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CARATTERI DEL VOLGARE ILLUSTRE

Secondo quello che è scritto nei bestiari, la pantera dopo ogni pasto dormiva 3 giorni e quando si
svegliava ruggiva emettendo un profumo irresistibile agli altri animali che correvano attratti da
esso. Con queste parole viene rappresentato il volgare illutre che Dante ha ricercato in tutte le
parlate locali, con scarsi successi. Per Dante il volgare illustre è una sorta di astrazione, quasi
negativa, questo perché non coincide con quello di nessuna città, ma li rappresenta tutti, costituendo
la sintesi delle loro migliori qualità. Da qui deriva il carattere esemplare del linguaggio poetico nelle
sue più alte espressioni: la tendenza della letteratura a staccarsi dalle realtà politico-sociali dei
singoli centri per costituire l’ideale di una comunità unica, che supera quella delle singole, ma pur
sempre limitata agli interessi, gusti e alla cultura di più ristrette èlites intellettuali. Dante si rende
conto che il problema non è solo sociale ma anche politico, in quanto riguarda la mancanza di un
unico centro di potere capace di attrarre e di unificare tutte le forze culturali della penisola italiana.
Non a caso tra le altre definizioni del volgare illustre troviamo quella che lo indica come aulico che
è fondata su un’assenza e assume un significato soprattutto ideale, che Dante identifica con la
ragione. Successivamente vediamo come Dante esalta il valore della grande poesia, che conferisce
ai poeti stessi e a coloro che l’ammirano una gloria superiore a quella dei regnanti e che ha il potere
di muovere i sentimenti, di persuadere e di spingere all’azione.

L’IMPERATORE, IL PAPA E I DUE FINI DELLA VITA UMANA


La struttura del discorso traduce quello che è il nocciolo del discorso, ovvero una duplice guida
corrisponde al duplice fine. Infatti Dante scrive che la Provvidenza mise davanti all’uomo: la
beatitudine di questa vita, che consiste nell’esplicazione delle proprie facoltà e nel paradiso
terrestre; e la beatitudine della vita eterna, consistente nel godimento della visione di Dio, cui la
virtù dell’uomo non può giungere senza il soccorso di un lume divino, quindi di un aiuto.
Quest’ultimo punto ci fa capire che Dante aveva una visione personale sulla natura dell’uomo,
affermando che fosse incline al male e per appunto raggiungere la vita eterna ha bisogno di un aiuto
di origini divine. Successivamente spiega come per arrivare a queste due beatitudini ci vogliono
procedimenti diversi, in particolare: per quanto riguarda la prima beatitudine si può raggiungere
facendo affidamento alla filosofia, purchè questi ideali morali e intellettuali si seguano
adeguatamente. Dicendo così è come se Dante risaltasse l’imperatore che per guidare il popolo si
serve della filosofia stessa e dei suoi ideali. Per la seconda beatitudine invece bisogna servirci di
preghiere, speranza, opere teologiche e carità. Anche questa volta sta facendo riferimento ad un
altro perno della società di quel tempo, il Papa, che appunto si serviva di preghiere e di teologia in
generale per guidare il popolo sulla retta via. Infatti subito dopo afferma che proprio per seguire la
seconda beatitudine abbiamo avuto bisogno di una figura venuta in nome di dio, facendo
riferimento al papa. Tuttavia però esalta come facilmente la cupidigia umana li oscura. Non c’è
dubbio che Dante proietta le sue aspirazioni deluse. Pur senza intaccare la sostanza della sua tesi,
Dante si corregge verso la fine esprimendo un concetto di superiorità per quanto riguarda gli ideali
teologici, quindi è come se ponesse a primo posto, quindi prima dell’imperatore, il papa.

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