFRONTO

Come le diverse teorie della leadership tengano conto dell’orientamento verso il compito/la
produzione e dell’orientamento verso le relazioni: La teoria teiene conto dell’orientamento
inserito nella tabella

Leadership Griglia Path-goal Teoria della Scambio Leadership


comportamental managerial theory contingenz leader- trasformazional
e e a di Fiedler membro e
Compito/ Promozione di Orientamento Leadership Leadership Stimolazione
produzione struttura ai risultati direttiva e orientata al intellettuale e
orientata compito motivazione
alla riuscita ispirazionale
relazioni considerazione Orientamento Leadership Leadership Qualità Considerazione
alle persone partecipativ orientata alle della individualizzata e
ae relazioni relazione influenza
supportiva idealizzata

LEADERSHIP NEGATIVA
La maggior parte delle teorie della leadership ha cercato di far luce su ciò che rende efficace la
leadership organizzativa. Tuttavia, i ricercatori si sono occupati anche degli aspetti negativi o
distruttivi del comportamento dei leader, tra cui la supervisione abusiva, la supervisione
ingiusta e la leadership non etica.

SUPERVISIONE ABUSIVA
Quando chi ricopre un ruolo di leadership formale mette in atto comportamenti aggressivi o
punitivi nei confronti dei dipendenti, sta dando prova di supervisione abusiva. Sono
comportamenti di supervisione abusiva di chi urla o ridicolizza i sottoposti, li insulta o minaccia
di punirli o di farli licenziare. Tale comportamento da parte dei leader è associato all’aumento
dello stress nei dipendenti.
I dipendenti con supervisori abusivi riferiscono livelli più bassi di soddisfazione lavorativa e di
vita e di attaccamento affettivo, aumento di conflitti lavoro-famiglia e disagio psicologico, oltre

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a sintomi psicosomatici come ansia e depressione. I dipendenti soggetti a questo trattamento
potrebbero rispondere con comportamenti ritorsivi. Quando i dipendenti avevano interazioni
negative con i supervisori, la loro pressione sanguigna aumentava. Inoltre, l’aumento della
pressione perdurava la sera dopo il lavoro. Questi dati indicano che le interazioni negative con i
supervisori influenzano il benessere fisico oltre che quello psicologico.

SUPERVISIONE INGIUSTA
Molte ricerche hanno cercato di mostrare cosa accade quando i dipendenti sono trattati
ingiustamente dai supervisori. L’ingiustizia è associata all’insoddisfazione lavorativa e a un
minore commitment organizzativo. Sia l’ingiustizia procedurale (organizzativa) sia quella
relazionale (da parte dei supervisori) sono predittive di disturbi psichiatrici minori e delle
assenze per malattie.
La supervisione ingiusta è connessa anche a una varietà di esiti relativi alla salute fisica, come
il consumo eccessivo di alcol, l’insorgenza di disturbi cardiaci e le assenze per malattia. Le
malattie cardiovascolari sono associate all’esperienza dell’ingiustizia: in uno studio si è trovato
che i dipendenti che riferivano esperienze di giustizia lavorativa più positive avevano un rischio
di morte cardiaca minore del 45/ rispetto agli intervistati che riferivano livelli di giustizia
inferiori

LEADERSHIP NON ETICA


La leadership etica consiste nel fare prova di una condotta normativamente appropriata
attraverso le azioni personali e le relazioni interpersonali e promuovere tale condotta presso i
seguaci attraverso la comunicazione bidirezionale, il rinforzo e l’attività decisionale. I leader
non etici sarebbero quelli che non si conformano a questo standard.
Sfortunatamente essere un leader non etico non significa essere inefficace. I leader pseudo-
trasformazionali antepongono l’interesse personale al bene del gruppo. Benchè abbiano una
grande capacità di motivare e ispirare gli altri, si disinteressano del benessere dei seguaci e
perciò possono spingere gli altri a fare lo stesso e perseguire il proprio interesse piuttosto che
gli obiettivi del gruppo.
In alcuni leader si possono osservare tendenze psicopatiche. L’idea p che questi leader siano
incapaci di empatia o di lealtà verso gli altri e persino unicamente a raggiungere i propri
obiettivi a scapito delle altre persone. Tali caratteristiche possono effettivamente aiutare le
persone a salire lungo la scala della leadership organizzativa. Nella misura in cui include la
manipolazione degli altri, la psicopatia può aiutare le persone a raggiungere posizioni di
leadership sempre più elevate.
Analogamente nella loro metanalisi hanno trovato che i narcisisti hanno più probabilità di
emergere come leader nelle loro organizzazioni, anche se il narcisismo non abbia nulla a che
fare con lo stile di leadership.
Gli individui con un elevato livello di narcisismo hanno un senso esagerato nella propria
importanza, tendono a sentirsi in diritto di fare ciò che voglio, spesso sono arroganti e
approfittatori. Resta possibile che i leader divengano più narcisisti in seguito al successo
aziendale, senza che il narcisismo sia predittivo del successo come leader.
Questi risultati sono inquietanti perché fanno pensare che individui con tratti tipici della
personalità oscura come narcisismo o psicopatia possano emergere come leader.

ESERCITAZIONI
1- Tra i manager che avete conosciuto, descrivetene uno che adottava un approccio
transazionale e che agiva in senso trasformazionale. Che effetto hanno avuto questi due
leader sui vostri atteggiamenti e sulle vostre prestazioni?
2- Confrontate la teoria della contingenza di Fiedler con la path-goal theory di House. Quali
sono le somiglianze e le differenze? Quale vi sembra più facilmente applicabile nelle
organizzazioni?

slide BURNOUT

CAPITOLO 11: IL LAVORO IN TEAM NELLE ORGANIZZAZIONI

 Conoscere i vantaggi del lavoro in team nelle organizzazioni


 Conoscere la definizione di team e gli elementi distintivi del lavoro organizzato in team
 Comprendere il modello Input-Mediatore-Ouptut-Input (IMOI) applicato alla vita dei team

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 Conoscere i fattori di input che influenzano l’efficacia nei team
 Comprendere il ruolo della leadership nella performance del team
 Conoscere la definizione di Modelli mentali dei team
 Conoscere la definizione di clima del team
 Conoscere la natura e gli effetti dei processi affettivi e motivazionali nei team
 Conoscere i processi di tipo comportamentale e la loro influenza sul 2 funzionamento
dei team

Vi sono molte ragioni per cui le persone lavorano in team, tra le quali la convinzione
manageriale che il lavoro in team possa accrescere l’efficacia delle organizzazioni.

PERCHE’ I TEAM?
In tutta la loro storia, gli esseri umani hanno sempre vissuto e lavorato in gruppi e famiglie.
Fare qualcosa insieme si è dimostrato più gratificante ed efficace che non fare la stessa cosa
da soli. Gli individui sono animali sociali: hanno un bisogno sociale di affiliazione e sanno come
servirsi dell’interazione sociale.
La ragione principale per strutturare il lavoro in team è probabilmente l’idea di sinergia: il tutto
è più della somma delle parti. Quando il lavoro di squadra funziona bene, vi sono risultati
positivi per gli individui, il team e l’organizzazione.

I RISULTATI DEL LAVORO IN TEAM


La maggior parte delle persone ama lavorare con gli altri e soddisfare questo bisogno sociale
attraverso il lavoro di squadra è importante per il commitment e il benessere dei dipendenti.
Maslow ha descritto i nostri bisogni fondamentali di amore e stima come una potente forza
motivazionale, e nella psicologia del lavoro il “principio di integrazione sociale e societale
(=società nel complesso)” è considerato un importante criterio di umanità delle condizioni
lavorative.

Altri includono tra gli effetti positivi del lavoro in team un’elevata motivazione intrinseca, lo
sviluppo personale, il miglioramento delle abilità e delle qualifiche professionali nonché una
riduzione del carico di lavoro e dello stress. Il sostegno reciproco all’interno del team favorisce
la salute e la soddisfazione e riduce i tassi di burnout.

Esiti a livello di team: un lavoro di squadra ben gestito darà al team un senso di efficacia e di
fiducia nella sua vitalità (=idoneità del team nei termini della sostenibilità e della crescita per il
suo successo nelle attività future). Il team viene a costruire uno spazio di apprendimento e di
gestione delle conoscenze, dato che i membri del team condividono le loro competenze e sono
coinvolti in un processo di apprendimento reciproco.

esiti a livello individuale e di team: i compiti lavorativi vengono svolti più velocemente e più
efficacemente poiché i team possono strutturare i relativi sottocompiti in modo più flessibile. La
gestione della qualità è migliore e le innovazioni e i cambiamenti più facili poiché i membri del
team possono portare nel lavoro una pluralità di punti di vista. Un’organizzazione basata sui
team può funzionare con meno complessità strutturale e una gerarchia più piatta. Il processo
decisionale può essere decentrato a livelli inferiori. La strutturazione in team è una buona
risposta ai problemi di complessità organizzativa, dato che i team possono essere messi in
collegamento e chiamati in causa ogni volta che ve ne sia bisogno.

Inoltre negli ultimi anni gli ambienti organizzativi sono divenuti molto più complessi e dinamici,
a causa dell’aumento della competizione globale e della richiesta di prodotti e servizi
specializzati su misura del cliente. Quindi le organizzazioni devono fare i conti con il bisogno di
flessibilità e innovazione.

Il lavoro di squadra è stato introdotto in molte organizzazioni per assicurare buone condizioni di
lavoro per i dipendenti, apprendimento basato sui team, ed efficacia e flessibilità della
produzione. Benchè vi siano solide prove che il lavoro di squadra sia un metodo efficace, i suoi
effetti positivi non possono essere generalizzati a tutti i contesti organizzativi. ù
Però in generale non è facile creare le condizioni giuste per il buon funzionamento dei team e i
risultati sono determinati, tra le altre cose, dal modo in cui i membri del team dipendono l’uno
dall’altro.

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RISULTATI DEL LAVORO DI SQUADRA
Macro-livello: risultati relativi agli obiettivi organizzativi, per es. di innovazione
Meso-livello: vitalità e apprendimento a livello di team
Micro-livello: realizzazione dei bisogni individuali di soddisfazione, salute e crescita lavorative

CHE COS’E’UN TEAM?


GRUPPO DI LAVORO: i gruppi di lavoro sono composti da due o più individui, condividono uno o
più obiettivi comuni, sono creati per svolgere compiti significativi per l’organizzazione,
mostrano interdipendenza rispetto al compito, interagiscono socialmente, mantengono e
gestiscono confini e sono inclusi in un contesto organizzativo che definisce i confini, vincola il
team e influenza gli scambi con altre unità all’interno della struttura generale.

I membri di un gruppo possono essere connessi più o meno strettamente e in certi casi non
hanno quasi bisogno di comunicare mentre lavorano.

4 caratteristiche che distinguono i team da altri gruppi o pseudoteam (= gruppi


chiamati team ma nei quali i membri svolgono gran parte del loro lavoro individualmente). I
team posseggono le seguenti caratteristiche:
- RIFLESSIVITA’: i team discutono, riflettono e fanno valutazioni sul lavoro che stanno
svolgendo. Riesaminano sistematicamente le loro prestazioni (a differenza degli
pseudoteam) in cui le comunicazioni sono limitate alla condivisione di informazioni per
la coordinazione di singole attività. I team riflettono sulle procedure abituali, per
esempio quelle per coordinare il lavoro, e sul modo in cui queste procedure possono
pregiudicare l’efficacia e la soddisfazione legate al lavoro e ciò rende possibile
sviluppare una conoscenza condivisa dei compiti e del modo di eseguirli
- INTERDIPENDENZA RISPETTO AL COMPITO: come i membri di un team debbano lavorare
assieme per svolgere un compito differisce secondo il compito. L’interdipendenza
rispetto al compito è il grado di reciproca dipendenza tra i membri del gruppo. Una forte
interdipendenza significa che il compito principale richiede una stretta collaborazione
tra i membri del team per eseguire i sottocompiti che servono a raggiungere gli obiettivi
principali. L’interdipendenza rispetto al compito richiede processi di regolazione
collettiva e conoscenze condivise su cosa fare e come.
Vi è interdipendenza rispetto al compito di grado più debole che ha forma aggregata:
ciascuno dei membri del team dà un contributo al risultato, ma essi non interagiscono
tra loro. I membri del team possono anche essere connessi sequenzialmente: in questo
caso, la successione cronologica delle azioni dei membri del team è fissa, come in una
catena di montaggio in cui un membro del team prepara i pezzi, poi l’altro li assembla e
il terzo controlla la qualità.
Nei team con interdipendenza reciproca rispetto al compito ciascun membro del team
interagisce con un altro membro in una relazione uno a uno in modo bidirezionale.
L’interdipendenza rispetto al compito richiede sia lavoro sul compito (per svolgere il
compito) sia lavoro nel team (per interagire nel team)
- OBIETTIVI CONDIVISI: Negli pseudoteam non esiste consapevolezza condivisa di quale
sia l’obiettivo che il team è chiamato a perseguire. Un team ha un obiettivo comune che
regola ciò che i diversi membri fanno e il modo in cui lo fanno.
- ESISTENZA DI CONFINI: In un team i membri si identificano con il gruppo di cui fanno
parte. I confini degli pseudoteam invece sono permeabili, tanto che può non essere
chiaro quali siano i membri del team. Se i membri del team non hanno senso di
appartenenza, saranno meno motivati a contribuire al team e meno interessati alla
costruzione di relazione con gli altri. Con l’avvento di Internet, la natura dei team è
andata rapidamente cambiando. I team possono essere virtuali, con i membri che si
incontrano su internet e non fisicamente. I team virtuali i cui membri si trovano in luoghi
distanti e utilizzano la tecnologia di comunicazione per interagire sono qualcosa di
relativamente nuovo, ma abbastanza comune in molte imprese internazionali e nelle
collaborazioni di ricerca. Spesso i dipendenti lavorano in team ad hoc per un periodo
limitato es: per risolvere un complesso problema tecnico

QUANDO UN TEAM PUÒ DIRSI EFFICACE?

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L’efficacia di un team è il risultato di processi dinamici che dipendono da un ampio contesto
che determina i compiti del team e le richieste ad essi associate. Un team è interconnesso con
altri team e altre funzioni e opera entro un flusso di lavoro che dall’esterno pone delle richieste.
Un team è efficace quando ha risultati e prestazioni che soddisfano le aspettative esterne e
rispettano determinati prerequisiti. Tali aspettative non sono sempre così facili da interpretare
per il team.
Un’organizzazione ha un obiettivo generale, valori fondamentali e una cultura che fissa le
regole su come dovrebbero essere fatte le cose.
Le richieste poste dal compito sono sempre determinate dal contesto organizzativo, ma a volte
possono essere vaghe e i soggetti interessanti possono avere priorità diverse.
Efficacia dei team: quando i processi di squadra sono congruenti con le richieste poste dal
compito e determinate dall’ambiente, il team è efficace: quando non lo sono, il team non lo è.

Quali fattori rendono possibile un lavoro di squadra efficace: oltre cinquant’anni fa McGrath
descrisse un modello della forma Input-Processo-Output (IPO) per studiare i fenomeni relativi ai
team. Il modello mostra in che modo un team può essere efficace.
- Gli Input (I) sono gli antecedenti che rendono possibili e vincolano i processi di squadra
- I processi (P) sono le interazioni tra i membri del team
- gli output (o) sono i risultati del lavoro in team

Questo modello statico (statico perché non considera il modo in cui i team si sviluppano nel
tempo) è stato interpretato in senso causale (gli input determinano i processi e i processi
determinano gli esiti) e sebbene le teorie più recenti sull’efficacia dei team utilizzino lo schema
IPO di frequente, va sottolineato la natura dinamica del processo che è alla base.
Input importanti sono le caratteristiche dei singoli membri del team (abilità, competenze
generiche per il lavoro di squadra e personalità), gli antecedenti a livello di team (compito,
progettazione del lavoro e relazioni di interdipendenza) e i fattori contestuali (struttura
organizzativa e supporto organizzativo).

Il compito è naturalmente l’input più importante, i processi in gioco sono le interazioni tra i
membri del team, come la coordinazione del lavoro, ma anche i processi di leadership, come
fornire coaching e dare supporto al team.

Il modello IPO poi è stato modificato per tenere conto che i team si sviluppano nel tempo, che
vi sono cicli di feedback e che i processi e i risultati con il tempo influenzano i prerequisiti dei
processi di squadra.

= un modello dell’efficacia del team, spiega in che


modo input, processi e risultati sono intercorrelati in un contesto multilivello e spiega ciò che
rende efficace un team.

Un team riflette sulle procedure di lavoro e impara a organizzare il proprio lavoro in modo
migliore (processi), diventa più produttivo (output) e richiede una minore gestione della
prestazione e un diversi tipo di supporto manageriale (input).

Ricerche sul modo in cui input, processi e output sono collegati in un’organizzazione: il risultato
è il modello della figura sopra. Importanti ricerche mostrano che i processi di squadra non solo
influenzano, ma anche indirizzano i risultati del lavoro in team e vi è chiara evidenza che i

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processi di squadra mediano la relazione tra fattori di input e risultati. Questa è la ragione per
cui nella figura i processi sono descritti come mediatori (M). Inoltre la figura mostra che gli
individui (microlivelli) sono inclusi in un contesto di squadra (mesolivello), il team è incluso in
un contesto organizzativo (il macrolivello) e i contesti ai diversi livleli si influenzano
reciprocamente.

I singoli membri del team formano un’entità collettiva che costituisce anche un contesto da cui
gli stessi membri sono influenzati. I collegamenti tra micro, meso e macrolivelli (membri del
team, contesto di squadra e contesto organizzativo) sono risorse o richieste critiche che hanno
bisogno di processi di squadra accordati, pena l’inefficacia del team.
Le frecce rappresentano i cicli di feedback che producono cambiamenti nei contesti e nei
processi. Le teorie più recenti sull’efficacia dei team li considerano come parte di un sistema
multilivello, mettono l’accento sulla natura dinamica del lavoro di squadra e considerano i
processi di squadra come fenomeni emergenti che si sviluppano nel tempo.
A lungo andare i team sviluppano forme relativamente stabili di divisione e di coordinazione del
lavoro. Per spiegare lo sviluppo dei team nel tempo il modello si serve di cicli di feedback.

GLI INPUT
Distingueremo tra input individuali, di team e organizzativi. Essi sono determinati
contestualmente e sono interconnessi. Gli individui differiscono sotto molti aspetti
(mcirolivello), i team hanno caratteristiche differenti (mesolivello) e gli obiettivi e le strutture
organizzative variano secondo le organizzazioni (macrolivello). Tutti questi input influenzano i
processi di squadra.

INPUT A LIVELLO INDIVIDUALE


I membri di un team differiscono tra loro in termini di esperienza, personalità, abilità e in molti
altri modi. Ciascuno di essi apporta un contributo al team. La motivazione di un dipendente può
influire sulla sua prestazione. In un contesto di squadra, è importante essere motivati a
lavorare fianco a fianco con alte persone. Secondo Bell la preferenza per il lavoro di squadra è
importante. E’ difficile formare un team dinamico che i suoi membri non si impegnano a
lavorare assieme per realizzare gli obiettivi del team.
Le ricerche mostrano che le competenze per lavorare in un team (orientamento cooperativo e
supportivo, comunicazione e ascolto attivi, capacità di autoregolazione) favoriscono un clima
amichevole nella squadra. Lavorare in un team con persone gentili e generose è sicuramente
vantaggioso. La personalità e le capacità cognitive generali predicono sia le prestazioni
individuali sia le prestazioni a livello di team. Quando l’interdipendenza tra i membri del team è
elevata, la coscienziosità è importante per l’efficacia del team. E’ necessario poter fare
affidamento sull’ordine e sull’autodisciplina altrui. Altri studi hanno trovato che l’apertura
mentale e la stabilità emotiva influenzano positivamente in modo in cui i team risolvono i
conflitti relativi ai compiti. In definitiva, vi è ragione di credere che la prestazione di squadra sia
collegata a caratteristiche individuali come la coscienziosità, estroversione, preferenza per il
lavoro di squadra, le caratteristiche KSAO e le abilità di lavoro di squadra.

INPUT A LIVELLO DI SQUADRA


Altri importanti input sono quelli a livello di team, come la composizione e le dimensioni del
team e le caratteristiche del compito lavorativo.
- LA COMPOSIZIONE DEL TEAM: caratteristiche dei singoli membri e al bilanciamento fra
queste caratteristiche. Fattori di personalità come il valore minimo di amicalità nel team
e il valore medio di coscienziosità, apertura all’esperienza, collettivismo e preferenza
per il lavoro di squadra, sono eccellenti predittori della bontà della prestazione. Quanto
più complesso e innovativo è il compito di una squadra, di tanta più eterogeneità c’è
bisogno. E’ opinione comune che l’eterogeneità degli attributi riferiti al compito influenzi
positivamente l’efficacia del team, poiché porta con sé una base di conoscenze più
ampia. Ma importante per il successo della squadra non è solo la complementarità delle
competenze professionali. C’è chi sottolinea l’eterogeneità dei ruoli nel team. I team
sono una questione di equilibrio. Non occorrono individui equilibrati, ma individui che si
equilibrano bene l’uno con l’altro (non servono solo specialisti e innovatori ma anche chi
coordina i processi e di persone che abbiano a cuore la qualità delle relazioni sociali=

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- LA DIVERSITA’: tutte le caratteristiche che possono differenziare i membri di un team
(età, genere, retroterra sociale). Ci vuole tempo prima che un gruppo eterogeneo
diventi un team efficace e coeso, poiché c’è bisogno che i membri stabiliscano delle
norme condivise. Occorre elaborare un linguaggio comune, prospettive e razionalità
diverse devono trovare accettazione, i conflitti devono essere gestiti costruttivamente.
Trascorso questo periodo la diversità di superficie non dovrebbe essere più un
problema. Ma la diversità profonda negli atteggiamenti, nella visione e negli obiettivi
può persistere e pesare.
- LE DIMENSIONI: anche le dimensioni del team ne influenzano i processi di squadra. Si
dice spesso che la grandezza ideale sono 6-8 membri, quanto più grande è il team,
tanto più difficile coordinare collettivamente i processi al suo interno. Il team dovrebbe
includere tanti membri quanti ne occorrono per svolgere il lavoro. Le dimensioni
influiscono sulla comunicazione e sulle interazioni tra i membri e rendono più probabile
l’effetto di inerzia sociale (social loafing); + membri – sforzi. 2 motivi dell’inerzia sociale:
free riding (comportamento opportunistico) i singoli membri del tem pensano che gli
altri faranno abbastanza per raggiungere gli obiettivi del team anche se loro non ce la
mettono tutta; sucker effect (effetto babbeo):i membri hanno l’impressione che gli altri
facciano meno e di conseguenza riducono il proprio contributo in modo che il lavoro
appaia distribuito equamente tra i membri del team.
- anche le CARATTERISTICHE DEL COMPITO influenzano le interazioni di squadra. La
COMPLESSITA’ DEL COMPITO LAVORATIVO è cruciale per l’efficacia del team. E’
probabile che un compito complesso e difficile sia interessante da affrontare e stimoli
l’apprendimento del team. Mentre le attività di routine, che hanno uno scarso impatto
cognitivo, possono essere portare a termine senza problem solving collettivo e senza
regolazione e comunicazione a livello di team. Un compito lavorativo è completo quando
include la fissazione dell’obiettivo, la pianificazione e l’esecuzione del compito stesso, la
valutazione dell’esito e il feedback. I compiti di squadra completi richiedono decisioni di
squadra e quindi di autonomia. L’autonomia di un team si riferisce alla quantità di
controllo e al margine di discrezionalità di cui esso gode. Una maggiore autonomia e più
gradi di libertà favoriscono il ricorso alle abilità cognitive e influenzano i processi di
regolazione collettiva. Se il compito è standardizzato (solo un modo per eseguirlo) non
vi è autonomia e non vi è nessuna ragione per il team di discutere su come farlo.
L’autonomia del processo decisionale rende importanti le discussioni sul compito perché
si può arrivare a cambiamenti sul modo di svolgere il compito e su quali obiettivi
perseguire.

COMPITI ADATTI AL LAVORO DI SQUADRA SONO:


- complessi: fanno appello alla cognizione e all’apprendimento a livello di team
- autonomi: i team possono scoprire in quali condizioni danno il meglio di sé stesso
- interdipendenti rispetto all’esecuzione: il lavoro di squadra è necessario per il loro
svolgimento
- completi: il team è responsabile di una catena di attività interconnesse diversificate,
basate su caratteristiche KSAO differenti e tali da dare identità al compito

INPUT A LIVELLO ORGANIZZATIVO


Un team non è un’isola: i team sono integrati in un contesto organizzativo chiamato a
supportare la loro attività. Tale supporto può assumere forme diverse:
- un adeguato sistema di ricompense, orientato ai risultati di squadra e un appropriato
sistema di formazione e addestramento, basato su bisogni
- un sistema che fornisca al team le informazioni di cui può avere bisogno per svolgere i
suoi compiti
- le risorse materiali (spazio, attrezzature ecc).

Le gestione delle risorse umane influenza l’efficacia del team e lo fa, ad esempio, fornendo
feedback ai team e sviluppando un sistema di ricompense trasparente. Un clima organizzativo
di apprendimento, sviluppo e innovazione è importante per avere team aperti al futuro.

E’ il management che fornisce supporto organizzativo adeguato alle richieste dei team e la
gestione delle risorse umane è uno strumento utile. I manager devono credere nel lavoro di

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squadra, sostenere i team e investire nella creazione di un clima di fiducia, responsabilità
condivisa, empowerment psicologico e cooperazione. La leadership è fondamentale per il
lavoro di squadra.
La leadership è allo stesso tempo un input e un processo strettamente intrecciato con i
processi di squadra. La struttura di leadership è importante per l’interazione tra processi di
squadra e processi di leadership, che può essere più o meno stretta.
Vi sono forme di leadership condivisa che coinvolgono più membri del team, può esistere una
leadership temporanea, in cui le decisioni e i compiti del leader vengono affidati a rotazione ai
membri. Leadership distribuita: dove la leadership di attività differenti spetta a membri diversi.
In un modello a rotazione o distribuito, i processi di leadership e di squadra vengono a
coincidere. La leadership opera come input creando condizioni adeguate per lo svolgimento del
lavoro di squadra.

INPUT CHE INFLUENZANO I PROCESSI DI SQUADRA E I RISULTATI DEL LAVORO DI SQUADRA.


Input:
- macrolivello: supporto organizzativo, leadership e gestione delle risorse umane
- mesolivello: interdipendenza, definizione del compito, dimensioni del team e
composizione del team
- microlivello: KSAO individuali, personalità, capacità cognitive e preferenza per il lavoro
di squadra

I PROCESSI COME MEDIATORI TRA INPUT E RISULTATI


Gli input sono un’importante condizione del lavoro in team, ma team diversi possono lavorare
in modo molto differente. I processi di squadra e di leadership svolgono un ruolo chiave come
mediatori dell’efficacia del team. Questi processi sono dinamici e difficili da catturare
empiricamente. Questi processi sono descritti come dinamici, interattivi e multilivello,
inscindibili dalla dimensione temporale. Ma i team, come i leader, sviluppano schemi di
interazione di routine. A lungo andare, attraverso modi di pensare abituali, stati affettivi stabili
e schemi di comportamento tipici, i processi diventano stati emergenti.
Questi stati emergenti cambiano con il tempo, man mano che i membri e i leader incontrano
nuove situazioni, integrano nuove info e pensano e agiscono in modo diversi.

PROCESSI DI LEADERSHIP
Il LEADER di un team è un risolutore di problemi sociali. Per ciò che riguarda i processi, i
compiti a cui la leadership di squadra è deputata sono i seguenti:
- costruire e mantenere il team come unità funzionante: fare in modo che del team
facciano parte persone giuste e che i processi di squadra funzionino
- fornire coaching e supporto: sotto forma di interazione diretta, interventi, facilitazione
della comunicazione e degli scambi del team, creazione e supporto di processi di
apprendimento.

Hackman e Wageman distinguono 3 forme di coaching di squadra:


- il coaching motivazionale riguarda lo sforzo profuso dai membri del team
- il coaching consultivo è incentrato sulla strategia prestazionale del team
- il coaching educativo si occupa delle conoscenze e delle abilità dei membri del team.

Un importante obiettivo del coaching è aiutare il team a riflettere sui processi in atto.
La semplice valutazione retrospettiva all’interno del team (team debrief) migliora l’efficacia del
team fino al 20-25%. Il TEAM DEBRIEF permette di riflettere su specifici processi di squadra
come i comportamenti di aiuto e la condivisione di informazioni. Valutazioni che possono
essere condotte in qualunque momento e si tratta di un’occasione per fermarsi e interrogarsi.

Un compito fondamentale del leader di un team è incoraggiare la riflessione, in modo che i


processi che mettono a repentaglio l’efficacia del team possono essere modificati.
Le analisi mostrano una moderata influenza positiva di alcuni comportamenti di leadership,
come la strutturazione del lavoro, la produttività e l’efficienza del team, con una relazione più
marcata tra empowermente da parte del leader e apprendimento del team.

PROCESSI DI SQUADRA

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I processi sono mutevoli ma possono essere caratterizzati in termini di stati emergenti, questi
stati influenzano la prestazione. Es: uno stato di fiducia reciproca e uno stato di conflitto e
tensione. Un importante tema di ricerca è l’individuazione degli stati emergenti cruciali per
l’efficacia della squadra. Il termine processo implica qualcosa che abbia un corso di azioni
interdipendenti dirette a un fine. Molte cose accadono nelle interazioni umane e per ordinare la
ricerca sui team, gli studiosi distinguono 3 tipi di processi di squadra:

- PROCESSI COGNITIVI: cognizione di squadra (team cognition) come uno stato


emergente che si riferisce al modo in cui le conoscenze importanti per il funzionamento
del team sono organizzate, rappresentate e distribuite all’interno del team, e
consentono ai suoi membri di fare previsioni e compiere azioni. Alcuni parlano di
“conoscenza di squadra” data la grande varietà di processi cognitivi all’opera nel lavoro
di squadra. La conoscenza facilita la prestazione. Un team efficace è un team che ha
individuato i principali soggetti interessanti, le risorse disponibili e le aspettative esterne
e ha compreso come il team è interconnesso con altri team e perché. Queste
conoscenze guidano i membri del team nel loro lavoro quotidiano. L’apprendimento di
gruppo come processo sociale di costruzione della conoscenza può essere descritto
come l’elaborazione di un’interpretazione condivisa del problema o del compito in un
momento specifico. I team apprendono e si sviluppano attraverso la condivisione di
input esterni, l’attività di squadra e la riflessività di squadra e attraverso la gestione
costruttiva dei conflitti tra il lavoro sul compito e il lavoro nel team. In seguito
l’interpretazione condivisa può essere modificata e corretta grazie alla riflessività e al
feedback di soggetti interessati esterni al team. L’apprendimento di squadra è un
processo di pensiero collettivo che si combina con la riflessività. La riflessività consente
al team di fare luce sui sistemi di credenze che ostacolano le prestazioni e
l’apprendimento. Le evidenze indicano che l’apprendimento di squadra come processo
di costruzione di un significato condiviso è cruciale per l’efficacia del team. La
consapevolezza da parte del team del suo patrimonio conoscitivo, l’insieme delle
conoscenze su ciò che i singoli membri sanno, e il sapere collettivo condiviso su chi sa
cosa, consentono ai membri del team di comunicare efficacemente e di coordinare il
lavoro di squadra. La consapevolezza di chi sa che cosa è stata chiamata memoria
transattiva, aiuta i membri a rivolgersi alla persona giusta. Tale memoria transattiva è
legata al trasferimento della conoscenza, essa serve sia per lo svolgimento di un
compito sia per il trasferimento dell’apprendimento così che il team possa precedere e
dedicarsi ad altre attività.
I membri del team hanno un modello mentale dei loro compiti individuali e del loro
ambiente e quando condividono modelli mentali del team simili, possono comunicare
più facilmente e avere prestazioni migliori. I MODELLI MENTALI DEL TEAM (TEAM
MENTAL MODELS TMM) sono strutture conoscitive condivise che consentono al team di
costruire spiegazioni e aspettative su quello che sta facendo, di comunicare e
coordinare ciò che viene fatto e di adattare il proprio comportamento alle richieste del
compito e agli altri membri del team. I TMM regolano le prestazioni e consentono ai
team di prevedere ciò che deve essere fatto e di prepararsi in modo adeguato. Vi sono
quattro tipi di TMM che influiscono sull’efficacia dei team:
1. conoscenti riguardanti il compito, i risultati attesi, i requisiti prestazionali, gli
standard, i problemi legati al compito (modello mentale del compito)
2. conoscenze riguardanti i materiali, gli strumenti e le risorse (modello mentale dei
materiali)
3. conoscenze riguardanti la composizione e le risorse del team, le preferenze, i valori,
le abitudini e le caratteristiche relative a conoscenze, competenze e abilità (KSAO)
dei membri del team (modello mentale dei membri del team)
4. conoscenze su come interagire efficacemente nel team (modello dell’interazione nel
team).
I modelli mentali del team sono rappresentazioni mentali condivise su che cosa fare.
IL CLIMA DEL TEAM è l’interpretazione condivisa dal team di quali dovrebbero essere gli
obiettivi. E’ qualcosa di natura più generale e dipendente dall’interpretazione condivisa
dal team delle aspettative e delle richieste esterne, viene definito come “l’insieme di
norme, atteggiamenti e aspettative che percepiamo all’opera in un certo contesto”.
Molte organizzazioni si preoccupano di come crearlo. Un team efficace non solo
comprende e porta a termine il suo compito principale, ma svolge compiti extra-ruolo
per continuare a migliorare secondo le aspettative dei soggetti interessati esterni al

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team. Le ricerche evidenziano l’importanza del clima del team per i risultati
organizzativi e l’apprendimento e il benessere individuali es: nei team ligi ai regolamenti
e alle procedure di sicurezza vi sarà un clima orientato alla sicurezza. Al clima sono
legati anche i TMM nella misura in cui descrivono che cosa fare.
Quindi le conoscenze possedute dal team facilitano la focalizzazione sul compito e tutti i
processi cognitivi influenzano i modi in cui viene regolata la prestazione

- PROCESSI AFFETTIVO-MOTIVAZIONALI: le interazioni sociali sono punteggiate di


emozioni. I processi affettivi influenzano la prestazione. I processi affettivi influenzano i
processi cognitivi, come l’apprendimento di squadra. Il concetto di SICUREZZA
PSICOLOGICA fa riferimento a quanto sia sicuro provare a sfidare lo status quo e
mettere in discussione le procedure abituali e i modi di pensare consueti. Tale sicurezza
è importante per la riflessività del team. Esprimere un punto di vista critico è più facile
quando il clima affettivo ci mette al sicuro dai rischi interpersonali. I membri parlano
apertamente senza paura di essere criticati. La sicurezza psicologica è legata alla
FIDUCIA NEL TEAM. Quando ci fidiamo accettiamo di essere vulnerabili di fronte agli
altri: abbiamo fiducia che l’altro compirà un’azione per noi importante anche se noi non
siamo in grado di controllare il corso degli eventi. La sicurezza psicologica e la fiducia
sono importanti per la riflessività e l’apprendimento del team poiché le persone quando
sono di fronte a una situazione di potenziale minaccia tendono ad agire in modi che
inibiscono l’apprendimento. E’ stato dimostrato che la fiducia nel team aiuta a gestire i
conflitti poiché permette di accettare e di affrontare i contrasti sui compiti senza
trasformali in conflitti interpersonali. IL COMMITMENT nei confronti del team va sotto il
nome di COESIONE = la risultante di tutte le forze che agiscono sui membri di un
gruppo affinchè essi rimangano al suo interno. Le tre dimensioni della coesione
(coesione interpersonale, orgoglio di appartenenza e coesione rispetto al compito= sono
tutte correlate alla prestazione. Un’altra caratteristica affettivo-motivazionale è
l’EFFICACIA COLLETTIVA: la credenza condivisa che il team abbia la capacità collettiva di
organizzare ed eseguire azioni così da raggiungere un certo livello di prestazione in
rapporto a un obiettivo. L’esperienza ripetuta di portare a termine compiti difficili con
buoni risultati darà al team un senso di efficacia collettiva. L’efficacia cresce con la
difficoltà dei compiti affrontati. I CONFLITTI possono essere soprattutto cognitivi, ma
tipicamente suscitano tensioni e implicano emozioni. Se non vengono gestiti possono
aggravarsi e creare problemi ai membri del team e dell’organizzazione. Ci sono effetti
negativi dei conflitti sulla prestazione del team e sulla soddisfazione dei suoi membri.
Dall’altra parte i conflitti possono essere utili, se influenzano in senso positivo la qualità
delle decisioni, l’apprendimento di gruppo, la creatività e l’innovazione. Sicurezza
psicologica, fiducia nel team, coesione ed efficacia collettiva sono tutti stati affettivi e
motivazioni che possono svilupparsi nel tempo. Essi influenzano l’apprendimento e le
prestazioni del team. I conflitti sono inevitabili e, se gestiti correttamente, possono
essere utili e permettere di affrontare meglio sia il lavoro sul compito, sia il lavoro nel
team. In un clima amichevole è più facile cooperare e i membri del team sono più
motivati a riflettere sulle loro prestazioni.

- PROCESSI COMPORTAMENTALI: Ciò che un team si sforza di fare per raggiungere un


obiettivo, rispondere alle richieste del compito e coordinare le sue attività costituisce la
prestazione del team. La prestazione non è il risultato. La capacità di un team di
modificare la sua prestazione in risposta ai cambiamenti delle richieste esterne è una
prima caratteristica chiave del lavoro di squadra. Altre sono: il reciproco monitoraggio
delle prestazioni per garantire una prestazione adeguata, il fatto che i membri del team
si supportino a vicenda, il mantenimento di un orientamento di squadra affinchè il
lavoro del team sia efficace anche sotto pressione = questo è quello che fanno i team
efficaci. I loro membri coordinano, cooperano e comunicazione.
La COMUNICAZIONE regola le attività e i processi di regolazione sono basati sulle
conoscenze del team. Classicamente la comunicazione è considerata uno strumento di
coordinazione delle attività individuali e supporta sia il lavoro sul compito sia il lavoro
nel team. La coordinazione delle attività dei singoli membri del team è essenziale
affinchè queste attività siano combinate e armonizzate non solo nei termini della
relazione fra i sotto-compiti e il compito e l’obiettivo condiviso della squadra, ma anche
dal punto di vista della tempistica.
La coordinazione implica:

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- la combinazione delle azioni e degli sforzi dei membri del team
- la sincronizzazione temporale ed esecutiva delle azioni e degli sforzi combinati dagli
stessi
La cooperazione è definita dall’apporto intenzionale di contributi personali alla
realizzazione di un’attività interdipendente. Richiede che i membri si applichino a ciò
che va fatto e poi lo facciano, opposto dell’inerzia sociale.
I team efficaci valutano regolarmente le procedure abituali per individuare ciò che può
ostacolare la prestazione. I processi cognitivi governano la prestazione e i processi
affettivi possono facilitare sia l’apprendimento sia l’esecuzione dei compiti.

PROCESSI DI SQUADRA E PROCESSI DI LEADERSHIP CHE HANNO INFLUENZA SUI RISULTATI

Mediatori
Processi di squadra
- Processi cognitivi: costruzione, attraverso l’apprendimento di squadra e la riflessività, di
significati condivisi che col tempo diventano stati emergenti (TMM, clima del team)
- Processi affettivi: sentimenti di sicurezza e fiducia, gestione delle emozioni suscitate dai
conflitti, senso di coesione, senso di efficacia del team
- Processi comportamentali: lo sforzo da parte del team per raggiungere un obiettivo e
rispondere alle richieste poste dal compito attraverso la coordinazione, la coopeazione e
la comunicazione, la prestazione del team per raggiungere i risultati attesi
- Processi di leadership: coaching, promozione di struttura, mantenimento della
focalizzazione sul compito

CONCLUSIONI
L’efficacia di un team dipende dagli input (risorse e richieste contestuali) e dai processi di
squadra.
Gli input sono determinati contestualmente e variano da un’organizzazione all’altra.
Gli individui differiscono per caratteristiche KSAO, personalità, capacità cognitive generali,
mentre le caratteristiche del team e la definizione del compito dipendono dalla struttura e dagli
obiettivi dell’organizzazione.
Quando gli input dei vari livelli sono in sintonia, influenzano positivamente i risultati attraverso i
processi. I processi di leadership e i processi di squadra sono interdipendenti e le conoscenze
del team, la riflessione sulle attività in corso e la capacità di restare focalizzati sul compito
anche sotto pressione, sono tutti fattori che migliorano la prestazione del team.
Un clima amichevole, il senso di fiducia reciproca e la percezione di efficacia rendono possibile
l’apprendimento di squadra e motivano il team ad affrontare compiti più impegnativi.

I singoli membri di un team formano un’entità collettiva che costituisce anche un contesto da
cui gli stessi membri sono influenzati. Le connessioni su più livelli (membri del team, contesto
del team e contesto organizzativo) costituiscono risorse ce richiedono perché il team sia
efficace, dei processi di squadra ben coordinati.
I compiti complessi influenzano l’apprendimento di squadra. Perché chiamano in causa il
processo di regolazione mentale con il quale il team, attraverso la comunicazione giunge a
condividere diverse interpretazioni del compito e a mettere in discussione e co-costruire il
significato sia dei risultati attesi sia del compito, forse andando oltre il compito prefissato.
Una competente azione di coaching da parte del leader del team e fattori affettivi come la
fiducia nel team e la sicurezza psicologica possono stimolare la riflessione sulle abituali
procedure lavorative in relazione alle aspettative esterne e produrre un clima di squadra
orientato al cambiamento e all’innovazione. Ciò a sua volta può influire sulla prestazione del
team e esso può avere un ruolo nei cambiamenti e nei processi di sviluppo che generano
innovazione.

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CAPITOLO 13 - Cambiamento organizzativo

 Conoscere le diverse prospettive teoriche sul cambiamento organizzativo

 Conoscere alcuni tipi di cambiamento organizzativo

 Comprendere il modo in cui i dipendenti valutano le iniziative di cambiamento e


reagiscono a esse

 Conoscere le conseguenze del cambiamento organizzativo, con particolare attenzione


per l’insicurezza occupazionale

 Conoscere i fattori individuali e organizzativi che possono influire sulle conseguenze del
cambiamento organizzativo per i dipendenti

Un fattore importante del modo in cui i dipendenti reagiscono a un cambiamento organizzativo


è la percezione e la valutazione del cambiamento stesso, se come una minaccia o
un’opportunità. Quando il cambiamento è percepito come qualcosa di stressante, le persone
tendono ad assumere un atteggiamento difensivo e mettere in atto meccanismi di difesa. Se
invece è interpretato positivamente c’è la speranza che certe aspettative troveranno
realizzazione. Poiché la maggior parte delle persone sembra preferire la stabilità quando si
tratta del proprio impiego i cambiamenti organizzativi tendono a essere vissuta come una fonte
di stress.

INTRODUZIONE

Il cambiamento organizzativo: esso implica una transizione da uno stato all’altro, una
transizione che può riguardare l’organizzazione nel suo insieme o solo alcuni elementi. Tali
cambiamenti organizzativi sono di solito interpretati nei termini dello stato precedente al
cambiamento (stato attuale) e dello stato successivo al cambiamento (stato desiderato). ù

Le organizzazioni tra un cambiamento e l’altro si trovano in uno stato più o meno permanente
o stabile e le differenze tra lo stato precedente al cambiamento e quello successivo sono
conseguenza del cambiamento stesso. I cambiamenti organizzativi sono pianificati e realizzati

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perché vi è necessitò di un cambiamento (situazione attuale non soddisfacente) e l’obiettivo
del cambiamento è spesso quello di migliorare l’organizzazione.

Diversi elementi che determinano il cambiamento: i cicli congiunturali, l’aumento della


concorrenza (globalizzazione), l’introduzione di nuove tecnologie, apertura dei mercati, arrivo
di nuovi prodotti, cambiamenti della domanda dei consumatori, intervento di soggetti politici o
di altre parti interessante.

Per essere considerato efficace un cambiamento organizzativo deve aver realizzato e


instaurato lo stato che era desiderato prima del cambiamento. Le ricerche mostrano che 2/3
dei cambiamenti organizzativi non hanno successo e ciò è dovuto al fatto che le organizzazioni
sottovalutano il ruolo chiave dei dipendenti nel cambiamento.

E’ più facile implementare un cambiamento organizzativo se i dipendenti lo supportano e


partecipano attivamente ad esso piuttosto che contrastarlo. Perché abbia successo i dipendenti
devono avere un atteggiamento positivo verso il cambiamento e i suoi obiettivi e contribuire
attivamente a raggiungerli. Ma per i dipendenti, tutti o quasi, i cambiamenti organizzativi
portano un certo grado di incertezza, pericolo, perdita del controllo sulla situazione. Per la
reazione dell’individuo al cambiamento un fattore importante è quanto gli individui interessati
giudicano lontano il cambiamento e in che misura pensano ne saranno investiti.

Quando una persona crede che il cambiamento sia vicino e possa influenzare
significativamente la sua situazione lavorativa (cambiamento prossimale) essa reagirà con
+ forza rispetto a quando giudica il cambiamento lontano e con poche possibilità di
influenzare la sua situazione lavorativa (cambiamento distale).

I dipendenti che reagiscono negativamente ai cambiamenti organizzativi riferiscono


atteggiamenti più negativi nei confronti del lavoro e dell’organizzazione.

I dipendenti tendono a mettere in atto vari meccanismi di difesa: es apatia, ritiro o


resistenza attiva. Questi influenzano negativamente la salute e il benessere dei
dipendenti.

Il modo in cui le persone accolgono un cambiamento e reagiscono ad esso non ha


conseguenze solo per il dipendente ma incide sulla possibilità che l’organizzazione
raggiunga gli obiettivi prefissati.

GLI OGGETTI DEI CAMBIAMENTI ORGANIZZATIVI

Un’organizzazione può essere descritta nei termini di 5 componenti fondamentali:

- le persone che ne fanno parte: i cambiamenti riguardanti le persone comprendono


mutamenti nel numero di dipendenti (es: quando un’org. si espande o riduce),
anche la competenza può cambiare

- attività che vengono svolte in un’org., ciò che i dipendenti fanno


nell’organizzazione. Le attività cambiano quando vengono introdotte nuove
tecnologie, quando si iniziano a produrre nuovi beni, quando vengono offerti nuovi
servizi ai clienti o quando vengono introdotte nuove pratiche lavorative

- gli obiettivi dell’organizzazione, quelli esistenti possono essere modificati e definiti


di nuovi.

- struttura dell’organizzazione: cambia quando la leadership e il management di


un’organizzazione mutano. Es: il grado di centralizzazione può aumentare o
diminuire.

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- cultura dell’organizzazione che è difficile da cambiare, perché permea tutte le
componenti dell’org. Anche se alcune componenti cambiano la cultura può
sopravvivere nelle componenti che sono rimaste immutate.

Ci si pone la domanda: quante componenti devono cambiare e in che misura, affinchè


abbia luogo un cambiamento organizzativo?

CAMBIAMENTO RADICALE O CAMBIAMENTO EVOLUTIVO

I cambiamenti su larga scala sono stati chiamati rivoluzionari, discontinui, radicali,


trasformazionali e anche del secondo ordine. Cambiamenti complessivi che interessano
un’intera organizzazione o almeno grandi parti di essa. I cambiamenti di questo tipo sono
pianificati con cura e promossi strategicamente dal management affinché abbiano luogo in
un breve arco di tempo.

A questi si contrappongono i cambiamenti evolutivi, continui, convergenti, transazionali e


del primo ordine. Tutti quei cambiamenti che avvengono in ogni momento in
un’organizzazione. Possono essere aggiustamenti o miglioramenti che sono stati realizzati
dai dipendenti senza disposizioni del management, possono riguardare parti differenti
dell’organizzazioni.

La distinzione tra CAMBIAMENTI SU LARGA SCALA (radicali) E CAMBIAMENTI SU PICCOLA


SCALA (evolutivi) non è una dicotomia assoluta: questi cambiamenti possono essere
pensati come gli estremi di un continuum.

I cambiamenti organizzativi possono essere visti come un fenomeno organizzativo poiché


incidono sull’organizzazione del lavoro e sulla struttura complessiva dell’azienda ma anche
come un fenomeno a livello individuale che influisce sulla situazione occupazionale dei
dipendenti.

Tipicamente la letteratura sul cambiamento organizzativo riguarda soprattutto i


cambiamenti su larga scala.

MODELLI DI CAMBIAMENTO SEQUENZIALE

Vi sono molti modelli di cambiamento che cercano di comprendere in che modo i cambiamenti
organizzativi sono pianificati e messi in atto. Questi modelli sono basati sull’idea che il
cambiamento passi attraverso una serie di stadi o fasi, sono così chiamati modelli di
cambiamento sequenziale. Un modello di cambiamento sequenziale è il MODELLO A TRE STADI
DI KURT LEWIN. Secondo Lewin per attuare un cambiamento con successo, le resistenze al
cambiamento vanno affrontate a livello delle norme del gruppo. Se c’è accettazione del
cambiamento nel gruppo, i suoi membri finiranno con l’adattarsi alla norma e accetteranno più
facilmente il cambiamento. Per creare tale accettazione bisogna far si che tutti comprendano e
accettino i fini del cambiamento e la sua necessità. Ciò significa far si che le persone
interessate dal cambiamento si rendano conto che le cose come stanno non funzionano o non
funzioneranno in futuro. Perciò la struttura deve dissolversi in quella che Lewin chiama:
- FASE DI SCONGELAMENTO
- seguita dalla FASE DI CAMBIAMENTO (o trasformazione= nella quale il cambiamento è
messo in atto dall’organizzazione
- segue la fase di RICONGELAMENTO: nella quale il nuovo sistema si assesta e si
consolida nell’organizzazione.
Lewin sosteneva che spesso le persone tornano a fare le cose come prima a meno che i
comportamenti in linea con il nuovo sistema non siano rinforzati attraverso la ripetizione.
Questo modello a 3 stadi relativamente semplice: scongelamento, cambiamento e
ricongelamento ha ispirato tutti i successivi modelli di cambiamento sequenziale per stadi. I 3
stadi sono spesso suddivisi in ulteriori fasi attraverso ile quali l’organizzazione deve passare

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affinchè il cambiamento abbia successo.

I modelli di CAMBIAMENTO SEQUENZIALE poggiano su 3 assunti fondamentali:


a) un cambiamento organizzativo può avere un punto di partenza
b) è possibile governare e controllare la direzione e la natura del cambiamento
c) un cambiamento organizzativo può giungere a termine e il cambiamento può essere
reso permanente.

I modelli di cambiamento sequenziale sono stati molto criticati per la loro natura statica e per
l’assunto che tutte le org. possano passare attraverso gli stadi postulati. I critici sostengono
che invece i cambiamenti sono dinamici e difficili da pianificare e controllare. In tale
prospettiva i cambiamenti sono continui ed evolutivi e non hanno inizio-fine definiti e
rappresentano il cambiamento organizzativo in forma circolare dove l’emergere di nuove
sequenze di cambiamenti è accompagnato dal venir meno delle sequenze precedenti

I VARI TIPI DI CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO


LO SVILUPPO ORGANIZZATIVO
Anche se molti cambiamenti organizzativi appaiono spaventosi agli occhi dei dipendenti, non
tutti suscitano comportamenti negativi. I PROGRAMMI DI SVILUPPO ORGANIZZATIVO variano
per ampiezza e durata e possono riguardare solo alcuni dipendenti o unità ma anche l’intera
organizzazione. Tali programmi hanno l’obiettivo di dotare le persone o l’organizzazione di
competenze utili per progredire ancora e per gestire le future sfide organizzative. Essi sono
perciò proattivi e orientati al futuro. Un programma di sviluppo organizzativo è un sistema di
misure pianificate dal management per modificare la struttura e/o le attività di
un’organizzazione allo scopo di renderla più funzionale. I programmi di questo tipo sono messi
in atto quando un’org. è in buona salute e in espansione. Essi mirano ad allargare la quota di
mercato dell’org., a trovare nuovi sbocchi per i suoi prodotti o ampliare il personale assumendo
nuovi dipendenti.

RIDIMENSIONAMENTO
Un altro cambiamento organizzativo, che potrebbe essere considerato l’opposto dello sviluppo
organizzativo è il RIDIMENSIONAMENTO. Benchè il ridimensionamento di un’organizzazione
possa assumere forme diverse e toccare aspetti diversi dell’organizzazione, esso implica quasi
sempre una riduzione dei dipendenti e perciò è divenuto un sinonimo di taglio del personale.
Il ridimensionamento è stato definito come una riduzione deliberata e pianificata delle
dimensioni di un’organizzazione per accrescerne la reddittività. Vi sono diversi metodi per
ridurre il personale, tra i quali l’interruzione (temporanea o definitiva) del rapporto di lavoro.
Per ridurre il personale si può anche ricorrere a misure di incentivo dell’esodo per i dipendenti
che hanno raggiunto una certa età o si può adottare la misura più graduale di non assumere
nuovi dipendenti quando quelli vecchi lasciano il lavoro.
Ma il più comune ridimensionamento consiste nel tagliare, sotto la spinta del panico, il numero
di dipendenti di un’organizzazione. Le persone perdono il lavoro e finiscono disoccupate con
tutte le conseguenze che questo comporta. Il ridimensionamento implica che alcune persone
continueranno a lavorare nell’organizzazione ridimensionata (a differenza della chiusura in cui
tutti finiscono disoccupati) a questi dipendenti sono detti sopravvissuti. Sono dunque i
sopravvissuti che dovrebbero tirar fuori l’organizzazione dalle difficoltà che hanno portato al
ridimensionamento e restituire vitalità e competitività.
Le ricerche mostrano che le org. che operano un ridimensionamento di solito continuano a
ridimensionarsi ancora e che molte org. ridimensionate finiscono col chiudere.
Una ragione per cui il ridimensionamento è una strategia che difficilmente ha successo ha a
che fare con le reazioni dei sopravvissuti, che includono atteggiamenti più negativi nei
confronti del lavoro e dell’organizzazione, prestazioni peggiori, aumento delle assenze e
congedi per malattia. Un altro problema è ridurre al minimo il turnover del personale, poiché è
probabile che i sopravvissuti più occupabili, con competenze specifiche, dedicano di lasciare
l’organizzazione.

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Le ricerche mostrano quanto sia importante occuparsi delle persone rimaste
nell’organizzazione dopo un ridimensionamento poiché c’è il rischio che le loro reazioni siano
simili a quelle dei disoccupati di lungo periodo

FUSIONI E ACQUISIZIONI
Un altro cambiamento organizzativo è la fusione, due o più organizzazioni su uniscono per
formarne una più grande. Il rapporto di potere tra le organizzazioni può anche essere
sbilanciato, con una delle due a dominare la nuova aggregazione.
Le organizzazioni possono anche unirsi per acquisizione: in questo caso un’organizzazione più
grande acquisisce o incorpora una o più organizzazioni più piccole che finiscono con l’essere
assorbite dalla prima. Nelle acquisizioni accade spesso che l’assorbimento sia totale, e che
l’organizzazione dominante che effettua l’acquisizione costringa l’altra a rinunciare al nome e
alla struttura organizzativa.
Sia le fusioni, sia le acquisizioni possono comportare un ridimensionamento (tagli del
personale), quando la ragione dell’unione è in parte finanziaria, vi sarà probabilmente il
tentativo di ottenere risparmi attraverso razionalizzazioni, ad esempio eliminando risorse
umane o servizi ridondanti. Le ricerche hanno mostrato che in queste situazioni i dipendenti
dell’organizzazione assorbita tendono a reagire con incertezza e ostilità, ma anche con stress.

PRIVATIZZAZIONI
Vi sono anche altri tipi di cambiamento di proprietà e di funzionamento che comportano
cambiamenti organizzativi. es: le attività/org. pubbliche che vengono privatizzate. Ma anche in
altri tipi di cambiamento proprietario.
L’argomento a sostegno di queste forme di deregolamentazione e privatizzazione di attività
pubbliche si basa sull’idea che quando l’org. si trova a competere in un mercato aperto, vi sia
un vantaggio economico e la qualità dei prodotti o dei servizi dell’org. sia migliore.
Gli effetti della privatizzazione sono stati studiati nella psicologia del lavoro: le ricerche
mostrano che sia la soddisfazione lavorativa, sia il benessere generale del personale
peggioravano in seguito alla privatizzazione dell’organizzazione. Altri studi dicono che i medici
di un ospedale privato erano più soddisfatti della loro occupazione dei medici che lavoravano
in uno pubblico. Ancora ci sono difficoltà a definire gli effetti delle privatizzazioni sui singoli
dipendenti. Alcuni ricercatori sostengono che i cambiamenti del tipo di proprietà sono
cambiamenti distali che non hanno un impatto particolarmente forte sulla situazione lavorativa
immediata dei singoli dipendenti.

LA VALUTAZIONE DEL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO DA PARTE DEI DIPENDENTI


Ciò che i dipendenti pensano di un cambiamento organizzativo può influire sul suo successo. Le
ricerche condotte per spiegare come i dipendenti percepiscono i cambiamenti organizzativi e
reagiscono ad essi fa emergere due fattori di valutazione.
Il primo ha a che fare con la natura e il contenuto del cambiamento. Quindi non riguarda
solo il tipo di cambiamento organizzativo e la probabilità che il cambiamento influisca sulla
situazione lavorativa immeditata della persona o no ma anche la valutazione fatta dalla
persona sull’utilità e sulla legittimità del cambiamento. La valutazione complessiva del
cambiamento da parte dei dipendenti dipende dal fatto che sia interpretato come necessario,
legittimo e adeguato. Tuttavia anche se le persone comprendono le ragioni del cambiamento e
ne accettano i contenuti, la loro valutazione su come viene attuato resta decisiva, ed è
importante che esse sentano di essere trattate in modo corretto dall’organizzazione. Questo è
il secondo fattore chiave delle reazioni individuali al cambiamento. L’implementazione del
cambiamento, il processo, è altrettanto importante per le reazioni individuali rispetto al
cambiamento in sé.

Le teorie dello stress vengono utilizzate per spiegare le valutazioni e le reazioni dei dipendenti
rispetto a ciò che accade nel loro ambiente, come i cambiamenti organizzativi. Una teoria
particolarmente preziosa è la TEORIA TRANSAZIONALE DELLO STRESS DI LAZARUS E FOLKMAN:
secondo cui la valutazione di un evento è un fattore determinante delle reazioni individuali.
Comprendere i meccanismi che possono spiegare come i vari aspetti del cambiamento
organizzativo si traducono nelle reazioni dei dipendenti non è solo interessante ma anche di
grande importanza per la gestione di un’organizzazione.
La teoria transazionale dello stress sostiene che gli individui interpretano e valutano che cosa
una situazione possa significare per loro e ciò determina il modo in cu essi reagiranno.

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L’assunto alla base del modello è che gli individui interpretano la situazione o l’evento e questa
interpretazione determina il modo in cui reagiranno. In questo processo di valutazione le
persone cercano di interpretare ciò che la situazione, il cambiamento organizzativo, può
significare per loro. Secondo il modello, nella prima fase del processo valutativo (valutazione
primaria), gli individui cercano di determinare se il cambiamento organizzativo li riguarda o no.
Se non lo riguarda la situazione viene giudicata irrilevante, se invece il cambiamento viene
giudicato rilevante l’individuo cercherà di determinare se si tratta di un evento positivo oppure
potenzialmente stressante. I dipendenti che lo valutano positivamente lo vedono come
un’opportunità che può portare a conseguenze positive. Dopo la valutazione primaria, il
cambiamento organizzativo può essere giudicato potenzialmente stressante, cioè come una
situazione che produce o minaccia un danno o che rappresenta una sfida. Queste valutazioni di
danni o perdite reali o potenziali si riferiscono normalmente alle conseguenze negative del
cambiamento organizzativo sul lavoro, su certi compiti lavorativi, sui colleghi, sulla sicurezza e/
o sulla stabilità.
Valutare una situazione come una sfida significa considerare le richieste lavorative come
qualcosa di difficile ma non del tutto impossibile, cui si può far fronte attraverso il duro lavoro,
la perseveranza e la capacità di adattamento.

Nel modello di LAZARUS E FOLKMAN i cambiamenti organizzativi giudicati stressanti sono


sottoposti a un’altra valutazione, dopo quella primaria, questa valutazione secondaria riguarda
il modo di affrontare la situazione. Indipendentemente dal fatto che la situazione stressante sia
associata a una perdita, a una minaccia o a una sfida, la persona è chiamata a valutare di quali
risorse ha bisogno per gestire la situazione e a capire se può utilizzare una delle strategia a sua
disposizione per far fronte allo stress percepito associato alla situazione.

Anche se la valutazione primaria di stress (intesa come danno, minaccia o sfida) possono
presubilmente portare a conseguenze organizzative diverse, queste dipendono dalle risorse
individuate nella valutazione secondaria.
Le due fasi di valutazione non sono eventi a sé stanti, ma piuttosto parti di un processo ciclico
e dinamico, giacchè gli individui riconsiderano la loro valutazione primaria sulla base dei
risultati della valutazione secondaria. In questo contesto va sottolineato che le categorie della
minaccia e della sfida non sono necessariamente esclusiva. Un cambiamento organizzativo, o
qualsiasi situazione potenzialmente stressante, può contenere sia elementi di minaccia sia
elementi di sfida.

Le reazioni dei dipendenti al cambiamento organizzativo secondo la teoria dello stress di


Lazarus e Folkman.

LE CONSEGUENZE DEL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO


La valutazione del processo di cambiamento da parte di una persona è decisiva nel
determinare come essa reagirà giacchè è probabile che un cambiamento organizzativo abbia
conseguenze diverse se viene considerato irrilevante, positivo o potenzialmente stressante.

Le conseguenze del cambiamento organizzativo possono essere classificate in diversi modi. Si


possono distinguere in base agli atteggiamenti lavorativi (soddisfazione lavorativa
commitment, engagement), alla salute (mentale o fisica) o al comportamento.

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Le conseguenze possono essere classificate secondo il punto di vista del dipendente o quello
dell’organizzazione. Un’altra dimensione delle conseguenze del cambiamento organizzativo è il
tempo poiché non tutte le conseguenze si manifestano dopo lo stesso tempo.

CONSEGUENZE PER IL DIPENDENTE


Secondo varie teorie dello stress l’incertezza se avrà luogo qualcosa di stressante può in realtà
pesare sull’individuo più dell’evento stressante in sé. Quando è avvenuto o quando è noto che
avverrà qualcosa di stressante l’individuo può cominciare a valutare quali risorse potrà mettere
in campo per far fronte (coping) alla situazione. L’incertezza su ciò che accadrà rende
problematico il coping, poiché è difficile sapere quali strategie potranno essere utili per
affrontare la situazione.

Dato che le prime fasi di un cambiamento organizzativo sono caratterizzate da incertezza, tra
le conseguenze a breve termine dei cambiamenti organizzativi vi sono spesso sentimenti di
irritazione, sconforto. I dipendenti possono assumere un atteggiamento difensivo e ricorrere a
vari meccanismi di difesa per affrontare la situazione.
Altre conseguenze a breve termine possono essere la previsione da parte dei dipendenti che il
contenuto del lavoro possa cambiare e diventare meno significativo e la loro preoccupazione
per gli effetti del cambiamento sul posto di lavoro e sulla futura situazione finanziaria.

CHI E’ L’INTERESSATO DELLA DIMENSIONE TEMPORALE DELLA CONSEGUENZA


CONSEGUENZA
A breve termine A lungo termine
DIPENDENTI Reazioni psicologiche Salute mentale e fisica
Effetti di spillover dal lavoro Equilibrio vita-lavoro
alla vita privata
ORGANIZZAZIONE Atteggiamenti lavorativi Comportamento lavorativo

Le conseguenze a lungo termine riguardano soprattutto vari aspetti della salute e del
benessere. Le ricerche hanno mostrato che i cambiamenti organizzativi sono legati a un
aumento dei problemi di salute mentale. Anche se tali effetti negativi tendono a diminuire con
il tempo.
I cambiamenti che comportano estere riduzioni del personale hanno conseguenze peggiori per i
dipendenti rispetto ad altri tipi di cambiamenti. Si parla di “senso di colpa dei sopravvissuti e
sindrome dei sopravvissuti” per descrivere le reazioni del personale rimasto in azienda dopo
tagli di vasta portata. Tali reazioni possono comprendere il senso di colpa verso i colleghi che
hanno perso il lavoro e l’adozione di atteggiamenti negativi nei confronti dell’organizzazione e
del management. La maggior parte dei cambiamenti organizzativi e delle ristrutturazioni tende
ad avere conseguenze negative per il benessere dei dipendenti, indipendentemente dal fatto
che i cambiamenti includano riduzioni di personale oppure no. Le conseguenze negative
sembrano aver luogo soprattutto quando i dipendenti sperimentano ripetuti cambiamenti o
quando i dipendenti sono lasciati a lungo nell’incertezza.
I cambiamenti radicali e su larga scala tendono ad avere un impatto maggiore sui dipendenti
rispetto ai cambiamenti evolutivi e su piccola scala. I cambiamenti che comportano
licenziamenti riguardano non solo le persone che vanno via ma anche quelle che restano.
Le conseguenze dipendono anche dalla circostanza se il cambiamento sia più prossimale o
distale.
La valutazione del cambiamento (irrilevante, positivo o stressante) non solo determina come gli
individui fanno fronte alla situazione, ma anche quali ne saranno le conseguenze.

Schema concettuale per studiare le reazioni comportamentali degli individui ai cambiamenti


organizzativi. Secondo lo schema le risposte dei dipendenti ai cambiamenti organizzativi
possono essere classificate secondo due coppie di attributi
- risposte passive
- risposte attive

- risposte distruttive
- risposte costruttive
Queste coppie di attributi possono combinarsi in 4 possibili risposte: uscita (exit), parola
(voice), fedeltà (loyalty), e disinteresse.

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La combinazione tra la risposta attiva e quella distruttiva corrisponde ai dipendenti che
lasciano l’organizzazione (uscita). Uscire da un’organizzazione è una risposta individuale attiva,
che pur potendo rappresentare una soluzione costruttiva di fronte al problema, può essere
considerata distruttiva perché interrompe una relazione stabile con l’organizzazione.
L’opzione di uscita richiede di regola che vi siano opportunità di impiego alternative e che
l’individuo sia occupabile.

Una seconda alternativa che combina la risposta attiva e costruttiva è che i dipendenti
esprimano le proprie opinioni sul cambiamento organizzativo e su ciò che dovrebbe accadere
affinchè la situazione cambi a loro beneficio e potenzialmente anche a beneficio
dell’organizzazione. Questa alternativa di solito è spesso scelta da coloro che hanno una
posizione forte nell’organizzazione e che per questa ragione possono trovare attenzione e
ascolto. I dipendenti che occupano posizioni inferiori potrebbero comunicare ai colleghi ciò che
pensano dei cambiamenti e così influenzare l’opinione altri e potenzialmente lo stesso
mutamento, oppure potrebbero ricorrere a forme di comunicazione collettive come i sindacati.

Una terza alternativa passiva e costruttiva, consiste nel mostrare fedeltà all’organizzazione e
sperare di essere ripagati più tardi, trascorsa la turbolenza. Per coloro che hanno una posizione
debole nell’organizzazione l’unica alternativa potrebbe essere quella di ritirarsi da parte ed
evitare di affrontare la situazione (disinteresse). Questa risposta passiva e distruttiva si traduce
in prestazioni di lavoro peggiori e in un rischio maggiore di incorrere in problemi di salute.

E’ stao osservato che le persone alle prese con cambiamenti organizzativi per un periodo
prolungato di tempo possono manifestare effetti di SPILLOVER (ricaduta) dal lavoro alla vita
privata, come disturbi del sonno e maggiore consumo di alcol. Tali effetti di spillover nel lungo
periodo possono provocare conflitti tra il lavoro e la vita privata. Su tempi ancora più lunghi
possono estendersi al benessere di altri membri della famiglia e influenzare le opinioni dei figli
sul lavoro e sulle aspirazioni lavorative

RISPOSTA PASSIVA RISPOSTA ATTIVA


RISPOSTA COSTRUTTIVA Fedeltà Parola
RISPOSTA DISTRUTTIVA Disinteresse Uscita

CONSEGUENZE PER L’ORGANIZZAZIONE

Molte delle conseguenze dei cambiamenti organizzativi colpiscono in prima battura i dipendenti
ma si ripercuotono anche sull’organizzazione. Diversi studi mostrano che i cambiamenti
organizzativi sono associati a un livello inferiore di soddisfazione lavorativa, a un minore
commitment organizzativo e a un maggiore desiderio desiderio di lasciare l’organizzazione. I
cambiamenti organizzativi possono far si che l’org. sia giudicata meno affidabile e che la
fiducia nel management diminuisca. Questi effetti possono insorgere dopo l’annuncio del
processo di cambiamento, in connessione con un aumento dell’incertezza sul futuro.
Su tempi più lunghi gli atteggiamenti negativi tendono a tradursi in comportamenti es:
prestazioni peggiori.
I cambiamenti organizzativi possono anche portare a un maggiore turnover dei dipendenti. I
dipendenti che hanno competenze più apprezzate nel mercato del lavoro hanno più probabilità
di andarsene, chi ha meno competenze potrebbe trovarsi costretto a restare anche qualora
volesse lasciare l’organizzazione. I cambiamenti organizzativi possono causare minore
produttività e maggiori costi per l’organizzazione

IL RUOLO DELL’INSICUREZZA OCCUPAZIONALE


Una diffusa forma di incertezza associata al cambiamento organizzativo riguarda il futuro della
propria posizione nell’organizzazione: è ciò che si chiama INSICUREZZA OCCUPAZIONALE. Molti
dipendenti percepiscono il cambiamento organizzativo come una minaccia per la loro attuale
posizione nell’organizzazione. Anche se il cambiamento non comporta una vera e propria
minaccia i dipendenti possono sentirsi costantemente insicuri su ciò che riserva loro il futuro e
su come l’organizzazione affronterà i cambiamenti esterni.

Uno dei primi modelli teorici dell’insicurezza occupazionale è quello di Greenhalgh e Rosenblatt
che considera le possibili cause e le conseguenze organizzative della percezione di insicurezza

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occupazionale. Loro la definiscono come: L’impotenza percepita a mantenere la desiderata
continuità in una situazione occupazionale minacciata.
Ricerche successive hanno definito l’insicurezza occupazionale come l’anticipazione
sperimentata soggettivamente di un evento fondamentale e involontario riguardante il proprio
impiego futuro.

Queste definizioni poggiano su due assunti: l’insicurezza ha carattere soggettivo nel senso che
individui diversi nella stessa situazione possono sperimentarla in modo diverso e le percezioni
di insicurezza sono involontarie, nel senso che riflettono un cambiamento involontario da uno
stato di sicurezza a uno stato di insicurezza, o nel senso che l’individuo preferirebbe trovarsi in
una situazione occupazionale più sicura di quella attuale.

Il concetto di INSICUREZZA OCCUPAZIONALE è stato ampliato in modo da includere non solo le


minacce all’occupazione in genere ma anche le minacce a quelle caratteristiche del lavoro che
sono significative e importanti per gli individui, come le opportunità di progredire nella carriera
o di accrescere le proprie abilità.
Le ricerche hanno segnalato l’insicurezza occupazionale tra i più comuni fattori dello stress
lavorativo, implica un senso di incertezza sul futuro, spesso sperimentato per un tempo
prolungato, che suscita reazioni di stress negli individui.
Ciò è in accordo con le teorie dello stress secondo cui gli individui che vivono sotto la minaccia
di un evento negativo finiscono con lo sperimentare conseguenze altrettanto negativo di quelle
che l’evento reale porterebbe con sé.
Inoltre l’incertezza comporta anche la perdita di controllo sulla situazione, il senso di impotenza
sulla propria situazione occupazione e su come affrontarla sono annoverati da molti tra le
caratteristiche del concetto di insicurezza occupazionale.

La percezione di insicurezza occupazionale ha conseguenze negative sia per l’individuo sia per
l’organizzazione. Le analisi hanno mostrato associazioni negative tra l’insicurezza
occupazionale e una serie di atteggiamenti collegati al ruolo lavorativo e all’organizzazione tra
cui: la soddisfazione lavorativa, il coinvolgimento lavorativo, il commitment, la fiducia nell’org.

Conclusione: l’insicurezza occupazionale percepita influenza la salute e il benessere delle


persone, nella forma di associazioni negative con la salute mentale e fisica. Inoltre da tali
analisi sono stati rilevati effetti negativi a livello comportamentale, per esempio sulle
prestazioni e sull’intenzione di rimanere nell’org.

E’ stato studiato anche come l’insicurezza occupazionale percepita possa diffondersi all’interno
di un org. attraverso le interazioni individuali, fino a creare un clima di insicurezza.
Tale clima di insicurezza occupazionale è stato associato anche a esiti negativi in termini di
lavoro e salute. Le ricerche mostrano che spesso l’insicurezza occupazionale percepita è
collegata ai cambiamenti organizzativi e comporta una varietà di conseguenze negative.

Per le org. impegnante nel cambiamento, la sfida è ridurre al minimo la percezione di


insicurezza dei dipendenti e le minacce percepite riguardo al proprio futuro occupazionale e
agli aspetti del lavoro che essi tengono in conto.

7. FATTORI CHE INFLUENZANO LA VALUTAZIONE E LE CONSEGUENZE DEL


CAMBIAMENTO
La teoria dello stress ci aiuta a capire come una situazione possa essere valutata e vissuta
diversamente da individui differenti. Anche le conseguenze a cui gli individui vanno incontro
possono differire da una persona all’altra.

Il modello di Katz e Kahn mostra che la valutazione di un cambiamento organizzativo dipende


da due tipi principali di fattori, individuali e organizzativi, che influenzano anche le
conseguenze della percezione individuale della situazione

IMPORTANZA DEI FATTORI INDIVIDUALI


Fattori individuali quali tratti di personalità, strategie di coping e le caratteristiche
demografiche, sono importanti sia per la valutazione della situazione sia del modo in cui le
persone percepiscono una situazione.

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Alcune ricerche mostrano che caratteristiche di personalità come un bassa stabilità emotiva e
una bassa apertura all’esperienza possono alimentare una resistenza al cambiamento
importante per gli atteggiamenti e i comportamenti lavorativi. Inoltre tratti proattivi come la
resilienza, la robustezza psicologica, la perseveranza possono rafforzare la capacità delle
persone di far fronte allo stress associato al cambiamento organizzativo.

es: L’autoefficacia può aiutare i dipendenti a padroneggiare lo stress provocato da


cambiamenti organizzativi.

Influenzano anche la visione negativa della vita in generale (affettività negativa) e la tendenza
a riferire le cause a ciò che accade internamente oppure esternamente (Locus of control
interno o esterno).
Le ricerche hanno mostrato che anche altri fattori individuali come le strategie di coping sono
impo, esse determinano in buona misura le conseguenze delle situazioni stressanti.
Il coping emozionale può spaziare dall’evitare mentalmente una situazione stressante al doloro
per ciò che è stato perduto o si teme di perdere.
Il coping orientato al problema può voler dire cercare di influenzare il processo di cambiamento
levando la propria voce contro una situazione giudicata insoddisfacente o si può tradurre nella
decisione di lasciare l’org.
Ricerche recenti sono giunte alla conclusione che il coping emozionale può essere un primo e
necessario passo grazie al quale gli individui possono abituarsi alla situazione e prepararsi a
usare strategie più orientate al problema.
Inoltre le risorse di coping come l’occupabilità percepita possono influenzare le conseguenze
del cambiamento organizzativo.

L’occupabilità riflette la possibilità percepita di trovare un nuovo lavoro. Un’elevata


occupabilità non solo permette ai dipendenti di manifestare il proprio malcontento ma può
influenzare il livello di commitment nei confronti del cambiamento.
Es: l’occupabilità può essere una preziosa risorse di coping nella ristrutturazione organizzativa
perché mitiga gli effetti negativi dell’insicurezza occupazione sul commtment dei dipendenti
verso il cambiamento.

Anche la posizione sociale influenza il modo in cui un cambiamento ha effetto sui dipendenti.
L’accresciuta incertezza associata ai cambiamenti organizzativi può essere percepita in modo
differente a seconda della posizione gerarchica all’interno dell’organizzazione. I dipendenti in
posizioni più elevate sono di solito a conoscenza del cambiamento che si attiverà quindi hanno
più opportunità di influenzarne e controllarne il processo.

Questi sono fattori che riducono l’incertezza e alimentano la fiducia nella possibilità di gestire
la situazione, il che riduce lo stress del cambiamento.
Chi si trova in posizioni meno elevate percepiscono l’incertezza come più difficile da gestire e
vivono il cambiamento come più stressante.

Le ricerche mostrano che le conseguenze più negative che cambiamenti organizzativi sono
riferite dagli impiegati in posizioni inferiori.
Secondo altri studi i dipendenti in posizioni intermedie vanno incontro a conseguenze
maggiormente spiacevoli rispetto a chi occupa altre posizioni, perchè sono chiamati a
contribuire al cambiamento in misura maggiore di quelli delle posizioni inferiori ma non hanno
accesso alle risorse per influenzare i cambiamenti come quelli delle posizioni più elevate.

Altri studi hanno msotrato che nel caso del cambiamento organizzativo di ampia portata, il
livello di salute dichiarato peggiora per tutti i dipendenti indipendentemente dalla posizione
sociale o genere.

I cambiamenti organizzativi spesso comportano anche un aumento del carico di lavoro e una
maggiore richiesta di flessibilità e presenza: le donne finchè saranno gravate dalla maggior
parte del lavoro domestico non retribuito avranno più problemi ad accogliere questo tipo di
richieste rispetto agli uomini.

IMPORTANZA DEI FATTORI ORGANIZZATIVI

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E’ difficile trarre lezioni pratiche dai fattori individuali perché c’è il rischio che le conseguenze
negative del cambiamento organizzativo siano attribuite a qualcosa che non va nelle persone
coinvolte. In parte per questa ragione molte ricerche hanno cercato di chiarire come le org.
possono cambiare al proprio interno per attenuare le conseguenze negative del cambiamento
organizzativo.

Alcuni fattori organizzativi che possono incidere sulle conseguenze dei cambiamenti:
- trattamento corretto da parte dell’organizz.
- supporto sociale di supervisori e colleghi: fornisce ai dipendenti le risorse necessarie per
gestire in modo efficace una situazione stressante
- strutture comunicative aperte all’interno dell’org.
- strategie di gestione delle risorse umane che offrano ai dipendenti l’opportunità di
partecipare al processo decisionale: può aiutare le persone a comprendere meglio il
cambiamento e favorire l’accettazione della ristrutturazione come qualcosa di
necessario
- ruolo della giustizia organizzativa: in che misura i dipendenti ritengono di essere trattati
giustamente dall’org. soprattutto riguardo agli aspetti distributivi dei cambiamenti
organizzativi = se i dipendenti ritengono di essere trattati in modo corretto dall’org. ne
segue che essi possono comprendere meglio perché il cambiamento sia necessario e
quali siano gli obiettivi del processo e ciò renderà meno probabile la resistenza ad esso

Una combinazione di fattori organizzativi che può essere utile per affrontare le potenziali
conseguenze negative del cambiamento organizzative è costituita da quello che si potrebbe
definire un atteggiamento proattivo verso il cambiamento da parte del management. Dove ad
es. l’org. promuove attivamente la partecipazione dei dipendenti al processo di cambiamento e
fa del suo meglio per adottare procedure corrette nel corso dello stesso.
Tale atteggiamento proattivo verso il cambiamento organizzativo permette di ridurre le
conseguenze negative del ridimensionamento ed è associato a esiti più favorevoli in termini di
salute e lavoro.

I risultati indicano che anche se spesso i cambiamenti organizzativi tendono a essere accolti
sfavorevolmente dai dipendenti, non mancano i fattori che possono contrastare le loro
conseguenze negative.

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CAPITOLO 15 BENESSERE LAVORATIVO E ORGANIZZATIVO

 Conoscere la definizione di benessere e salute applicata ai contesti organizzativi

 Conoscere la definizione di luogo di lavoro psicologicamente sano

 Conoscere il modello integrato degli elementi costitutivi di un ambiente di lavoro


psicologicamente sano

 Conoscere i fattori di rischio psicosociale

 Conoscere il quadro di riferimento normativo sullo stress lavoro- correlato

Promuovere e mantenere il benessere dei dipendenti è essenziale, non solo perché è


importante che nell’org. vi siano persone sane, ma anche perché la salute della forza lavoro è
associata alla bontà della prestazione organizzativa.

Vedremo come le org. possano contribuire al benessere dei dipendenti attraverso molti mezzi:
- cultura improntata al rispetto
- una leadership competente e disponibile
- specifiche iniziative per la salute sul luogo di lavoro

Presenteremo alcuni esempi di come le org. possano creare luoghi di lavoro sani attraverso:
- il modo in cui il lavoro è organizzato, progettato e gestito
- le relazioni sociali
- i leader o i manager responsabili del benessere dei lavoratori
- lo sviluppo di risorse individuali

CHE COSA SI INTENDE PER BENESSERE E SALUTE?


La promozione del benessere dei lavoratori dovrebbe essere un obiettivo fondamentale di tutte
le organizzazioni.
LUOGO DI LAVORO PSICOLOGICAMENTE SANO: per discutere le strategie attraverso le quali le
org. possono promuovere il benessere individuale a livello dell’organizzazione, dei gruppi di
lavoro, dei leader e dei singoli dipendenti.
IL BENESSERE: comprende la soddisfazione individuale per i diversi aspetti della vita non
lavorativa (soddisfazione/insoddisfazione vita sociale, vita familiare, attività ricreative,
spiritualità) , la soddisfazione legata al lavoro (per la retribuzione, opportunità di promozione) e
la salute generale.
La SALUTE è parte del benessere e in essa si combinano indici mentali/psicologici come
l’affetto, la frustrazione, l’ansia e indici fisiologici come la pressione sanguigna, le patologie, la
salute fisica generale.
L’organizzazione mondiale della sanità ha definito SALUTE come uno stato di completo
benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia.
1. la salute dovrebbe essere considerata in modo olistico. Occorre avere una visione
globale della salute, comprendente non solo quella fisica ma anche psicologica e sociale
2. la salute non è solo mancanza di fattori negativi ma anche presenza di positivi. La
salute non equivale solo a mancanza di malattia, una persona sana tende anche ad
avere un elevato livello di engagement e di autoefficacia, a sentirsi rispettata e
coinvolta nel proprio lavoro e nella propria vita

Possono essere considerati sani i dipendenti che da un lavoro hanno bassi livelli di stress,
burnout e sintomi negativi sulla salute fisica e mentale e dall’latro presentano indicatori positivi
si salute fisica, soddisfazione, engagement, energia, efficacia professionale, integrità, rispetto
verso gli altri e sé stesso. I dipendenti sani si sentono bene quando lavorano, hanno
atteggiamenti lavorativi positivi e si dedicano al proprio lavoro con passione, di solito hanno
buoni rapporti con le persone con cui interagiscono quotidianamente.

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Il lavoro può provocare stress e problemi di salute. Ma può avere anche effetti positivi sui
lavoratori e può essere utile per promuovere e migliorare la loro salute mentale e fisica e il loro
benessere. Il salario permette di avere un tetto, cibo, beni e godersi qualche svago, viaggiare.
Acquisire nuove abilità o fare bene il proprio lavoro, può aiutare le persone a sviluppare
autostima e senso di padronanza. Il senso di comunità e di sostegno sociale è importante per la
salute e il benessere. Il lavoro può offrire un senso di routine positive e di struttura

Le org. dovrebbero cercare di contrastare fattori negativi che creano stress e problemi di salute
e rafforzare i fattori positivi che promuovono soddisfazione, autostima, salute e benessere. Per
fare ciò le org. dovrebbero costruire luoghi di lavoro psicologicamente sani.

quadro: Lavoratori e luoghi di lavoro sani


Il concetto generale di benessere comprende la salute, e nel concetto di luogo di lavoro sano
rientra tutto ciò che riguarda la salute e il benessere individuale ma è legato al luogo di lavoro.
IL BENESSERE: definizione di prima
LA SALUTE: stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Non comporta solo l’assenza
di malattia ma anche la presenza di fattori positivi
I LUOGHI DI LAVORO SANI sono quei luoghi di lavoro in cui i lavoratori sono trattati con rispetto
e viene fatto ogni sforzo per accrescere la salute psicologica e fisica di tutti i dipendenti. Si
tratta di luoghi che promuovono e sostengono la salute fisica e psicologica e il benessere dei
dipendenti, adottano pratiche imprenditoriali per mantenere l’impresa efficiente e produttiva e
hanno un impatto positivo sui clienti e sulla collettività.

CHE COSA SI INTENDE PER LUOGO DI LAVORO PSICOLOGICAMENTE SANO?


= un luogo di lavoro tale da migliorare la salute dei dipendenti limitando i fattori di stress e le
richieste sfavorevoli e utilizzando le risorse organizzative a sostegno del benessere.
Un luogo sano è definito sia in termini di assenza di fattori negativi sia di presenza di fattori
positivi.
I luoghi di lavoro psicologicamente sani sono quelli che integrano pratiche, politiche e iniziative
che promuovono e rafforzano la salute e il benessere dei dipendenti, con iniziative per
prevenire e minimizzare lo stress lavorativo e altri fattori negativi potenzialmente dannosi per
la salute dei dipendenti.

LUOGHI DI LAVORO PSICOLOGICAMENTE SANI: si tratta di quei luoghi che al tempo stesso,
promuovono e sostengono la salute fisica e psicologica e il benessere dei dipendenti, adottano
collaudate pratiche imprenditoriali per mantenere l’impresa efficiente e produttiva e hanno un
impatto positivo sui clienti e sulla collettività. Questa definizione implica che un luogo di lavoro
sano è anche produttivo. E’ essenziale che il luogo sia stabile e produttivo in termini economici,
se un’azienda non è economicamente sana finirà col fallire. E’ da sottolineare che non esiste
una formula unica per creare luoghi di lavoro sani quindi ogni organizzazione incontra problemi
diversi e trova soluzioni differenti per costruire un luogo di lavoro sano.
Per creare un luogo di lavoro sano è necessario comprendere le sfide e le risorse peculiari di
ciascun luogo di lavoro

COM’E’ FATTO UN LUOGO DI LAVORO PSICOLOGICAMENTE SANO?


In che modo le organizzazioni possono creare luoghi di lavoro sani?
- fattori psicosociali del lavoro: si riferiscono alle condizioni di lavoro e alle interazioni tra
queste condizioni che possono influenzare la salute e il benessere dei dipendenti
- le richieste lavorative sono gli aspetti del lavoro che richiedono un significativo sforzo
fisico, emotivo o cognitivo
- le risorse lavorative sono oggetti, caratteristiche personali, condizioni o riserve
d’energia che hanno valore per l’individuo o che servono a ottenere questi oggetti,
caratteristiche personali, condizioni
- gli interventi organizzativi possono essere definiti come azioni pianificate,
comportamentali, fondate su teorie, che hanno l’obiettivo di accrescere la salute e il
benessere dei lavoratori. Queste azioni pianificate sono parte integrante del
cambiamento organizzativo per la creazione di ambiente di lavoro sani
- le iniziative organizzative sono definite in modo più generale rispetto agli interventi:
esse possono riguardare non solo gli interventi comportamentali descritti ma anche le

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pratiche lavorative formali e informali, le comunicazioni organizzative e i programmi
organizzativi

Parte dello sforzo dell’org. deve riguardare il miglioramento delle condizioni lavorative
fisicamente pericolose e la riduce dei rischi. es: introdurre commissioni per la salute e sicurezza

Solo rimuovere le condizioni di lavoro negative non è sufficiente. E’ necessario creare un


ambiente che promuova la salute e il buon funzionamento degli individui. Ai dipendenti
vengono fornite risorse per scegliere e mantenere stili di vita sani. L’org. può essere un terreno
ideale per promuovere stili di vita sani grazie alla grande influenza che il luogo di lavoro e
l’ambiente sociale possono avere sui comportamenti individuali.

Le ricerche hanno mostrato che fattori psicosociali come le condizioni interpersonali o sociali
del lavoro, la cultura e la leadership possono influenzare la salute e il benessere dei dipendenti.

Così le organizzazioni possono cercare di rafforzare i fattori psicosociali positivi (supporto


supervisori) e di minimizzare i fattori negativi (leader tossici).

PROMUOVERE IL BENESSERE DEI LAVORATORI: UN MODELLO DI LUOGO DI LAVORO


PSICOLOGICAMENTE SANO

Ricercatori di tutto il mondo hanno ricercato gli elementi costitutivi di luoghi di lavoro
psicologicamente sani. I modelli proposti hanno molte cose in comune. In tutti i modelli le
organizzazioni sane sono quelle che operano in modo sistematico per promuovere la salute e il
benessere dei dipendenti attraverso processi organizzativi e hanno risultati organizzativi
positivi.
La figura mostra un modello integrato degli elementi costitutivi di un ambiente di lavoro
psicologicamente sano.

I LUOGHI DI LAVORO SANI: GLI ELEMENTI COSTITUTIVI

I luoghi di lavoro sani sono descritti come quelli che offrono risorse e pratiche organizzative che
danno significato al lavoro dei dipendenti e li aiutano a svolgere efficacemente i propri compiti.
Oltre alla disponibilità di risorse e all’engagement lavorativo, una caratteristica fondamentale è
la promozione della salute fisica e psicologica e della sicurezza sul posto di lavoro.

Favorire un equilibrio positivo vita privata-lavoro, offrire opportunità di crescita e di sviluppo,


riconoscere gli sforzi dei dipendenti, sono iniziative che dimostrano l’importanza degli individui
per l’organizzazione.

Incoraggiare relazioni positive e porre le condizioni per un fruttuoso coinvolgimento dei


dipendenti dando loro voce nel processo lavorativo sono processi fondamentali per un
ambiente di lavoro sano.

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Un’altra componente di un luogo di lavoro sano è il coinvolgimento dei dipendenti nella
responsabilità sociale dell’azienda che favorisce lo sviluppo di un senso di comunità.

LUOGHI DI LAVORO SANI: GLI ESITI

Queste risorse e queste pratiche hanno esiti impo sia per i dipendenti che per l’organizzazione.
Influenzano il benessere e le prestazioni dei dipendenti, rafforzano il loro senso di efficacia
personale e promuovono livelli più elevati di engagement, soddisfazione e prestazione sul
lavoro.
Esse hanno anche importanti implicazioni a livello organizzativo (es. riduzione turnover) e a
livello sociale (es. sostegno alla comunità).

CHE COSA FANNO LE ORGANIZZAZIONI PER AVERE E SUPPORTARE LUOGHI DI


LAVORO E LAVORATORI SANI?
Le org. possono mettere in campo molti tipi di interventi o iniziative per accrescere il benessere
dei lavoratori. Può trattarsi di programmi formali per la promozione della salute, o di interventi
di formazione rivolti a migliorare il benessere e l’efficacia dei dipendenti. Ma possono anche
essere pratiche di comportamenti informali (Es: gruppi di cammino in pausa pranzo o la pratica
open-door practice, delle porte aperte per cui l’ufficio di ogni manager è aperto a ogni
dipendente).

Iniziative e interventi possono integrare gli elementi costitutivi dei modelli di luogo di lavoro
sano a vari livelli dell’organizzazione e in particolare nelle aree:
1. l’intera organizzazione (interventi a livello dell’org.)
2. i gruppi e le unità di lavoro (interventi a livello del gruppo)
3. i leader organizzativi (interventi a livello del leader)
4. il singolo lavoratore (interventi a livello del lavoratore)

Questa classificazione aiuta a definire l’obiettivo dell’iniziative e permette di non perdere di


vista nessuno dei livelli dell’org.
Per avere un’org. sana dovrebbe esserci un equilibrio tra le iniziative riguardanti l’org., i gruppi,
i leader e i singoli dipendenti. Concentrarsi su uno solo di questi livelli può creare uno squilibrio
e far pensare che il problema sia individuale.

INIZIATIVE A LIVELLO ORGANIZZATIVO


Le iniziative a livello organizzativo creando le condizioni per cambiare l’organizzazione
intervenendo sui fattori psicosociali del lavoro.
Gli interventi a livello organizzativo possono essere definiti come azioni pianificate,
comportamentali e condotte su base teorica che si propongono di migliorare la salute e il
benessere dei partecipanti cambiando il modo in cui il lavoro è organizzato, progettato e
gestito.

Per attuare questi cambiamenti è raccomandabile adottare un approccio partecipativo= che i


dipendenti e manager definiscono assieme il processo e i metodi utilizzati nell’intervento,
pianificano le azioni da intraprendere per organizzare, progettare e gestire il lavoro e
collaborano per implementare e valutare gli effetti di queste azioni.

Questo processo partecipativo può favorire l’empowerment di dipendenti e manager attraverso


dei meccanismi. Esso crea una cultura in cui dipendenti e manager riflettono assieme sul
proprio benessere. Può creare una cultura improntata al rispetto nella quale i manager
prendono coscienza della situazione lavorativa dei dipendenti e i dipendenti si rendono conto
dell’esistenza di problemi e vincoli organizzativi più ampi. Il processo partecipativo può favorire
l’autonomia e l’autogestione perché i dipendenti e manager diventano consapevoli
dell’importanza di affrontare assieme i problemi legati al lavoro. Infine così facendo si crea una
cultura di sostegno reciproco. Il grado di coinvolgimento dei dipendenti nel processo
partecipativo può essere messo in relazione agli effettivi cambiamenti delle pratiche lavorative
e all’incremento del sostegno sociale e del benessere degli stessi.

UN ESEMPIO DI RICERCA-INTERVENTO A LIVELLO ORGANIZZATIVO: IL PIOP


Il programma PARTICIPATORY INTERVENTION FROM AN ORGANIZATIONAL PERSPECTIVE (PIOP)
si propone di intervenire sul modo in cui il lavoro è organizzato, progettato e gestito.

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Il programma mira a determinare le richieste e le risorse dell’organizzazione d’interesse,
aiutando così dipendenti e manager a definire e a implementare in modo sistemico gli
opportuni cambiamenti in fatto di organizzazione, progettazione e gestione del lavoro al fine di
creare un ambiente di lavoro psicologicamente sano.
Come caratteristico dei programmi di intervento partecipativo, dipendenti e manager
procedono in modo graduale e sistematico.

Nella prima fase vengono individuati e analizzai i fattori che ostacolano e quelli che facilitano il
cambiamento e viene istituito un gruppo di indirizzo.

Nella seconda fase viene condotta un’analisi sistematica delle richieste e delle risorse del
lavoro.
Dipendenti e manager sono intervistati sulle richieste e sulle risorse più importanti nello
specifico luogo di lavoro.
Un vantaggio del metodo PIOP è che esso considera non solo i rischi psicosociali ma anche i
punti di forza e le risorse dell’’organizzazione e dei gruppi di lavoro, un approccio a due vie che
può favorire l’engagement.
Sulla base di queste interviste viene elaborato un questionario su misura basato sulle
specifiche condizioni di lavoro dei dipendenti e manager. I risultati sono ritrasmessi ai
dipendenti e ai manager, i quali definiscono assieme una scala di priorità su quali richieste e
quali risorse cambiare.

Nella terza fase i gruppi di lavoro collaborano a definire piani d’azione dettagliati e concreti. E’
consigliabile avere da tre a cinque piani d’azione, non di più. Ogni piano dovrebbe includere
info dettagliate su chi fa cosa, quando e perché, e sulla valutazione del piano

La quarta fase prevede l’implementazione dei piani d’azione. Il follow-up sistematico dei piani
d’azione trova posto nelle riunioni già previste.

Nella quinta fase i gruppi di lavoro e il gruppo di indirizzano valutano:


- se sono stati apportati i cambiamenti nel modo in cui il lavoro è organizzato, progettato
e gestito
- se questi cambiamenti sono associati alla riduzione di richieste e all’aumento di risorse
e al benessere dei dipendenti
- il modo in cui si è svolto il processo di intervento.
La valutazione fornisce info utili a stabilire se sia necessario rivedere i piani d’azione esistenti o
sviluppare nuovi piani d’azione che affrontino meglio le questioni prioritarie o modificare le
strategie e le politiche di gestione del benessere dei dipendenti.

Un follow-up a 12 mesi ha mostrato che il programma PIOP riusciva a ridurre l’insicurezza


occupazionale nei gruppi i cui piani d’azione erano focalizzati su di essa e a migliorare il
funzionamento di squadra e il benessere dei dipendenti, quando i dipendenti dimostravano
disponibilità al cambiamento.

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