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Lezione 4

Il terzo principio che è possibile desumere dall’art 2 Cost è il principio solidaristico o della
solidarietà sociale, più semplice da individuare nella disposizione costituzionale, perché si
parla espressamente di doveri inderogabili di solidarietà.
Il fatto che l’art 2 faccia riferimento ai doveri di solidarietà, fa comprendere che questo
principio si sostanzia in costituzione prevalentemente nei doveri di solidarietà politica,
economica e sociale, anche se non è vero che il riferimento sia esclusivamente ai doveri,
perché l’esigenza che sia rispettato un principio di solidarietà all’interno di una collettività
è inevitabile, perché una collettività riesce a sopravvivere solo se c’è solidarietà tra i
membri di quella collettività e non quando i membri agiscono in maniera egoistico-
individuale.
Quindi il principio di solidarietà è un principio che di per se informe il funzionamento delle
collettività sociali. Il modo in cui è immediatamente rinvenibile in costituzione sono i doveri
di solidarietà e sono quei doveri che contemperano e completano il principio del
pluralismo, perché il pluralismo è essenziale in una democrazia e serve anche a garantire la
coesistenza d’istanze, d’idee, di posizioni diverse che devono convivere in una società
complessa pluralista.
Il principio di solidarietà contempera il principio del pluralismo perché la solidarietà
richiede a tutti i componenti della collettività di adempiere ad alcuni doveri, gli stessi
doveri per tutti, quindi introduce in qualche modo un elemento di omogeneità, una base di
omogeneità in una società che è pluralista. Quindi si tutela il pluralismo, cioè si tutelano le
differenze, ma garantendo una base di partenza che sia omogenea perché tutti i membri
della collettività sono tenuti all’adempimento dei medesimi doveri di solidarietà.
Quindi questo principio completa e contempera il principio del pluralismo perché
garantisce quel minimo di solidarietà che serve all’esistenza stessa di una collettività pur
nel rispetto delle differenze, perciò la Corte Cost dice che la solidarietà come principio è la
base della pacifica convivenza civile.
In cost questa solidarietà si esprime attraverso i doveri o quantomeno in maniera
immediata attraverso i doveri. Ma quali?
Come possiamo interpretare l’art 2? (ieri) abbiamo detto che lo possiamo interpretare
relativamente ai diritti come norma a fattispecie aperta, come norma a fattispecie chiusa o
in una direzione di mezzo (tesi di Modugno). Il dubbio c’è anche sui doveri. L’orientamento
pressochè unanime è che la parte dell’art 2 relativa ai doveri si legga come fattispecie
chiusa senza ampliare i doveri oltre quelli previsti in Costituzione, con una precisazione. C’è
un elenco di doveri, in Cost c’è anche l’art 23 : “Nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”
Il modo con cui essa è formulata rappresenta sicuramente una garanzia, con legge è quindi
possibile introdurre/imporre delle prestazioni personali e patrimoniali, dei doveri possono
essere imposti con legge. Degli obblighi possono essere quindi imposti con legge sulla
scorta dell’art 23.
Questo vuol dire che possiamo leggere l’art 2 della Cost relativamente ai doveri come
fattispecie chiusa, ma è anche vero che esiste l’art 23 della Cost che nel rispetto del
principio della riserva di legge consente al legislatore d’introdurre degli obblighi non
espressamente previsti in Cost. Quindi c’è la possibilità di ampliare i doveri ma nel rispetto
della riserva di legge.
Quindi l’art 2 va letto, per la parte relativa ai doveri, come norma a fattispecie chiusa, ma
c’è una espressa disposizione costituzionale (art 23) che consente di ampliare il catalogo
dei doveri solo nel rispetto della riserva di legge.
Questi ulteriori obblighi andranno poi valutati, c’è la valutazione della Corte Cost sulla
ragionevolezza, sul principio di uguaglianza, il legislatore non è mai libero, in un
ordinamento come quello italiano, nessun potere è senza limiti.
Quali sono gli altri doveri costituzionali?
Quando si parla di doveri di solidarietà economica, politica e sociale di cui parla l’art 2 si
pensa subito agli art 52 e s.s. Cost, ma esistono anche altri doveri che non sono secondari,
ad es l’art 4 che fa riferimento al lavoro, è quello che solitamente viene richiamato per
ricordare il diritto al lavoro, però dice anche : “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere,
secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al
progresso materiale o spirituale della società”
Quindi il lavoro è un diritto, ma è anche un dovere. Che tipo di dovere è? È un dovere di
solidarietà perché il cittadino ha il dovere di svolgere un’attività o una funzione che
concorra al progresso materiale o spirituale della società, cioè il cittadino ha il diritto di
svolgere un’attività e il dovere di svolgerla in modo che essa contribuisca alla collettività di
cui il cittadino fa parte. Il lavoro si connette anche all’art 1 Cost, quindi è fondamentale
considerare il lavoro un diritto, ma anche un dovere.
Un altro es. è l’art 30: “E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli,
anche se nati fuori del matrimonio ecc..”
L’aspetto significativo di questa disposizione è che l’istruzione dei figli è diritto e dovere dei
genitori, ma anche come è stata scritta, cioè prima è dovere e poi diritto dei genitori.
Questo per dire che nella Cost trasversalmente il riferimento ai doveri è sempre presente
ed è caratterizzante della Cost, ma d’altro canto la Cost si basa su principi che richiedono
necessariamente la solidarietà, perché essa è in grado di tenere insieme una collettività,
anche una collettività pluralista.
Comunemente quando si fa riferimento ai doveri costituzionali si fa riferimento agli art 52
e ss.
Art 52: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”
Considerazioni sull’art: la prima considerazione è il riferimento al sacro, in Assemblea
costituente oltre al termine inviolabile si erano proposti altri termini come “sacro”,
nonostante poi si sia optato per il termine inviolabile, il termine sacro è comunque entrato
in Cost, ma con riferimento ad un dovere, quello del cittadino e non di tutti, i cittadini
hanno il dovere sacro di difendere la propria patria. La caratteristica peculiare di questo
articolo è il riferimento al sacro.
L’ordinamento italiano è sicuramento un ordinamento laico, però la laicità italiana non è la
laicità francese, l’ordinamento è laico ma non è indifferente al fenomeno religioso, anzi in
Cost sono molte le norme che si occupano del fenomeno religioso. Nell’art 52, con il
riferimento al termine sacro, l’idea è proprio quella di accentuare l’importanza di questo
dovere dei cittadini. Anche considerato il momento in cui è stata scritta la Cost e quindi
l’importanza di questo dovere.
Il secondo comma art 52: “Il servizio militare e' obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla
legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, ne' l'esercizio
dei diritti politici”
L’altro dovere è il servizio militare di leva (la leva obbligatoria). Non è vero che non esiste
più, la Cost lo prevede, questo articolo non è stato mai abrogato e continua a prevedere il
dovere di svolgere il servizio militare obbligatorio. Sicuramente un legge ordinaria non può
disporre in contrasto con la Cost. infatti la legge 226/2004 sospende la leva obbligatoria,
quindi in qualunque momento può essere reintrodotta. Ci sono costituzionalisti che
prevedono che suddetta legge sia incostituzionale.
Il terzo comma art 52: “L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito
democratico della Repubblica”
In questo caso non c’è un dovere di solidarietà, ma c’è un’esigenza di garantire il principio
pluralista anche all’interno delle forze armate, che per loro natura sono un’organizzazione
gerarchica, ma nonostante questo, essendo l’Italia un ordinamento democratico, è
necessario anche all’interno delle forze armate garantire lo spirito democratico della
Repubblica, quindi è possibile imporre alle forze armate alcune limitazioni, sicuramente c’è
ne sono state e gradualmente sono state negli anni superate, ridimensionate. Ad es.
limitazioni per la libertà sindacale, anche per la libertà di riunione e di associazione, che poi
sono state ridotte nel tempo e che potevano essere giustificate per la natura stesso
dell’ordinamento militare, ma comunque hanno sempre dovuto tenere in conto il principio
democratico, quindi per quanto possa essere possibile in un ordinamento fortemente
gerarchico, bisognava cercare di preservare il pluralismo.
Art 53 : “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita'
contributiva. Il sistema tributario e' informato a criteri di progressività”
Il dovere costituzionale in questo caso è il dovere tributario, cioè il dovere di pagare le
tasse. È un dovere di solidarietà, servono al funzionamento e alla gestione della cosa
pubblica. Non dobbiamo dimenticare che il nostro ordinamento è caratterizzato in senso
sociale e che il sistema tributario è informato a criteri di progressività e non di
proporzionalità.
Tutte le costituzioni sociali del secondo dopoguerra chiedono la progressività, cioè
chiedono che la contribuzione di ciascuno alle spese pubbliche sia differente in base alle
capacità del contribuente, questa è la progressività. Dagli anni 70 si è ridotto il numero
degli scaglioni in Italia e dai 70000 euro in su c’è soltanto uno scaglione e l’ultima riforma
(riforma sull’Irpef) conferma questa impostazione. Ne discende che in questo modello di
tassazione non vi sia molta progressività.
Da questo art 53 si ricava il : dovere tributario, cioè il dovere di partecipare alle spese
pagando le tasse e si ricava anche un obbligo che non è per i cittadini, ma per
l’ordinamento d’improntare il sistema tributario alla progressività e non alla
proporzionalità.
Art 54 : “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la
Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”
Primo comma : “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica”. Questo
dovere di fedeltà, anche per renderlo concreto/tangibile viene inteso come obbligo di
rispetto della Cost italiana e delle leggi dell’ordinamento italiano. Il cittadino che è fedele
alla Repubblica ne rispetta la Costituzione e le leggi. Tutti i cittadini dice il primo comma.
Invece
Secondo comma: dice “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche”, quindi una parte di
cittadini specifica, ovvero chi esercita funzioni pubbliche, ha il dovere di farlo con disciplina
e onore. Ciò vuol richiamare quella parte di cittadini che esercita funzioni pubbliche, ad un
atteggiamento di rigoroso rispetto non solo della Costituzione e delle leggi, ma anche ad un
atteggiamento che non sia lesivo della dignità delle istituzioni che rappresenta, quindi la
disciplina (ovvero il rispetto delle norme) e l’onore che può essere l’immagina che si
trasmette dell’istituzione che si rappresenta.
Queste sono le disposizioni costituzionali alle quali normalmente si fa riferimento parlando
di doveri inderogabili di solidarietà.
Però un accenno andrebbe anche fatto agli art 97-98 cost, visto che nell’art 54 c’è il
riferimento ai cittadini che ricoprono cariche pubbliche.
Art 97 : “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano
assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”
Questo in qualche modo si collega al dovere di coloro che ricoprono cariche pubbliche
perché innazitutto c’è una riserva di legge che ne disciplina le funzioni e anche perché si
richiede il rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità che in qualche modo si
riconnettono al dovere di esercitare le proprie funzioni con disciplina e nel rispetto delle
leggi.
L’altra disposizione importante e connessa a quanto detto fin ora è l’art 98 “I pubblici
impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”
Popolo: complesso dei cittadini, cioè di coloro che hanno lo ius civitatis ( popolo uno degli
elementi costitutivi dello stato)
Popolazione : insieme dei soggetti che in un determinato periodo storico risiedono sul
territorio dello Stato, indipendentemente dall’avere la cittadinanza o meno
Mentre la Nazione è un concetto tecnicamente diverso, esso fa riferimento ad un
fenomeno transtorico, sicuramente non riguarda un singolo specifico periodo storico e
quindi una specifica generazione di persone, ma riguarda le tradizioni, la cultura che
caratterizzano un popolo e quindi quel complesso di lingua, cultura, religioni che di
generazione in generazione accomunano una certa collettività. Quindi i concetto di
Nazione è transtorico, non riguarda solo il presente, ma anche il passato e il futuro, ed è
anche un concetto transterritoriale, non riguarda solo i soggetti residenti in un
determinato momento su un dato territorio.
Il riferimento alla Nazione in Cost può essere letto come un forte dovere del pubblico
impiegato che non è tenuto al servizio del Governo protempore, ma è tenuto a svolgere i
suoi compiti a servizio di un potere più ampio e anche di più duraturo, ovvero la Nazione.
I diritti delle future generazioni rientrano in questa idea di Nazione che va oltre il
contingente, quindi il riferimento alla Nazione nell’art 98 può essere inteso come l’obbligo
per i cittadini che rivestono una carica pubblica di non operare nell’interesse di chi
protempore governa, ma nell’operare nell’interesse della collettività di cui facciamo parte,
che è un interesse superiore ed è destinato a durare nel tempo.
In riferimento sempre a questi aspetti, un riferimento è possibile farlo alla XVIII
disposizione transitoria e finale, la quale al secondo comma dice: “Il testo della
Costituzione è depositato nella sala comunale di ciascun Comune della Repubblica per
rimanervi esposto, durante tutto l'anno 1948, affinché ogni cittadino possa prenderne
cognizione” questo perché i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica,
rispettandone la Costituzione e le leggi.
Quindi questa disposizione si riconnetteva all’entrata in vigore della Cost, ma anche all’art
54 Cost e al dovere di essere fedeli alla Repubblica e di rispettare la Cost.
I destinatari dei doveri inderogabili sono tendenzialmente i cittadini, perché i doveri
costituzionali di solito fanno riferimento ad uno stretto legame tra l’ordinamento e i
cittadini, quindi il riferimento è ai cittadini. Inoltre c’è l’art 23 Cost che con Legge può
imporre degli obblighi, quindi in quel caso andrà considerato come e nei confronti di chi
impone quegli obblighi, bisognerà quindi valutare caso per caso sulla base della
disposizione che prevede il dovere.
Un aspetto peculiare dell’art 2 è che all’interno di esso non c’è il riferimento alla dignità
umana che invece è spesso presente in altre Cost a noi vicine geograficamente,
storicamente, culturalmente. Ad es. il riferimento alla dignità umana è presente nell’art 1
della Cost tedesca che prevede che la dignità umana sia inviolabile e che tutti i poteri
statali debbano rispettarla e tutelarla. È abbastanza ovvio che nella Cost ci sia il riferimento
alla dignità umana se si pensa a quello che è stato il Nazismo, ai campi di sterminio, alle
persecuzioni contro ogni categoria etnica non ritenuta uniforme allo standard ipotizzato
dal Nazismo.
La dignità umana non c’è però nell’art 2, c’è però nella Carta dei diritti dell’Ue, anzi prima
ancora di essere riconosciuto nella Carta di Nizza, la dignità umana era considerata
nell’ordinamento dell’Ue come patrimonio comune degli Stati membri dell’Unione.
Sappiamo che l’Ue fa riferimento alle tradizioni comuni degli stati membri. Quindi la
dignità umana era comunque prevista e tutelata dall’ordinamento dell’Unione, al di là della
Carta di Nizza, perché tradizione comune agli Stati membri dell’UE.
La dignità umana però non è espressamente prevista dalla CEDU, ma essa è prevista solo in
un protocollo aggiuntivo (protocollo n ° 13 sull’abolizione della pena di morte), ma la Carta
in se non parla di dignità umana, forse perché la CEDU è una carta ad impronta liberale e
non sociale come le Cost tedesca, spagnola o italiana. Nonostante ciò la dignità umana è
fortemente utilizzata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Nella Cost italiana, nell’art 2 non c’è, ma ciò non vuol dire che in Cost non si parli di dignità
umana. Già se guardiamo all’art 3 Cost: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale” (che
non è dignità umana, ma c’è comunque un riferimento alla dignità)
Se si guarda all’articolo 36 : “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantita' e qualita' del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla
famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa e'
stabilita dalla legge.
Qui c’è un riferimento alla dignità, sebbene non si parli espressamente di dignità umana,
ma di esistenza libera e dignitosa.
Art 41 (riformata recentemente, che segnala molto l’impostazione dei costituenti):
“L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o
in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana”
Qui l’espressione è proprio dignità umana.
Art 48 ultimo comma : “Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile
o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla
legge”
Anche l’art 32, sebbene non faccia riferimento alla dignità dice : “Nessuno può essere
obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge
non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
Anche se non c’è un espresso riferimento, il modo in cui è formulata la disposizione
sembra richiamare la dignità dell’uomo che non può essere violata neanche dal legislatore.
Il punto è che l’art 2 non fa riferimento alla dignità umana, ma in Cost ripetutamente si
richiama il concetto di dignità, di dignità dell’uomo, della persona umana, quindi in qualche
modo l’idea della dignità dell’uomo c’è in Costituzione anche se con una pluralità di
significati.
Il fatto che sia comunque in Cost, ma con una pluralità di significati, comporta che la Corte
Cost utilizza il concetto di dignità umana nella sua giurisprudenza, quindi quando decide,
sindacando le leggi, quindi le scelte del legislatore, utilizza il canone della dignità umana,
ma poiché questo concetto è utilizzato in diverse disposizioni nazionali e con accezioni
parzialmente diverse, anche l’utilizzo che ne fa la corte cost è vario/diversificato perché la
dignità umana viene utilizzata nella giurisprudenza della Corte come tutela dei diritti e ciò è
pacifico, cioè utilizzare il concetto di dignità umana al fine di garantire e tutelare i diritti
previsti dalla Cost, ma in realtà per il modo in cui, in alcuni casi viene utilizzata o richiamata
in Cost la dignità, la Corte la utilizza come limite ai diritti. Ad es. l’iniziativa economica
privata è una libertà costituzionale, è una libertà prevista e tutelata dalla Cost che non può
essere esercitata in contrasto con la dignità umana, allora la Corte o il legislatore a monte,
può intervenire per limitare quella libertà al fine di garantire la dignità dell’uomo.
Questo fa comprendere un altro modo in cui la Corte utilizza la dignità umana, cioè come
strumento di bilanciamento tra diritti, affinché questo equilibrio serve a garantire la dignità
umana.
La dignità umana può essere utilizzata per giustificare il riconoscimento di nuovi diritti, ad
es. i diritti della personalità o dell’orientamento sessuale. Vengono riconosciuti anche per
garantire e tutelare la dignità umana di una determinata persona.
Ricapitolando: il concetto non è nell’art 2, ma è in Costituzione con accezioni diverse e
funzioni diverse: come limite, come incentivo, come forma di tutela ulteriore e generale. Il
fatto che sia in costituzione consente alla Corte di utilizzarlo in maniera diversificata,
perché in maniera diversificata è previsto in Cost. Allora la dignità umana è utilizzata con
riferimento alla tutela della vita, ad es. l’aborto, tutela del nascituro, diritto a rinunciare
alla vita, alla dignità alla morte, alla proibizione di ogni trattamento inumano o degradante
(es. divieto della tratta degli esseri umani, della schiavitù, seppur sono esistenti nuove
forme di schiavitù). Se guardassimo al nostro ordinamento, il concetto di dignità umana
utilizzato come canone, può riguardare le pratiche biomediche, quelle che riguardano la
gestione degli embrioni, oppure quelle pratiche capaci d’intervenire sul dna o capaci di
definire sesso, tratti somatici, dei nascituri, o tutte quelle pratiche biomediche capaci
d’incidere sulla dignità della persona.
Quindi la dignità umana seppur non c’è nell’art 2, c’è in Cost in termini diversi ed è anche
ampiamente utilizzato dalla Corte Cost anche come strumento di controllo delle scelte del
legislatore.
Questo riferimento allo strumento di controllo delle scelte del legislatore, aiuta a
considerare l’art 3 della cost, il principio di eguaglianza, strumento che nel modo in cui è
stato sviluppato, consente alla Corte Cost di svolgere una penetrante funzione di controllo
sulle scelte del legislatore.
ART 3 COST
Questo art contempla il principio di eguaglianza. È un termine evocativo (tutti pensano di
sapere cosa sia l’eguaglianza) ed equivoco cioè ognuno di noi ha una sua idea di
eguaglianza.
È un termine che compare in tanti testi giuridici e costituzionali, è un concetto di natura
fortemente filosofica, il che amplia l’ambito dei contenuti di cui si può riempire, ciò per
dire che (così come diceva Bobbio) l’eguaglianza in se può essere solo un nome, un nome
di un contenitore che può essere riempito di qualunque contenuto, quindi può avere un
contenuto molto diverso non solo a seconda dei diversi contesti storico-culturali, ma può
avere un contenuto diverso anche a seconda dell’idea che ciascuno ha d’eguaglianza.
Quando si parla d’eguaglianza, sarebbe opportuno partire dalla previsione costituzionale,
perché parlare di eguaglianza in astratto sarebbe inutile e fuorviante.
Per evitare equivoci, si deve innazitutto partire dall’assunto per cui eguaglianza non
significa identità. L’eguaglianza è un principio che deve tener conto di una circostanza di
fatto, cioè che le persone oggettivamente hanno delle differenze. Allora l’eguaglianza non
può essere considerata come l’identità di tutte le persone, cioè l’annullamento di tutte le
differenze, perciò ciò rischierebbe di essere l’annullamento delle caratteristiche/peculiarità
di ciascuno.
Anche il principio di eguaglianza deve tenere in considerazione la complessità del
fenomeno umano, cioè gli esseri umani sono diversi ed è normale che è così. Quindi il
principio di eguaglianza non può essere inteso come un principio livellatore che elimina
ogni differenza tra le persone. Il che comporta da un lato capire cosa intendiamo nello
specifico per eguaglianza, occorre ritenere che l’eguaglianza debba tener conto delle
differenze, allora occorre considerare che l’eguaglianza sia un principio di relazione tra
soggetti con delle differenze, dunque serve considerare che il principio di eguaglianza per
essere applicato, per essere realizzato, richiede anche d’individuare quali sono gli elementi
di comparazione tra quelli differenziali rispetto ai diversi soggetti perché alcuni elementi
sono di differenza e rimarranno di differenza, altri invece potranno essere comparati e si
potrà provare a portarli sullo stesso piano, alcuni inevitabilmente rimarranno con delle
differenze.
Ma se l’eguaglianza non identità/livellamento delle differenze ed è anche un concetto che
richiede di mettere in relazione parametri diversi, se la società cambia- cambiano anche le
persone, cambiano anche i parametri di riferimento, cambiano anche gli elementi di
eguaglianza, gli elementi di differenza- bisogna anche pensare che l’eguaglianza non è un
principio statico, ma è un principio dinamico, che cambia nel tempo, nel contesto sociale.
Quindi a sua volta è un principio che cambia nel tempo e cambia anche nell’individuazione
delle modalità attraverso cui applicarlo, quindi non cambia solo il principio, ma cambia
anche il modo in cui si applica il principio perché è cambiata la società, il contesto, le
persone.
FINE PREMESSE
ART 3 COMMA 1 : “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali”
COMMA 2 : “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
(breve inciso) : c’è una connessione tra art 2 e art 3: art 2 “doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale”, art 3 “ effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Questo per dire che gli articoli
tra di loro sono collegati
L’art 3 dice “tutti i cittadini”, ma le disposizioni costituzioni vanno lette tra di loro in
combinato disposto, l’art 2 fa riferimento all’uomo, quindi non solo i cittadini sono soggetti
meritevoli di uguaglianza, ma essa va garantita a tutti, all’uomo.
L’art 3 fa riferimento a 2 concetti di eguaglianza: formale e sostanziale.
L’eguaglianza formale con i divieti di discriminazione che vengono elencati dall’art 3 al
primo comma, è un’idea classica di eguaglianza. Un ‘idea liberale, 800esca dell’eguaglianza
che vieta le discriminazione. È il concetto tradizionale di eguaglianza, anteriore allo Stato
sociale di diritto.
Il secondo comma fa riferimento ad un’altra concezione d’eguaglianza, eguaglianza intesa
in senso sostanziale. È un concetto riconducibile storicamente al costituzionalismo del
secondo dopo guerra e alla nascita dello Stato sociale di diritto che non guarda
all’eguaglianza solo come divieto di discriminazione, ma guarda all’eguaglianza come
strumento per superare le disuguaglianze sociali, cioè diseguaglianza che esistono nella
società e che non vengono meno semplicemente vietando le discriminazioni, perché
vietando quest’ultime le differenze sociali restano.
Es. il divieto di discriminare in base alla razza, ma un figlio di un immigrato regolare
straniero in Italia non si può permettere di andare all’università, nessuno lo discrimina, ma
i genitori non se lo possono permettere perché fanno un lavoro umile. Il principio di
eguaglianza vieta la discriminazione in base alla razza, ma quel ragazzo comunque non
potrà accede a quell’istituzione. La stessa costituzione prevede di sostenere gli studenti
meritevoli, la Cost stessa che interviene, che dice è compito della Repubblica l’intervento,
non il semplice divieto di discriminazione, ma ciò non elimina le disuguaglianze.
Questo esempio è utile per capire come il concetto di eguaglianza sostanziale si afferma
nel secondo dopoguerra, proprio di fronte alle forti disuguaglianze sociali, ad una società
molto povera.
Quindi nell’art 3 ci sono 2 accezioni diverse di eguaglianza: un’accezione formale/classica
che va avanti dall’800 e un’accezione sostanziale, dinamica del principio d’eguaglianza che
è invece è figlia del costituzionalismo sociale del secondo dopo guerra e della nascita dello
Stato sociale di diritto.
Quando si è dibattuto in Assemblea Costituente di principio d’eguaglianza, sull’accezione
formale del suddetto principio non c’è stato bisogno di discutere. Più complesso fu
individuare e definire in Cost l’accezione sostanziale d’eguaglianza che per certi versi segna
una cesura forte con l’ordinamento precedente.
L’introduzione del principio d’eguaglianza sostanziale in Cost, serve a caratterizzare
l’ordinamento costituzionale italiano, è uno di quegli elementi che orienta l’ordinamento
italiano nella direzione dello Stato sociale con la Repubblica, con lo Stato che viene
incaricato d’intervenire, cioè di attivarsi per rimuovere le disuguaglianze. Quindi è una
previsione che contribuisce a definire lo status del cittadino, cioè quel complesso di diritti e
di doveri che lo riguardano, perché introducendo questo art 3 sia nell’accezione formale
che sostanziale, si dice che tutti i cittadini hanno lo stesso status e che non possono esserci
cittadini con uno status giuridico differenziato rispetto agli altri.
Questo principio ha delle eccezioni che devono essere previste dalla Cost e devono essere
giustificate. Ad esempio per i parlamentari e per il Presidente della Repubblica. È uno
status differenziato legato alla carica e il cittadino che ricopre quella carica che ha diritti e
doveri diversi. Potremmo dire che è la carica che reca con se diritti e doveri differenti e si
estendono a chi protempore ricopre quella carica.
Quindi questa previsione contribuisce a definite uno status del cittadino, status che
riguarda tutti i cittadini. Questo configura l’eguaglianza come un vincolo, per: la P.A. la
quale non può trattare diversamente i cittadini, il potere esecutivo, ha il dovere di
garantire il principio d’eguaglianza nei confronti dei cittadini. Il potere giudiziario è l’altro
potere che ha il dovere di rispettare il principio d’eguaglianza nei confronti dei cittadini. Il
legislatore ha un margine di manovra più ampio rispetto al potere esecutivo e al potere
giudiziario che sono entrambi soggetti alla legge.
L’ordinamento italiano è un ordinamento democratico, basato su una Cost rigida che
anche il legislatore è tenuto a rispettare. Il che significa che il legislatore conformemente a
quanto previsto dalla Cost, è tenuto a disciplinare in maniera uguale le situazioni uguali e
in maniera differente le situazioni diverse, perchè uguaglianza non è sinonimo d’identità,
se ci sono delle differenze quelle differenze vanno rispettate. Quindi anche il legislatore è
tenuto a rispettare il principio d’eguaglianza. Però può succedere che il legislatore sbagli,
però essendo il nostro ordinamento basato su una cost rigida, sul controllo di legittimità
costituzionale, le scelte del legislatore sono sindacabili dalla Corte costituzionale, la quale
può intervenire sulle scelte del legislatore dichiarandole incostituzionali per violazione del
principio d’eguaglianza.
Questo significa che il legislatore deve anche rispettare il principio d’eguaglianza e che la
legge che il legislatore approva dovrebbe mantenere le caratteristiche classiche della legge,
cioè la generalità e l’astrattezza, perché se il legislatore è tenuto a rispettare l’eguaglianza,
non dovrebbe approvare leggi speciali, leggi che riguardano una ristretta categoria di
soggetti, un caso ben determinato, perché in questo modo il legislatore non legifererebbe
su categorie ampie in maniera eguale, ma andrebbe ad adottare una disciplina ad hoc per
gruppi di persone specificatamente individuate e ciò potrebbe essere indicativo di una
violazione del principio d’eguaglianza.
In ogni caso le scelte del legislatore possono essere sindacate dalla Corte Cost, anche con
riferimento al rispetto del principio d’eguaglianza.
Nella sent 15/1960 dice la Corte Cost : il principio d’eguaglianza è violato anche quando la
legge senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso a cittadini che si trovano
in una situazione eguale.
In questo estratto oltre al richiamo di tutela di situazioni uguali in maniera uguale e tutela
di situazioni diverse in modo diverso, significativo è il passaggio “il principio d’eguaglianza
è violato anche quando la legge senza un ragionevole motivo ecc..”
Ciò significa almeno due cose : la prima è che ci possono essere ragioni che giustificano un
trattamento differenziato, perché le persone sono diverse, hanno caratteristiche diverse,
non possono essere annullate nella loro diversità. La diversità va garantita, è la
diseguaglianza che va contrastata. Allora se ci sono delle differenze che non possono
essere annullate è giustificato un trattamento diverso. Ciò significa che bisogna trattare
situazioni uguali in modo uguale ed è doveroso trattare situazioni differenti in maniera
diversa.
Ma il “ragionevole motivo” cui la Corte fa riferimento dice qualcosa in più sul modo in cui
opera la Corte Cost, svolge il suo controllo sul rispetto del principio d’eguaglianza e sul
modo in cui svolge il sindacato di legittimità costituzionale. Cioè la corte dice che esiste un
principio d’eguaglianza ma anche un principio di ragionevolezza che evidentemente sono
connessi, ma non sono la stessa cosa.
Ciò significa che la Corte è chiamata a verificare il rispetto del principio d’eguaglianza, ma
anche a verificare il rispetto del principio di ragionevolezza.
La corte di fatto ci dice che dal principio d’eguaglianza deriva anche un altro principio, che
è quello di ragionevolezza ed essa s’incarica di far rispettare anche quello. La Corte fa
discendere il principio di ragionevolezza da quello d’uguaglianza, ma gradualmente essa
inizia ad utilizzare il principio di ragionevolezza in maniera autonoma, indipendentemente
dal principio d’eguaglianza, come strumento di controllo della legittimità costituzionale
della legge de gli atti aventi forza di legge.
Il principio d’eguaglianza è previsto in Cost, ma è qualcosa di non precisamente definito, è
qualcosa di non definibile in maniera astratta a priori.
Invece il principio di ragionevolezza non è neanche espressamente in Cost, la Corte lo
deriva dal principio d’eguaglianza. La ragionevolezza è un principio ancora di più
indeterminato di quello d’eguaglianza.
Il controllo di legittimità costituzionale è incerto e imprevedibile quando si basa sulla
ragionevolezza e consente alla Corte di fare delle scelte con un ampio margine di
discrezionalità nel censurare le scelte del legislatore.
Questo per dire che ricavare il principio di ragionevolezza dal principio di eguaglianza
significa render più indefinito/indeterminato/incerto il controllo di legittimità
costituzionale.

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