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RIASSUNTI LIBRO
CAPITOLO 1: Analisi e progettazione del lavoro organizzato
OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO
Comprendere la distinzione tra analisi «incentrata sul lavoro» e analisi «incentrata sul
lavoratore»
Conoscere i principali metodi di analisi del lavoro, i loro campi di applicazione e i loro
limiti
4. METODI
GRIGLIE DI REPERTORIO
Le griglie di repertorio può essere usata per individuare le caratteristiche tra i lavoratori con
prestazioni buone e quelli con prestazioni cattive.
Ad alcuni esperti vengono presentati gruppi di 3 lavoratori, due giudicati inefficaci a differenza
del terzo. L’esperto definisce un costrutto che differenzia il singolo lavoratore dalla coppia. Il
lavoratore o la coppia efficace oppure un polo del costrutto e la coppia (o il lavoratore)
inefficace occupa l’altro polo. L’esperto poi valuta ciascun lavoratore dell’insieme di partenza
da cui sono stati estratti i 3, collocandoli in questo continuum.
A disorganizzato ………………………………B e C organizzati (dopo l’esperto valuta D E F dove si
collocano, così l’analista capisce meglio ciò che distingue i lavoratori efficaci/inefficaci)
QUESTIONARI
Le interviste per capire se un lavoratore è efficace sono dettagliate ma presentano difetti.
Tendono a essere scarsamente quantitativi, con i conseguenti problemi di attendibilità e
validità.
In alternativa sono stati sviluppati diversi questionari pronti all’uso.
RICERCA Entrambi Non vengono raccolti …si tratta di un Raccolta di informazioni sul
DOCUMENTARIA dati, che provengono lavoro che esiste lavoro d’interesse
da fonti preesistenti già e c’è una vasta
letteratura
disponibile
QUESTIONARI (PAQ, Lavoro o lavoratore Quantitativi La natura del Dati quantitativi (punteggi)
F-JAS) lavoro è poco nota basati su scale e dimensioni
all’analista, e dei vari questionari a
richiede un’ampia disposzioen dell’analista
valutazione dei
compiti lavorativi o
delle
caratteristiche che
i lavoratori devono
avere per
svolgerli, o quando
c’è una
molteplicità di
prospettive su cui
raccogliere dati in
modo efficiente, o
quando il lavoro è
spiccatamente
multidimensionale,
o quando è
necessario fare
confronti con altri
lavori, come nel
caso della
valutazione del
lavoro (job
evaluation)
Un’applicazione dei metodi di analisi del lavoro a specifiche pratiche di gestione delle risorse
umane è quella dell’ANALISI DEI BISOGNI FORMATIVI (training need analysis, TNA). La TNA è un
processo sistematico di esplorazione per scoprire in quali punti di un’organizzazione è
necessario un intervento formativo, quali sono i fattori contestuali che potrebbero influenzare il
suo successo e qual è la natura dell’apprendimento richiesto.
Goldestein e Ford descrivono la TNA come un processo a tre stadi. Il 1° è l’analisi organizzativa
(organizational analysis), ha un duplice obiettivo: raccogliere info su dove e quando
l’organizzazione abbia bisogno di un intervento formativo; individuare i fattori contestuali che
potrebbero influenzare il processo formativo (es: la cultura dell’organizzazione). Il 2° stadio è
l’analisi del lavoro/compito (job/task analysis). Questo stadio ha l’obiettivo di definire il livello di
prestazione che ci si attende dai dipendenti. L’analisi dei bisogni formativi per questo piò
servirsi dei metodi descritti in precedenza. Nel 3° stadio si ha l’analisi della persona (person
analysis), si tratta di valutare la prestazione effettiva dei dipendenti. Questa valutazione
fornisce info su chi abbia bisogno di essere formato e sui contenuti che dovrebbero essere
inclusi nel programma di formazione. Le inadeguatezze della prestazione effettiva rispetto a
quella individuata definiscono i bisogni formativi dei dipendenti. Oltre a individuare i bisogni
formativi, la person analysis può far luce su quelle differenze individuali tra i lavoratori che
potrebbero influenzare il processo di formazione.
QUADRO 1.2 : COME RENDERE CIO’ CHE LE PERSONE FANNO QUANDO LAVORANO
DAVVERO POSITIVO, SANO E MOTIVANTE
L’analisi del lavoro può aiutarci a capire se il lavoro che le persone svolgono è dannoso o
benefico per la loro motivazione e la loro salute. Certe caratteristiche dei compiti lavorativi li
rendono intrinsecamente più o meno motivanti. Per esempio la teoria delle caratteristiche
lavorative (JOB CHARACTERISTIC MODEL) di Hackman e Oldham ha individuato 5
caratteristiche critiche:
- varietà delle capacità richieste
- identità del compito
Critiche all’analisi del lavoro: è statica e poco flessibile, un suo assunto implicito è che i
compiti di un lavoro e le caratteristiche KSAO necessarie a svolgerlo non cambino nel corso del
tempo. E questo è un problema visto le rapidi trasformazioni del mondo attuale.
Perciò molti professionisti hanno cercato alternative che fossero più flessibili e fornissero
risultati a prova di futuro. DUE APPROCCI che prendono il posto dell’analisi del lavoro
tradizionale:
IL COMPETENCY PROFILING: la specificazione del profilo delle competenze. E’ simile per
l’ambito di applicazione all’analisi incentrata sul lavoratore, ma a differenza di questa non
definisce i lavoratori efficaci direttamente nei termini delle loro caratteristiche KSAO, li
definisce nei termini delle competenze di cui hanno bisogno per essere efficaci nel lavoro. Le
COMPETENZE sono: comportamenti osservabili sul posto di lavoro che costituiscono la nase di
una valutazione differenziata. Il fatto di definire la prestazione in termini comportamentali
permette alle competenze di essere integrate in modo naturale in un’ampia varietà di processi
di gestione delle risorse umane (selezione, formazione) e questo permette alle organizzazioni
di valutare i lavoratori usando gli stessi criteri in ambiti diversi.
Le competenze possono essere organizzate in sistemi di competenze, che abbracciano varietà
di ruoli lavorativi. Molte organizzazioni hanno sviluppato sistema di competenze loro propri per
descrivere i comportamenti dei loro dipendenti rilevanti per la prestazione.
Il risultato del competency modelling è la specificazione delle competenze nei termini delle loro
componenti e di come le prestazioni si differenziano in livelli diversi. Rispetto all’analisi del
lavoro tradizionale, non solo viene specificato ciò che le persone devono fare per svolgere il
ruolo, ma anche come differenziare le persone che lo svolgono più efficacemente rispetto a
quello che lo svolgono meno.
LA WORK ANALYSIS è un ampliamento del concetto di analisi del lavoro, mette l’accento sulla
comprensione dell’esperienza lavorativa (WORK ANALYSIS NON APPROFONDITA PERCHE’ NON
TRATTATA SULLE SLIDE SE NECESSARIO PAG 57).
- guardare se ci sono esercitazioni sul libro, possibili domande
Comprendere le funzioni psicologiche degli obiettivi nel lavoro in team e nella vita
organizzativa
1.INTRODUZIONE
Gli obiettivi per una persona devono essere sfidanti e specifici. Gli obiettivi danno un significato
a compiti che altrimenti ne sarebbero privi. Se l’obiettivo è generico e vago, anziché specifico,
alcuni dipendenti si attribuiranno meriti inesistenti, mentre altri saranno inutilmente autocritici.
Il raggiungimento di un obiettivo difficile e specifico dà alle persone un senso di riuscita. Ciò
accresce il loro senso di efficacia personale. Una volta raggiunto un obiettivo difficile, le
persone di solito si prefiggono un obiettivo ancora più elevati per fare ancora meglio.
Una volta definiti gli obiettivi, il compito è valutare il contributo di ciascuna persona al
raggiungimento dell’obiettivo.
Un vantaggio delle valutazioni di prestazione delle valutazioni di prestazione è che la legge,
nella maggior parte dei paesi occidentali specifica cosa si possa e non si possa fare quando si
conduce una valutazione di prestazione.
2. PERCHE’ COMPIERE VALUTAZIONI DI PRESTAZIONE?
La maggior parte dei paesi occidentali richiedono una dimostrazione documentale del perché
un individuo sia stato promosso, demansionato (in Italia è vietato dal Codice civile), trasferito,
licenziato, abbia avuto il contratto risolto, gli sia stato accordato o negato un aumento o premio
salariale. Questo perché la legge stabilisce che queste decisioni devono essere basate solo
sulla prestazione della persona. In mancanza di documentazione scritta è difficile se non
impossibile difendere le valutazioni di prestazione date ai dipendenti.
Un’altra ragione per condurre una valutazione di prestazione è sviluppare e motivare i vostri
dipendenti.
Per questo è fondamentale fissare obiettivi SFIDANTI E SPECIFICI e farlo alla luce della teoria
DEL GOAL SETTING (fissazione degli obiettivi). Questa teoria sottolinea l’importanza di:
- tenere conto della capacità di goal setting dei dipendenti
- fornire ai dipendenti un feedback sulla realizzazione dell’obiettivo
- fare in modo che essi abbiano le risorse necessarie per raggiungere l’obiettivo
L’idea alla base delle valutazioni di prestazione è che avere un feedback esterno sulla propria
prestazione porti a un miglioramento della stessa. Ma molti studi mostrano che il feedback è
solo informazione che il dipendente può recepire o ignorare. Esso porta a un miglioramento
solo se il dipendente lo usa per definire obiettivi elevati e specifici e per impegnarsi a
raggiungerli.
3. PERCHE’ FISSARE OBIETTIVI?
Una teoria permette di predire, comprendere e influenzare il comportamento dei dipendenti.
GOAL SETTING: una variabile critica per creare un team ad alte prestazioni e cruciale anche per
l’autogestione.
LA TEORIA DEL GOAL SETTING afferma che un obiettivo elevato e specifico condurrà a una
prestazione migliore rispetto a un obiettivo più facile o vago (es: fare del proprio meglio). Essa
inoltre afferma che vi è una relazione lineare tra la difficoltà dell’obiettivo e la prestazione
lavorativa.
Alcune precisazioni:
- il dipendente deve essere in grado di raggiungere l’obiettivo prefissato
- la persona deve ricevere un feedback sui progressi fatti nel perseguimento
dell’obiettivo, in modo che possa sapere che cosa deve cominciare o continuare a fare
per raggiungere l’obiettivo
- la persona deve impegnarsi per raggiungere l’obiettivo quindi l’obiettivo deve essere
considerato importante dal dipendente, esso deve essere congruente con i valori del
dipendente.
- la persona deve avere le risorse per raggiungere l’obiettivo. I vincoli situazionali devono
essere ridotti al minimo. (Le ricerche mostrano che i supervisori che hanno
4 MOTIVAZIONI per cui la definizione di obiettivi elevati e specifici è decisiva per produrre
prestazioni elevate:
- un obiettivo specifico, non generico, fa si che la persona scelga di concentrarsi su X
piuttosto che su Y o Z
- il commitment verso un obiettivo elevato e specifico porta a un incremento dello sforzo
- esso porta anche a perseverare fino al raggiungimento dell’obiettivo
- un obiettivo elevato e specifico fa si che le persona elaborino piani su come
raggiungerlo
4 TIPI DI OBIETTIVI:
- OBIETTIVI VAGHI (es: farò del mio meglio per essere produttivo) conducono a una
prestazione scadente. La loro vaghezza rende impossibile al dipendente sapere quando
l’obiettivo è stato raggiunto
- OBIETTIVI DI PRESTAZIONE (performace goals) talvolta chiamati obiettivi riferiti al costo
(cost-related goals) o obiettivi risultato (bottom-line goals). Questi obiettivi dovrebbero
essere scelti quando il dipendente ha le conoscenze e le abilità per raggiungerli (es:
ridurre i costi del x%).
- Le ricerche mostrano che mettere l’accento esclusivamente sul risultato può avere esiti
controproducenti, per questo la necessità di fissare OBIETTIVI COMPORTAMENTALI (es:
gioco di squadra) al posto degli obiettivi di prestazione, o accanto a questi. Gli obiettivi
comportamentali specificano come devono essere perseguiti gli obiettivi di risutlato alla
luce dei valori dell’organizzazione.
- Quando un dipendente non ha le conoscenze e le abilità per raggiungere un obiettivo di
prestazione, dovrebbe essere fissato un altro obiettivo, anch’esso elevato e specifico,
ma di apprendimento. GLI OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO riguardano la scoperta o lo
sviluppo di una strategia, un processo o una procedura per raggiungere un obiettivo.
Gli obiettivi prossimali elevati e specifici forniscono una maggiore motivazione rispetto a un
solo obiettivo distale. Perseguire un obiettivo prossimale e poi un secondo e un terzo accresce
il commitment verso l’obiettivo.
La fissazione di obiettivi prossimali e distali sfidanti e specifici permette di avere un chiaro
riferimento che può essere usato dai vostri dipendenti per valutare la loro prestazione. Di qui
l’autogestione.
Le ricerche mostrano che il benessere aumentava solo quando venivano raggiunti obiettivi
difficili.
Solo la definizione di uno scopo comportamentale elevato e specifico era associata a una
prestazione elevata. Ciò era particolarmente vero per quei dipendenti che prendevano parte al
processo di definizione degli obiettivi. Essi sceglievano obiettivi più elevati di quelli assegnati
unilateralmente ai dipendenti da un supervisore.
Altre ricerche mostrano che la definizione di obiettivi elevati e specifici ha una relazione
positiva significativa con la prestazione lavorativa.
La normativa italiana con la conseguente applicazione in sede giudiziale sanziona qualsiasi tipo
di discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in
qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il
settore o ramo d’attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale.
Nel corso degli anni la normativa ha subito numerosi perfezionamenti (ultimo con la
legislazione Fornero del 2012 e con il Jobs Act del 2015) e oggi in materia vi sono norme
speciali che si adattano alle diverse ipotesi di discriminazione.
In particolare il CODICE DELLE PARI OPPORTUNIT’ (d.l. 198/2006) considera le misure volte a
eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di
compromettere o impedire i riconoscimento, godimento o esercizio dei diritti umani e delle
libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile ecc.
La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i
settori.
Per valutare le prestazioni dei dipendenti si usano SCALE DI TRATTO: riferite in genere a
disposizioni di personalità (es: intraprendente). Perché NON usare questa scala: i tratti sono
vaghi ed è poco probabile che due o più persone (capi, colleghi, sottoposti) concordino sul
giudizio da assegnare a un dipendente. I tribunali poi li tengono in scarso conto proprio per la
soggettività del giudizio. Infine, è arduo definire obiettivi difficili e specifici che richiedano di
mostrare questo o quel tratto nell’attività lavorativa.
IL FEEDBACK A 360°
La critica secondo cui il capo non ha un quadro completo di che cosa fa un dipendente può
essere superata conducendo valutazioni basate su più fonti d’informazione. In pratica le
valutazioni sono fornite in forma anonima dai sottoposti dei vostri dipendenti, oltre che da voi.
In alcuni casi le valutazioni possono essere fornite sempre in forma anonima anche dai clienti e
dai dipendenti stessi (autovalutazioni). Per questo l’espressione FEEDBACK A 360 GRADI.
Avremo così un quadro completo della prestazione di una persona prima ancora di condurre la
valutazione. Così si ricevono info da diverse fonti, le quali hanno modo di osservare aspetti
differenti della prestazione del dipendente, in modo da avere un quadro olistico di un
dipendente che compensa le limitazioni di una valutazione condotta da un unico punto di vista.
Le ricerche mostrano che il feedback a 360 gradi discrimina accuratamente i manager con
prestazioni elevate da quelli con prestazioni scadenti.
LA TECNICA FEEDFORWARD
Una seconda alternativa alla valutazione di prestazione tradizionale è la feedforward interview
(FFI : intervista orientata al futuro). L’idea alla base è che i dipendenti possono individuare se
interrogati le cose che sono riusciti a fare bene. E quindi possono creare le condizioni per fare
ancora meglio. A differenza della valutazione di prestazione tradizionale la FFI guarda agli
obiettivi di prestazione che un individuo può perseguire in futuro, piuttosto che soffermarsi
sulle manchevolezze della prestazione passata. I dipendenti danno il meglio di sé quando sono
consapevoli dei propri punti di forza e sanno come sfruttarli a una varietà di contesti lavorativi.
ES: anche se il tuo ultimo anno è stato brutto mi puoi parlare di uno specifico evento in cui ti ha
fatto piacere raggiungere un obiettivo.
L’alternativa per superare i problemi descritti sopra è il CLIENTE MISTERIOSO (mistery shopper)
permette di superare una difficoltà incontrata da molti manager di fornire tempestivamente ai
dipendenti un feedback sistematico sulla loro prestazione.
Il feedback proviene da una terza parte, un cliente ignoto sia al dipendente sia al suo
superiore, perciò misterioso.
Alcune ricerche discutono sulla necessità del coaching continuo sostenendo che una volta che
un comportamento è stato apprendo non è più necessario rinforzarlo di continuo.
Se viene fornito un rinforzo a intervallo fisso il comportamento si intensifica rapidamente ma
quando si avvicina la fine del periodo di tempo predeterminato (es: con un prof che fa prove a
sorpresa gli studenti studieranno con più regolarità).
Alcuni sostengono che LEADER e COACH dovrebbero essere considerati sinonimi. Un buon
leader trova il tempo di far crescere i suoi sottoposti.
es: una catena di ristoranti ha ingaggiato dei clienti misteriosi per avere un feedback circa
immediato sulla cui base fare tempestivamente coaching ai dipendenti. Prima è stata eseguita
un’analisi del lavoro per individuare i comportamenti lavorativi associati a una maggiore
soddisfazione del cliente, poi ciascun dipendente si è dato un obiettivo (sui comportamenti
legati alla soddisfazione del cliente) sapendo che il raggiungimento di quell’obiettivo avrebbe
giovato ai profitti del ristorante. Tecnica vantaggiosa perché_
- il cliente misterioso si presentava al ristorante in media ogni 30 giorni (poteva venire 2
volte in due giorni o far passare 45 giorni dalla visita). Poiché non sanno l’identità dei
clienti i dipendenti devono mantenere un livello di prestazione elevato se vogliono una
buona valutazione
- il feedback ai dipendenti è incentrato sui comportamenti individuati dall’analisi del
lavoro. L’analisi del lavoro riduce la probabilità che l’importanza dei comportamenti
valutati sia messa in discussione dai dipendenti e aumenta la probabilità che i profitti
del ristorante siano influenzati favorevolmente
- il feedback del cliente misterioso può essere abbastanza tempestivo. Nello studio in
questione, veniva fornito 18 ore o meno prima che fosse visualizzabile sul computer del
ristorante
- il feedback dato ai dipendenti proviene da una terza parte neutra, il cliente misterioso.
Ciò permette al manager di svolgere il ruolo di coach minimizzando la probabilità che il
dipendente interpreti la valutazione come un attacco personale.
- veniva valutato solo un dipendente al giorno.
= E’ comunque da chiarire se questa tecnica di coaching basata sull’uso di clienti misteriosi
possa essere adottata anche fuori dal settore dei servizi.
Comprendere gli elementi di base in gioco nel processo di ingresso di nuovi membri in
una organizzazione (il modello delle 5 C)
Conoscere quali sono le caratteristiche individuali che possono facilitare una efficace
socializzazione organizzativa
INTRODUZIONE
Una funzione cruciale delle organizzazioni è accogliere e integrare i nuovi dipendenti il più
rapidamente possibile in modo da metterli in condizione di dare il loro contributo
all’organizzazione. Questo processo è l’INSERIMENTO (ONBOARDING) O SOCIALIZZAZIONE
ORGANIZZATIVA (ORGANIZATIONAL SOCIALIZATION)= processo attraverso il quale un individuo
acquisisce le conoscenze e le abilità sociali necessarie ad assumere un ruolo
nell’organizzazione.
Il processo di SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA va oltre l’apprendimento degli aspetti tecnici
del nuovo lavoro (in termini di ruolo o posizione), si tratta di acquisire familiarità con la cultura
dell’organizzazione- le norme non scritte su come comportarsi e interagire con gli altri e di
trovare il proprio posto nel tessuto sociale della nuova organizzazione. Una transizione che ha
luogo ogni volta che c’è un cambiamento significativo nel contesto lavorativo di una persona.
Es: quando un individuo è promosso o cambia ruolo, o quando trova un lavoro ponte prima del
pensionamento.
E’ anche il momento in cui i nuovi dipendenti si formano una prima impressione sulla nuova
organizzazione e capiscono se potranno adattarsi in modo soddisfacente, se il lavoro è come se
lo aspettavano e se resteranno a lungo nell’organizzazione. Il periodo tra il primo giorno di
lavoro di un dipendente e quello in cui si entra davvero a far parte dell’organizzazione è un
periodo critico che dura circa un anno. Le ricerche mostrano che la metà dei nuovi dipendenti
con paga oraria è destinata a lasciare l’organizzazione durante il primo anno e che nello stesso
tempo la metà dei neoassunti in posizioni dirigenziali non riesce a inserirsi efficacemente
nell’organizzazione. Questo è costoso sia per le organizzazioni sia per i dipendenti, poiché
entrambe le parti investono molto tempo ed energie per incontrarsi.
Le ricerche mostrano anche che le persone con esperienze di socializzazione organizzativa più
positive hanno maggiori probabilità di essere soddisfatte del proprio lavoro, di avere più
commitment verso l’organizzazione e meno probabilità di lasciarla.
Uno dei problemi principali di questa condizione è la riduzione dell’incertezza. Essere nuovo è
una condizione stressante, i nuovi dipendenti hanno di fronte un nuovo ambiente di lavoro,
nuovi colleghi, nuovo manager e nuovi compiti lavorativi. Perciò un obiettivo importante di
socializzazione organizzativa è fornire ai nuovi arrivati risorse utili a ridurre le ambiguità e a
comprendere meglio il loro ruolo e la loro nuova organizzazione.
La socializzazione organizzativa è un processo di apprendimento e di adattamento che può
richiedere fino a un anno da quando un dipendente comincia il suo nuovo lavoro, ma le
ricerche mostrano che gli eventi e le esperienze che hanno luogo nei primi 30-90 giorni sono
cruciali (Es: scrivania pronta e accoglienza per il neoassunto).
E’ ragionevole concepire il processo di inserimento come una parte del processo di formazione.
Di conseguenza fattori come i bisogni, le conoscenze e i sentimenti dei nuovi dipendenti
influenzano il processo di apprendimento nel periodo di socializzazione.
L’OTTEMPERANZA: risoluzione della documentazione richiesta dal lavoro, come moduli fiscali,
documenti legali e quanto serve all’identificazione dei dipendenti. Questi adempimenti devono
essere svolti nel corso del processo di inserimento per motivi legali e logistici e variano
secondo i luoghi e i paesi. Le organizzazioni devono occuparsi di queste cose, ma ci sono
strategie per farlo (ES: i nuovi dipendenti passano 2 minuti o 2 ore in attesa per ricevere il
nuovo badge?). Quanto più le organizzazioni sono in grado di focalizzarsi sull’inizio della vita
aziendale del neoassunto tanto è meglio, perché gli adempimenti sono una necessità ma
diventano un problema se non sono svolti correttamente. I nuovi arrivati si aspettano un
inserimento agevole. Le organizzazioni dovrebbero cercare di rimuovere gli ostacoli e venire
incontro ai nuovi arrivati mentre si dedicano agli adempimenti formali e in generale dovrebbero
occuparsi maggiormente di tali adempimenti.
LA FIDUCIA: si riferisce al successo che il nuovo dipendente pensa di poter avere nello
svolgimento dei compiti associati al suo ruolo. Avere fiducia significa che ci sono difficoltà i
nuovi arrivati riusciranno a superare le difficoltà e andare avanti. Quanto più l’organizzazione
aiuta i nuovi arrivati a capire che cosa ci si aspetta da loro, a fare chiarezza sul loro ruolo e a
sostenerli mentre cercano di imparare cose nuove, tanto più i nuovi dipendenti saranno
fiduciosi. Inoltre i nuovi dipendenti entrano nell’organizzazione con i loro diversi livelli di
autostima e di autoefficacia e con i loro modi di affrontare le situazioni nuove e stimolanti e
questi fattori influenzano anch’essi il livello di fiducia. Studi mostrano che l’autoefficacia era
correlata positivamente con le prestazioni lavorative e con l’intenzione di restare
LA CULTURA: si riferisce alla cultura organizzativa dell’azienda di cui i nuovi arrivati entrano a
far parte. Le organizzazioni, proprio come le persone sono differenti. Buona parte del processo
di inserimento consiste nel trasmettere ai nuovi dipendenti la missione e i valori
dell’organizzazione e nell’aiutarli a capire come essa funziona. Ciò influenza i loro risultati e li
aiuta a comprendere se sono adatti all’organizzazione, cosa che è correlata al successo
dell’inserimento. Man mano che le organizzazioni evolvono, così fanno le loro culture, perciò è
necessario che anche narrazioni, rituali e artefatti vengano aggiornati costantemente
3. IL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE
CHE COSA FANNO LE ORGANIZZAZIONI PER INSERIRE I NUOVI DIPENDENTI?
Le organizzazioni con i programmi di socializzazione di successo sono quelle che tengono conto
delle esperienze dei nuovi dipendenti dal momento della candidatura fino a quando, circa dopo
un anno, sono integrati nell’organizzazione.
La figura mostra alcune strategie che le organizzazioni possono impiegare per favorire il
successo della socializzazione
ORIENTAMENTO: Uno degli strumenti usati più spesso dalle organizzazioni per aiutare i nuovi
dipendente a conoscere meglio l’organizzazione in cui sono appena entrati e l’orientamento dei
neoassunti, che coincide con l’inizio della loro vita aziendale.
L’orientamento dei neoassunti consiste tipicamente in programmi di formazione strutturati,
condotti dall’organizzazione stessa, in cui i nuovi dipendenti ricevono informazioni sul nuovo
lavoro e sull’ambiente lavorativa, sull’organizzazione nel suo complesso.
L’orientamento dei nuovi dipendenti avviene di solito nel primo giorno o nella prima settimana
di lavoro, risulta come molte informazioni insieme ma è utile. Infatti alcune organizzazioni
prevedono una seconda sessione di orientamento.
PERSONALITA’: Vi sono persona che più di altre ricercano opportunità per saperne di più sulla
nuova organizzazione o per conoscere i nuovi colleghi. Per esempio, gli individui con
personalità proattiva, cioè quelli che tendono a impegnarsi attivamente per produrre
cambiamenti nel proprio ambiente, hanno maggiori probabilità di condurre felicemente il
processo di socializzazione. Queste persone non esitano a rivolgersi altri altri per ricercare
informazioni, si attiveranno per sviluppare le proprie abilità e le proprie relazioni sociali e sono
più motivate ad apprendere. Coloro che sono più estroversi e aperti all’esperienza tendono ad
adattarsi meglio ai nuovi ruoli. Estroversione intesa come tendenza a essere energica,
socievole, assertiva, mentre l’apertura all’esperienza è associata a curiosità, intelligenza e
voglia d’avventura. Anche chi ha più autoefficacia, convinte di avere le capacità per svolgere
un nuovo ruolo con successo tendono a conseguire un adattamento migliore, con più
soddisfazione lavorativa e commitment.
COMPORTAMENTI PROATTIVI: La tendenza dei nuovi dipendenti a darsi da fare per saperne di
più sul loro ruolo, sui colleghi, sull’organizzazione nel suo complesso è un elemento importante
per il successo della socializzazione. Le ricerche mostrano che vi sono comportamenti per
adattarsi più rapidamente. I nuovi arrivati possono ricercare informazioni e feedback presso i
colleghi o il supervisore. Sapere più info permette di comprendere meglio in che modo il loro
ruolo è collegato ad altri nell’organizzazione o in che modo ci si aspetta che essi interagiscano
nell’organizzazione. La ricerca di feedback permette di farsi un’idea più chiara sul proprio ruolo
e di capire se c’è bisogno di cambiare qualcosa nel proprio lavoro. Attraverso la richiesta di
feedback e info i nuovi dipendenti interagiscono con altri membri dell’organizzazione e hanno
l’opportunità di conoscerli e di stringere relazioni significative con loro. Altre forme di
comportamento proattivo dei neossunti riguardano la costruzione di relazioni e di reti sociali e
la socializzazione con altri membri dell’organizzazione. Tutte cose che sono predittive di un
maggior livello di soddisfazione lavorativa tra i neoassunti.
ESITI A BREVE TERMINE: gli esiti a breve termine possono manifestarsi fin dai primi passi del
processo di socializzazione e possono servire da indicatori della riuscita dell’adattamento. Studi
mostrano l’importanza di tre esiti a breve termine.
1) LA CHIAREZZA DEL RUOLO: i nuovi arrivati sappiano che cosa ci si aspetta
da loro nel ruolo cui sono chiamati
2) L’AUTOEFFICACIA: la fiducia di poter svolgere il proprio lavoro con
successo
3) L’ACCETTAZIONE SOCIALE: sentirsi parte dell’organizzazione e stringere
amicizie al suo interno
4) LA CONGRUENZA PERCEPITA: la credenza che i propri valori e obiettivi
coincidano con quelli dell’organizzazione
5) CONOSCENZA DELLA CULTURA ORGANIZZATIVA: la conoscenza delle
norme dell’organizzazione e come essa funziona
ESITI A LUNGO TERMINE: tra gli esiti a lungo termine del processo di socializzazione vi è
l’adozione di atteggiamenti e comportamenti lavorativi più efficaci da parte dei nuovi arrivati. I
programmi di socializzazione riusciti sono collegati con l’aumento della soddisfazione
lavorativa, del commitment organizzativo e dell’identificazione organizzativa e con la
diminuzione dell’intenzione di lasciare l’organizzazione. Inoltre i dipendenti ben adattati alle
loro organizzazioni e ai ruoli tendono a fare meglio il proprio lavoro, a portare a termine i
compiti assegnati. Le ricerche mostrano che chi ha una socializzazione positiva ha meno
probabilità di turnover, uscita dall’organizzazione.
INSERIMENTO VIRTUALE
Accade sempre più spesso che le organizzazioni adottino modalità lavorative virtuali rese
possibili dal progresso tecnologico. Queste modalità permettono di entrare in contatto con
persone di talento in ogni parte del mondo e offrono un potente strumento di flessibilità ai
lavoratori alle prese con il problema di conciliare richieste domestiche e lavorative. Ma
pongono la sfida dell’efficace inserimento dei nuovi dipendenti. In che modo i canali di
comunicazione mediati dalla tecnologia, come e-mail e sistemi di videoconferenza possono
cambiare il modo di fornire info di orientamento o la propensione dei nuovi dipendenti di
rivolgersi ai colleghi per avere info? Dalle prime ricerche si conclude che gli interventi di
orientamento condotti online possono essere utili alla chiarezza e forse alla fiducia, ma non
sono così efficaci per ciò che riguarda il collegamento. Ma anche questo potrà cambiare.
esercitazioni:
1. che cosa potrebbe fare un’organizzazione per sapere se l’inserimento dei nuovi
dipendenti è andato bene?
2. Nel vostro prossimo lavoro che cosa potreste fare per facilitare il vostro
adattamento?
Conoscere i diversi tipi di influenza sociale (o forme di esercizio del potere su altri)
L’assunto di base è che il potere è una risorsa critica per gli attori organizzativi. Una persona
che ha potere emana un senso di autorità, rispetto e influenza.
Avere potere significa essere in grado di influenzare gli altri più facilmente e di svolgere il
proprio lavoro in modo più efficace con ovvie implicazioni per il raggiungimento di obiettivi
personali e organizzativi.
Le relazioni di potere influenzano il modo in cui i manager e i dipendenti lavorano insieme per
prendere decisioni e gestire l’attuazione.
Una seconda caratteristiche del potere è che esso è POTENZIALE: una persona può avere
potere senza necessariamente esercitarlo. Avere disponibilità di risorse non significa che le si
debba utilizzare.
L’influenza sociale può essere considerata come una delle conseguenze principali del potere.
Spesso il potere di una persona sta nell’esercitare pressione sugli altri in modo che facciano
qualcosa per aiutarla a raggiungere i suoi obiettivi. Su questa base, il potere è stato definito
come la capacità di influenzare gli altri in modi psicologicamente significativi. C’è chi definisce
il potere come un esercizio effettivo di influenza: c’è il potere solo quando una persona causa o
modifica direttamente il comportamento di un’altra. French e Raven paragonano il potere
all’energia potenziale e l’influenza all’energia cinetica, sia metaforicamente sia letteralmente;
da questo punto di vista, il controllo sulle risorse può essere considerato come una fonte
potenziale di influenza e paragonato all’energia che può essere immagazzinata e più tardi
liberata.
French e Raven definiscono l’influenza come una forza che una persona esercita su un’altra per
cambiarne i comportamenti, gli atteggiamenti o i valori. L’influenza è potere in atto e
corrispondentemente il potere è influenza potenziale. Può esservi potere anche quando non vi
sono effetti comportamentali diretti. Quindi in linea di principio le persone non devono usare
per forza il loro potere per essere considerate potenti.
Il potere è anche distinto dalla leadership, dallo status o dall’autorità che sono ruoli sociali in
grado di conferire potere agli individui. Le ricerche mostrano che le persone che hanno potere
sono più rispettate e ammirate e alle persone che sono rispettate tende a essere attribuito il
controllo di risorse di valore. Il leader tende ad avere più potere dei seguaci perché i gruppi
conferiscono a lui il ruolo di controllare importanti decisioni e informazioni.
Può anche accadere che persone che non hanno uno status elevato all’interno
dell’organizzazione abbiano una considerevole capacità di influenzare gli altri grazie
all’esperienza, alle loro relazioni o a variabili di. personalità come la dominanza.
IL SENSO DI POTERE personale è la percezione della propria capacità di influenzare una o più
persone. Quando gli individui acquisiscono il controllo di risorse e punizioni, si rendono spesso
conto di avere una maggiore capacità di influenzare gli altri. Le persone che hanno potere sono
anche meno disposte a prestare attenzione a quelle che non lo hanno. Chi è potente tende ad
avere aspirazioni più elevate a chiedere di più e a concedere di meno. Il potere favorisce anche
l’orientamento all’azione e il comportamento diretto a obiettivi.
Avere potere ha due vantaggi: un lavoro più sicuro, maggiori guadagni, l’opportunità di
influenzare più facilmente gli altri e di svolgere il proprio lavoro in modo più efficace. Le
persone priva di potere hanno minore autonomia e minor controllo sul proprio lavoro, hanno
più probabilità di essere trattate ingiustamente, sono meno soddisfatte del proprio lavoro e
hanno un morale più basso.
Gli studiosi hanno studiato come gli individui raggiungano il potere dentro i gruppi
organizzativi. Due approcci teorici complementare: il primo è incentrato sulle BASI DEL POTERE
e il secondo sulle CONSEGUENZE DEL POTERE. Il primo studia le fonti e le specifiche risorse
utilizzate per influenzare gli altri. Il potere qui è concepito come una variabile strutturale e una
proprietà delle relazioni sociali. Il secondo afferma che il potere può anche diventare un
attributo psicologico di chi lo detiene. Le differenze nel controllo di risorse di valore producono
differenze nelle relazioni di dipendenza e queste trasformano psicologicamente gli individui.
Questo modo di intendere il potere, che ha le sue radici nella cognizione sociale, è divenuto un
livello di analisi imprescindibile per capire come e perché l’essere in una posizione di potere
influenzi gli individui. Questo approccio fa luce sul modo in cui il potere influenza chi lo detiene
e chi è privo.
I PROCESSI DI INFLUENZA
Negli studi sul modo in cui le persone reagiscono ai tentativi di influenzarle, viene fatta una
distinzione tra il cedere alla pressione sociale esercitata (direttamente o indirettamente) da
un’altra persona e la persuasione vera e propria. L’influenza di chi ha potere può essere
abbastanza forte da permettergli di controllare il comportamento di una persona, la quale si
conformerà esteriormente (che sia convinta o meno). Altre volte il processo di influenza può
modificare l’atteggiamento o il giudizio privato di una persona e indurla a fare propria la
richiesta di chi ha potere. Su questa base ci sono 3 tipi di influenza:
- L’ACQUIESCENZA (compliance): cambiamento superficiale del comportamento e degli
atteggiamenti esteriori delle persone, spesso dovuto a coercizione o al desiderio di
ottenere una ricompensa. Non riflette un cambiamento interiore, di solito persiste solo
finchè vi sia qualcuno a sorvegliare il suo comportamento.
- L’INTERIORIZZAZIONE implica un’accettazione soggettiva che produce un vero
cambiamento interno, persiste anche senza sorveglianza. La norma diventa un principio
comportamentale interiorizzato. La persona aderisce genuinamente alle richiesta di chi
ha potere perché esse appaiono desiderabili e di accordano ai valori e credenza della
persona
- L’IDENTIFICAZIONE: si fonda sull’attrattività che chi ha potere esercita sulle persone,
che imitano il suo comportamento e i suoi atteggiamenti per ottenerne l’approvazione. Il
desiderio di mantenere uno stretto rapporto con chi ha potere fa nascere nelle persone
un bisogno di accettazione e stima.
Gli effetti del potere dipendono dal modo in cui il detentore del potere lo concepisce e dalla
relazione di interdipendenza tra chi ha potere e chi non ne ha.
Gli studiosi hanno visto per quanto riguarda gli effetti psicologici del potere che esso agisce in
senso trasformativo sullo stato psicologico delle persone e che, di conseguenza, la persona che
ha potere si muove in uno spazio molto diverso da quello della persona che non ne ha.
Le associazioni tra potere e tendenze sono state descritte sulla base delle ricerche sul PRIMING
COMPORTAMENTALE. Gli studi sul priming comportamentale mostrano come le
rappresentazioni cognitive dei concetti possano essere rese psicologicamente salienti in modo
da influenzare il comportamento, spesso senza consapevolezza conscia.
L’idea è che con l’andare del tempo le esperienze delle persone producano un insieme di
associazioni apprese tra concetti e che queste siano immagazzinate nella memoria. Il concetto
di potere è associato nella memoria a una miriade di tendenze cognitive, affettive e
comportamentali, con la conseguenze che, quando viene attivato il concetto di potere,
vengono attivati anche atri concetti. Anche la semplice esposizione al potere produce nelle
persone un’esperienza di controllo personale. Il potere può dunque essere attivato
sperimentalmente: se i partecipanti immaginano una situazione nella quale abbiano potere su
Nell’insieme i risultati della letteratura indicano che l’insieme cognitivo del potere è costituito
in gran parte di concetti collegati all’agentività. Con tale termine si intende l’esperienza del sé
come entità indipendente con una focalizzazione sull’autoespressione e l’autoespansione e di
conseguenza un orientamento proattivo all’azione. Fiducia, decisione, attività, perseveranza e
indipendenza sono concetti che fanno parte di tale insieme cognitivo del potere. Affianco a ciò
sono associate tendenze comportamentali affini all’agentività (agisci nel contesto sociale per
generare un cambiamento) come l’orientamento all’azione, la ricerca del rischio, il
perseguimento di obiettivi.
Rispetto a chi è privo di potere, chi ne ha sperimenta più affetti positivi che negativi, affronta il
mondo in modo più assertivo, si impegna per migliorarlo, prova meno avversione per le perdite
potenziale e gode di un’autostima più elevata, di migliore salute fisica e maggiore longevità.
Chi ha potere non dovrebbe solo influenzare gli altri ma anche occuparsi di loro e prendersi
cura dei loro bisogni.
Conseguenze negative del potere: i dati confermano come spesso il potere favorisca la
corruzione, l’egoismo, l’aggressività, riduca l’empatia e l’attenzione verso gli altri e alimenti i
pregiudizi e incentiva. le molestie sessuali. Le ricerche mostrano che quando si parla di
corruzione il potere non è sempre diretto all’interesse personale, avere potere aumenta la
tendenza ad agire, indipendentemente dalla natura prosociale o antisociale delle conseguenze.
Un alto grado di potere è associato alla possibilità di ottenere più benefici, avendo più risorse.
Poi le persone che hanno potere incontrano meno difficoltà a ottenere benefici, ovvero hanno
più facilità a compiere azioni che producano benefici. Corrispondentemente, la mancanza di
potere tende ad attivare il sistema di inibizione, perché gli individui con meno potere hanno più
difficoltà a ottenere benefici e sono più soggetti a minacce materiali e psicologiche quando
cercano di procurarsene.
Mentre coloro che hanno potere trovano più opportunità nel loro ambiente, coloro che ne
hanno meno incontrano più difficoltà.
Le ricerche considerano la possibilità che gli effetti psicologici del varino a seconda degli
individui e delle culture.
LEGITTIMITA’
Diversi studi partendo dalla teoria APPROCCIO/INIBIZIONE hanno studiato in che modo il potere
e la sua legittimità influenzino le tendenze associate ad esso. C’è chi sostiene che il nesso tra
potere e approccio è temperato dalla legittimità percepita del potere. Anche se il potere
legittimo sia focalizzato sui guadagni (approccio) e la legittima mancanza di potere
sull’evitamento delle perdite (inibizione), questo effetto in condizioni di illegittimità potrebbe
essere meno marcato. Sulla base di questa ipotesi, sono stati condotti diversi studi che
manipolavano il potere e la legittimità. Anche se il potere legittimo favorisce i comportamenti
di approccio più di quanto non facesse la mancanza di potere anche se legittima, in condizioni
di illegittimità è stato osservato l’effetto opposto: l’illegittimità della mancanza di potere
favoriva il comportamento di approccio più del potere legittimo.
Diversi studi mostrano quindi che il potere legittimo rafforza il comportamento d’approccio, ma
quando il potere è accompagnato dall’ombra dell’illegittimità chi ha potere non mostra più
comportamenti di approccio di chi ne è privo.
Risultati contrapposti degli studi si hanno invece sugli effetti del potere sulla tendenza a
cooperare. Questi effetti possono dipendere dalla legittimità percepita del potere: quando il
potere è considerato legittimo, le persone che hanno potere cooperano meno di quelle che ne
sono prive, quando invece il potere è considerato illegittimo, le persone che hanno potere
cooperano più di quelle che ne sono prive.
CULTURA
Studi mostrano come la cultura influenza il modo di intendere il potere e le sue conseguenze
comportamentali.
Le culture occidentali tendono a porre l’accento sull’indipendenza: il processo di socializzazione
fa si che le persone concepiscano sé stesse come entità separate e slegate dagli altri e le
incoraggia a seguire la propria strada indipendentemente da ciò che gli altri si aspettano.
Le culture dell’Asia orientale spingono gli individui a tenere conto degli altri e sottolineano che
le società produttive dovrebbero essere incentrate sulle relazioni e sul gruppo. Si concepiscono
come relativamente interdipendenti.
Conoscere le linee generali delle teorie basate sulla contingenza della leadership
I leader sono spesso gravati dalla responsabilità di portare al successo le loro organizzazioni.
I risultati indicano che la leadership è certamente determinante e che la cosa più impo NON E’
chi ci guida ma il MODO in cui chi esercita la leadership agisce, si adatta alle diverse situazioni
e costruisce relazioni positive con i seguaci.
LA LEADERSHIP CONTA?
La leadership conta? Ci comportiamo come se la leadership fosse uno dei fattori più importanti
del successo organizzativo, ad essa viene associata a numerosi esiti organizzativi.
Un problema dello studio dell’efficacia della leadership è la nostra tendenza a giudicare se un
leader sia efficace o no in base al successo dell’organizzazione che guida. Confondiamo la
valutazione della leadership di un individuo con il successo dell’organizzazione, invece
quest’ultimo dipende da tantissimi fattori. Uno studio mostra che il carisma degli
amministratori delegati non era predittivo dei risultati finanziari dell’organizzazione. Tuttavia
quando le imprese hanno successo i loro leader sono giudicati più carismatici. La leadership
può essere, piuttosto che la causa, l’effetto del successo dell’organizzazione.
Kelloway e Barling mettono assieme queste due prospettive e concludono che parlare di
leadership organizzativa significa parlare del comportamento e dell’efficacia delle persone che
ricoprono ruoli di leadership formali nelle organizzazioni.
LEADERSHIP NEGATIVA
- supervisione abusiva
- supervisione ingiusta
- leadership non etica
Il primo approccio allo studio della leadership si basava sulla considerazione che la storia del
mondo fosse fatta dai grandi uomini. L’idea era che studiando la vita e le caratteristiche di
leader come Napoleone, si potesse far luce sulle caratteristiche che rendono efficace un leader
(approccio venuto meno).
Uno dei primi approcci è stato il tentativo di individuare i tratti che distinguevano i leader dai
non-leader. L’approccio dei tratti allo studio della leadership ha dominato la prima parte del
20° secolo, ma è stato in larga parte accantonato quando le analisi di questa letteratura sono
giunte alla conclusione che non vi fossero evidenze a sostegno dell’associazione fra tratti e
leadership.
Ma ulteriori ricerche recenti dicono che la leadership è associata positivamente all’intelligenza
e alla statura. Anche i tratti di personalità noti come Big Five sono associati alla leadership, in
particolare l’estroversione e l’assenza di nevroticismo. Questi risultati indicano che alcune
caratteristiche individuali sono associati alla leadership e che le organizzazioni possono
migliorare la selezione dei leader preferendo individui in possesso di questi tratti.
TEORIE COMPORTAMENTALI
L’incertezza riguardo al ruolo dei tratti indusse i ricercatori ad accantonare i tratti in favore
dell’analisi dei comportamenti. Si passa alla domanda: Come si comporta un leader efficace?
I ricercatori dell’ Ohio State Studies individuarono due aspetti del comportamento dei leader
che apparivano particolarmente importanti:
- la CONSIDERAZIONE (consideration) includeva comportamenti focalizzati sulle persone
(e non sui compiti) come costruire relazioni di fiducia e dimostrare interesse per il
benessere altrui
- Invece la PROMOZIONE DI STRUTTURA (initiating structure) che riferita a comportamenti
incentrati sul compito, es: stabilire linee guida e procedure chiare su come svolgere il
lavoro. Fissare obiettivi espliciti, definire programmi e standard di prestazione sono
comportamenti di promozione di struttura
I risultati delle ricerche non sono sempre stati univoci. In una metanalisi delle ricerche sulla
leadership comportamentale, alcuni ricercatori hanno mostrato che le precedenti incongruenze
dei risultati derivavano da problemi metodologici. Al netto di questi problemi emerge una
chiara correlazione fra la considerazione, da un lato, e il morale e gli atteggiamenti dei
dipendenti, dall’altro. La promozione di struttura per parte sua è associata con la prestazione
nei compiti specifici del ruolo ( task performance) e con la prestazione di gruppo. Perciò la
teoria comportamentale della leadership sembra ben corroborata dai dati empirici.
L’idea di partenza era che lo stile di leadership più efficace fosse quello che coniugava livelli
elevati di considerazione e di promozione di struttura, cioè che i leader efficaci fossero quelli
focalizzati in alto grado sia sul compito sia sulle persone, tuttavia la correlazione tra questi due
tipi di comportamento è piccola e in alcuni studi addirittura negativa e questo ci fa pensare che
il leader con un’elevata promozione di struttura possano dimostrare poca o nessuna
considerazione per i dipendenti. L’importanza di questi primi studi sulla leadership può non
risiedere nei particolari risultati ottenuti. Piuttosto con lo studio comportamentale è emerso un
nuovo modo di concepire l’efficacia della leadership, nei termini del comportamento effettivo
dei leader. E questo paradigma ha aperto la strada alla possibilità di formare o istruire i leader
nei comportamenti che definiscono una leadership efficace.
Idea alla base dell’approccio comportamentale: specifico insieme di comportamenti buono per
tutte le condizioni
Secondo Fiedler, i leader orientati al compito sono più efficaci quando la favorevolezza è molto
alta o molto bassa. Al contrario i leader orientati alle relazioni hanno più successi nelle
situazioni meno estreme.
I leader orientati al compito sono considerati efficaci anche in situazioni più favorevoli in cui vi
sono relazioni forti e positive tra dipendenti e leader, gli obiettivi sono chiari e vi è una
struttura di potere ben definita.
Tuttavia quando le condizioni sono più eterogenee (situazioni nuove) allora un leader orientato
alle relazioni potrebbe essere più efficace.
Ci sono chiare prove sulla tesi per cui differenti comportamenti dei leader sono più efficaci in
differenti circostanze.
Aspetto più problematico della teoria di Fiedler è l’idea per cui si debba cambiare il leader
secondo la situazione: Fiedler infatti era convinto che l’orientamento dei leader fosse stabile,
un po' come i tratti. Questo è un principio difficile da applicare per le organizzazioni, poiché
significa cambiare manager ogni volta che la situazione cambia, cosa ovviamente problematica
in un’azienda.
Secondo questo modello i leader devono scegliere lo stile più adatto tenendo conto sia delle
persone sia dei risultati, e uno stile di gestione orientato alla squadra è quello più efficace per
accrescere la produttività.
Secondo la PATH -GOAL THEORY l’efficacia di questi quattro stili di leadership varia secondo la
situazione, cioè le caratteristiche dell’ambiente lavorativo (es: la strutturazione dei compiti) e
le caratteristiche dei seguaci (la capacità).
La teoria ha trovato un certo sostegno nei dati, ma la sua complessità per cui i leader
dovrebbero valutare le caratteristiche dei seguaci e dell’ambiente lavorativo e poi modificare di
conseguenza il proprio stile di leadership, rende difficile testarla.
LA LEADERSHIP TRANSAZIONALE
Le transazioni possono essere sia di segno positivo che negativo.
- Il caso limite è quello della leadership laissez-faire, che coincide con l’assenza di
leadership, in cui non avvengono transazioni. Essa ha luogo quando il leader non dà
La metanalisi mostra che quanto più i leader adottino comportamenti di laissez faire e di
gestione per eccezioni, tanto più i dipendenti esprimono insoddisfazione nei confronti dei
leader e del loro lavoro e li giudicano meno efficaci. Nel loro studio sulla sicurezza nei luoghi di
lavoro hanno osservato che se i leader sono passivi e ignorano la sicurezza, la sicurezza stessa
del luogo di lavoro viene messa a repentaglio.
Se i leader sono passivi e ignorano i problemi di sicurezza, inviano il messaggio che la
sicurezza non è importante e questo influenza ciò che i seguaci stessi pensano e fanno
riguardo alla sicurezza nel luogo di lavoro.
Le transazioni non sono esclusivamente negative e quando i leader hanno comportamenti di
ricompensa contingente più positivi i dipendenti riferiscono maggiore soddisfazione e
motivazione.
I comportamenti di ricompensa contingente sono associati anche a un miglioramento delle
prestazioni individuali e organizzative. Anche se quelli di ricompensa contingente sono
annoverati tra i comportamenti di leadership transazionale i dipendenti li considerano come
una forma di leadership estremamente positiva, molto vicina alla leadership trasformazionale.
Polo attivo-costruttivo
Leadership trasformazionale
- influenza idealizzata
- motivazione ispirazionale
- stimolazione intellettuale
- considerazione individualizzata
Leadership basata sulla ricompensa contingenze
gestione per eccezioni e di tipo attivo
gestioni per eccezioni di tipo passivo
leadership laissez-faire
Polo passivo evitante
Come le diverse teorie della leadership tengano conto dell’orientamento verso il compito/la
produzione e dell’orientamento verso le relazioni: La teoria teiene conto dell’orientamento
inserito nella tabella
LEADERSHIP NEGATIVA
La maggior parte delle teorie della leadership ha cercato di far luce su ciò che rende efficace la
leadership organizzativa. Tuttavia, i ricercatori si sono occupati anche degli aspetti negativi o
distruttivi del comportamento dei leader, tra cui la supervisione abusiva, la supervisione
ingiusta e la leadership non etica.
SUPERVISIONE ABUSIVA
Quando chi ricopre un ruolo di leadership formale mette in atto comportamenti aggressivi o
punitivi nei confronti dei dipendenti, sta dando prova di supervisione abusiva. Sono
comportamenti di supervisione abusiva di chi urla o ridicolizza i sottoposti, li insulta o minaccia
di punirli o di farli licenziare. Tale comportamento da parte dei leader è associato all’aumento
dello stress nei dipendenti.
I dipendenti con supervisori abusivi riferiscono livelli più bassi di soddisfazione lavorativa e di
vita e di attaccamento affettivo, aumento di conflitti lavoro-famiglia e disagio psicologico, oltre
SUPERVISIONE INGIUSTA
Molte ricerche hanno cercato di mostrare cosa accade quando i dipendenti sono trattati
ingiustamente dai supervisori. L’ingiustizia è associata all’insoddisfazione lavorativa e a un
minore commitment organizzativo. Sia l’ingiustizia procedurale (organizzativa) sia quella
relazionale (da parte dei supervisori) sono predittive di disturbi psichiatrici minori e delle
assenze per malattie.
La supervisione ingiusta è connessa anche a una varietà di esiti relativi alla salute fisica, come
il consumo eccessivo di alcol, l’insorgenza di disturbi cardiaci e le assenze per malattia. Le
malattie cardiovascolari sono associate all’esperienza dell’ingiustizia: in uno studio si è trovato
che i dipendenti che riferivano esperienze di giustizia lavorativa più positive avevano un rischio
di morte cardiaca minore del 45/ rispetto agli intervistati che riferivano livelli di giustizia
inferiori
ESERCITAZIONI
1- Tra i manager che avete conosciuto, descrivetene uno che adottava un approccio
transazionale e che agiva in senso trasformazionale. Che effetto hanno avuto questi due
leader sui vostri atteggiamenti e sulle vostre prestazioni?
2- Confrontate la teoria della contingenza di Fiedler con la path-goal theory di House. Quali
sono le somiglianze e le differenze? Quale vi sembra più facilmente applicabile nelle
organizzazioni?
slide BURNOUT
Vi sono molte ragioni per cui le persone lavorano in team, tra le quali la convinzione
manageriale che il lavoro in team possa accrescere l’efficacia delle organizzazioni.
PERCHE’ I TEAM?
In tutta la loro storia, gli esseri umani hanno sempre vissuto e lavorato in gruppi e famiglie.
Fare qualcosa insieme si è dimostrato più gratificante ed efficace che non fare la stessa cosa
da soli. Gli individui sono animali sociali: hanno un bisogno sociale di affiliazione e sanno come
servirsi dell’interazione sociale.
La ragione principale per strutturare il lavoro in team è probabilmente l’idea di sinergia: il tutto
è più della somma delle parti. Quando il lavoro di squadra funziona bene, vi sono risultati
positivi per gli individui, il team e l’organizzazione.
Altri includono tra gli effetti positivi del lavoro in team un’elevata motivazione intrinseca, lo
sviluppo personale, il miglioramento delle abilità e delle qualifiche professionali nonché una
riduzione del carico di lavoro e dello stress. Il sostegno reciproco all’interno del team favorisce
la salute e la soddisfazione e riduce i tassi di burnout.
Esiti a livello di team: un lavoro di squadra ben gestito darà al team un senso di efficacia e di
fiducia nella sua vitalità (=idoneità del team nei termini della sostenibilità e della crescita per il
suo successo nelle attività future). Il team viene a costruire uno spazio di apprendimento e di
gestione delle conoscenze, dato che i membri del team condividono le loro competenze e sono
coinvolti in un processo di apprendimento reciproco.
esiti a livello individuale e di team: i compiti lavorativi vengono svolti più velocemente e più
efficacemente poiché i team possono strutturare i relativi sottocompiti in modo più flessibile. La
gestione della qualità è migliore e le innovazioni e i cambiamenti più facili poiché i membri del
team possono portare nel lavoro una pluralità di punti di vista. Un’organizzazione basata sui
team può funzionare con meno complessità strutturale e una gerarchia più piatta. Il processo
decisionale può essere decentrato a livelli inferiori. La strutturazione in team è una buona
risposta ai problemi di complessità organizzativa, dato che i team possono essere messi in
collegamento e chiamati in causa ogni volta che ve ne sia bisogno.
Inoltre negli ultimi anni gli ambienti organizzativi sono divenuti molto più complessi e dinamici,
a causa dell’aumento della competizione globale e della richiesta di prodotti e servizi
specializzati su misura del cliente. Quindi le organizzazioni devono fare i conti con il bisogno di
flessibilità e innovazione.
Il lavoro di squadra è stato introdotto in molte organizzazioni per assicurare buone condizioni di
lavoro per i dipendenti, apprendimento basato sui team, ed efficacia e flessibilità della
produzione. Benchè vi siano solide prove che il lavoro di squadra sia un metodo efficace, i suoi
effetti positivi non possono essere generalizzati a tutti i contesti organizzativi. ù
Però in generale non è facile creare le condizioni giuste per il buon funzionamento dei team e i
risultati sono determinati, tra le altre cose, dal modo in cui i membri del team dipendono l’uno
dall’altro.
I membri di un gruppo possono essere connessi più o meno strettamente e in certi casi non
hanno quasi bisogno di comunicare mentre lavorano.
Quali fattori rendono possibile un lavoro di squadra efficace: oltre cinquant’anni fa McGrath
descrisse un modello della forma Input-Processo-Output (IPO) per studiare i fenomeni relativi ai
team. Il modello mostra in che modo un team può essere efficace.
- Gli Input (I) sono gli antecedenti che rendono possibili e vincolano i processi di squadra
- I processi (P) sono le interazioni tra i membri del team
- gli output (o) sono i risultati del lavoro in team
Questo modello statico (statico perché non considera il modo in cui i team si sviluppano nel
tempo) è stato interpretato in senso causale (gli input determinano i processi e i processi
determinano gli esiti) e sebbene le teorie più recenti sull’efficacia dei team utilizzino lo schema
IPO di frequente, va sottolineato la natura dinamica del processo che è alla base.
Input importanti sono le caratteristiche dei singoli membri del team (abilità, competenze
generiche per il lavoro di squadra e personalità), gli antecedenti a livello di team (compito,
progettazione del lavoro e relazioni di interdipendenza) e i fattori contestuali (struttura
organizzativa e supporto organizzativo).
Il compito è naturalmente l’input più importante, i processi in gioco sono le interazioni tra i
membri del team, come la coordinazione del lavoro, ma anche i processi di leadership, come
fornire coaching e dare supporto al team.
Il modello IPO poi è stato modificato per tenere conto che i team si sviluppano nel tempo, che
vi sono cicli di feedback e che i processi e i risultati con il tempo influenzano i prerequisiti dei
processi di squadra.
Un team riflette sulle procedure di lavoro e impara a organizzare il proprio lavoro in modo
migliore (processi), diventa più produttivo (output) e richiede una minore gestione della
prestazione e un diversi tipo di supporto manageriale (input).
Ricerche sul modo in cui input, processi e output sono collegati in un’organizzazione: il risultato
è il modello della figura sopra. Importanti ricerche mostrano che i processi di squadra non solo
influenzano, ma anche indirizzano i risultati del lavoro in team e vi è chiara evidenza che i
I singoli membri del team formano un’entità collettiva che costituisce anche un contesto da cui
gli stessi membri sono influenzati. I collegamenti tra micro, meso e macrolivelli (membri del
team, contesto di squadra e contesto organizzativo) sono risorse o richieste critiche che hanno
bisogno di processi di squadra accordati, pena l’inefficacia del team.
Le frecce rappresentano i cicli di feedback che producono cambiamenti nei contesti e nei
processi. Le teorie più recenti sull’efficacia dei team li considerano come parte di un sistema
multilivello, mettono l’accento sulla natura dinamica del lavoro di squadra e considerano i
processi di squadra come fenomeni emergenti che si sviluppano nel tempo.
A lungo andare i team sviluppano forme relativamente stabili di divisione e di coordinazione del
lavoro. Per spiegare lo sviluppo dei team nel tempo il modello si serve di cicli di feedback.
GLI INPUT
Distingueremo tra input individuali, di team e organizzativi. Essi sono determinati
contestualmente e sono interconnessi. Gli individui differiscono sotto molti aspetti
(mcirolivello), i team hanno caratteristiche differenti (mesolivello) e gli obiettivi e le strutture
organizzative variano secondo le organizzazioni (macrolivello). Tutti questi input influenzano i
processi di squadra.
Le gestione delle risorse umane influenza l’efficacia del team e lo fa, ad esempio, fornendo
feedback ai team e sviluppando un sistema di ricompense trasparente. Un clima organizzativo
di apprendimento, sviluppo e innovazione è importante per avere team aperti al futuro.
E’ il management che fornisce supporto organizzativo adeguato alle richieste dei team e la
gestione delle risorse umane è uno strumento utile. I manager devono credere nel lavoro di
PROCESSI DI LEADERSHIP
Il LEADER di un team è un risolutore di problemi sociali. Per ciò che riguarda i processi, i
compiti a cui la leadership di squadra è deputata sono i seguenti:
- costruire e mantenere il team come unità funzionante: fare in modo che del team
facciano parte persone giuste e che i processi di squadra funzionino
- fornire coaching e supporto: sotto forma di interazione diretta, interventi, facilitazione
della comunicazione e degli scambi del team, creazione e supporto di processi di
apprendimento.
Un importante obiettivo del coaching è aiutare il team a riflettere sui processi in atto.
La semplice valutazione retrospettiva all’interno del team (team debrief) migliora l’efficacia del
team fino al 20-25%. Il TEAM DEBRIEF permette di riflettere su specifici processi di squadra
come i comportamenti di aiuto e la condivisione di informazioni. Valutazioni che possono
essere condotte in qualunque momento e si tratta di un’occasione per fermarsi e interrogarsi.
PROCESSI DI SQUADRA
Mediatori
Processi di squadra
- Processi cognitivi: costruzione, attraverso l’apprendimento di squadra e la riflessività, di
significati condivisi che col tempo diventano stati emergenti (TMM, clima del team)
- Processi affettivi: sentimenti di sicurezza e fiducia, gestione delle emozioni suscitate dai
conflitti, senso di coesione, senso di efficacia del team
- Processi comportamentali: lo sforzo da parte del team per raggiungere un obiettivo e
rispondere alle richieste poste dal compito attraverso la coordinazione, la coopeazione e
la comunicazione, la prestazione del team per raggiungere i risultati attesi
- Processi di leadership: coaching, promozione di struttura, mantenimento della
focalizzazione sul compito
CONCLUSIONI
L’efficacia di un team dipende dagli input (risorse e richieste contestuali) e dai processi di
squadra.
Gli input sono determinati contestualmente e variano da un’organizzazione all’altra.
Gli individui differiscono per caratteristiche KSAO, personalità, capacità cognitive generali,
mentre le caratteristiche del team e la definizione del compito dipendono dalla struttura e dagli
obiettivi dell’organizzazione.
Quando gli input dei vari livelli sono in sintonia, influenzano positivamente i risultati attraverso i
processi. I processi di leadership e i processi di squadra sono interdipendenti e le conoscenze
del team, la riflessione sulle attività in corso e la capacità di restare focalizzati sul compito
anche sotto pressione, sono tutti fattori che migliorano la prestazione del team.
Un clima amichevole, il senso di fiducia reciproca e la percezione di efficacia rendono possibile
l’apprendimento di squadra e motivano il team ad affrontare compiti più impegnativi.
I singoli membri di un team formano un’entità collettiva che costituisce anche un contesto da
cui gli stessi membri sono influenzati. Le connessioni su più livelli (membri del team, contesto
del team e contesto organizzativo) costituiscono risorse ce richiedono perché il team sia
efficace, dei processi di squadra ben coordinati.
I compiti complessi influenzano l’apprendimento di squadra. Perché chiamano in causa il
processo di regolazione mentale con il quale il team, attraverso la comunicazione giunge a
condividere diverse interpretazioni del compito e a mettere in discussione e co-costruire il
significato sia dei risultati attesi sia del compito, forse andando oltre il compito prefissato.
Una competente azione di coaching da parte del leader del team e fattori affettivi come la
fiducia nel team e la sicurezza psicologica possono stimolare la riflessione sulle abituali
procedure lavorative in relazione alle aspettative esterne e produrre un clima di squadra
orientato al cambiamento e all’innovazione. Ciò a sua volta può influire sulla prestazione del
team e esso può avere un ruolo nei cambiamenti e nei processi di sviluppo che generano
innovazione.
Conoscere i fattori individuali e organizzativi che possono influire sulle conseguenze del
cambiamento organizzativo per i dipendenti
INTRODUZIONE
Il cambiamento organizzativo: esso implica una transizione da uno stato all’altro, una
transizione che può riguardare l’organizzazione nel suo insieme o solo alcuni elementi. Tali
cambiamenti organizzativi sono di solito interpretati nei termini dello stato precedente al
cambiamento (stato attuale) e dello stato successivo al cambiamento (stato desiderato). ù
Le organizzazioni tra un cambiamento e l’altro si trovano in uno stato più o meno permanente
o stabile e le differenze tra lo stato precedente al cambiamento e quello successivo sono
conseguenza del cambiamento stesso. I cambiamenti organizzativi sono pianificati e realizzati
Quando una persona crede che il cambiamento sia vicino e possa influenzare
significativamente la sua situazione lavorativa (cambiamento prossimale) essa reagirà con
+ forza rispetto a quando giudica il cambiamento lontano e con poche possibilità di
influenzare la sua situazione lavorativa (cambiamento distale).
Vi sono molti modelli di cambiamento che cercano di comprendere in che modo i cambiamenti
organizzativi sono pianificati e messi in atto. Questi modelli sono basati sull’idea che il
cambiamento passi attraverso una serie di stadi o fasi, sono così chiamati modelli di
cambiamento sequenziale. Un modello di cambiamento sequenziale è il MODELLO A TRE STADI
DI KURT LEWIN. Secondo Lewin per attuare un cambiamento con successo, le resistenze al
cambiamento vanno affrontate a livello delle norme del gruppo. Se c’è accettazione del
cambiamento nel gruppo, i suoi membri finiranno con l’adattarsi alla norma e accetteranno più
facilmente il cambiamento. Per creare tale accettazione bisogna far si che tutti comprendano e
accettino i fini del cambiamento e la sua necessità. Ciò significa far si che le persone
interessate dal cambiamento si rendano conto che le cose come stanno non funzionano o non
funzioneranno in futuro. Perciò la struttura deve dissolversi in quella che Lewin chiama:
- FASE DI SCONGELAMENTO
- seguita dalla FASE DI CAMBIAMENTO (o trasformazione= nella quale il cambiamento è
messo in atto dall’organizzazione
- segue la fase di RICONGELAMENTO: nella quale il nuovo sistema si assesta e si
consolida nell’organizzazione.
Lewin sosteneva che spesso le persone tornano a fare le cose come prima a meno che i
comportamenti in linea con il nuovo sistema non siano rinforzati attraverso la ripetizione.
Questo modello a 3 stadi relativamente semplice: scongelamento, cambiamento e
ricongelamento ha ispirato tutti i successivi modelli di cambiamento sequenziale per stadi. I 3
stadi sono spesso suddivisi in ulteriori fasi attraverso ile quali l’organizzazione deve passare
I modelli di cambiamento sequenziale sono stati molto criticati per la loro natura statica e per
l’assunto che tutte le org. possano passare attraverso gli stadi postulati. I critici sostengono
che invece i cambiamenti sono dinamici e difficili da pianificare e controllare. In tale
prospettiva i cambiamenti sono continui ed evolutivi e non hanno inizio-fine definiti e
rappresentano il cambiamento organizzativo in forma circolare dove l’emergere di nuove
sequenze di cambiamenti è accompagnato dal venir meno delle sequenze precedenti
RIDIMENSIONAMENTO
Un altro cambiamento organizzativo, che potrebbe essere considerato l’opposto dello sviluppo
organizzativo è il RIDIMENSIONAMENTO. Benchè il ridimensionamento di un’organizzazione
possa assumere forme diverse e toccare aspetti diversi dell’organizzazione, esso implica quasi
sempre una riduzione dei dipendenti e perciò è divenuto un sinonimo di taglio del personale.
Il ridimensionamento è stato definito come una riduzione deliberata e pianificata delle
dimensioni di un’organizzazione per accrescerne la reddittività. Vi sono diversi metodi per
ridurre il personale, tra i quali l’interruzione (temporanea o definitiva) del rapporto di lavoro.
Per ridurre il personale si può anche ricorrere a misure di incentivo dell’esodo per i dipendenti
che hanno raggiunto una certa età o si può adottare la misura più graduale di non assumere
nuovi dipendenti quando quelli vecchi lasciano il lavoro.
Ma il più comune ridimensionamento consiste nel tagliare, sotto la spinta del panico, il numero
di dipendenti di un’organizzazione. Le persone perdono il lavoro e finiscono disoccupate con
tutte le conseguenze che questo comporta. Il ridimensionamento implica che alcune persone
continueranno a lavorare nell’organizzazione ridimensionata (a differenza della chiusura in cui
tutti finiscono disoccupati) a questi dipendenti sono detti sopravvissuti. Sono dunque i
sopravvissuti che dovrebbero tirar fuori l’organizzazione dalle difficoltà che hanno portato al
ridimensionamento e restituire vitalità e competitività.
Le ricerche mostrano che le org. che operano un ridimensionamento di solito continuano a
ridimensionarsi ancora e che molte org. ridimensionate finiscono col chiudere.
Una ragione per cui il ridimensionamento è una strategia che difficilmente ha successo ha a
che fare con le reazioni dei sopravvissuti, che includono atteggiamenti più negativi nei
confronti del lavoro e dell’organizzazione, prestazioni peggiori, aumento delle assenze e
congedi per malattia. Un altro problema è ridurre al minimo il turnover del personale, poiché è
probabile che i sopravvissuti più occupabili, con competenze specifiche, dedicano di lasciare
l’organizzazione.
FUSIONI E ACQUISIZIONI
Un altro cambiamento organizzativo è la fusione, due o più organizzazioni su uniscono per
formarne una più grande. Il rapporto di potere tra le organizzazioni può anche essere
sbilanciato, con una delle due a dominare la nuova aggregazione.
Le organizzazioni possono anche unirsi per acquisizione: in questo caso un’organizzazione più
grande acquisisce o incorpora una o più organizzazioni più piccole che finiscono con l’essere
assorbite dalla prima. Nelle acquisizioni accade spesso che l’assorbimento sia totale, e che
l’organizzazione dominante che effettua l’acquisizione costringa l’altra a rinunciare al nome e
alla struttura organizzativa.
Sia le fusioni, sia le acquisizioni possono comportare un ridimensionamento (tagli del
personale), quando la ragione dell’unione è in parte finanziaria, vi sarà probabilmente il
tentativo di ottenere risparmi attraverso razionalizzazioni, ad esempio eliminando risorse
umane o servizi ridondanti. Le ricerche hanno mostrato che in queste situazioni i dipendenti
dell’organizzazione assorbita tendono a reagire con incertezza e ostilità, ma anche con stress.
PRIVATIZZAZIONI
Vi sono anche altri tipi di cambiamento di proprietà e di funzionamento che comportano
cambiamenti organizzativi. es: le attività/org. pubbliche che vengono privatizzate. Ma anche in
altri tipi di cambiamento proprietario.
L’argomento a sostegno di queste forme di deregolamentazione e privatizzazione di attività
pubbliche si basa sull’idea che quando l’org. si trova a competere in un mercato aperto, vi sia
un vantaggio economico e la qualità dei prodotti o dei servizi dell’org. sia migliore.
Gli effetti della privatizzazione sono stati studiati nella psicologia del lavoro: le ricerche
mostrano che sia la soddisfazione lavorativa, sia il benessere generale del personale
peggioravano in seguito alla privatizzazione dell’organizzazione. Altri studi dicono che i medici
di un ospedale privato erano più soddisfatti della loro occupazione dei medici che lavoravano
in uno pubblico. Ancora ci sono difficoltà a definire gli effetti delle privatizzazioni sui singoli
dipendenti. Alcuni ricercatori sostengono che i cambiamenti del tipo di proprietà sono
cambiamenti distali che non hanno un impatto particolarmente forte sulla situazione lavorativa
immediata dei singoli dipendenti.
Le teorie dello stress vengono utilizzate per spiegare le valutazioni e le reazioni dei dipendenti
rispetto a ciò che accade nel loro ambiente, come i cambiamenti organizzativi. Una teoria
particolarmente preziosa è la TEORIA TRANSAZIONALE DELLO STRESS DI LAZARUS E FOLKMAN:
secondo cui la valutazione di un evento è un fattore determinante delle reazioni individuali.
Comprendere i meccanismi che possono spiegare come i vari aspetti del cambiamento
organizzativo si traducono nelle reazioni dei dipendenti non è solo interessante ma anche di
grande importanza per la gestione di un’organizzazione.
La teoria transazionale dello stress sostiene che gli individui interpretano e valutano che cosa
una situazione possa significare per loro e ciò determina il modo in cu essi reagiranno.
Anche se la valutazione primaria di stress (intesa come danno, minaccia o sfida) possono
presubilmente portare a conseguenze organizzative diverse, queste dipendono dalle risorse
individuate nella valutazione secondaria.
Le due fasi di valutazione non sono eventi a sé stanti, ma piuttosto parti di un processo ciclico
e dinamico, giacchè gli individui riconsiderano la loro valutazione primaria sulla base dei
risultati della valutazione secondaria. In questo contesto va sottolineato che le categorie della
minaccia e della sfida non sono necessariamente esclusiva. Un cambiamento organizzativo, o
qualsiasi situazione potenzialmente stressante, può contenere sia elementi di minaccia sia
elementi di sfida.
Dato che le prime fasi di un cambiamento organizzativo sono caratterizzate da incertezza, tra
le conseguenze a breve termine dei cambiamenti organizzativi vi sono spesso sentimenti di
irritazione, sconforto. I dipendenti possono assumere un atteggiamento difensivo e ricorrere a
vari meccanismi di difesa per affrontare la situazione.
Altre conseguenze a breve termine possono essere la previsione da parte dei dipendenti che il
contenuto del lavoro possa cambiare e diventare meno significativo e la loro preoccupazione
per gli effetti del cambiamento sul posto di lavoro e sulla futura situazione finanziaria.
Le conseguenze a lungo termine riguardano soprattutto vari aspetti della salute e del
benessere. Le ricerche hanno mostrato che i cambiamenti organizzativi sono legati a un
aumento dei problemi di salute mentale. Anche se tali effetti negativi tendono a diminuire con
il tempo.
I cambiamenti che comportano estere riduzioni del personale hanno conseguenze peggiori per i
dipendenti rispetto ad altri tipi di cambiamenti. Si parla di “senso di colpa dei sopravvissuti e
sindrome dei sopravvissuti” per descrivere le reazioni del personale rimasto in azienda dopo
tagli di vasta portata. Tali reazioni possono comprendere il senso di colpa verso i colleghi che
hanno perso il lavoro e l’adozione di atteggiamenti negativi nei confronti dell’organizzazione e
del management. La maggior parte dei cambiamenti organizzativi e delle ristrutturazioni tende
ad avere conseguenze negative per il benessere dei dipendenti, indipendentemente dal fatto
che i cambiamenti includano riduzioni di personale oppure no. Le conseguenze negative
sembrano aver luogo soprattutto quando i dipendenti sperimentano ripetuti cambiamenti o
quando i dipendenti sono lasciati a lungo nell’incertezza.
I cambiamenti radicali e su larga scala tendono ad avere un impatto maggiore sui dipendenti
rispetto ai cambiamenti evolutivi e su piccola scala. I cambiamenti che comportano
licenziamenti riguardano non solo le persone che vanno via ma anche quelle che restano.
Le conseguenze dipendono anche dalla circostanza se il cambiamento sia più prossimale o
distale.
La valutazione del cambiamento (irrilevante, positivo o stressante) non solo determina come gli
individui fanno fronte alla situazione, ma anche quali ne saranno le conseguenze.
- risposte distruttive
- risposte costruttive
Queste coppie di attributi possono combinarsi in 4 possibili risposte: uscita (exit), parola
(voice), fedeltà (loyalty), e disinteresse.
Una seconda alternativa che combina la risposta attiva e costruttiva è che i dipendenti
esprimano le proprie opinioni sul cambiamento organizzativo e su ciò che dovrebbe accadere
affinchè la situazione cambi a loro beneficio e potenzialmente anche a beneficio
dell’organizzazione. Questa alternativa di solito è spesso scelta da coloro che hanno una
posizione forte nell’organizzazione e che per questa ragione possono trovare attenzione e
ascolto. I dipendenti che occupano posizioni inferiori potrebbero comunicare ai colleghi ciò che
pensano dei cambiamenti e così influenzare l’opinione altri e potenzialmente lo stesso
mutamento, oppure potrebbero ricorrere a forme di comunicazione collettive come i sindacati.
Una terza alternativa passiva e costruttiva, consiste nel mostrare fedeltà all’organizzazione e
sperare di essere ripagati più tardi, trascorsa la turbolenza. Per coloro che hanno una posizione
debole nell’organizzazione l’unica alternativa potrebbe essere quella di ritirarsi da parte ed
evitare di affrontare la situazione (disinteresse). Questa risposta passiva e distruttiva si traduce
in prestazioni di lavoro peggiori e in un rischio maggiore di incorrere in problemi di salute.
E’ stao osservato che le persone alle prese con cambiamenti organizzativi per un periodo
prolungato di tempo possono manifestare effetti di SPILLOVER (ricaduta) dal lavoro alla vita
privata, come disturbi del sonno e maggiore consumo di alcol. Tali effetti di spillover nel lungo
periodo possono provocare conflitti tra il lavoro e la vita privata. Su tempi ancora più lunghi
possono estendersi al benessere di altri membri della famiglia e influenzare le opinioni dei figli
sul lavoro e sulle aspirazioni lavorative
Molte delle conseguenze dei cambiamenti organizzativi colpiscono in prima battura i dipendenti
ma si ripercuotono anche sull’organizzazione. Diversi studi mostrano che i cambiamenti
organizzativi sono associati a un livello inferiore di soddisfazione lavorativa, a un minore
commitment organizzativo e a un maggiore desiderio desiderio di lasciare l’organizzazione. I
cambiamenti organizzativi possono far si che l’org. sia giudicata meno affidabile e che la
fiducia nel management diminuisca. Questi effetti possono insorgere dopo l’annuncio del
processo di cambiamento, in connessione con un aumento dell’incertezza sul futuro.
Su tempi più lunghi gli atteggiamenti negativi tendono a tradursi in comportamenti es:
prestazioni peggiori.
I cambiamenti organizzativi possono anche portare a un maggiore turnover dei dipendenti. I
dipendenti che hanno competenze più apprezzate nel mercato del lavoro hanno più probabilità
di andarsene, chi ha meno competenze potrebbe trovarsi costretto a restare anche qualora
volesse lasciare l’organizzazione. I cambiamenti organizzativi possono causare minore
produttività e maggiori costi per l’organizzazione
Uno dei primi modelli teorici dell’insicurezza occupazionale è quello di Greenhalgh e Rosenblatt
che considera le possibili cause e le conseguenze organizzative della percezione di insicurezza
Queste definizioni poggiano su due assunti: l’insicurezza ha carattere soggettivo nel senso che
individui diversi nella stessa situazione possono sperimentarla in modo diverso e le percezioni
di insicurezza sono involontarie, nel senso che riflettono un cambiamento involontario da uno
stato di sicurezza a uno stato di insicurezza, o nel senso che l’individuo preferirebbe trovarsi in
una situazione occupazionale più sicura di quella attuale.
La percezione di insicurezza occupazionale ha conseguenze negative sia per l’individuo sia per
l’organizzazione. Le analisi hanno mostrato associazioni negative tra l’insicurezza
occupazionale e una serie di atteggiamenti collegati al ruolo lavorativo e all’organizzazione tra
cui: la soddisfazione lavorativa, il coinvolgimento lavorativo, il commitment, la fiducia nell’org.
E’ stato studiato anche come l’insicurezza occupazionale percepita possa diffondersi all’interno
di un org. attraverso le interazioni individuali, fino a creare un clima di insicurezza.
Tale clima di insicurezza occupazionale è stato associato anche a esiti negativi in termini di
lavoro e salute. Le ricerche mostrano che spesso l’insicurezza occupazionale percepita è
collegata ai cambiamenti organizzativi e comporta una varietà di conseguenze negative.
Influenzano anche la visione negativa della vita in generale (affettività negativa) e la tendenza
a riferire le cause a ciò che accade internamente oppure esternamente (Locus of control
interno o esterno).
Le ricerche hanno mostrato che anche altri fattori individuali come le strategie di coping sono
impo, esse determinano in buona misura le conseguenze delle situazioni stressanti.
Il coping emozionale può spaziare dall’evitare mentalmente una situazione stressante al doloro
per ciò che è stato perduto o si teme di perdere.
Il coping orientato al problema può voler dire cercare di influenzare il processo di cambiamento
levando la propria voce contro una situazione giudicata insoddisfacente o si può tradurre nella
decisione di lasciare l’org.
Ricerche recenti sono giunte alla conclusione che il coping emozionale può essere un primo e
necessario passo grazie al quale gli individui possono abituarsi alla situazione e prepararsi a
usare strategie più orientate al problema.
Inoltre le risorse di coping come l’occupabilità percepita possono influenzare le conseguenze
del cambiamento organizzativo.
Anche la posizione sociale influenza il modo in cui un cambiamento ha effetto sui dipendenti.
L’accresciuta incertezza associata ai cambiamenti organizzativi può essere percepita in modo
differente a seconda della posizione gerarchica all’interno dell’organizzazione. I dipendenti in
posizioni più elevate sono di solito a conoscenza del cambiamento che si attiverà quindi hanno
più opportunità di influenzarne e controllarne il processo.
Questi sono fattori che riducono l’incertezza e alimentano la fiducia nella possibilità di gestire
la situazione, il che riduce lo stress del cambiamento.
Chi si trova in posizioni meno elevate percepiscono l’incertezza come più difficile da gestire e
vivono il cambiamento come più stressante.
Le ricerche mostrano che le conseguenze più negative che cambiamenti organizzativi sono
riferite dagli impiegati in posizioni inferiori.
Secondo altri studi i dipendenti in posizioni intermedie vanno incontro a conseguenze
maggiormente spiacevoli rispetto a chi occupa altre posizioni, perchè sono chiamati a
contribuire al cambiamento in misura maggiore di quelli delle posizioni inferiori ma non hanno
accesso alle risorse per influenzare i cambiamenti come quelli delle posizioni più elevate.
Altri studi hanno msotrato che nel caso del cambiamento organizzativo di ampia portata, il
livello di salute dichiarato peggiora per tutti i dipendenti indipendentemente dalla posizione
sociale o genere.
I cambiamenti organizzativi spesso comportano anche un aumento del carico di lavoro e una
maggiore richiesta di flessibilità e presenza: le donne finchè saranno gravate dalla maggior
parte del lavoro domestico non retribuito avranno più problemi ad accogliere questo tipo di
richieste rispetto agli uomini.
Alcuni fattori organizzativi che possono incidere sulle conseguenze dei cambiamenti:
- trattamento corretto da parte dell’organizz.
- supporto sociale di supervisori e colleghi: fornisce ai dipendenti le risorse necessarie per
gestire in modo efficace una situazione stressante
- strutture comunicative aperte all’interno dell’org.
- strategie di gestione delle risorse umane che offrano ai dipendenti l’opportunità di
partecipare al processo decisionale: può aiutare le persone a comprendere meglio il
cambiamento e favorire l’accettazione della ristrutturazione come qualcosa di
necessario
- ruolo della giustizia organizzativa: in che misura i dipendenti ritengono di essere trattati
giustamente dall’org. soprattutto riguardo agli aspetti distributivi dei cambiamenti
organizzativi = se i dipendenti ritengono di essere trattati in modo corretto dall’org. ne
segue che essi possono comprendere meglio perché il cambiamento sia necessario e
quali siano gli obiettivi del processo e ciò renderà meno probabile la resistenza ad esso
Una combinazione di fattori organizzativi che può essere utile per affrontare le potenziali
conseguenze negative del cambiamento organizzative è costituita da quello che si potrebbe
definire un atteggiamento proattivo verso il cambiamento da parte del management. Dove ad
es. l’org. promuove attivamente la partecipazione dei dipendenti al processo di cambiamento e
fa del suo meglio per adottare procedure corrette nel corso dello stesso.
Tale atteggiamento proattivo verso il cambiamento organizzativo permette di ridurre le
conseguenze negative del ridimensionamento ed è associato a esiti più favorevoli in termini di
salute e lavoro.
I risultati indicano che anche se spesso i cambiamenti organizzativi tendono a essere accolti
sfavorevolmente dai dipendenti, non mancano i fattori che possono contrastare le loro
conseguenze negative.
Vedremo come le org. possano contribuire al benessere dei dipendenti attraverso molti mezzi:
- cultura improntata al rispetto
- una leadership competente e disponibile
- specifiche iniziative per la salute sul luogo di lavoro
Presenteremo alcuni esempi di come le org. possano creare luoghi di lavoro sani attraverso:
- il modo in cui il lavoro è organizzato, progettato e gestito
- le relazioni sociali
- i leader o i manager responsabili del benessere dei lavoratori
- lo sviluppo di risorse individuali
Possono essere considerati sani i dipendenti che da un lavoro hanno bassi livelli di stress,
burnout e sintomi negativi sulla salute fisica e mentale e dall’latro presentano indicatori positivi
si salute fisica, soddisfazione, engagement, energia, efficacia professionale, integrità, rispetto
verso gli altri e sé stesso. I dipendenti sani si sentono bene quando lavorano, hanno
atteggiamenti lavorativi positivi e si dedicano al proprio lavoro con passione, di solito hanno
buoni rapporti con le persone con cui interagiscono quotidianamente.
Le org. dovrebbero cercare di contrastare fattori negativi che creano stress e problemi di salute
e rafforzare i fattori positivi che promuovono soddisfazione, autostima, salute e benessere. Per
fare ciò le org. dovrebbero costruire luoghi di lavoro psicologicamente sani.
LUOGHI DI LAVORO PSICOLOGICAMENTE SANI: si tratta di quei luoghi che al tempo stesso,
promuovono e sostengono la salute fisica e psicologica e il benessere dei dipendenti, adottano
collaudate pratiche imprenditoriali per mantenere l’impresa efficiente e produttiva e hanno un
impatto positivo sui clienti e sulla collettività. Questa definizione implica che un luogo di lavoro
sano è anche produttivo. E’ essenziale che il luogo sia stabile e produttivo in termini economici,
se un’azienda non è economicamente sana finirà col fallire. E’ da sottolineare che non esiste
una formula unica per creare luoghi di lavoro sani quindi ogni organizzazione incontra problemi
diversi e trova soluzioni differenti per costruire un luogo di lavoro sano.
Per creare un luogo di lavoro sano è necessario comprendere le sfide e le risorse peculiari di
ciascun luogo di lavoro
Parte dello sforzo dell’org. deve riguardare il miglioramento delle condizioni lavorative
fisicamente pericolose e la riduce dei rischi. es: introdurre commissioni per la salute e sicurezza
Le ricerche hanno mostrato che fattori psicosociali come le condizioni interpersonali o sociali
del lavoro, la cultura e la leadership possono influenzare la salute e il benessere dei dipendenti.
Ricercatori di tutto il mondo hanno ricercato gli elementi costitutivi di luoghi di lavoro
psicologicamente sani. I modelli proposti hanno molte cose in comune. In tutti i modelli le
organizzazioni sane sono quelle che operano in modo sistematico per promuovere la salute e il
benessere dei dipendenti attraverso processi organizzativi e hanno risultati organizzativi
positivi.
La figura mostra un modello integrato degli elementi costitutivi di un ambiente di lavoro
psicologicamente sano.
I luoghi di lavoro sani sono descritti come quelli che offrono risorse e pratiche organizzative che
danno significato al lavoro dei dipendenti e li aiutano a svolgere efficacemente i propri compiti.
Oltre alla disponibilità di risorse e all’engagement lavorativo, una caratteristica fondamentale è
la promozione della salute fisica e psicologica e della sicurezza sul posto di lavoro.
Queste risorse e queste pratiche hanno esiti impo sia per i dipendenti che per l’organizzazione.
Influenzano il benessere e le prestazioni dei dipendenti, rafforzano il loro senso di efficacia
personale e promuovono livelli più elevati di engagement, soddisfazione e prestazione sul
lavoro.
Esse hanno anche importanti implicazioni a livello organizzativo (es. riduzione turnover) e a
livello sociale (es. sostegno alla comunità).
Iniziative e interventi possono integrare gli elementi costitutivi dei modelli di luogo di lavoro
sano a vari livelli dell’organizzazione e in particolare nelle aree:
1. l’intera organizzazione (interventi a livello dell’org.)
2. i gruppi e le unità di lavoro (interventi a livello del gruppo)
3. i leader organizzativi (interventi a livello del leader)
4. il singolo lavoratore (interventi a livello del lavoratore)
Nella prima fase vengono individuati e analizzai i fattori che ostacolano e quelli che facilitano il
cambiamento e viene istituito un gruppo di indirizzo.
Nella seconda fase viene condotta un’analisi sistematica delle richieste e delle risorse del
lavoro.
Dipendenti e manager sono intervistati sulle richieste e sulle risorse più importanti nello
specifico luogo di lavoro.
Un vantaggio del metodo PIOP è che esso considera non solo i rischi psicosociali ma anche i
punti di forza e le risorse dell’’organizzazione e dei gruppi di lavoro, un approccio a due vie che
può favorire l’engagement.
Sulla base di queste interviste viene elaborato un questionario su misura basato sulle
specifiche condizioni di lavoro dei dipendenti e manager. I risultati sono ritrasmessi ai
dipendenti e ai manager, i quali definiscono assieme una scala di priorità su quali richieste e
quali risorse cambiare.
Nella terza fase i gruppi di lavoro collaborano a definire piani d’azione dettagliati e concreti. E’
consigliabile avere da tre a cinque piani d’azione, non di più. Ogni piano dovrebbe includere
info dettagliate su chi fa cosa, quando e perché, e sulla valutazione del piano
La quarta fase prevede l’implementazione dei piani d’azione. Il follow-up sistematico dei piani
d’azione trova posto nelle riunioni già previste.