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Vernant affronta la questione del lavoro nell’antica Grecia, cominciando ad indagare su un’etimologia della

parola lavoro. Non esiste una parola che definisce in modo specifico il lavoro, ma ci sono delle altre parole
che invece ci si avvicinano: come ad esempio 1.ponos, attività di sforzo, o 2.ergazesthai, che invece viene
utilizzato per l’attività agricola e 3.ta erga per la finanza. Inoltre esiste la parola 4.ergon che sarebbe il
prodotto della virtù (Arete), questione che si collega alla prattein cioè l’agire (in opposizione con la poiesis).

Vernant differenzia il lavoro degli agricoltori da quello degli artigiani. Gli artigiani esercitano un’attività al di
fuori dell’ambito dell’oikos e del demos, cioè del familiare e popolare, si colloca invece nella sfera della
poiein, cioè della fabbricazione tecnica.

Il fine del lavoro, inteso come prattein (agire) nell’antica Grecia non è quello di produrre un oggetto esterno
all’atto produttivo ma quello di svolgerlo per la passione del mestiere.

Ne “le opere e i giorni” di Esiodo egli definisce due tipi di lavoro: l’arboricultura e l’allevamento e il secondo:
lo sfruttamento della terra. L’arboricoltura esige che i prodotti siano come dei doni degli dei e l’uomo deve
perseguire il suo rapporto con essi (gli dei) con feste banchetti, non tanto con la fatica del lavoro. Il secondo
tipo di lavoro, quello prediletto da Esiodo, invece stabilisce un altro rapporto con gli dei, dove la principale
divinità è Demetra, che non distribuisce i suoi doni: ma invece il lavoro qui è visto come una forma di vita
morale, dove importante è il rapporto tra uomini e dei dove per ogni cosa deve venire a suo tempo. non è
produrre l’intento principale, ma il lavoro. Esiodo dice che davanti all’ arete (virtù) gli dei hanno messo il
sudore, mentre senofonte dice, nel suo testo all’economico, che l’agricoltura è ciò che permette arete di
esercitarsi.

l’agricoltura poi viene associata alla guerra, poiché entrambi sono due occupazioni virili ed entrambe
dipendono dagli dei. guerra e agricoltura non appaiono come mestieri, si può parlare quindi di techne? la
techne è definita come un sapere specializzato e l’agricoltura non serve a mostrarci dell’operazioni umane
ma la natura, dove la riuscita vale quel che vale l’uomo e lo sforzo che ci mette. l’agricoltura è partecipazione
ad un ordine superiore naturale e divino dove l’uomo non trasforma o adatta la natura ai suoi fini, così lo
sforzo assume valore nella quantità in cui l uomo stabilisce rapporto col divino. Se lo sforzo ha così un
rapporto col divino allora c’è merito quindi arete.

Nella comunità politica greca gli artigiani gli agricoltori sono due classi distinte. il lavoro nella Polis greca ha
un valore sociale e politico: c’è la società quando ognuno si specializza in qualcosa e fa affidamento sugli
altri. la Polis si poggia sul fatto che ognuno con la sua specializzazione è anche però uguale agli altri
cittadini. si parla del mito del mito di Prometeo, che dona agli uomini ognuno una diversa dinamis tecnica.
per i greci il lavoro in rapporto alla produzione è legata a una certa dinamis di chi produce e a chi Invece ha
bisogno di quel prodotto: in questo sistema la divisione dei compiti è una necessità per l’uomo dove la
qualità supera la quantità. senofonte infatti osserva la divisione dei compiti solo sull’aspetto del
perfezionamento dell’artigiano e quindi del prodotto.e le capacità tecniche di ognuno si presentano come
caratteri naturali da perfezionare. Platone dice che il mestiere è ciò che ognuno era predestinato per sua
natura. la technè di un artigiano è il modo d’uso della sua dinamis, non per creare un’opera non naturale, ma
un prodotto dell’uomo. ora la technè non serve più a soddisfare i bisogni ma da piaceri e genera solo
illusioni. Platone dice che per ogni cosa ci sono il suo utilizzo che appartiene all’utente, la sua fabbricazione
che appartiene all’artigiano e infine la sua imitazione che invece appartiene al pittore. gli artigiani diventano
così degli strumenti con il quale si concretizza il valore d’uso di un oggetto. la poiesis dell’artigiano diventa
così una questione strumentale: la sua attività è una sottomissione alla natura umana.

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