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Si era ipotizzato che la fine della guerra fredda avrebbe dovuto rappresentare l’inizio della

pace nel mondo, inaspettatamente accadde proprio il contrario, gli Stati Uniti, celandosi
sotto messaggi di pace, sicurezza e democrazia, li ha sfruttati come pretesto per una
nuova guerra, la Guerra del Vietnam.

Faroki attraverso il suo film “inextinguishable fire” affronta l’evento della guerra del
Vietnam che culmina in un gesto metaforico: spegnersi una sigaretta su un braccio (di
gradi all’incirca 400) paragonandolo ai 3000° del Napalm, arma diventata simbolo proprio
degli accadimenti di quella guerra. Questa metafora viene utilizzata intanto per
sensibilizzare il pubblico, principalmente quello europeo, tramite un’immagine della quale
tutti potremmo fare esperienza, appunto l’immagine di una sigaretta che brucia sulla pelle,
in modo tale da poter creare più facilmente un contatto diretto con lo spettatore, cosa che
non sarebbe parimenti possibile mostrando l’atrocità di un arma al Napalm poiché tale
immagine sarebbe, si forte e violenta, ma talmente lontana da esperienze umane da non
suscitare nessuna emozione di “dolore” al riguardo, lo spettatore ne rimarrebbe esterno.
Un altro fine delle opere di Faroki è quello di far riflettere lo spettatore su immagini che
vengono direttamente proposte dal linguaggio della guerra, senza bisogno di
spettacolarizzare o imbellire le inquadrature, bisogne ragionare sulla dialettica delle
immagini, per capire una guerra bisogna capire anche le immagini che ci vengono
proposte. Nascono così vari tipi di immagini di guerra, ad esempio il Phantom Shot,
(Soggettiva fantasma) immagini nelle quali vengono mostrate riprese posizionate da posti
inaccessibile all’occhio umano (una ripresa fatta da un elicottero, o ancor di più da una
testata di un missile). Tramite tali immagini non registrate appunto da un occhio umano,
nasce una nuova relazione tra lo spettatore e l’immagine proposta, questa relazione è
data principalmente da quello che viene chiamata Intelligenza dell’arma, Faroki infatti
utilizza proprio le stesse tecnologie che stavano avanzando nel campo delle armi, cioè con
l’avanzamento della guerra e dei vari progressi nell’ambito delle armi, si cerca di essere il
più possibile precisi, come nel 1942 anno in cui ci fu la prima ripresa di una prova di lancio
di un HS293, ripresa dalla testata di un proiettile, lanciata sul relitto di una nave in una
base militare tedesca, questa ripresa fu un significativo progresso anche se l’HS293 non
venne mai utilizzato. Questa nuova modalità di seguire gli scontri attraverso degli schermi
è diventata poi una normalità dagli anni 90. Junger con un suo scritto “Nodo di Gordio”,
preceduto da “Sul dolore” parla dell’ Occidente e dell’Oriente come due entità non più
distinte ma anzi, nel corso dei secoli, si sono sempre più confrontate e trasformate
vicendevolmente sia nel campo della cultura che in quello della guerra, si porta infatti
l’esempio che crea un vero e proprio parallelismo tra la nascita dei “missili con occhio
umano” e la figura dei kamikaze giapponesi, i quali si fondano organicamente, diventando
un tutt’uno con l’arma stessa, l’arma deve essere più precisa possibile, ma non per limitare
il numero delle vittime, ma anzi perché il processo di attacco possa essere il più esatto
possibile. In oriente l’onore del soldato è quindi pari anche al suo stesso sacrificio. Un’altra
immagine che ci viene proposta da Faroki è l’Immagine Operativa ovvero un’immagine
che nasce non per informare, non per riprodurre, ma proprio parte dell’operazione tecnica.
Le immagini operative sono fatte invece per rimuovere i morti.
Benjamin paragona la figura del pittore, del medico di base o di un mago, come figure che
non abbandonano mai una distanza con l’altro, mentre la figura del cinematografo che
lavora con immagini operative non creerà mai una visione totale e organica, ma anzi
frammentaria, come un chirurgo che elimina la distanza con il proprio paziente lavorando
sul corpo direttamente dall’interno. Quindi quello su cui agisce l’immagine operativa è
un’immagine autentica dedita ad un superamento della Mimesys della realtà così da
creare un nuovo rapporto con l’immagine stessa e il mondo. L’uomo contemporaneo infatti
assiste a una nuova politica delle immagini, senza l’immagine autentica non c’è
testimonianza storica e perdendo la propria referenza storica le immagini perdono anche
l’attaccamento con la realtà, le immagini invece devono aprire alla critica avendo
quell’attaccamento alla realtà.

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