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Sindrome clinica nella quale un rapido cambiamento delle condizioni di un organo addominale, generalmente
correlato ad infiammazione o infezione, determina dolore addominale acuto e gravi manifestazioni cliniche
con decorso ingravescente ⇛ richiede immediata e accurata diagnosi e, se necessario, un trattamento
chirurgico in regime d’urgenza.
Epidemiologia
Numerosi studi osservazionali hanno confermato che almeno un terzo degli adulti riferiscono un episodio di dolore addominale all’anno.
Le percentuali di ricovero per dolore addominale varia dal 18% al 42% nei diversi studi.
Eziologia
a) Cause addominali ⇒ addome acuto vero:
• Dolore addominale non specifico (35% dei casi)
• Appendicite acuta (30%)
• Colecistite acuta (10%) e colica biliare
• Occlusione intestinale acuta (5%)
• Patologia ginecologica acuta (⇒ PID, cisti ovarica emorragica,
GEU, torsione annessiale)
• Pancreatite acuta e cronica
• Ulcera peptica perforata
• Diverticolite acuta
• Diverticolite di Meckel
• Ischemia-infarto intestinale
• Rottura di aneurismi dell’aorta addominale
Clinica
❖ Dolore
È il sintomo principale dell’addome acuto che spinge i pz a rivolgersi al medico o ad
andare in PS.
In base alle sue caratteristiche, il dolore può orientare verso una determinata diagnosi:
• Sede
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• Tipologia
− Dolore viscerale profondo ⇒ a partenza dai visceri addominali:
o In genere scarsamente localizzabile, avvertito nelle regioni mediane
o Qualità: sordo e cupo, viene variamente interpretato a seconda della causa come
crampiforme, urente, lacerante, a colpa di pugnale
o EO: pz irrequieto, addome trattabile (può essere presente contrattura, però volontaria),
Blumberg − , peristalsi conservata
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− Dolore riferito (viscero-parietale):
o È avvertito in regioni distanti dall’organo leso, può essere riferito sia alla cute sia ai
tessuti profondi
o Le strutture interessate hanno la stessa derivazione embriologica del dermatomero del
viscere sofferente.
− Dolore continuo: perdura per ore, senza periodi di remissione, è più tipico di un’irritazione peritoneale.
• Modalità di insorgenza:
− Improvvisa: tipico della perforazione di ulcera peptica
• Migrazione:
− appendicite: inizia come dolore somatico in epigastrio e diventa poi dolore viscerale in fossa
iliaca dx
− perforazione duodenale: inizialmente in epigastrio, poi con la caduta del contenuto duodenale in doccia parietocolica il dolore cambia
sito.
❖ Sintomi di accompagnamento:
• Vomito
Si possono differenziare, da un punto di vista patogenetico, tre tipi di vomito:
− Vomito riflesso: fenomeno neurovegetativo che si realizza per le connessioni esistenti fra vie ascendenti dolorifiche e nuclei vagali.
Può essere alimentare, chiaro (succhi gastrici) o verdastro (gastro-biliare) e non comporta in genere un’attenuazione dei disturbi
− Vomito da intossicazione: stesse caratteristiche, va riconosciuto attraverso un’attenta indagine anamnestica. In questo caso il dolore
addominale è meno intenso e non persistente
− Vomito ostruttivo: dovuto a un ostacolo al transito digestivo che determina l’accumulo nello stomaco di alimenti, succhi gastrici,
biliari o intestinali (a seconda del livello dell’ostruzione); la distensione delle pareti gastriche innesca il meccanismo del vomito.
N.B: nelle patologie chirurgiche il dolore precede il vomito (ad es. appendicite), mentre nelle mediche il vomito precede il dolore
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• Febbre: frequentemente associata a infezioni intraddominali
• Segni e sintomi legati alla patologia di base (ad es. ittero nelle pancreatiti).
❖ EO addominale
È importante valutare anche l’app. cv: tachicardia e ipotensione indicano una patologia complicata con peritonite.
Vanno ricercati anche i polsi, soprattutto in caso di sospetta rottura di aneurisma (ad es. potrebbero non essere più percepibili i polsi degli arti
inferiori).
b) Palpazione: deve iniziare lontano dalle aree di dolorabilità elettiva (per evitare di suscitare una contrazione parietale che
mascheri il rilievo di ulteriori segni) ed essere condotta con delicatezza, prima superficialmente e poi profondamente
per rilevare iniziali difese o contratture addominali, espressione di irritazione peritoneale, fino
all’addome ligneo/“a tavola” della peritonite diffusa.
Nel dubbio che la tensione sia invece dovuta a un problema di parete (ad es. ematoma del retto addominale), è utile il segno di Carnett in cui
provocando la contrazione della muscolatura addominale (facendo sollevare la testa o le gambe nel letto), la tensione parietale, se è dovuta a un motivo
di parete, aumenta notevolmente.
Possono poi essere ricercati alcuni segni obiettivi che si basano sul dolore provocato:
• Segno di Blumberg (o dolore di rimbalzo) ⇒ indice di peritonite
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c) Percussione: si valuta l’ottusità plessica di un eventuale versamento che si contrappone alla risonanza
timpanica dell’addome meteorico.
Nel sospetto di perforazione, la scomparsa dell’area di ottusità epatica determinata dallo
pneumoperitoneo può confermare la diagnosi.
d) Auscultazione: in questo caso andrebbe eseguita subito dopo l’ispezione e prima di ogni manipolazione per evitare rumori transitori falsamente
interpretati come peristalsi:
• Presenza e qualità dell’attività peristaltica:
− ileo meccanico: i rumori peristaltici/borborigmi saranno ad alta frequenza (⇒
iperperistaltismo) fino ad assumere un timbro metallico (rumori di filtrazione dovuti al passaggio di
liquido ad alta pressione nelle anse distese); in fase avanzata si passa al silenzio addominale
− ileo paralitico: assenza dei rumori peristaltici
− Gastroenterite: peristalsi rapida
Diagnosi
• Anamnesi ed EO
• Esami di laboratorio:
− Emocromo con formula
− PCR e VES
− Funzionalità renale ed esame urine
− Elettrolitemia ed EAB
− Altri esami ematochimici:
o Amilasemia e lipasemia ⇒ pancreatite
o Bilirubina coniugata/diretta, fosfatasi alcalina e γ-GT ⇒ colestasi
o Enzimi di necrosi cellulare (LDH, CPK, AST-ALT)
• Imaging:
− RX torace e addome diretto: da richiedere possibilmente sia in posizione supina che ortostatica.
Può evidenziare:
o Multipli livelli idroaerei nelle anse del tenue e distensione ⇒ occlusione
o Falce d’aria sottodiaframmatica ⇒ perforazione di viscere cavo
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− Ecografia: metodica di scelta per la diagnosi di:
o appendicite
o colelitiasi/colecistite
o raccolte ascessuali addominali
o patologie epatiche
o patologie ginecologiche (con sonda transvaginale)
o eco-color-doppler per valutazione di flussi, aneurismi e trombosi
− TC (senza e con mdc): nei casi dubbi di addome acuto e quadro clinico severo.
Al presente è considerata l’indagine più utile nella maggioranza delle situazioni per la sua accuratezza diagnostica e perché fornisce
dettagli di sede, anatomici e patologici, non possibili con le altre metodiche.
Ha un ruolo particolarmente importante nei pz in cui non si può raccogliere adeguatamente la storia (pz incoscienti o dementi) e nei
quadri di incerta attribuzione o qualora la decisione di procedere o meno alla esplorazione chirurgica necessiti di un ulteriore supporto.
Da alcuni studi è emerso che l’associazione della TC all’esame clinico fornisce un’accuratezza diagnostica del 95%.
− Endoscopia: indispensabile momento diagnostico e terapeutico nelle emorragie del tratto GI.
L’EGDS non trova praticamente indicazione ed anche la colonscopia ha un impiego molto limitato: può essere utile, quando
l’intervento è controindicato, in caso di occlusione da volvolo del colon, poiché la derotazione endoscopica del volvolo è una possibile
alternativa alla chirurgia.
Management
All’arrivo in PS il pz critico deve immediatamente essere sottoposto a:
• Monitoraggio parametri vitali (PA, FC, FR, TC, PVC, diuresi)
• Posizionamento di accessi venosi periferici di grosso calibro
• Posizionamento di SNG e catetere vescicale
• A questo punto si instaura subito una terapia infusionale in quanto il pz con addome acuto smette di bere
e di mangiare, si somministrano antidolorifici e antibiotici ad ambio spettro ed infine, con una diagnosi
certa, si inizia la terapia eziologica.
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APPENDICITE ACUTA
È la più frequente urgenza/emergenza chirurgica nei paesi occidentali e rappresenta la prima causa di
addome acuto in età pediatrica.
Il picco di incidenza è soprattutto nella II-III decade di vita, sebbene possa verificarsi a ogni età.
Il rischio di sviluppare l’appendicite nel corso della vita è 1/13 o 1/14, quindi l’8,7% di probabilità nel M e il 6,7% nella F.
È molto rara sotto i 4 anni (1-2/100.000/anno).
Fisiopatologia
Il processo infiammatorio dell’appendice
vermiforme riconosce come causa scatenante
un’ostruzione del lume appendicolare: nelle
nostre zone, la causa più frequente è l’iperplasia
linfoide.
Altre cause:
- Coproliti
- Corpi estranei, come semi
- Parassiti
- Neoplasie, in particolare carcinoide appendicolare
- Quando non si identifica nessuna causa, si ipotizza ostruzione dinamica.
Clinica
Il dolore dell’appendicite riconosce diversi stadi d’evoluzione:
1) I stadio: dolore viscerale in regione epigastrica-periombelicale, associato spesso ad anoressia e
febbricola (< 38.5°)
3) III stadio: si verifica quando l’infiammazione raggiunge la parete e vengono stimolate le fibre somatiche.
Compare il dolore in fossa iliaca dx e i segni/sintomi dell’infiammazione parietale, quali la contrattura
di difesa e segno di Blumberg (dolorabilità di rimbalzo).
Sia i bambini sia gli anziani hanno un alto rischio di perforazione: il dolore diventa più intenso e diffuso, la contrattura di difesa aumenta così
come aumenta la temperatura corporea (> 39-40 ° C), compare l’ileo paralitico riflesso dovuto alla peritonite.
La più frequente evoluzione è la peritonite che può essere quadro d’esordio o instaurarsi tardivamente per ritardo diagnostico:
• diffusa: con segni e sintomi classici che sono più accentuati e interessano tutti i quadranti; la diagnosi è spesso intraoperatoria
• circoscritta: febbre (anche settica) + piastrone appendicolare + leucocitosi.
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All’EO:
• All’ispezione:
- pz generalmente sofferente con movimenti ridotti: tipicamente il bambino cammina curvo e
piegato (per non stirare il peritoneo), spesso con zoppia lato dx
- Segno del saltello: facendo saltare il bambino sul posto, sente più dolore quando atterra
• Alla palpazione:
- Dolorabilità in corrispondenza punto di McBurney associata a contrattura di difesa, evocata
con la manovra di Blumberg
- Segno di Rovsing: alla palpazione dei quadranti di dx, dolore in fossa iliaca dx.
- Segno del m. psoas: dolore all’estensione dell’arto inferiore dx con pz in decubito laterale sx, se
l’appendice è retrociecale
- Segno del m. otturatorio: dolore alla rotazione interna della coscia dx flessa a pz supino, se
l’appendice è pelvica.
Diagnosi
Reperti tipici agli esami laboratorio:
• Leucocitosi moderata (11.000-16.000/mm3), in particolare neutrofila: se molto
elevata, sospetto perforazione
• Elevazione PCR: dopo le prime 24 h; sempre elevata in quadri avanzati con perforazione
I dati anamnestici, obiettivi e di laboratorio permettono di stabilire la probabilità di appendicite mediante una serie
di scale:
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L’imaging non è sempre necessario, ma può essere d’ausilio nei casi dubbi o per confermare il sospetto clinico:
• TC addome: per i casi più complessi (ad es. con ascessi multipli) o con presentazione atipica.
• RX addome diretto: generalmente non raccomandata, può avere un ruolo qualora si sospettino complicanze quali occlusione o aria libera in
addome.
Trattamento
Attualmente nel bambino il gold standard è rappresentato dall’appendicectomia (preferibilmente per via
laparoscopica), mentre nell’adulto con appendicite non perforata si può optare per un trattamento farmacologico
antibiotico per ev di prima linea.
La terapia di supporto dipende dai sintomi: i pz con appendicite acuta dovrebbero restare a digiuno e ricevere liquidi per ev (Ringer lattato o soluzione
fisiologica); il trattamento con sintomatici deve prevedere l’uso di antiemetici o di analgesici (gli oppiacei sono considerati i più efficaci in questi casi).
La terapia antibiotica va somministrata tempestivamente al momento della diagnosi, ciò riduce l’incidenza di infezione di ferita nel postoperatorio e la
formazione di ascessi intraddominali.
Antibiotici più usati: cefalosporine di III gen, metronidazolo (per la sua efficacia contro gli anaerobi) e/o aminoglicosidi (gentamicina).
L’intervento classico di appendicectomia consiste nella tecnica open, oggi utilizzato raramente se non in casi complicati.
Attualmente le modalità d’approccio tipiche prevedono l’utilizzo di tecniche mini-invasive di appendicectomia, distinte in due grandi categorie:
• Appendicectomia laparoscopica classica: si posiziona un trocar nell’ombelico, una videocamera e due pinze con cui si lega il mesenteriolo, si
recide l’appendice e la si estrae
• Appendicectomia videoassistita transombelicale (TULAA Trans-Umbilical Laparoscopic-Assisted Appendectomy): utilizzata a Brescia come
prima scelta per le appendiciti non complicate.
La TULAA non può essere eseguita, e viene quindi sostituita dall’intervento laparoscopico classico, in caso di: appendici perforate, ascessi, pz
obesi, posizione retrociecale e cieco fisso.
Se l'intervento è impossibile, gli antibiotici, sebbene non risolutivi, migliorano notevolmente la percentuale della sopravvivenza.
Sebbene diversi studi sulla gestione non chirurgica dell'appendicite (ossia, utilizzando solo gli antibiotici) abbiano mostrato alti tassi di risoluzione durante la
fase iniziale del ricovero, un numero significativo di pazienti ha una recidiva e richiede l'appendicectomia durante l'anno successivo ⇛ l'appendicectomia è
ancora raccomandata.
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Algoritmo UpToDate per trattamento negli adulti:
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PERITONITE
Processo infiammatorio a carico del peritoneo, che rimane tutt'oggi un’importante causa di morte nei pz
ospedalizzati.
Classificazione
➢ Classificazione eziologica:
• Peritonite primaria (rara): peritonite batterica diffusa in assenza della distruzione di un viscere
cavo intraddominale.
Sono, pertanto, la conseguenza della sovrainfezione del fluido ascitico che si accumula nei pz con grave compromissione della
funzionalità epatica o renale.
Sono generalmente sostenute da un solo ceppo batterico (⇒ monomicrobiche): frequentemente E. coli o uno dei batteri piogeni Gram +
(Streptococcus, Staphylococcus, Pneumococcus) e Gram– (Klebsiella, Proteus, Pseudomonas).
Tipi:
− Peritonite spontanea nel bambino
− // nell’adulto
− Peritonite in pz con CAPD (dialisi peritoneale)
− Tubercolosi e altre peritoniti granulomatose
• // secondaria: peritonite localizzata (⇒ ascesso) o diffusa che si verifica quando c'è la distruzione
di un viscere cavo addominale.
Sono generalmente sostenute da una flora polimicrobica.
Tipi:
− Peritoniti acute da flogosi acute e perforazione del viscere: appendicite, diverticolite del
colon, colecistite acuta, ulcera peptica, malattia di Crohn, ernia strozzata, ischemia intestinale ed infarto
mesenterico, neoplasia del colon, occlusione intestinale meccanica prolungata, colite ischemica, ascesso salpingo-ovarico,
torsione del viscere…
• // terziaria: sindrome peritonitis-like che si osserva a causa di disturbi della difesa immunitaria:
− Peritoniti senza evidenza di patogeni
− Peritoniti fungine
− // con batteri scarsamente patogeni.
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➢ // per circostanza di insorgenza:
• Comunitaria: la flora batterica responsabile è quella normalmente presente nell’intestino
• Nosocomiale Germi differenti da quelli della normale flora batterica per la pressione di
• Post-operatoria selezione esercitata dalla terapia antiobiotica (anche a dose singola!)
Fisiopatologia
Gli stimoli irritativi a carico del peritoneo determinano la comparsa di tre tipi di risposta:
• Risposta locale infiammatoria ⇛ dolore addominale acuto
• Ileo paralitico
• Modificazioni emodinamiche e cv, come conseguenza di:
− Ipovolemia: riconosce molteplici fattori causali: sequestro di liquidi nell’intestino, raccolta di liquidi nel cavo addominale,
vasodilatazione da iperemia attiva del distretto splancnico
− Presenza in circolo di endotossine: causano diminuzione delle R periferiche e depressione dell’attività cardiaca.
Inizialmente l’endotossina determina un aumento della gittata cardiaca; tuttavia, quest’ultima diminuisce successivamente,
influenzata dalla vasodilatazione e dall’ipovolemia.
Complessivamente questi due fattori possono determinare l’evoluzione in poche ore verso uno stato
di shock settico/ipovolemico, una condizione di inadeguata perfusione dei tessuti periferici che si
caratterizza clinicamente per:
− Ipotensione arteriosa (PAS < 90 mmHg o comunque una riduzione > 30 mmHg rispetto al normale)
− Segni/sintomi di ipoperfusione:
o confusione e sensorio obnubilato, astenia
o cute pallida e fredda soprattutto alle estremità, marezzata a chiazza
o dispnea e cianosi
o oliguria/anuria
o acidosi metabolica
• Il legame tra due cose apparentemente così distanti si può vedere anche nei pazienti operati: una peritonite post-operatoria può essere
messa in evidenza anche, ad esempio, da una complicanza cardiaca.
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Terapia
Prevede di regola la chirurgia: deve essere effettuata
con urgenza, non appena completato l’iter
diagnostico minimo indispensabile per giungere alla
diagnosi di peritonite in atto, e dopo aver eseguito la
preparazione preoperatoria (⇒ riequilibrio idro-
elettrolitico e metabolico, terapia antibiotica, altri
eventuali farmaci di supporto come inotropi
vasoattivi in caso di shock).
Solo in pochi casi non è indicata la terapia chirurgica: rare forme di
peritonite primitiva (tubercolare, da piogeni) e nelle pelviperitoniti a
focolaio primitivo utero-annessiale, che rispondono all’antibioticoterapia
e alla terapia medica.
PERITONITE POST-OPERATORIA
Riguarda il 2% di pz operati, generalmente tra la 5° e la 7° giornata post-operatoria e comporta una
mortalità del 30-70%.
Clinicamente può presentarsi con dolore addominale e fuoriuscita di liquido purulento dal drenaggio, ma
spesso anche con manifestazioni atipiche: turbe dello stato di coscienza, insufficienza renale, distress
respiratorio, colestasi, problematiche cv (soprattutto FA e SC).
Questi sono sintomi il cui significato è da riconsiderare se il primo intervento era stato effettuato in: regime
d’urgenza, contesto settico, pz immunodepresso, difficoltà tecnica.
La vera sfida della diagnosi clinica è quella di identificare i pz che richiedono una re-laparotomia senza
perdere tempo, per il rischio di insufficienza multiorgano:
Per il reintervento però non bisogna basarsi solamente su leucocitosi e marker di infezione (PCR e procalcitonina), né su creatinina o
PaO2, che rappresentano segni iniziali di insufficienza d'organo e non sono sufficienti per fare diagnosi di peritonite.
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• Criteri formali per reintervento:
− Presenza di pus o liquido denso nel drenaggio
− Segni locali clinici o radiologici
− Défaillance viscerale in progressione
− Forte dubbio diagnostico in pz a rischio.
N.B: se i drenaggi non dicono nulla di particolare non si è autorizzati a dire che non c'è il problema, in quanto potrebbero non essere posti
direttamente nella zona di raccolta purulenta.
Quando l'indicazione per l'intervento rimane dubbia, l'imaging (ecografia e TC) fornisce un contributo solo
nel 50% dei casi.
Da un lato non bisogna tardare la diagnosi, dall'altro una laparotomia “bianca” non è senza rischi (“bisogna
operare solo quando è necessario operare”):
• Quando una complicanza post-operatoria è sospettata durante la prima fase post-operatoria (⇒
primi 3 giorni), la decisione di re-intervento deve essere presa senza ulteriori indagini radiologiche
• Quando sono passati 3 giorni, la decisione di effettuare una re-laparotomia deve essere validata da
una TC: è l’esame di riferimento per identificare raccolte e/o ascessi post-operatori, che sono
lesioni trattabili non chirurgicamente.
Tuttavia, occorre tener presente che:
− Non tutte le raccolte addomino-pelviche sono ascessi: eventualmente fare un agoaspirato per
vedere di che tipo di raccolta si tratta
Considerazioni conclusive
Le peritoniti sono delle urgenze il cui trattamento comprende una terapia chirurgica, medica e anche
metodiche radiologico interventistiche volte a impedire il reintervento (ad es. drenaggio di un ascesso o di
una raccolta).
Non tutte le deiscenze anastomotiche vanno operate, ma va sempre operata la peritonite da deiscenza
anastomotica.
Nelle infezioni comunitarie la diagnosi è essenzialmente clinica, mentre nelle infezioni post-operatorie, di
per sé a prognosi estramamente grave, la diagnosi deve integrare clinica con imaging.
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ADDOME ACUTO EPATO-BILIO-PANCREATICO POST-OPERATORIO
È per definizione espressione di complicanza chirurgica da: deiscenza anastomotica, raccolta di
linfa/bile/succo gastrico, ascesso o emorragia.
Differisce, pertanto, dall’addome acuto gastro-entero-colico che può essere una complicanza chirurgica
oppure un'evoluzione di un processo settico primitivo.
Il problema della chirurgia del pancreas, soprattutto della duodenocefalopancreasectomia (DCP), consiste
nella necessità di anastomizzare un organo parenchimatoso (⇒ porzione di pancreas restante) ad un
organo cavo (⇒ stomaco o digiuno) per consentire alla ghiandola esocrina di secernere i propri enzimi a
livello intestinale.
La deiscenza/fistola della anastomosi pancreatica è il tallone d'Achille di questa chirurgia perché può
portare alla formazione di una raccolta peripancreatica che nel 90% dei casi si infetta (evolvendo poi in un
quadro settico) e rischia di scatenare un'ulteriore complicanza, cioè l'emorragia arteriosa tardiva
(“complicanza di complicanza”), spesso per rottura di pseudoaneurisma, con rischio di evoluzione verso un
quadro di addome acuto emorragico e infine MOF.
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• Perdita biliare: se non riconosciuta porta alla formazione del biloma, ossia una raccolta di bile
circoscritta.
Teoricamente se la raccolta viene delimitata da una parete, all'interno si genera una pressione in
grado di chiudere il foro; al contrario il posizionamento di un drenaggio nella raccolta impedisce la
chiusura del foro ⇛ non vale sempre il concetto secondo cui laddove c'è una raccolta, è necessario
drenare; invece bisogna sempre drenare in caso di ascesso.
In caso di biloma, probabilmente sterile, resta il dubbio sul come procedere: a rigor di logica, si
dovrebbe drenare e se la bile continuasse ad uscire si dovrebbe eseguire una CPRE per mettere uno
stent nella via biliare, facilitando il passaggio di bile per la via fisiologica e dunque la chiusura del
foro.
La lesione della via biliare può essere una complicanza davvero seria, che si presenta con diversi
quadri:
− stenosi della via biliare associata ad ittero ostruttivo (ad es. perché si è legata
accidentalmente la via biliare)
− interruzione della via biliare con o senza fistola.
Questi quadri possono associarsi anche ad un danno vascolare e necessitano di approcci terapeutici
diversi:
− in caso di stenosi: si può attendere ed osservare l'andamento
− // occlusione: si può ripermeare con tecniche endoscopiche o radiologiche
− // fistola: è necessario tener conto del rischio settico, considerando anche che difficilmente
la lesione si chiude autonomamente.
In seguito ad un intervento laparoscopico, proprio per la mininvasività, ci si aspetta che il malato il giorno
successivo stia bene.
Tuttavia, se il malato dovesse presentare febbre, dolore addominale, ileo paralitico o altri sintomi
(considerabili fisiologici post-intervento laparotomico), si tratterebbe di una anomalia e richiederebbe
esami d'approfondimento.
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OCCLUSIONE INTESTINALE
Arresto della normale progressione del contenuto intestinale in senso oro-anale.
Classificazione
a) In rapporto alla causa:
• Ileo paralitico (o adinamico): determinato da deficit della motilità, rappresenta una forma aspecifica di
risposta a condizioni di stress.
Patogenesi: la stimolazione sensoriale del peritoneo produce un arresto dell’attività motoria intestinale che persiste mediamente per 4 ore nello
stomaco, per 6 ore nel tenue, per 35 ore nel colon dx e per 55 ore nel colon sx.
Notevole importanza viene attribuita al ruolo dell’innervazione simpatica dell’intestino: l’inibizione della motilità sarebbe mediata dal sistema
adrenergico come conseguenza di un meccanismo riflesso in risposta alle stimolazioni dolorose dei recettori peritoneali, stimolati a loro volta da
stati dolorosi di varia natura, ma anche dall’irritazione o dalla flogosi peritoneale.
Cause:
− Intra-addominali
o intra-peritoneali: laparotomia (ileo-post-operatorio), peritonite, irritazione peritoneale
(da corpi estranei o agenti chimici), insufficienza vascolare mesenterica
o extra-peritoneali: emorragia o flogosi retroperitoneale (ad es. da aneurismi aortici),
pancreatite acuta, sindromi dolorose gravi (ad es. colica renale)
− extra-addominali sistemiche:
o squilibri elettrici (quali ipopotassiemia, iponatriemia, ipomagnesemia)
o squilibri acido base, farmaci (anticolinergici, narcotici, ganglioplegici)
o traumi
o patologie del SN.
− // intramurale:
o Neoplasie (soprattutto a livello del colon, dx > sx)
o Malattie infiammatore: IBD, diverticolite
o post-operatoria (stenosi anastomotica) e post-RT
o pneumatosi intestinale
o endometriosi
o Cause congenite (in età neonatale): atresie, stenosi
− // extramurale:
o Post-operatorie: aderenze, briglie, ematomi, ascessi, laparocele
o Aderenze post-infiammatorie
o Ernie esterne (prevalentemente inguinali nel M, crurali nella F) o
interne (in neocavità esiti di interventi chirurgici)
o Volvolo (torsione assiale di un segmento del tenue o del colon su se
stesso o sul proprio mesentere che produce un’ostruzione sia prossimale che
distale)
o Invaginazione
o Carcinosi peritoneale
o Gravidanza.
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b) In rapporto alla sede:
• Alta: occlusione prossimalmente al Treitz
o // a valvola/ad ansa aperta: la valvola ileo-ciecale risulta incontinente, quindi l’accumulo di feci e gas sarà in parte deteso verso l’ileo
⇛ i segni/sintomi si attenuano ma virano versi quelli dell’occlusione alta, con eventuale vomito fecaloide (maleodorante)
• Ileo meccanico: è caratterizzato da una dilatazione della porzione intestinale prossimale (a monte) per accumulo di gas prodotti dalla flora
intestinale soprattutto nella porzione duodeno-diginunale, e per accumulo di liquidi ed elettroliti a causa del mancato assorbimento.
Vi sarà anche un aumento del numero di batteri.
Si riscontra invece una normale funzionalità della porzione distale (a valle), che può però portare al collasso la struttura stessa.
In entrambi i casi si verifica dilatazione del lume intestinale, riduzione dell’efficacia delle onde peristaltiche, paralisi flaccida, aumento della pressione
idrostatica interna con edema di parete e apertura di shunt artero-venosi con riduzione della perfusione del viscere.
La dilatazione e l’aumento della pressione idrostatica interna andranno a determinare un’ipovolemia: tutti i liquidi vanno a ristagnare soprattutto a livello
dell’ileo e a livello del tratto ascendente del colon.
I volumi di ritenzione di liquidi e gas possono essere di ingenti dimensioni, si parla infatti di litri.
Clinica
• Alvo chiuso a feci e gas: segno più precoce nelle occlusioni intestinali basse, più tardivo nelle alte. L’eliminazione di gas e feci come
risultato dello svuotamento della parte di intestino distale all’ostruzione può talvolta verificarsi e non deve ovviamente ingannare.
Quando l’occlusione non è completa, o non è ancora completa, l’alvo può essere diarroico, perché solo feci semiliquide riescono a oltrepassare il
segmento ostruito. In queste circostanze è tipico osservare, con ricorrenza ciclica, giorni di stipsi seguiti da un episodio di feci non formate,
• Vomito:
− Quanto più l’occlusione è alta (piloro, duodeno, digiuno), tanto più il vomito è precoce, costante, continuato e abbondante; in questi
casi il materiale vomitato è prevalentemente biliare e può rappresentare un’efficace, anche se transitoria, decompressione
− Quanto più l’occlusione è bassa, tanto più il vomito diventa meno frequente e più tardivo, di colorito più scuro, maleodorante,
fecaloide.
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• Dolore:
− nelle occlusioni pilorica e duodenale il dolore è intermittente, localizzato nella regione epigastrica, e viene più frequentemente riferito
come sensazione dolorosa più che crampiforme
− Nell’occlusione del tenue, il dolore è tipicamente crampiforme con un caratteristico crescendo fino all’acme, per poi recedere fino
all’intervallo libero (circa 5 minuti) prima della colica successiva
− Nelle occlusioni del colon, il dolore è solitamente meno intenso, più sordo e profondo, talora diffuso o, a seconda della sede
dell’ostruzione, localizzato all’ipogastrio o alla fossa iliaca sx
• Febbre
• Altri sintomi: ascite, peristalsi visibile, ernie o tumefazioni palpabili, dolorabilità alla palpazione, rumori peristaltici in crescendo, torpidità o
assenza di peristalsi, feci in ampolla all’esplorazione rettale, sangue visibile o occulto nelle feci.
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Diagnosi
Segue sostanzialmente quella dell’addome acuto.
Trattamento
Può essere:
a) Conservativo
Viene eseguito quando:
− non segni di strangolamento e peritonite
− chirurgia ≥ 6 settimane prima
− occlusione parziale
− segni di risoluzione all’ammissione.
Prevede:
− reidratazione per ev
− decompressione con SNG, naso-digiunale o
endoscopia
− osservazione clinica
− Si deve poi effettuare un controllo radiologico con mdc idrosolubile
(Gastrografin) valutando la progressione dello stesso all’interno
dell’intestino.
Se il mdc nelle 24h è arrivato a livello del colon si può presumere che
vi sarà una risoluzione spontanea del quadro ostruttivo e quindi si
persiste col trattamento conservativo.
Diversamente se dopo 24/36h il mdc non è arrivato a livello del colon
bisogna pensare ad un approccio chirurgico, sia esso in laparoscopia o
in laparotomia.
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b) Chirurgico
Indicazioni:
− Evidenza di strangolamento,
perforazione o peritonite
− chirurgia effettuata nelle 6 settimane
precedenti
− carcinomatosi
− ernia risulta irriducibile
− mancata risoluzione a seguito di 72h di
trattamento conservativo.
− Altre indicazioni che indirizzano verso una scelta chirurgica: segni di evoluzione peritoneale, ileo persistente per più di 72h,
secrezione di quantità di fluidi superiori a 500 cc/die dal sondino nasogastrico, persistenza della sintomatologia dolorosa, aumento
degli indici di flogosi, assenza di mdc a livello del colon a seguito di TC con mdc.
SINDROMI PSEUDO-OSTRUTTIVE
Vanno a mimare un ileo paralitico.
Si distinguono in:
b) Cronica
Sindrome da alterata motilità intestinale caratterizzata da episodi subacuti o intermittenti che simulano il quadro clinico della subocclusione
intestinale.
Eziologia: generalmente idiopatica, ma a volte secondaria a patologie quali collagenopatie, miopatie, malattie endocrine, abuso di psicofarmaci.
Clinica: si presenta con nausea, vomito, dolore, distensione addominale, episodi (spesso alternati) di stipsi e diarrea (quadro tipicamente
occlusivo).
Localizzandosi a diversi livelli del tratto gastroenterico può mimare condizioni cliniche differenti quali acalasia, atonia gastrica, subocclusione
intestinale, morbo di Hirshprung.
Istologicamente si ha degenerazione della componente muscolare o neuronica e dei plessi mioenterici del tratto GI.
Trattamento: prevede palliazione dei sintomi pseudostruttivi, mentre risulta essere utile trattare la patologia eventualmente associata.
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EMORRAGIE DIGESTIVE
Perdita di sangue all’interno del lume dell’app. digerente.
Si va da sanguinamenti lievi con sanguinamento occulto a sindromi con elevata mortalità (10-25%) per
shock emorragico.
Si classificano dal punto di vista anatomico (prendendo come punto di discrimine il legamento di Treitz) in:
Cause:
➢ Ulcera peptica (50% dei casi):
- Gastrica (21%): in endoscopia si presenta circolare, con margini netti e rilevati, fondo ricoperto da fibrina, circondata da
pliche convergenti.
I segni di rischio di sanguinamento sono coagulo fresco e “visible vessel”; i fori ulcerativi si presentano neri poiché l’emorragia si è
fermata grazie alla formazione di un coagulo.
Se durante l’endoscopia si osservasse un coagulo adeso alla parete bisognerebbe lavarlo via per poter osservare il vaso lacerato
sottostante ed eseguire poi emostasi endoscopica.
Particolari ulcere:
o ulcera di Dieulafoy: localizzata a livello della piccola curva in prossimità del cardias con “visible vessel”, spesso
determinata da un’arteria anomala della sottomucosa
o ulcera acuta: compare senza precedenti patologie, può essere da stress
- Duodenale (24%): risulta essere più grave poiché spesso da shock all’esordio per la frequente erosione di rami dell’a.
gastroduodenale. Frequente è anche l’aspetto duplice (“kissing ulcers”)
➢ Sindrome di Mallory-Weiss
Consiste in una lacerazione di mucosa e sottomucosa del giunto esofago-gastrico dopo vomito ripetuto (spesso da abuso alcolico) o
trattenuto.
In endoscopia si presenta una lacerazione longitudinale coperta da fibrina o attivamente sanguinante in prossimità della linea Z.
La prognosi è generalmente buona, ma se la lesione interessa tutto lo spessore per un maggior impegno pressorio si ha la sindrome di
Boerhaave: l’esofago si lacera e il suo contenuto passa nel mediastino provocando mediastinite.
➢ Neoplasie (in ordine di frequenza gastriche, esofagee e duodenali) e processi infiltrativi di tumori vicini come il
tumore della testa del pancreas (che infiltra e ulcera la parete dell’esofago)
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➢ Altre cause più rare:
− angiodisplasie emorragiche (chiamate anche GAVE, sono neoformazioni vascolari)
− polipi
− diverticoli esofagei e duodenali (anche se raramente)
− ernia jatale
− fistola aorto-duodenale (in caso di aneurisma aortico)
− ingestione di caustici.
Cause:
• Malattia diverticolare (45% dei casi)
• Ectasie vascolari (20%), angiodisplasie e malformazioni vascolari
• Neoplasie del colon (10%)
• Patologie ano-rettali (come ragadi ed emorroidi)
• Malattie infiammatorie intestinali (infettive, attiniche, idiopatiche)
• Colite ischemica
• Altre cause più rare: infarto mesenterico, tumori del tenue, diverticolo di Meckel, ulcere peptiche del tenue, strozzamento intestinale
(conseguente a volvolo o invaginamento) e ulcera solitaria del retto.
Principali manifestazioni:
• Ematemesi: vomito di materiale ematico, indica lesione superiore.
Può essere:
- Rosso vivo: indica generalmente emorragia importante in atto
- Caffeano: sangue parzialmente digerito dai succhi gastrici, raccolto in stomaco da lesioni esofagee o gastriche oppure refluito in
stomaco dal duodeno per movimenti antiperistaltici.
• Melena: scarica diarroica di feci scure, di odore caratteristico, composta da sangue digerito dai succhi digestivi e dai batteri intestinali.
Avviene per perdite ematiche acute di entità > 200ml.
• Proctorragia: emissione di sangue rosso vivo legato a lesione inferiore (spesso a livello del sigma)
Il rapporto reciproco del sangue con la defecazione è indicativo di diverse situazioni:
− Sangue emesso da solo, al di fuori della defecazione oppure che può precedere o seguire le feci ⇒ lesione anale (proctorragia) o
rettale (rettorragia)
− Ematochezia:
o Feci verniciate di sangue all’esterno ⇒ lesione parte terminale del colon o retto; le feci si sono già solidificate quando
si rivestono di sangue e perciò la lesione è bassa perché le feci si solidificano nell’ultimo tratto del tubo digerente.
o Sangue misto alle feci: la lesione si trova a un livello in cui le feci sono ancora morbide, perciò indicano una lesione più
alta.
Se poi il sangue non è rosso vivo, ma più sfumato e lucido mi oriento verso una lesione ancora più alta (in una zona ricca
di muco e acqua): le feci, perciò, possono presentarsi come una “marmellata di frutti rossi” se il sanguinamento è a livello
ileale/cecale (emorragia digestiva)
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• Anemizzazione acuta (⇒ sintomatica, con astenia, dispnea da sforzo, pallore, tachicardia) o cronica
• Manifestazioni di instabilità emodinamica.
Diagnosi
• Anamnesi
− Patologica prossima: caratteristiche del sanguinamento, modalità d’insorgenza, fenomeni scatenanti e sintomi associati,
qualità delle feci in termini colorimetrici
− Patologica remota: precedenti patologie GI e cv
− Farmacologica: FANS, cortisonici, anticoagulanti, ma anche fitoterapici
− Familiare: poliposi e coagulopatie ereditarie
• EO: EO generale e addominale, ispezione orofaringe, ispezione ano-perineale e rettale, ispezione delle feci e materiale emesso col
vomito
• Diagnostica strumentale:
− Endoscopia:
o EGDscopia
o retto-sigmoidoscopia e panscolopia
Rimane però un tratto di intestino tenue difficilmente valutabile, si utilizzano perciò altre tecniche:
o Ileoscopia retrograda: si utilizzano endoscopi molto più lunghi con o senza palloncino in modo da segmentare i
tratti analizzati.
o Videocapsula: se non sono presenti occlusione intestinale o angolazioni particolari che potrebbero ostacolare il suo
decorso viene espulsa e letta; il suo grosso limite è che vede ma non localizza la lesione
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− Rx con clisma opaco e Rx con clisma del tenue
− TC con mdc (angio-TC)
2) 2° step:
− escludere sanguinamenti extra-digestivi (ad es. emottisi ed epistassi)
− escludere falsa melena (per assunzione di farmaci come Fe o alimenti che pigmentano le
feci).
In caso di sangue nelle feci, bisogna distinguere una melena (lesione alta) da una proctorragia (lesione bassa).
L’esplorazione rettale è l’unica manovra che permette di comprendere la situazione.
Una volta eseguita questa manovra si distribuisce il materiale raccolto dal dito esploratore su una garza, osservando il colore
dell’alone che si forma: potrà essere rosso, nero o verde (associato al consumo di verdure o integratori di ferro).
Occorre poi analizzare la consistenza delle feci e la disposizione del sangue rispetto alle feci per risalire alla sede del
sanguinamento
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Terapia
• Terapia farmacologica:
− nel sospetto di ulcera peptica: somministrazione precoce di IPP per ev (ad es. omeprazolo o
pantoprazolo 40-80 mg) da ripetere ogni 6h
• Dopo almeno due tentativi correttamente eseguiti di emostasi endoscopica, l’emorragia recidiva deve essere valutata e posta anche
l’indicazione chirurgica per evitare di operare un pz in condizioni irrimediabilmente compromesse.
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WIRSUNGRAGGIA
Emorragia digestiva attraverso il dotto pancreatico, causata spesso da rottura di pseudoaneurisma delle a. peripancreatiche, generalmente
insorto nell’ambito di una pancreatite acuta o cronica (80% dei casi).
Fisiopatologia: a differenza dell’aneurisma, lo pseudoaneurisma è una condizione ad accrescimento rapido e imprevedibile, con rischio di rottura
non correlato al diametro e aggravato da fattori locali.
Per definizione non presenta parete vascolare: lo pseudoaneurisma è un “buco” nell’arteria, che determina la formazione di un ematoma pulsante.
Gli pseudoaneurismi delle arterie peripancreatiche si possono formare in corso di pancreatite acuta.
Nella fase iniziale, la pancreatite comporta la formazione di raccolte fluide peripancreatiche con una componente anche enzimatica.
Gli enzimi pancreatici, soprattutto se complicati da proliferazione batterica, sono in grado di erodere la parete dei vasi.
Le arterie colpite possono essere la splenica, la gastrica, la gastroduodenale, che possono in seguito rompersi nel peritoneo, nel retroperitoneo,
nell’intestino, nel Wirsung o all’interno di pseudocisti.
Spesso è complicanza di altre condizioni come deiescenza anastomotica o lesione ascessuale (“complicanza della complicanza”).
È importante notare l’associazione tra gli pseudoaneurismi e le fistole post-operatorie nella chirurgia pancreatica, che possono ulteriormente
complicarsi in tal modo, dando origine a un’emorragia anche a giorni di distanza, che si rende evidente nel drenaggio.
La storia naturale dello pseudoaneurisma non è prevedibile e il rischio di rottura è molto alto: per questo motivo in genere, in seguito a diagnosi, il
trattamento deve essere effettuato tempestivamente, indipendentemente dalla complicanza emorragica.
Quando gli pseudoaneurismi vanno incontro a rottura con emorragia libera, spesso si osserva una prima emorragia banale con Hb nella norma,
assenza di ipotensione o altri segni: in tal caso si parla di emorragia sentinella, data ad esempio da una rottura inizialmente tamponata.
Clinica: il pz si presenta in genere con melena e dolore (sintomo tipico, spesso assente in altre cause di sanguinamento GI), con endoscopia
negativa.
L’emorragia è usualmente intermittente, ripetitiva e spesso non grave, nonostante l’origine arteriosa; segue il dolore e tipicamente lo calma.
Diagnosi: parte da un sospetto clinico, confermato alla in TC, in cui vediamo una pseudocisti con difetto di riempimento e coagulo sentinella nel
Wirsung.
Nel caso di pz stabile, si identifica il sanguinamento in angiografia e si embolizza; si riserva la chirurgia solo in caso di embolizzazione non efficace.
Nel caso di pz instabile, non necessariamente si ricorre all’intervento chirurgico; se è presente fisicamente l’angiografista, si può ottenere
l’embolizzazione in 20 minuti.
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EMORRAGIE SPONTANEE
Sono apparentemente senza causa, con insorgenza spesso improvvisa.
Si dividono in:
- Primitive: idiopatiche
- Secondarie: complicanze di una patologia sottostante.
Il picco della complicanza è al terzo giorno, perché di solito si comincia con dosi prudenziali per poi aumentarle gradualmente.
La profilassi antitrombotica in un pz che deve essere operato è fondamentale per evitare l’insorgenza di embolia polmonare perioperatoria,
soprattutto in un malato anziano, obeso e che sarà allettato.
Se in USA si tende a svolgere l’intervento chirurgico in assenza di anticoagulante in circolo per ridurre al minimo il rischio emorragico e
iniziare la profilassi dalla sera dell’intervento stesso, in Italia si somministra LMWH la sera prima dell’intervento cosicché la mattina successiva
il farmaco è presente ma non presenta un picco di concentrazione.
Oggi il rischio operatorio è comunque blando: infatti si operano tranquillamente pz in terapia con aspirina e pz in terapia con anticoagulante con
INR fino a 1,7.
Non si operano però malati in terapia con doppia antiaggregazione (aspirina + clopidogrel) perché tendono troppo al sanguinamento.
Il rischio è più elevato nelle prime settimane/mesi, nella fase di adattamento alla terapia.
La condizione più frequente che mette a maggior rischio il pz è assumere due volte la terapia per sbaglio; i medici di famiglia raccomandano,
quando non si è certi dell’assunzione della compressa, di sospendere il giorno piuttosto che correre il rischio di prenderla due volte.
In realtà il rischio di emorragia è probabilmente più correlato alla patologia concomitante che al farmaco: la cardiopatia, l’insufficienza
renale, l’epatopatia cronica sono fattori determinanti il rischio emorragico, specialmente nei pz anziani che spesso assumono anche l’aspirina.
Nel momento in cui un malato in terapia con anticoagulante sanguina, sicuramente da linee guida bisogna sospendere la terapia, ma bisogna
anche cercare un’eventuale lesione occulta sanguinante, presente in buona parte dei casi (30% se sanguinamento GI).
Qualche volta è proprio la complicanza emorragica che porta a fare diagnosi di una lesione, spesso maligna.
Le sedi di emorragia (tessuti molli con ematomi spontanei della parete retroperitoneali, tratto GI, intracraniche) sono sovrapponibili tra i due farmaci,
tranne che per il sanguinamento del nasofaringe che è più tipica del warfarin.
La parete addominale e il retroperitoneo rappresentano la sede più frequente di emorragia spontanea.
In base alla sede il quadro clinico spesso è ingannevole:
− in corso di ematoma spontaneo del m. retto, il pz si presenta con un quadro di addome acuto:spesso si apre il pz pensando ad una
peritonite ma il quadro è in realtà determinato da una reazione di parete da sanguinamento del muscolo che si è infarcito di sangue in
corso di emorragia spontanea a seguito di un colpo di tosse o per altri minimi sforzi fisici.
− In corso di ematoma spontaneo della parete retroperitoneale, il pz si presenta con dolore acuto al fianco/ regione lombare mimando una
colica renale (può presentare anche ematuria a volte).
Quello che mi permette di ipotizzare un’emorragia spontanea è l’anemizzazione del pz fino allo shock.
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➢ Emorragia spontanea da rottura di tumore
− Metastasi
− K epatocellulare: a differenza dei tumori renali, in questo caso la sequenza patogenetica sembra abbastanza chiara: le v. epatiche sono
colpite dall’invasione tumorale ⇛ incapacità di drenare il flusso portale per ipertensione portale del cirrotico o per invasione della v. porta
⇛ aumenta la P intratumorale ed è sufficiente un trauma minimo o addirittura un colpo di tosse per determinare un rapido aumento della
pressione con conseguente rottura e sanguinamento; se il tumore sporge al di fuori del fegato può sanguinare nel peritoneo e non essere
tamponato.
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MALATTIA da REFLUSSO GASTROESOFAGEO
Complesso di segni/sintomi causati dall’eccesso di reflusso acido dallo stomaco attraverso lo sfintere
esofageo inferiore (LES), che determina un impatto negativo sulla qualità di vita dei pz.
L’esposizione della mucosa esofagea al contenuto acido dello stomaco provoca sintomi che risultano compromettere la qualità della vita dei pz; ciò
avviene indipendentemente dalla formazione di lesioni della mucosa esofagea.
Epidemiologia
Prevalenza compresa tra il 10-20%, con incidenza di 5 casi per 1000 persone/ anno nel mondo occidentale, mentre risulta meno frequente (5% circa)
in Asia.
Compare più frequentemente con l’avanzare dell’età.
Fdr:
• Obesità
• Fumo di sigaretta
• Consumo di alcolici e pasti grassi
• Predisposizione genetica
• Ernia iatale
• Alterazioni della motilità esofagea (come in corso di patologie reumatologiche o neurologiche).
Fisiopatologia
La MRGE non riconosce un’unica causa, ma la sua genesi è polifattoriale.
Il meccanismo fisiopatologico determinante è quello del reflusso di materiale acido dallo stomaco verso l’esofago; episodi di reflusso si verificano
occasionalmente in qualsiasi soggetto, ma la situazione può essere definita patologica quando l’entità e la frequenza degli stessi diventa rilevante per
la qualità della vita dei pazienti.
In condizioni fisiologiche il reflusso è determinato dal rilassamento transitorio del LES; in tale situazione il flusso attraverso la giunzione esofago-
gastrica è determinato dal gradiente pressorio gastroesofageo e dalla resistenza offerta dallo sfintere esofageo inferiore.
È verosimile, ancorché non completamente dimostrato, che il reflusso patologico sia legato a inappropriati rilasciamenti transitori del LES, incrementi
momentanei del gradiente pressorio gastroesofageo, passaggio di acido attraverso zone a bassa pressione del LES.
Condizioni che aumentino stabilmente la pressione endoaddominale, come la gravidanza o l’obesità, sono associate in modo significativo a una
maggiore incidenza di MRGE.
La genesi del reflusso patologico è il risultato dello squilibrio tra fattori aggressivi nei confronti della mucosa esofagea e fattori protettivi.
Clinica
Sintomatologia tipica:
• sensazione di bruciore retrosternale (pirosi)
Origina a livello dell’esofago distale e che può essere irradiato verso l’alto lungo il decorso dell’esofago o anche posteriormente a livello
dorsale o interscapolare.
Compare in genere in fase postprandiale, in particolare dopo pasti abbondanti
• rigurgito acido.
Altri sintomi:
− dolore retrosternale: quando presente, può essere intenso, tanto da porsi in DD con l’angor da cardiopatia ischemica
− più raramente, odinofagia: può essere una manifestazione di gravi forme di esofagite.
È importante sottolineare ancora come non esista una correlazione tra la gravità dei sintomi e l’entità delle lesioni obiettivabili attraverso gli
esami strumentali: non è infrequente incontrare pz con esofagite severa relativamente asintomatici e, viceversa, pz senza lesioni endoscopiche con
sintomi che peggiorano significativamente la qualità della vita.
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Accanto a questi disturbi definiti tipici, la MRGE può provocare manifestazioni extraesofagee (segnalate
almeno nel 10-15% dei pz con MRGE):
Complicanze:
• Esofagite da reflusso
Tale complicanza è presente in circa un terzo dei pz e configura la presenza di MRGE di tipo erosivo (ERD, Erosive Reflux Disease).
La maggior parte dei pz, quindi, non presenta alterazioni macroscopiche mucosali e tale situazione viene definita malattia da reflusso
gastroesofageo di tipo non erosivo (NERD, Non Erosive Reflux Disease).
Come già accennato, la severità delle manifestazioni cliniche non correla con la severità delle lesioni esofagee e non esistono parametri
clinici in grado di predire la presenza delle lesioni esofagee.
Non vi è alcuna differenza di prevalenza dei sintomi tra pz con malattia erosiva e non erosiva, pertanto per la diagnosi è necessaria
l’EGDS.
• Stenosi peptica
Si manifesta nel 10% circa dei casi di esofagite severa; la sua incidenza è però in declino grazie alla migliorata efficacia della terapia
medica.
Si manifesta come reazione cicatriziale alla flogosi cronica indotta dal reflusso.
La localizzazione tipica è quella distale, generalmente di breve lunghezza.
La progressione della stenosi è di solito lenta e, almeno nelle prime fasi, asintomatica.
La sintomatologia tipicamente associata è la disfagia ingravescente che riguarda inizialmente i cibi solidi, successivamente anche
semiliquidi e liquidi.
Trattamento: dilatazione endoscopica.
• Emorragia
Rappresenta una complicanza rara della MRGE ed è generalmente legata alla presenza di esofagite severa con ulcere mucose il cui
sanguinamento può essere favorito da episodi di vomito (sindrome di Mallory-Weiss).
Più frequente rispetto all’emorragia clinicamente manifesta è la perdita ematica cronica, che si manifesta con anemia sideropenica o
positività della ricerca del sangue occulto fecale.
• Perforazione
• Esofago di Barrett
È determinato dalla sostituzione del normale epitelio squamoso pluristratificato della mucosa
esofagea con epitelio metaplasico colonnare simile a quello gastrico e/o intestinale (con cellule
caliciformi mucipare).
Si verifica nel 5-10% dei pz affetti da MRGE e si ritiene che sia una condizione acquisita come
risultato della cronicizzazione del reflusso.
Le evidenze in tal senso sono controverse: i passaggi intermedi che conducono dal reflusso gastroesofageo alla metaplasia di Barrett non
sono chiari e non vi è una definita relazione temporale tra l’insorgenza dell’uno e lo sviluppo dell’altra.
Si tratta di una condizione tipicamente asintomatica: viene infatti riscontrata nello 0,5-4% dei pz
che si sottopongono a endoscopia digestiva per motivi diversi dalla MRGE.
Si evidenzia unicamente all’esame endoscopico come una o più aree di mucosa di aspetto simile a
quella gastrica (di colorito più scuro) inserite nel contesto della normale mucosa esofagea (di
colorito più roseo), generalmente subito al di sopra della giunzione esofago-gastrica.
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Sulla base dell’estensione, si distinguono:
− Long Barrett: > 3 cm
− Short Barrett: < 3 cm
− Ultrashort: < 1 cm.
Terapia:
▪ Terapia per MRGE, con IPP in mantenimento continuo (nonostante non ci siano evidenze da studi
prospettici, randomizzati e controllati che l’inibizione del reflusso mediante terapia sia in grado di prevenire l’evoluzione
neoplastica)
▪ Trattamenti endoscopici (in caso di displasia) ⇒ terapia ablativa con radiofrequenza, terapia
fotodinamica e resezione endoscopica sottomucosa (ESD).
Risultano applicabili ed efficaci, ma al momento trovano giustificazione nel trattamento dell’esofago di Barrett solo quando si
dimostri la comparsa di displasia a basso grado e per il trattamento della displasia ad alto grado prima di considerare
l’approccio chirurgico resettivo.
Diagnosi
• La diagnosi clinica di MRGE può essere confermata attraverso un test di risposta alla terapia
farmacologica con IPP somministrati a dosaggio pieno in monosomministrazione giornaliera (⇒
omeprazolo 20 mg, lansoprazolo 30 mg, esomeprazolo 40 mg, pantoprazolo 40 mg) per un periodo in genere non inferiore
a 2-4 settimane.
La risposta al cosiddetto “test ai PPI” (Proton Pump Inhibitors) ha una specificità diagnostica del 75% e una sensibilità dell’80%.
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• EGDS: è in grado di osservare la presenza
di erosioni o ulcere della mucosa
esofagea che, quando presenti, consentono
la conferma della diagnosi della forma
erosiva.
La gravità delle lesioni esofagitiche è
valutata attraverso la classificazione di
Los Angeles.
L’orientamento generale, anche se non codificato da nessuna versione di linee guida, è rappresentato dalla prescrizione di un’EGDS
almeno “una volta nella vita”, evitando di sottoporre all’esame soggetti al primo episodio sintomatico, ma riservandolo a pz che non
mostrano una risposta soddisfacente alla terapia.
A tutt’oggi non esistono dati che dimostrano che uno screening endoscopico per metaplasia di Barrett in pz MRGE possa comportare
un’effettiva riduzione sia dell’incidenza sia della mortalità per adenoK.
La metodica risulta inoltre utile per verificare la risposta alla terapia medica o chirurgica.
La principale limitazione della procedura è rappresentata dalla sua invasività e dallo scarso
gradimento.
L’impedenziometria rappresenta il più recente sviluppo nello studio della MRGE e consente di studiare le variazioni di impedenza
elettrica registrate tra due elettrodi incorporati lungo una piccola sonda quando questi sono attraversati dal materiale che refluisce risalendo
il lume dell’esofago.
Tale registrazione, che può avvenire simultaneamente a quella del pH, rende possibile identificare la presenza di episodi di reflusso di
qualsiasi natura (acida o neutra, solida o liquida), permettendo uno studio più accurato dei pz che non presentano sintomi tipici e/ o lesioni
endoscopiche.
• Manometria esofagea: nonostante il rilevante ruolo patogenetico dell’incompetenza dello sfintere esofageo inferiore e dell’adeguata
attività peristaltica, non ha un ruolo nella diagnosi di MRGE.
Rappresenta comunque un esame utile nella valutazione dei pz candidati alla terapia chirurgica e nella DD.
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Terapia
a) Terapia medica
Obiettivi: i presidi terapeutici utilizzati sono volti a neutralizzare i meccanismi patogenetici della MRGE attraverso la riduzione del
reflusso, neutralizzazione del materiale refluito, miglioramento della capacità di detersione della mucosa esofagea, protezione della
mucosa esofagea.
La riduzione di fenomeni di reflusso può essere ottenuta teoricamente cercando di diminuire il volume del contenuto gastrico, di
incrementare la pressione basale del LES e di diminuire il numero di episodi di rilasciamento transitori.
Prevede:
▪ Interventi sullo stile di vita:
− Riduzione del peso in pz sovrappeso
− Non assumere pasti abbondanti e ridurre il contenuto lipidico (in quanto i lipidi ritardano lo
svuotamento gastrico)
− Eliminare sostanze quali: cioccolato, alcol, menta, cibo speziato, caffè, alcol e fumo di
sigaretta (in quanto possono ridurre la pressione del LES)
▪ Terapia farmacologica:
− Riscontro endoscopico di esofagite ⇒ terapia con PPI a dosaggio pieno somministrati al
mattino (30 minuti prima di colazione, per via della maggior quantità di H-K-ATPasi dopo un digiuno prolungato) per 8
settimane, che guarisce il 90% delle esofagiti di I grado.
Nelle forme più severe è indicato l’impiego di posologie più elevate per periodi più prolungati.
− NERD ⇒ terapia antisecretiva, partendo dapprima con H2RA seguiti da PPI in caso di
inefficacia; in alternativa se i sintomi si presentano <1 volta a settimana, antiacidi (come
idrossido di alluminio o calcio carbonato) in associazione o meno sodio alginato.
− Terapia di mantenimento
Una volta conseguito l’obiettivo della regressione della sintomatologia è necessario ricordare che il 50-80% dei pz ripresenta i
sintomi e/ o le lesioni esofagitiche a 6-12 mesi dalla sospensione della terapia iniziale ⇛ si pone quindi il problema di
impostare, in un numero considerevole di pz un’adeguata terapia di mantenimento della remissione clinica.
Possibili strategie:
o Terapia continuativa con antisecretore (generalmente PPI, ma anche H2RA se c’è adeguata
risposta) a dosaggio minimo efficace a controllare sintomi e/o lesioni mucose.
Questa strategia è da preferire in caso di
- esofagite iniziale severa (> 1 grado)
- recidive frequenti
- pz sintomatici nonostante la guarigione endoscopica
- pz che non rispondono alla terapia “on demand”
o Terapia “on demand” eseguita per periodi più o meno prolungati (2-8 settimane)
quando si presentano i sintomi.
Questa strategia è da preferire nei pz con recidive rare e lievi.
b) Terapia chirurgica
Indicazioni:
− giovane età (< 40 anni)
− Insuccesso della terapia medica o intolleranza alla terapia medica prolungata
− recidiva sintomatica e clinica precoce alla sospensione della terapia medica
− complicanze da reflusso.
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Le procedure chirurgiche antireflusso adottate hanno due obiettivi in comune: la ricostruzione di un buon segmento dell’esofago
intraddominale e la creazione di un meccanismo valvolare all’estremità inferiore dell’esofago con funzione antireflusso.
La riparazione dello iato diaframmatico non è essenziale per un buon risultato ed è considerata necessaria solo se l’apertura dello iato è
particolarmente ampia.
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DIVERTICOLI ESOFAGEI
Estroflessioni della parete esofagea.
Classificazione:
• In base al sito di formazione:
− faringo – esofagei (65%)
− medio – toracici
− epifrenici – sopradiaframmatici
Clinica:
- asintomatico in fase precoce
- disfagia: se il diverticolo cresce e comprime l’esofago la disfagia è ingravescente
- scialorrea
- attacchi di tosse in seguito all’assunzione di cibo
- rigurgito posturale ⇛ rischio di broncopolmoniti ab ingestis
- alitosi
- l’accumulo di bolo alimentare può, ristagnando, determinare processi infiammatori.
Complicanze:
• perforazione: raramente spontanea, più comunemente iatrogena (esame endoscopico)
• sanguinamento: raro
• possibile insorgenza di K (raro)
Trattamento chirurgico:
- miotomia cricofaringea: in caso di diverticoli di piccole dimensioni
- diverticolectomia: in caso di ampi diverticoli
- diverticolotomia: approccio endoscopico, indicato in pz anziani ad alto rischio chirurgico.
➢ DIVERTICOLI PARABRONCHIALI
Rappresentano il 15% dei diverticoli esofagei, sono diverticoli da trazione (formati da tutti gli strati parietali), secondari ad aderenze fibrose tra parete
esofagea e linfonodi (sclerotici a causa di processi infiammatori secondari).
➢ DIVERTICOLI EPIFRENICI
Rappresentano il 20% dei diverticoli esofagei, sono diverticoli da pulsione secondari ad un aumento di pressione intra-esofagea dovuto ad un
disordine di motilità: acalasia o spasmo esofageo diffuso.
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DISORDINI della MOTILITÀ ESOFAGEA
Gruppo di patologie dell’esofago causate da una disfunzione neuromuscolare responsabile di un quadro clinico caratterizzato da sintomi quali
disfagia, dolore toracico e pirosi.
Tali disordini vengono diagnosticati mediante la manometria esofagea, una metodica diagnostica che misura le modificazioni della pressione
intraesofagea.
ACALASIA
Rappresenta il principale disordine della motilità esofagea.
È caratterizzata da un’alterazione del rilasciamento del LES (Lower EsophageaL Sphincter), associata
all’assenza della peristalsi a livello del corpo dell’esofago.
Epidemiologia
Prevalenza pari a circa 10 casi su 100.000, mentre l’incidenza è pari a 0,5 casi su 100.000 all’anno.
L’incidenza aumenta con l’età con un picco nella settima decade.
Eziopatogenesi
Vede alla base una perdita di fibre nervose mienteriche del LES e del corpo dell’esofago.
La causa sottostante, tuttavia, non è nota: il principale ostacolo all’elucidazione dell’eziologia dell’acalasia è verosimilmente rappresentato dalla
natura insidiosa e gradualmente progressiva della malattia ed è possibile che l’insulto iniziale occorra anni prima che il paziente giunga all’attenzione
del clinico.
I dati disponibili a tutt’oggi suggeriscono fattori infettivi (⇒ morbillo, HSV1, VZV), immunologici ed ereditari.
Un’ipotesi omnicomprensiva potrebbe essere la seguente: un agente biologico (ad es. il virus dell’herpes simplex di tipo I) persiste a livello dei
neuroni del LES e dell’esofago distale, innescando un’attivazione persistente del SI solo in soggetti geneticamente predisposti.
Classificazione eziologica
• Primitiva: idiopatica
• Secondaria:
− infezione protozoaria da Trypanosoma cruzii: diffuso nell’America Latina, condizione nota come malattia
di Chagas
− Sindromi paraneoplastiche
− Disordini infiltrativi esofagei non maligni: amiloidosi, leiomiomatosi, esofagite eosinofila, sarcoidosi
− Miscellanea: DM, insufficienza ghiandolare familiare con alacrimia, postvagotomia
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Clinica
È una malattia progressiva che si manifesta con:
• disfagia per i cibi sia liquidi sia solidi
Al momento della presentazione, la disfagia per i liquidi può rappresentare un problema rilevante fino al 90% dei casi.
La disfagia presenta un esordio graduale, descritta dai pz dapprima come una saltuaria sensazione di “ripienezza nel torace” o un senso
di soffocamento, ma, in genere, al momento della visita dal medico presenta una frequenza giornaliera o, addirittura, a ogni pasto.
Alcuni pz localizzano correttamente la sensazione legata alla disfagia a livello dell’area xifoidea, ma possono riferire il sintomo anche a
livello della regione dell’esofago cervicale.
In molti pz, la disfagia aumenta progressivamente di severità, raggiungendo un plateau, mentre in altri pz un progressivo aumento della
severità impedisce l’alimentazione con conseguente perdita di peso.
Il pz con acalasia tende a mangiare con lentezza e i familiari spesso riferiscono che è l’ultimo a finire un pasto normale, aiutando la
progressione del bolo con movimenti del busto in avanti o di lateralità o camminando dopo avere mangiato
• Altri sintomi:
− Pirosi: poco sensibile ai farmaci bloccanti la secrezione acida gastrica.
Il meccanismo responsabile non è chiaro: se da un lato una coesistente MRGE con LES ipotonico può spiegarne la
fisiopatologia, dall’altro è più plausibile la produzione in situ di acido lattico dalla fermentazione del cibo che ristagna a
livello dell’esofago dilatato.
Complicanze:
• Aspirazione nelle vie aeree di contenuto esofageo ⇛ polmonite ab ingestis
• Ulcerazione e perforazione dell’esofago
• Dislocazione delle strutture mediastiniche ⇛ rischio di ostruzione acuta delle vie aeree.
Diagnosi
• Anamnesi ed EO
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• Manometria esofagea ad alta risoluzione: rappresenta
oggi il gold standard.
Permette di rilevare le seguenti alterazioni:
− A livello del LES: elevata pressione di rilasciamento e
rilasciamento anormale
− // corpo esofageo: aperistalsi, pan-pressurizzazione intraesofagea,
peristalsi frammentata/spastica
• La presenza di disfagia severa deve imporre l’esclusione di una patologia organica dell’esofago
⇛ EGDS.
In questi casi, all’endoscopia il corpo esofageo appare dilatato, atonico, spesso tortuoso, generalmente con mucosa normale.
La presenza di stasi cronica induce eritema, friabilità mucosa, ispessimento ed erosioni; è possibile la coesistenza di esofagite da Candida,
che si manifesta con placche e membrane biancastre adese alla mucosa.
Malgrado l’alterazione motoria del LES, che non si rilascia con l’insufflazione di aria durante l’endoscopia, una lieve pressione con lo
strumento permette il transito attraverso lo sfintere stesso. Se è necessaria una pressione eccessiva, va sospettata una pseudoacalasia
Terapia
È finalizzata a facilitare il transito del bolo alimentare lungo l’esofago distale e attraverso il LES:
a) Terapia farmacologica: permette di ottenere risultati modesti:
▪ Calcio antagonisti (nifedipina) e nitrati ad azione lenta: inducono rilasciamento del m. liscio
▪ Tossina botulinica
È iniettata a livello del LES in corso di esame endoscopico blocca il rilascio di neurotrasmettitore a livello delle terminazioni
colinergiche presinaptiche, determinando una riduzione della pressione del LES.
Tale approccio è ripetibile e gravato di minore rischio di perforazione rispetto alle procedure di dilatazione.
L’efficacia media di tale procedura varia da 6 a 12 mesi.
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▪ Miotomia endoscopica perorale (POEM)
Si tratta di una tecnica di recente introduzione in centri di riferimento, attraverso la quale è possibile creare, tramite
l’endoscopio, un tunnel sottomucoso che raggiunge il LES per eseguire una sezione della sola muscolatura circolare
La classificazione di Chicago dell’acalasia ha un’importanza anche prognostica: è stato dimostrato, infatti, che la risposta generale al
trattamento (sia chirurgico sia endoscopico) è migliore in pz affetti da acalasia di tipo II (96%) rispetto a pazienti con tipo I (56%) o tipo
III (29%).
Inoltre, i pz con acalasia di tipo I rispondono meglio alla miotomia secondo Heller rispetto alla dilatazione pneumatica o all’iniezione di
botulino.
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GASTRITE
Processo infiammatorio della mucosa gastrica, che deve essere documentato macroscopicamente attraverso EGDS e istologicamente.
L’aspetto endoscopico è rossastro con presenza di iperemia della mucosa associata a emorragia superficiale.
Patogenesi
Il lume gastrico ha un pH vicino a 1: questo ambiente così acido contribuisce alla digestione, ma rischia anche potenzialmente di danneggiare la
mucosa gastrica.
La mucosa gastrica dispone di numerosi meccanismi di protezione:
- Secrezione mucosa superficiale di muco e bicarbonato
- Strato continuo di cellule epiteliali che forma una barriera fisica
- Ricca rete vasale, che oltre a fornire ossigeno e sostanze nutritive, sciacqua via contemporaneamente l’acido che si è retrodiffuso nella
lamina propria.
A seguito dello sbilanciamento fra meccanismi protettivi e di danno possono verificarsi le gastriti acute o croniche:
- I FANS inibiscono la sintesi dipendente dalla COX delle PGE2 e PGI2, che stimolano quasi tutti i suddetti meccanismi di difesa
- Danno cellulare diretto da: infezione da H. pylori, eccessivo consumo di alcol e fumo, iperacidità gastrica e reflusso duodenogastrico,
ingestione di stostanze chimiche forti, RT e CT
- Malattie della mucosa stress-correlate insorgono nei pz con trauma gravi, ustioni estese e patologie intracraniche; la patogenesi in tal caso è
correlata all’ischemia locale della mucosa, secondaria a ipotensione sistemica o alla riduzione del flusso ematico dovuta allo stress.
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Classificazioni istologiche delle gastriti
Permettono di evidenziare in un referto di gastrite gli aspetti più importanti, quali:
− presenza/assenza di H. pylori
− presenza/assenza di infiltrazione di neutrofili (⇒ gastrite acuta) e grado di infiltrazione di cellule mononucleate (⇒ gastrite cronica)
− aplasia/atrofia ghiandolare e metaplasia intestinale: è intrinseco il potenziale di trasformazione maligna.
➢ Classificazione di Sidney
➢ Classificazione OLGA
Tiene conto del grado di atrofia della mucosa (⇒ con uno score che va
da 0 a 3) e della posizione nello stomaco (⇒ corpo o antro).
I dati che se ne ricavano sono importantissimi perché il grado di atrofia
si correla direttamente alla possibilità di sviluppare un cancro.
Il sistema prevede che vengano eseguite almeno cinque biopsie nello
stomaco: due nell’antro, una all’angulus e due nel fondo.
In ogni campione il patologo deve descrivere l’eventuale presenza di
atrofia e se presente descriverla come lieve, moderata o severa.
In questo modo si ottengono quattro stadi di gastrite dove l’atrofia è
progressivamente maggiore.
È quindi possibile proporre controlli endoscopici più ravvicinati ai pz
classificati come stadio III e IV.
Hp è caratterizzato da un particolare tropismo per l’epitelio gastrico e per aree di metaplasia gastrica al di fuori dello stomaco: la sua presenza
determina l’insorgenza di un’importante risposta infiammatoria e immunitaria che si interrompe solo dopo l’eradicazione del batterio.
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Clinica
Pz con gastrite cronica Hp-positiva non complicata presentano uno spettro clinico estremamente ampio, che va da casi del tutto asintomatici a casi
con manifestazioni cliniche evidenti: sostanzialmente si ha un quadro dispeptico, caratterizzato dalla varia associazione di sintomi quali
dolore/discomfort epigastrico, sazietà precoce, ripienezza postprandiale, gonfiore e distensione addominale, eruttazione, nausea e vomito.
L’insorgenza di complicanze della gastrite cronica Hp-positiva, quali ulcera duodenale o gastrica, può determinare una maggiore severità delle
manifestazioni sopra descritte, mentre la sovrapposizione di metaplasia o displasia non determina modificazioni del quadro clinico.
Diagnosi
• Il test diagnostico per definire la presenza di una gastrite cronica attribuibile
a un’infezione da Hp è rappresentato da valutazione istologica della biopsia
gastrica con prelievo durante EGDS, che consente l’evidenziazione del
batterio a livello della superficie epiteliale.
L’EGDS andrebbe però riservata a pz sintomatici con elevato rischio di
patologia organica.
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Terapia
Si avvale di diversi schemi antibiotici:
• Prima linea:
− Triplice terapia standard: durata 14 giorni
o IPP a dose piena (in genere esomeprazolo 40 mg) x 2volte/die
o Amoxicillina 1 g x 2volte/die
o Claritromicina 500 mg x 2 volte/die
L’ipoacloridria determina l’iperplasia delle cellule G antrali per la perdita del normale feedback negativo e ipergastrinemia, che rappresenta un
potente fattore trofico per le cellule ECL (EnteroChromaffin-Like cells).
In alcuni casi l’iperplasia di tali cellule può evolvere in displasia, formazione di microcarcinoidi ed eventuale sviluppo di carcinoidi gastrici invasivi.
Clinica
Si caratterizza fondamentalmente per una sindrome dispeptica associata ad anemia macrocitica megaloblastica.
Per ciò che riguarda l’anemia, è necessario considerare che nella gastrite autoimmune il malassorbimento di vitamina B12 (per ridotta produzione di
fattore intrinseco) coesiste con il malassorbimento di ferro (per ridotta sintesi di acido) ⇛ ciò rende possibile il riscontro di forme macrocitiche,
microcitiche e miste con anemia normocitica caratterizzata da spiccata anisocitosi.
Altri sintomi:
• glossite atrofica, con superficie liscia, arrossata e dolente
• anoressia e moderato calo ponderale
• Disturbi neurologici da deficit di vitamina B12
La storia naturale di questa condizione può essere complicata dal possibile sviluppo di polipi iperplastici, carcinomi e tumori neuro-endocrini.
Diagnosi
Parte da un sospetto in caso di anemia macrocitica megaloblastica, eventualmente accompagnata da ipergastrinemia e sintomi dispeptici.
Il riscontro della positività agli auto-Ab impone l’effettuazione di EGDS corredata da un adeguato campionamento bioptico per valutare la
presenza di atrofia e metaplasia.
Il fatto che la presenza di gastrite cronica atrofica autoimmune con anemia perniciosa rappresenti una chiara situazione preneoplastica comporta la
necessità di un periodico controllo endoscopico-bioptico ogni 3 anni.
Terapia
• Correzione delle carenze nutrizionali ⇒ supplementazione di Vit. B12 per via parenterale (Dobetin) ed eventualmente ferro
• Il quadro dispeptico può giovarsi di procinetici (⇒ metoclopramide, domperidone, clebopride, levosulpiride), mentre l’uso di IPP è
controindicato per evitare un ulteriore stimolo all’ipergastrinismo.
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ULCERA PEPTICA
Lesione della mucosa gastrica o duodenale, caratterizzata da perdita di sostanza che, a differenza delle
erosioni (che si limitano all’epitelio), si approfondisce oltre la muscolaris mucosae (raggiungendo e talora
superando la t. muscolare), causata dell’azione di pepsina e acido cloridrico.
Epidemiologia
Si stima che in circa il 10% della popolazione generale verrà posta, nel corso della vita, la diagnosi di ulcera peptica.
Sul piano epidemiologico, tra UG e UD sono evidenti alcune differenze; se la prevalenza dell’UG è valutata intorno al 2,5% della popolazione adulta
(con un valore doppio nel M rispetto alla F), quella dell’UD si attesta intorno all’1,8% senza differenze tra i due sessi.
Fdr:
• L’infezione da Hp rappresenta il
fdr più significativo per l’UD,
mentre il consumo di FANS lo è
per l’UG.
Tale dato si riflette sull’età media
di insorgenza della malattia: più
precoce nell’UD (nel quinto-sesto
decennio di vita), rispetto all’UG
(nel sesto-settimo decennio di vita)
• fumo di sigaretta
• abuso di alcolici
• caffeina
• altri farmaci quali: CS, bifosfonati,
CT e KCl
• fattori di tipo psicosociale (situazioni di ansia o elevata conflittualità)
• alcuni fattori genetici, quali il gruppo sanguigno 0 e alcuni aplotipi HLA
• Sindrome di Zollinger-Ellison.
Clinica
➢ Ulcera gastrica: presenta una sintomatologia generalmente aspecifica.
Quando clinicamente evidente, il sintomo di esordio è rappresentato da dolore epigastrico, sordo o
urente, ma anche come sensazione di fame, talora irradiato alla spalla dx o posteriormente in regione
dorso lombare, che insorge tipicamente entro i primi 30 minuti dopo il pasto (⇒ dolore
postprandiale precoce).
Lo spasmo reattivo del piloro può determinare distensione gastrica, con occasionali nausea e vomito (che in caso di stenosi cicatriziale si
manifestano anche più volte al giorno).
Alla periodicità dei sintomi dolorosi nell’arco della giornata, si può aggiungere una periodicità stagionale, con tipiche recrudescenze nel
periodo primaverile e autunnale.
Il 40% degli affetti da ulcera peptica a sede gastrica riferisce un calo ponderale di entità variabile, legato all’anoressia e all’avversione per
il cibo indotta dai disturbi.
Un aggravamento della sintomatologia può essere conseguente a modificazioni delle abitudini alimentari o lavorative o seguire intensi
periodi di stress psicofisico o emotivo.
In regime d’urgenza, la comparsa di dolore epigastrico improvviso, configurando il quadro di addome acuto, deve far sospettare una
possibile perforazione dell’ulcera, mentre l’emissione di sangue con il vomito (ematemesi) o con le feci (melena) impone il rapido
inquadramento di una patologia ulcerosa verosimilmente complicatasi con un’emorragia acuta.
All’EO spesso si rileva dolorabilità alla palpazione in epigastrio e ipocondrio sx, talvolta
accompagnata da iperestesia cutanea.
La DD va posta con numerose patologie di frequente riscontro: ernia iatale, gastrite, duodenite, ulcera duodenale, colica biliare o
colecistite acuta, disturbi funzionali del tratto digerente superiore; particolarmente importante (e difficile) è la diagnosi differenziale con il
cancro dello stomaco.
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➢ Ulcera duodenale: simile a quello dell’UG, ma con alcune differenze:
− Il dolore compare tipicamente 2-3h dopo il pasto (⇒ dolore postprandiale tardivo)
− in oltre la metà dei pz è causa di risveglio notturno
− L’assunzione di cibo (come il latte) comporta la risoluzione del dolore.
Complicanze:
• Acute:
− Perforazione
Avviene per erosione lenta della parete gastrica o duodenale in seguito alla progressiva penetrazione dell’ulcera.
In caso di perforazione in uno spazio di diffusione limitato dalle altre strutture anatomiche (come talora avviene proprio nella
retrocavità degli epiploon) o dalla presenza di aderenze con l’omento o con altri tessuti contigui (a volte in esiti flogistici di
ulcere cronicizzate) si parla di perforazione coperta, poiché la fuoriuscita del succo intraluminale e la sua diffusione vengono
appunto limitate spazialmente.
Clinica: quadro di peritonite acuta, inizialmente di natura chimica-irritativa, ma entro 12-24h diventa di natura batterica (a
causa della proliferazione dei microrganismi fuoriusciti nel cavo peritoneale).
Nel caso dell’ulcera perforata coperta, invece, il quadro clinico spesso è più subdolo, più tardivo nella presentazione e
rappresentato per lo più da una peritonite saccata, che evolve verso la formazione di un ascesso localizzato.
Diagnosi: viene effettuata con certezza con l’evidenza di aria libera all’Rx diretto dell’addome (tipicamente subfrenica se
l’esame viene eseguito in ortostatismo) o alla TC.
In ogni caso di dolore addominale intenso, è necessario un esame ECG per escludere che tale sintomatologia rappresenti
l’irradiazione addominale del dolore da infarto miocardico.
Per DD vanno escluse anche pancreatite acuta, colecistite acuta, appendicite acuta e infarto intestinale.
− Emorragia digestiva
• Croniche:
− Stenosi (generalmente iuxtapilorica)
− Cancerizzazione
In realtà non è l’ulcera peptica la diretta responsabile della trasformazione neoplastica, ma il fenomeno infiammatorio associato
alla lesione ulcerativa nella sua complessità a determinare le condizioni predisponenti l’evoluzione verso la neoplasia, in
particolare se associato ad infezione da H. pylori.
Si ritiene comunque che la quasi totalità delle ulcere neoplastiche gastriche insorgano come tali fin dall’inizio, nonostante
l’aspetto macroscopico all’endoscopia possa essere in alcuni casi quello di un’ulcera peptica benigna.
Allo stato attuale non esistono prove circa la potenzialità di trasformazione maligna delle ulcere duodenali.
Diagnosi
È fondata sull’EGDS corredata da biopsie, per evidenziare la possibile concomitante infezione da Hp e
l’eventuale degenerazione neoplastica.
Eventuale dosaggio della gastrina nel siero se sospetto sindrome di Zollinger-Ellison.
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Terapia
• Terapia medica:
− Evitare fdr (ad es. interrompere assunzione di FANS)
− Eradicazione infezione H. Pylori quando presente
− Alimentazione regolare con spuntini leggeri tra i pasti
− Riduzione dell’acidità gastrica mediante terapia con IPP (inizialmente per 4-8 settimane)
• Terapia chirurgica
Indicazioni:
− Perforazione
− Ostruzione
− sanguinamento incontrollabile o ricorrente
− sintomi che non rispondono alla terapia farmacologica (rari).
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L'intervento chirurgico consiste in una procedura per ridurre la secrezione acida: per l'ulcera duodenale è raccomandata la vagotomia
superselettiva o delle cellule parietali (che è limitata ai nervi del corpo gastrico e risparmia l'innervazione antrale, ovviando così alla
necessità di una procedura di drenaggio).
Altre procedure chirurgiche che riducono la secrezione acida comprendono: antrectomia, emigastrectomia, gastrectomia parziale e
gastrectomia subtotale (ossia la resezione del 30-90% della porzione distale dello stomaco); queste sono tipicamente associate a vagotomia
tronculare.
I pz che vengono sottoposti a procedure resettive o che hanno un'ostruzione richiedono un drenaggio gastrico tramite gastroduodenostomia
(Billroth I) o gastrodigiunostomia (Billroth II).
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Terapia in caso di emorragia acuta da ulcera peptica
• Le linee guida per il trattamento delle emorragie massive del tratto digestivo superiore prevedono
come primo step la cosiddetta “resuscitation”, che comprende immediata valutazione
emodinamica, replacement del volume vascolare con cristalloidi e restrittiva politica di strategia
trasfusionale con target di Hb tra 7-9 g/dL (fino a 10 se coronaropatico).
Utile nella valutazione del rischio del pz il Glasgow-
Blatchford Score (GBS).
Tanto più l’emorragia è grave (ematemesi massiva, instabilità emodinamica nonostante gli interventi messi in atto), tanto più precoce
deve essere l’intervento.
• Fondamentale è iniziare fin da subito la terapia con IPP per ev: prima in bolo e poi in infusione
continua.
Si può discutere riguardo l’utilizzo di antifibrinolitici e della somatostatina, ma le LG non li
prevedono.
La somministrazione di eritromicina per ev (o altri macrolidi) è efficace dal momento che facilita un
rapido svuotamento dello stomaco aumentando l’efficacia della terapia.
• Le LG raccomandano l’intubazione a discapito del SNG per proteggere le vie aree da potenziale
fenomeno ab ingestis.
Le LG non raccomandano un second look se il malato dimostra di aver raggiunto una buona emostasi dopo
endoscopia dal punto di vista clinico.
Al contrario si possono individuare dei fdr per la recidiva emorragica e selezionare pz (con ad es. ulcera
particolarmente voluminosa ed emostasi molto difficile da raggiungere) in cui fare terapia aggressiva e
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second look endoscopico dopo 24-48h, in quanto dopo l’emostasi endoscopica il risanguinamento si
verifica fino al 20% dei casi.
• D’altro canto, l’operazione chirurgica non dovrebbe essere presa in considerazione almeno in un
primo momento: questo perché il malato che risanguina è un pz molto fragile, che fin dall’inizio
aveva un’ulcera difficile da trattare e un secondo sanguinamento è uno stress molto importante.
La chirurgia, ormai praticata molto raramente, oggi è molto più conservativa: si apre la parete
dello stomaco e del duodeno, si sutura l’ulcera dall’interno e si lega l’a. gastroduodenale.
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MALATTIE della COLECISTI e delle VIE BILIARI
COLELITIASI
Presenza di calcoli nella colecisti.
Epidemiologia
Rappresenta una delle maggiori cause di morbilità e ospedalizzazione nei Paesi occidentali.
La sua incidenza totale è di 670 casi/100.000 ab all’anno.
In Italia la prevalenza è risultata pari al 9,5% nei M e al 19% nelle F; esiste inoltre una correlazione lineare con la progressione dell’età.
Ezio-patogenesi
I calcoli biliari sono strutture cristalline formate da costituenti normali o non della bile.
Si suddividono fondamentalmente in:
• Calcoli contenenti colesterolo (80% dei calcoli biliari): sono suddivisibili a loro volta in calcoli puri di colesterolo
(10%) e calcoli misti (70%).
Contengono in prevalenza colesterolo monoidrato e, per una piccola quota, sali biliari, proteine, acidi grassi, fosfolipidi; i calcoli
colesterinici puri sono, di solito, singoli, chiari, grandi, mentre quelli misti sono, in genere, piccoli e multipli.
Anche dopo un semplice digiuno di 48-72h, che impone un’ipomobilità della colecisti, i cristalli di colesterolo inglobati in un
gel di mucina sono già individuabili sia a un’analisi chimica della bile sia all’esame ecografico.
Lo svuotamento della colecisti, sia fasico (postprandiale), sia continuo, cioè del 10% del volume più volte nell’arco delle 24
ore, garantisce invece un ricambio efficace della bile e la rimozione dei cristalli e delle mucine.
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Clinica
La litiasi biliare può restare asintomatica ed essere diagnosticata come reperto casuale in corso di indagini
diagnostiche eseguite ad altro scopo.
Solo il 20% dei pz sviluppa sintomi, il cui rischio aumenta nei giovani, pz con litiasi multipla e di piccola
taglia: il sintomo caratteristico è la colica biliare (generata dall’aumentata pressione nelle vie biliari ostruite, con dilatazione della
colecisti e tentativo, da parte della muscolatura liscia dei dotti biliare o cistico, di vincere l’ostacolo contraendosi ), caratterizzata da un
dolore intenso continuo all’ipocondrio dx, con frequente irradiazione alla scapola dx (per stimolazione del
ramo cutaneo posteriore del nervo frenico) o alla spalla dx.
Il dolore inizia improvvisamente e può persistere da 1 a 4h, recede spontaneamente, potendo però lasciare
una lieve dolenzia in ipocondrio dx (che può permanere per 24-48h).
La colica biliare può essere precipitata dall’assunzione di un pasto ricco in lipidi e/o abbondante
(soprattutto se gli alimenti vengono introdotti dopo un prolungato periodo di digiuno).
Frequentemente si associano sintomi dispeptici quali distensione gastrica, eruttazioni, nausea fino al vomito
alimentare.
Complicanze:
− colecistite “cronica” e “acuta”
− sindrome di Mirizzi per compressione
infiammatoria della regione infundibolocistica sulla
via biliare
− colica biliare da impegno dei calcoli
nell’epatocoledoco
− pancreatite biliare
− Più raro e controverso è il rapporto fra litiasi e K
della colecisti.
Occorre sottolineare che a fronte di questa potenziale imprevedibilità,
che impedisce a chiunque di rassicurare del tutto i propri pz ancora
asintomatici, è anche vero che la maggior parte delle complicanze è
preceduta da sintomi, anche modesti, ed è raro un esordio
immediatamente complicato della litiasi.
Vari studi randomizzati hanno tentato di comparare i risultati immediati
e a distanza su gruppi di pz portatori di litiasi asintomatica, trattati o
meno con la colecistectomia profilattica.
Nessuno degli studi ha visto prevalere in modo significativo la
chirurgia perciò, a oggi, è consigliato mantenere un atteggiamento
conservativo nella litiasi silente, salvo indicazioni particolari.
Diagnosi
• Anamnesi ed EO
• Valutazione laboratoristica della funzionalità epatica: in corso di colica biliare vi possono essere aumento di aminotransferasi, γ-GT e
fosfatasi alcalina.
La bilirubina, prevalentemente coniugata, è aumentata nel 25% dei casi, spiegabile in presenza di calcolosi del coledoco per effetto
dell’ostruzione biliare e causa dell’ittero.
• Eco addome: permette, con altissima sensibilità e specificità, di visualizzare calcoli della colecisti
(⇒ immagini iperecogene che proiettano un cono d’ombra posteriore) ed eventuale dilatazione delle vie biliari.
• In presenza di sintomi ed ecografia negativa o di una via biliare di calibro aumentato all’ecografia, occorre richiedere ulteriori indagini
strumentali quali la colangio-RM.
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Terapia
Va riservata solo ai pz sintomatici o con complicanze:
Fasi intervento:
1. La preparazione all’intervento richiede una profilassi antibiotica short term nei diabetici,
anziani, portatori di protesi, 1-2 ore prima dell’induzione dello pneumoperitoneo; è necessaria
anche la profilassi della TVP con LMWH nei soggetti a rischio.
Di solito si posiziona un SNG per decomprimere stomaco e duodeno, che possono creare
ostacolo, se distesi, alla visualizzazione del triangolo epatocistico.
3. Una volta introdotto il primo trocar, lo si collega alla pompa della CO2 e si introduce la
telecamera: si esplora tutta la cavità addominale, si verifica l’assenza di danni sui visceri, di
sanguinamenti parietali, viscerali e retroperitoneali e la presenza di aderenze.
Queste ultime, rarissime nei soggetti non operati, aumentano al 15% nei pz con pregresso
intervento laparoscopico, fino al 60% negli operati con incisione mediana.
Gli ulteriori strumenti (tecnica a 3 e a 4 trocar) vengono introdotti sotto diretta visione della
telecamera.
4. La corretta esposizione del triangolo di Calot si ottiene mediante retrazione in alto del
fondo della colecisti con pinza a scatto e blocco del suo morso.
Si inizia la dissezione all’ilo epatico per identificare l’arteria cistica, il dotto cistico e la via
biliare principale.
L’intervento è di solito condotto con tecnica retrograda, ovvero si mobilizza la colecisti dal suo
letto epatico a partire dall’infundibolo solo dopo la sezione e il clippaggio dell’arteria cistica e
del dotto cistico.
Completata la mobilizzazione, la colecisti viene introdotta in un sacchetto di plastica
(endobag) ed estratta.
Il sacchetto riduce i rischi della contaminazione settica degli accessi addominali e della cavità
peritoneale, che aumentano se si verificano lacerazioni accidentali della parete colecistica
con fuoriuscita di bile e calcoli. Questi ultimi sono tutti da recuperare perché infetti per
definizione e nucleo di contaminazione della regione operata.
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COLECISTITE
È una delle complicanze più frequenti della colelitiasi (⇒ colecistite litiasica), per l’impegno protratto di
un calcolo nell’infundibolo-cistico che provoca ostruzione del dotto cistico.
A questo fanno seguito stasi biliare, ipertensione endoluminale, flogosi parietale e possibile progressione verso la necrosi ischemica per eccessiva
distensione della parete, quindi la sovrapposizione batterica (⇒ idrope e successivo empiema) fino alla perforazione con peritonite localizzata
(ascesso sottoepatico) o diffusa.
In alcuni casi la necrosi ischemica favorisce lo sviluppo di una flora batterica gas-producente che dà origine a una colecistite enfisematosa: il gas si
livella all’altezza del lume della colecisti o ne disegna le pareti per uno sviluppo intramurale.
Se il dotto cistico si ricanalizza può comparire l’aerobilia che disegna le vie biliari intra- ed extraepatiche, rilevata da tutte le metodiche di imaging, a
partire dalla semplice radiografia diretta dell’addome
Nel 10% dei casi si ha la forma alitiasica, a genesi multifattoriale, che colpisce spesso pz anziani fragili
ricoverati in Terapia Intensiva.
In questi casi il digiuno e il ricorso alla terapia parenterale impongono un lungo periodo di adinamia della colecisti, con conseguente inspissatio della
bile che provoca ostruzione del dotto cistico con sabbia e fango biliare; si associa a un maggior rischio di evoluzione grave.
Clinica
I sintomi sono quelli già descritti della colica biliare (con maggiore intensità e durata, > 6h), a cui si associano i segni
della flogosi: febbre, tachicardia e irritazione peritoneale (per l’infiammazione della sierosa colecistica).
Questo segno può mancare, sostituito dalla percezione di una massa in regione colecistica, dolorabile alla palpazione profonda, fino a quadri di
peritonite e difesa generalizzata nelle forme perforate.
− La perforazione nella cavità peritoneale, con conseguente coleperitoneo (cioè fuoriuscita di bile in peritoneo), compare solo nell’1-2%
dei pz, ma è associata a una mortalità del 30% circa.
− La perforazione nei visceri vicini causa la formazione di fistole tra colecisti e organi adiacenti, più comunemente il duodeno.
Diagnosi
• Anamnesi ed EO
• Esami di laboratorio: normali nella colica biliare, rilevano qui leucocitosi neutrofila e aumento di
VES e PCR.
Più raro il movimento delle transaminasi per il coinvolgimento del tratto di fegato adiacente al letto della colecisti.
L’elevazione degli enzimi della colestasi deve far pensare al passaggio di calcoli nella via biliare e conseguente colangite, oppure alla
sindrome di Mirizzi.
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• Eco addominale: esame di riferimento.
Permette di identificare sia la litiasi “bloccata” in regione infundibolare-cistica, sia la distensione della colecisti e i segni di progressiva
sofferenza della parete, quali:
− ispessimento parietale > 5 mm
− presenza di fluido pericolecistico
− segno di Murphy ecografico: dolore evocato dalla pressione della sonda sul fondo della colecisti
− perforazione con interruzione dell’integrità del viscere.
Estremamente più vaghi i segni della colecistite acuta alitiasica, talvolta rappresentati in fase iniziale dalla sola distensione della colecisti.
• TC: segue l’esame ecografico e offre un quadro spaziale migliore della regione sottoepatica e delle possibili ripercussioni locali della
flogosi colecistica, ma deve essere utilizzata solo nelle forme complesse in quanto l’ecografia è sufficiente a porre diagnosi e indicazione
all’intervento.
• Colangio-RM: è indicata in tutte le forme associate a colestasi per differenziare sindrome di Mirizzi, litiasi della via biliare e neoplasie
delle vie biliari per le forme croniche
• Colescintigrafia: è utile quando i risultati non sono chiari; il mancato riempimento della colecisti con materiale radioattivo suggerisce
l'ostruzione del dotto cistico.
Terapia
Prevede innanzitutto terapia antibiotica ad ampio spettro e terapia di supporto (⇒ idratazione e analgesici
evitando morfina), dopodiché si procede con colecistectomia per via laparoscopica: è preferibile operare
precocemente, entro le 72h dall’esordio clinico della malattia.
In questo lasso di tempo l’approccio laparoscopico è più semplice perché:
− non si sono ancora sviluppate aderenze che ostacolano il riconoscimento delle strutture biliari e vascolari all’ilo
− vi è un minor ricorso alla conversione open, comunque elevato rispetto alla colecistectomia semplice (20% e oltre)
− si evitano le possibili evoluzioni complesse della malattia con perforazione e sviluppo di ascessi sottoepatici.
ILEO BILIARE
Rappresenta una rara causa di ostruzione meccanica dell’intestino (2% dei casi).
Ezio-patogenesi: vede alla base il passaggio di un calcolo, attraverso un tramite fistoloso, dalla colecisti al
lume intestinale.
Il tratto più frequentemente interessato è il duodeno: da qui il calcolo, spinto dalla peristalsi, in base alle
dimensioni viene espulso con le feci o può bloccarsi nel segmento gastroduodenale, fino al Treitz (⇒
sindrome di Bouveret).
La fistola enterica è favorita da calcoli di grosse dimensioni che provocano un danno cronico, da frizione, della parete colecistica con flogosi cronica,
ischemia parietale ed erosione/ necrosi.
Dopo il passaggio del calcolo, la fistola può rimanere pervia o chiudersi spontaneamente; in tal caso resterà a sua testimonianza una tenace aderenza
fra colecisti e viscere.
L’intervento di colecistectomia sarà in tal caso più complesso, con rischio di lacerazioni viscerali durante la mobilizzazione dalle strutture circostanti.
Diagnosi: parte da un sospetto in caso di ileo meccanico + anamnesi di pregresse coliche biliari o colecistiti
trattate conservativamente.
La TC è spesso risolutiva, dimostrando contemporaneamente i tre segni che compongono la triade di
Rigler: aerobilia, distensione del tenue con livelli e visione diretta del calcolo (facilitata da un’elevata percentuale di
Ca).
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LITIASI della VIA BILIARE PRINCIPALE
Migrazione per via anterograda di calcoli cistici nel coledoco, si manifesta nel 15% dei pz con colelitiasi
(soprattutto negli anziani).
Diagnosi
• Test di funzionalità epatica: aumento di fosfatasi alcalina e γ-GT, bilirubina coniugata/diretta, ALT
• Ecografia: ridotta accuratezza nel documentare litiasi nella VBP
• Colangio – RM: esame di riferimento
• CPRE: a scopo operativo
La frammentazione endoscopica dei calcoli (litotrissia meccanica o laser intracorporea) per facilitare
È possibile diagnosticare la sede dell’ostruzione
la dissoluzione e la clearance dei calcoli può essere considerata per i calcoli non facilmente
biliare e, spesso, di conoscerne l’eziologia.
rimovibili utilizzando metodi standard (ad es. un cestello per il recupero endoscopico o un
palloncino). Inoltre, permette di prelevare bile per l’esame
colturale e citologico e di effettuare brushing e
biopsia di un tratto stenotico.
Ha il vantaggio di essere pure una tecnica
terapeutica, in quanto è possibile effettuare la
COLANGITE ACUTA sfinterotomia della papilla, l’estrazione di calcoli o
Processo infettivo-infiammatorio della via biliare, secondario a: litiasi l’impianto di protesi o drenaggi.
della VBP (85% dei casi), stenosi coledocica o colangioK, CPRE.
La percentuale di complicanze è del 2-3%; le principali
Patogenesi: l’ostruzione del dotto biliare permette ai batteri di risalire dal duodeno. sono la pancreatite acuta e la colangite, meno
I microrganismi comunemente infettanti sono i batteri Gram − (come E. frequentemente emorragie.
coli, Klebsiella sp, Enterobacter spp); meno comuni sono i batteri Gram-positivi
(come Enterococcus sp) e gli anaerobi misti (come Bacteroides spp e Clostridia sp).
• se sono presenti anche alterazione dello stato mentale e ipotensione si completa la pentade di
Reynolds, che predice un elevato tasso di mortalità.
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LESIONI IATROGENE delle VIE BILIARI in corso di colecistectomia laparoscopica
Una lesione iatrogena è un danno non intenzionale che
consegue a una pratica medica diagnostica o terapeutica.
Differisce dalla complicanza chirurgica in quanto imprevista,
mentre la complicanza è un’eventualità prevista e non
rappresenta un errore medico.
In particolare, sono più comunemente associate a lesione della via biliare in corso di
colecistectomia laparoscopica:
− inserzione del dotto cistico nel tratto intraepatico del dotto epatico
− collegamento del dotto epatico dx nella via biliare in prossimità del dotto cistico
− anomalo decorso dell'a. epatica dx in vicinanza del dotto cistico piuttosto che
posteriormente al coledoco
- Deficit dello “strumentario”: ad es. mancato isolamento delle pinze diatermiche, con conseguente
danno da coagulazione, estremamente subdolo
- Errori tecnici: ad es. incompleta occlusione del dotto cistico con le clip, errato piano di dissezione
del letto epatico, lesione epatica durante lo scollamento della colecisti dal letto epatico.
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Classificazione delle lesioni iatrogene delle vie biliari di Strasberg
In caso di mancata chiusura del dotto cistico, la perdita biliare può essere significativa (anche superiore a
mezzo litro di bile), ma è una delle situazioni più facili da trattare: tramite uno stent si copre la via biliare e
quindi anche l’orifizio di sbocco della via biliare nel dotto cistico, e la situazione è risolta.
Altra condizione frequente è la perdita di bile da un dotto biliare nel contesto della fossa della colecisti.
Esistono infatti varianti anatomiche in cui piccoli dotti biliari accessori (dotti di Luschka) connettono
direttamente colecisti e albero biliare intraepatico senza passare dal dotto cistico, a livello del letto della
colecisti.
Anche questa è una situazione favorevole, e spesso va incontro guarigione spontanea se il letto chirurgico è
ben drenato.
Diagnosi
Circa il 75 % delle lesioni iatrogene della via biliare non è riconosciuto in sede intraoperatoria, bensì
successivamente (il ritardo diagnostico medio è di 1-2 settimane), determinando un ulteriore aggravamento
del quadro.
Principali elementi che favoriscono il riscontro di una eventuale lesione durante l'intervento:
− presenza di bile o sanguinamento inaspettati nel campo operatorio
− osservazione diretta della legatura di due dotti invece che uno solo
− rilievo della lesione tramite colangiografia intraoperatoria
− anatomia non ben definita e conversione dell’operazione da laparoscopica a laparotomica.
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Qualora il danno non venga riconosciuto nell'immediato, risulta fondamentale la diagnosi nel post-operatorio:
a tal fine è molto importante il monitoraggio delle condizioni cliniche del malato.
L'intervento laparoscopico permette in genere di evitare al malato un decorso e una degenza post-intervento prolungati, tanto che il giorno stesso
dell'intervento il pz nella maggioranza dei casi non ha febbre, non ha un rialzo di indici infiammatori, si alimenta ed è correttamente canalizzato e
pertanto può essere dimesso.
Alla luce di quanto detto il chirurgo deve sempre sospettare una complicanza nel malato le cui condizioni si discostino da questo quadro, ovvero nel
malato che riferisce malessere, presenta febbre, difficoltà nella alimentazione ed ileo paralitico.
La manifestazione postoperatoria che permette la diagnosi è naturalmente influenzata dal tipo di lesione:
• In caso di stenosi o legatura completa della VBP (Via Biliare Principale), il quadro sarà dominato da
ittero, che persiste nel tempo e diventa ingravescente.
Se non è coinvolta la VBP ma il dotto epatico di sx, si potrà avere anche solo un modesto rialzo
della bilirubina nelle fasi iniziali.
• La sezione parziale o completa del coledoco comporta la formazione di una fistola biliare e
perdita di bile variabile in relazione al tipo di dotto danneggiato: i dotti di Luschka perdono circa
400cc al giorno, il dotto cistico circa 500cc e la via biliare principale anche oltre 1000cc al giorno.
L'elemento che tuttavia condiziona maggiormente l'evoluzione è l'insorgenza di un quadro settico: questa
condizione diviene di primaria importanza rispetto alla lesione stessa e richiede un trattamento antibiotico
specifico.
La riparazione della lesione deve essere necessariamente posticipata dopo la risoluzione del quadro
infettivo.
Terapia
È condizionata dalla tempistica del riconoscimento del danno e dalla tipologia della lesione.
La riparazione deve essere sempre eseguita tramite approccio laparotomico; se il danno viene riconosciuto
in fase intraoperatoria, è necessaria un’immediata conversione
laparotomica.
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Per favorire la corretta anastomosi delle strutture biliari con l’ansa intestinale, è opportuno recentare la via biliare ed ampliare la bocca
anastomotica incidendo longitudinalmente il dotto epatico sx.
L'anastomosi così costruita viene incannulata con un tubo di drenaggio.
Il posizionamento del tubo ha una duplice finalità: consentire la corretta cicatrizzazione del collegamento ed assicurare la pervietà della struttura
biliare impedendo un’evoluzione stenotica.
Se il danno viene invece rilevato nel postoperatorio entro 7-14 giorni, la situazione si complica e occorre
procedere con:
▪ Resuscitation: si intende la gestione generale del pz con idratazione, equilibrio elettrolitico,
monitoraggio condizioni generali, terapia antibiotica in caso di quadro settico.
In particolare, in caso di eventuali problemi settici legati alla perdita di bile si ricorre alla radiologia
interventistica ed all’endoscopia per effettuare un drenaggio biliare in attesa della risoluzione del
quadro settico
▪ Appropriate investigation: capire esattamente quale sia e dove sia localizzata la lesione, ricorrendo
ad esami strumentali
• abbassare la soglia di conversione in una chirurgia open nelle situazioni in cui la corretta identificazione delle strutture, da un punto di
vista anatomico, è difficoltosa.
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PANCREATITE
PANCREATITE ACUTA
Processo infiammatorio a carico del parenchima pancreatico.
Presenta età di insorgenza preferenziale fra 40 e 60 anni, con incidenza di 5-45/100.000 casi all’anno e
mortalità complessivamente del 5%.
Eziologia
- Calcolosi biliare: causa più frequente (60% dei casi), soprattutto nelle F
- Alcol (30% dei casi): importante fattore causale sia per la pancreatite acuta che cronica, soprattutto in pz
con predisposizione genetica e nei M
o Gastroresezione distale
o Splenectomia
- Ipertrigliceridemia
- Ipercalcemia
- Farmaci: ACE-i, tiazidici, CS, azatioprina, contraccettivi orali …
- Altre cause: infezioni virali (ad es. da Coxsackievirus B, CMV, parotite), fibrosi cistica…
Patogenesi
È scatenata dall’attivazione e dalla diffusione intraparenchimale degli enzimi pancreatici prodotti dalle cellule degli acini e normalmente
contenuti nel sistema duttale.
La tripsina, derivata dalla conversione in forma attiva del tripsinogeno, gioca il suo ruolo fondamentale attivando i proenzimi inattivi in lipasi,
proteasi, fosfolipasi ed elastasi.
La fosfolipasi A, in presenza di piccole quote di sali biliari e di lisolecitina (derivata dall’azione della fosfolipasi stessa sulla lecitina biliare), produce
le lesioni necrotizzanti tipiche della pancreatite.
L’elastasi è in grado di digerire la parete dei vasi sanguigni; si presume perciò che essa giochi un ruolo primario nella patogenesi delle lesioni
emorragiche.
Inoltre, gli enzimi possono attivare il sistema del complemento e la cascata infiammatoria, producendo citochine e causando infiammazione e edema.
Gli enzimi attivati e le citochine che entrano nella cavità peritoneale causano un'ustione chimica e un terzo spazio per i liquidi; quelli che entrano
nella circolazione sistemica provocano una risposta infiammatoria sistemica che causa la sindrome da distress respiratorio e il danno renale acuto.
Gli effetti sistemici sono soprattutto il risultato di un'aumentata permeabilità capillare e di una riduzione del tono vascolare, conseguenti al rilascio di
citochine e chemochine.
Si ritiene che la fosfolipasi A2 causi la lesione delle membrane alveolari dei polmoni.
Clinica
• Dolore trafittivo a sede epigastrica-periombelicale: molto intenso e con insorgenza improvvisa,
con irradiazione lateralmente agli ipocondri (“a barra”) e posteriormente in regione
paravertebrale (“a cintura”).
Per ridurre la tensione esercitata sulla capsula pancreatica, il pz tende ad assumere una posizione obbligata con flessione delle cosce
sull’addome in decubito laterale o, più tipicamente, seduto sul letto con busto piegato in avanti
• Importante nausea/vomito
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• Talora febbre
• Eventuale ittero post-epatico (per la compressione esercitata sul tratto terminale del coledoco dalla testa del pancreas,
aumentata di volume per l’edema)
• Raramente ematomi: in sede periombelicale (segno di Cullen) e ai lati dell’addome (segno di Gray-
Turner) ⇒ indicano emoperitoneo
• A seconda della gravità del quadro patologico, manifestazioni sistemiche, come tachicardia e
ipotensione, fino a un quadro di shock conclamato.
Complicanze:
• Locali:
- Necrosi pancreatica
- Sovrainfezione delle raccolte fluide peripancreatiche
- Pseudo-cisti pancreatica: raccolta contente frustoli necrotici, sangue e succo pancreatico circoscritta da una pseudoparete di tipo
infiammatorio; in genere si formano dopo più di 4 settimane dall’evento acuto.
Nel 25-40% dei pz le pseudocisti vanno incontro a risoluzione; se non regredisce spontaneamente, una pseudocisti può dare a usa volte
complicanze, quali ascesso, rottura ed emorragia, che rappresentano le principali cause di mortalità per pseudocisti
− Pseudo-aneurisma
• Sistemiche:
- ARDS
- Insufficienza d’organo (come IRA)
- Shock ipovolemico
- Ipocalcemia.
Diagnosi
• Anamnesi ed EO
• Esami di laboratorio:
- Amilasemia aumentata di almeno 3 volte il valore superiore normale (⇒ > 800-1000 U/L)
- Lipasemia aumentata di almeno 3 volte (con sensibilità e specificità superiori rispetto alle amilasi)
La lipasi è più specifica per la pancreatite, ma entrambi gli enzimi possono essere aumentati nell'insufficienza renale e in
varie condizioni addominali (ad es. ulcera perforata, ischemia mesenterica, occlusione intestinale).
Altre cause di aumento dell'amilasi sierica sono le disfunzioni delle g. salivari, la macroamilasemia e i tumori che secernono
amilasi.
Il frazionamento dell'amilasi sierica totale nelle isoamilasi di tipo pancreatico (tipo p) e di tipo salivare (tipo s) aumenta
l'accuratezza dell'amilasi sierica.
Sia le amilasi che le lipasi possono rimanere nella norma se la distruzione del tessuto acinoso nel corso dei precedenti episodi
di pancreatite preclude il rilascio di sufficienti quantità di enzimi.
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• Esami strumentali:
- Ecografia addominale
Può evidenziare l’aumento delle dimensioni del pancreas e la disomogeneità della sua struttura, la presenza di raccolte fluide e
l’eziologia biliare della pancreatite (litiasi della colecisti o del coledoco, dilatazione delle vie biliari)
- Rx addome: per escludere altre cause di addome acuto, come occlusione e perforazione.
In corso di pancreatite, può comunque evidenziare i segni dell’ileo paralitico: dilatazione segmentaria di anse intestinali nel
quadrante superiore di sx (“ansa sentinella”), dilatazione del colon trasverso, perdita dei margini del muscolo psoas.
- Colangio-RM
Terapia
a) Terapia medica:
▪ Idratazione con sol. fisiologica o Ringer lattato
▪ Monitoraggio parametri vitali
▪ Terapia del dolore (⇒ idromorfone o fentanyl per ev).
Attenzione: evitare morfina (rischio di peggioramento del quadro per ipertono dello sfintere di Oddi).
b) Terapia chirurgica:
▪ In presenza di calcolosi biliare ⇒ CPRE.
Non appena le condizioni cliniche lo rendano possibile, in quanto il rischio di recidiva è elevato, deve essere effettuata la colecistectomia
laparoscopica in elezione.
▪ Nella pancreatite acuta severa, valutare necrosectomia (con approccio minimamente invasivo) in caso di aree
necrotiche infette resistenti agli antibiotici e/o drenaggi
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PANCREATITE CRONICA
È caratterizzata da progressivo deposito di tessuto fibroso e graduale perdita della funzionalità
pancreatica (esocrina ed endocrina).
Epidemiologia
Colpisce prevalentemente il sesso M (M:F = 3:1) tra la terza e la quarta decade.
L’incidenza è di circa 3-9 casi/100.000 abitanti all’anno, due terzi dei quali correlati all’abuso di bevande alcoliche.
Forme:
a) Calcifica
Cause:
- Alcol: soprattutto in pz con predisposizione genetica
- Fumo di sigaretta
- Fattori genetici:
o Pancreatite cronica ereditaria da mutazione del gene PRSS1: sembrerebbe predisporre anche a K del pancreas
o Deficit di inibitori della tripsina da mutazione del gene SPINK 1
o Fibrosi cistica.
- Ipercalcemia.
b) Ostruttiva: come da calcoli, neoplasia ostruente, trauma, disfunzione sfintere di Oddi, anomalie congenite come pancreas
divisum
c) Tropicale: forma idiopatica, identificata soprattutto nelle popolazioni che vivono a latitudini tropicali
Clinica
Il sintomo principale è il dolore pancreatico: generalmente intenso, ad andamento continuo oppure acuto e
intermittente, spesso a insorgenza/peggioramento postprandiale, scatenato soprattutto dall’ingestione di
un pasto ricco di grassi oppure di alcol.
La patogenesi del dolore riconosce diversi fattori: aumentata pressione del succo pancreatico all’interno dei dotti, presenza di processi infiammatori o
la compressione delle terminazioni nervose da parte di cisti da ritenzione.
- Malassorbimento ⇛
o Perdita di peso e malnutrizione
o Deficit vitamine liposolubili
o Alterazioni dell’alvo
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o Steatorrea (sostanze grasse non digerite nelle feci)
Non molto frequente, in genere presente nel 10% dei pz.
È rappresentata da un aspetto untuoso/oleoso delle feci, le quali assumono un colore marrone chiaro/arancione.
È determinata da una grave compromissione della produzione di lipasi, che compare quando si ha un deficit della componente
esocrina pancreatica > 90%.
Per essere sicuri che sia reale steatorrea si può fare un test: si fa assumere al pz per 3 giorni un pasto che contenga 100g di
lipidi al giorno: se dopo queste 72 ore nelle feci è aumentato il grasso fecale, allora si conferma che sia steatorrea.
Complicanze:
- DM 3c (pancreatogenico): caratterizzato da deficit nella secrezione sia di insulina che glucagone
(⇛ rischio di ipoglicemia)
- Pseudo-cisti pancreatiche
- Trombosi della vena splenica ⇛ estensione alla v. porta ⇛ ipertensione portale ⇛ rottura emorragica
delle varici esofagee
Diagnosi
• Esami di laboratorio:
− Amilasi e lipasi sieriche spesso normali: possibili aumenti in caso di riacutizzazione, ma nei casi più avanzati
possono rimanere costanti, per via della progressiva distruzione delle cellule acinose
o Indiretti ⇒ dosaggio dei grassi fecali (v.n < 7g/24h, se possibile con la dieta di 100g di lipidi al dì per
3 giorni)
• Diagnostica strumentale:
− Eco (⇒ può mostrare calcificazioni, alterazioni del parenchima o pseudocisti).
In questo caso il pz non ha necessità di fare un’indagine d’urgenza, quindi può fare anche un’ecografia addominale.
− Colangio-RM con stimolo alla secretina: più accurata della TC, consente l’esplorazione dei
dotti bilio-pancreatici.
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Terapia
▪ Cessare alcol e fumo
▪ Terapia del dolore: FANS e oppiacei, talora utili antidepressivi triciclici (anche per via della sospensione
brusca di alcool e fumo), gabapentin, pregabalin e SSRI
- IPP (⇒ in quanto la riduzione dell’acidità gastrica riduce l’inattivazione degli enzimi pancreatici)
- Dieta a basso contenuto di lipidi (<25 g/die) e ricca invece di carboidrati e proteine.
▪ Gli interventi chirurgici di tipo diretto sulla ghiandola o sul suo sistema duttale sono indicati
esclusivamente per la risoluzione di gravi sindromi dolorose.
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ERNIE ADDOMINALI
Fuoriuscita di un viscere o di una parte di esso dalla cavità
addominale che normalmente lo contiene, attraverso un
canale naturale, un orifizio o un punto di debolezza della
parete addominale pre-esistente.
Epidemiologia
Le ernie addominali sono frequenti; si calcola che ne sia affetto circa il 5% della
popolazione, con un rapporto M:F = 8:1.
Le ernie si manifestano a ogni età, con massima incidenza nel neonato e nell’anziano.
Eziopatogenesi
Riconosce:
• Ernie congenite: spesso evidenti fin dalla nascita, derivano dall’arresto di sviluppo di una porzione della parete addominale (ad es. a
livello inguinale pervietà del dotto peritoneo-vaginale), ma possono diventare clinicamente manifeste a ogni età
In ordine di frequenza, si
riconoscono:
− ernia inguinale (75%)
− // femorale o crurale
(15%)
− // ombelicale (5%)
− // epigastrica
− // rare (di Spigelio,
lombari, otturatorie,
ischiatiche, perineale).
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ERNIA INGUINALE
È la più frequente, soprattutto nel sesso M, interviene nella regione inguinale al di sopra del legamento
inguinale, dove la parete addominale è attraversata in pieno spessore dal canale inguinale.
Anatomia
La parete addominale presenta a livello inguinale una zona (di
particolare debolezza) alla quale è stato dato il nome di orifizio
muscolo-pettineo.
Esso è delimitato da:
− M. retto dell’addome (medialmente)
− Cresta pettinea del pube (inferiormente)
− M. ileopsoas (lateralmente)
− M. obliquo interno e trasverso (superiormente).
Il canale inguinale è da considerarsi come un tunnel con decorso obliquo, sulla linea
di Malgaigne (che va dalla spina iliaca anteriore superiore al tubercolo pubico), avente
una entrata che corrisponde all’orifizio inguinale interno ed una uscita che corrisponde a
quello esterno.
È costituito da quattro pareti:
• Parete inferiore: legamento inguinale
• // superiore: m. obliquo interno e trasverso con sua aponeurosi
• // anteriore: aponeurosi del m. obliquo esterno (anteriormente)
• // posteriore: fascia trasversalis e peritoneo.
• Punti di debolezza:
− Fossetta laterale: laterale ai vasi epigastrici ⇒ ernia obliqua esterna (la più frequente)
− // media: tra arteria ombelicale e vasi epigastrici ⇒ ernia diretta (da debolezza)
− // mediale: tra uraco e arteria ombelicale ⇒ ernia obliqua interna (rara).
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Classificazione
➢ Ernia obliqua esterna (⇒ indiretta): più
frequente, può essere sia congenita che
acquisita.
Il sacco entra nel canale inguinale attraverso
l’anello inguinale interno (lateralmente alla plica dei
vasi epigastrici inferiori).
Il viscere erniato può protrudere nel canale inguinale occupandolo
in parte o lungo tutta la sua lunghezza e talora può giungere fino
allo scroto (⇒ ernia inguino-scrotale).
Si definisce punta d’ernia, quando il sacco occupa appena
l’orifizio inguinale interno.
➢ Ernia obliqua interna: forma rara, che fuoriuscendo impegna la fossetta inguinale mediale,
dirigendosi verso l’orifizio inguinale esterno.
La porta d’ingresso è ampia, pertanto l’ernia si strozza raramente.
Il contenuto è spesso rappresentato dal tessuto adiposo prevescicale e dalla vescica o da un diverticolo vescicale.
Clinica
• Ernie non complicate: tumefazione in sede inguinale a pz in ortostatismo, generalmente non dolente
né spontaneamente né alla palpazione.
Solitamente il pz riferisce senso di peso, stiramento, “bruciore” o fastidio in corrispondenza della
tumefazione, soprattutto dopo prolungata stazione eretta o in occasione di sforzi fisici.
Talora l’ernia è completamente asintomatica e rimane ridotta in cavo addominale, fuoriuscendo solo
in seguito a sforzi che aumentano la pressione endoaddominale.
• Ernie complicate:
− Incarceramento: tipico delle ernie presenti da diversi anni, in cui il difetto di parete risulta rigido a causa di fibrosi
cicatriziale e spesso si formano anche delle aderenze tra contenuto, sacco e porta erniaria, rendendo quindi l’ernia irriducibile.
Clinicamente l’ernia anche se irriducibile si presenta ancora di consistenza morbida o teso-elastica.
È il preambolo all’urgenza chirurgica dello strozzamento.
− Intasamento: è l’accumulo di contenuto intestinale nelle anse dell’intestino erniato che, per la particolare
disposizione dell’ansa intestinale nel sacco, non può progredire nel lume.
Clinicamente l’ernia si presenta difficilmente riducibile, successivamente si determina uno stato di occlusione intestinale
meccanica che rappresenta un’indicazione all’intervento chirurgico d’urgenza, qualora con caute manovre di taxis non si riesca
a ridurre l’ernia intasata.
Questa complicanza è più frequente nelle ernie in cui il viscere erniato è rappresentato dal colon, per la maggiore consistenza
della massa fecale, e nella 3a e 4a età.
− Strozzamento: costrizione serrata e permanente del contenuto erniario (in particolare a livello del
colletto) che comporta:
o Irriducibilità dell’ernia, che risulta dolente e dolorabile alla palpazione, di
consistenza lignea
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o Edema ed ischemia venosa ed arteriosa del viscere per ostacolo alla circolazione ⇛
necrosi del contenuto erniario.
NB: i colletti piccoli sono i più pericolosi (l’ernia entra nel sacco erniario e non riesce più a uscire) quindi la dimensione dell’ernia NON
è un criterio importante, contrariamente alla presenza dei sintomi.
Diagnosi
Si basa essenzialmente sulla sintomatologia e sull’EO, eseguito dapprima in ortostatismo e poi in
clinostatismo:
• Ispezione: a riposo e facendo tossire il pz
• Palpazione: valutare:
− Consistenza: molle ed elastica
− Riducibilità spontanea o alla pressione manuale progressiva (⇒
manovra di riduzione per Taxis)
La manovra va effettuata partendo dalla periferia dell'ernia fino ad arrivare al centro, onde
evitare fenomeni di strozzamento o rottura del sacco e del viscere erniato.
Se non riesco a ridurla, significa che è incarcerata.
• Ernia inguino-pubica: sacco erniario supera l’anello inguinale esterno, occupa la radice dell’emiscroto o la radice del grande labbro.
Si rileva per la deformazione della regione e si può ridurre in addome
• Ernia inguino-scrotale: marcata deformazione del canale inguinale e dei suoi orifizi da parte di un sacco che può raggiungere dimensioni
significative (ernie permagne o a pantalone) con contenuto che finisce per aver perduto il “diritto di domicilio” in cavità addominale.
Trattamento
È sostanzialmente chirurgico:
70
Successivamente, si può procedere:
• Senza applicazione della protesi: con sutura diretta delle pareti, può però creare tensione lungo la
linea di sutura
• Con applicazione della protesi (⇒ ernioplastica tension free): anziché suturare le pareti, si giustappone alla
parete indebolita una rete in polipropilene; inoltre, per obliterare l’anello inguinale interno, aggiungendo un ulteriore rinforzo alla parete,
prima di posizionare la rete protesica si può introdurre nell’anello inguinale interno un frammento di rete arrotolata, che funge da “tappo”.
La rete può essere applicata con due tecniche:
− Tecnica di Trabucco: senza fissazione della rete
− // di Lichtenstein: la rete viene posta al di sopra del m. obliquo interno e della fascia trasversalis e viene suturata al tessuto
aponeurotico che ricopre l’osso pubico.
Post-operatorio: rimozione dei punti in 7° giornata, ripresa dell’attività lavorativa dopo circa 15gg e ripresa dell’attività sportiva dopo circa
30gg.
a) Laparoscopia:
• TAPP: riparazione transaddominale preperitonale, con trocars intraperitoneali
• TEPA: approccio totalmente extraperitoneale
Vantaggi della laparoscopia: eccellente visualizzazione, dolore minimo, rapido ritorno al lavoro e alle normali attività, risultato estetico
migliore.
Non è tuttavia prima scelta per vari motivi: necessita di anestesia generale, costi, violazione cavità peritoneale nella TAPP.
Si preferisce la laparoscopia quando l’ernia è bilaterale.
ERNIE CRURALI
Si sviluppa dall’anello crurale (lacuna vasorum o anello femorale) nel triangolo di Scarpa, è molto più
frequente nel sesso F (per la conformazione allargata del bacino) in età adulta.
Clinica: dolore che insorgono durante la stazione eretta o dopo sforzi che aumentano la P endoaddominale;
il dolore si attenua in decubito supino o flettendo la coscia.
All’EO si apprezza una tumefazione rotondeggiante di 2-4 cm di diametro, palpabile al di sotto della linea
di Malgaigne, che diventa più evidente con le manovre che aumentano la pressione endoaddominale; la
superficie della tumefazione è solitamente liscia o granulosa, in relazione al contenuto viscerale o epiploico.
Attenzione: lo strozzamento avviene più frequentemente perché la porta erniaria in quelle crurali è più
rigida ed anelastica.
ERNIA OMBELICALE
Si distinguono quattro varietà di ernie ombelicali in base all’epoca di insorgenza:
− Embrionale (o onfalocele): malformazione molto grave, con aplasia della parete addominale
− Fetale: da chiusura incompleta della parete addominale, dopo che la cavità peritoneale si è costituita, terapia chirurgica in due tempi
− Neonatale
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ERNIE EPIGASTRICHE
Prediligono l’età adulta e il sesso M, si manifestano lungo la linea alba tra l’apofisi ensiforme e l’ombelico, iniziando come una protusione di
tessuto adiposo nell’orifizio di passaggio di un vaso sfiancato per l’età e l’aumento della pressione endoaddominale.
Sono spesso asintomatiche e misconosciute, possibile incarceramento e strozzamento
ERNIA di SPIGELIO
Ernia poco frequente, sempre acquisita, si fa strada nel punto in cui si incontrano i vasi epigastrici, e la linea semilunare di Spigelio.
L’ernia protrude nell’area in cui i muscoli larghi si congiungono a livello del margine laterale del retto all’altezza dell’angolo esterno dell’arcata del
Douglas
Il sacco rimane di solito sotto l’aponeurosi del muscolo obliquo esterno, il contenuto è analogo a quello delle ernie inguinali.
L’ernia è di piccole proporzioni e confinata nello spessore della parete addominale, ma può facilmente strozzarsi
LAPAROCELI
Fuoriuscita di visceri addominali attraverso una breccia muscolo-aponeurotica della parete, in corrispondenza di una precedente incisione
chirurgica. Se il diametro della breccia erniaria è superiore ai 10 cm, il laparocele si definisce voluminoso.
Rappresenta una complicanza postoperatoria che si manifesta in circa il 5% di tutte le laparotomie e degli accessi laparoscopici.
La sua incidenza è particolarmente frequente in caso di infezione della ferita chirurgica; in circa il 50% delle laparotomie complicate da infezione
suppurativa della ferita si sviluppa in seguito un laparocele.
72
ERNIE DIAFRAMMATICHE
Fuoriuscita di un viscere dalla cavità addominale verso la cavità toracica, attraverso il diaframma.
a) ERNIE CONGENITE
Dovute all’alterato sviluppo dei quattro abbozzi embrionari che costituiscono la parte muscolare del diaframma, si dividono in base all’età
gestazionale in cui compaiono in:
➢ Ernie embrionarie: prive di sacco erniario in quanto avvenute in epoca antecedente alla formazione dei foglietti sierosi
➢ Ernie fetali: provviste di sacco erniario.
b) ERNIE dell’ADULTO
➢ ERNIA IATALE: dislocazione intratoracica di un viscere addominale o di una sua parte attraverso lo
iato esofageo diaframmatico.
Classificazione
• Ernia da scivolamento (90%): passaggio di una porzione
dello stomaco attraverso lo iato esofageo con la
giunzione gastroesofagea che viene spinta verso l'alto.
La sua presenza è spesso intermittente, in parte o del
tutto riducibile, evocabile con i cambiamenti di postura
o dall’aumento della P endoaddominale.
La frequenza globale di tale affezione nel mondo occidentale è intorno al 5-
10% della popolazione.
L’età maggiormente colpita è quella medio-alta, con massima incidenza a
partire dalla quinta decade di vita.
Patogenesi
• Fattori favorenti:
− Abnorme lassità muscolare ed eccessiva ampiezza dello iato
− Traumi addominali
− Aumento della P addominale
• Associazione con altre patologie ⇒ triade di Saint: ernia iatale, litiasi biliare, diverticolosi del
colon
Clinica
In molti casi è silente/paucisintomatica o aspecifica:
• // da scivolamento: manifestazioni legate al reflusso gastro-esofageo, sensazione di ingombro
epigastrico postprandiale o di “intrappolamento d’aria” dopo la deglutizione o di temporaneo
impattamento del bolo a livello dell’esofago distale.
Possibili anche sindromi dolorose toraciche anginoidi e di disturbi del ritmo cardiaco (riconducibili
a stimoli vagali con spasmi coronarici riflessi, a stiramento diaframmatico o a compressione diretta da parte di grosse ernie che subiscono
un’improvvisa distensione).
Prognosi: se non accompagnata da reflusso è eccellente; non è scontato che l’ernia aumenti di dimensioni e divenga sintomatica, anzi è
possibile una sua scomparsa spontanea.
Nei casi in cui il reflusso gastroesofageo sia presente, la prognosi dipende strettamente da questo e dall’esofagite peptica che ne può
conseguire.
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• // paraesofagea: di regola assenti i sintomi di MRGE, possono esserci:
− Dispepsia e singhiozzo
− dolore improvviso e lancinante in sede epigastrica o retrosternale, in genere dopo un pasto
abbondante; la causa sembra risiedere in una transitoria torsione gastrica
− Sintomi cardiorespiratori
Prognosi: L’ernia paraesofagea va invece incontro a un progressivo ingrandimento, fino all’erniazione intratoracica di gran parte o di tutto
lo stomaco.
Il rischio di complicanze gravi e talora letali è in quest’ultima situazione elevato, e solo un intervento chirurgico riparativo può modificare
una prognosi altrimenti grave.
Complicanze:
− difficoltoso svuotamento o occlusione gastrica
− emorragie GI
− strozzamento erniario
− volvolo gastrico: per rotazione dello stomaco lungo l’asse longitudinale, con drammatica sintomatologia dolorosa da
sovradistensione, in caso di mancata risoluzione tramite vomito o SNG, può evolvere verso l’infarto del viscere ⇛
perforazione ⇛ mediastinite e peritonite.
Diagnosi
• Rx con mdc (pasto baritato)
• EGDS per indagare complicanze
Trattamento
▪ L’ernia da scivolamento, in assenza di MRGE o di altre complicanze, non richiede alcun
trattamento e il soggetto che ne è portatore non va etichettato come malato.
Al contrario, se sintomatica o complicata, è trattata tramite riduzione e procedura antireflusso.
▪ L’ernia paraesofagea, per via del rischio di complicanze, richiede invece sempre un intervento
chirurgico: una volta ridotta l’ernia, viene riparato lo iato con una sutura con filo non
riassorbibile; la giunzione gastroesofagea viene fissata al di sotto del diaframma dopo aver
ricostruito l’angolo di His (intervento di Allison).
È possibile eseguire in aggiunta anche una fundoplicatio secondo Nissen.
➢ ERNIA POST-TRAUMATICA: dislocazione di un viscere addominale attraverso una lacerazione comparsa in seguito a un
evento traumatico.
La migrazione di uno o più organi dalla cavità addominale verso il torace è dovuta alla P negativa esistente nel cavo toracico; qualunque
organo addominale può dislocarsi attraverso un’ernia diaframmatica traumatica (fegato, milza, pancreas, stomaco, colon).
La soluzione di continuo diaframmatica può verificarsi a qualunque livello, ma la sede più frequente è l’emidiaframma sx, forse per una certa
azione protettiva esercitata dal fegato.
La lacerazione diaframmatica ha solitamente una forma lineare.
L’ernia diaframmatica è talora un reperto intraoperatorio incidentale nei casi in cui il traumatizzato sia sottoposto a intervento chirurgico
per lesione di altri organi; in alternativa, tale patologia può rimanere misconosciuta fino a quando non insorgano dei sintomi, rappresentati
più frequentemente dal dolore postprandiale o dall’occlusione intestinale.
Nei pz totalmente asintomatici il dubbio sulla presenza di un’ernia diaframmatica può essere avanzato dal reperto casuale a un’indagine
radiologica del torace di una lesione occupante spazio, talora con livello idroaereo all’interno: in questo caso l’esecuzione di una Rx con
pasto baritato dimostrerà chiaramente la dislocazione toracica di anse intestinali o dello stomaco.
Le complicanze dell’ernia sono rappresentate dall’ostruzione o dalla distorsione dell’organo erniato; se si tratta di un organo cavo, temibile è
l’infarto conseguente a volvolo.
La storia naturale di questo tipo di ernia è quella di un progressivo ingrandimento della soluzione di continuo con dislocazione sempre
maggiore di organi addominali o parte di essi in cavità toracica ⇛ si impone la correzione chirurgica del difetto.
74
MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI
• Fumo di sigaretta e
appendicectomia, peggiorano anche il
decorso.
Caratteristiche • Ulcera aftosa come lesione precoce • Limite netto tra tessuto affetto e
macroscopiche normale
• Aspetto ad acciottolato per via del
tessuto ulcerato depresso al di sotto • Mucosa eritematosa,
della mucosa normale disseminata di ulcere
superficiali ed estese
• Fissurazioni che possono estendersi
in profondità fino a diventare tratti • Pseudopolipi da rigenerazione
fistolosi, ascessi o perforazioni epiteliale
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Clinica ▪ Dolore addominale ▪ Ricorrenti crisi di diarrea con
colico/crampiforme, più frequente sangue rosso vivo e muco,
nel quadrante inferiore dx; può essere anche notturna, accompagnate
palpabile una massa o una zona di da tenesmo rettale e dolori
maggior consistenza (⇒ anse crampiformi nei quadranti
intestinali conglomerate) inferiori; in alcuni casi il primo
attacco è preceduto da enterite
▪ Alvo alterno, con diarrea (talvolta infettiva o forte stress
steatorrea) alternata a stipsi (⇒ DD con
sindrome dell’intestino irritabile, celiachia, ▪ Febbricola
enteropatie allergiche).
Feci talvolta ematiche SOF + ▪ Perdita di peso
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• Ascessi addominali 4. varietà cronica con sintomatologia continua,
con possibili esacerbazioni.
Principali complicanze:
Esistono diversi gradi di severità:
• Megacolon tossico
1. Lieve ⇒ < 4 scariche al giorno senza o con poco sangue Si sviluppa nelle forme più severe, di solito
entro i primi mesi dall’esordio.
2. Moderato ⇒ quadro intermedio La patogenesi risiede nel coinvolgimento
infiammatorio dei plessi nervosi mioenterici
3. Severo ⇒ > 6 scariche al giorno, sangue, febbre, anemia, che provoca occlusione paralitica (con
VES > 30 mm/h. conseguente sovradistensione del colon,
soprattutto il trasverso) e tossicità sistemica.
Fdr: cessazione improvvisa della terapia (in
particolare quella steroidea), ipokaliemia
(dovuta a scariche diarroiche), farmaci che
rallentano la motilità (come loperamide e
oppioidi, somministrati come antidolorifici,
questi pz possono prendere solo
paracetamolo, gli altri FANS attivano le
IBD).
• K del colon-retto
Rischio correlato a durata, estensione e
attività della malattia
• Le complicanze chirurgiche
della MC sono più rare
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Diagnosi
Parte da un sospetto clinico sulla base di anamnesi ed EO, dopodichè occorre procedere con:
1. Approfondimenti di I livello
• Esami di laboratorio
- Emocromo
o MC ⇒ anemia megaloblastica da malassorbimento di vit. B12 e folati oppure anemia sideropenica per
malassorbimento di ferro o perdita GI
- Sierologia:
o ASCA + ⇒ nel 60% dei pz con MC, con elevata specificità e predittivi di decorso severo
o pANCA + ⇒ // RCU
- Calprotectina fecale.
Marker di flogosi mucosale intestinale, utile per escludere problematiche funzionali.
• Esami strumentali:
- Ecografia delle anse intestinali
Risulta utile soprattutto nella valutazione dell’ileo terminale e del colon prossimale, sedi più frequentemente coinvolte da
malattia; può essere identificata anche la presenza di complicanze.
Se lo studio ecografico viene associato al color doppler si ottengono informazioni circa la vascolarizzazione: quando
aumentata, indica la presenza di infiammazione transmurale.
2. Approfondimenti di II livello
• Endoscopia digestiva: fondamentale la biopsia delle regioni esplorate.
Attenzione: assolutamente controindicata in caso di colite fulminante per rischio di perforazione.
• RM enterografia (con mdc solubile per os): permette valutazione del piccolo intestino, utile soprattutto
quando si ha:
- Quadro clinico suggestivo con endoscopia negativa (⇒ possibile MC localizzato nel tenue)
- Dubbio circa la DD tra le due MICI
- Complicazioni.
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o Rx con mdc baritato, TC enterografia (con mdc solubile per os), videocapsula per studio intestino
tenue
o clisma opaco a doppio contrasto e colon-TC/colonscopia virtuale per studio colon.
Terapia della MC
1) Terapia di induzione
Ha lo scopo di indurre remissione clinica e delle lesioni endoscopiche.
Varia a seconda della sede e attività di malattia:
a) Sede ileo-colonica:
• Malattia di grado lieve ⇒ Mesalazina (con o senza antibiotici) o Budesonide per os.
N.B: nelle IBD i CS non sono da utilizzare per la terapia di mantenimento, ma solo per l’induzione.
• // moderato (clinicamente):
- Budesonide o CS sistemici
- Se pz intollerante o refrattario a CS ⇒ Ab anti-TNFα (Adalimumab e Infliximab).
2) Terapia di mantenimento
Nei pz con malattia di grado lieve, si continua mesalazina (per via della sua bassa tossicità).
- Azatioprina.
.
• Anti-TNFα.
Fistole
Sono inizialmente trattate con metronidazolo e ciprofloxacina.
I pz che non rispondono in 3-4 settimane possono ricevere un immunomodulatore, con o senza un regime di induzione con anti-TNF per una risposta
più rapida.
Trattamento chirurgico
Indicazioni:
• Occlusione intestinale
• Fistola/ascesso
• Displasia o K
• Inadeguata risposta alla terapia medica
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Il pz con RCU ha un rischio nel corso della propria vita di andare incontro all’intervento chirurgico del 20%, mentre i pz con malattia di Crohn hanno
un rischio di subire almeno un intervento chirurgico del 75%
Indicazioni specifiche:
− Resezioni intestinali multiple precedenti con riduzione
dell’intestino tenue residuo
Controindicazioni specifiche:
Presenza di ascessi o fistole
Sospetto di K.
80
Terapia della RCU
1) Terapia di induzione
Prima linea: Mesalazina/acido 5-aminosalicilico (5-ASA) per via rettale (mediante supposte o clisteri).
Alternative:
• Se pz rifiuta la via rettale ⇒ 5-ASA per os (> 3mg/die, anche se meno efficace dell’applicazione locale)
• Se non ha risposto al trattamento topico ⇒ combinazione di 5-ASA per os e topico
• Se non ha risposto a 5-ASA ⇒ 5-ASA + CS (uno studio con beclometasone)
• Se ancora refrattario ⇒ immunomodulatori e/o anti-TNFα
• Se ha artrite come manifestazione extra intestinale ⇒ Sulfasalazina (per minori EC rispetto ai CS).
2) Terapia di mantenimento
Proseguire con Mesalazina per via rettale (1g con supposta) ogni notte.
Nei pz riluttanti a proseguire la somministrazione topica si può ridurre la frequenza a 2-3 volte a settimana.
Se il pz assumeva 5-ASA per os, si prosegue (con lo stesso dosaggio o ridotto a 2-3g/die).
Solo se il pz ha una proctite e ≤ 1 attacco all’anno si può pensare di interrompere il trattamento e riprenderlo alle nuove manifestazioni.
I probiotici nelle forme lievi sembrano mantenere la remissione al pari della mesalazina.
Per i pz con RCU di grado severo, ai salicilati si possono associare azatioprina e/o anti-TNF-α.
Quasi un terzo dei pz con RCU ulcerosa estesa, sintomi persistenti nonostante terapia medica, alla fine
necessita di proctocolectomia.
In caso di colite fulminante, si dispone il ricovero, dove innanzitutto si idrata il pz, si evitano modificazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico, LMW-
H a scopo profilattico, si controlla l’anemizzazione con trasfusioni e si somministrano CS per ev (idrocortisone o metilprednisone) e antibiotici ad
ampio spettro se segni di peritonite o febbre.
Se dopo 3 giorni il pz non tende a migliorare ⇒ ciclosporina, tacrolimus oppure anti-TNF-α (Infliximab).
Se dopo altri 3 giorni non risponde ⇒ colectomia (altrimenti rischio di megacolon tossico).
Trattamento chirurgico
Indicazioni:
• RU in fase attiva severa che non risponde alla terapia medica (associata a emorragia o perforazione)
• RU cronica che non risponde alla terapia medica (indicazione più comune)
• Displasia o K
• Bambini con ritardo della crescita.
▪ Procto-colectomia con IPAA (Ileal Pouch Anal Anastomosis, con confezionamento di J pouch
ileale ed anastomosi all’ano): rappresenta il gold-standard per il trattamento in elezione.
È suddiviso in tre fasi distinte (solitamente svolte in almeno due sedute):
1. Asportazione di tutto il colon-retto fino all’ano, con ileostomia di protezione
2. Ricostruzione della sacca rettale tramite un’ansa presa dall’ileo terminale, ovvero creazione della pouch
3. Anastomosi della pouch con l’ano.
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Vantaggi:
− Tramite l’intervento si ha la rimozione completa della malattia intestinale, visto che viene tolto tutto il colon ⇛ sospensione
della terapia medica
− Attraverso la ricostruzione di una sacca rettale, consentiamo al pz di non avere una stomia permanente e di avere una funzione
evacuativa accettabile (5-6 scariche al giorno).
Svantaggi:
− L’intervento è lungo, pesante e deve essere fatto in 2 o 3 sessioni
− Le evacuazioni sono più frequenti rispetto al fatto di possedere il proprio colon-retto
− Possono esserci delle complicanze, come pouchite ed incontinenza (poco frequente)
− Ridotta fertilità nella donna.
Controindicazioni:
Deficit funzionale dello sfintere anale con incontinenza moderata o severa
K del terzo inferiore del retto ⇛ procto-colectomia totale con ileostomia permanente
Attenzione: in caso di colite fulminante o megacolon tossico, il primo atto da fare in emergenza è la colectomia totale o sub-totale con
ileostomia, ben più tollerabile in un pz in condizioni critiche; successivamente a distanza di tempo (almeno due mesi) si può procedere con
le altre due fasi.
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MALATTIA DIVERTICOLARE del COLON
Per diverticolo si intende una estroflessione sacciforme (“a dito di guanto”) della parete del colon, che può
coinvolgere tutti gli strati della parete (⇒ t. mucosa, sottomucosa, muscolare propria e sierosa) o solo alcuni.
Si distinguono:
• diverticoli veri: di natura congenita, sono coinvolti tutti gli strati; sono rari alle nostre latitudini,
ma più comuni in popoli dell’Estremo Oriente
• // falsi o pseudo-diverticoli: di natura acquisita, sono soprattutto localizzati nel colon sx, sono
erniazioni di mucosa e sottomucosa attraverso la t. muscolare; sono tipici delle popolazioni
occidentali/industrializzate.
Epidemiologia
La diverticolosi è strettamente legata all’avanzare dell’età
(in Occidente si stima che ad 80 anni più del 60% degli
individui presenti diverticolosi del colon), ma attualmente
si registra un rapidissimo aumento di incidenza in tutte
le fasce d’età: sia in anziani, per l’aumento dell’aspettativa di vita, ma anche in soggetti giovani (< 30 anni).
Anche in Italia si percepisce questo trend, con una prevalenza del 35-50% e un’ospedalizzazione maggiore registrata al Nord.
Negli U.S.A., tra i soggetti con diverticoli si stima che il 20% sviluppi dei sintomi spesso aspecifici (⇒ si passa da diverticolosi a diverticolite) e che
il 20% di questi sviluppi poi anche complicanze.
L’associazione agli stili di vita è dimostrata dalla scarsa presenza di malattia in Sud America e Medio-Oriente e la sua quasi totale assenza in Centro-
Africa.
Il fatto che non sia una questione di etnia è dimostrato invece dal fatto che in popolazioni immigrate in paesi occidentali (soprattutto se da più
generazioni), la malattia è invece presente.
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• Flora intestinale alterata
• Ipersensibilità viscerale
È un fattore soggettivo, legato alla variabilità individuale di produzione di stimoli endogeni/neurotrasmettitoriali.
Facilita la comparsa di sintomi ed è classificata anche come malattia da stress.
È un fattore complesso da studiare, ma si pensa sia legato a SUDD e IBS.
Le dimensioni sono variabili, solitamente di diametro < 1 cm, ma anche questo non è correlato alla gravità né alle complicanze.
Un’ulteriore classificazione può essere fatta in base al livello di infiltrazione nella parete, come se fosse un tumore, ma anche ciò non è correlato a
gravità e/o complicanze.
Tutti questi parametri possono essere indagati ma non sono importanti per la clinica.
84
Forme di malattia diverticolare
➢ Diverticolite (acuta): patologia benigna, su base infiammatoria, con buona prognosi.
Contrariamente a quanto si possa pensare, NON ha alcun collegamento con un aumento di rischio di insorgenza di K del colon-retto.
L’unico vero rischio è la perforazione (soprattutto in anziani, defedati, immunodepressi), che può far salire la mortalità intraospedaliera anche
quasi al 10%: la parete del diverticolo è già di per sé sottilissima (il professore addirittura parla di “carta velina”, dato che si tratta di frazioni
di millimetro) e per di più non è inspessita da uno strato muscolare come lo sarebbe una parte sana, perciò i vasi al suo interno risultano più a
rischio di collabire se soggetti a forti aumenti di pressione, così da provocare ischemia della parete del diverticolo e perforazione.
Nei casi più fortunati si tratta di micro-perforazioni, subito tamponate dal grasso mesocolico o epiploico (in questo caso si parla di diverticolite
semplice), ma in caso contrario potranno invece insorgere anche complicanze più gravi.
La dieta è un fattore preventivo importante, ma, una volta che si presenta diverticolosi, non si torna più indietro, né è possibile andare a ridurre il
rischio di complicanze su diverticoli ormai già formati: è quindi inutile trattare il pz, fintanto che asintomatico.
Un altro mito da sfatare riguarda la possibilità che alcuni elementi (arachidi, mais, pop-corn, ecc..) possano più facilmente andare ad ostruire un
diverticolo e/o comportino un maggior rischio di andare incontro a complicanze.
Possono invece rappresentare un fdr i FANS in somministrazione cronica (ad es. cardioaspirina), mentre sono un fattore confondente oppioidi
e steroidi (riducono la sensibilità del pz, quindi l’entità percepita della sintomatologia e possono indurre il medico a sottovalutarla).
➢ SCAD (Segmental Colitis Associated with Diverticulosis): infiammazione cronica della mucosa
interdiverticolare del segmento colico coinvolto (non coinvolge quindi la parete del diverticolo, ma il segmento d’organo tra
un diverticolo e l’altro).
Risulta spesso difficilmente differenziabile dalle MICI (soprattutto Morbo di Crohn e RCU), per mancanza di un’effettiva infiammazione del
diverticolo propriamente detto e per assenza di complicanze.
La SCAD si distingue però dalla RCU perché, al contrario di quest’ultima, non coinvolge MAI il retto
Questi sintomi sono presenti anche nella sindrome da colon irritabile e nel cancro del sigma in fase iniziale.
➢ Diverticolite acuta:
• Dolore continuo al quadrante inferiore sx (70%)
Nella maggior parte dei casi dura alcuni giorni per poi scomparire completamente fino all’eventuale riesacerbazione della malattia.
• Febbre (50%)
• Alterazioni dell’alvo: diarrea o stipsi (30-50%).
Più spesso stipsi in quanto l’edema della parete fa sì che il colon si gonfi e quindi il passaggio si complica fino all’atto subocclusivo a cui
si arriva in fase avanzata
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All’EO:
• Addome moderatamente disteso
• Dolorabilità in fossa iliaca sx
• Massa addominale dolente al fianco sx con palpazione profonda (scarsamente tollerata).
Se il pz tollera una palpazione profonda, è improbabile che abbia diverticolite acuta: si può comunque percepire una massa di struttura
tubulare, scarsamente elastica, localizzata in corrispondenza del sigma ⇒ corda colica.
Diverso è se la massa infiammatoria è dovuta alla diverticolite: la palpazione in questo caso determina un dolore tale che il pz reagisce e
non si riesce ad affondare la mano
o Se è positivo e diffuso in tutti i quadranti, si osserva peritonismo diffuso; il pz necessita di un trattamento chirurgico
d’urgenza.
DD con:
− K del colon sx
− RCU e MC
− Stenosi post-attiniche, facilmente distinguibile perché il pz riferisce di aver fatto radioterapia in passato
− Endometriosi intestinale
− Colite ischemica: malattia tipica dell’anziano, spesso la diagnosi differenziale è difficoltosa in quanto sono compresenti entrambe le
patologie (diverticolite e colite ischemica) ed è difficile capire quale delle due sia la diretta responsabile dei sintomi;
− Pelvi-peritonite associate ad annessiti, vaginiti, cerviciti
− Appendicite acuta; anche se nella diverticolite interessa il sigma, il dolore è spostato poiché spesso la voluta del sigma finisce in fossa
iliaca di dx
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− Fistole diverticolari
Solitamente con 2 organi:
o fistole colo-vescicali
o // vaginali
DD con: neoplasia, MC, fistole post-attinica.
Si tratta di fistole infiammatorie che, una volta rimossa la causa dell’infiammazione (in questo caso il sigma con
microperforazione o con ascesso), guariscono spontaneamente e il più delle volte non è necessario l’intervento chirurgico.
Bisogna ricordare che le fistole colo-vaginali raramente hanno luogo in una donna che ha ancora il proprio utero, poiché è un
“muro” per le fistole.
Al contrario nelle donne isterectomizzate il sospetto è maggiore, soprattutto se ha storia di malattia diverticolare e riferisce
perdite brunastre con il secreto vaginale o addirittura aria uscire dalla vagina; è una malattia disabilitante che va risolta con
intervento chirurgico.
I. Stadio 1:
− 1a: flemmone (con ispessimento dei tessuti vicini al diverticolo)
− 1b: ascesso peridiverticolare/pericolico.
Si formano in conseguenza della perforazione di un diverticolo che si trovava tra i due foglietti del mesentere; di solito è di
piccole dimensioni e attaccato al colon
IV. // 4 ⇒ peritonite stercoracea (con feci in peritoneo, peggio rispetto alla presenza di pus; è correlata a perforazione di diametro
più ampio).
La classificazione ha importanza dal punto di vista pratico in quanto ad ogni stadio è associato uno specifico
trattamento.
Uno dei più grandi errori che sono stati fatti nel campo della chirurgia colon-rettale per anni è stato pensare che il numero di attacchi di
diverticolite nel corso della vita fosse direttamente correlato al rischio di perforazione.
Dal momento che il rischio di perforazione è correlato anche al rischio di andare incontro ad un intervento che porta poi ad una colonstomia, questo
si rifletteva sulla pratica clinica dei chirurghi che usavano dire ai pz che, avendo avuto già due attacchi di diverticolite, erano a rischio di
perforazione e dunque dovevano essere operati d’urgenza.
Questo in realtà è risultato essere falso: i dati epidemiologici hanno rilevato che il maggior rischio di andare incontro ad una peritonite diffusa è al
primo attacco di diverticolite.
Il motivo ancora non è stato capito a pieno; l’ipotesi è che ad ogni attacco di diverticolite il tessuto infiammatorio è man mano sostituito da tessuto
cicatriziale che è più robusto rispetto a quello originario.
Studi successivi hanno confermato che il rischio è massimo al primo episodio e man mano che si sale con gli episodi il rischio di perforazione
scende fino a scomparire dopo 5 episodi.
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Diagnosi della malattia diverticolare
➢ Diverticolosi
Può essere rilevata (spesso incidentalmente) durante:
• Colonscopia
Dal punto di vista del SSN ha precise indicazioni da segnalare in impegnativa. Richiedere una colonscopia per diagnosi di diverticolosi è
poco sostenibile
• Clisma opaco a doppio contrasto: oggi è un esame obsoleto ma, se non c’è possibilità di
fare la colon-TC, può essere l’alternativa.
Si chiama clisma “a doppio contrasto” perché viene insufflato mdc più aria per distendere l’organo
ed analizzare la superficie
• TC colonscopia virtuale
La scelta tra colon-TC e colonscopia dipende da molte cose: età del pz, stato clinico, fdr (età,
familiarità, pregressi polipi), scelta personale del pz, criteri del SSN
➢ Diverticolite acuta:
• Ecografia: richiede un operatore molto esperto
• TC addome-pelvi con mdc: nel caso in cui l’ecografia non sia dirimente.
Mostra lo stato di infiammazione locale e coinvolgimento peritoneale
Follow up
Tutti i pz hanno bisogno di un esame che confermi che l’episodio acuto è stato effettivamente legato ad una malattia diverticolare, mentre per i pz che
hanno avuto più episodi di diverticolite la colonscopia o la colon-TC serve per stabilire il grado di stenosi che si sta venendo a creare.
Lo scopo di questi esami non è solo fare diagnosi di malattia diverticolare ma soprattutto di escludere una neoplasia maligna.
a) Terapia medica
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▪ Diverticolite:
− lieve-moderata (Hinchey 1): trattamento antibiotico domiciliare.
Da UptoDate: i pz con diverticolite acuta vengono generalmente trattati con un ciclo di antibiotici orali per 7-10 giorni.
Gli antibiotici usati per trattare la diverticolite devono coprire la normale flora GI dei bastoncelli Gram-negativi e degli
anaerobi, in particolare E. coli e Bacteroides fragilis.
Usiamo uno dei seguenti regimi antibiotici ambulatoriali per via orale in pz adulti con normale funzionalità renale ed epatica:
● Trimetoprim-sulfametossazolo (1 compressa a doppia concentrazione [sulfametossazolo 800 mg; trimetoprim 160 mg] ogni
12 ore) + metronidazolo (500 mg ogni 8h)
● Amoxicillina-clavulanato (1 compressa [875 mg di amoxicillina; 125 mg di acido clavulanico] ogni 8h) o Augmentin XR (2
compresse [ogni compressa contenente 1 g di amoxicillina; 62,5 mg di acido clavulanico] ogni 12h )
● Moxifloxacina (400 mg die), da usare in pz intolleranti sia al metronidazolo che agli agenti beta-lattamici.
Consultare l'antibiogramma locale per evitare di prescrivere un regime in cui la resistenza batterica supera il 10 percento.
Ad es. nelle aree in cui la prevalenza della resistenza di E. coli ai fluorochinoloni supera il 10 percento, amoxicillina-
clavulanato o trimetoprim-sulfametossazolo più metronidazolo sono gli agenti preferiti.
Quello che si può dare ad un pz dopo un attacco è una terapia profilattica nei confronti di
un prossimo attacco: l’unico farmaco che si è dimostrato in maniera molto lieve efficace è
la rifaximina (antibiotico battericida non assorbibile del gruppo delle rifamicine) associato
ad un certo carico di fibre
Al fine di prevenire le recidive, i pz con una storia di diverticolite del colon dovrebbero consumare una dieta ricca di fibre.
Tuttavia, non è necessario evitare semi, mais e noci.
Sono necessari ulteriori studi prima che la mesalamina o altri agenti (ad es. Rifaximina e probiotici) possano essere
raccomandati per l'uso di routine in pz con diverticolite
o severa: se ci sono segni di infezioni generalizzata (⇒ T > 38°C, leucocitosi spiccata, proctorragia massiva,
dolore che richiede l’assunzione di analgesici maggiori, segni di peritonismo, decadimento generale) l’indicazione è di
ricoverare il pz, messo a digiuno e devono essere iniziati antibiotici ad ampio spettro per
ev.
Se non vi sono complicanze, in 3-4 giorni il quadro va incontro a miglioramento.
b) Trattamento chirurgico
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▪ In urgenza
In presenza di ascessi (⇒ stadio 1b e 2 della classificazione di Hinchey), bisogna valutare il
diametro:
− se sintomi localizzati e diametro < 4 cm: terapia antibiotica in regime di ospedalizzazione
e riposo intestinale (digiuno) per qualche giorno
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PATOLOGIE PROCTOLOGICHE
MALATTIA EMORROIDARIA
Sindrome che consegue al deterioramento della normale anatomia
e struttura delle emorroidi.
N.B: le emorroidi non sono una patologia, bensì dilatazioni vascolari artero-venose,
ricoperte da mucosa e sotto-mucosa, presenti sin dalla nascita, che si collegano al plesso
vascolare emorroidale che circonda internamente la parete rettale.
Anatomia
Fisiologicamente le emorroidi si distinguono in:
• emorroidi interne: al di sopra della linea dentata o pettinata
• // esterne: inferiormente alla linea dentata o pettinata
Vanno comunque intese come parte di un unico plesso: sono presenti, infatti, ampie
interconnessioni tra emorroidi interne, emorroidi esterne, plesso sottomucoso e plesso
extrasfinteriale.
I gavoccioli emorroidari primari sono tre e formano angoli di circa 120 gradi tra loro nelle
posizioni:
− Laterale sx
− Antero-laterale a dx
− Postero-laterale a dx
Funzione
• Continenza anale
Lo sfintere è una sorta di elastico e, come ogni elastico, non si chiuderà mai del
tutto, ma lascerà sempre un foro, seppur millimetrico, nel centro: la continenza
completa è garantita proprio dalle emorroidi, che fungono da “cuscinetti”
comprimibili
Ezio-patogenesi
a) Teoria delle varicosità (la più
accreditata): si ritiene che la malattia
emorroidaria abbia la stessa origine
delle varici venose dell’arto inferiore:
aumento pressorio ⇛ deficit di
continenza ⇛ sfiancamento
progressivo.
Più precisamente, si ha un’incapacità dei cuscinetti di
svuotarsi completamente durante la defecazione, sia
per l’impaccamento fecale che comprime le vene, sia
per il ponzamento che aumenta la pressione intra-
addominale, impedendo lo svuotamento dei
cuscinetti.
Questo porta al prolasso dei cuscinetti, ad un assottigliamento della parte vascolare e a conseguente aumentato sanguinamento.
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b) Teoria dello slittamento anale o prolasso dei cuscinetti vascolari: la lassità del tessuto di sostegno favorisce lo scivolamento verso il
basso e il prolasso all’esterno dei cuscinetti
c) Teoria dell’iperplasia vascolare (teoria meno seguita): evoluzione delle emorroidi per una trasformazione iperplastica metaplastica per
un eccesso di irrorazione del corpo cavernoso rispetto alle esigenze.
Fattori favorenti:
• Lassità ereditaria connettivale dei tessuti di sostegno: c’è un’associazione tra patologia erniaria ed emorroidaria
• Abitudini di vita: dieta povera di fibre, stipsi ed eccessivo sforzo evacuativo
• Attività lavorative faticose: posizione, sforzi, temperature a cui si è esposti
• Fattori endocrini (ciclo mestruale): per le donne rappresentano un meccanismo di sfogo della
circolazione pelvica
• Gravidanza (“le emorroidi gravidiche non vanno toccate!”)
• Ipertensione portale (emorroidi secondarie): le emorroidi fanno parte dei circoli collaterali portali.
Nei pz cirrotici con ipertensione portale, la presenza di emorroidi aumentate di volume è una costante. Queste possono sanguinare a
causa dell’alterato stato emocoagulativo del pz: in questo caso non bisogna intervenire con un trattamento chirurgico, poiché si rischia
solo di andare a peggiorare l’ipertensione portale, ma si deve correggere la coagulazione per ridurre il sanguinamento.
Classificazione
− Emorroidi esterne: essendo già all’esterno non prolassano; possono dare tromboflebite o raramente
aumentare di volume
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− 3° //: protrudono all’esterno e possono essere ridotte manualmente
Clinica
• Sanguinamento (proctorragia): generalmente post-defecatorio, con sangue rosso vivo,
autolimitante in breve tempo.
È più presente in periodi di stitichezza o dissenteria, può essere costante ad ogni evacuazione o presentarsi indipendentemente
dall’evacuazione.
Importante è valutare l’entità del sanguinamento ed una possibile anemizzazione (più rara, tipica solo di soggetti con sanguinamento
costante), per intervenire eventualmente con la chirurgia
• Dolore: associato alle emorroidi, in assenza di ragadi, solo in caso di tromboflebite (su base
infiammatoria o infettiva, a carico di uno o più gavoccioli, a livello dei quali il pz accuserà pesantezza, prurito e bruciore)
• Sintomi di ostruita defecazione (⇒ sensazione di incompleta evacuazione, stimolo a evacuazioni ripetute ma con scarsa
quantità di feci)
Complicanze
• Locali:
− Trombosi (interna, del prolasso emorroidario, del gavocciolo, emorroidaria esterna con ematoma perianale-edema perianale):
provoca dolore che scompare in circa 7 gg
− Tromboflebite emorroidaria: il dolore non passa e compaiono sintomi generali quali febbre e
malessere; se la condizione non viene trattata con antibiotici o chirurgia, può evolvere, dando
ascessi o estendendosi al perineo
Diagnosi
• Anamnesi ed EO: si effettua con il pz in posizione genupettorale,
appoggiato sul lato sx:
− ispezione per identificare lesioni perineali e prolassi esterni
− palpazione delle emorroidi esterne per verificare la presenza di eventuali processi
trombotici o tromboflebite
− ricercare anche un’eventuale sede dolorabile
− esplorazione rettale per percepire i gavoccioli all’interno del canale anale, valutarne il
volume, eventuali ulcere, sanguinamenti, saggiare il tono dello sfintere.
• Anoscopia: è ritenuta un esame non fondamentale in quanto l’esplorazione rettale causa meno
dolore rispetto ad un esame endosopico, fornendo però gli stessi dati diagnostici
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Terapia
a) Trattamento conservativo:
• aumentare fibre e contenuto idrico nella dieta
• emollienti delle feci, come docusato e psyllium
• diminuire il tempo di sosta sulla toilette e l’intensità di spinta nella manovra di evacuazione
• promuovere attività fisica
• Diminuire dosaggio farmaci che inducono stitichezza
b) Farmaci:
• Analgesici topici se vi è tromboflebite, steroidi solo se vi è dermatite
• Agenti vasoattivi: flavonoidi, bioflavonoidi
• Agenti antispastici in caso di ipertono sfinteriale all’EO
• Semicupi caldi: è dimostrato scientificamente un effetto su ragadi ed emorroidi di fase acuta, in quanto riduce l'ipertono
sfinteriale.
• Escissione del trombo: in caso di trombosi emorroidaria: indicazione specifica quando una trombosi dura meno di
48/72h.
Si procede con l’escissione del trombo in ambulatorio, incidendo l’emorroide.
Non si causa sanguinamento, poiché essendo il gavocciolo trombizzato, anche la parete risulterà ipovascolarizzata.
- Closed or Ferguson procedure: scuola americana basata su una procedura chiusa. Dopo l’asportazione del
gavocciolo si ri-sutura/ri-chiude la parete.
Studi randomizzati dimostrano che il dolore post-operatorio è minore con tecnica chiusa.
• Hemorrhoidal artery ligation (HAL): bassa percentuale di complicazioni, ma alto tasso di recidiva.
Si procede con la legatura del peduncolo superiore, senza asportazione del gavocciolo: riduce o annulla il sanguinamento, ma
non risolve il problema del prolasso.
• Emorroidectomia mediante
stapler o tecnica di Longo: modesta
percentuale di complicazioni e recidive.
Con una suturatrice meccanica si esegue una
resezione mucoso-sottomucosa del retto distale e
della parte più prossimale del canale anale, tirando
all’ interno i gavoccioli.
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RAGADE ANALE
Erosione o ulcerazione lineare o ellittica dell’epitelio squamoso del canale anale, con un’estensione che può
andare dalla linea dentata al margine anale.
È localizzata nel 95% dei casi nella commissura
posteriore; più rare le ragadi laterali, ma
indicative di altre patologie come la malattia di
Crohn.
Classificazione
• Primitive: idiopatiche.
Fattori predisponenti:
− Feci di consistenza dura, stipsi
− Diarrea protratta nel tempo
− Flogosi locale anale
− Anomalie strutturali sfinteriali.
La ferita determina ipertono sfinteriale dello sfintere involontario interno ⇛ riduzione del flusso sanguigno, ischemia, ulteriore aumento
dolore e conseguente aumento ulteriore dell’ipertono: si instaura un circolo vizioso.
• Secondarie: IBD (in particolare MC), sifilide, AIDS, TBC anale, carcinoma anale
Clinica
• Dolore: caratteristico per la sua cronologia in tre tempi:
1) dolore acuto durante l’evacuazione (come una sensazione di taglio al passaggio delle feci)
2) si riduce a termine per qualche minuto
3) riprende intenso e dura anche per ore
• Sanguinamento: raro, soprattutto dopo evacuazione, quando l’ipertono si riduce e lo sfintere si rilascia per il passaggio delle feci
Diagnosi
È clinica.
Si procede con l’ispezione per identificare la ragade e la sua localizzazione: sapendo che la lesione è maggiormente posizionata nella commissura
posteriore, anche se la ragade è interna, basta stirare la cute dell’ano posteriore per evocare dolore.
Si effettua poi l’esplorazione rettale, comprimendo la parte anteriore dell’ano, per lasciare spazio tra il dito e la ragade.
La procedura è utile per identificare marische, pseudopolipi sentinella, margini della lesione, ecc...
Non viene effettuata l’anoscopia.
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DD con:
• Lesioni traumatiche
• Da grattamento: MST, condilomi, sifilide
• Dermatiti perianali
• Cancro dell’ano: tumore squamoso, importante da escludere (prognosi comunque buona nel 95% dei casi, se diagnosticato e poi trattato
con RT).
Trattamento
▪ Semicupi caldi: lavaggi con acqua calda (39°C), 10/12 volte al giorno, per un paio di settimane, sciacquando la zona lesionata (e
non immergendola) per far rilassare l’ano
▪ Vasodilatatori topici come nifedipina e nitroglicerina: agiscono su canali del calcio per disaccoppiare contrazione
muscolare
− Sfinterotomia laterale
interna: più comune, effettuata
qualora vi sia realmente un ipertono.
Viene tagliato lo sfintere interno per una
lunghezza pari alla lunghezza della
ragade, in una zona diversa da quella
della lesione.
L’ incisione viene fatta lateralmente.
Lo scopo è quello di ridurre l’ipertono,
ripristinare l’afflusso ematico a valle,
risolvere l’ischemia e guarire la ferita.
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ASCESSI PERIANALI
Processo infiammatorio acuto suppurativo saccato della regione perianale o perirettale.
Spesso è la manifestazione iniziale di una sottostante fistola anale.
Ezio-patogenesi
• Teoria cripto-ghiandolare: infezione ed ostruzione delle ghiandole anali, con l’infezione che si propaga a partire da una delle cripte anali.
• Teoria dell’infezione perianale: l’ascesso proviene da microtraumi della mucosa anale o della regione perianale.
Localizzazione:
− Marginale e perianale (45% dei casi)
− Ischio-rettale (23%)
− Intersfinterico (20%)
− Pelvirettale
− Sottomucoso (raro)
− Circonferenziale
Classificazione eziologica
• Primitivi (80%)
• Secondari (20%): esiste una concausa legata ad un fattore esterno come: corpi
estranei (raro), trauma, neoplasia, RT (frequenti), immunodeficienza, idrosadenite
suppurativa, malattia di Crohn, actinomicosi e TBC.
Clinica
• Febbre
• Dolore locale
• Tumefazione: non sempre presente, soprattutto se l’ascesso è pelvi-rettale non è presente alcuna tumefazione
• Tumefazione endoanale
• Tenesmo
• Perdita di pus
• Massa pelvica
Complicanze:
• Recidiva: alla base dell’ascesso vi è sempre una fistola (canale anomalo che fuoriesce
dal retto o dal canale anale, più frequentemente dalla linea pettinata).
Se questa non viene trattata, continuerà a mettere in comunicazione il retto con la cavità
ascessuale.
Quindi, trattando solamente l’ascesso con la terapia antibiotica, si potrà ottenere la
regressione sintomatologica però sicuramente si avrà una recidiva.
Può essere:
− Acuta: dopo tre giorni dalla regressione o dal drenaggio dell’ascesso
− Cronica: dopo settimane/mesi.
In questo tipo di complicanza si deve intervenire il più presto (quindi non si deve lasciar passare del tempo in quanto “semplice ascesso”)
possibile per non far avanzare la gangrena: si attua terapia antibiotica associato a drenaggio chirurgico e il pz viene tenuto in terapia
intensiva.
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Diagnosi
È clinica.
È importante stabilire il suo decorso e capire se è un:
• ascesso perianale.
• // ischio - rettale quindi si porta al di sotto del pavimento pelvico.
• // pelvi-rettale quindi si porta sopra al pavimento pelvico.
Significa che, probabilmente, la fistola che l’ha causato viene da una perforazione del retto o da organi a monte. In questo caso ci si avvale
di un approccio “dall’alto”.
Nel caso in cui sia presente una tumefazione, in un primo momento è buona norma drenarla e poi successivamente si indaga l’eventuale decorso.
Se non fosse presente, sarebbe lecito pensare che l’ascesso si trovi superiormente e quindi è necessario eseguire una diagnostica strumentale: il pz non
tollera l’anoscopia e l’ecografia endorettale, perciò in questi casi è utile fare una TC (senza ricorrere alla RM anche se alcuni chirurghi la
consigliano).
Trattamento
È strettamente chirurgico.
Negli ultimi anni, si è notato che gli ascessi, se drenati correttamente, non necessitano di terapia antibiotica associata.
È bene però effettuare terapia antibiotica soprattutto in pz che hanno già un processo esteso di infiammazione perifocale attorno all’ascesso oppure
che hanno segni di infezione sistemica (anche se quasi tutti i pazienti presentano febbre), diabetici, cardiopatici ed immunodepressi.
Discorso a parte per la malattia di Crohn: questa patologia causa ascessi molto piccoli che è possibile trattare con antibiotici perché, con il
progredire della malattia, il pz potrà presentare molteplici recidive nella zona perianale e un continuo reiterarsi di procedure a questo livello, a lungo
termine, potrebbe interferire con la funzione sfinteriale e con le funzioni del pavimento pelvico.
Di conseguenza, si interviene anche con farmaci che inducono un restringimento progressivo delle fistole (come gli anti-TNFα).
Chirurgia
Il pz viene posizionato prono o supino (in base alla posizione dell’ascesso).
Si incide a croce e si asportano i lembi in modo tale che la cavità risulti adeguatamente
aperta. Dopodiché la cavità si richiude “da sola” lasciando una cicatrice poco visibile
(2x2 cm o 3x3cm all’incirca).
Alcuni chirurghi inseriscono all’interno lo zaffo iodoformico (tampone di garza da
introdurre e stipare in una cavità naturale (naso, utero), in una breccia operatoria o
in una ferita, a scopo emostatico o per controllare la cicatrizzazione nel processo di
guarigione per seconda intenzione).
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FISTOLA ANO-RETTALE
Canale infiammatorio anomalo che connette la superficie interna del canale ano-rettale con la cute o una cavità interna (ad es. ascesso).
È importante sottolineare che l’ascesso è la patologia acuta, mentre la fistola il più delle volte è cronica.
Epidemiologia
Prevalenza di 9 casi su 100.000 ab, con rapporto M:F = 2:1.
Non vi è un’età prevalente, ma la media degli affetti è circa 40 anni (parlando di fistole sporadiche e non causate da altre patologie).
Classificazione eziologica
• Primitive: si presentano in più del 50 % dei casi; è l’evoluzione naturale dell’ascesso (non necessariamente trattato)
• Secondarie:
− M. di Crohn ed RCU
− K retto ano
− TBC
− Ragade
− Emorroide
− Esiti di chirurgia anale
− Traumi, ferite.
Come si può notare, sono le stesse cause dell’ascesso (sottolineando la correlazione tra le due condizioni).
Ezio-patogenesi
Sono state formulate varie teorie sulla formazione delle
fistole.
La più accreditata è la teoria criptoghiandolare: secondo
questa teoria, le fistole si formano per infezione delle cripte
della linea dentata.
In queste introflessioni può ristagnare del materiale fecale
il quale induce una pressione che spinge verso il fondo della
cripta creando una sorta di passaggio che, quando oltrepassa
la mucosa, si infetta.
Si formano degli ascessi microscopici nel piano
intersfinterico (in quanto le cripte comunicano con
quest’ultimo attraverso le ghiandole anali).
Questo può portare a:
a) Risoluzione
b) Piccola cavità ascessuale cronica che porterà alla
formazione di una fistola cronica o all’ascesso
acuto.
Ci sono altre teorie basate su microtraumatismi o malattie della mucosa, ma queste riguardano principalmente le fistole secondarie.
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d) Extra-sfinterica: è l’unica che non origina dalla linea dentata ed origina dalla parete del retto.
Si porta verso l’esterno causando ascessi.
È rara e di difficile trattamento, il più delle volte necessita di un trattamento dall’alto.
Si rende necessario defunzionalizzare il retto: si pone un sacchetto a monte e si evacuano all’esterno le feci e poi si tratta il paziente con
terapia medica per fermare la fistola.
Un altro intervento possibile viene effettuato all’interno del retto mediante delle clip o un lembo di avanzamento che vanno a chiudere il
forame interno.
Classificazione americana
• Semplici: fanno parte di questa categoria le intersfinteriche (tipo 1 di Parks) e le transfinteriche basse (tipo 2 che coinvolgono meno di
1/3 dello sfintere esterno).
Questo perché entrambe vengono trattate allo stesso modo attraverso un taglio di tutti i tessuti per divaricare la fistola.
Il tessuto si riformerà dal pavimento della fistola mediante un processo di guarigione di 2° tipo con granulazione dal fondo in modo da
creare un “muro” più resistente.
Si deve tagliare lo sfintere interno (già visto con le ragadi che non si perde la continenza) e lo sfintere esterno perché la fistola
transfinterica passa entrambi. Tagliare lo sfintere esterno nella sua completezza causerebbe incontinenza; per questo motivo, questo
intervento viene effettuato solo se la fistola trasfinterica coinvolge meno di 1/3 dello sfintere esterno.
In questo caso il rischio di incontinenza è sotto l’1%
• Complesse: comprendono le fistole transfinteriche alte, sovrasfinteriche, extrasfinteriche, fistole retto-vaginali, anteriori (nella donna
perché ci può essere una immunocompromissione), fistole del Morbo di Crohn e tutte le altre tipologie (devono essere trattate in centri
specializzati).
Clinica
• Secrezione anale: il pz racconta di essere perfettamente continente ma spesso trova gli indumenti sporchi di materiale giallastro simile a
siero o a materiale corpuscolato
• Tumefazione perianale: se vi è solo la fistola, questo segno non sarà presente, ma sarà presente solo il forame esterno; il pz potrebbe
riferire una storia di pregresso ascesso.
• Recidiva: quasi tutte le forme non superficiali, se non trattate chirurgicamente, recidivano.
Diagnosi
• EO:
− Ispezione e palpazione: valutare regione perianale, perineale e coccigea, scrotale, vaginale alla ricerca di uno o più orifizi
perianali, dermatite perianale, pregressa cicatriche chirurgica
− Esplorazione rettale: tumefazione, fibrosi/indurimento, cordone
− Specillazione
− Anoscopia: orifizio interno, gemizio di pus; altre lesioni associate, ragadi, emorroidi, neoplasia
• Anoscopia
• Specillazione da svegli: dolorosa ma tollerabile, il chirurgo entra nella fistola con questa sonda metallica sottile (specillo) per
visualizzarne il decorso
• Ecografia endoanale: se il pz la tollera; nel caso servisse un mdc si utilizza l’acqua ossigenata che, formando bolle all’interno del canale
della fistola, consente di vedere il decorso della stessa
100
Trattamento
Scopi della chirurgia:
− Asportare la fistola: non sempre possibile soprattutto se attraversa lo sfintere nella porzione superiore.
− Preservare la funzione dello sfintere anale
− Prevenire la recidiva
101
ISCHEMIA MESENTERICA
➢ ACUTA
È un’emergenza chirurgica che va assolutamente distinta dall’infarto intestinale massivo (⇒ condizione
irreversibile che spesso porta a morte il pz), in quanto l’ischemia è un processo reversibile se trattata tempestivamente.
Ha però una sintomatologia molto spesso aspecifica ⇛ diagnosi tardiva/difficoltosa favorendo quasi
sempre un’evoluzione ad infarto intestinale.
Non è una patologia frequente: rappresenta circa l'1-2% di tutte le emergenze chirurgiche, più frequente in pz
> 50 anni con fdr cv.
Eziologia
L'ischemia può essere su base:
a) Ostruttiva:
- Arteriosa:
o embolia (40% dei casi, soprattutto in pz con anamnesi positiva per FA, valvulopatia, coronaropatia,
insufficienza cardiaca)
o trombosi acuta su placca da aterosclerosi generalizzata (30%)
o trauma/dissecazione
o arteriti (soprattutto PAN)
A seconda della localizzazione dell’ostruzione si avrà una diversa estensione delle aree di ischemia: situazioni drammatiche si sviluppano
con l’occlusione di più vasi in corrispondenza di quei “punti critici” che non possono sfruttare il flusso proveniente da circoli collaterali
in caso di una loro chiusura (ad es. emboli che ostruiscono sia il tronco principale dell’a. mesenterica superiore che le diramazioni in
anastomosi con i circoli collaterali di compenso).
• Funzionale non ostruttiva (20%): si manifesta in seguito a riduzione della PC, come durante shock
(cardiogeno, settico o emorragico) ⇛ ipoperfusione degli organi splancnici.
In queste situazioni, infatti, il distretto splancnico è il primo ad essere “sacrificato” per inoltrare la volemia carente verso gli organi più
nobili (⇒ encefalo e cuore).
Fisiopatologia
In una prima fase avremo un’ischemia della parte più distale del villo intestinale (ovvero quella più lontana dall’asse vascolare), successivamente
degli strati più interni della parete intestinale ⇛ si ha perdita dei processi di secrezione-assorbimento e immediata caduta della barriera mucosa con
passaggio trans-parietale del contenuto intestinale ⇛ aggressione chimica sugli strati sottostanti da parte del contenuto intestinale endoluminale (che
contiene enzimi digestivi) ⇛ ulteriore lesione intestinale che può portare alla formazione di ulcerazioni, che possono evolvere in necrosi cellulare
fino a causare perforazioni e conseguente peritonite diffusa.
Clinica
Prevede uno sviluppo in tre fasi:
1. I fase (durata circa 2-3 h) ⇒ reazione irritativa intestinale (inizialmente ischemica, poi chimica) con dolore
acuto trafittivo in epi-mesogastrio, frequentemente si associano nausea/vomito e scariche
diarroiche talora ematiche.
In questa fase è fondamentale per la diagnosi clinica la dissociazione tra sintomatologia riferita
dal pz ed obiettività: il pz riferisce un dolore intenso, mentre l’addome è trattabile con
dolorabilità minima o nulla (poiché il dolore è ascrivibile alla all’ischemia e non alla peritonite), la peristalsi è
addirittura accentuata all’auscultazione
2. II // (// fino a 5-6 h) ⇒ il dolore tende a diminuire di intensità, si ha progressiva riduzione della
peristalsi intestinale fino ad un quadro di ileo paralitico
DD con:
- IMA inferiore
- Sindrome aortica acuta
- Ulcera peptica, colecistite, pancreatite acuta, altre cause di addome acuto.
102
Diagnosi
• Nella I fase (⇒ stadio peristaltico), si può rilevare leucocitosi neutrofila e aumento del D-Dimero
in caso di evento trombotico.
• Nella II fase (⇒ ileo paralitico), ulteriore alterazione degli esami di laboratorio, con acidosi
metabolica ⇛ netta negativizzazione del base excess (BE) ed un aumento dei lattati circolanti
(tipici di un quadro di ischemia mesenterica acuta).
• Angio-TC trifasica (con fase arteriosa, parietale e tardiva venosa): rappresenta il gold standard, permettendo di
valutare la pervietà/occlusione dei vasi e lo stato delle pareti intestinali (ad es. anse ispessite che tendono a
diventare edematose).
• Angiografia mesenterica: attualmente più che a scopo diagnostico, viene utilizzata a scopo
terapeutico/interventistico in quei casi in cui, sulla base dei dati TC, il pz possa essere trattato con
migliore beneficio con tecnica endovascolare
• Se la diagnostica strumentale non è dirimente e permane il sospetto clinico, bisogna intervenire con
esplorazione chirurgica diretta per valutare in open le condizioni delle anse intestinali.
Terapia
Deve essere tempestiva per impedire l'instaurarsi di un infarto massivo; qualora questo sia già in corso,
bisogna cercare di limitarne l’espansione.
La terapia di supporto comprende la somministrazione di antibiotici a largo spettro, attivi in particolare contro Gram– e anaerobi, la
stabilizzazione dei parametri emodinamici e la correzione delle alterazioni idroelettrolitiche e dell’EAB spesso associate all’infarto intestinale.
Vi è indicazione all’inizio precoce della terapia eparinica al fine di evitare la progressione dei trombi, eventualmente seguita da terapia anticoagulante
orale a lungo termine.
Nella maggior parte dei casi si opta per la chirurgia open: mira a ripristinare il flusso rimuovendo
l'ostruzione (⇒ mediante embolectomia, tromboendoarteriectomia o bypass) con successiva ricostruzione del
vaso interessato e permette di valutare quanto intestino necrotico eliminare nella resezione.
Il chirurgo poi può scegliere se eseguire subito se eseguire una resezione dei tratti necrotici con
anastomosi tra i due tratti a monte e a valle della resezione oppure se rinviare la decisione ad un second
look a 24-48 h di distanza, finalizzato a valutare la vitalità delle anse intestinali o possibili deiscenze
anastomotiche.
103
➢ CRONICA
È caratterizzata da dolore addominale postprandiale e perdita di peso, con rischio di evoluzione acuta
verso l’infarto intestinale.
È determinata dal cronico ipoafflusso in uno o più settori dell’apparato digerente a causa di lesioni
obliterative nel territorio delle tre arterie splancniche (⇒ tripode celiaco, mesenterica superiore e mesenterica inferiore).
Epidemiologia
Colpisce maggiormente le donne con rapporto F:M = 3:1; l’ipotesi attuale è che le donne presentano vasi di
diametro inferiore.
È una patologia di riscontro non frequente non per assenza di lesioni aterosclerotiche in questo distretto (che
sono invece assai frequenti, almeno il 20% dei soggetti > 65 anni presenta placche aterosclerotiche nelle a.
splancniche), ma per la presenza di importanti circoli collaterali di compenso.
Il 25% dei casi presenta anamnesi positiva per CAD (Coronary Artery Disease) e AOCP (Arteriopatia
Obliterante Cronica Periferica).
Eziologia
L'aterosclerosi è la prima causa (90%).
Per il restante 10% le cause sono attribuibili a displasia fibromuscolare, malperfusione secondaria a coartazione aortica o dissezione aortica, vasculiti,
neurofibromatosi di tipo I, sindrome da compressione del legamento arcuato.
Generalmente sono coinvolti almeno due dei tre grossi vasi dell’intestino (in quanto solo in quest’ultima condizione vengono meno i meccanismi di
compenso operati dai circoli collaterali).
Infine, sempre di tipo ischemico è l’eziologia a partenza dal versante venoso del circolo splancnico (particolarmente a carico della v. mesenterica
superiore e del tronco mesenterico-portale): si tratta di forme rare, in genere secondarie a patologie primitive predominanti che vedono l’IMC solo
come loro epifenomeno, con trombosi venosa conseguente a sindromi paraneoplastiche, complicanza di pancreatite acuta, cirrosi e ipertensione
portale.
Clinica
Si presenta con dolore crampiforme colico, in zona epigastrica e talora con irradiazione dorsale.
Insorge tipicamente dopo 15-30 minuti dal pasto, per poi recedere dopo alcune ore (⇒ angina abdominis).
Si ha diversa modalità di insorgenza del dolore in relazione ai diversi alimenti, perché alcuni alimenti richiedono maggior impegno dal punto di vista
catabolico e dell'assorbimento.
Nel tempo il pz può manifestare un angoscioso rifiuto del pasto e tossicodipendenza da analgesici, oltre ad
alterazioni dell'alvo con diarrea da malassorbimento ⇛ rapida perdita di peso in pochi mesi.
Diagnosi
In prima istanza bisogna escludere le patologie addominali più frequenti, successivamente si devono
svolgere accertamenti per una conferma diagnostica ⇒ Ecocolordoppler e Angio-TC (gold standard).
Terapia
Ha come target un’adeguata rivascolarizzazione, mediante chirurgia endovascolare o chirurgia open, con
endoarterectomia, costruzione di bypass protesici (dall’alto dall’aorta sovraceliaca verso i vasi viscerali o dal basso dai circoli
collaterali) e reimpianti diretti di vasi sezionati a valle dell'ostruzione sull'aorta o su vasi accessori.
Nel caso della sindrome da compressione del legamento arcuato si può procedere mediante sezione del legamento arcuato in open o in laparoscopia.
Outcomes:
• la pervietà dei vasi dopo chirurgia endovascolare è presente nel 30% dei casi a tre anni
• // open // nell'80% dei casi a tre anni.
104
ANEURISMA
Dilatazione patologica, permanente e localizzata, dei vasi arteriosi (o più raramente venosi), con diametro ≥
150% rispetto alle dimensioni fisiologiche, con interruzione dei costituenti elastici e/o muscolari della
parete.
Morfologia aneurismi:
- Cirsoideo ⇒ allungamento del vaso e andamento serpiginoso dello stesso
- Sacciforme ⇒ sfondamento unilaterale a bolla
- Fusiforme ⇒ dilatazione uniforme del vaso
- Navicolare
- Blister: piccole estroflessioni in corrispondenza della parete aneurismatica.
L’aneurisma prende rapporti con la parete vascolare sana a monte e a valle ⇒ questi due limiti prendono il nome di “colletti”,
entro i quali si ha un cedimento di tutte le tonache vasali (anche se principalmente dell’intima e media), dovuta a:
• Perdita della forza tensile (o resistenza alla trazione)
• Aumento pressorio intravasale
• Pseudo-aneurisma: definito anche “falso aneurisma”, consiste in un ematoma pulsante perivasale formatosi attorno la perforazione a
tutto spessore di un vaso, senza una parete vascolare propria, ma con la sola presenza di una capsula reattiva di tessuto connettivale.
Le cause della perforazione possono essere traumatiche, infettive, ma anche iatrogene da procedure endovascolari (⇒ ad es. nel sito di
ingresso del catetere quando la rimozione dello stesso non è attenta oppure se non si esercita una compressione diretta al termine
dell’angiografia).
Storia naturale
Prevede un aumento costante del diametro dell’aneurisma fino alla sua fissurazione (⇒ passaggio di
sangue tra le tonache), per arrivare infine alla rottura del vaso nel caso in cui si perfori l’avventizia.
La legge che spiega tale comportamento è quella di La-Place → T = P · r , dove
T = tensione superficiale, P = pressione interna e r = raggio vasale.
Dal momento in cui si forma l’aneurisma (⇒ aumento di r), aumenta anche la tensione esercitata sulle pareti; inevitabilmente ciò porta a un continuo
espandersi dell’aneurisma fino alla rottura.
La patologia aneurismatica interessa principalmente il distretto arterioso e più raramente quello venoso: questo perché il flusso sanguigno è molto
più turbolento nelle arterie che nelle vene e le P sono più alte.
105
ANEURISMA dell’AORTA ADDOMINALE (AAA)
È definito sulla base del diametro del vaso:
• diametro aortico ≥ 3 cm
oppure
• diametro di aorta sottorenale ≥ 1,5 volte il normale diametro in quella stessa sede (tale definizione
permette di compensare le variazioni di diametro individuali).
Epidemiologia
È una patologia frequente, con prevalenza ≅ 10% nei M tra i 60-
70 anni ed è correlata all’invecchiamento della popolazione, perciò
negli ultimi anni la sua incidenza sta aumentando.
Ha mortalità ≅ 85% in caso di rottura, in particolare 50% circa dei pz muore prima dell’arrivo dei
soccorsi.
Considerando il diametro normale nei M= 14-21mm e nelle F = 12-19mm, gli AAA sono classificati in base
al loro diametro in:
• Piccoli ⇒ 4-5 cm
• Medi ⇒ 5-6 cm
• Grandi ⇒ > 6 cm
Il rischio relativo di rottura (⇒ AAA rotti/AAA totali) in un anno è molto più alto per aneurismi grandi: si
osserva un andamento esponenziale proprio a partire dai 5,5 cm di diametro:
106
Eziologia
• Processo degenerativo associato all’aterosclerosi: è la causa più frequente (circa nel 95% dei casi),
soprattutto a livello dell’aorta toracica discendente e addominale.
Fdr associati:
− Fdr cv
− Sesso M ed età avanzata (> 60 anni)
− Storia familiare e predisposizione poligenetica
• // “Infiammatori”: si sviluppano con maggiore frequenza a un’età media inferiore rispetto alle forme degenerative aterosclerotiche: è
sempre presente l’aterosclerosi però si associa a una spiccata componente flogistica
• // “Micotici”: intesi come eventi di arterite (aortite) insorti per colonizzazione parietale generalmente batterica (⇒ soprattutto cocchi, ma
anche genere Salmonella), più raramente fungina, che si manifesta con batteriemie o sepsi: i germi attecchiscono su pareti già inizialmente
lesionate, provocandone ulteriormente la degenerazione di parete
Clinica
➢ Aneurisma Quiescente: nel 95% dei casi è totalmente asintomatico.
Nel 5% dei casi si hanno segni/sintomi aspecifici:
− Dolore: localizzato all’addome, al fianco o posteriormente a livello lombare, per via della
compressione/erosione sulle strutture adiacenti
− Embolie periferiche ⇛ PAD acuta degli arti inferiori, ischemia mesenterica o renale
− Idronefrosi (dilatazione del bacinetto originata da un ostacolo al deflusso dell'urina)
➢ // Fissurato: ha come sintomo più frequente un dolore sordo improvviso a livello addominale
profondo o lombare ⇒ DD con la colica renale.
➢ // Rotto: oltre al dolore molto più accentuato, determinerà manifestazioni associate allo shock
ipovolemico emorragico (⇒ pallore da anemizzazione, sudorazione profusa, tachicardia e
tachipnea, astenia/capogiri fino alla sincope da ipotensione) e all’emorragia stessa (⇛ ematoma,
con massa pulsante in addome).
In particolare, se si rompe:
− In retro-peritoneo (situazione più frequente): i sintomi insorgono più lentamente a causa del tamponamento parziale del grasso
retroperitoneale.
Si ha dolore tipicamente lombare o al fianco (talora irradiata anteriormente alla regione inguinale), che si associa alla
formazione progressiva ematoma retroperitoneale (visibile all’esterno)
− Nella cavità peritoneale: evoluzione molto rapida, con dolore improvviso a pugnalata profondo, peritonismo e shock
emorragico; quasi la totalità di questi pz muoiono
− In strutture adiacenti (raramente): l’AAA, continuando a crescere può entrare in contatto con strutture anatomiche circostanti,
instaurando una flogosi cronica di parete che predispone alla perforazione-fistolizzazione con la struttura interessata.
Possono rompersi riversando il flusso sanguigno:
o nell’intestino (⇒ principalmente III/IV porzione duodenale in quanto retroperitoneale ma anche nel tenue o colon)
⇛ emorragie digestive massive, ematemesi, melena da fistole aorto-duodenali/enteriche
o nella v. cava inferiore (fistola aorto-cavale) ⇛ ipertensione venosa acuta nel distretto pelvico e degli arti inferiori
che si manifesta con edema, cianosi, turgore delle vene sottocutanee…
L’aumento del precarico indotto dalla fistola arterovenosa può portare allo SC acuto
107
Diagnosi
Avviene in due situazioni:
• In seguito a fissurazione/rottura ⇛ è necessario intervenire in urgenza/emergenza
• Aneurisma quiescente: è asintomatico, perciò la diagnosi è spesso incidentale; occorre poi decidere
se intervenire chirurgicamente in elezione oppure in maniera conservativa (⇒ monitoraggio + terapia
medica).
• Angio-TC (con mdc): si esegue solo dopo l’eco e in caso di dubbio se sottoporre il pz a intervento
chirurgico in elezione.
In ogni caso, nel pz candidato ad intervento chirurgico rappresenta la tecnica di scelta in quanto in
grado di fornire le informazioni necessarie al planning operatorio.
La diagnosi strumentale quindi, oltre che una conferma del sospetto clinico, fornisce informazioni su diametro-morfologia
dell’aneurisma, su eventuali alterazioni vascolari associate (⇒ viscerali o degli arti inferiori) e sui colletti (⇒ limiti) prossimale e
distale.
In base alla localizzazione di questi, gli AAA possono poi essere suddivisi in:
- AAA sovra/para-renali: interessano completamente almeno un’a.
renale; se interessano anche un’arteria del circolo mesenterico
- // Iuxta-renali: arrivano fino all’ostio dell’a. renale
- // Sotto-renali: caratterizzati dalla presenza di un colletto prossimale di
almeno 1 cm tra l’aneurisma propriamente detto e l’arteria renale più
bassa, sono la maggior parte (80%), in quanto l’istologia (più ricca di
collagene e meno di elastina) di questo tratto di aorta ne favorisce la
formazione.
Non infrequentemente, la patologia aneurismatica addominale si presenta multilivello → in quasi il 40% dei casi, l’aneurisma addominale
coinvolge la biforcazione (“carrefour”) aorto-bisiliaca oppure si estende a coinvolgere uno o entrambi gli assi iliaci (iliaca comune e
ipogastrica più frequentemente); nel 12% dei casi si associano ad aneurismi dell’aorta toracica.
108
Terapia
Innanzitutto, le linee guida comunque raccomandano nel pz con AAA (⇒ che è da considerarsi arteriopatico
polidistrettuale) una terapia medica di associazione fra:
- Abolizione dei fdr cv (soprattutto del fumo)
- Antiaggregante piastrinico (salvo specifiche controindicazioni), per ridurre le complicanze
associate alla trombosi parietale
- Terapia per IA e dislipidemia.
Tale terapia svolge sicuramente un ruolo nella stabilizzazione/rallentamento della crescita ed è indicata sia in prevenzione sia nel pre/post-operatorio.
Approccio chirurgico
Indicazioni intervento chirurgico di riparazione in elezione:
• In caso di AAA fusiforme di calibro ≥ 5,5 cm e/o aneurisma iliaco ≥ 3 cm
• // di calibro 5 – 5,4 cm se pz di sesso F, in assenza di alto rischio procedurale
• // di calibro 4 – 4,9 cm in caso di rapido incremento di calibro (⇒ crescita annua > 0,5 cm)
• La tipologia sacciforme può comportare l’indicazione anche con calibri inferiori, da valutare caso
per caso
Metodiche d’intervento:
a) Chirurgia Open ⇒ Sostituzione protesica del tratto aortico aneurismatico in laparotomia
109
Questo è un intervento di alta chirurgia, in cui l’organismo viene sottoposto a un traumatismo chirurgico maggiore dal momento che:
- l’incisura è estesa → da qualche dito sotto l’apofisi sternale fino a sotto l’ombelico o con incisioni trasversali piuttosto ampie
- si devono manipolare visceri addominali per accedere al retroperitoneo
- durante tutto il processo si interrompe il flusso dell’aorta verso gli arti inferiori e si sovraccarica di flusso invece il rene
- inoltre nel momento in cui si clampa l’arteria, si ha un notevole aumento del post-carico, così come si ha una notevole diminuzione del post-
carico dopo declampaggio ⇛ si ha un notevole stress cardiaco (⇒ “ginnastica coronarica”)
Per tutti questi motivi, ad esclusione dell’intervento svolto in emergenza per rottura dell’aneurisma, negli altri casi è necessario valutare con
accuratezza rischi e benefici:
Complicanze:
• IMA: rappresenta la prima causa di mortalità in corso di chirurgia open, per i continui squilibri emodinamici
• Colite ischemica: per via dell’origine sottorenale dell’a. mesenterica inferiore, quando il circolo collaterale non è adeguatamente
sviluppato ⇛ è necessario valutare, quindi, se si può rimuovere l’a. mesenterica inferiore.
In realtà in gran parte dei pz (75%) l’a. mesenterica inferiore è già occlusa cronicamente al momento dell’intervento ⇛ l’eliminazione
dell’a. mesenterica inferiore nella sua totalità non determinerà alcuna alterazione.
Il problema si pone quindi quando l’a. mesenterica inferiore è ancora pervia ⇛ è necessario valutare la situazione in fase intra-operatoria
da parte del chirurgo: si chiude momentaneamente l’a. mesenterica inferiore e si valuta se si ha un buon flusso per via reflua, che indica la
presenza di collaterali funzionanti; se questo non si verifica è necessario reimpiantare l’a. mesenterica inferiore.
• Impotentia Erigendi: conseguenza dell’asportazione delle a. ipogastriche, oltre alla sostituzione dell’aorta delle iliache comuni (in caso di
lesione molto estesa).
È comunque una complicanza molto rara in quanto è buona norma preservare almeno una delle due a. ipogastriche.
• Infezione aorto-protesica: complicanza molto rara (< 0,5-2%), che però comporta morbidità e mortalità elevatissime.
Complessivamente, nei centri di chirurgia addominale l’intervento open comporta una mortalità < 3% (⇒ nella chirurgia moderna si parla di rischio
chirurgico significativo con tassi di mortalità operatoria del 3-5%).
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b) Chirurgia Endovascolare ⇒ Esclusione endoprotesica
del tratto di aorta aneurismatica attraverso tecnica
EVAR (Endo Vascular Aortic
Repair/Reconstruction)
Complicanze:
• L’endoprotesi esclude l’aneurisma dal circolo, ma lo lascia in sede ⇛ è
necessario effettuare uno stretto follow up, poiché se l’endoprotesi
dovesse smettere di funzionare/rompersi, il sangue tornerebbe a
riperfondere l’aneurisma ⇛ rischio di rottura.
Il follow-up in caso di esclusione endovascolare prevede 1-2 valutazioni
ecografiche all’anno: se l’aneurisma riduce man mano le proprie
dimensioni significa che l’esclusione funziona; se invece questo rimane
uguale/aumenta di dimensioni è necessario intervenire nuovamente
È evidente come i due interventi hanno rischi e benefici differenti che sarà opportuno valutare caso per
caso:
• Da un lato, con la chirurgia open, si ha un maxi-intervento con grande traumatismo; una volta
effettuato l’intervento però il pz può essere considerato pressochè “guarito” (⇒ chirurgia definitiva)
Nell’immediato (a 30 giorni dall’intervento) i rischi dell’EVAR sono nettamente inferiori rispetto alla chirurgia open; guardando però la
sopravvivenza a lungo termine non si nota nessun vantaggio dell’EVAR già a tre anni dopo l’intervento.
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PATOLOGIA ARTERIOSA PERIFERICA
Raggruppa una serie di patologie cv non-coronariche, causate dall’alterata struttura e funzione delle arterie
che riforniscono di sangue:
• Arti inferiori
• Distretto sovra-aortico
• Arterie viscerali.
PAD ACUTA
Rappresenta un’emergenza chirurgica per il rischio di evoluzione da una situazione reversibile (⇒
ischemia acuta, ovvero un’improvvisa riduzione del flusso arterioso tale da non soddisfare le normali
richieste metaboliche dei tessuti) verso una irreversibile (⇒ infarto, ovvero necrosi tissutale).
Epidemiologia
L’incidenza dell’ischemia acuta varia, a seconda dei criteri di inclusione, tra i 3,7 e i 16 pz ogni 100.000 ab. La fascia di età più colpita è quella degli
ultranovantenni (180 casi ogni 100.000 persone) ma, essendo molteplici le cause, possono essere colpiti pz di tutte le età.
Nonostante il progresso delle procedure chirurgiche e delle terapie peri- e postoperatorie, la percentuale di amputazione è del 10-15%, mentre la
mortalità si attesta al 10-20%.
Tali valori non sono da mettere solo in relazione al quadro ischemico, specie nei casi più severi gravati dall’insorgenza di deficit sensitivo-motorio
(ischemia acuta totale), ma anche alle condizioni generali spesso molto compromesse dei pz.
Ezio-patogenesi
Vede alla base tre meccanismi fisiopatologici in grado di portare ad un’occlusione con interruzione acuta
dell’afflusso di sangue:
• Traumatismo diretto (ad es. incidenti che causano rotture-schiacciamenti di vasi arteriosi)
• Embolia
Consiste nell’improvvisa occlusione di un vaso determinata dal trasporto a livello del circolo
ematico di materiale che deriva da placche aterosclerotiche o trombi (talora anche materiale di
natura lipidica come in seguito a frattura ossea, gassosa, settica e neoplastica), che trascinato dalla
corrente può ostruire il lume di un vaso, con diametro inferiore rispetto a quello dell’embolo
stesso.
Queste occlusioni comportano una stasi ematica a monte e a valle, con propagazione della
trombosi ascendente o discendente.
In genere è assente una storia di precedente arteriopatia cronica: i polsi periferici sono presenti
nell’arto controlaterale.
La costituzione e le dimensioni dell’embolo possono essere variabili → in caso di microemboli (0,02-1 mm), si possono verificare
occlusioni arteriose estremamente periferiche che danno luogo a un quadro clinico denominato trash foot syndrome o blu toe syndrome,
caratterizzato dalla comparsa di aree cianotiche o gangrene distali in presenza di polsi periferici validi.
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• Trombosi:
− Su arterie sane (rare): da policitemia, difetti della coagulazione, sindromi da bassa gittata, compressioni estrinseche
(soprattutto a livello dell’a. poplitea)
− su placca aterosclerotica: si fissura spontaneamente o in seguito a procedure esterne (ad es. cateterismo).
Anche in questo caso il distretto più colpito è quello femoro-popliteo.
In genere è nota un’arteriopatia pregressa, spesso con assenza dei polsi periferici nell’arto controlaterale.
Un episodio acuto è comunque meno grave in un pz con PAD cronica perché sono già funzionanti dei circoli collaterali di
compenso.
Clinica
Si caratterizza per la presenza di un corteo di sei segni/sintomi riassunti nelle 6 P di Pratt:
1. Pain ⇒ pz asintomatico che improvvisamente lamenta un dolore simile al crampo, ingravescente e
che non recede
4. Pallor
6. Paralysis ⇒ successivamente alle parestesie si manifesta difficoltà a muovere le dita o tutto l’arto,
fino alla paralisi.
Le PAD acute devono essere individuate e trattate immediatamente perché potrebbero comportare
un’ischemia tissutale estesa ⇛ accumulo e immissione in circolo di metaboliti tossici ⇛ compromissione
multiorgano.
Richiedono ospedalizzazione in urgenza.
Diagnosi
• Anamnesi ed EO
• Esami ematochimici:
− Per valutare la gravità dell’ischemia in termini di sofferenza delle masse muscolari si possono dosare CK, kaliemia e LDH
− Nel postoperatorio, in pz con sospetti stati di ipercoagulabilità andranno indagati Ab anticardiolipine, Ab anti-complesso PF4
(fattore piastrinico 4)/eparina e i valori dell’omocisteina.
• Eco-color-Doppler: è utile nella valutazione di un limitato distretto arterioso, ma è una metodica inadatta per documentare l’intero
distretto arterioso periferico.
Mediante tale esame è possibile valutare la sede dell’ostruzione e la presenza di circoli collaterali. Può fornire indicazioni in caso di
sospetto aneurisma aortico o popliteo trombizzato.
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• Angio-TC: è diventato l’esame di riferimento nella diagnosi dell’ischemia acuta.
• Angiografia: un tempo considerata il gold standard nella valutazione dell’ischemia acuta, ha attualmente assunto un ruolo
prettamente terapeutico mediante l’introduzione del trattamento trombolitico.
Terapia
▪ Eseguita la diagnosi è necessario instaurare precocemente una terapia anticoagulante mediante
eparina non frazionata per ev o LMWH per sc al fine di prevenire propagazioni trombotiche ed
eventuali ulteriori embolizzazioni
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PAD CRONICA
È quasi sempre a lenta evoluzione, rappresentando un campanello d’allarme per elevato rischio cv.
Si caratterizza per la presenza di una o più stenosi/occlusioni complete dell’albero arterioso, quasi sempre a
carico degli arti inferiori, che sviluppandosi lentamente permettono lo sviluppo di circoli collaterali di
compenso all’ostruzione.
Il risultato può essere una perfusione:
- Sufficiente: con sintomatologia eventualmente solo sotto sforzo
- Insufficiente: // evidente sia sotto sforzo che a riposo.
Epidemiologia
Ha prevalenza molto alta: aumenta progressivamente con l’età a partire dai 50 anni (più frequente nei M), fino ad arrivare al 20% in entrambi i sessi
con età > 75 anni.
Eziologia
• Aterosclerosi: è la principale responsabile nel mondo occidentale; insieme al DM e all’IRC copre il
95% delle cause.
Bisogna tener presente che l’aterosclerosi è una malattia sistemica, anche se in dato momento la malattia può essere evidente
clinicamente in un solo distretto specifico, soprattutto a livello delle a. carotidi, coronarie e a. degli arti inferiori.
L’accrescimento delle placche aterosclerotiche produce stenosi diffuse in tutto l’albero arterioso: di solito, nel tempo, queste diffuse
placche ateromasiche possono rendersi clinicamente manifeste se raggiungono un grado di stenosi superiore al 70% (stenosi emodinamica)
o se sono la causa di un’occlusione che sopraggiunge per trombosi.
L’arteria femorale superficiale e l’aorta sono le sedi più frequenti nella malattia ateromasica e le arterie tibiali in quella diabetica.
Clinica
Si caratterizza fondamentalmente per la claudicatio intermittens, un dolore crampiforme a carico degli
arti inferiori che si sviluppa durante la marcia ai muscoli distali e che evolve in senso caudo-craniale; tende
a regredire all’interruzione della marcia nel giro di qualche minuto (⇒ tempo di recupero).
La localizzazione del dolore della claudicatio permette di determinare il livello della lesione steno-ostruttiva:
- terzo inferiore della gamba e piede ⇒ ostruzione dei tronchi arteriosi della gamba
- m. del polpaccio ⇒ a. femorale superficiale
- m. della coscia e muscoli glutei ⇒ ostruzioni aorto-iliache.
L’ostruzione cronica della biforcazione aortica configura la sindrome di Leriche, caratterizzata, oltre che dalla claudicatio di coscia e glutea, da
disfunzione erettile dovuta all’ipoperfusione del circolo ipogastrico.
La classificazione di Leriche-Fontaine aiuta a catalogare il pz con ischemia degli arti inferiori e a definire
un successivo approccio terapeutico:
115
3 Dolore ischemico a 3a: dolore saltuario, soprattutto notturno in
riposo clinostatismo
Diagnosi
• Anamnesi (in particolare per fdr cv) ed EO:
- Ispezione:
o lesioni trofiche evidenti (come ulcere secche e dita necrotiche)
o ipotrofia muscolare
o cute pallida e secca
o rarefazione dei peli e distrofie ungueali
o perdita di sensibilità (test effettuato con uno spillo)
- Palpazione:
o Ricerca dei polsi periferici
o Termotatto: eventuale cute fredda
116
• Eco-color-doppler: metodica di I livello.
Permette una visualizzazione delle arterie con una valutazione morfologica della parete in modo tale da accertare lo sviluppo della
patologia nelle tre tuniche (intima, media e avventizia) e anche di valutare la meccanica del flusso ematico e le sedi di aliasing, ovvero di
turbolenza, apprezzabili a livello di una stenosi.
I limiti di questa tecnologia stanno nell’insonorizzazione delle arterie molto calcifiche, degli arti edematosi e nella dipendenza da
operatore.
• Angiografia a sottrazione digitale: va considerata una metodica procedurale di II livello, con finalità
propedeutica ad un eventuale trattamento endovascolare.
Essendo una metodica cruenta non è scevra di rischi; le complicanze sono legate alle manovre di accesso percutaneo, quali l’ematoma
nella sede di puntura, la fistola artero-venosa se si pungono contemporaneamente i vasi, o lo pseudoaneurisma rifornito dal foro arterioso.
Inoltre il cateterismo può essere causa di dissecazione e di tromboembolismi.
Altri aspetti critici sono la nefrotossicità e l’allergenicità legate al mdc iodato.
• Angio-TC ed Angio-RM: metodiche non invasive di II livello che possono sostituire l’angiografia.
In particolare, l’angio-RM, per i costi e la disponibilità sul territorio, va considerata esclusivamente nei pz con intolleranza al mezzo di
contrasto iodato utilizzato in ASD e angio-TC.
Terapia
a) Lo stadio II a è lo stadio in cui più frequentemente i pz si recano dal medico per la prima volta.
In questo stadio è raccomandata una terapia medica per correzione dei fdr cv:
▪ Intervento sullo stile di vita, in particolare con esercizio fisico.
Rappresenta lo stimolo fisiologico più importante al potenziamento dei circoli collaterali.
Deve essere fatto 2 volte al giorno, in maniera costante per almeno 30 min.
b) In caso di stadio IIb-III-IV è necessaria una terapia più aggressiva, perché la Critical Limb Ischemia
si associa ad un elevato rischio di perdita totale dell’arto e conseguente amputazione ⇛
rivascolarizzazione mediante:
117
TRAUMA
POLITRAUMA: coinvolge più distretti del corpo, con compromissione attuale o potenziale delle funzioni vitali del soggetto
TRAUMA MAGGIORE: pone a rischio di vita il pz, identificato sulla valutazione di determinati parametri, basati su:
• Funzioni vitali: un criterio fra:
− GCS <13
− PAS < 90mmHg
− Frequenza respiratoria <10 o >19
• Dinamica dell’evento: comporta un’altissima energia cinetica che si scatena sul soggetto.
Queste dinamiche possono essere:
− Caduta da più di 5m
− Pedone sbalzato a 3m
− Deformazione lamiere veicolo > 50cm
− Intrusione lamiere nell’abitacolo > 30cm
− Precipitazione veicolo da 3m
− Cappottamento
− Occupante veicolo proiettato all’esterno
− Pz deceduto o che necessita di una lunga estrazione nello stesso veicolo
• Informazioni anamnestiche: bambini, donne in gravidanza, pz in TAO, portatori di handicap, possibile malore, stati epilettici, malattie
cardiorespiratorie.
• Morti tardive: a distanza di settimane dal trauma, legate a complicanze, come sepsi e MOF.
La golden hour è il principio per cui nel giro di 1 ora dobbiamo portare il pz nell’ospedale migliore, con il presidio giusto per fare una diagnosi delle
lesioni pericolose per la vita.
In questo caso, se cominciamo a trattarle, abbiamo elevate probabilità di sopravvivenza.
Le cause evitabili di morte sono:
• Ostruzione vie aeree (40%)
• Emorragia (25%)
• Mobilizzazione non corretta: provoca il 50% dei deficit neurologici.
Questo è molto importante in quanto dopo il trauma si ha l’attivazione massiva del sistema adrenergico, con liberazione di grandi
quantità di adrenalina, che è il più potente analgesico.
Un rachide fratturato può non fare male, il pz non sente nessun dolore per ore, a volte il soggetto può rialzarsi dopo essere stato sbalzato
per 10 metri e camminare per un breve tragitto morendo poi improvvisamente (magari per rottura dell’aorta).
Per questo è molto importante non mobilizzare il pz dopo un trauma.
118
MANAGEMENT del trauma maggiore
Si suddivide in due punti fondamentali:
Importante in questa fase è non iperestendere il collo, perché potrebbe rendere completa una sublussazione del rachide e quindi dare una
tetraparesi potenziale.
• inserimento di cannula orofaringea di Guedel: inserita a curvatura inizialmente verso il palato duro e a seguito girata a livello
orofaringeo.
2) BREATHING
Si utilizzano i normali procedimenti semeiotici rappresentati da ispezione, palpazione, percussione e auscultazione, accompagnati da
saturimetro, frequenza respiratoria e colore cutaneo.
3) C: CIRCULATION
L’emorragia è una delle cause più importanti di morte post traumatica ed è suddivisa in:
• Esterna: con fuoriuscita evidente di sangue
• Interna: localizzata a livello dei visceri.
In Italia in PS la maggior parte dei casi è data da emorragie interne e quindi da trauma chiuso; ciò può essere dato da rottura epatica,
splenica, di un grosso vaso che decorre in un arto o frattura di bacino.
Occorre valutare:
• FC: ricordandosi che il bambino diventa tachicardico prima di diventare ipoteso così come il giovane adulto, pertanto trattiamo la
tachicardia come segno di perdita ematica (a meno che non sia associata a dolore)
• PA
• Stato confusionale
• colorito cutaneo
• tempo di riempimento capillare
• polso radiale: non apprezzabile < 80mmHg
• emorragie esterne visibili: prevedono come ultimo mezzo di arresto l’utilizzo di laccio emostatico dopo fallimento di compressione
manuale e fasciatura compressiva, ricordandosi di metterlo sul segmento prossimale dell’arto (mai dove sono presenti due ossa perché
tengono distante la parte nel mezzo) e di cronometrare il tempo di ischemia dell’arto distale annotando data e ora (importante dato per la
riperfusione successiva).
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Importante è ricordarsi la perdita emorragica legata a fratture e alle cavità:
• pleura e peritoneo: più significative, possono accumulare grandi quantità di liquidi con conseguente emotorace ed emoperitoneo
• pericardio: in questo caso si muore per tamponamento non per perdita emorragica
• cranio: ricordando che per quest’ultima vanno in ipovolemia solo i bambini, un bambino può morire per ematoma subdurale perché il
volume encefalico rispetto al volume circolante è maggiore (nell’uomo adulto questo non si verifica)
La quantità di sangue che circola all’interno di un individuo adulto equivale al 7% del peso corporeo: ad es. un pz che pesa 90 kg ha 6,3 litri
di sangue circolante.
La condizione di shock si verifica a perdita di almeno un terzo del volume totale; fino a tal valore la perdita ematica viene tollerata con
reazioni di compenso come la tachicardia che permette di mantenere la perfusione degli organi vitali.
La perdita di tale quantità ematica non è un fatto assolutamente raro: con la frattura di femore e bacino si perdono rispettivamente 1,5 litri e 2
litri.
4) D: DISABILITY
Prevede una valutazione di:
• Glasgow Coma Scale
• Simmetria dei riflessi pupillari
• Mobilità degli arti e sensibilità degli stessi: valutazione possibile solo nel pz collaborante, deve essere fatta prima della sedazione e
dell’intubazione; è un punto estremamente importante, può salvare le condizioni degli arti se prese in tempo.
5) E: EXPOSURE
Si devono prevenire condizioni come l’ipotermia, fa parte di uno degli elementi che possono condurre il pz a MOF, altera di fatto la
coagulazione e i suoi fattori.
Valuto il pz dalla testa ai piedi non scordando due punti anatomici fondamentali che sono rappresentati dal dorso (potrebbe essere non
analizzato per timore di muovere il rachide cervicale) e dai genitali.
B) VALUTAZIONE SECONDARIA
Una volta terminata la valutazione primaria, il pz può in determinati casi finire in sala operatoria e quindi non necessitare più della secondary survey,
oppure si deve procedere con la valutazione secondaria.
Importante come prima fase è analizzare il meccanismo di lesione: si deve correlare infatti quello che è successo a quelle che sono le lesioni
presentate.
❖ Posizionamento tubi:
• SNG: serve per andare a vuotare il contenuto dello stomaco, con delle accortezze: non va messo in caso di lesioni del massiccio facciale o
lesione della base cranica.
In determinati casi può essere posto anche tramite cavo orale per evitare la problematica, è ovviamente meno tollerato dal pz soprattutto se
cosciente
• Catetere: anche esso con delle limitazioni nell’utilizzo in caso di trauma uretrale o frattura del bacino.
In questi casi è meglio aspettare l’urologo e valutare tramite TC il percorso migliore, può essere preso in considerazione il drenaggio
sovrapubico.
❖ Indagini diagnostiche
Oggigiorno l’iter si è leggermente modificato con l’introduzione della FAST come metodo di screening primario, che permette di valutare
complicanze come:
• Versamenti peritoneali: in questo caso il pz va portato immediatamente in sala operatoria, non ha il tempo di effettuare altre analisi
come TC.
• Versamento pericardico con annessa valutazione della motilità cardiaca
• Analisi del riempimento volemico più o meno adeguato nelle camere, tramite valutazione delle vene cave (sospetto emorragia in caso di
una cava completamente vuota)
• Pneumotorace
• Emotorace
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Il gold standard del pz politraumatizzato rimane comunque la TC Total Body (cranio senza mdc, torace e addome): nel giro di pochi minuti
infatti chiarisce l’entità delle lesioni principali e permette di avere un piano chirurgico d’azione, ponendo priorità su dove andare a intervenire.
Non sempre il pz ha il tempo e le condizioni di poter effettuare una TC pre-operatoria, in molti casi viene effettuata nel post chirurgico poiché la
Primary Survey e l’Ecofast hanno evidenziato l’instabilità del pz e la necessità di intervenire tempestivamente.
❖ A.M.P.L.E.
Questa sigla anglosassone permette di raccogliere la storia del pz, che può essere utile nel percorso di trattamento:
• Allergie a farmaci o sostanze
• Last Lunch (ultimo pasto): lo stomaco si vuota normalmente in 2 o 3h, ma interrompe completamente la sua attività di fronte ad uno
stress adrenergico ⇛ a seguito di un trauma maggiore viene a perdersi completamente l’attività peristaltica e sapere se lo stomaco contiene
materiale o meno influenza la scelta operatoria: avere uno stomaco pieno, durante le fasi di intubazione e di sedazione, potrebbe far sì che
ci sia aspirazione di materiale nelle vie aeree o vomito durante operazione
• Eventi dinamici del trauma (dinamiche analizzate precedentemente): è importante in questi casi analizzare la presenza di corpi estranei
che non devono essere rimossi durante il tragitto in PS e le eventuali traiettorie intracorporee.
Nella valutazione secondaria è importante inoltre l’analisi dei tossicologici, effettuata in maniera sistematica.
Ad ognuna di queste 9 regioni viene assegnata una gravità del trauma che va da 1 a 6 (1=lieve, 6=non compatibile con la vita, non salvabile).
Esempi per l’arto inferiore:
− 1 = contusione
− 2 = frattura di tibia, rotula calcagno, lacerazione di tendini, frattura di femore
− 3 = frattura di pelvi
− 4 = frattura con apertura della pelvi
− 5 = deformazione importante.
Nel caso degli arti per definizione non è attribuibile un punteggio di 6, quindi di non compatibilità con la vita.
In altri casi è un punteggio ascrivibile a situazioni estremamente gravi come l’avulsione epatica per l’addome, lo schiacciamento completo del
torace e la rottura di cuore.
L’ISS (Injury Severity Score) viene invece valutato prendendo i tre settori con AIS più grave, si elevano al quadrato i rispettivi punteggi e si
sommano: ad es. ipotizziamo che il pz abbia una frattura di femore (AIS 2), rottura di milza (AIS 3) e contusione cerebrale (AIS 1).
Il punteggio definitivo sarà quindi 4 + 9 + 1= 15.
Per essere definito trauma maggiore deve avere un punteggio di almeno 15 e l’unico fattore che cambia il punteggio è un eventuale presenza di
6, in questo unico caso il punteggio ISS è direttamente 75 per definizione ed è morte certa del pz.
Per avere un’idea indicativamente riguardo al significato di questo punteggio, si valuta un diagramma morti-vivi dove al di sotto di 31 di
punteggio i pz sopravvivono, mentre tutti quelli al di sopra sono morti: la correlazione punteggio prognosi è quindi strettissima.
❖ Terapia farmacologica
Si basa essenzialmente su tre aspetti fondamentali:
• Riempimento volemico con trasfusione massiva: è fondamentale somministrare globuli rossi e plasma ricco di fattori coagulativi
• Utilizzo sistematico del Tranex: è stato dimostrato un effetto anti-emorragico con utilizzo continuativo dell’acido tranexamico
• Antibiotico: qualsiasi lesione può essere una potenziale entrata di germi, l’antibiotico precoce previene le complicanze infettive (ad es.
Unasyn/ampicillina-sulbactam 3g somministrati in acuto).
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TRAUMA EPATICO
Rappresenta la seconda lesione traumatica più frequente (dopo il trauma splenico) in caso di trauma addominale, che è distinto in:
a) trauma aperto: per definizione porta il pz direttamente in sala operatoria
b) trauma chiuso (più frequente): richiede dapprima una valutazione della stabilità emodinamica.
Oggi tutti i pz che arrivano in PS per trauma vengono sottoposti a eco-FAST, che ha un eccellente valore predittivo negativo (98%): quando infatti
è negativa permette di escludere con certezza un versamento intraperitoneale e/o una lesione traumatica degli organi addominali.
In base all’esito, si orienta il successivo iter:
• Se eco FAST negativa ⇒ considerare TC per stabilire successiva decisione terapeutica
− se il pz è instabile ⇒ terapia
rianimatoria e chirurgia.
▪ Packing: compressione del fegato con garze, quindi emostasi meccanica con garze e colle di trombina
Quando parliamo di traumatologia di qualsiasi organo abbiamo la possibilità di stratificare mediante score specifici per ogni organo (chiamati organ
injury scale) che ci dicono la gravità del trauma e la percentuale di sopravvivenza.
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Classificazione del trauma epatico
Si basa sulla scala di Knudson:
▪ per lesioni epatiche minori (fino al III grado), accompagnate da un basso tasso di mortalità, si applicano principalmente sutura, emostasi
e resezioni.
La mortalità peri-operatoria si attesta al 5% per arresto cardio-circolatorio in sala operatoria, prevede inoltre mortalità tardiva (11%) per
insufficienza multiorgano e gravi deficit neurologici.
▪ per lesioni epatiche maggiori (del IV e V grado), le tecniche chirurgiche utilizzate si complicano: resezione atipica, debridement,
packing.
La mortalità peri-operatoria riconosce come cause la CID e l’arresto cardiocircolatorio.
Occorre inoltre tener conto nella gestione del pz instabile che esiste una relazione tra injury severity score, PA, T° centrale e pH, che ci permette di
valutare il rischio di sviluppare coagulopatia, che a sua volta può portare a peggioramento del fenomeno emorragico, insufficienza multiorgano e
decesso:
• 10% in traumi gravi (ISS > 25)
• 40% in traumi gravi associati a ipotensione
• 50% in traumi gravi associati a ipotermia severa (< 34 °C)
• 58% in traumi gravi associati a acidosi (pH < 7.1), di solito metabolica, a volte respiratoria
• Quasi certa in pz con tutti e tre i fattori.
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3. stabilizzate le sue condizioni metaboliche, potrà infine essere sottoposto ad intervento chirurgico definitivo.
Il chirurgo deve pensare a questa strategia “già quando si lava le mani”: questo perché ci sono dei criteri di indicazione per il damage control
laparotomy (⇒ emorragia superiore a 4L, pH < 7.25, ipotermia progressiva o temperatura < 34°) ma spesso sono tardivi, pertanto bisogna essere in
grado di anticiparli.
Lo svantaggio di questa procedura è che il pz viene sottoposto a due interventi: una delle strategie per prevedere l’emorragia è posizionare delle
garze ed ottenere l’emostasi; queste garze però andranno rimosse durante un secondo intervento.
Un punto critico della damage control laparotomy è però sicuramente il rischio di sindrome compartimentale addominale, sostenuta da uno
stillicidio ematico, dalla formazione di un ematoma retroperitoneale, dall’edema (anche determinato da una sindrome da riperfusione) e dalle garze
stesse inserite nell’ottica del packing.
I pz con trauma di grado I-III (80%) possono essere ricoverati in reparto, mentre quelli con trauma di grado IV-V devono essere monitorati in
terapia intensiva per le prime 48h.
Il riscontro di blushing alla TC, in presenza di emodinamica stabile, è un’indicazione all’embolizzazione per via angiografica.
La comparsa di instabilità emodinamica o di segni di irritazione peritoneale si presenta nella maggior parte dei casi entro poche ore, così come un
maggior fabbisogno di apporto infusionale e trasfusionale si correla a un più alto indice di insuccesso della terapia conservativa.
Nella maggior parte dei casi le complicanze legate alla terapia conservativa vengono trattate per via percutanea e l’eventuale necessità di procedure
chirurgiche, preferibilmente per via laparoscopica, è differibile fino ad avvenuto ripristino dell’omeostasi.
Nel momento in cui si opta per un approccio conservativo, diventa fondamentale il monitoraggio che deve essere clinico e strumentale: in Italia
tipicamente si esegue una TC di controllo nel giro delle successive 24-36 ore e poi si procede ad ecografie di controllo, qualora non dovessero
emergere condizioni di sospetto, fino al riassorbimento della lesione: il pz viene seguito nel tempo finché non si osserva la cicatrizzazione.
Naturalmente, le tempistiche di guarigione cambiano molto in base alla severità della lesione: dal grafico si può vedere come i tempi di guarigione
dell’ematoma passano dai 6 giorni per un ematoma di I grado a 108 giorni per uno di III grado.
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TRAUMA SPLENICO
È la lesione traumatica più frequente in caso di trauma addominale (riscontrabile in circa il 60% dei pz politraumatizzati).
Rispetto al fegato, presenta alcune peculiarità anatomiche:
- La milza è molto più piccola del fegato e completamente protetta dallo scheletro ⇛ è decisamente più protetta dal trauma diretto, ma
può essere soggetta a trauma indiretto subendo la lacerazione da parte di un moncone costale
- È possibile la splenectomia, senza un conseguente impatto eccessivo sulla vita del soggetto
- La milza è un organo molto più fragile del fegato ⇛ sanguina molto più facilmente e si può rompere anche a seguito di un trauma
modesto, che il pz spesso tende a sottovalutare (ad es. urto contro lo spigolo del tavolo, caduta dalla bicicletta...).
Attenzione: i pz splenomegalici sono più a rischio
La mortalità è sempre determinata dall’evento emorragico acuto secondario alla lesione, aggirandosi attorno al 10% in caso di lesione splenica
isolata; fortunatamente può essere ridotta all’1% se si mettono in atto tutte le manovre terapeutiche.
Percorso clinico-diagnostico
Innanzitutto, occorre indagare segni di sospetto per trauma splenico:
• Trauma in proiezione della loggia splenica
• Abrasioni ed ecchimosi in sede splenica (ad es. lesioni da cintura di sicurezza)
• Fratture costali basse a sx (8^/10^ costa sx)
• Resistenza addominale e dolore
• Forte trauma a dx che per contraccolpo interessa anche il lato sx.
In presenza di tali reperti, la milza deve considerarsi rotta fino a prova contraria: per questo quando i pz arrivano in PS descrivendo un trauma, di
default si fa l’emocromo, seguito da almeno un secondo emocromo (a distanza di almeno 1h).
La milza può essere soggetta anche a lesioni iatrogene (ad es. a seguito di procedure chirurgiche o indagini di diagnostica invasiva) che possono
essere asintomatiche o dare dolenzia in ipocondrio sx con segno di Kehr (⇒ dolore determinato dall’irritazione diaframmatica causata dal
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versamento ematico, trasmesso dalle fibre dolorifiche del n. frenico come dolore localizzato sopra la clavicola ), ma possono anche dare dolenzia
addominale generalizzata fino allo shock emorragico.
Bisogna ricordare che nel 2-15% dei casi si può verificare la rottura in due tempi della milza, che nel 75% dei casi si verifica entro 2 settimane dal
trauma e spesso il pz non ricorda neppure l’evento traumatico.
La dinamica consiste nella formazione, a seguito del trauma, di un ematoma intraparenchimale che è rifornito, solitamente, da una lesione
arteriosa di un ramo dell’albero arterioso intraparenchimale ⇛ l’ematoma aumenta man mano di dimensioni, portando a lacerazione e sofferenza
ischemica della capsula ⇛ l’ematoma si libera in addome con comparsa di emoperitoneo che però è a sua volta continuamente rifornito dalla perdita
ematica da parte dei vasi ⇛ emoperitoneo massivo ⇛ shock ipovolemico.
Percorso terapeutico
A fronte di una lesione accertata o fortemente sospetta, prevede diverse
opzioni:
▪ stretto monitoraggio, con controlli seriati dell’ematocrito ed
imaging: per verificare che un’eventuale lesione non si ingrandisca,
in modo da evitare il rischio di rottura in due tempi.
Se l’ematoma si ingrandisce, si interviene il prima possibile
- Splenosi: dispersione in addome di frammenti di milza a seguito di frammentazione e spandimento della stessa.
Splenectomia
È un intervento solitamente non difficile e rapido, che risulta efficace dal punto di vista dell’emostasi.
Non espone a complicanze, ma d’altro canto si ha la perdita delle funzioni immunologica ed emocateretica della milza:
- La funzione immunologica si esplica nei confronti dei comuni germi capsulati, in particolare meningococco, streptococco e H. influenzae.
Si è osservato che nel giovane splenectomizzato fino ai 24-25 anni, si ha un aumento della mortalità da OPSI (overwhelming post-
splenectomy infection).
Per questo si pianifica un calendario vaccinale apposito entro le 72h per garantire la copertura contro i principali patogeni capsulati
con le vaccinazioni anti-meningococcica, anti-pneumococcica e contro H. influenzae da richiamare ogni 5 anni
- La perdita della funzione emocateretica obbliga a una profilassi anti-aggregante a vita per il rischio derivante da una consistente
piastrinosi (fino a 1 milione di piastrine per mm3)
- Il pz splenectomizzato è considerato un pz fragile e deve sottoporsi a profilassi antibiotica analogamente ai pz portatori di valvola
cardiaca meccanica ogni qualvolta debba sottoporsi a procedure invasive (, interventi chirurgici, estrazione dentaria, angiografia...).
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ADDOME APERTO
Soluzione di continuo a livello della fascia addominale ottenuta intenzionalmente, evitando la sutura
dell’incisione laparotomica al completamento di una procedura chirurgica o in seguito a problematiche di
tipo traumatologico.
In linea generale, un intervento laparotomico dell’addome ha inizio con un’incisione con il bisturi di cute, sottocute e del piano muscolo-fasciale,
così da accedere alla cavità peritoneale.
Al termine dell’intervento, strato per strato, si chiude ciò che si è aperto: per primo il peritoneo (con materiale riassorbibile), segue il piano fasciale,
quindi si può chiudere o meno il sottocute (ci sono diverse scuole di pensiero) ed infine la cute.
Nel caso dell’addome aperto, l’intervento ha inizio allo stesso modo, ma al termine dell’operazione non si provvede alla chiusura completa, bensì si
“lasciano aperti” cute e sottocute.
− Pancreatite acuta: permette di effettuare una profilassi della SCA (causata spesso dall’edema secondario alla flogosi
provocata dal versamento intraddominale dei succhi pancreatici), di drenare eventuali raccolte purulente e di esplorare
periodicamente la cavità addominale
− Peritonite secondaria
− Rottura aneurisma aorta
− Trattamento SCA conclamata
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SINDROME COMPARTIMENTALE ADDOMINALE (ACS)
È definita come un aumento significativo della P intraddominale (⇒ ipertensione intra-addominale con
IAP > 20 mmHg) associata a disfunzione di uno o più organi
È una condizione severa che può portare in poco tempo alla morte del pz.
Si interviene con la tecnica dell’addome aperto per detendere l’addome e ridurre la P intraddominale, così
da consentire un recupero dell’insufficienza d’organo.
Inoltre, si definisce P di perfusione addominale (PPA) la differenza tra P arteriosa media − IAP: deve
essere > 60 mmHg per garantire una perfusione adeguata dei visceri.
Si definisce ipertensione intraddominale un aumento della IAP > 12 mmHg rilevata in almeno due
misurazioni, classificata in:
Si parla di ipertensione cronica in caso di obesità, gravidanza, pz ascitico, dialisi peritoneale, ovvero condizioni in cui l’aumento del contenuto
all’interno dell’addome è graduale.
Cause di SCA:
• ACS primaria: è associata ad una condizione patologica che si sviluppa nella regione addomino-
pelvica:
− Pancreatite emorragica
− Peritonite: in particolare nel caso di sepsi intraddominale, la situazione è molto più gestibile tramite addome aperto, perché
consente di pulire, rivedere l’addome più volte ed asportare eventuali cenci necrotici
− Fissurazione/rottura di AAA
− Tumore o masse addominali di altra origine
− Trauma chiuso/penetrante
− Occlusione intestinale
− Infarto intestinale
− Fratture pelviche con sanguinamento cospicuo del retroperitoneo
− Cause iatrogene: packing intraddominale, chiusura dell’addome sotto tensione eccessiva.
• ACS secondarie: è associata a condizioni patologiche extra-addominali, come sepsi o ustioni, che
richiedono trattamento con infusione massiva di liquidi ⇛ edema dei mesi ⇛ aumento della IAP
• ACS terziaria: si sviluppa in seguito ad un intervento finalizzato alla prevenzione di ACS, quindi è
una recidiva.
❖ // intestinali: l’aumento della IAP comporta la riduzione del flusso venoso e linfatico ⇛ edema
della parete ⇛ riduzione del flusso arterioso, con conseguente ischemia dei visceri, in particolare
fegato, mesentere e intestino.
Si assiste anche un’alterazione della barriera intestinale (dilatazione delle anse), con la possibilità di traslocazione batterica.
128
❖ // cv: l’aumento della IAP comporta una compressione della v. porta e della VCI ⇛ riduzione del
flusso epatico portale (⇛ insufficienza epatica) e riduzione del ritorno venoso, con grave
compromissione emodinamica.
Attenzione: in questo caso l’infusione di liquidi per sostenere la volemia aggrava l’imbibizione dei mesi e peggiora l’ipertensione
❖ // renali: la compressione sulla v. cava si ripercuote anche a livello della v. renale ⇛ riduzione del
deflusso del sangue venoso ⇛ riduzione della perfusione renale vasi renali ⇛ oligo/anuria.
❖ // respiratorie: può verificarsi anche un’elevazione del diaframma ⇛ scadimento della meccanica
respiratoria con insufficienza respiratoria ⇛ necessità di supporto ventilatorio
Tecniche di TAC:
➢ A chiusura semplice:
− Skin Approximation: con pinze backhaus che agganciano i due bordi della cute,
chiudendo temporaneamente solo lo strato cutaneo
− Bogotà Bag: tecnica più evoluta, di facile applicazione, che prevede l’utilizzo di
un telo di materiale plastico, fissato ai bordi della laparostomia ed eventualmente
rimosso in caso di rivalutazione.
Al termine del secondo intervento, se le lesioni sono state trattate definitivamente, il
telo viene asportato e, dove possibile, si procedere alla sintesi diretta dell’addome.
I limiti di questa procedura sono dati dal fatto che non permette la rimozione del
liquido peritoneale e la retrazione fasciale.
➢ Con meccanismo di aspirazione: applicando una pressione aspirativa è possibile rimuovere liquidi e
tossine, ridurre l’edema ed evitare un’eccessiva dilatazione della laparostomia.
Quest’ultimo aspetto, in particolare, è dovuto al fatto che una volta aperto l’addome i muscoli (trasverso, obliquo interno ed esterno) cercano di
stirare i bordi della laparostomia verso l’esterno, ampliando la bocca laparostomica, rendendo più difficoltosa la chiusura.
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Tecniche di Negative Pressure Wound Therapy (NPWT):
− Barker’s vacuum pack technique
− Vacuum-Assisted Closure:
tecnica più evoluta che si avvale di un
sistema aspirativo particolare, che vede
l’impiego di un materiale sintetico
antiaderente posto a contatto con le anse.
Viene poi coperto da una spugna, a sua volta
collegata ad un tubo di aspirazione che fa
capo ad un sistema computerizzato che
permette da una parte di modulare la
pressione, dall’altra di dare l’allarme qualora
ci siano dei problemi
Una volta effettuata la TAC, il pz deve essere rivisto in sala operatoria entro 48/72h.
Il limite a 48/72h è stabilito dal fatto che una volta applicato il sistema a pressione negativa aspirativa si ha un compattamento di visceri e degli
organi all’interno dell’addome che diventano una sorta di “matassa unica”.
Questa condizione rischia di compartimentare l’addome in logge, dove si possono accumulare liquidi contaminati e formare delle raccolte.
La gestione del pz è molto complessa, perché anche se nella maggior parte dei casi sono sufficienti 1-2 revisioni prima di raggiungere le condizioni
sufficienti per arrivare alla chiusura definitiva, non è sempre così.
Altro concetto fondamentale da capire è che l’addome aperto è un presidio di supporto alla gestione rianimatoria del malato: la procedura ha senso
solo se inserita nell’ambito della gestione rianimatoria dei pz, che sono per definizione gravi, settici, traumatizzati.
➢ con materiale protesico: qualora il distanziamento dei bordi fasciali sia tale da non consentire l’avvicinamento diretto degli stessi.
Vengono generalmente utilizzate protesi biosintetiche composte da materiale riassorbibile, che lasciano un neotessuto peritoneale che col
tempo va incontro a consolidamento
130
CARCINOMA dell’ESOFAGO
È una neoplasia relativamente rara e si colloca all’ottavo posto nel mondo, con incidenza globale di 3-4
casi/100.000 ab.
Sebbene il K squamocellulare rappresenti più del 90% dei casi a livello globale, i tassi di mortalità associati all’AC sono in crescita e stanno
superando quelli dell’SCC in numerosi paesi europei.
In Italia prevale l’istotipo squamoso a differenza del nord Europa e del Nord America, dove l’adenoK ha superato lo SCC.
Il sesso M è più colpito (M:F = 2-5:1), con incidenza che aumenta progressivamente dopo i 45-50 anni di
età, con età media di insorgenza a 66 anni.
Purtroppo, circa la metà dei casi alla diagnosi presenta una malattia localmente avanzata o metastatica,
con sopravvivenza a 5 anni complessivamente bassa, anche nei casi in cui sia possibile una chirurgia
radicale.
Fdr:
• Per SCC: alcol e tabacco, con azione sinergica (rischio aumentato fino a 100 volte)
• Etnia afroamericana
• Sindrome di Plummer Vinson
• Deficit di vitamine e micronutrienti
• Esposizione a micotossine
• Acalasia esofagea
• Lesioni da caustici
Possibilità di screening
In Europa l'incidenza del K esofageo è troppo bassa per giustificare un programma di screening dal punto di vista dei costi ed i benefici.
Tuttavia, nei soggetti con condizioni predisponenti si possono valutare dei programmi di sorveglianza elettivi con endoscopia.
Clinica
• Disfagia: tendenzialmente progressiva, inizialmente presente
soltanto per i cibi solidi, successivamente per i liquidi.
È la manifestazione clinica più frequente al momento della diagnosi: compare
solitamente 4 - 6 mesi prima della diagnosi e induce una modifica delle normali
abitudini alimentari che porta all' assunzione prevalente di cibi liquidi o semiliquidi.
Insorge quando la neoplasia occupa un terzo del lume esofageo; la diagnosi di K
esofageo è quindi il più delle volte tardiva.
• Odinofagia
131
• Nei casi di malattia localmente avanzata, la sintomatologia può comprendere dolore retrosternale con irradiazione dorsale e senso di
peso, tosse ed emottisi in presenza di interessamento dell’albero bronchiale (l'accentuazione della tosse al momento della deglutizione è
spesso indicativa della presenza di una fistola tracheo esofagea, cui si associa il rischio di polmonite ab ingestis).
I pz inoltre possono presentare singhiozzo per infiltrazione del diaframma e del n. frenico e disfonia per interessamento del n. laringeo
ricorrente.
• I segni/sintomi di malattia metastatica variano a seconda delle sedi interessate dalla malattia e possono includere: dolore osseo,
epatomegalia, versamento pleurico ed ascitico, linfoadenopatie laterocervicali e sovraclaveari, sindrome mediastinica.
Dal punto di vista anatomo-topografico ed endoscopico, l’esofago viene suddiviso nelle seguenti porzioni:
• esofago cervicale: dal bordo inferiore della cartilagine cricoide allo stretto toracico superiore (≅ 18cm dagli incisivi superiori)
• // toracico superiore: dallo stretto toracico alla biforcazione tracheale (≅ 24cm dagli incisivi superiori)
• // toracico medio: tra biforcazione tracheale ed esofago distale appena sopra la giunzione gastroesofagea (≅ 32cm dagli incisivi superiori)
• // toracico inferiore: porzione intra-addominale dell’esofago e giunzione gastro-esofagea (≅ 40cm dagli incisivi superiori).
Diagnosi
• Anamnesi ed EO
• Rx con mdc (pasto baritato) delle prime vie digestive: ha un'elevata sensibilità nelle forme invasive,
ma bassa specificità nelle forme non invasive, valuta l'estensione in lunghezza del tumore e pertanto
risulta utile al chirurgo per definire l'operabilità o in operabilità delle lesioni: inoperabili nei 2/3 dei
casi le neoformazioni con estensione > 5 cm e con deformazione dell'asse esofageo,
potenzialmente indicative di invasione del mediastino.
• EGDS con biopsie multiple: è l'esame diagnostico per eccellenza, con elevata sensibilità e
specificità
• Ecografia del collo: utile per valutare N in caso di lesione dell’esofago cervicale e toracico
superiore o in caso di interessamento linfonodale mediastinico esteso; permette inoltre mediante
esecuzione di citologia ecoguidata la conferma o meno di adenopatie sospette.
132
Stadiazione
È essenziale per definire la prognosi del pz e stabilire il programma terapeutico più idoneo.
La stadiazione di riferimento è quella proposta e aggiornata di recente dall’American Joint Committee on Cancer (AJCC) secondo Classificazione
TNM 8th Ed e differenzia i tumori dell’esofago per istotipo (squamoso/adenoK), localizzazione (superiore/medio/inferiore per il K squamoso) e per
grado di differenziazione.
Le Classificazioni prognostiche vengono suddivise in stadio clinico dopo staging diagnostico, stadio patologico all’intervento di resezione esofagea e
stadio chirurgico post trattamento neoadiuvante.
Secondo la classificazione TNM aggiornata, tutti i tumori della giunzione gastroesofagea, così come tutti i
tumori con epicentro entro i 5 cm dalla giunzione gastroesofagea e che si estendono all’esofago, sono
classificati e stadiati come tumori esofagei.
• II: // tra 1cm sopra e 2cm sotto il cardias ⇒ K vero del cardias.
Per questi tumori allo stato attuale non vi è uno standard chirurgico.
La scelta dell’opzione chirurgica più adeguata tra gastrectomia totale trans-iatale con linfoadenectomia
D2 estesa ai linfonodi mediastinici inferiori ed esofagectomia secondo Ivor Lewis dovrebbe essere fatta
in base alle caratteristiche del tumore in considerazione dell’ottenimento della radicalità chirurgica.
Classificazione TNM
• T1:
− T1a: invade la mucosa, lamina propria o muscolaris mucosae
− T1b: invade la sottomucosa
133
Metastasi a distanza (M)
• Mx: la presenza di metastasi a distanza non può essere accertata
• M0: non evidenza di metastasi a distanza
• M1: M+
Grado istologico
• Gx: il grado tumorale non può essere accertato
134
Terapia
Nella scelta del trattamento, la stadiazione e l'istotipo insieme alla volontà del pz e all’ECOG PS sono i
principali fattori discriminanti.
I principi generali che devono essere seguiti nel proporre un programma di resezione curativa sono così riassunti:
− l’estensione della malattia deve essere limitata in un volume anatomicamente resecabile (stadi I, II e III)
− le condizioni respiratorie devono poter tollerare il trauma chirurgico
− lo stato nutrizionale deve permettere la normale fisiologia dei processi di cicatrizzazione
− i visceri che possono sostituire l’esofago non devono presentare alterazioni patologiche che ne limitano l’uso”.
Nei casi con interessamento superficiale della sottomucosa (⇒ Tis o T1a, pT1sm1 <500 μm, “early
esophageal cancer), può essere presa in considerazione la mucosectomia endoscopica/dissezione
sottomucosale endoscopica.
L'esofagectomia di prima intenzione è indicata nelle lesioni precoci (cT1-T2) ed in assenza di N+.
oppure
− trattamento CT-RT radicale
In caso di cT4b: CRT definitiva o CT (se infiltrazione di grossi vasi, cuore o trachea).
135
Algoritmi terapeutici AIOM 2019:
136
137
CARCINOMA dello STOMACO
Rappresenta il 4% di tutte le neoplasie, è al 5° posto come incidenza nel sesso M, mentre al 7° posto nel
sesso F.
Oltre il 70% dei casi, si verifica nei paesi in via di sviluppo, metà del totale in Asia orientale.
L'incidenza è più bassa in Europa, dove tuttavia esiste una notevole varietà geografica: l’Italia rientra nei
Paesi con incidenza intermedia (maggiore al Centro-Nord), in costante declino.
Un dato di interesse è l’osservazione di un relativo incremento delle forme primitive a sede prossimale, in
particolare per quelle della giunzione gastro-esofagea.
Il sesso M è più colpito (M:F = 2:1), con incidenza che aumenta progressivamente con l’età e raggiunge il
picco intorno ai 60-70 anni.
In Europa la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è complessivamente pari al 25%.
Fdr:
• Infezione cronica da H. pylori: determina lo sviluppo di gastrite cronica atrofica ⇛ aumento del
rischio di adenoK di tipo intestinale della regione antrale.
Inoltre, sembra aumentare anche il rischio di linfomi gastrici.
• Consumo di cibi salati e affumicati (contenti nitrosamine; Vit C è in grado di impedire la formazione di N-nitroso composti
carcinogenetici)
• Consumo di carne rossa
• Alcol e fumo
• Condizioni precancerose:
− Ulcera gastrica: il rischio di degenerazione maligna è <1%, dal momento che correla con fattori eziologici concomitanti
quali atrofia e infezione da H. pylori
• Gastroresezione secondo Billroth II: predispone anatomicamente al reflusso duodenale di sali biliari e succhi pancreatici
responsabili della formazione di composti mutageni
• Fattori genetici: si riscontra una componente familiare nel 10% dei casi e le forme ereditarie
riguardano solo l’1-3% dei casi.
Fra le sindromi ereditarie, rientra il cancro gastrico diffuso ereditario.
In circa il 40% delle famiglie è stata riscontrata una mutazione di E-caderina/CDH1; il rischio di sviluppare K gastrico all’età di 80 anni è
del 70%; inoltre nelle donne vi è anche un rischio aumentato di sviluppare un K della mammella.
Pertanto, nei soggetti con mutazione di CDH1 ed età >20 anni viene raccomandata la gastrectomia profilattica, mentre nei soggetti con
<20 anni o che rifiutano l’intervento chirurgico viene raccomandata una stretta sorveglianza endoscopica.
Possibilità di screening
Il ruolo dello screening nel K gastrico costituisce argomento controverso, sia per la difficoltà di individuare metodiche efficaci e al contempo non
invasive, sia per la difficile definizione delle popolazioni a rischio.
È stato suggerito l'utilizzo di test sierologici per H. pylori quale possibile test di screening.
Anche il dosaggio di prodotti secretive gastrici quali indicatori di atrofia, e quindi di aumentato rischio di K gastrico, sta mostrando risultati
incoraggianti: il dosaggio del pepsinogeno sierico è risultato essere potenziale test di screening su popolazioni differenti, con una sensibilità e
specificità del 75%.
infine, sono numerosi gli studi riguardanti l'utilizzo dell’EGDS: essa, infatti, si è mostrata 3-5 volte superiore rispetto all’Rx con mdc baritato nel
riconoscere lesioni in stadio precoce.
138
Istotipi
Circa il 95% delle neoplasie gastriche è costituito da adenoK.
La classificazione istologica più utilizzata nella pratica clinica è quella di Lauren, che individua:
a) Tipo intestinale
Tende a formare masse più voluminose, esofitiche od ulcerate.
È distinto in base al pattern in: papillare e tubulare.
A livello microscopico presenta cellule differenziate e organizzate in ghiandole (⇒ metaplasia intestinale).
Predomina nelle regioni ad alto rischio e si sviluppa da lesioni precancerose, compresi displasia
piatta e adenomi gastrici.
Correla con esordio tardivo, M epatiche e prognosi migliore.
b) Tipo diffuso
Tende a infiltrare ampiamente e spesso evoca una reazione desmoplastica che irrigidisce la parete
gastrica.
Quando presenti grosse aree di infiltrazione, queste possono provocare appiattimento delle pliche e
ispessimento della parete con un aspetto a otre, detto linite plastica.
Comprende l’istotipo mucinoso e a cellule scarsamente coese (che comprende a sua volta il
sottotipo “a cellule ad anello con castone”).
A livello microscopico presenta cellule scarsamente differenziate.
Correla con esordio di malattia precoce, M peritoneali e prognosi infausta.
Attenzione: nella VIII edizione TNM non sono inclusi i tumori la cui porzione centrale è nel terzo inferiore dell’esofago, sulla giunzione esofago-
gastrica o entro i 5 cm prossimali dello stomaco (cardias), che invece vengono classificati come K esofagei.
Un discorso a parte merita l’Early Gastric Cancer (EGC), definito dalla Japan Society of
Gastroenterological Endoscopy come un adenoK con infiltrazione limitata a mucosa o sottomucosa,
indipendentemente dalla presenza o meno di metastasi linfonodali.
In base all’aspetto macroscopico, l’EGC presenta tre possibili varianti:
• Tipo I: polipoide
• Tipo II: superficiale
• Tipo III: escavato.
139
Clinica
• Agli stadi iniziali, il K si presenta spesso con sintomi aspecifici e vaghi, quali disturbi dispeptici,
senso di pesantezza gastrica, dolore epigastrico per lo più nelle neoplasie ulcerate.
Se questi sintomi sono resistenti ai trattamenti medici previsti per una malattia infiammatoria o ulcerosa dello stomaco, indagare
rapidamente tramite opportuni approfondimenti diagnostici.
Il senso di pienezza gastrica precoce può suggerire un irrigidimento delle pareti gastriche dovuta
ad una diffusa infiltrazione tumorale (“quadro di linite gastrica”).
• In caso di malattia avanzata, sono frequenti nausea/vomito e dolore addominale; in alcuni casi è
possibile individuare una massa palpabile in corrispondenza della sede primitiva.
Altri sintomi:
− anoressia, calo ponderale e sarcofobia
− ascite, ittero, epatomegalia⇒ diffusione epatica
− linfonodi superficiali palpabili, in particolare in sede sovraclaveare sx (⇒ segno di
Troiser)
− occlusione intestinale ⇒ diffusione peritoneale.
Diagnosi
• Anamnesi ed EO
• EGDS: costituisce l'esame di scelta per la diagnosi di adenoK gastrico: permette una visione
diretta della mucosa gastrica e l'esecuzione di biopsie a fine diagnostico.
L'aggiunta di una sonda ecografica (⇒ ecoendoscopia) permette di raccogliere informazioni circa
l’infiltrazione parietale e interessamento dei linfonodi regionali coinvolti (l’accuratezza diagnostica è
aumentata dalla possibilità di effettuare valutazioni citologiche tramite agoaspirato).
La diagnosi istologica è l'unica di certezza: consente la definizione degli studi tipo e del grading,
nonché tramite immunoistochimica/FISH lo status di HER2.
• Marker neoplastici: il 35% dei pz presenta un incremento del CEA e del Ca19.9 alla diagnosi.
Ciò nonostante, i marker neoplastici non costituiscono un criterio diagnostico, ma si rivelano
clinicamente utili nel monitoraggio della risposta alla terapia e nel follow-up.
• PET/TC: può essere utile a completamento della TC, quando il T primitivo è avido del glucosio marcato con radionuclide (questa
evenienza è molto più probabile con l’istotipo intestinale che con il diffuso), riesce a caratterizzare come neoplastiche (classificate come “a
elevata attività metabolica”) lesioni linfonodali o metastatiche che la TC non riesce a definire come sicuramente patologiche.
140
Stadiazione
• T1:
− T1a: T invade la mucosa, lamina propria o muscolaris mucosae
− T1b: T invade la sottomucosa
Poiché il drenaggio venoso dello stomaco è operato dal sistema portale, il fegato rappresenta la sede
più frequente di metastasi ematogene; è sicuramente più comunemente coinvolto rispetto al polmone
e, ancor di più, a milza, ossa e SNC.
La diffusione transcelomatica invece si verifica in caso di neoplasia che infiltra la sierosa, per
verosimile caduta e reimpianto delle cellule neoplastiche sulle altre superfici peritoneali, e determina
la contaminazione della cavità addominale con cellule neoplastiche (già interpretate come M a distanza
se documentate anche solo in un liquido di lavaggio peritoneale) e, ancor peggio, la diffusione
carcinomatosa intraddominale, nota come carcinosi peritoneale.
141
Terapia
a) Trattamento della malattia locale
Al momento della diagnosi solo 1/3 dei pz presentano malattia potenzialmente resecabile.
Un adeguato intervento resettivo, definito come la completa asportazione del T primitivo e dei linfonodi
locoregionali con intento radicale (R0), è ad oggi l'unica metodica potenzialmente curativa.
• Parziale/sub-totale: riservata a tumori del terzo inferiore (⇒ antro) dello stomaco, seppur con un
ampio margine di resezione macroscopicamente libero da malattia (almeno 5 cm), che lascia in sede
il terzo prossimale del viscere.
Risulta fattibile, in alcuni casi, anche per le lesioni del terzo medio a condizione che il margine di resezione prossimale
macroscopicamente libero da malattia sia di almeno 3 cm per i tumori di tipo intestinale e di 5 cm in tutti gli altri casi.
A seguito della gastrectomia si procede alla ricostruzione della continuità digestiva: viene garantita
mediante ricostruzione esofago-digiunale su ansa ad Y secondo Roux (Roux-en-Y), che prevede:
1. Si confeziona un’anastomosi tra esofago o stomaco rimanente ed un’ansa digiunale
2. Si crea, poi, una seconda anastomosi tra quest’ansa e la prima ansa digiunale collegata al duodeno,
che veicola i succhi bilio-pancreatici, indispensabili per la digestione.
Tale tipo di ricostruzione è la più utilizzata e viene preferita anche in caso di
gastrectomia subtotale per il minor rischio di reflusso biliare rispetto o alla
gastro-digiunoanastomosi secondo Billroth 2.
142
Per quanto concerne la tecnica chirurgica, l’approccio laparotomico rimane quello di scelta, anche se la laparoscopia ha mostrato, quando praticata
nei Centri di maggior esperienza ed elevato volume di attività, una egual efficacia in termini di sopravvivenza rispetto alla chirurgia open, a fronte di
un minor tasso di emorragie intraoperatorie, complicanze postoperatorie e durata della degenza.
Questo è vero soprattutto per la gastro resezione subtotale e nei casi di EGC residuo dopo resezione endoscopica, rimane invece da confermare se tali
vantaggi si possono applicare anche ai casi che richiedono una gastrectomia totale, ai tumori più avanzati e quando la linfoadenectomia D2 è
necessaria.
Nei T4, per raggiungere una radicalità chirurgica, bisogna ricorrere ad una chirurgia allargata con l’intento di resecare, se tecnicamente possibile, le
strutture e gli organi adiacenti alla neoplasia.
Il 15-20% dei K gastrici avanzati, al momento della diagnosi, si presenta come una neoplasia che supera la sierosa ed infiltra gli organi contigui
(T4b).
Nel 75% dei casi l’infiltrazione è limitata ad un solo organo, nel 15-20% sono interessati due organi e nel 5-10% sono infiltrati tre o più organi
contigui.
Le resezioni più diffuse sono:
− splenectomia
− splenopancreasectomia distale
− resezione del colon trasverso
− resezioni epatiche (soprattutto del fegato sx)
− resezioni diaframmariche.
Infine, benché nei pz con malattia metastatica la gastrectomia non abbia prodotto benefici in sopravvivenza, un intervento chirurgico palliativo in pz
in stadio IV può essere considerato in presenza di sintomi intrattabili dipendenti da ostruzione, sanguinamento o perforazione.
143
b) Trattamento della malattia metastatica
La CT sistemica nel trattamento della neoplasia gastrica metastatica ha un esclusivo intento palliativo con una sopravvivenza mediana che,
nonostante gli avanzamenti terapeutici, supera con difficoltà i 12 mesi.
Terapia palliativa
− Posizionamento endoscopico di una protesi (stent): può essere utile nei casi di ostruzione correlata
alla neoplasia o a recidiva anastomotica per ripristinare la canalizzazione
− RT: può svolgere un ruolo nel controllo del sanguinamento e del dolore.
• tardive:
− Sindrome post-vagotomica
È determinata dalla denervazione splancnica secondaria alla vagotomia tronculare, che può
indurre discinesie biliari e disturbi motori e secretori del tenue e del colon.
In questi pz, la diarrea è sicuramente il disturbo più costante; essa può essere episodica
oppure presentarsi con scariche multiple di feci acquose, comunque generalmente
controllabile con antidiarroici
144
− Sequele metaboliche e nutrizionali
In genere un intervento di gastrectomia subtotale o totale nei primi mesi induce un calo ponderale (di circa il 10%) che si protrae
fino ai 3-6 mesi dopo la chirurgia.
Non può essere ritenuto fisiologico se si associa a disturbi metabolici, come l’anemia (soprattutto se severa) da malassorbimento di
ferro e vitamina B12 o la perdita di densità ossea da malassorbimento del calcio.
La forma tardiva della sindrome si caratterizza invece 2 ore dopo il pasto con gli stessi
sintomi dell’ipoglicemia, per via del carico di glucosio rapidamente assorbito
dall’intestino tenue con inappropriata risposta insulinica.
Alla diagnosi di dumping syndrome si arriva mediante test provocativo con 50 grammi
di glucosio per bocca.
Le sindromi di tipo dumping, sia precoce sia tardiva, si instaurano dopo ogni procedura
che traumatizza (piloromiotomia) o rimuove il piloro, ma sembrano scomparire
spontaneamente con il tempo.
− Gastrite alcalina
È un EC della riscostruzione secondo Billroth I e II.
Infatti, essa è dovuta al reflusso di succo bilio-pancreatico che, entrando a contatto con la mucosa del moncone gastrico, ne provoca
una flogosi cronica.
La mucosa dello stomaco, infatti, è molto sensibile all’azione irritante degli acidi biliari deconiugati e degli enzimi pancreatici che
alterano la barriera muco-epiteliale, con retrodiffusione di idrogenioni.
Quando sintomatica, essa si manifesta con dolore epigastrico a insorgenza irregolare e talora accentuato dai pasti e vomito biliare.
La diagnosi è essenzialmente endoscopica e bioptica.
Il trattamento medico, non sempre efficace, si avvale di farmaci chelanti i sali biliari, properistaltici, antiacidi e gastroprotettori.
La ricostruzione con ansa a Y secondo Roux ne rappresenta la migliore modalità di prevenzione o la soluzione chirurgica
definitiva: la diffusione di questo tipo di ricostruzione soprattutto nei Paesi occidentali ha reso meno frequente la gastrite alcalina.
145
LESIONI FOCALI EPATICHE
Sono lesioni circoscritte, definite e ben identificabili che si sviluppano nel contesto del parenchima
epatico.
Classificazione
a) Benigne:
− emangioma
− iperplasia nodulare focale
− adenoma epatocellulare
− cisti biliari semplici e cisti da echinococco
− macronodulo rigenerativo: rappresenta una lesione caratteristica della cirrosi
− nodulo displasico
− cistoadenoma
b) Maligne:
− Metastasi: sono molto più frequenti rispetto ad una neoplasia epatica primitiva.
Il fegato è un organo altamente vascolarizzato e quindi particolarmente predisposto allo sviluppo di lesioni metastatiche, in
particolare derivanti dagli organi tributari del sistema portale, per cui appunto il fegato rappresenta il primo organo filtro
In particolare, va sottolineato che la coesistenza di un danno epatico cronico condiziona relativa frequenza
delle lesioni, modalità di presentazione e chances terapeutiche:
➢ Nel contesto di un fegato cirrotico:
• le lesioni metastatiche sono eccezionali: un fegato fibrotico ostacola l’impianto di cellule provenienti dal circolo, sia per
lo sbilanciamento tra flusso arterioso e portale (si parla di flusso portale epatofugo) che per il microambiente flogistico
• l’adenoma epatocellulare e l’iperplasia nodulare focale sono molto rare
• il macronodulo rigenerativo è parte essenziale del processo cirrotico
• l’emangioma, raro nel soggetto adulto epatopatico, presenta caratteristiche particolari: piccolo e con
vascolarizzazione atipica
• più del 50% delle lesioni focali che si sviluppano in un fegato cirrotico sono benigne, ma di fatto
tutte le lesioni riscontrate in un fegato cirrotico devono essere considerate maligne fino a prova
contraria, in relazione al fatto che la cirrosi rappresenta un fdr importante per lo sviluppo di HCC
➢ // sano:
• si ha frequente riscontro di lesioni focali epatiche in età adulta
• nella maggior parte dei casi (70%) sono di natura benigna (anche in pz con anamnesi oncologica positiva)
• spesso il riscontro è incidentale (in pz asintomatico) in seguito ad ecografia addominale per altri motivi
146
Per evitare questo problema, è necessario:
− ritenere affidabili soltanto le diagnosi eseguite da centri di alta esperienza
− mantenere un elevato indice di sospetto di malignità se la lesione è atipica o in un
contesto epidemiologico ad elevato rischio di malignità (ad es. Giappone in cui HCC ha
incidenza di 50-60 casi su 100.000 abitanti all’anno; incidenza analoga si riscontra a
Brescia e a Napoli)
− in presenza di lesione atipica con fdr per malignità è d’obbligo eseguire esami di conferma:
o TC se il pz aveva eseguito ecografia
o RM se il pz aveva eseguito TC
o follow-up nell’arco di un breve intervallo di tempo.
Il fattore tempo è un elemento importante ma non di valore assoluto per definire la natura di una
lesione, questo perché non tutte le lesioni maligne presentano una stessa modalità di crescita nel tempo.
Occorre pertanto tener conto di una serie di fdr per neoplasia epatica maligna:
• sesso M
• età avanzata
• presenza di sintomi
• anomalie agli esami ematochimici
• consumo di alcol: 40g di alcol al giorno per 10 anni nell’uomo e per 5 anni nella donna
• epatopatia cronica.
LESIONI BENIGNE
a) CISTICHE (con contenuto liquido)
Clinica: lesioni asintomatiche riscontrate incidentalmente, con aspetto tipico all’imaging (⇒ lesioni
anecogene con rinforzo di parete posteriore all’ecografia e ipodense alla TC).
Complicanze: rare
• emorragia intracistica
• fistolizzazione endobiliare
• infezione
• sintomatologia compressiva per cisti di dimensioni importanti.
147
Successivamente si può procedere con trattamento definitivo, che può essere contemporaneo o differito
rispetto allo svuotamento:
▪ scleroterapia con alcol: l’alcol disidrata l’epitelio della cisti, che quindi sarà meno propensa alla produzione di liquido.
È poco invasivo ma si può fare solo in casi selezionati, non funziona per cisti di grandi dimensioni ed è meno usato rispetto al passato.
➢ Cisti da Echinococco
È conseguente all’infezione da parte del parassita Echinococco granuloso, responsabile della malattia
idatidea, più comune in soggetti impiegati nell’ambito della pastorizia.
Dal punto di vista epidemiologico in Italia tale infezione era tipica intorno agli anni ’60 nelle zone rurali della Sardegna, mentre ad oggi più
frequentemente interessa zone quali Egitto, Marocco, Tunisia, ovvero Paesi in via di sviluppo con scarse norme igieniche.
AP: presentano una parete propria di natura epiteliale, la quale viene circondata da una parete
fibrosa di natura reattiva (⇒ pericistio).
Di fatto tali cisti possono presentare diversi gradi maturazione:
• cisti semplici: molto simili alle cisti biliari
• cisti con membrane che aggettano all’interno della cavità cistica
• cisti contenenti cisti figlie
• cisti non più vitali presentano aspetto raggrinzito o calcifico.
Nel caso in cui la cisti da Echinococco si rompa, può andare a colonizzare l’albero biliare con possibile
insorgenza di reazioni allergiche anche gravi.
b) SOLIDE
➢ Emangioma
Rappresenta la più comune lesione focale epatica solida benigna del fegato (complessivamente è la
seconda più frequente dopo le metastasi), con prevalenza del 5% della popolazione e rapporto F:M = 6:1
e riscontro nel 70% dei casi tra i 30-50 anni.
Tuttavia, se in un pz con angioma si riscontra dolore, occorre escludere prima altre cause (ad es.
gastrite, colelitiasi…) al fine di evitare over-treatment.
148
Nel corso della sua storia naturale un angioma può:
• rimanere stazionario (50% dei casi)
• andare incontro ad involuzione (25%)
• aumentare di volume (7%)
• andare incontro a complicanze (5% delle indicazioni chirurgiche): in particolare viene citata la
sindrome di Kasabach-Merritt, caratterizzata da: trombocitopenia, CID, emorragia sistemica
Non è però raro il riscontro di angiomi con aspetto atipico, di fronte ai quali è obbligatorio eseguire
indagini di approfondimento.
In ogni caso, nei pz non operati è sempre necessario un programma di sorveglianza, con esame di
conferma quale la RM dopo 3 mesi (perché spesso si ha a che fare con donne in età fertile in cui è bene evitare l’esposizione a
radiazioni) e poi un controllo annuale anche ecografico.
Clinica: generalmente asintomatica, tuttavia circa un quarto dei pz presenta sintomi da compressione e
distensione.
Nella sua storia naturale FNH può rimanere stabile, andare incontro ad involuzione o ad un
accrescimento lento. Le complicanze quali rottura ed emorragia sono rare.
149
➢ Adenoma epatocellulare
Lesione rara, con incidenza di 1 caso su un milione di soggetti adulti all’anno, con rapporto F:M = 9:1.
Generalmente riguarda donne in età fertile con assunzione prolungata di terapia estroprogestinica,
Altri fdr: malattie metaboliche (DM, glicogenosi, emocromatosi), malattie vascolari, obesità, PCOS, ormono-terapia, uso di steroidi
anabolizzanti e barbiturici.
Si presenta come una lesione epiteliale priva di capsula, con frequenti aree emorragiche e dotti biliari quasi sempre assenti.
Classificazione AP:
• adenoma epatico con HNF-1 inattivato (adenoma steatosico): in genere ad andamento
indolente
• // con catenina attivata
• // infiammatorio: correlato ad alterazioni dell’amiloide sierica e della PCR
• // non classificato.
Le forme con catenina attivata e infiammatoria presentano un maggior rischio di evoluzione maligna e
sanguinamento.
Clinica: riscontro spesso incidentale, sebbene nel 30% dei casi sintomi correlati a: compressione, rottura
o emorragia.
Fdr per complicanze: diametro > 4cm, crescita esofitica, lobo sx, obesità.
È fondamentale sottolineare che sussiste un rischio di trasformazione maligna nel 5% dei casi.
Fattori predisponenti: sesso M, lesione > 5cm, sottotipo con catenina attivata ⇛ chirurgia
profilattica.
Diagnosi: non è sempre facile la DD tra adenoma epatico, iperplasia nodulare focale ed HCC ⇛ si
ricorre a RM.
Reperti tipici:
− contenuto adiposo
− enhancement periferico in T2
− netto enhancement in fase arteriosa con wash-out tardivo.
Trattamento:
▪ Sospensione terapia estro-progestinica
▪ Resezione chirurgica per adenomi sintomatici o complicati
▪ La possibilità che un adenoma possa sanguinare fa sì che in alcuni casi il pz si presenti in urgenza:
così come in caso di complicanze emorragiche di altre lesioni neoplastiche epatiche, si esegue
embolizzazione seguita dopo 4-6 settimane da resezione chirurgica.
150
CARCINOMA delle VIE BILIARI
Rappresenta l’1% di tutte le neoplasie, con massima incidenza oltre i 65 anni.
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è pari complessivamente al 20%.
Istotipo
Per oltre il 90% sono adenoK ben o moderatamente differenziati.
Classificazione AP
➢ ColangioK Intraepatici (ICC, 10%): comprendono T
localizzati dalle più piccole ramificazioni intraepatiche fino ai
dotti biliari di dx e sx, senza coinvolgere la biforcazione biliare.
Più precisamente, son T localizzati prossimalmente ai dotti biliari di secondo ordine.
I tumori biliari intraepatici possono inoltre percorrere le vie biliari fino ad interessare le vie extraepatiche.
151
Per i tumori extra-epatici esiste una classificazione francese che li
suddivide in tre gruppi a seconda della localizzazione a livello di: terzo
prossimale, medio e distale della via biliare extraepatica.
Clinica
È sintomatica solo negli stadi avanzati, con:
• Ittero ostruttivo ⇛ urine ipercromiche e feci ipo/acoliche
• Prurito generalizzato da colestasi
• Dolore subcontinuo all’ipocondrio dx
• Nausea e vomito
• Anoressia e calo ponderale
Diagnosi
• Anamnesi ed EO
• Esami ematochimici:
− Test di funzionalità epatica: aumento indici di colestasi, bilirubina e danno epatico
• TC: utile per diagnosticare il livello di ostruzione e permette una diagnosi specifica nella maggior parte dei casi
• Colangio-RM: offre i migliori risultati nelle forme peri-ilari e distali, nella definizione anatomica dell’albero biliare e dei suoi rami
potati, dell’infiltrazione delle strutture vascolari all’ilo, spesso sottostimato dalla TC.
In particolare, la presenza di stent biliari (inseriti per trattare l’ittero) può compromettere la capacità diagnostica di RM e rendere
difficile la DD, che potrà essere fatta solo a livello intraoperatorio.
• CPRE: ha un ruolo prevalentemente operativo; brushing citologico solo nei casi dubbi.
Terapia
Una resezione completa con margini negativi rimane l’unico potenziale trattamento curativo per i pz con
malattia approcciabile per intervento chirurgico.
Il drenaggio endoscopico è indicato nella palliazione dell’ittero dei soggetti inoperabili; sono preferiti gli stent metallici ricoperti (che
impediscono l’ingrowth, ovvero l’infiltrazione neoplastica fra le maglie dello stent e la successiva occlusione).
Rischi del drenaggio palliativo: lesioni iatrogene delle vie biliari con o senza sanguinamento (emobilia), colecistite, pancreatite.
152
In caso di insuccesso endoscopico si procede al drenaggio percutaneo transepatico (PTD) con guida ecografica e radiologica.
Il drenaggio può essere solo esterno con l’estremità del catetere che non supera la stenosi e drena tutta la bile prodotta in un sacchetto di raccolta,
interno-esterno o passante quando l’estremità del catetere supera la stenosi e pesca nel duodeno dopo aver superato la papilla.
In questo caso il sacchetto esterno non è necessario, il catetere può essere chiuso favorendo il passaggio della bile in duodeno.
Il drenaggio ottimale è quello interno, ovvero l’endoprotesi, in tutto simile a quella posizionata con l’endoscopia, con i fori a monte e a valle della
stenosi.
In caso di difficoltà a far progredire l’endoprotesi si può ricorrere a una manovra combinata o rendez-vous: il radiologo interventista fa passare una
guida metallica in duodeno che viene pescata dall’endoscopista e utilizzata per l’eventuale sfinterotomia e il posizionamento dello stent.
COLANGIOK INTRA-EPATICO
Si presenta più frequentemente come un nodulo duro (mass forming).
Secondo un’ipotesi il colangioK intra-epatico e l’epatoK potrebbero avere un’istogenesi unitaria, cioè con partenza dalle stesse cellule staminali
pluripotenti.
Questa considerazione nasce dal fatto che in alcuni casi è possibile avere una coesistenza di entrambi i tumori e che in alcuni pz operati di epatoK si
sia sviluppato a distanza di tempo un colangioK.
Dal punto di vista epidemiologico, bisogna ricordare che l’incidenza di questo tumore in un contesto di cirrosi HBV o HCV correlato è bassa,
soprattutto se paragonata a quella dell’epatoK (80% associato a cirrosi).
Dato che la maggior parte del parenchima è sano, i valori di transaminasi e bilirubina sono spesso normali e per tale motivo risulta fondamentale
l’imaging.
Difficilmente è possibile fare una diagnosi precoce per questo tumore perché i pz non sono sottoposti a screening non essendo pz cirrotici.
Dal punto di vista istologico, attualmente, non esiste la possibilità di distinguere in modo certo ed accurato un colangioK da un tumore metastatico
perché non esiste un marker specifico per la proliferazione delle cellule dei dotti biliari.
Si tratta comunque di adenoK perché originano da epitelio ghiandolare, così come lo sono le M dei tumori del colon (nettamente prevalenti).
Qualora il patologo non riuscisse a determinare la primitività della lesione, è necessario escludere la secondarietà grazie alla RM (già eseguita dal pz)
ed eventualmente gastroscopia e colonscopia.
Metastasi
A differenza dell’epatoK (che tende a disseminare soprattutto per via
ematica infiltrando i rami della v. porta), il colangioK può dare M per
via ematica, ma anche per via linfatica e per via endobiliare.
Può portare inoltre alla formazione di noduli satelliti.
Intervento chirurgico
Prevede una resezione epatica estesa in associazione a dissezione linfonodale (solitamente non eseguita per il trattamento di epatoK né di M).
Per quanto riguarda il margine di resezione, l’indicazione è quindi di asportare completamente la lesione tenendo un minimo di margine
macroscopico di sicurezza.
La CT neoadiuvante rappresenta un argomento dibattuto: alcuni la propongono soprattutto in presenza di lesioni evolutive o lesioni extraepatiche di
dubbia origine (per valutare la reale necessità di un trattamento chirurgico più che per rafforzarlo).
153
COLANGIOK PERI-ILARE (di Klatskin)
È localizzato a livello della biforcazione biliare (alla confluenza dei dotti epatici dx e sx), in corrispondenza dell’ilo
epatico.
La maggior parte dei pz presenta alla diagnosi metastasi linfonodali (45%) o a distanza (25%): per tale
motivo l’obiettivo primario nella maggior parte dei pz è quello di trattare l’ostruzione biliare.
Si tratta di una classificazione superata: la scelta del trattamento chirurgico, infatti, non può basarsi
unicamente sull’estensione endocanalicolare del tumore, ma deve tener conto anche di altri elementi come il
coinvolgimento dei vasi e la presenza o meno di atrofia del lobo epatico interessato.
Per quanto riguarda la diagnosi, la problematica principale è legata alla DD con altre condizioni come
granulomi e calcoli biliari.
Trattamento standard
Prevede generalmente resezione del tratto biliare coinvolto, resezione
epatica maggiore con asportazione del lobo caudato, linfoadenectomia regionale ed eventualmente
resezione portale.
Intervento chirurgico:
154
In caso di positività del margine di resezione all’estemporanea, sarà necessaria una resezione più
prossimale.
Il fatto di avere un margine positivo non significa che il pz svilupperà necessariamente una recidiva locale (come ci si aspetterebbe).
Le recidive sviluppate da questi pz, inoltre, sono prevalentemente sistemiche mentre un coinvolgimento del margine della resezione è più frequente
per tumori avanzati (con N+).
La presenza di un margine positivo, dunque, non è l’espressione di un intervento chirurgico tecnicamente inadeguato ma della presenza di una
malattia biologicamente avanzata.
Per quanto riguarda le metastasi linfonodali, un parametro importante da considerare è l’N ratio, ossia il rapporto tra i linfonodi metastatici
individuati e il totale dei linfonodi asportati: in caso di tumori con N ratio molto basso (1-2 linfonodi positivi) si può osservare come la prognosi a 3
anni sia quasi sovrapponibile a quella di pz N0.
Per tale motivo può non essere ragionevole negare l’intervento chirurgico ad un pz solo per l’identificazione di un linfonodo metastatico
(macroscopicamente evidente) a livello dell’ilo epatico.
Fattori locali:
− T tipo IV della classificazione di Bismuth-Corlette
− imprigionamento od occlusione della v. porta prossimalmente alla sua biforcazione È importante che la porzione di fegato
− atrofia di un lobo epatico e v. porta controlaterale occlusa risparmiata dalla resezione presenti un
− atrofia di un lobo epatico e interessamento controlaterale delle radici biliari secondarie adeguato flusso arterioso e venoso
− invasione dell’a. epatica controlaterale al lobo da rimuovere portale in entrata e un flusso venoso in
− carcinosi peritoneale uscita.
Metastasi:
− metastasi linfonodale istologicamente comprovata
− metastasi al polmone, fegato o peritoneo.
Chirurgia conservativa
In assenza di interessamento della sella biliare e della porzione intrapancreatica, si potrebbe pensare ad una resezione della sola via biliare.
Nel caso di un coinvolgimento della sella biliare sarebbe comunque possibile effettuare una resezione centroepatica, anastomizzando le bocche biliari
periferiche ad un’ansa intestinale.
Diversi studi mostrano però come la sola resezione biliare raggiunga in pochi casi la resezione completa (R0) e inoltre si associa ad una
sopravvivenza inferiore.
Dunque, l’approccio chirurgico conservativo si associa ad un rischio operatorio inferiore, a fronte di risultati a distanza peggiori.
Infiltrazione portale
Il coinvolgimento del solo ramo di dx o sx è compatibile con una resezione
chirurgica, a patto che si rimuova anche il lobo epatico di dx o di sx.
In questo caso, però, non parliamo di un coinvolgimento di tipo trombotico, bensì
di un’infiltrazione marginale della porta.
Bisogna fare molta attenzione perché quello che sembra essere un’infiltrazione
neoplastica spesso è una reazione fibrotica (soprattutto se è stata eseguita una CT
preoperatoria) e perciò si corre il rischio di considerare la lesione come se fosse
un’estensione neoplastica (quando invece non lo è) e abortire l’intervento.
Alcuni chirurghi tedeschi hanno proposto che anche solo in caso di sospetta
infiltrazione della biforcazione portale per vicinanza del tumore, è necessario
intervenire con resezione vascolare della sella portale e reanastomosi: questo tipo
di approccio radicale (no touch technique) non è stato particolarmente seguito
dai chirurghi orientali, che adottano invece un approccio più selettivo dove non si
fa la resezione di principio ma solo in casi selezionati e quando risulta
potenzialmente curativa (non ha senso effettuare la resezione solo a scopo
palliativo, quando per esempio vi sono altre condizioni sfavorevoli come metastasi
linfonodali diffuse).
155
Infiltrazione dell’a. epatica
Si presta raramente ad un atteggiamento resettivo: l’arteria epatica è circondata da un plesso linfatico e perineurale che rappresenta una delle
principali vie di diffusione del tumore.
L’intervento viene quindi abortito in caso di infiltrazione dell’a. epatica propria o dell’a. epatica del lobo che dovrebbe essere risparmiato; se invece
l’a. epatica interessata corrisponde al lobo da rimuovere è possibile effettuare la resezione.
Il drenaggio è pertanto riservato a casi selezionati, con ittero particolarmente importante (⇒ bilirubinemia > 15mg/100ml), prurito intrattabile,
colangite.
Nei Paesi occidentali è previsto un approccio percutaneo con puntura dell’albero biliare, in cui il drenaggio deve oltrepassare il tumore per arrivare
in duodeno.
Embolizzazione portale
Consiste nell’occlusione per via percutanea radioguidata del ramo portale che supplisce il lobo epatico che si vuole resecare, al fine di aumentare
l’apporto ematico nel lobo controlaterale e indurne così un’ipertrofizzazione, permettendo di aumentare il volume di fegato residuo in seguito
all’intervento.
Il problema principale è legato al fatto che l’ipertrofia parenchimale risente dello stato settico, come in caso di colangiti ⇛ in questi casi
l’embolizzazione portale deve essere associata a drenaggio biliare efficace e controllo della sepsi.
COLANGIOK MEDIO-DISTALI
Sono trattati come se fossero dei tumori del pancreas o dell’area periampollare, eseguendo una duodeno-
cefalopancreasectomia.
Neoplasie ampollari
Insorgono sull’ampolla (o papilla) di Vater, una struttura di tipo sfinteriale su cui confluiscono il dotto pancreatico principale e la via biliare
principale; regola lo scarico del succo pancreatico e della bile nel duodeno.
Terapia: la maggior parte degli adenoK dell’ampolla di Vater è resecabile mediante DCP con intento radicale, a causa della frequente diagnosi in
stadio precoce e della relativa lontananza dell’ampolla stessa dai vasi mesenterici superiori
156
CARCINOMA della COLECISTI
Rispetto ai tumori delle vie biliari, presenta due peculiarità:
• anatomia microscopica: la colecisti è l’unico organo del tratto GI senza sottomucosa.
In considerazione di ciò, è possibile classificare i tumori della colecisti in:
- Early: neoplasia limitata alla mucosa (T1a) o alla muscolare (T1b)
- Advanced: neoplasia estesa alla sottosierosa (T2) ed oltre (T3-T4)
• diagnosi: nella maggior parte dei casi il K della colecisti è individuato incidentalmente
dall’anatomopatologo sulle colecisti asportate a causa di calcolosi.
Il fatto che la diagnosi avvenga incidentalmente comunque non correla con lo stadio precoce del tumore: si è visto anzi come nel 75% dei
riscontri incidentali questi siano già ad uno stadio più avanzato T2-T3-T4.
L’associazione tra calcoli e cancro è pressoché assoluta, tanto che oggi la calcolosi della colecisti
rimane l’unico fdr ufficialmente riconosciuto, dal momento che 9/10 dei pz con tumore hanno
anche calcolosi.
Questo indubbiamente complica il problema della diagnosi e quello della terapia.
Innanzitutto, perché togliere la colecisti in un pz asintomatico è un atto molto discutibile: alcuni asseriscono che addirittura una colecisti
litiasica asintomatica non debba essere operata.
Tuttavia, è altrettanto vero che in un pz giovane, considerando l’estrema aggressività di questo tumore, operare nonostante non si rientri
strettamente nelle linee guida può avere senso.
Storia naturale
La lesione ha inizio con una metaplasia, che poi evolve in displasia fino alla trasformazione neoplastica in early cancer, in un periodo molto lungo
(12 anni circa).
Il passaggio tra early ed advanced cancer è invece molto breve (circa 2 anni), fino al decesso in 3-6 mesi.
Si noti che la maggior parte della storia naturale neoplastica è una fase asintomatica.
L’obiettivo è quello di cercare di intervenire nella storia naturale del cancro tra displasia ed early cancer, in modo da permettere alla chirurgia di
essere radicale.
• // N:
− similarmente al tumore delle vie biliari, capacità metastatica linfatica con interessamento
progressivo: se il primo linfonodo (il cosiddetto linfonodo cistico, posizionato vicino
all’infundibolo della colecisti) è negativo, è difficile che i linfonodi più lontani siano
metastatici
− diffusione angiolinfatica attraverso i vasi periportali (laddove si crei un blocco neoplastico per
alterazione linfatica, con infiltrazione retrograda del parenchima epatico)
157
Terapia chirurgica
Ha senso solo se in grado di essere radicale, con margini R0.
Nel trattamento del sospetto cancro della colecisti i più ritengono che la laparoscopia venga bandita, questo
perché la colecistectomia laparoscopica ha un tasso di perforazione della colecisti fino al 30%.
Dato che la diagnosi molte volte è fatta post-operatoriamente, è possibile che il pz necessiti di un
reintervento ai fini di ottenere una extended cholecistectomy, con resezione epatica e linfoadenectomia.
È indicata in tutti i pz con sospetto intra-operatorio o neoplasia > T1a in seguito a esame istologico.
Se ci sono M, nessun malato è vivo a 1 anno dall’intervento ⇛ non ha senso operare nel caso di M+.
La stessa obiezione a questo intervento può essere fatta per neoplasie a stadi avanzati, in quanto
questi malati hanno una mortalità a 1 anno del 90% dei casi.
Il campo di intervento migliore rimane in ogni caso il tumore nella fase intermedia (T2): in questo caso il
rapporto costo/beneficio è favorevole e la colecistectomia extended viene considerata il gold standard.
• Per quanto riguarda la linfadenectomia, si procede con asportazione di tutti i linfonodi del peduncolo epatico, della parte posteriore
della testa del pancreas e di quelli lungo l’a. epatica comune.
Si ritiene che la linfadenectomia sia adeguata quando vengono asportati almeno 6 linfonodi (numeri ben lontani dai numeri della
gastrectomia e nel tumore del colon, ad es. 50 linfonodi).
• Per quanto riguarda la via biliare, questa va asportata solo in caso di: infiltrazione macroscopica, ittero e linfonodo positivo contiguo
alla via biliare principale
• Il reintervento ha senso se svolto precocemente (non più di 6-7 settimane dal primo intervento)
• Prima di reintervenire, oltre a fare una stadiazione (TC), va considerato lo stato di urgenza in cui è stato fatto il primo intervento: se
questo è stato fatto durante una colecistite acuta, ci si pone il dubbio dell’utilità di un reintervento.
La malattia neoplastica in presenza di uno stato settico, infatti, è difficilmente controllabile ed è probabile che si sia già diffusa durante il
primo intervento.
Prognosi
La sopravvivenza a 5 anni è complessivamente del 10%.
158
CARCINOMA EPATOCELLULARE (HCC)
Rappresenta il 3% di tutte le nuove diagnosi di tumore.
Ha incidenza particolarmente elevata nella provincia di Brescia, pari a quella di Paesi come Taiwan e
Giappone, noti per essere le regioni geografiche con il più alto tasso di incidenza al mondo.
Il sesso M è più colpito (M:F = 2:1), con maggiore incidenza dopo i 50-60 anni.
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è complessivamente pari al 20%.
Fdr:
• Infezione cronica da HBV e HCV: rappresentano i principali fdr e sono responsabili di circa l’85% dei casi di HCC nel
mondo, con una prevalenza dell’epatite B in Asia ed Africa e dell’epatite C in Giappone e nel mondo occidentale.
La prevenzione primaria dell’HCC si effettua attraverso la vaccinazione contro l’infezione da HBV, che è raccomandata in tutti i neonati e
nelle popolazioni ad alto rischio e la messa in atto di politiche volte a ridurre il rischio di trasmissione interindividuale dei virus dell’epatite.
La terapia antivirale nei pz con epatite cronica da HBV e HCV è associata ad una diminuzione del tasso di progressione verso la cirrosi ed in
qualche caso, alla regressione della fibrosi, e quindi dovrebbe considerarsi una misura di prevenzione efficace per il tumore.
Nei pz con infezione cronica da HBV, tuttavia, l’HCC può anche svilupparsi su un quadro di epatite cronica, ed in questi pz il rischio di sviluppo
di K epatico non è completamente abolito, nonostante il controllo della replicazione virale.
• Cirrosi: cofattori di rischio di sviluppo di HCC sono: la coinfezione dei virus HBV ed HCV, genotipo C dell’HBV, genotipo 1b dell’HCV,
coinfezione da virus epatitici e HIV, valori di transaminasi costantemente e marcatamente elevati (oltre 5 volte i valori normali), DM.
Rispetto alla popolazione generale, l’infezione da singolo virus epatitico eleva il rischio relativo di sviluppo di HCC di circa 20 volte, mentre la
coinfezione HCV+HBV attivi produce un rischio relativo di circa 80 volte.
Nei soggetti con epatopatia cronica o cirrosi compensata, grazie al miglioramento della gestione delle complicanze della cirrosi, l’epatoK
rappresenta oggi la prima causa di morte.
Tali soggetti hanno infatti un’incidenza annuale di epatoK compresa tra l’1-8%, variabile in base all’eziologia e alla durata dell’epatopatia.
• Abuso di alcol
• Obesità, SM, DM: hanno come corrispondente epatico la malattia steatosica (NAFLD), che rappresenta
attualmente la più importante causa emergente di HCC nei paesi industrializzati
Screening
Le considerazioni epidemiologiche suggeriscono che questa sia una neoplasia meritevole di screening.
Affinché uno screening abbia reale efficacia e sia favorevole nel rapporto costo-beneficio, devono verificarsi una serie di requisiti, che sono rispettati
dall’HCC:
- Elevata incidenza e mortalità della neoplasia ⇒ l’HCC è la quinta causa di morte per cancro, con incidenza in aumento
- Gruppi di soggetti a rischio identificabili ⇒ pz affetti da epatopatia cronica e/o cirrosi
- Disponibilità di terapia ⇒ l’HCC presenta diverse opzioni terapeutiche
- Disponibilità di test di screening incruenti, economici, facilmente ripetibili, con buon rapporto tra sensibilità (⇒ pochi FN) e specificità (⇒
pochi FP).
Tutti i pz con epatopatia cronica/cirrosi epatica e funzione epatica soddisfacente (classe A e B di Child-
Pugh) dovrebbero essere sottoposti a sorveglianza semestrale con ecografia dell’addome superiore per la
diagnosi precoce di HCC
Si ha un vantaggio diagnostico qualora il pz abbia un fegato “vergine” (senza noduli alla prima valutazione), perché si avrà a disposizione un
elemento di confronto in più per qualsiasi cosa venga poi rilevata ai successivi controlli.
Non tutto quello che cresce è maligno e non tutto ciò che è quiescente è benigno, ma in genere una lesione che non cresce per molto tempo permette
di stare relativamente tranquilli.
Il tempo di raddoppiamento delle cellule nodulari in un fegato cirrotico è sostanzialmente stabile e va dai 4 ai 6 mesi: questo dato è fondamentale
nello stabilire la cadenza dello screening tramite ecografia, permettendo di rilevare, in un’elevata percentuale dei casi, un HCC nella sua fase
precoce.
Questo screening/sorveglianza, tuttavia, non si traduce automaticamente in un miglioramento della sopravvivenza a distanza: molti dei pz al
momento dell’inserimento dello screening si presentano già in fase avanzata di cirrosi.
159
Non vi è invece indicazione al dosaggio dell’α-fetoproteina (marker tumorale elettivo per l’HCC, almeno per i Paesi
Orientali), data la bassa sensibilità e specificità di tale marcatore.
L’AFP è però un importante indicatore del rischio di sviluppare epatoK e va dosata in caso di riscontro di
una lesione focale epatica su cirrosi come complemento diagnostico e soprattutto prognostico, nonché per
monitorare l’andamento della malattia.
È una proteina sintetizzata dai tessuti fetali, che nell’adulto non si riscontra praticamente più (o al massimo a dosaggi infinitesimali).
Si è visto che i tumori epatici in Estremo Oriente si associano a livelli di α-fetoproteina molto più elevati rispetto a tumori analoghi di soggetti
presenti alle nostre latitudini, dove nel 50% dei casi, in realtà, i livelli di α-fetoproteina sono assolutamente normali.
Pertanto, la validità del test è messa molto in discussione soprattutto nei Paesi Occidentali.
Algoritmo di monitoraggio:
− Se non si rilevano lesioni sospette all’eco, controlli ogni 6 mesi
− I noduli ≥ 10 mm riscontrati all’ecografia (durante sorveglianza o alla diagnosi di cirrosi) vanno considerati
altamente sospetti per HCC ⇛ devono essere caratterizzati con TC con mdc o RM per una
diagnosi non invasiva di HCC.
Se non si raggiunge una diagnosi di certezza con le metodiche d’imaging, il nodulo deve essere
sottoposto a biopsia ecoguidata.
Qualora la biopsia non sia tecnicamente eseguibile o non risulti diagnostica per HCC, il nodulo dovrebbe essere monitorato trimestralmente
con l’ecografia e rivalutato periodicamente con RM, TC o CEUS, sottoponendolo nuovamente a biopsia in caso di aumento di dimensioni o
cambiamento dell’aspetto contrastografico, o comparsa di un nuovo nodulo.
N.B: la citologia agoaspirativa non dovrebbe essere impiegata per la caratterizzazione di un nodulo epatico in fegato cirrotico –
specialmente in caso di noduli ≤ 3 cm di diametro – perché non consente la valutazione delle caratteristiche architetturali fondamentali per
la diagnosi di HCC ben differenziato.
− I noduli ≤10 mm dovrebbero essere sottoposti a monitoraggio delle dimensioni ogni 3 mesi, fino
all’eventuale superamento della soglia di 10 mm.
Se dopo due anni il nodulo è rimasto immutato, si può tornare alla sorveglianza semestrale.
− La presenza di un nodulo epatico al di fuori del contesto di cirrosi richiede sempre una caratterizzazione istologica.
L’HCC è l’unico tumore in cui la letteratura accetta la diagnosi senza istologia: se la TC trifasica o la RM sono tipiche per HCC si accetta la
diagnosi anche solo con queste indagini strumentali.
TC e RM non si applicano subito ai noduli molto piccoli per due motivi:
• Nei pz cirrotici è abbastanza normale rilevare noduli di 7-8 mm ⇛ si spenderebbero troppe risorse per indagare tutti
• TC e RM usano come parametro la modalità di impregnazione con mdc, la quale dipende dalla vascolarizzazione.
Nel nodulo piccolo, però, questo non è possibile perché non ha ancora sviluppato una vascolarizzazione quasi esclusivamente arteriosa.
Per quanto riguarda i segni clinici, essi dovrebbero allertare qualsiasi equipe
chirurgica non solo in quanto segni di sospetto HCC e patologia epatica
scompensata, ma anche perché l’epatopatia rappresenta un enorme fdr per
complicanze e mortalità intraoperatoria.
Un importante paradosso clinico è il fatto che gli interventi terapeutici come l’OLT e
gli shunt porto-sistemici sono ben tollerati dai pz epatopatici, mentre tutte le
operazioni del tratto GI sono associate ad un’allarmante percentuale di complicanze.
160
• Alterazioni esami ematochimici:
− Anemia macrocitica megaloblastica soprattutto se il danno è da alcool
− Leucopenia e piastrinopenia per ipersplenismo
− Aumento transaminasi (in particolare ALT)
− Allungamento INR
− Riduzione albuminemia
• Agobiopsia con ago sottile: è un esame sicuramente più valido, ma presenta comunque un’elevata percentuale di falsi negativi
• TC/RM: permettono di osservare alterazioni morfologiche quali aree di ipotrofia o ipertrofia (tipicamente il lobo caudato), alterazione
dei margini che diventano irregolari e speculati, alterazione della trama epatica che diventa grossolana.
Il grande vantaggio della TC sull’ecografia è sicuramente il fatto che è più precisa e dinamica, ci permette inoltre di misurare il diametro
della vena porta, rende più semplice la valutazione di una coesistente splenomegalia, ascite, segni di ipertensione portale, e soprattutto
l’alterazione dell’ordinata distribuzione dei segmenti epatici che si presentano atrofici o ipertrofici
L’ecografia consente solo di dire se sia presente un nodulo, sospetto per malignità o meno in base al contesto clinico.
Una malattia epatica cronica può essere sospettata per una serie di elementi, quali:
− Struttura epatica grossolana
− Margini irregolari
− Ipertrofia di alcuni segmenti epatici, specialmente il lobo caudato
− Vena porta dilatata
− Splenomegalia
− Vene sovraepatiche congeste
− Presenza di una minima quota di ascite.
Se ci sono i segni di una malattia epatica cronica di base, in relazione alle dimensioni del nodulo, al pz verrà fatto eseguire un esame di
secondo livello.
161
L’entità del sacrificio parenchimale che possiamo fare non dipende solo dalla lesione, ma anche dallo stato del tessuto epatico
stesso.
In un pz sano è possibile rimuovere fino al 60% del tessuto senza incorrere in una insufficienza epatica, se non
momentaneamente nella fase postoperatoria.
In un pz cirrotico asportare la stessa quantità di tessuto comporta un deperimento drastico della funzionalità epatica.
• RM con mdc epatospecifico: esame problem-solver (ossia deve essere utilizzata solo in casi particolari per colmare i
limiti della TC)
Questi criteri inquadrano un tipo di pz ideale che difficilmente si incontra nella reale pratica clinica (non più del 30% nelle diverse casistiche
chirurgiche) e non possono rappresentare un’indicazione assoluta.
La maggior parte della casistica si trova in situazioni borderline, spesso con noduli multipli o voluminosi e non può essere esclusa automaticamente
dall’accesso alla terapia chirurgica.
È importante sottolineare che la profondità della lesione, la percentuale di parenchima da sacrificare e il volume di fegato residuo sono nettamente
più importanti nel determinare il rischio chirurgico che non le caratteristiche della neoplasia, quali dimensioni o numero dei noduli.
L’età è uno dei criteri proposti per selezionare il pz, ma la percentuale di pz anziani operati per HCC è elevata, con età media di 70aa.
Più che l’età, si rivela più utile considerare lo stato funzionale del pz in relazione alla sua età: ci sono pz che a 60aa presentano già uno stato
generale seriamente compromesso e pz di 75aa che presentano invece uno stato di salute ottimale.
Oltre a questo dato va sempre tenuto a mente che la criticità nell’anziano non è tanto la capacità di sopportare l’intervento, quanto di reagire ad
eventuali complicanze: più un intervento è soggetto a complicanze intra- e peri-operatorie, più il fattore età acquisirà peso nella decisione
terapeutica.
Rispondono a queste domande le linee guida: revisioni formali delle conoscenze scientifiche condotte da esperti su un determinato argomento, di
modo da elaborare dei principi generali flessibili.
Questa è una differenza fondamentale tra linee guida e protocolli, che non ammettono invece eccezioni e flessibilità nella loro applicazione.
Nella loro formulazione, le linee guida si basano sull’EBM (Evidence Based Medicine), e necessitano quindi di aggiornamenti periodici che tengano
in considerazione le più recenti e affidabili pubblicazioni (in genere ogni 3-4 anni).
Il principale limite delle linee guida nella loro applicazione pratica è che ne esistono molte (Americane, Europee, Giapponesi, etc.), e differiscono
nelle indicazioni anche in maniera non marginale. Diventa quindi essenziale orientarsi e capire quali sono le più corrette.
162
Stadiazione
Considera diversi parametri, relativi non solo all’estensione della neoplasia, ma anche alla funzionalità epatica
residua e condizioni generali del pz (dal momento che in Italia la maggior parte dei casi di HCC insorge in pz affetti da cirrosi epatica, che
presentano un grado variabile di insufficienza epatica):
❖ Staging AP
Prevede due metodi diversi: uno occidentale (TNM) e uno orientale.
❖ Staging clinico
➢ Classificazione di Child-Turcotte-Pugh
È utilizzata per valutare la gravità e la prognosi delle epatopatie croniche:
163
Raccomandazioni:
• Un pz con Child A può tollerare la chirurgia
• Un pz Child B con punteggio 7 può essere operato se il traumatismo chirurgico è particolarmente
ridotto
• Un pz con Child B con punteggio 8-9 o Child C è inoperabile.
Questo per due motivi:
− La quantità di tessuto residuo dopo la resezione sarebbe insufficiente
− Il pz non è in grado di sopravvivere ad eventuali complicanze.
➢ Classificazione di Meld
È più recente, nato originariamente per
stabilire la priorità dell’elezione al trapianto
di fegato.
Parametri considerati:
• Creatinina
• Bilirubina
• INR.
Quanto più lo score è alto, tanto più il rischio di mortalità a breve termine è elevato, quindi occorre
priorizzare il trapianto.
Questo sistema è stato adottato dalla chirurgia: non si possono operare pz con MELD ≥ 10.
❖ Staging onco-chirurgico
Mira a definire la strategia terapeutica più appropriata in rapporto al rischio immediato e ai benefici attesi a
distanza.
La classificazione di Barcellona (BCLC, Barcelona Clinic Liver Cancer) opera una stadiazione che tiene
conto sia dell’estensione della neoplasia che del grado di compenso della cirrosi sulla base di diversi
parametri:
164
Trattamento
Si basa su un algoritmo, che in base alla stadiazione permette di stabilire il trattamento più appropriato:
Questo algoritmo è stato ampliamente criticato dai chirurghi perché se da una parte identifica sottogruppi di pz per cui una terapia specifica è
migliore delle altre, dall’altra è estremamente restrittivo nell’indicazione all’intervento di resezione.
Inoltre, non indica la miglior terapia per il singolo pz, ma il miglior pz per la singola terapia.
Un caso particolare è rappresentato dai pz affetti da trombosi della vena porta operati per resezione epatica in HCC.
In questo caso la neoplasia spesso presenta grading G3, ha un elevatissimo tasso di M, alto tasso di mortalità perioperatoria e prognosi
particolarmente infausta.
Malgrado ciò è possibile trovare un razionale dietro alla decisione di praticare una resezione, associata ad altre terapie, pure in questi pz qualora
siano particolarmente giovani, motivati e con una buona funzionalità epatica.
In questo pz la mortalità operatoria è prossima allo 0 e le probabilità di sopravvivenza a 5 anni sono del 60%.
Secondo il Prof., per questo tipo di pz non bisogna necessariamente tenere conto dello schema di Barcellona.
In tal caso, i principali fattori determinanti sono:
• Operabilità del pz: Child, MELD, verde di indocianina
• Possibilità di resecare la lesione: la percentuale di volume epatico residuo deve essere sufficiente
• Possibilità di asportazione radicale.
165
Raccomandazioni pre-trattamento
▪ Tutti i pz con HCC insorto su cirrosi devono essere sottoposti ad una EGDS prima del trattamento.
L’EGDS dovrebbe essere stata eseguita non oltre 12 mesi prima del trattamento dell’HCC e dovrebbe essere ripetuta se si è verificata, nel
frattempo, trombosi portale.
Nei casi di varici a rischio elevato di rottura è indicata la profilassi del sanguinamento con betabloccanti e/o legatura elastica.
▪ Nei pz con infezione da HBV viremici (⇒ ricerca dell’HBV-DNA positiva) è indicata una terapia con analoghi nucleot(s)idici
▪ Nei pz con infezione da HCV viremici (⇒ ricerca dell’HCV-RNA positiva), sottoposti a terapia radicale dell’HCC, vi è indicazione alla terapia
antivirale.
Resezione epatica
Deve essere macroscopicamente radicale, con margine libero >
1cm, per via della capacità dell’HCC di stabilire noduli satellite
(avvalendosi del microcircolo epatico nelle immediate vicinanze della lesione principale ).
L’intervento deve essere eseguito secondo il razionale di maggior riduzione del trauma possibile.
Fattori che incidono sul trauma operatorio:
- durata intervento
- estensione della mobilizzazione
- cruentazione dei tessuti
- perdita di sangue.
La ragione di queste accortezze è che nel pz cirrotico le complicanze si pagano con l’insorgenza nella stragrande maggioranza dei casi di
un’insufficienza epatica postoperatoria.
Altre terapie
• Trapianto (OLT)
• Ablazione percutanea mediante alcol (PEI) intento radicale
• // radiofrequenza (RFA) o microonde (MW)
▪ L’alcolizzazione è invece confinata per lesioni molto piccole, ben capsulate e vicino a strutture (come
vasi, colecisti e visceri intestinali) che potrebbe rendere problematico l’approccio con il calore.
166
L’ablazione percutanea è comunque una metodica estremamente locale, non tratta la eventuale satellitosi, può
favorire impianti parietali e peritoneali e anche la colonizzazione intravascolare per rottura del tumore.
Attualmente si ritiene preferibile la chirurgia per noduli a basso rischio, piccoli e superficiali, mentre la
radiofrequenza per tumori chirurgicamente più complessi.
La letteratura afferma che la radiofrequenza:
• per noduli < 2 - 3cm ⇒ è curativa
• per noduli tra 3 cm - 5 cm ⇒ perde gran parte della sua capacità di essere risolutiva.
In questi casi in cui determina una necrosi parziale (noduli > 3 cm), la necrosi residua può determinare un’alterazione dei rapporti intercellulari
e quindi favorire la crescita e disseminazione neoplastica.
È possibile però procedere con trattamenti multipli: eseguire un primo trattamento, controllare a un mese con la TC ed eventualmente proporre
un secondo trattamento.
In alcuni casi si possono usare strumenti a punte multiple per ampliare la zona di necrosi.
Altra indicazione che sta prendendo piede è il trattamento ponte in attesa del trapianto di fegato: questo viene attuato soprattutto per evitare il drop out
del pz dalla lista d’attesa perché il tumore è cresciuto troppo.
Controindicazioni assolute:
nodulo adiacente al colon ⇛ rischio di perforazione per il calore
nodulo adiacente all’ilo epatico
nodulo pericolicistico ⇛ rischio di coleoperitoneo.
Controindicazioni relative:
nodulo adiacente al diaframma ⇛ rischio di fistole bronco-pleuriche
nodulo adiacente ai vasi, che sembra limitare l’efficacia del trattamento
nodulo sottocapsulare.
Ha avuto molte innovazioni, ma rimangono comunque degli EC legati al fatto che il materiale usato può fuggire e
causare aree ischemiche nel fegato sano e danni alle arterie che vengono ripetutamente incanulate.
167
Resezione e combinazioni terapeutiche
− // complementari ⇒ trattamento di
lesioni associate in HCC multifocale.
Ad es. si può avere la situazione in cui un pz ha due noduli: quello più grosso, difficilmente aggredibile con radiofrequenza o TACE,
viene resecato, mentre l’altro viene trattato con tecnica ablativa.
▪ Una recidiva dopo trattamento chirurgico può essere trattata con ablatzione o TACE.
Recidiva neoplastica
È la prima causa di morte nei pz che vengono operati: metà di essi avrà una recidiva.
L’obiettivo è quello di capire se questa recidiva è ancora compatibile con la possibilità di un trattamento
curativo.
Possibili cause:
• Intervento chirurgico non adeguato:
− resezione con margine positivo
− manipolazione chirurgica che favorisce una disseminazione intraepatica al momento della resezione
• Malattia multifocale: dovuta alla presenza di microfocolai “dormienti” che in quel momento non sono evidenti a livello
macroscopico, ma a distanza di tempo si attivano dando la recidiva
• Carcinogenesi metacrona: costituisce circa il 50% delle cause di recidiva e si tratta di un vero e proprio secondo tumore in un
terreno fertile.
Ciò avviene perché la cirrosi, dopo essere stata la causa del primo tumore, è causa anche del secondo (“la recidiva non è figlia del tumore
primitivo, ma sorella” cit.)
168
Per distinguere la presentazione metacrona dalla metastasi intraepatica, il fattore più importante è il tempo:
• Recidiva precoce ⇒ metastasi intraepatica
• // tardiva (dopo 24 mesi) ⇒ presentazione metacrona.
Il primo problema che si incontra per il fattore tempo è individuare un cut-off che distingua patologia precoce
da quella tardiva: graficando l’andamento nel tempo della disease free survival e vedendo in che punto la curva
flette, si è notato che a 24 mesi la malattia aveva caratteristiche diverse.
Inoltre, le recidive precoci hanno più spesso noduli multipli, grandi e aspetti
istologici meno favorevoli.
169
Altri aspetti di interesse terapeutico
❖ Infiltrazione microvascolare
Rappresenta un fattore prognostico scarsamente considerato negli algoritmi.
Il valore di questa informazione è molteplice:
• Utile per selezionare la terapia: una resezione può non avere senso se si sa che quel tumore ha una elevata probabilità di avere infiltrazione
vascolare ⇛ in tal caso, potrei optare prima per una terapia neoadiuvante
• Valutazione prognostica più accurata: utile per valutare un monitoraggio più serrato o per proporre una terapia adiuvante (⇒ antivirali,
Sorafenib, TACE).
❖ Margine di resezione
È ampiamente dibattuto riguardo la sua estensione
Occorre premettere che nel cirrotico non è possibile fare resezioni troppo ampie perché bisogna risparmiare parenchima e la letteratura dice che non c’è
alcuna evidenza chiara che l’ampiezza del margine chirurgico condizioni la probabilità di una recidiva; addirittura un margine positivo non è un fattore
prognostico chiaro.
Tutto questo porta un altro problema, ovvero se questi pz debbano essere trattati con una resezione anatomica (ovvero seguendo dei piani anatomici visibili
sulla superficie del fegato come il legamento falciforme o che possono essere individuati all’imaging) o invece “a la demande”.
In generale c’è una sopravvivenza migliore in coloro che seguono una resezione anatomica, ma il suo vantaggio non è così evidente nei pz cirrotici, nei
quali l’anatomia è completamente distorta.
Lo stato dei margini e l’entità della resezione possono influenzarsi a vicenda, quindi una resezione anatomica consentirebbe un margine anche minimo (≥ 0
mm), mentre una resezione non anatomica dovrebbe comportare un margine più esteso (≥ 5 mm).
❖ Rottura dell’epatoK
È poco frequente nei paesi occidentali.
Il dubbio principale è che la rottura possa portare, oltre al rischio di emorragia fatale, all’impianto di cellule tumorali nel peritoneo.
Tuttavia, se i pz sono clinicamente stabili e sono sottoposti ad una resezione epatica, questi pz con rottura non presentano un andamento molto diverso da
quelli senza rottura.
Per quanto riguarda la carcinosi peritoneale si è osservato che non è un evento costante e può essere trattabile con una resezione.
❖ Ri-resezione
La possibilità di rioperare il pz deve essere presa in considerazione già al primo intervento, perché nel 50% dei casi si avrà una recidiva, nella maggior
parte dei casi la recidiva sarà intraepatica e bisogna cercare di mantenere tra le possibilità terapeutiche anche la ri-resezione.
Quindi pensare al reintervento già al momento della prima resezione è importante per:
• Limitare l’entità della resezione e risparmiare parenchima
• Limitare l’entità degli scollamenti, perché l’ascite sembra essere un fattore prognostico negativo
• Conservare i peduncoli vascolari.
Nei casi in cui la diffusione della neoplasia sia tale da richiedere un sacrifico importante di parenchima funzionale non neoplastico (ad es. quando si
prevede un’epatectomia dx allargata), è possibile indurre un’ipertrofia controlaterale del fegato ricorrendo a un’embolizzazione del ramo portale, con lo
scopo di ridurre le complicanze legate all’insufficienza epatica postoperatoria causata dalla ridotta quantità di fegato residuo dopo l’intervento.
Prima dell’embolizzazione si esegue uno studio volumetrico che viene poi ripetuto ogni 2 settimane mediante sistemi di calcolo computerizzati, che sono in
grado di misurare con sufficiente precisione i volumi del fegato e, quindi, di rilevare quanto il fegato sia cresciuto.
Solitamente si esegue in sala angiografica da parte di un radiologo interventista: dopo l’esecuzione dell’angiografia convenzionale del fegato per studiare
la vascolarizzazione arteriosa e quella portale, in anestesia locale si procede a inserire attraverso la parete addominale un catetere nella v. porta e si
studia nuovamente l’anatomia della v. porta e delle sue diramazioni iniettando mdc.
Si identificano i rami da embolizzare: se ci si propone la crescita di volume del lobo sx bisognerà embolizzare i rami di dx.
Si posiziona quindi il catetere nei rami prescelti e si inietta il materiale che deve chiudere il vaso.
Il tempo necessario per indurre l’ipertrofia è di circa 3-4 settimane: trascorso questo periodo si esegue una seconda TC addominale con mdc per
verificare l’avvenuta crescita.
170
METASTASI EPATICHE
Richiedono nella loro trattazione delle considerazioni di ordine generale:
• Il fegato rappresenta la prima localizzazione metastatica per molti tumori, soprattutto del tratto
GI, in quanto organo filtro per eccellenza di prima stazione.
Per questo motivo la metastasi epatica potrebbe quasi considerarsi ancora malattia regionale, quindi potenzialmente curabile
• Tanto meno è il tempo passato dalla resezione del T primario alla comparsa della M, tanto più la
malattia è aggressiva
• non per tutte le tipologie di M la rimozione comporta un aumento della sopravvivenza tale da
giustificare il trattamento chirurgico ⇛ non sono trattate chirurgicamente le M epatiche di T gastrici
o pancreatici, ma prevalentemente quelle di T del colon-retto e neuroendocrini.
Non rispecchiano però i criteri che si seguono nella maggior parte dei casi.
La realtà è differente:
− i criteri ideali con cui venivano selezionati i pz al principio sono stati superati
− ormai non c’è limite di età (40% dei pz supera i 70 aa)
− le M sono multiple nel 50% dei casi
− nel 10% dei casi i pz subiscono interventi multipli e giungono dal chirurgo dopo una CT
neoadiuvante nel 40% dei casi.
La CT ha EC sul fegato: in particolare i farmaci più recenti ed efficaci (come l’irinotecan e l’oxaliplatino) determinano steatoepatite
associata ad un danno microvascolare sinusoidale, soprattutto in pz con elevato BMI.
I tassi di morbilità, mortalità e insufficienza epatica aumentano se la chirurgia è eseguita su un fegato steatosico.
Inoltre, la steatosi è di difficile identificazione preoperatoria perché gli esami di laboratorio sono spesso del tutto normali o con lievi
alterazioni, a differenza della cirrosi che si accompagna a parametri di laboratorio e clinici suggestivi.
Pertanto, il carico di CT è così importante per la corretta riuscita dell’intervento che viene discusso con il chirurgo: l’obiettivo della CT
non deve essere quello di far scomparire completamente le M (anche se ci si riuscisse sarebbe solo un evento transitorio), ma solo di
ridurne il volume.
171
Criteri chirurgici attuali
❖ Alla luce dei nuovi protocolli CT, così efficaci da trasformare una M inoperabile in operabile, è
imprescindibile una chirurgia radicale della T primitivo e del bacino linfatico
❖ Sempre grazie ai nuovi protocolli CT e RT, è possibile una resezione sequenziale della M extra-
epatica a 2-3 mesi dalla M epatica.
Ad es. si può fare una resezione della localizzazione polmonare o una RT stereotassica della
metastasi cerebrale dopo asportazione della localizzazione epatica
❖ Per quanto riguarda le metastasi linfonodali al peduncolo epatico, queste sono sempre state
considerate un fattore prognostico negativo perché segno non tanto della diffusione linfonodale del
tumore, ma della metastatizzazione retrograda delle M epatiche (“metastasi delle metastasi”).
Si è visto che se i linfonodi vengono asportati contemporaneamente alla M epatica e i pz vengono
poi sottoposti a CT, i risultati positivi sono apprezzabili
❖ Siamo giustificati a trattare il tumore chirurgicamente in modo non radicale nel momento in cui
possiamo associare trattamenti adiuvanti o sequenziali che portino essi stessi alla radicalità: non si
parla quindi più di chirurgia radicale ma di trattamento radicale
❖ M non resecabili
Erano destinate alla CT palliativa, il chirurgo non veniva più coinvolto perché il pz era considerato
“perso”.
Oggi dopo il trattamento con i nuovi regimi CT alcune di queste metastasi rientrano nei criteri di
resecabilità e sono quindi trattate (“pz che escono dalla porta e rientrano dalla finestra” cit.),
ottenendo una sopravvivenza a 5 anni del 33%.
❖ Numero di M
Certamente si può sostenere che tanto più le M sono numerose tanto più sarà complessa
l’asportazione, ma è difficile indicare un numero di M limite oltre il quale non si può andare.
172
con materiale non riassorbibile o con legatura ⇛ in
questo modo il fegato di dx va incontro ad atrofia e
quello sx ad ipertrofia
Nonostante le considerazioni fatte fino ad ora, in realtà la chirurgia è applicabile in una bassa percentuale
di casi (15%), con una sopravvivenza a 5 anni del 50%.
Approccio migliore
Prevede una strategia onco-chirurgica definita alla prima valutazione clinica congiuntamente da oncologo
medico e chirurgo.
Anche se le M sono operabili fin da subito, sembra che fare la CT neoadiuvante dia un aumento di
sopravvivenza.
Permette inoltre il test of time, che consente di testare l’aggressività biologica del T: il T che progredisce in
corso di CT è di solito poco indicato per la chirurgia.
Ci sono comunque alcuni elementi che permettono di considerare la chirurgia d’emblè: presenza di M
singola che compare dopo 2-3 anni dalla resezione del T primitivo.
Strategia chirurgica
❖ TC o RM non sono sufficienti per una ricerca accurata di tutte le possibili M epatiche ⇛ è
necessario eseguire un’accurata esplorazione, con completa mobilizzazione del fegato per ricerca
delle M occulte
❖ Occorre agire sempre come se il pz dovesse essere nuovamente operato, ovvero essere
assolutamente conservativi sia per quanto riguarda il parenchima (⇒ chirurgia in due tempi) che
per quanto riguarda i peduncoli vascolari.
In particolare, il clampaggio del peduncolo epatico mediante manovra di Pringle permette di
ridurre il rischio di emorragia intraoperatoria (⇒ fattore prognostico negativo), ma d’altra parte si
crea un’ischemia epatica.
Nel fegato sano il clampaggio può essere tenuto anche 1h e mezza (l’unico problema è il rialzo
transitorio delle transaminasi post-intervento), nel cirrotico max 1h.
173
Quando i tempi di intervento sono lunghi ci sono tecniche alternative per scongiurare una ischemia
epatica massiva:
− clampaggio intermittente (con cicli di clampaggio e riperfusione)
− clampaggio selettivo di peduncolo dx o sx se devo resecare solo da una parte
− precondizionamento ischemico con 10 minuti di ischemia e 15 di riperfusione prima
dell’ischemia prolungata.
❖ Per la sezione del parenchima, oggi è molto usato il dissettore ad ultrasuoni Cavitron: il
parenchima grazie agli ultrasuoni si frantuma e i vasi vengono isolati e poi legati.
Altra possibilità di trattare il sanguinamento sono le colle biologiche, applicate sulla trancia di
dissezione alla fine dell’intervento.
Dire tuttavia che l’età non conta nulla sarebbe una leggerezza, perché
sono documentate modificazioni della funzionalità epatica sulla base
dell’età: si ha una riduzione di volume e flusso epatico, della
funzionalità cellulare e immunitaria.
Queste alterazioni del tutto fisiologiche però non si associano ad un
aumento del rischio chirurgico.
174
DISAPPEARING LIVER METASTASIS
Rappresentano un concetto moderno, in quanto è degli ultimi anni l’applicazione estensiva dei protocolli CT
che permettono ad una metastasi di scomparire.
Una metastasi si definisce scomparsa quando non è più rilevabile agli esami strumentali, nemmeno con
calcificazioni residue, nella sede in cui era presente una evidente lesione ⇒ si parla in questo caso di
complete response (CR).
La strategia CT negli ultimi anni è molto cambiata: la CT non viene più usata con solo scopo down-staging
(⇒ con la finalità di ridurre le dimensioni della lesione per renderla trattabile chirurgicamente), ma anche
come terapia neoadiuvante (⇒ con la finalità di eliminare le micrometastasi).
Questo ci permette di introdurre un nuovo concetto: la risposta patologica completa (CPR), che consiste
nella necrosi della lesione con scomparsa totale di cellule patologiche all’analisi microscopica dopo
asportazione del pezzo.
Possiamo osservare come la CPR sia 10 volte più frequente della CR: questo sta ad indicare che la necrosi
della lesione (⇒ obiettivo primario perché significa neutralizzazione della malattia) non sempre si
accompagna alla sua scomparsa all’imaging.
Al contrario la CR può lasciare dei reliquati di cellule patologiche.
Le M che più frequentemente scompaiono sono quelle di pz con M multiple (tenendo presente che è
soprattutto per questi pz che viene indicata la CT neoadiuvante): le DLM sono solitamente di piccole
dimensioni, scompaiono dopo alcuni mesi di terapia, più frequentemente quando le M son > 3 e con almeno
7 cicli di CT (gli schemi CT più recenti danno risposte migliori rispetto a quelli basati sul 5-FU).
La probabilità di avere CPR nelle DLM varia dal 20 al 70%.
Bisogna fare anche attenzione al fatto che la CT, provocando steatosi epatica, che riduce la sensibilità e
specificità della TC e della PET ⇛ la lesione deve essere controllata con la RM.
La probabilità di cellule tumorali nella lesione clinicamente scomparsa è più elevata quando
intraoperatoriamente si vede qualcosa che non si vedeva all’imaging.
175
Al contrario, la lesione non visibile all’esame intraoperatorio (missing metastasis) ha più
probabilità di dare origine ad una durevole risposta clinica completa, dove per “durable clinical
response” si intende la somma dei casi di CPR e di non ricorrenza di missing metastasis per almeno
1 anno.
Le casistiche ci dicono che solitamente una recidiva in una DLM compare entro 12-18 mesi,
dopodiché che se la recidiva non compare entro questo tempo significa che probabilmente non
comparirà più.
• È bene fare la resezione di ciò che è rilevabile all’esame intraoperatorio, eventualmente allargando
la resezione alle DLM se il sacrificio parenchimale è limitato.
La blind resection invece non è giustificata se significa resecare ampie porzioni di parenchima: in
questo ultimo caso è indicata sempre la CT adiuvante.
• Quanto procedere con la CT neoadiuvante: se il percorso del pz non è subito condiviso da oncologo e chirurgo c’è il rischio che venga
perseguito l’obiettivo di far sparire le lesioni, il che porta di solito problemi rilevanti nella gestione del pz (si dice che le DLM “siano il
sogno dell’oncologo e il dramma del chirurgo”)
• Resezione ampia nelle DLM: le M che scompaiono possono avere residuo neoplastico nel 50% dei casi, la CT neoadiuvante lascia
frequentemente delle micrometastasi.
Per questo sarebbe indicato eseguire resezioni ampie.
Molti esperti si sono confrontati su questo punto e ognuno pone delle perplessità.
• Trattamento laparoscopico o laparotomico: la valutazione intraoperatoria va fatta con la mobilizzazione del fegato perché solo allora si
può confermare la scomparsa clinica delle metastasi, inoltre anche l’ecografia intraoperatoria se fatta in laparotomia ha una efficacia
maggiore.
Il dubbio, quindi, potrebbe essere se programmare direttamente una laparotomia piuttosto che una laparoscopia.
176
CARCINOMA del PANCREAS ESOCRINO
Rappresenta il 3% di tutte le nuove diagnosi di tumore ed è uno dei tumori a prognosi più infausta, con una
sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi complessivamente pari all’8%.
La prognosi così severa è da attribuirsi al comportamento metastatico (linfonodale e a distanza) estremamente
precoce, all’aggressività clinica, alla diagnosi tardiva e alla limitata efficacia dei trattamenti CT correnti.
Il sesso M è lievemente più colpito (M:F = 1,5:1), con massima incidenza fra i 50-60 anni.
Fdr:
• Fumo di sigaretta: è il più importante
• Consumo di alcool
• Obesità e ridotta attività fisica
• Alto consumo di grassi saturi, scarsa assunzione di verdure e frutta fresca
• Familiarità e predisposizione genetica: fino al 10% dei pz con tumori pancreatici evidenziano una
storia familiare, ma ad oggi meno del 20% dei casi di adenoK pancreatico familiare può essere
attribuito a sindromi genetiche note:
− Sindrome di Peutz-Jeghers (rischio nel corso della vita del 35%)
− Sindrome melanoma-nevo multiplo atipico familiare
− Mutazioni germline di BRCA
− Pancreatite ereditaria
− Sindrome di Lynch.
Istotipi
L’adenoK duttale è il più frequente (90% dei casi), ad origine
dall’epitelio dei dotti pancreatici.
Il grading istologico di queste lesioni non ha molta importanza dal punto di vista chirurgico in
quanto spesso lo si può valutare solo dopo la resezione.
Storia naturale
• Diffusione locale: il pancreas è un organo profondo e retroperitoneale ⇛ una volta oltrepassata la capsula pancreatica, può intaccare il
grasso peripancreatico, le strutture vascolari (tripode celiaco), linfatiche ed i plessi nervosi.
Si è visto che anche tumori < 2 cm infiltrano i tessuti circostanti nel 90% dei casi
• Multicentricità: nel 20% dei casi alla massa principale si associano micro-focolai di displasia severa o di K in situ, che possono
potenzialmente dare recidive locali (abbastanza rare)
177
Clinica
• Perdita di peso
• Dolore addominale: non sempre presente, è dovuto all’infiltrazione retroperitoneale del tumore ed è generalmente localizzato ai
quadranti superiori, di tipo sordo, persistente, irradiato posteriormente “a barra”; può essere confuso con quello da pancreatite cronica
• Ittero ostruttivo progressivo (⇛ urine ipercromiche e feci ipo/acoliche, prurito generalizzato): è tipico dei tumori
localizzati alla testa del pancreas, per ostruzione/compressione del segmento intraepatico del dotto
biliare comune.
N.B: se l’ittero è associato a dolore è più spesso indice di patologia benigna, mentre se è isolato è segno di malattia maligna.
• Altri sintomi:
− Nausea e vomito
− DM di nuova insorgenza
− Malassorbimento e steatorrea
− Tromboflebite migrante: sindrome paraneoplastica, particolarmente sospetta in un uomo adulto senza altri fdr
− Il segno di Courvoisier-Terrier (⇒ colecisti dilatata e palpabile non dolente + lieve ittero), massa palpabile a livello addominale
e ascite sono rilevabili molto tardivamente.
Diagnosi
Avviene in media dopo 4 mesi dall’esordio dei
sintomi per i K della testa e dopo 6 mesi per quelli
del corpo e della coda.
• Anamnesi ed EO
• Esami ematochimici:
− Test di funzionalità
epatica ⇒ colestasi
− Marker tumorali
CEA e CA19.9: sebbene poco sensibili e specifici per la diagnosi, hanno valore predittivo
di ripresa di malattia nei pz già operati.
L'antigene del pancreas CA 19-9 può essere utilizzato per monitorare i pz con diagnosi di K pancreatico e per lo screening di
quelli ad alto rischio.
Tuttavia, questo esame non è abbastanza sensibile o specifico per essere usato per lo screening della popolazione.
I livelli molto elevati si devono ridurre dopo un trattamento efficace; gli aumenti successivi sono indice di una progressione
della malattia.
Inoltre, Ca19.9 può risultare elevato in caso di colestasi e ittero; la sua alterazione è più significativa in caso di pz non itterici o
in caso di non negativizzazione in seguito alla risoluzione dell’ittero.
• Eco addome: esame di primo livello, utile per la definizione dell’ittero ostruttivo (⇒ dilatazione delle vie
biliari) e per la valutazione del fegato.
Ha buon potere risolutivo sulla testa del pancreas.
Le neoplasie sono visibili come lesioni focali, di solito ipoecogene, ma la dimensione minima con cui possono essere individuate varia
molto in base all’esplorabilità del pancreas (influenzata da meteorismo, obesità, pancreatite cronica).
Può individuare adenopatie e masse metastatiche, che condizionano l’operabilità della lesione.
Permette l’esecuzione di biopsie mirate per via percutanea, anche se non sono consigliate sia per il rischio di formazione di fistole che per il
rischio di diffusione della malattia.
L’eco-color-doppler può essere usato per valutare i rapporti con i vasi e la presenza di
infiltrazione.
L’eco-endoscopia (transgastrica e transduodenale) permette una migliore visualizzazione del pancreas e della
coda (mal valutabile all’eco standard per l’interposizione del colon).
È utile per un’accurata valutazione dell’eventuale interessamento vascolare e per l’esecuzione di
biopsie (con rischi inferiori rispetto alla biopsia percutanea).
178
• TC torace-addome multislice con mdc: permette una migliore visualizzazione della neoplasia anche a
livello di corpo e coda, nonché dei vasi e delle M.
L’infiltrazione retroperitoneale è un segno di forte sospetto per lesioni avanzate e inoperabili.
• RM colangio-pancreatografica: viene usata alla fine del percorso diagnostico e permette di valutare
meglio struttura e consistenza del pancreas, entrambe fondamentali per predire il rischio chirurgico.
La coesistenza di dilatazione della via biliare e del Wirsung (⇒ segno del doppio canale) è
fortemente associato a tumore della testa del pancreas.
Per ricapitolare, si volge ecografia come esame di primo livello, poi TC come esame di prima scelta
per DD e stadiazione, infine RM come problem solver.
Questi esami di imaging sono indispensabili per distinguere tra pz potenzialmente eleggibili per
resezione con intento curativo e quelli con malattia non resecabile.
Altre metodiche:
• PET: non è molto usata, in quanto non altera la classificazione di operabilità: se sono presenti M, è quasi certo che il tumore non sarebbe
stato operabile anche per interessamento linfonodale e vascolare
• CPRE: può essere usata a scopo terapeutico per la risoluzione dell’ittero ostruttivo (⇒ mediante
posizionamento di protesi); in questo contesto è possibile ottenere campioni citologici tramite
brushing (i prelievi sono difficili e non sempre si ottengono risultati adeguati).
Tipi di protesi:
− Protesi classiche: sono in
polietilene e possiedono delle
alette che riducono il rischio di
dislocazione.
Se mantenute in sede per 3-4
mesi aumentano il rischio di
colangite e ri-occlusione ⇛ se
l’aspettativa di vita è più lunga
è consigliato usare una protesi
metallica
− // metalliche: sono auto-espandibili e permettono una rapida detensione dell’ittero (poche ore), riducendo molto il rischio di ri-
occlusione.
Sono preferite a quelle in polietilene soprattutto in caso di pz che hanno bisogno di CT; il difetto è che hanno un costo
superiore
• Pancreatoscopia e coledocoscopia: sono metodiche relativamente nuove e non disponibili in tutti i centri, non sono ancora
chiare le indicazioni
• Drenaggio percutaneo transepatico biliare (PTBD): viene considerato in caso di fallimento o se vi sono
controindicazioni al posizionamento dello stent biliare per via endoscopica.
Permette il drenaggio percutaneo dell’ittero: si punge la via biliare sotto guida ecografica e si inserisce un catetere forato per portare la bile
all’esterno.
Questa metodica crea un passaggio diretto tra la via biliare e l’esterno, con alto rischio di contaminazione, soprattutto se il catetere arriva
nel duodeno (se viene posizionato troppo indietro c’è il rischio di dislocazione)
179
• Biopsia: si ritiene utile soprattutto nei pz con sospetto clinico e radiologico di adenK duttale in
assenza di chiari segni di malignità e nei pz non candidabili a chirurgia.
Oggi si esegue generalmente per via endoscopica (che permette una migliore visualizzazione e una riduzione delle
complicanze).
In passato si faceva per via percutanea (PFBN): le problematiche principali sono la sede profonda, la scarsa visibilità causata dallo stomaco
disteso o dal meteorismo, il trapasso dello stomaco.
Nel 3,3% si verificano complicanze come pancreatite, fistola pancreatica, sanguinamento e c’è il rischio di disseminazione tumorale.
• Laparoscopia esplorativa: oggi non è più usata per ottenere una conferma diagnostica, ma serve per ottenere una conferma dell’operabilità
della lesione prima di iniziare l’intervento stesso: permette di visualizzare i contatti con le strutture vascolari e biliari non visibili
all’imaging, soprattutto se associata ad ecografia.
Stadiazione
La stadiazione più importante è quella basata sulla resecabilità del T secondo la classificazione NCCN 2016:
➢ Resecabile (15% dei casi): con sopravvivenza a 5 anni del 25%.
Criteri:
− No M
− Nessun contatto con v. mesenterica superiore o v. porta o contatto ≤ 180° senza irregolarità
del contorno del vaso
− Nessun contatto con a. mesenterica superiore, tripode celiaco e a. epatica comune
➢ Borderline Resectable (10%): per cui è probabile una resezione non radicale (R1).
Criteri:
− No M
− Contatto con v. MS o della v. porta ≥ 180° oppure con irregolarità del profilo venoso
oppure con trombosi, ma con possibilità di ricostruzione vascolare
− Contatto con v. CI
− Contatto con a. MS o tripode celiaco < 180° o contatto con a. EC La differenza di classificazione tra
ma senza estensione al tripode celiaco o alla biforcazione dell’a. vene e arterie è data dal fatto che le
epatica arterie sono circondate da
strutture linfatiche e nervose ⇛
l’interessamento del vaso arterioso è
➢ Non resecabile (75%) sempre associato all’interessamento
Criteri: di queste strutture, quindi anche
− M+ (50% dei casi), incluse metastasi linfonodali non regionali ricostruendo l’arteria non si
otterrebbe un miglioramento in
termini di sopravvivenza.
− Contatto con v. MS o v. porta senza possibilità di ricostruzione
vascolare
− Contatto con a. MS o tripode celiaco ≥ 180%
180
Terapia
181
Trattamento chirurgico
Valutazione rischio operatorio
Il pz non deve solo essere in grado di sopportare
❖ Per K della testa del pancreas ⇒ Duodeno Cefalo- l’intervento, ma anche di sopportare le complicanze
Pancreasectomia (DCP) specifiche, che si verificano nel 50% degli interventi.
Per la DCP, si usa l’accesso sottocostale, in quanto espone bene pancreas ed ilo epatico.
Prima di fare qualsiasi resezione bisogna valutare l’indennità delle strutture vascolari mediante di flessura epatica e duodeno (manovra di
Kocher).
Prima della sezione del pancreas è importante valutarne dalla faccia posteriore per verificare che l’asse mesenterico non sia coinvolto.
La sezione del pancreas può essere fatta con varie tecniche: il prof. usa un bisturi a freddo con dei punti per fare emostasi piuttosto che
tecniche di radiofrequenza in quanto è importante valutare la vascolarizzazione dell’organo (fdr principale per la formazione di fistole).
La ricostruzione solitamente utilizza un’unica ansa digiunale per ricollegare pancreas, dotto epatico
comune e stomaco, mediante:
• Anastomosi pancreatico-digiunale:
− termino-terminale: si può fare se i diametri sono congruenti; di solito si posiziona un tutore
nel Wirsung per evitarne la legatura accidentale e per facilitare il drenaggio
− termino-laterale: si può fare a tutto spessore o con una piccola incisione che permette di
collegare il Wirsung alla mucosa.
182
Per ricollegare il moncone pancreatico, si può anche usare lo stomaco al posto dell’ansa digiunale con diversi vantaggi: l’anastomosi è
più vascolarizzata e visualizzabile tramite endoscopia, i succhi pancreatici non vengono attivati dalla bile.
Il vantaggio nel lasciare il pancreas è che viene garantita sia la funzione endocrina che quella esocrina: i pz di solito non diventano
diabetici rimuovendo solo la testa del pancreas, al massimo hanno un peggioramento della tolleranza glucidica.
• Anastomosi gastro-digiunale.
Complicanze
Il problema principale è il rischio di fistola (15% dei casi) a
livello dell’anastomosi, che può provocare ascessi
addominali/complicanze settiche e sanguinamento tardivo
(causa principale di morte nei pz operati).
• Tipo C:
− Reintervento
− Segni di infezione con insufficienza d’organo
− Insufficienza d’organo.
La previsione del rischio di fistola è importante per attuare manovre preventive come centralizzazione (⇒
trasferimento e management del pz in centri con alta esperienza), terapia anti-secretiva con somatostatina o digiunostomia
nutrizionale.
Fattori principali per il calcolo del rischio:
• Consistenza pancreas: se morbido, rischia di
lacerarsi al momento della sezione
• Eziologia della malattia
• Diametro del Wirsung: più è piccolo e più è alto il
rischio
• Sanguinamento intra-operatorio.
183
Emorragia Post-Pancreatectomia (PPH)
Si suddivide in:
• Emorragia precoce: si verifica entro 24h dall’intervento ed è generalmente dovuta ad un errore
tecnico dell’intervento (ad es. emostasi non sufficiente o laccio che ha ceduto):
− Se c’è un sanguinamento endoluminale/GI (ad es. a livello gastrico, rilevabile tramite
ematemesi), questo può essere dovuto a un sanguinamento a livello della mucosa o della
sutura ⇛ endoscopia immediata con emostasi
− // extraluminale, visibile dai drenaggi ⇛ chirurgia tempestiva per emostasi e rimozione
dell’ematoma
• Emorragia tardiva: di tipo arterioso, può manifestarsi anche a distanza di 15-30 giorni
dall’intervento, con elevata mortalità:
− Se sanguinamento endoluminale/GI ⇒ ulcera marginale dell’anastomosi pancreatica ⇛
endoscopia con emostasi.
Attenzione: anche se il sanguinamento sembra endoluminale, non bisogna escludere la
possibilità di sanguinamento in cavità peritoneale che drena all’interno dei visceri (⇒
sanguinamento pseudo-intraluminale).
184
❖ Pancreasectomia totale
È tecnicamente più semplice rispetto alla DCP (in quanto non è necessario confezionare l’anastomosi), ma si è visto che la mortalità non è inferiore
alla prima procedura.
Vantaggi: asportazione anche di eventuali focolai distaccati, linfadenectomia più completa ed elimina i rischi derivanti dal moncone lasciato in sede.
Questo intervento ha un tasso superiore di fistole rispetto alla DCP (anche >50%), le quali sono però meno
aggressive (in quanto i succhi pancreatici non vengono attivati).
Oggi si pensa che l’associazione di CT neoadiuvante e chirurgia sia la scelta migliore per trattare i tumori del pancreas.
Usare la CT neoadiuvante consente di osservare il tumore per più tempo definendone meglio l’aggressività e in alcuni casi può riportare
all’operabilità tumori prima definiti inoperabili.
Inoltre, nel 40% dei casi la CT non può essere fatta nel post-operatorio, quindi non farla prima toglie ai pz una possibilità di terapia: questo succede
perché l’intervento di pancreasectomia è impegnativo e collegato ad un alto rischio di infezioni.
Questo fattore è particolarmente importante nei tumori borderline per i quali c’è un rischio elevato di resezione incompleta.
185
Procedure palliative
La palliazione per il transito gastro-duodenale è necessaria quando il tumore infiltra il duodeno e ne occlude il lume (15% dei pz): si può fare una
gastro-entero-anastomosi per via laparoscopica/eco-endoscopica o si possono inserire protesi che bypassano il tratto occluso.
❖ Mortalità e incidenza: è indubbio che il tumore del pancreas sia una delle neoplasie dotate di maggiore mortalità.
Tuttavia, in termini di incidenza si pone un problema: 9 casi/100.000 ab all’anno, ossia un valore circa 3-4 volte inferiore rispetto all’HCC
186
TUMORI CISTICI del PANCREAS
Sono generalmente benigni e nella maggior parte dei casi non necessitano di trattamento chirurgico, che si
correla ad un elevato livello di mortalità peri-operatoria (5%) e a rilevanti sequele funzionali nel lungo
periodo dovute all’insufficienza pancreatica cronica.
Occorre comunque tener presente che alcuni tumori cistici del pancreas sono maligni, anche se meno
aggressivi rispetto ad un adenoK duttale.
Complessivamente rappresentano il 10% delle neoplasie epiteliali del pancreas esocrino e riconoscono
come gold-standard diagnostico la colangio-RM.
Classificazione anatomo-clinica
Distingue tre grandi entità:
➢ CISTOADENOMA SIEROSO
Anche detto tumore microcistico, rappresenta il 20% di tutti i tumori cistici del pancreas, si presenta
come una lesione cistica con diametro medio di 2 cm e struttura multiloculare ad alveare (facilmente
evidenziabile sia all’eco che alla TC).
La sua caratteristica principale è di essere benigno nel 100% dei casi.
Management:
• Se la diagnosi è ragionevolmente certa e il pz è asintomatico, non bisogna fare assolutamente
nulla.
Occorre differenziarlo dal cistoadenoma mucinoso, che può invece presentare una componente a rischio di progressione maligna
• Se le lesioni sono voluminose (> 4/5 cm), crescono nel tempo, provocano sintomi (ad es. dolore
addominale e dispepsia da compressione), si può considerare la resezione, ma al solo scopo sintomatico.
Caratteristiche delle Neoplasie Intraduttuali Papillari Mucinose (IPMN): generalmente questi tumori insorgono in pz anziani, con leggera
prevalenza nel sesso M.
Sono localizzate più frequentemente a livello della testa e del processo uncinato del pancreas e soono caratterizzate dalla proliferazione delle
cellule intraduttali producenti mucina, all’interno del dotto principale o dei dotti secondari, o di entrambi.
Il risultato è la dilatazione dei dotti interessati o la loro ostruzione, con una sintomatologia, quando presente, caratterizzata da attacchi ricorrenti
di pancreatite acuta ostruttiva.
La produzione di muco può essere così abbondante da essere visibile durante l’esame endoscopico mentre fuoriesce dall’ampolla di Vater.
187
❖ Quando operarli: sono numerosi gli studi in letteratura che, in maniera retrospettiva, vanno ad analizzare i fattori pre-operatori predittivi
di malignità: alcolismo, ittero ostruttivo, diametro del Wirsung aumentato, elevato diametro delle cisti periferiche, presenza di noduli nella
parete delle cisti o del Wirsung.
Il problema è che la sensibilità di tutti questi fattori messi insieme arriva al 60%, quindi in un pz che non presenta nessuno di questi fattori
il tumore potrebbe essere ancora maligno (falsi negativi 40%).
La PET aggiunge specificità (cioè se una lesione è sospetta per essere maligna, ma non capta in PET può essere un falso positivo):
− Specificità della RM: 40% (quindi nel 60% dei casi il pz viene operato, pur sapendo che viene operato per errore)
− Specificità della PET: 100%
Il punto da tenere in considerazione è che le sequele dell’intervento sono drammaticamente importanti e il rischio è quello di lasciare il pz
in terapia sostitutiva cronica per tutta la vita:
− Per quanto riguarda la funzione esocrina, vengono forniti continuamente enzimi pancreatici esogeni senza un vero beneficio,
perché il pz continua a mal assorbire e a produrre anche fino a 10 scariche al giorno di aspetto untuoso
− // funzione endocrina, il problema non è tanto l’iperglicemia (facilmente controllabile con insulina), quanto le ipoglicemie,
potenzialmente mortali.
Quindi, davanti ad un Wirsung dilatato, ci si deve chiedere se sia dilatato per un’ostruzione a valle o se lo sia a causa della neoplasia.
È inoltre importante sapere fino a dove è dilatato il Wirsung, perché se lo è fino a prima dei vasi mesenterici (istmo del pancreas) si
procede con un intervento di spleno-pancreasectomia distale (conservativo); di contro, se la dilatazione supera questo limite, allora si è
costretti ad attuare la duodeno-cefalo-pancreasectomia (ben più demolitiva).
La differenza principale
fra i due tipi è la
comunicazione col dotto di Wirsung:
− assente ⇒ MCN
− presente ⇒ IPMN Branch Duct
188
Flow-chart diagnostico-terapeutico per tumore cistico pancreatico non sieroso:
In tal caso, procedere con eco-endoscopia con agoaspirato (per citologia) e valutare se indirizzare
a chirurgia o follow-up.
2) In caso di negatività delle caratteristiche sospette per malignità, follow-up con RM e/o EUS a cadenza
programmata a seconda della grandezza della cisti:
- Se la cisti è < 1cm: controllo dopo 2-3 anni
- Se la cisti è > 3cm: stretta sorveglianza con RM ed EUS ogni 3-6 mesi; valutare chirurgia in pz giovani e sani.
189
NEOPLASIE del PANCREAS ENDOCRINO
Rappresentano solo il 2-5% delle neoplasie pancreatiche, con picco d’incidenza dai 30 ai 60 anni, ma quando associate a sindrome genetiche quali
MEN1 insorgono in età più precoce (10-30 anni).
L’OMS definisce le neoplasie del pancreas endocrino come neoplasie neuro-endocrine (NEN), in base all’espressione di marcatori condivisi con il
SN quali cromogranina A e sinaptofisina.
La classificazione OMS identifica due grandi categorie:
I NEN del pancreas possono insorgere anche nel contesto di una sindrome genetica come la MEN 1 (Multiple Endocrine Neoplasia), a trasmissione
AD determinata dalla mutazione loss of function del gene oncosoppressore MEN1.
Può manifestarsi con più di 20 neoplasie diverse; in termini pratici segue la “regola delle 3P”:
- Adenoma delle Paratiroidi
- Tumori neuroendocrini del Pancreas, soprattutto gastrinomi e insulinomi
- Meno frequentemente adenomi iPofisari, soprattutto Prolattinomi
Diagnosi:
• Su base clinica ⇒ pz con 2 o più tumori MEN1 associati
• // familiare ⇒ pz con tumore MEN1 associato ed un familiare di primo grado affetto da MEN1
In seguito alla formulazione del sospetto, si indirizza il pz ed i suoi familiari al test genetico.
Nei familiari risultati portatori di mutazione per la MEN1 viene effettuato lo screening biochimico e radiologico:
190
NEOPLASIE del PICCOLO INTESTINO
Costituiscono solo il 2,5 % di tutti i tumori del tratto GI, nonostante l’intestino tenue rappresenta il 75%
della lunghezza del canale alimentare.
Si tratta di una percentuale irrisoria se confrontata con i casi di tumore al colon (70 %), stomaco (16 %), esofago (10%).
A tal proposito, sono state avanzate diverse ipotesi per spiegare la ridotta incidenza di neoplasie:
• Contenuto: è meno irritante (cancerogeno), perché prevalentemente liquido e contenente diversi tipi di sostanze rispetto al contenuto dello
stomaco (contenuto acido) o dell’intestino crasso
• Diversa popolazione batterica: quantitativamente ridotta e prevalentemente aerobica (ridotta produzione di cancerogeni); nell’intestino
crasso, i batteri sono molti di più (la massa fecale è composta per il 15-20% da batteri) e prevalentemente anaerobi
• Abbondante componente linfatica: il tenue può essere considerato un vero e proprio “organo linfatico”, con una grossa componente di
cellule immunitarie, soprattutto Ly
• Attività enzimatica: maggior presenza di succhi pancreatici e bile, con aumentata detossificazione di potenziali cancerogeni.
Sedi di insorgenza complessiva: non ci sono grosse differenze: ileo 38%, digiuno37%, 25% duodeno.
Mentre ileo e digiuno hanno limiti anatomici di separazione abbastanza vaghi (con l’ileo più lungo del digiuno), il duodeno ha invece limiti precisi di
demarcazione (inizia a livello del piloro, termina a livello del Treitz).
Se si considera la percentuale relativa di neoplasie che insorgono nel duodeno e la si rapporta alla scarsa lunghezza di questo tratto (20-25 cm), si
può dedurre che il duodeno è in effetti la sede privilegiata delle neoplasie del tenue.
Classificazione istologica
− Emangiomi
− Amartomi: possono essere associati alla sindrome di Peutz-Jeghers, una malattia genetica a
trasmissione AD, con prevalenza di 1:50.000.
Si caratterizza per polipi amartomatosi multipli nello stomaco, nel tenue e nel colon, insieme a
caratteristiche lesioni pigmentate nel derma (in particolare della mucosa orale).
È presente un aumentato rischio di tumori GI (fra cui anche pancreas) e non GI (come mammella,
polmone, utero, ovaie e testicoli).
− Neurofibromi.
➢ // maligni (60%):
− AdenoK (35%)
− Carcinoidi (40%)
− Leiomiosarcomi
− GIST
− Sarcoma di Kaposi.
191
Clinica
Spesso sintomatica, ma con manifestazioni molto aspecifiche (come nausea, vomito, dolore addominale
intermittente, emorragia GI con anemia, calo ponderale…).
Per via della scarsa frequenza di queste neoplasie, non vengono quasi mai considerate come probabile causa
almeno inizialmente ⇛ diagnosi tardiva, con neoplasia in stadio avanzato o metastatico.
L’unico sintomo specifico è l’invaginazione (con conseguente quadro di occlusione), ma è il più raro (4%).
Infatti un’invaginazione intestinale nell’adulto (confermata tramite esami strumentali) è quasi sempre sostenuta da una neoplasia del piccolo intestino.
Buona parte delle diagnosi si ottiene dunque nella fase intraoperatoria e spesso in urgenza, con un pz
spesso operato per sindromi addominali acute di natura occlusiva, emorragica (ad es. emoperitoneo) o
peritonitica.
Queste lesioni spesso sono multifocali (soprattutto carcinoidi e linfomi) e si associano con lesioni tumorali
in altre sedi, soprattutto quando insorgono nel contesto di sindromi genetiche.
La sede di insorgenza rappresenta la discriminante maggiore: gli adenoK duodenali insorgono in pz più
anziani, tendono a essere più spesso localizzati e a dare minore incidenza di N+, ma richiedono chirurgia
radicale più complessa ⇛ prognosi peggiore.
Se la lesione è localizzata nella regione peripapillare (papilla di Vater, allo sbocco del dotto di Wirsung e del coledoco) è asportabile con un intervento
sovrapponibile a quello effettuato per l’adenoK del pancreas.
192
Clinica:
• Forme silenti: asintomatiche, con riscontro causale (incidentaloma).
− Non funzionanti:
senza segni clinici
di iperincrezione
(in assenza o presenza di
secrezione ormonale);
provocano sintomi
da complicanze
(principalmente
emorragie GI o occlusioni a livello del piccolo intestino).
− istamina e bradichinina: responsabili di flushing cutanei (rossore sgradevole tipicamente del volto, collo e torace),
lacrimazione, scialorrea, broncocostrizione e ipotensione.
Si sviluppa più frequentemente con NEN a insorgenza ileale e presuppone la presenza di M epatiche (che
riducendo la capacità di clearance epatica, permettono il rilascio di ormoni direttamente nel sistema circolatorio ).
Fanno eccezione i NEN ad origine dal distretto toracico che possono causarla anche in assenza di M epatiche.
Può essere identificata con il dosaggio nelle urine delle 24h dell’acido 5-idrossi-indoloacetico (5-HIAA).
Per evitare risultati falsamente positivi, il test va effettuato dopo che il pz si sia astenuto per 3 giorni dall'assunzione di cibi contenenti serotonina (come
banane, pomodori, prugne, avocado, ananas, melanzane, noci).
Diagnosi e stadiazione: TC con mdc, RM, PET/TC con analoghi della somatostatina marcati con Gallio-68
(marcatore specifico per i NEN, soprattutto per le forme differenziate, che esprimono i recettori della somatostatina - SSTR).
Oggi la PET/TC è preferita alla scintigrafia con 111In-penteotride, nota anche come Octreoscan.
Le indicazioni all’impiego dell’imaging recettoriale con radiofarmaci che legano i recettori per la somatostatina includono la stadiazione
(caratterizzazione del T primitivo e delle lesioni metastatiche linfonodali e a distanza), la localizzazione del T primitivo ignoto in pz con M
neuroendocrine accertate, la dimostrazione in vivo dell’espressione dei SSTR sulle cellule neuroendocrine per la pianificazione terapeutica, nonché la
ristadiazione dell’estensione della malattia a seguito del trattamento.
Concetto fondamentale dei NEN è che persino piccole lesioni possono essere associate a M.
Circa il 90% dei carcinoidi siti nell’ileo, stomaco e colon coinvolgenti la tonaca muscolare ha anche già interessato i linfonodi locoregionali e sedi di
metastatizzazione a distanza (fegato e polmone). Al contrario, i carcinoidi localizzati in sede appendicolare e rettale raramente metastatizzano.
La prima sede per frequenza sono i linfonodi del meso, con un'invasione che si porta progressivamente in profondità fino alla radice della a.
mesenterica superiore.
193
Trattamento: è basato su una chirurgia curativa con resezione segmentaria del T (comprendendo il ventaglio
mesenterico del segmento intestinale asportato; nel contesto del mesentere si ha infatti la diffusione linfatica locoregionale della malattia ).
N.B: va associata la colecistectomia se è presente calcolosi e se c'è un trattamento con analoghi della somatostatina da associare dopo la chirurgia.
Lo stesso concetto di chirurgia curativa, quando possibile, va applicato alle M, ma bisogna considerare che:
- in un NEC metastatico, la prognosi non migliora neanche asportando le M (di solito epatiche) ⇛ è
controindicato intervenire
- in un NET ben differenziato, ha senso trattare eventuali M.
Confrontando le curve di sopravvivenza per le lesioni del digiuno e ileo, si nota che, per qualsiasi stadio di malattia, tali lesioni sono correlate con una
buona sopravvivenza (mediana: maggiore in ogni caso di 65 mesi).
Secondo alcuni dati, infatti, la presenza di M epatiche da NEN digiunale/ileale non modificherebbe più di tanto la sopravvivenza a lungo termine
e, in effetti i pz con malattia M+ (epatica) hanno una sopravvivenza a 5 anni del 54%, poco inferiore rispetto ai pz con malattia localizzata (65%).
Inoltre, quando le M non risultano asportabili, la chirurgia del T è comunque indicata per evitare complicanze intestinali.
La chirurgia delle M può essere fatta anche a scopo di debulking: pur essendo consapevoli del fatto che la chirurgia non sarà radicale viene comunque
intrapresa come scelta terapeutica per ridurre i sintomi e si garantisce così la possibilità di chemioembolizzare la restante quota di M rimasta.
• le M extra-epatiche non sono controindicazione alla chirurgia epatica: la maggior parte dei pz muore
per insufficienza epatica.
194
N.B: l'assenza di M resta comunque l'aspetto prognostico positivo più importante, che influenza
nettamente la sopravvivenza.
L'unica eccezione è rappresentata dai NET localizzati nel digiuno/ileo, in cui la presenza di M
epatiche cambia di poco la sopravvivenza.
Per questi NET del piccolo intestino è quindi ancora più importante perseguire un atteggiamento
curativo (per quanto riguarda la chirurgia “radicale” del fegato), in grado di migliorare
significativamente la prognosi della malattia.
Controindicazioni:
NEC (G3)
M extra-epatiche
Non GEP-NET o tumore drenato dal sistema venoso portale (ad es. esofago e retto)
Avanzata cardiopatia da carcinoide
Altre controindicazioni mediche o chirurgiche al trapianto.
Negli ultimi due anni, tale indicazione è stata estesa anche ai casi di M epatiche da CCR.
Per quanto riguarda la terapia chirurgica, di solito si opera con una resezione
sincrona in un tempo (one-shot) se l’intervento sull’intestino è facile e la
chirurgia delle M lo è altrettanto, se i pz sono giovani ed in grado di sopportare
un intervento lungo (tali indicazioni valgono sia per i NET che per il CCR).
Quando queste condizioni non si verificano, è preferibile una chirurgia in due tempi.
La possibilità di scelta fra chirurgia sincrona o metacrona vale anche per NET con diversa sede.
Si ricorda che per M da NET del pancreas si aggiungono i problemi relativi alla chirurgia sul T, che risulta più difficile rispetto ad una chirurgia di
un T intestinale: in questi casi viene persa la possibilità di effettuare chirurgia sincrona (fare una duodenopancreatectomia associata a una resezione
epatica).
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TUMORI STROMALI GI (GI-ST)
Tumori rari dei tessuti mesenchimali che possono interessare qualunque distretto del tratto GI, sebbene la
maggior parte si localizzi a livello dello stomaco e del piccolo intestino (a livello digiuno-ileale, in particolare a livello
del diverticolo di Meckel).
Patogenesi: i GIST originano dalle cellule di Cajal (ICC) e/o da una loro cellula progenitrice.
Le ICC sono le cellule pacemaker della normale peristalsi intestinale.
Nella quasi totalità dei casi si riscontra la mutazione gain-of-function nel gene KIT, rilevabile mediante IIC
con positività per l’Ag CD117 ⇛ diagnosi istologica e possibilità di target therapy.
La distinzione dicotomica tra neoplasie benigne e maligne oggi non appare appropriata per i GIST ma si preferisce utilizzare il concetto di categorie
di rischio in un’ottica di probabilità.
Trattamento:
▪ Target therapy di prima linea con Imatinib, seconda linea con Sunitinib e terza linea con Regorafenib.
Questi farmaci a bersaglio molecolare possono essere utilizzati:
− Pre-chirurgia ("preparatori" con effetto downstaging o neoadiuvante)
− Post- chirurgia ("complementari", ovvero terapia adiuvante)
− In sostituzione della chirurgia.
I farmaci molecolari sono efficaci, ma esiste un dubbio interpretativo per quanto riguarda la modalità di valutazione della risposta della
lesione a questi farmaci: infatti, si verifica prima un aumento apparente delle dimensioni (o una stabilizzazione nella crescita) e
contemporaneamente una alterazione della struttura della lesione (densità, vascolarizzazione) che ne rende più agevole la rimozione
chirurgica.
− per lesioni >2 cm: intervento chirurgico con intento radicale (R0), possibilmente
rispettoso della funzionalità d'organo, eventualmente preceduto da target therapy a finalità
di downstaging.
Grosse resezioni con linfoadenectomie estese non sembrano dare un vantaggio terapeutico (per cui ad es. di fronte a una
piccola lesione nello stomaco, non ha senso fare una gastrectomia).
È fondamentale evitare la rottura della capsula tumorale, per via dello sgocciolamento di cellule che si impiantano facilmente
nel peritoneo.
196
LESIONI PRECANCEROSE del COLON
Sono individuabili precocemente mediante screening con:
Intervallo di tempo nella progressione
delle lesioni precancerose:
❖ Metodiche di Cancer Prevention Test
Permettono di prevenire l’insorgenza del K colon-rettale: nel • Dalla mucosa normale
all’adenoma ⇒ da 5 a 20
complesso, han dimostrato una diminuzione di incidenza del CCR anni
dell’80% e una diminuzione di mortalità del 60%. • Dall’adenoma a K ⇒ da 5 a
15 anni
Fra tutte, la più efficace è la colonscopia, eseguita a partire dai 50 anni • In pz ad alto rischio, dalla
mucosa normale a K ⇒ circa
ogni 10 anni. 10 anni.
Più usata in passato era la sigmoidoscopia, eseguita ogni 5-10 anni, che indaga
la porzione più distale del colon, tenendo conto del fatto che, generalmente, le
lesioni adenomatose sono più frequenti nel colon di sx.
Si basava sull’ipotesi che se nel colon di sx non ci sono adenomi, è poco
probabile che ce ne siano nel colon di dx: questo approccio, in realtà, ha dei grandi limiti perché negli ultimi decenni si è riscontrata la
presenza di lesioni precancerose anche nel colon di dx che non sono adenomatose, ma serrate non polipoidi, iperplastiche e dalla
morfologia particolare, con le cripte disposte a dente di pettine.
Sono in genere difficili da identificare anche perché la loro presenza è indipendente dal fatto che ci siano anche lesioni adenomatose.
Tra queste tecniche si ricorda la ricerca del sangue occulto fecale (SOF), che indica la presenza di
un’eventuale lesione con microsanguinamenti.
Se la colonscopia è positiva:
− Se si riscontra una lesione neoplastica ⇒ resezione chirurgica della lesione + follow up
Se la colonscopia risulta negativa: in questo caso si dovrà ripetere la ricerca del SOF a 5 anni.
Rappresenta comunque un problema, poiché esistono infatti i problemi dei falsi negativi alla colonscopia.
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In termini di falsi negativi, alla prima colonscopia non vengono diagnosticati:
− Il 26% degli adenomi di dimensioni tra 1 e 5 mm
− Il 2,1% degli adenomi di dimensioni maggiori di 1 cm (adenomi avanzati)
− Il 2-6% dei K (soprattutto quelli con diametro ridotto, 5-8 mm).
Se le lesioni sono multiple, aumenta la percentuale di rischio di non riuscire ad identificare tutte le
lesioni presenti: per evitare ciò, occorre rispettare determinati criteri:
− Sufficiente sperienza dell’operatore
Chi esegue l’esame deve essere abile, addestrato e seguire programmi di miglioramento della qualità.
Con la sigla ADR si fa riferimento all’Adenoma Detection Rate: nella popolazione generale di età > 50 anni l’ADR deve
essere almeno del 25% nel sesso M e almeno del 15% nel sesso F.
Quindi nel 25% dei casi (nel sesso M) si deve documentare la presenza di un adenoma, se ciò non avviene, il colonscopista non
è sufficientemente addestrato o il colon non è adeguatamente pulito.
198
I foci maggiormente sospetti per tessuto già neoplastico tipicamente hanno: morfologia ulcerata, forma
irregolare, maggiore friabilità.
Nelle lesioni SM2 ed SM3 l’asportazione endoscopica non è radicale: dopo l’asportazione della
lesione, il pz viene sottoposto a intervento chirurgico dato l’elevato rischio di cellule neoplastiche
negli strati profondi della parete viscerale, ma soprattutto per l’elevata probabilità di N+ ⇛ l’AP
deve proprio fare una misura precisa della profondità di infiltrazione.
Questo tipo di stadiazione riguarda l’intero tubo digerente, ma c’è una differenza in relazione alla sede anatomica per quanto concerne la
profondità di infiltrazione per definire le lesioni SM1, SM2 o SM3: nell’esofago SM1 ha una profondità di 200 micron, nello stomaco di
500 micron e nel colon di 1000 micron.
Questo deriva dalle caratteristiche anatomiche e dalla presenza di tessuto linfatico nella sottomucosa: nell’esofago il tessuto linfatico è
molto più rappresentato che nel colon, perciò la profondità per definire una lesione SM1 è inferiore.
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STRATEGIA TERAPEUTICA
Sulla base della morfologia e del rischio di invasione della sottomucosa, si può rimuovere la lesione:
• Per via endoscopica
• Mediante intervento chirurgico solo dopo l’esecuzione di una biopsia.
Con magnificazione e cromoendoscopia si può definire il Pit Pattern, ossia la morfologia dell’apertura
degli orifizi delle cripte: più sono anomali, maggiore è il rischio di neoplasia.
In particolare, dal tipo III in poi è probabile che sia già presente nella lesione del tessuto tumorale: quel
punto va asportato in blocco unico se la lesione è di grandi dimensioni.
Nello specifico:
• Pattern I e II sono normali, non neoplastici (orifizi rotondi, stellari o papillari)
• Pattern IV e V: invasivi.
− tipo IV: è ramificato e convoluto
− tipo V: non c’è più strutturazione delle ghiandole.
Abbiamo poi l’endocitoscopia, che permette di valutare con una sonda le caratteristiche delle cellule
prima della rimozione endoscopica della lesione, ma va valutata e quindi eseguita con l’aiuto di un
anatomopatologo.
Di fronte a polipi degenerati (riconoscibili per l’aspetto all’endoscopia, con superficie molto irregolare, estensione quasi circonferenziale, grosse
lesioni ulcerate), non si effettua la polipectomia ma una biopsia e poi direttamente la resezione chirurgica.
Complicanze:
• Sanguinamento (1,5%): il rischio di sanguinamento
è legato alle dimensioni del polipo (1-2% nei polipi di 1 cm,
sale al 7% nei polipi > 3 cm).
Per i polipi sessili il rischio è sempre maggiore ed è sempre aumentato in pz scoagulati.
Se c’è sanguinamento durante la procedura, si mettono in atto tecniche di emostasi meccanica come il posizionamento di clip metalliche
alla base della lesione, prima della rimozione della lesione, che restano in sede per alcuni giorni inducendo la trombizzazione del vaso.
Nei polipi con peduncoli di grandi dimensioni, si devono sempre adottare misure di prevenzione del sanguinamento, come con il
posizionamento di endoloop di plastica: il loop viene aperto, posizionato alla base del polipo e chiuso fino a comprimere il peduncolo.
Poi con l’ansa si seziona al di sopra dell’endoloop che rimane in sede finché la base del polipo non andrà incontro a necrosi, circa otto
giorni dopo l’esecuzione della procedura.
• Perforazione da danni termici parietali (1,5%): può essere conseguenza del fatto che durante la procedura
endoscopica, oltre al polipo, si ingloba una porzione di parete del viscere che viene danneggiata dalla dispersione di corrente anche
verso la parete.
Se ciò accade c’è la possibilità di suturarlo con clip emostatiche.
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➢ Mucosectomia endoscopica (Endoscopic Mucosal Resection)
Si esegue nel caso di lesioni non polipoidi e LST.
È però una procedura ad alto rischio di
complicanze, in particolare perforazione.
Con un ago si inietta della soluzione liquida a livello della
sottomucosa per sollevare la lesione non polipoide e distanziarla dalla
tonaca muscolare e poi si procede alla rimozione con tecniche diverse:
si può usare l’ansa diatermica o aspirare la lesione in un cappuccio di
polietilene che presenta all’estremità un’ansa aperta, che
successivamente viene chiusa, permettendo la sezione (lift and cut).
Follow-up
Dipende dalle caratteristiche isto-morfologiche e dal numero delle lesioni riscontrate:
• Se la lesione è a basso rischio (1 o 2 adenomi di dimensioni <10 mm) ⇒ colonscopia dopo 5 o 10 anni
• Se la lesione è a rischio intermedio (dimensioni tra 10-20 mm oppure presenza di tessuto villoso e/o displasia severa oppure presenza di 3
o 4 lesioni) ⇒ colonscopia dopo 3 anni
• Se la lesione è ad alto rischio (dimensioni > 20 mm oppure presenza di ≥ 5 lesioni) ⇒ colonscopia dopo un anno.
N.B: se alla colonscopia successiva si riscontra un adenoK, questo è un “cancro intervallo”, ovvero una lesione carcinomatosa che non è stata vista.
201
TUMORE del COLON
È una neoplasia frequente in Italia, sia nel sesso M (3° posto, 14% di tutte le nuove diagnosi di tumore) che
in quello F (2° posto, 12%).
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è complessivamente pari al 65%.
L’età media di insorgenza è di 60 anni; raramente ci sono casi in soggetti di età < 40 anni.
Fdr:
• Dieta ⇒ elevato consumo di grassi animali, carni rosse (soprattutto se ben cotte o fritte) e insaccati, basso
consumo di fibre e vegetali
• Obesità e vita sedentaria
• Fumo di sigaretta
• IBD (⇒ soprattutto RCU, con rischio 5-6 volte maggiore, condizionato dalla durata e dall’estensione della malattia)
• Polipi adenomatosi: lesione precancerosa il cui rischio di trasformazione maligna è correlato a diverse caratteristiche:
- Istologia ⇒ la trasformazione è più frequente nei villosi rispetto ai tubulari
- Morfologia ⇒ // sessili rispetto ai peduncolati
- Diametro ⇒ > 1 cm
- Sede ⇒ prossimale rispetto alla distale
- Numero elevato
• Pregresso K colorettale
• Familiarità
• Sindromi di predisposizione ereditaria al CRC:
a) Sindrome di Lynch o sindrome non poliposica del K colorettale ereditario (HNPCC)
Malattia genetica a trasmissione AD, causata da mutazioni nei geni che codificano per proteine del mismatch repair.
Si ritiene che sia responsabile del 3% di tutti i K del colon-retto e che sia pertanto la forma sindromica più comune.
È caratterizzata da alta penetranza con alta incidenza di K colon-rettali nello stesso nucleo familiare in età giovanile (< 50
anni), con localizzazione prevalente nel colon dx/prossimale e assenza di polipi.
Nella sindrome di Lynch tipo I la malattia è localizzata esclusivamente al colon dx, mentre nella tipo II vi è un rischio
aumentato di neoplasie associate, quali K dell’endometrio, ovaio e stomaco.
I pz affetti da CRC e sospetti portatori di Sindrome di Predisposizione Ereditaria al CRC dovrebbero essere inviati
dall’oncologo in consulenza genetica, affinchè il genetista possa proporre test molecolari al pz; se diagnosticata una SPE-
CRC, potrà inoltre coinvolgere i suoi parenti per individuare, tramite test genetico “a cascata” nella famiglia, le persone ad
alto rischio ed invitarle a seguire protocolli di sorveglianza efficaci per ridurre la loro mortalità per cancro.
202
c) Poliposi MUTYH Associata (MAP)
// a trasmissione AR, causata da mutazioni di geni coinvolti nel sistema Base Excision Repair, è caratterizzata dalla presenza
di 10 a 100 polipi del colon: in questo caso la colonscopia è individualizzata in base al numero dei polipi riscontrati nel pz,
con una sorveglianza che inizia a partire dai 25 anni.
Da ricordare è che nella FAP e nella MAP il rischio di insorgenza di lesioni adenomatose non riguarda solo il colon e il retto,
ma anche stomaco e intestino tenue ⇛ screening/sorveglianza endoscopica anche per lesioni a livello delle altre porzioni del
tratto GI.
Screening
a) Nella popolazione generale:
• Ricerca del sangue occulto fecale (RSOF): eseguito ogni 2 anni tra i 50 e i 69 anni; se positivo,
colonscopia totale.
La RSOF è il test più accettabile, sebbene abbia bassa sensibilità. Ha dimostrato di ridurre la mortalità per CRC di circa 15-30%.
• Rettosigmoidoscopia: eseguita una sola volta nella vita tra i 55-64 anni
• Storia personale:
- CRC ⇒ colonscopia con cadenza annuale
- Polipi adenomatosi ⇒ // mediamente ogni 3 anni
Istotipi
Oltre il 90% dei CRC sono adenoK.
Diversi sottotipi:
- NAS
- Ad anello con castone ⇒ decorso aggressivo, con diagnosi in stadio più avanzato
- Midollare
- Mucinoso ⇒ scarsa risposta alla CT e RT
Altri tipi istologici (neoplasie neuroendocrine, amartomi, tumori mesenchimali, linfomi) sono relativamente inusuali nel grosso intestino.
203
Clinica
Sedi più frequenti per l’adenoK colorettale:
Ciò dipende dalla diversa flora batterica e dalle feci diverse al transito, ma anche dalla composizione della mucosa: infatti il SI è più presente con
aggregati linfoidi intramucosi a livello del colon di dx che non in quello di sx.
I segni/sintomi del CRC sono tipicamente dovuti alla crescita del tumore nel lume o all’invasione delle
strutture adiacenti ⇛ riflettono uno stadio avanzato.
Variano a seconda della sede:
• Colon dx ⇒ ha un lume più ampio, parete sottile e contenuto fecale liquido ⇛ l'ostruzione è un evento
tardivo.
Il sanguinamento è di solito occulto ⇛ anemia sideropenica.
Altre manifestazioni: calo ponderale e massa addominale palpabile nei casi più avanzati.
• Colon sx ⇒ ha un lume più piccolo, feci semisolide e il tumore tende ad una crescita circonferenziale
anulare ⇛ alterazioni dell’alvo, con stipsi alternata ad aumentata frequenza delle defecazioni o diarrea.
Il sintomo d'esordio può essere un'ostruzione intestinale parziale (con dolore addominale crampiforme, distensione
addominale, nausea e vomito, sino all’occlusione intestinale).
Le feci possono essere nastriformi o miste a sangue e muco.
Più raramente, specie nei K cecali o del sigma, il tumore può dare segno di sé a causa di un'invasione locale con perforazione tamponata ed
eventuale fistolizzazione in organi adiacenti, come la vescica (con conseguente pneumaturia) o all’intestino tenue.
Altra presentazione atipica consiste nella FUO dovuta ad ascessualizzazione intraddominale (retroperitoneale, della parete addominale o
intraepatica) causata da tumori che hanno dato luogo a perforazione localizzata.
Il quadro clinico del tumore del colon viene posto in DD con appendicite, diverticolosi, malattie infiammatorie intestinali, TBC intestinale, ecc.
Se il tumore è già in uno stadio metastatico possono essere presenti anche i sintomi legati alla diffusione a
distanza: si stima che circa il 20% dei pz esordisca con malattia in stadio IV (M+).
Vie di propagazione:
• Per contiguità ⇛ occlusioni intestinali, fistolizzazione e sepsi
• Per via linfatica/linfonodale ⇛ linfedemi
• Per via ematica ⇛ M al fegato e, in caso di partenza dal retto, anche polmone.
Poiché il drenaggio venoso del grosso intestino avviene attraverso il sistema portale, il primo sito di disseminazione ematogena è
solitamente il fegato, seguito dai polmoni, ossa e cervello.
Tuttavia, i tumori del retto distale possono metastatizzare ab initio anche ai polmoni (⇒ perché attraverso i vasi emorroidari vi è un
drenaggio venoso nella v. cava inferiore anziché nel sistema portale).
204
In ordine di frequenza i siti metastatici più comuni sono comunque in generale i linfonodi regionali, fegato, polmoni e peritoneo.
Alcuni dei sintomi riferibili alla presenza di malattia avanzata includono algie addominali in corrispondenza del quadrante superiore dx, distensione
addominale, senso di sazietà precoce, linfoadenomegalia sopraclaveare o noduli periombelicali.
Va ricordato infine che il CRC può essere il sito di origine di circa il 6% degli adenoK a sede primitiva ignota e che può essere diagnosticato sulla
base della scoperta di M epatiche rilevate incidentalmente in seguito ad esami strumentali come ecografia addominale o TC eseguite per la presenza
di altri sintomi.
Diagnosi
• Sospetto clinico sulla base di anamnesi ed EO
• Colonscopia totale: gold standard, perché consente di localizzare e biopsiare le lesioni lungo tutto il
decorso del colon.
Macroscopicamente alla colonscopia in genere si denotano masse esofitiche con margini irregolari e con una zona già ulcerata (spesso centrale,
la lesione in tal caso si definisce “a coccarda”) sulla quale è necessario fare dei prelievi poiché è lì che il tumore sta aggredendo maggiormente
la parete del viscere.
A volte invece la lesione ha un aspetto mucinoso, cistico o traslucido, altre volte ha aspetto più piatto, sessile o definito; in tutte l’elemento
comune resta la perdita della normale plica istologica del colon.
In alcuni casi può accadere che la colonscopia diagnostica sia effettuato in modo incompleto a causa dell'impossibilità del colonscopio a
raggiungere il tumore o visualizzare la mucosa a monte (ad es. a causa di stenosi tumorale, decorso tortuoso del viscere, preparazione
inadeguata) oppure per intolleranza del pz nei confronti dell'esame ⇛ altri esami:
- TC Colonscopia virtuale: da riservare a pz canalizzati è in grado di tollerare la preparazione orale, può fornire un'alternativa per
la diagnosi, anche se presenta il rischio di falsi positivi e non permette di eseguire biopsia per diagnosi istologica o exeresi di
adenomi
- In caso di occlusione intestinale una TC addome con protocollo GI è una buona alternativa alla TC colonscopia virtuale.
In questi pz che vanno chirurgia in urgenza senza aver eseguito una colonscopia, questo esame va comunque eseguito entro un anno
dalla chirurgia primaria per verificare la presenza di neoplasie sincronia o adenomi.
• RM: generalmente riservata ai pz con rilievi TC di M epatica, in particolare se è necessaria una migliore definizione del carico di
malattia al fine di prendere decisioni sulla potenziale resezione epatica
205
Classificazione TNM
Tumore primitivo (T)
• Tx: T non definibile
• T0: non evidenziabile
• T4:
- T4a: invade il peritoneo viscerale
- T4b: invade direttamente o aderisce direttamente a strutture ed organi adiacenti.
• N1: metastasi in 1-3 linfonodi regionali o evidenza di depositi tumorali satelliti nella sottosierosa o
nei tessuti non peritonealizzati pericolici e perirettali senza evidenza di metastasi linfonodali
regionali
• M1:
- M1a: M confinate ad un organo (fegato, polmone,
ovaio, linfonodi extraregionali) senza M peritoneali
- M1b: M in più di un organo senza M peritoneali
- M1c: M peritoneali con o senza M in altri organi.
• D: M+
206
Fattori prognostici:
• Stadio
• occlusione o perforazione (prognosi peggiore)
• colon dx prognosi peggiore
• Caratteristiche molecolari del tumore ⇒ l’instabilità delle regioni microsatelliti (MSI, correlata a
mutazione dei geni del mismatch repair come nella SL) è associata una prognosi migliore, così
come una mutazione di BRAFV600E ad una prognosi peggiore.
Terapia
Per i polipi sessili, // efficace per le lesioni sm1, mentre per le lesioni sm2 ed sm3 è
consigliata la resezione chirurgica.
Tipi di resezione:
− Nei K del cieco fino a trasverso prossimale ⇒ emicolectomia dx
(resezione dall’ultima ansa ileale fino alla metà prossimale del
trasverso) + ricanalizzazione con anastomosi ileo-ocolica.
207
• Stadio II-III
Lo schema CT utilizzato è il FOLFOX, di cui ne esistono diversi tipi (FOLFOX 1, 2, ecc.), ma tutti prevedono la combinazione di 5-
fluorouracile e oxaliplatino, con aggiunta di acido folico (aumenta la citotossicità del 5-fluorouracile).
Lo schema XELOX sostituisce il 5-fluorouracile con la capecitabina (profarmaco che una volta assunto viene convertito a 5-
fluorouracile) che può essere assunta per os.
Dato che il retto è extraperitoneale, può essere sottoposto a CT-RT pre-operatoria (o anche post-operatoria) senza gli elevati danni
dell’intestino tenue che si presenterebbero nel caso in cui fosse applicata al tumore del colon.
Vantaggi: ridotta tossicità acuta, aumentata radiosensibilità, conservazione dello sfintere anale.
208
Modalità di accesso chirurgico
La resezione chirurgica del T primitivo con tecnica aperta è stata per lungo tempo considerata generalmente la terapia più efficace nel cancro del
colon.
I risultati più recenti degli studi sulla chirurgia laparoscopica nel cancro del colon hanno dimostrato che questa metodica ottiene gli stessi risultati
della tecnica aperta tradizionale in ambito oncologico, con riferimento particolare alla sopravvivenza globale e alle recidive in sede di ferita o
inserzione di trocar; anche morbilità e mortalità sono sovrapponibili tra le due metodiche.
La chirurgia laparoscopica ottiene risultati migliori a breve termine per quanto riguarda: degenza più breve, minore impiego di analgesici nel
decorso postoperatorio associato a dolore meno intenso e ripresa più rapida della motilità intestinale.
A ciò si aggiunga che l’escissione totale del mesoretto (TME) per via laparoscopica è un’applicazione più recente della chirurgia mininvasiva.
In tutti gli studi viene rimarcato che la tecnica è complessa e necessita di un’adeguata curva di apprendimento.
Per quanto concerne i risultati oncologici a breve termine, anche nella chirurgia rettale laparoscopica non ci sono differenze con la tecnica
tradizionale, mancano però al momento i risultati a lungo termine.
La tecnica mininvasiva nella terapia del cancro del retto dovrebbe essere utilizzata solo in centri ad alta specializzazione laparoscopica.
Il vero obiettivo del follow up è quello di diagnosticare precocemente la malattia operabile, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di
insorgenza di M al fegato: se la recidiva è piccola il pz può essere sottoposto ad intervento chirurgico e andare incontro a guarigione; lo stesso per
le M al polmone.
➢ Malattia metastatica
Il trattamento del CCR metastatico è notevolmente cambiato negli ultimi anni e la prognosi dei pz affetti è passata da 12 mesi ai 30 mesi attuali,
frutto non solo dell’avvento dei nuovi farmaci, ma anche dell’integrazione dei trattamenti sistemici con quelli locoregionali.
Ottenere il cosiddetto “controllo di malattia” che auspicabilmente può declinarsi non solo nella stazionarietà del quadro, ma anche nella riduzione
volumetrica delle lesioni M, è la prima tappa fondamentale per poter mettere successivamente in campo ulteriori trattamenti sistemici e per
consentire in casi selezionati di adottare terapie locoregionali, in primis la chirurgia, volte alla resezione radicale delle M.
L’asportazione delle lesioni secondarie rappresenta ad oggi l’unica chance di guarigione per alcuni pz con CCRm e come tale è un obiettivo da
perseguire in ogni caso in cui tale approccio risulti applicabile.
La disponibilità di trattamenti CT e di associazioni di CT e farmaci a bersaglio molecolare ha infatti consentito di allargare la fetta di pz per cui
l’obiettivo della chirurgia radicale risulti perseguibile: si tratta dei cosiddetti pz “potenzialmente resecabili”, quelli in cui la chirurgia radicale delle
lesioni M, per lo più epatiche, non risulta tecnicamente fattibile, ma può diventarlo a seguito di una consistente riduzione volumetrica di tali lesioni.
In ogni caso l’integrazione della terapia sistemica e della chirurgia ha l’obiettivo non solo di condurre questi pz a resezione, ma anche di esercitare un
efficace controllo sulla malattia micrometastatica, responsabile delle riprese di malattia a seguito di chirurgia.
Esistono poi casi di malattia “marginalmente resecabile” in cui la chirurgia iniziale sulle M, sebbene tecnicamente fattibile, è giudicata inopportuna
per l’alto rischio di recidiva: in tal caso il trattamento di prima linea ha il compito non solo di mettere la malattia macroscopicamente evidente sotto
controllo e di agire sulla malattia micrometastatica per ridurre il rischio di recidiva, ma anche di far saggiare l’aggressività biologica intrinseca della
neoplasia, in modo da evitare eventualmente tentativi chirurgici gravosi e destinati a fallire rapidamente.
209
Tecniche chirurgiche in caso di occlusione intestinale
▪ Nei pz in condizioni gravi o in presenza di perforazione e peritonite, può essere più conveniente un
trattamento in due tempi:
− In un I tempo, resezione del segmento + diversione completa del contenuto intestinale mediante
ileostomia terminale ed esteriorizzazione del colon prossimale
− In un II tempo, si provvederà a ristabilire la continuità ileo-colica.
▪ Qualora la lesione risulti non resecabile, bypass ileo-colico dell’ostruzione, mediante anastomosi latero-
laterale tra ileo e segmento colico distale all’occlusione.
b) In caso di occlusione del colon sx: il fine primario è quello di decomprimere il colon (al fine evitare una
possibile perforazione a monte) e se possibile di trattare in maniera definitiva la patologia.
▪ Data l’evidenza che la mortalità e la morbilità operatorie sono significativamente più alte nei pz trattati
in urgenza per occlusione che nei pz operati in elezione per la stessa patologia senza occlusione,
è possibile ricorrere a una protesi autoespandibile da posizionare per via endoscopica nel segmento
ostruito, per poi eventualmente procedere a una resezione in elezione, se la malattia è resecabile.
Nel caso in cui la successiva stadiazione dimostri una malattia disseminata e/ o una neoplasia non resecabile, la ricanalizzazione protesica può
rappresentare la palliazione definitiva in grado di offrire la migliore qualità di vita possibile.
210
TUMORE della MAMMELLA
È la neoplasia più frequente nelle donne (30% di tutti i nuovi casi) ed è la prima causa di morte per
malattia neoplastica nel sesso F nelle diverse fasce d’età.
La sopravvivenza a 5 anni in Italia è complessivamente pari all’87%.
Il comune denominatore per la maggior parte dei fdr è un prolungato stimolo estrogenico che agisce su un
terreno geneticamente suscettibile, a questo si aggiungono poi:
• Storia familiare
• Forme ereditarie (6% dei casi): 1/4 di queste è determinata dalla mutazione dei due geni BRCA-1 e
BRCA-2(Breast Cancer Type 1 and 2 susceptibility protein, coinvolti nel riparo del DNA e del rimodellamento della cromatina).
Nelle donne portatrici di mutazioni del gene BRCA-1 il rischio di ammalarsi nel corso della vita di K mammario è pari al 65% (con
istotipo triplo negativo e poco differenziato) e nelle donne con mutazioni del gene BRCA-2 pari al 40%.
Per cui vanno discusse procedure chirurgiche profilattiche quali la mastectomia bilaterale e l’ovariectomia bilaterale.
Ricercare una mutazione (ad es. BRCA) è utile nella fase pre-operatoria poiché, se la pz presenta un elevato rischio legato alla
mutazione, potrebbe avere un beneficio maggiore eseguendo una mastectomia bilaterale, invece di una quadrantectomia.
Screening
È un’attività di prevenzione secondaria periodica rivolta a donne asintomatiche al fine di effettuare una diagnosi di K mammario in stadio precoce e,
quindi, offrire trattamenti meno aggressivi, con l’obiettivo di ridurre la mortalità da K mammario.
- nelle donne in fascia d’età 40-49 anni, la mammografia andrebbe eseguita personalizzando la
cadenza sulla base anche dei fdr.
La RM Mammaria con mdc a cadenza annuale di screening trova indicazione nelle donne ad alto rischio definite come segue:
- mutazione BRCA1 o BRCA2
- lifetime risk 20–25% secondo i comuni modelli di predizione del rischio
- sindrome di Li-Fraumeni, Cowden o Bannayan-Riley-Ruvalcaba
- pregressa RT toracica tra i 10 e i 30 anni.
213
Chemioprevenzione
In Italia, l’AIFA ha inserito il tamoxifene per il trattamento preventivo del K mammario in donne ad alto rischio, come pure il raloxifene per le
donne in postmenopausa ad alto rischio.
Ad oggi l’indicazione all’uso degli inibitori dell’aromatasi per la chemioprevenzione del K della mammella non è registrata in alcun Paese ed il loro
utilizzo è quindi off-label.
214
2) Nella fase investigativa sulla natura di una lesione rilevata clinicamente e/o mammograficamente, si
può approfondire l’indagine mediante:
• Ecografia: molto utile nella definizione di una massa dopo mammografia per consentire una valutazione completa.
Inoltre, è l’esame più adatto nel caso di donne giovani (< 30 anni), dove la componente ghiandolare (radiopaca/bianco alla mammografia)
prevale sulla componente adiposa, rendendo talvolta difficile l’interpretazione dell’esame mammografico.
• RM: metodica di II livello, con indicazioni limitate: sorveglianza delle donne ad alto rischio BRCA1/BRCA2, lesioni
sospette multifocali o bifocali, casi difficilmente interpretabili con l’esecuzione degli esami di I livello, ricerca di lesioni sospette nei casi
di CUP (cancer of unknown primary), valutazione dell’infiltrazione del m. pettorale.
L’agoaspirato con ago sottile consente un prelievo citologico, con sensibilità e specificità
abbastanza elevate, ma non permette un’accurata valutazione istologica ed IIC.
Pertanto, ad oggi il suo ruolo è limitato all’accertamento citologico di sospette metastasi
linfonodali locoregionali.
Classificazione molecolare:
• Scintigrafia ossea: andrebbe riservata ai pz con malattia linfonodale ascellare, in stadio III o con elevati livelli sierici di FA
• TC total body con mdc e PET-FDG: riservate ai pz con malattia localmente avanzata oppure qualora vi sia un fondato
sospetto di M (in base ad alterazioni bioumorali e sintomi clinici quali cefalea, vomito a getto, crisi epilettiche, versamento pleurico,
epato-splenomegalia, lesioni palpabili cutanee…)
215
Fattori prognostici:
• Età ⇒ prognosi peggiore < 35 anni
• T3 (> 5cm) e T4 (estensione diretta alla parete toracica o alla cute)
• Linfonodi ascellari +
• Caratteristiche istopatologiche (grading istologico e infiltrazione linfo-vascolare)
• Profili di espressione genica
• Multifocalità (stesso quadrante) e multicentricità
• Ly intramurali (⇒ uno spiccato infiltrato linfocitario si associa a prognosi migliore)
• Tis: K in situ
- Tis (DCIS): K duttale in situ
- Tis (Paget): Malattia di Paget del capezzolo non associata con K invasivo e/o in situ nel parenchima mammario sottostante
• N2: metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali (livello I-II) che sono clinicamente fissi o fissi tra di loro; o in linfonodi mammari
interni omolaterali clinicamente rilevabili in assenza di metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari
216
Terapia
A) Malattia localizzata
1) Trattamento loco-regionale
▪ Chirurgia mammella ⇒ diverse tecniche a seconda del grado di estensione del T:
- Chirurgia conservativa: rappresenta il
trattamento di prima scelta in stadio I-II
(e in casi selezionati più avanzati):
o Quadrantectomia: ideata da
Umberto Veronesi, consiste nella
rimozione chirurgica del tumore,
di una porzione ampia di tessuto
circostante (almeno 1 cm), cute
sovrastante e porzione
corrispondente della fascia del
muscolo pettorale.
Deve essere sempre seguita dalla RT della mammella residua, allo scopo di
diminuire il tasso di recidive locali.
Ad oggi la chirurgia conservativa risulta essere quella più praticata, dal momento che in studi randomizzati
la terapia non è stata associata ad un vantaggio di sopravvivenza rispetto a quella conservativa
o Escissione ampia
- // demolitiva:
o mastectomia radicale di Halsted: prevede asportazione della mammella, cute sovrastante,
complesso areola-capezzolo, muscoli grande e piccolo pettorale, linfonodi ascellari.
Tale tecnica comporta un notevole danno funzionale ed estetico ed oggi è limitata solo a specifici casi in
cui vi sia infiltrazione del m. grande pettorale
217
Per quanto riguarda le metastasi per via linfatica, l’attenzione clinica è
rivolta soprattutto ai linfonodi ascellari, anche perché la maggior parte
dei tumori insorge nel quadrante superiore esterno della mammella,
la cui linfa, appunto, è drenata da questa stazione linfatica.
È più che opportuno ricordare che la linfa dei quadranti interni della
mammella raggiunge i linfonodi mammari interni.
È indicata anche dopo mastectomia nelle pz con: T > 5 cm (T3-T4), metastasi linfonodali ascellari ≥ 4, margini di resezione
infiltrati dal T, edema o ulcerazione della cute, presenza di noduli cutanei satelliti
c) Triplo negativi ⇒ CT
Se T2 e/o N+, consigliato approccio neoadiuvante
B) Malattia (metastatica)
È ancora oggi considerata inguaribile: l’obiettivo è quindi il prolungamento della sopravvivenza
nell’ottica di una cronicizzazione della malattia e il miglioramento della qualità di vita.
Per tale motivo, il gold standard è il trattamento sistemico essendo la malattia metastatica raramente
passibile di trattamenti loco-regionali curativi.
Circa il 6% dei tumori mammari si presenta come metastatico ab initio alla diagnosi; inoltre il 25% dei pz trattati con terapia adiuvante è
destinato ad una recidiva di malattia.
Sedi di M più frequenti: ossa, polmone, fegato e cervello.
a) Trattamento loco-regionale
In presenza di malattia oligo-metastatica (M ≤ 5), un approccio multidisciplinare più aggressivo in cui la terapia sistemica sia
associata a trattamenti loco-regionali con chirurgia e RT può avere un impatto sulla prognosi a lungo termine.
b) Trattamento sistemico
Si avvale di regimi combinati che comprendono: CT, terapia endocrina e target therapy (⇒ inibitori delle CDK 4/6 come palbociclib,
anti-HER2 come trastuzumab e pertuzumab, PARPi per mutazioni BRCA).
218
Tecniche chirurgiche
➢ Quadrantectomia
È una tecnica con intento radicale che garantisce di curare la pz, ma con conservazione della ghiandola mammaria; l’asportazione deve
cadere ad almeno 1cm in tutte le dimensioni rispetto alla massa tumorale.
Al contempo è necessario anche soddisfare l’unico vero scopo della chirurgia conservativa, cioè che il risultato finale sia esteticamente
apprezzabile: la gradevolezza di una mammella si ottiene se si mantiene la simmetria con la controlaterale e la proiezione del complesso
areola-capezzolo.
Se questi due obiettivi non si raggiungono, la chirurgia conservativa non va fatta: andrà fatta un’altra scelta sempre conservativa in associazione
ad una chirurgia plastica ricostruttiva che consenta comunque di avere simmetria e proiezione con una protesi, con un lembo di rotazione del
gran dorsale o con un lembo adiposo della faccia anteriore dell’addome.
Indicazioni:
− Tumore < 3 cm
− Assenza di multifocalità
− Istologia (assenza di componente intraduttale estesa)
− Non gravidanza in atto: è un elemento limitante per la RT
− Desiderio della pz e adeguato risultato estetico
− Accessibilità a struttura per la RT: dopo il quadrante va assolutamente fatta la RT, si tratta di 15-20 sedute.
➢ Mastectomia
▪ Mastectomia semplice: rimozione dell’intera mammella, senza toccare i due muscoli grande e piccolo pettorale e senza andare in
ascella per togliere i linfonodi. In questo caso approccerò il cavo ascellare solo con il linfonodo sentinella.
Le situazioni in cui potrebbe essere applicata sono diverse, fra cui tumore fillode e tumore sarcomatoide.
La modalità più frequente per ricostruire una mammella in un tempo è l’inserimento di un espansore e poi una protesi, o direttamente
di una protesi, sotto il grande pettorale.
L’espansore è un sacchetto di materiale plastico vuoto che viene a mano a mano riempito con delle punture attraverso la cute, fino a che
non gli si fa raggiungere il volume equivalente alla protesi che avevamo in mente di mettere: questo richiede dai 3 ai 6 mesi.
Quando l’alloggiamento è pronto e si è adattato ai nuovi volumi, l’espansore viene svuotato e si fa una piccola incisione.
Viene tirato fuori e al suo posto viene inserita la protesi definitiva in silicone il cui volume era stato predisposto prima dell’intervento, in
base al volume della mammella controlaterale e ai desideri della persona.
L’espansore si mette perché con le tecniche di mastectomia tradizionale il chirurgo asporta una fetta di cute molto consistente, quindi
l’espansore serve non tanto per creare l’alloggiamento sotto il muscolo, che si può tranquillamente ottenere inserendo una patch di
pericardio bovino o di una protesi sintetica che aumentino l’alloggiamento sotto il muscolo, ma serve per recuperare superficie cutanea.
Quando il nodulo è piccolo ed è profondo, con una sufficiente distanza dal piano cutaneo, si possono fare:
▪ Mastectomia Skin Sparing: con risparmio cutaneo; per la ricostruzione non avrò bisogno dell’espansione
• Mastectomia Nipple Sparing: stesso concetto della skin sparing, con risparmio anche del complesso areola-capezzolo che eventualmente
può essere riposizionato.
219
LESIONI BENIGNE della MAMMELLA
Rappresentano la maggior parte delle masse mammarie (90%).
Classificazione
a) Lesioni non correlate a trasformazione neoplastica:
• Cisti: vanno rimosse se hanno componente solida (rilevabile all’eco) o recidivano
rapidamente dopo lo svuotamento
• Metaplasia apocrina
• Lieve iperplasia duttale
• Papilloma intraduttale: colpisce intorno ai 30-50 anni, tende a manifestarsi con secrezione
ematica/siero-ematica dal capezzolo; utile la duttogalattografia per la diagnosi.
c) // RR 3 – 5 volte ⇛ resezione chirurgica + successivo stretto follow-up (test di screening ogni 12-18 mesi).
Sono spesso diagnosticate in seguito al risconto in una mammografia di screening di zone di
distorsione parenchimale, non si manifestano con un nodulo:
• Iperplasia duttale atipica
• Iperplasia lobulare atipica.
TUMORE FILLOIDE
È un tumore misto epiteliale e stromale meno frequente rispetto al fibroadenoma.
Colpisce donne di età media e si presenta come un nodulo generalmente di grandi dimensioni (spesso > 4 cm), di consistenza elastica, mobile sui
piani.
La crescita è rapida e costante con possibili fenomeni di compressione del parenchima circostante e della cute, che può presentarsi ulcerata per
necrosi da compressione vascolare.
La DD è con il fibroadenoma nelle forme benigne, con il carcinoma mammario nella forma maligna.
La terapia del tumore filloide è chirurgica e consiste nell’asportazione del nodulo con margini di parenchima circostante sano per prevenire le
recidive locali.
La mastectomia si rende necessaria nelle forme estremamente voluminose, ulcerate e nelle forme con degenerazione sarcomatosa.
220
CARCINOSI PERITONEALE
Diffusione e impianto di cellule neoplastiche sulla superficie della sierosa peritoneale (viscerale o parietale).
È indice prognostico sfavorevole ed è classificata come stadio di malattia terminale.
Un raro tumore metastatico del peritoneo è lo pseudomixoma peritonei, derivante da K mucosecernenti appendicolari (90% dei casi) o ovarici (7%); in
minime percentuali, può derivare anche da tumori del colon, dello stomaco e del pancreas.
La sua incidenza annuale è stimata intorno a 1 caso /1.000.000 ab all’anno, con maggior rischio nel sesso F e diagnosi effettuata solitamente dopo i 40 anni.
Appare come una massa sessile o peduncolata di consistenza gelatinosa.
AP
All’esame macroscopico le metastasi peritoneali si presentano sotto forma di noduli neoplastici localizzati sulla superficie peritoneale. Come conseguenza
della crescita progressiva del tumore, lo stroma circostante sviluppa una reazione fibrotico-desmoplastica che determina un progressivo rimaneggiamento
del grasso omentale che viene sostituito da tessuto fibroso e cellule neoplastiche determinando l’aspetto macroscopico definito “omental cake”.
La diffusione trans-peritoneale delle cellule neoplastiche può inoltre interessare bilteralmente le ovaie andando a configurare il quadro definito “Tumore di
Krukemberg”.
Clinica
• Disturbi addominali aspecifici: con vaga dolenzia, quadro dispeptico, alvo irregolare, calo ponderale
• Ascite carcinomatosa: è il quadro più frequente (70%), consiste in un versamento peritoneale che contiene cellule neoplastiche.
È stato suggerito che la formazione dell’ascite sia dovuta alla presenza di noduli tumorali sulla superficie peritoneale che determinano
un’alterata permeabilità vascolare e ostruzione al drenaggio linfatico.
Il colore del liquido dell’ascite carcinomatosa è siero-ematico tendente al torbido, e il suo riscontro permette di identificare un tumore fino ad
allora sconosciuto.
• Disturbi del transito intestinale, fino a un quadro di occlusione intestinale: i noduli neoplastici (localizzati a
livello dei mesi o della parete intestinale) determinano distorsioni della normale anatomia dei visceri endocavitari e provocano retrazioni in
grado di causare occlusione dei visceri addominali
• Versamento pleurico: per via della presenza di noduli neoplastici a livello della cupola diaframmatica, infatti attraverso gli stomata le
cellule tumorali possono attraversare il diaframma ed impiantarsi a livello pleurico.
È molto più frequente che una neoplasia addominale primitiva determini coinvolgimento pleurico rispetto alla situazione inversa (primitiva
neoplasia pleurica come causa di versamento peritoneale).
Diagnosi
• Ecografia: identificazione di versamento ascitico ed eventuali masse
• TC: per identificazione dei noduli di carcinosi e ricerca del T primitivo qualora non ancora identificato
Non è accurata nella stadiazione della carcinosi (tendenza a sottostadiare), dunque necessita di un approfondimento laparoscopico
211
• Videolaparoscopia: consente la stadiazione della carcinosi (secondo PCI), l’esecuzione di biopsie (per
risalire all’origine istopatologica), la valutazione del risultato ottenibile in termini di citoriduzione (CC0,
CC1, CC2).
Stadiazione
Si basa sul PCI (Peritoneal Cancer Index), che esprime l’estensione di
malattia peritoneale mediante un valore complessivo determinato da:
• dimensione dei noduli peritoneali:
− (LS): LS0: assenza di malattia
− LS1: presenza di noduli inferiori a 0.5cm
− LS2: noduli tumorali compresi tra 0.5 e 5.0 cm
− LS3: presenza di noduli tumorali superiore a 5.0
cm o più noduli confluenti.
Terapia
▪ Chirurgia citoriduttiva
È un concetto sviluppato da Sugarbaker che ha descritto le 5 procedure di peritonectomia per rimuovere chirurgicamente tutto il rivestimento
peritoneale parietale della cavità addomino-pelvica.
Sono comprese nelle manovre di peritonectomia la resezione del grande e del piccolo omento.
Quando la malattia interessa il peritoneo viscerale, si rende frequentemente necessaria la resezione degli organi contigui.
Un limite potenziale alla CRS è rappresentato dal coinvolgimento della superficie peritoneale del mesentere: in tali casi, può necessitare la
peritonectomia parziale o completa di entrambi i lati del mesentere.
La CRS implica il concetto di radicalità chirurgica con la completa rimozione della malattia macroscopicamente apprezzabile od eventuale
residuo minimo millimetrico.
Tale concetto si differenzia dal Debulking che sottende invece alla rimozione palliativa di parte della malattia neoplastica con grossolano
residuo neoplastico.
La completezza della citoriduzione rappresenta il fattore prognostico più importante delle neoplasie peritoneali ed è espresso dal cosiddetto
cc-score, declinato in:
− cc-0: assenza di residuo macroscopico
− cc-1: residuo < 2,5mm
− cc-2: residuo tra 2,5mm - 5 cm
− cc-3: residuo >5 cm e con noduli confluenti.
212
TUMORE del POLMONE
È una neoplasia abbastanza frequente in Italia, sia nel sesso M (2° posto, 15% di tutte le nuove diagnosi di
tumore), che nel sesso F (3° posto, 12%).
Rappresenta la più frequente causa di morte per patologia neoplastica negli uomini in tutte le fasce di età.
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è complessivamente pari al 16%.
Il picco di incidenza è intorno ai 55-65 anni di età.
Fdr:
• Fumo di sigaretta
Rappresenta il più consolidato fdr.
Circa l’80-90% delle neoplasie del polmone si sviluppa nei fumatori o in coloro che hanno smesso di recente.
L’associazione appare molto significativa con il K squamo-cellulare e il K a piccole cellule.
• Inquinamento atmosferico
• RT
Principali istotipi
➢ K squamo-cellulare
Rappresenta circa il 30% dei K polmonari.
È molto più frequente nel sesso M e nei fumatori.
Insorge nella quasi totalità dei casi come forma ilare, determinando in fase avanzata sintomi da ostruzione bronchiale
➢ AdenoK
Rappresenta circa il 40% dei K polmonari.
Nei paesi occidentali, la frequenza dell’ADC è in netto incremento.
È l’istotipo più frequente nei non fumatori e nei pz più giovani.
Ha prevalente sviluppo periferico, con frequente coinvolgimento pleurico e versamento neoplastico consensuale. È frequentemente multifocale.
Tende inoltre a metastatizzare a distanza precocemente.
221
Clinica
La maggior parte dei tumori polmonari sono occulti e vengono diagnosticati casualmente.
Nei restanti casi, il tumore polmonare produce una serie di segni/sintomi spesso avvertita solo in fase
tardiva:
Segni/sintomi:
a) Dovuti alla crescita locale del tumore
• Tosse (50-75% dei casi): tipicamente secca e stizzosa, ingravescente, prolungata durante tutta la giornata e presente anche
durante la notte.
È dovuta all’infiltrazione dei recettori della tosse, i quali sono presenti solo fino alla VII gen. bronchiale ⇛ si manifesta principalmente
con tumori che interessano le vie aree centrali.
• Emoftoe ed Emottisi: dovute all’erosione delle venule della sottomucosa da parte dei tumori centrali
• Infezioni bronco-polmonari recidivanti: causate dal ristagno di secrezioni distalmente al segmento stenosato e perciò
caratteristicamente insorgenti sempre nella stessa sede.
c) // metastasi
Possono comparire come primo sintomo della malattia: interessano frequentemente polmone (lo stesso e/o
controlaterale) e SNC, con possibili alterazioni del comportamento, deficit focali, sindrome da ipertensione
endocranica, crisi epilettiche….
Le metastasi si presentano spesso anche nel fegato, surreni e ossa.
d) Sindromi Paraneoplastiche
Insieme di condizioni cliniche associate a neoplasia, non legate agli effetti locali ma secondarie alla produzione da parte delle cellule neoplastiche di
fattori ad azione sistemica:
• Manifestazioni cutanee: dermatomiosite, acanthosis nigricans, eritema multiforme e gyratum…
• Sindromi paraneoplastiche endocrine (12%): sindrome di Cushing per produzione di ACTH ectopico, SIADH, produzione di PTHrP
• Clubbing (o ippocratismo) digitale e osteoartropatia Ipertrofizzante
• Manifestazioni vascolari: ipercoagulabilità con tromboflebite migrante superficiale, endocardite trombotica non batterica…
• // neurologiche: sindrome miastenica di Lambert-Eaton (nel SCLC)
• Le sindromi PN possono essere correlate anche ad effetti sistemici (30%), quali febbre, anemia, anoressia, perdita di peso e cachessia.
222
Diagnosi
• RX torace
Deve essere sempre eseguita in proiezione antero-posteriore e latero-laterale, per minimizzare la possibilità che l’ombra cardiaca si sovrapponga ad
eventuali lesioni.
Permette di valutare: eventuali lesioni in massa, infiltrati polmonari recidivanti/persistenti, la presenza di zone atelettasiche e versamento pleurico.
Se la clinica è negativa, una RX negativa non esclude la presenza di neoplasia
• TC torace-addome con mdc: oltre a confermare e permettere la diagnosi anche con masse piccole,
può essere utilizzata per una prima definizione della stadiazione secondo la classificazione TNM e per la
ricerca di eventuali metastasi (linfonodali e a distanza).
Caratteristiche quali le dimensioni della neoformazione, l'irregolarità del profilo, la densità disomogenea, l'assenza di depositi calcifici e il progressivo
accrescimento nel tempo aumentano la probabilità di malignità della lesione.
Comuni modalità di presentazione: lesione periferica solitaria, atelettasia polmonare (con o senza versamento pleurico), lesione addensanti ilare con o
senza infiltrazione del mediastino, nodulo non solido o parzialmente solido (anche definito vetro smerigliato), lesioni multiple polmonari, versamento
pleurico.
Il vantaggio della PET è di caratterizzare meglio il nodulo polmonare solitario (con elevato VPN) e di
illuminare con alta sensibilità sia i linfonodi coinvolti che le M a distanza (⇒ in particolari metastasi
extratorachiche ed ossee), permettendo una stadiazione più accurata.
2) Caratterizzazione istologica: per una diagnosi precisa, in modo da orientare le successive decisioni
terapeutiche.
La diagnosi cito-istologica può essere effettuata con prelievi sul T, sui linfonodi loco-regionali (⇒ ilari o
mediastinici, patologici se > 1 cm) o sulle M a distanza qualora presenti, mediante diverse metodiche:
• Se la lesione cresce all’interno del bronco, fibrobroncoscopia con agobiopsia bronchiale o trans-
bronchiale sotto guida eco-endoscopica (EBUS-TBNA, Endobronchial UltraSound-TransBronchial Needle Aspiration);
può essere usata anche per campionare stazioni linfonodali ilio-mediastiniche adiacenti.
È possibile anche l’esame citologico dell’espettorato (⇒ scarsa sensibilità, che aumenta se ripetuto per 3 giorni
consecutivi) e del versamento pleurico (se presente, mediante toracentesi)
223
Più raramente, soprattutto in caso di prelievo insufficiente, si ricorre a biopsie chirurgiche:
- Mediastinoscopia → permette di ottenere biopsie dei linfonodi mediastinici
- Chirurgia toracoscopica videoassistita VATS (⇒ esame endoscopico del cavo pleurico)
- Toracotomia e mediastinotomia.
• TC torace + addome
• RM encefalo: per M cerebrali
• PET-TC con FDG
• Altre metodiche:
- BOM → per pz con microcitoma ai fini di una corretta stadiazione
Classificazione TNM
• T3: 5- 7 cm o associato a nodulo/i nello stesso lobo del T primitivo o che invade direttamente parete toracica, n. frenico, pericardio
parietale
• T4: > 7 cm o associato a nodulo/i in un lobo ipsilaterale ma differente rispetto al lobo del T primitivo o che invade direttamente
diaframma, mediastino, cuore, grandi vasi…
Stadi:
1) Stadio I ⇒ T1 – N0 – M0
2) II ⇒ T1/2 – N1
T3 – N0
3) IIIA ⇒ T1/2 – N2
T3/4 – N1
IIIB ⇒ T1/2 – N3
T3/4 – N2
4) IV ⇒ qualsiasi M.
224
Terapia
A) NSCLC
a) Chirurgia
Rappresenta il trattamento elettivo nel NSCLC in stadio I o II, oltre che in casi selezionati
nello stadio IIIA (N2).
Criteri di operabilità:
• biologici (⇒ prospettiva di radicalità in relazione allo stadio)
• anatomici (⇒ volume minimo di recezione necessario ad ottenere la radicalità)
• funzionali (⇒ capacità respiratoria predetta dopo intervento radicale, utile a garantire una sufficiente funzionalità
respiratoria).
La chirurgia di risparmio polmonare permette di eseguire lobectomie o bilobectomie anche in pz in cui l’infiltrazione della
diramazione bronchiale richiederebbe resezioni più ampie.
Queste tecniche permettono di operare pz altrimenti esclusi per indici di funzionalità respiratoria non permissivi per ampie
resezioni.
Ad es. se il tumore occupa l’origine del bronco lobare superiore di sx e si spinge al bronco principale l’intervento classico sarebbe
la pneumonectomia sx sacrificando il lobo inferiore che non è interessato dalla patologia. Se si va ad asportare il bronco lobare
225
inferiore e a sezionare il bronco principale e infine reimpiantare il lobo inferiore ci si limita a fare una lobectomia anziché una
pneumonectomia.
Stessa cosa si potrebbe fare anche con l’arteria qualora risultasse infiltrata: se si ha un’infiltrazione dell’arteria polmonare
principale viene asportata e si utilizza poi un patch di pericardio a ricostruire la parete infiltrata dalla neoplasia.
Se il bronco principale di dx è occupato da una neoplasia vegetante richiederebbe una resezione completa del polmone di destra: in
questo caso può essere fatta una resezione del bronco e di parte della trachea e una rianastomosi tra il lobo inferiore e la trachea
risparmiando una parte importante.
Tutte queste resezioni vengono chiamare resezioni a manicotto o sleeve resection che possono essere bronchiali, vascolari o
entrambe.
Un’altra tecnica di ventilazione temporanea è la Jet Ventilation che è una ventilazione ad alta frequenza e ad alta velocità che
permette di ventilare il polmone controlaterale.
Le più frequenti complicazioni perioperatorie sono: FA, atelettasia, infezioni polmonari, perdite
aeree prolungate, ARDS, insufficienza respiratoria, fistola bronchiale, empiema, embolia
polmonare.
La mortalità per lobectomia si attesta fra il 2-5%, maggiore per la pneumonectomia.
Lo stadio IIIA con interessamento dei linfonodi mediastinici (N2) rappresenta un gruppo
eterogeneo di neoplasie con prognosi molto diversa:
▪ In caso di N2 con un solo linfonodo in una singola stazione a sede “favorevole”
(facilmente aggredibile chirurgicamente) ⇒ chirurgia + CT adiuvante ± RT
▪ // con più stazioni linfonodali mediastiniche ⇒ CT o CRT neoadiuvante (con intento
citoriduttivo per rendere la massa tumorale operabile chirurgicamente) seguito da chirurgia.
c) RT stereotassica
Rappresenta un trattamento alternativo alla chirurgia per pz in stadio I non operabili per motivi funzionali, internistici o che
rifiutino l’intervento chirurgico.
d) Follow up: con controllo clinico ogni 3 mesi, TC con mdc ogni 6 mesi – 1 anno.
La prognosi del pz affetto da NSCLC sottoposto a resezione chirurgica radicale correla strettamente con la stadiazione patologica di
malattia, stadiazione stabilita dall' esame istologico del tessuto resecato.
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi varia dal 90% per lo stadio patologico IA al 60% per lo stadio II.
La diffusione metastatica distanza rappresenta la principale causa di recidiva post-operatoria, mentre la probabilità di ricaduta
locale interessa circa un terzo dei pz operati.
226
➢ Malattia in stadio localmente avanzato (⇒ IIIA non resecabile, IIIB, IIIC)
➢ Malattia metastatica
Il K squamo-cellulare presenta spesso delezioni riguardanti loci oncosoppressori.
L’adenoK è invece caratterizzato da mutazioni gain-of-function a carico dei componenti delle vie di signaling per i fattori di crescita.
Oggi tutti i pz con istologia non-squamosa o mista, ma anche i pz con istologia squamosa pura soprattutto se giovani e/o non fumatori, o
se con diagnosi fatta su piccole biopsie, dovrebbero essere testati per:
▪ ROS-1 ⇒ crizotinib
▪ ALK ⇒ crizotinib, per i pz in progressione alectinib e ceretinib
▪ EGFR ⇒ anti-EGFR di I gen. gefitinib ed erlotinib e di II gen afatinib; in caso di resistenza III gen osimertinib
B) SCLC
Non viene trattato chirurgicamente.
La risposta al trattamento CRT è inizialmente molto buona; l’efficacia terapeutica viene meno una volta che il tumore recidiva ( ⇒ il microcitoma ha
un’elevata tendenza a recidivare).
227
NODULO POLMONARE
Lesione focale del parenchima polmonare con diametro < 3 cm; se > 3 cm si parla di “massa polmonare”.
Può essere identificata casualmente con Rx del torace, a cui segue un approfondimento con TC torace.
La prevalenza nella popolazione generale non è conosciuta con precisione: il range risulta molto ampio (17-51%) perché gli studi che lo definiscono
sono fatti generalmente su popolazioni a rischio (fumatori ed ex fumatori).
Quesiti:
a) Perché fare una TC del torace, dal momento che già all’Rx si vede un’opacità polmonare?
Perché non sempre un’opacità presente al radiogramma del torace è espressione di un nodulo polmonare. Tale opacità potrebbe invece essere:
• malformazione bronchiale (atresia bronchiale): l’opacità è determinata dal ristagno di secrezioni mucose all’interno dei bronchi che non
riescono a svuotarsi
• alterazione costale (ad es. esito di frattura costale)
• malformazione arterovenosa.
• l’amartoma è una lesione benigna che presenta all’interno delle componenti adipose, osservabili solo con una fase pre-contrastrografica
Di fronte a quadri così chiari (quali noduli completamente calcifici o amartomi) non è necessario effettuare l’esame con mdc perché non
aggiungerebbe niente.
Il discorso cambia per quanto riguarda una lesione espressione di una malformazione vascolare oppure per una lesione localizzata tra i vasi
polmonari: il mdc consente di discriminare quello che è lesione dai vasi.
• Densità/consistenza:
- Nodulo solido (più frequente)
- Nodulo subsolido ⇒ ground glass puro o misto
• Calcificazioni:
- diffuse, concentriche, centrali, a pop-corn ⇒ lesioni benigne
• Margini
- Lisci ⇒ lesioni benigne.
Attenzione: escludere M di neoplasie extra-polmonari perché queste hanno margini lisci
• Forma
- Sferica (“coin lesion”) ⇒ lesioni benigne (ad es. amartoma).
Attenzione: escludere M di neoplasie extra-polmonari perché queste hanno forma sferica (e margini lisci) ⇛ importante
indagare se il pz ha avuto una pregressa neoplasia e di che tipo
228
Oggi la TC è in grado di acquisire sezioni anche minori di 1 mm e per questo è sempre più frequente il riscontro di noduli molto piccoli anche in
maniera incidentale.
Sono di particolare interesse tutti i noduli che < 1 cm (a rischio basso-intermedio), classificati in:
1. Noduli piccoli ⇒ 5-10 mm
2. // molto piccoli ⇒ 3-5 mm
3. Micronoduli ⇒ < 3 mm (non sono espressione di patologia soprattutto nel pz che non ha
anamnesi oncologica positiva)
Di fronte ad un nodulo > 2 cm, solitamente il chirurgo preferisce asportare il nodulo, poiché è
altamente probabile che sia maligno.
Linee guida Fleischner Society per il follow-up di piccoli noduli solidi indeterminati:
Oggi l’analisi delle variazioni dimensionali di un nodulo è in modalità tridimensionale (volumetrica): con i software a disposizione (3D-CAD
Volumetric Analysis and Volume Doubling Time) si può effettuare un’analisi volumetrica attraverso programmi computerizzati, confrontando i
differenti volumi nel tempo e calcolando la velocità di crescita, cioè il tempo di raddoppiamento = VDT (Volume Doubling Time).
In particolare:
• VDT > 600 giorni ⇒ rischio di malignità basso
• VDT 400-600 giorni ⇒ // intermedio
• VDT < 400 giorni ⇒ // alto
Prima che si introducesse questa tecnica si pensava che i noduli per un po’ rimanessero stabili e poi a un certo punto iniziassero a crescere
velocemente.
In realtà andando ad analizzare i vari casi si vede che il tempo di crescita, il tempo di raddoppiamento, rimane costante: quindi quando il nodulo è
piccolo, variazioni volumetriche significative non vengono apprezzate perché il diametro varia di poco, quando il nodulo è di 1 cm l’incremento
volumetrico è molto più rilevante anche guardando l’immagine bidimensionale.
Oggi con queste tecniche tridimensionali molto diffuse si può anticipare la diagnosi e dunque migliorare la prognosi del pz.
229
La PET risulta positiva per tutte le lesioni con alto metabolismo glucidico, quali i tumori e le alterazioni flogistiche.
Bisogna però tenere da conto che il carcinoide (tumore neuroendocrino) non capta il FDG, pur avendo natura maligna ma crescita borderline.
Noduli solidi > 8 mm e negativi alla PET-TC hanno una probabilità di malignità del 15% ⇛ è fondamentale il monitoraggio, poiché non può essere
esclusa la malignità; occorre considerare la morfologia e i margini (lobulati = rischio intermedio).
Queste lesioni sono da considerarsi più sospette di quelle solide, in quanto spesso
espressione di lesioni neoplastiche, in particolare l’adenoK a crescita lepidica.
Prendendo 10 anni di letteratura, oltre il 90% delle lesioni subsolide persistenti sono
espressione di lesioni invasive o preinvasive.
Oggi le linee guida che aiutano clinico e radiologo nella gestione di questi noduli:
a) nodulo ground glass puro < 6 mm ⇒ no follow up (perché quella lesione non diventerà mai clinicamente evidente, anche se non è benigna lo
è il suo comportamento).
Se le lesioni parzialmente solide sono < 6 mm è difficile distinguere tra le due
forme.
b) Nodulo > 6 mm ⇒ monitoraggio per opacità ground glass (secondo linee guida
giapponesi):
• Nodulo ground glass puro ⇒ valutare persistenza con rivalutazione TC dopo
3 mesi: se persiste, controllo annuale per 5 anni
La lesione va tolta perché è un adenoK molto spesso invasivo e, se tolte con questa tempistica, hanno una prognosi molto buona.
La PET può essere eseguita solo nel caso in cui il nodulo è parzialmente solido con componente solida > 8 mm.
Le lesioni ground glass espressioni di adenoK a crescita lepidica sono a basso metabolismo glucidico; tanto è più alto il SUV tanto è più probabile
la natura infiammatoria, quindi questo può creare problemi di interpretazione nel momento in cui viene fatta una PET immediatamente dopo una TC.
230
METASTASI POLMONARI
Sono molto frequenti: pressoché tutte le neoplasie maligne sono potenzialmente in grado di dare M polmonari, poiché l’azione filtro del circolo
capillare polmonare intrappola le cellule tumorali circolanti.
Possono presentarsi come formazioni nodulari uniche o multiple, spesso periferiche e localizzate in prossimità di un vaso delle basi polmonari
(per la maggior perfusione).
Nel 15-20 % dei casi le metastasi si presentano singole, mentre nel restante 80% dei casi invece saranno multiple.
È importante considerare il tempo di comparsa di queste metastasi rispetto alla neoplasia primitiva: potremo avere infatti metastasi sincrone alla
neoplasia primitiva o metastasi metacrone, che compaiono ad una lunga distanza temporale dalla resezione del tumore originario.
I tumori che più frequentemente metastatizzano a livello polmonare sono: tumori del colon-retto, mammella, rene, vescica, sarcomi, polmone
(controlaterale).
In riferimento al trattamento chirurgico delle metastasi polmonari, dobbiamo precisare fin da subito come siano escluse da questa possibilità
terapeutica le metastasi miliariformi provenienti da neoplasie altamente vascolarizzate (tumore renale, tiroide, osteosarcoma, corion-epitelioma).
Non esistono ancora delle linee guida in merito alla metastasectomia polmonare: di fatto, esiste una importante casistica di metastasi polmonari
trattate, che correlano con un miglioramento della prognosi.
I principi generali del trattamento chirurgico delle M al polmone sono:
• T primitivo sotto controllo
• Possibilità di radicalità chirurgica (asportazione completa con margini
liberi): la resezione atipica oggi è l’intervento più eseguito, mantenendo
un margine di 0,5-1 cm
• Assenza di M extra-polmonari
• Quadro spirometrico compatibile con la/e resezioni
• Assenza di alternative terapeutiche (specialmente con l’introduzione
della target therapy e dei farmaci biologici).
MESOTELIOMA PLEURICO
Riconosce come fdr principale l’esposizione ad asbesto/amianto.
È di interesse per la sua relativa diffusione e per, purtroppo, la sua scarsa sopravvivenza.
Clinica: la sintomatologia è subdola, ma alcune caratteristiche non devono essere trascurate: la principale è un versamento pleurico recidivante
(spesso i pz vengono classificati come pleuritici).
Quando la neoplasia raggiunge una fase più avanzata, attraverso l’infiltrazione della parete toracica produce dolore e l’ispessimento proliferativo
della pleura (insieme al dolore e al versamento) genera dispnea.
La storia naturale è estremamente severa, con una sopravvivenza media di 9 mesi dalla diagnosi.
Diagnosi: è legata fondamentalmente al sospetto medico, l’unico fattore che determina una diagnosi precoce. Prevede:
• Rx torace: evidenzia il versamento pleurico
• TC torace: possibile evidenza di mammelloni pleurici
• Videotoracoscopia: evidenza diretta di lesioni a “spruzzo di calce” e possibilità di prelevare campioni bioptici per la diagnosi di certezza.
231
INCIDENTALOMA SURRENALICO
Qualsiasi massa scoperta per caso in corso di procedure diagnostiche o interventi chirurgici eseguiti per
altri motivi.
Epidemiologia
Prevalenza in studi radiologici è del 4% nell’adulto, aumentando all’8% negli anziani.
La popolazione più colpita è quella sopra i 60-70 anni, soprattutto di sesso F.
Classificazione istologica
• Incidentalomi del corticosurrene:
- Adenoma (70% dei casi) ⇒ benigno, generalmente non funzionante
- Iperplasia nodulare
- K (10% dei casi)
Diagnosi
In seguito al riscontro casuale, occorre definire:
• Insufficienza surrenalica (rara) ⇒ cortisolemia delle ore 8 (ridotta), cortisoluria delle ore 24 (ridotta);
nei casi dubbi test dinamico di stimolo con ACTH rapido per ev (ridotta cortisolemia)
2) Malignità (nel 13% degli incidentalomi): ad oggi non esistono marker specifici: l’unica eccezione è
l’infiltrazione delle strutture circostanti o la presenza di M.
Occorre pertanto indagare all’imaging elementi suggestivi di malignità.
È utilizzata nel follow-up di lesioni definite benigne alla TC o RMN per cui non sia prevista la
chirurgia.
232
• TC: è l’esame di riferimento e consente di valutare diversi criteri diagnostici:
− Criteri morfologici aspecifici:
o Dimensioni: diametro > 4cm è indice di malignità
o Variazioni volumetriche: una rapida crescita > 1 cm all’anno è indice di malignità
− Valutazione densità del tessuto (con TC senza mdc): attraverso la misura del grasso
intracellulare (infatti si sa che le cellule del surrene hanno un alto contenuto lipidico e di conseguenza quanto più la
neoplasia è ben differenziata e quindi benigna, tanto maggiore sarà il contenuto lipidico):
o Densità bassa (< 10 HU): il contenuto lipidico è così elevato da permettere con
assoluta serenità di classificare la lesione come benigna (71% di sensibilità e 98% di
specificità)
Quindi, mettendo insieme i diversi parametri, se i criteri morfologici propendono per la benignità e la densità è <
10HU allora si può affermare che la lesione è benigna con una specificità del 100%
• PET con 18-FDG: nelle lesioni neoplastiche dimostra fissazione elevata (superiore a quella del fegato).
In particolare, si valuta il rapporto tra la captazione massima misurata in SUV (Standardized Uptake Value) nella lesione neoplastica e
sulla cupola epatica (SUVmax tumore / SUVmax fegato), con cut-off di 1,7:
− Se il rapporto è <1,7 ⇒ lesione benigna
− // > 1,7 ⇒ // maligna.
Quando si richiede la PET è opportuno tener presente che il risultato ottenuto è fortemente correlato alla funzionalità del tumore stesso:
se funzionante sarà fortemente positivo in quanto formato da una massa metabolicamente molto attiva.
233
• Agobiopsia eco/TC-guidata: è necessario escludere il feocromocitoma prima di procedere.
In realtà questa procedura è sconsigliata in quanto la differenza AP fra adenoma e K surrenalico non
è marcata e aumenta il rischio di disseminazione di cellule neoplastiche.
Risulta invece utile in caso di neoplasia extra-surrenalica concomitante per confermare evidenze
radiologiche di M surrenali.
Follow-up
Obiettivi:
• individuare precocemente una crescita dimensionale della lesione, che potrà essere trattata quando
ancora di dimensioni facilmente aggredibili con chirurgia laparoscopica (riducendo così l’invasività ed
aumentando tollerabilità e sicurezza; al contrario, una massa di grandi dimensioni richiederebbe un approccio laparotomico
significativamente più invasivo).
Si ricorre a monitoraggio ecografico o TC con controlli a distanza di 6 mesi, 1 o 2 anni, 5 anni; al
termine dell’iter, se il quadro è invariato, non è indicato proseguire con il follow-up.
Agli Spedali Civili si può procedere ad anni alterni, senza essere mai sospeso: questa scelta è stata fatta in virtù della mancata
conoscenza sulla cinetica di crescita della lesione e per la possibilità che lesioni a lenta crescita possano nel tempo raggiungere
dimensioni molto elevate senza dare sintomi, diventando poi aggredibili esclusivamente con tecniche invasive
• valutare se nel tempo la lesione diventi secernente: monitoraggi con valutazione cortisolemia dopo
inibizione con desametasone a basse dosi (1 mg per os la sera prima alle ore 23) e metanefrine urinarie e/o
ematiche dopo 6 mesi e poi annualmente per 3-4 anni
La letteratura dice che un incidentaloma benigno ha la possibilità di avere una crescita dimensionale nel 10% dei casi e nel 3% dei casi di ridursi; il
rischio di malignità è invece pressoché assente.
Per quanto riguarda la funzionalità, esiste una bassa probabilità che la lesione sia un feocromocitoma misconosciuto alla diagnostica biochimica
iniziale; più raramente la massa può essere secernere cortisolo (Cushing) ed eccezionalmente può verificarsi un’iper-increzione tardiva di aldosterone.
Terapia
L’intervento di asportazione dell’incidentaloma in laparoscopia deve essere eseguito in caso di:
• Massa funzionante (clinicamente o biochimicamente)
• Sospetta lesione maligna.
Masse di grosse dimensioni (10-12 cm) richiedono un’incisione per via laparotomica o toracotomica.
234
K SURRENALICO
È piuttosto raro, con incidenza di 1-2 casi/milione di ab all’anno.
Sindromi ereditarie correlate: sindrome di Li Fraumeni, sindrome di Beckwith-Wiedemann e complesso di Carney.
Clinica
È spesso correlata alle manifestazioni da ipersecrezione ormonale mista di cortisolo e androgeni.
I tumori non secernenti causano una clinica aspecifica caratterizzata da dolori addominali, lombalgia,
astenia, calo ponderale e febbre (⇒ le aree necrotiche del tumore possono sovrainfettarsi).
All’EO eventuale massa addominale (se il tumore supera i 10-15 cm), che può determinare sintomi/segni da
compressione della v. cava inferiore (⇒ edemi, varici agli arti inferiori, riduzione dell’afflusso di sangue al
cuore) e varicocele.
Diagnosi
È basata sull’imaging, anche per la diagnosi di certezza
occorre l’istologia, mediante i nove criteri morfologici di
Weiss.
Stadiazione
STADIO Caratteristiche
I Dimensioni <5cm
II >5cm
III Invasione locale o
linfonodale
IV M+
La storia naturale del tumore vede una sopravvivenza a 3-9 mesi dalla diagnosi senza interventi.
Dopo trattamento chirurgico, la sopravvivenza a 5 anni si attesta complessivamente intorno al 30%.
Fattori prognostici: stadio, età (> 40 anni), caratteristiche istologiche e biologiche, radicalità dell’exeresi, risposta alla CT.
Terapia
La chirurgia in laparotomia rappresenta la terapia di prima scelta per gli stadi I-III, mentre è discusso il
ruolo dell’intervento chirurgico per lo stadio IV.
Prevede surrenectomia (con dissezione in unico blocco e tumore integro per evitare l’impianto di cellule surrenali tumorali),
linfadenectomia (di linfonodi surrenalici e dell’ilo renale con aggiunta di linfonodi ritenuti patologici) ed eventuali resezioni di
organi circostanti infiltrati.
In caso di pz con M, si ricorre a un ciclo di CT e, a seguito della risposta, si può valutare bonifica
chirurgica del T e del cavo addominale; dopo la chirurgia ci può essere un’ulteriore CT che in alcuni casi
può portare alla NED (no evidence of disease).
Schema di CT Berruti: cisplatino + etoposide + doxorubicina + mitotane (⇒ dotato di un’azione di blocco della steroidogenesi insieme ad un’attività
citotossica sulle cellule cortico-surrenali); questa CT dà tossicità di terzo-quarto grado non trascurabili, ma nemmeno drammatiche.
235
FEOCROMOCITOMA
Tumore raro secernente catecolammine (⇒ noradrenalina e adrenalina), originante da cellule
neuroendocrine cromaffini (feocromociti).
La localizzazione principale è la midollare del surrene (75%), ma può originare anche da paragangli con
fenotipo simpatico (⇒ in tal caso si parla di feocromocitoma extrasurrenalico, con localizzazione toracica o addominale).
Ha comportamento generalmente benigno; solo l’insorgenza di M definisce il tumore come maligno nel
10% dei casi (⇒ a tal proposito si dice che il tumore segue la “regola del 10%” perché nel 10% dei casi è
bilaterale, extrasurrenalico ed insorge nei bambini).
La maggior parte dei feocromocitomi produce sia NA che A, mentre una minoranza produce solo NA,
caratteristica che si riscontra maggiormente nei feocromocitomi extrasurrenalici.
Eziologia
a) Forme familiari (20%):
- Sindromiche
o MEN 2
o Sindrome di Von Hippel-Lindau (VHL)
o Neurofibromatosi di tipo I
o Feocromocitoma-paraganglioma familiare multiplo
Clinica
Nel 90% dei casi è presente IA, che può manifestarsi in diversi modi:
• IA stabile e refrattaria con crisi (45% dei casi)
• IA parossistica (35%)
• IA stabile (5%)
Le crisi da ipersecrezione di catecolamine si manifestano con variabile durata (da pochi secondi ad alcune
ore) e frequenza (da una volta ogni qualche mese a più volte al giorno), che tendono ad aumentare con la
massa del tumore (⇒ tipicamente ha crescita lenta, tranne nelle rare forme maligne).
Fattori scatenanti:
• Manovre di Valsalva e movimenti che comprimono la massa tumorale (ad es. cambiamenti di
posizione, massaggi addominali, defecazione, minzione…)
• Alimenti che contengono tiramina (⇒ grana, vino rosso) e sinefrina (⇒ succo di agrumi)
• Farmaci
• Induzione di anestesia, interventi chirurgici, indagini diagnostiche invasive.
La crisi nei casi più gravi può portare a complicanze quali: emorragia intracranica, IMA, aritmie, SC acuto e
dissecazione di eventuale aneurisma.
236
Per valutare eventuali picchi ipertensivi durante la giornata ⇒ holter pressorio nelle 24 ore (⇒ prevede la
misurazione della PA ogni 15-20 minuti durante il giorno e ogni 30 minuti durante la notte).
Diagnosi
A seguito del sospetto clinico, si procede con il dosaggio della metanefrine urinarie nelle 24 ore (⇒ cataboliti
delle catecolammine: NA → normetanefrina e A → metanefrina), più sensibile e specifico del dosaggio delle catecolammine
(sia plasmatiche che urinarie).
Risultati:
• Valori normali ⇒ assenza di malattia oppure feocromocitoma non funzionante nel lasso di tempo della raccolta urine: in tal caso occorre
ripetere durante crisi parossistiche
• Aumento modesto (inferiore a 2 volte //) ⇒ si deve ripetere la misurazione e prendere in considerazione il test di inibizione alla clonidina
(simpaticolitico agonista dei recettori α2 adrenergici centrali): se i livelli si mantengono elevati, è probabile un feocromocitoma
• Aumento significativo (almeno 2 volte il limite superiore del range) ⇒ indagini per localizzazione
tramite TC o RM con mdc di addome e pelvi.
Nel caso in cui siano negative in presenza di evidenza clinica e biochimica, si può approfondire mediante
scintigrafia con metaiodobenzilguanidina.
Ulteriori indagini:
• RM whole body
• Octreoscan
• PET
• Cateterismo selettivo delle v. surrenali (⇒ si misurano le concentrazioni di catecolammine/metanefrine al fine di capire la localizzazione
del tumore).
Nel caso in cui si sia arrivati alla localizzazione del tumore, screening genetico per valutare la presenza di
forme familiari.
Terapia
Intervento di resezione in via laparoscopica, solo dopo adeguata preparazione (di almeno 2 settimane, ma
anche per un paio di mesi) per controllare crisi da manipolazione del tumore, che prevede α1-bloccanti
(quali fenossibenzamina e doxazosina); solo dopo possono essere aggiunti β-bloccanti per il controllo della
FC (⇒ da non usare in monoterapia in quanto potrebbero provocare gravi EC, quali parossismi ipertensivi ed edema polmonare, per il blocco dei
recettori β2 che sono vasodilatatori periferici).
Nel caso in cui non si riesca a controllore adeguatamente la PA, possono essere aggiunti Ca-antagonisti (ad
es. amlodipina).
237
CHIRURGIA ONCOLOGICA nell’ANZIANO
Si tratta di uno dei temi caldi della chirurgia moderna per l’aumento dell’età media della popolazione: più di 1 pz su 5 sopra gli 85 anni andrà
incontro ad intervento chirurgico negli ultimi anni della sua vita.
Nei pz anziani il rischio di cancro è circa 40 volte maggiore rispetto ai pz tra i 20 - 44 anni e 4 volte rispetto all’età adulta (tra i 45 - 64 anni).
L’aumentata insorgenza nel pz anziano può essere correlata anche con una peggiore prognosi: non è vero, infatti, che in questi casi l’organismo sia
“più rallentato” rispetto a quello di un giovane e che quindi la crescita sia più indolente; in particolare per alcuni tumori come linfoma NH, leucemia
mieloide acuta e K dell’ovaio la prognosi risulta essere peggiore che nel paziente giovane, al contrario per tumore della mammella e NSCLC.
Secondo studi, gli interventi con finalità curativa si attuano meno all’aumentare dell’età del pz: questo porta però a risultati
peggiori.
Un eventuale approccio più conservativo nel pz anziano, portando come giustificazione la scarsa aspettativa di vita, è ampiamente
discutibile al giorno d’oggi.
Si nota dagli ultimi dati come una riduzione dei trattamenti chirurgici curativi in elezione in questi pz e invece un aumento dei
trattamenti palliativi porti ad un aumento vertiginoso dei trattamenti eseguiti in urgenza, gravati da complicanze peggiori (ad es. per il
colon citiamo occlusione e perforazione).
In conclusione, lo standard di terapia non dovrebbe essere lo stesso tra l’anziano e il giovane, ed è importante studiare le sue comorbidità
per capire la miglior opzione (indipendentemente dall’età), modulandone il rischio chirurgico.
Non può esistere una “chirurgia ridotta”: l’asportazione deve sempre seguire il criterio di radicalità completa fino a R0 (⇒ margine di
resezione indenne da tumore/senza residuo).
Definizione di pz anziano
Fino a pochi anni fa per l’OMS il pz viene considerato anziano quando supera i 65 anni, oggi la terza età viene poi ulteriormente suddivisa in “young
old” fino ai 75 anni, “real old” fino ai 85 anni e “oldest old” se supera tale età.
Oggi nel pz anziano è fondamentale valutarne la fragilità, che indica uno stato di aumentata vulnerabilità allo sviluppo di disabilità e/o morbilità e
scarsa possibilità di recupero dell’omeostati dopo un evento stressante, come post-intervento.
Si ha tipicamente nel pz che ha comorbidità, cioè che presenta condizioni patologiche concomitanti e indipendenti dalla patologia in esame che
possono compromettere la prognosi del pz fino a determinarne il decesso.
Un pz fragile, con 85 anni e più di 3 comorbidità, non autonomo nelle attività quotidiane, e con una sindrome geriatrica, ha di per sé una mortalità
stimata a 2 anni del 40%, per cui è lecito chiedersi se valga la pena operare questo malato e magari aumentare la sua aspettanza a 3 anni quando
però incidono queste altre patologie.
È bene rischiare alto se il beneficio è molto, ma non rischiare se apporto soltanto il minimo beneficio.
Tra le più importanti e difficili comorbidità da gestire viene citata la demenza, che può portare a morte il pz anche in caso di intervento perfettamente
riuscito.
La capacità di recupero totale post-intervento del pz è chiamata resilienza: se presente a sufficienza, permette di recuperare la situazione di partenza.
Tanto più un pz è fragile, tanto più la complicanza risulterà in un danno più grave e scarsamente recuperabile.
Volendo classificare i reparti o gli ospedali secondo questi aspetti di recupero e conseguenze per il paziente, un ospedale “buono” è quello che si
mostra in grado di gestire al meglio le complicanze.
Riuscire, coordinando i vari reparti interessati, in un ospedale di ottimo livello, a risolvere una situazione difficile in un paziente è indice di buona
qualità dell’ospedale; di contro, troviamo il failure to rescue, ovvero l’insuccesso nel perseguire l’obiettivo sopra descritto.
238
Si viene a delineare la possibilità di definire un pz come “unfit for surgery”, spesso proprio in funzione dell’età e delle comorbidità.
Una tabella sull’aspettanza di vita ci fa notare come questa sia per una persona di 85
anni pari ad ancora circa 6 anni, per cui non si può dire che un paziente oncologico sia
escluso da chirurgia perché “tanto morirà prima”, non operandolo sicuramente morirà
prima di quanto atteso ma proprio a causa del tumore, che invece avrei potuto trattare
dandogli più tempo.
Risulta evidente dai dati che i pz con M sono per la maggioranza over 70 anni, ma sono
molti meno quelli a cui è stata offerta possibilità di cura, nonostante la terapia chirurgica
sia l’unica possibile, in quanto la CT abbia vincoli per quanto riguarda la fragilità del
paziente.
Questo conferma la tesi che il pz anziano oncologico spesso meno considerato e gli
siano offerte in misura minore soluzioni radicali di tipo chirurgico.
Prendendo in considerazione pz sia anziani che giovani con HCC e Child Pugh Score
(indice di funzionalità epatica) apparentemente conservato, i primi sembrerebbero
presentare un andamento peggiore rispetto ai pz più giovani: questo è dovuto non tanto
all’età in sé quanto esclusivamente al fatto che molti di essi non vengono proprio
sottoposti a cure.
La prognosi però, al netto delle comorbidità, è uguale nelle due popolazioni di pz.
Gestione del pz con tumore del fegato negli Spedali Civili di Brescia
Nell’U.O. di Brescia viene calcolato il rischio pre-operatorio per singolo pz, che comprende: valutazione funzionalità epatica residua, valutazione
cardiologica, respiratoria ed anestesiologica.
I pz individuati come particolarmente fragili vengono preparati per l’intervento con una riabilitazione pre-operatoria: il pz viene mandato alla
Domus Salutis per due settimane dove effettua terapia fisioterapica due volte al giorno, vengono rifatte le valutazioni sopra elencate e controllato
l’apporto calorico/proteico.
La resezione deve essere sì radicale, ma va considerata la possibile minore capacità riparativa del tessuto epatico nel pz anziano e devo quindi adattare
la chirurgia al tipo di tumore e di paziente.
Il fegato nel pz anziano ha ridotte dimensioni e volume, ridotta funzionalità cellulare e capacità rigenerativa, minore afflusso di sangue, ridotta
funzione immunitaria; tutto questo mi porterebbe a dire che sia controindicato anche operare un fegato sano nel pz anziano, ma in realtà questi fattori
riassumibili nel concetto di “senescenza fisiologica” non aumentano il rischio chirurgico.
La probabilità nel pz anziano di sviluppare complicanze è praticamente uguale a quella nel giovane, ma la mortalità da complicanze nel pz over 80
arriva ad essere addirittura 10 volte maggiore.
Le più comuni sono:
− polmonite (ha il 10% di mortalità)
− IVU
− infezione del sito chirurgico (8% di mortalità)
− permanenza del catetere
− cachessia
− piaghe da decubito.
239
Chirurgia d’urgenza nel pz anziano
Determina un rischio di complicanze pressoché uguale a quello di una chirurgia ordinaria, ma ha un rischio di mortalità molto più alto quando si
sviluppano complicanze.
Gli obiettivi quindi sono due:
• prevenire le complicanze in modo da ridurre la mortalità
• qualora questo non sia possibile, riuscire a trattarle in modo ottimale.
Uno studio sulla resezione gastrica per cancro in pz anziani ha rivelato che c’è una buona probabilità di fare un intervento curativo.
Si osserva tuttavia che nei pz >80 anni è stata effettuata una linfoadenectomia meno estesa rispetto che in quelli < 80anni.
Questo significa che se il pz si ritiene particolarmente fragile, bisogna cercare di prevenire la complicanza: se si sa che la metodica (in questo caso
la linfoadenectomia estesa) può comportare una maggiore complicanza, è bene prevenirla con logica.
L’età avanzata è spesso fonte di preoccupazione sia da parte dei familiari, sia da parte del medico nei confronti dell’intervento chirurgico: si deve
sottolineare come un intervento chirurgico in una persona anziana non ha solo l’obiettivo di allungare l’età di vita, ma soprattutto è orientato a
prevenire la complicanza, in modo da ridurre il dolore e migliorare la qualità della vita e la disabilità.
D’altro canto, i possibili rischi dell’intervento sono:
• morte
• dipendenza
• istituzionalizzazione: il pz è costretto a una permanenza in ospedale per un lungo periodo.
Nel pz geriatrico la capacità di vivere una vita indipendente, con una minima perdita di funzione e magari la non cura della sua malattia, può prendere
la prevalenza su un intervento terapeutico eroico.
Seguendo un algoritmo, occorre:
1. identificare il problema principale che porta il malato in ospedale
2. prima di definire il progetto terapeutico, è necessario scoprire l’interesse e la preferenza del pz (ad es. al pz può non interessare vivere 6
mesi in più se questo significa vivere con il dolore o in ospedale)
3. stabilire gli obiettivi del trattamento più pertinente per quel pz, non per la patologia
4. valutare l’aspettativa di vita, con terapia del problema, senza terapia del problema e con terapia palliativa
5. discussione con il pz.
Come già accennato la chirurgia d’urgenza nell’anziano ha con sé una forte percentuale di rischio, che si può ridurre trasformando la chirurgia in
urgenza in una chirurgia programmata (⇒ in elezione).
I vantaggi di una chirurgia programmata sono:
− identificare i fdr modificabili e migliorarli (ad es. disidratazione, anemia…)
− trasferire il pz in centri ospedalieri esperti.
È importante anche valutare quando una chirurgia mini-invasiva in urgenza può essere indicata nel pz anziano: la tecnica deve essere scelta quando è
rapida, sicura ed in grado di ottenere il migliore risultato, perché il fine deve essere sempre la sicurezza del malato.
240
EMOSTATICI in CHIRURGIA
Un prodotto emostatico è un qualsiasi presidio che blocca l’emorragia in atto.
▪ emostasi chimica con prodotti emostatici, che riproducono il processo dell’emostasi fisiologica.
Fra questi, rientra la colla di fibrina che contiene i componenti necessari per la formazione della fibrina: il fibrinogeno e la trombina, presenti
in concentrazioni decine o centinaia di volte superiori a quelle plasmatiche.
Ha tre principali azioni:
− emostatica: blocca l’emorragia in atto
− sigillante: sigilla e rende impermeabile la superficie, impedendo la fuoriuscita di liquidi, gas o solidi
− collante-adesiva: unisce, attacca organi, strutture o tessuti.
L’emostasi chimica offre enormi vantaggi quando i tessuti sono particolarmente fragili o molto sanguinanti.
Emblema di questa situazione è la milza: se questa sanguina e si provvede a dare dei punti di sutura, il sanguinamento può peggiorare
fino a richiedere talvolta l’asportazione dell’organo; poter applicare una colla e formare un coagulo è senza dubbio l’opzione migliore.
Campi di applicazione:
❖ // epatica
− La maggior parte dei sanguinamenti si osservano nelle fasi di isolamento del fegato e durante la sezione parenchimale.
L’utilizzo delle comuni colle avviene quindi soprattutto in questa fase, per perfezionare l’emostasi e sigillare la trancia di
sezione.
Tuttavia, è da tener presente che la funzione coagulativa nel pz cirrotico è sempre compromessa e tende a ipercoagulare (perché
il fegato produce sia fattori pro- che anti-coagulanti e nel cirrotico l’equilibrio si sposta).
− L’efficacia della colla di fibrina nella chirurgia epatica è dimostrata nella prevenzione dell’ascite post-operatoria dopo
resezione epatica per HCC in cirrosi: in questo caso si sfrutta l’azione sigillante della colla di fibrina, la quale spruzzata sulla
zona va a sigillare i vasi linfatici che si sono danneggiati.
❖ Chirurgia pancreatica
Durante una resezione del pancreas spesso si forma una fistola pancreatica e soprattutto ci sono tanti piccolissimi duttoli che non si
vedono: avere un prodotto che sigilli il moncone pancreatico è l’optimum.
La potenzialità di questa applicazione è enorme.
Tuttavia il pancreas produce numerosi enzimi litici che consumano il supporto di collagene, quindi l’azione sigillante sarà temporanea.
❖ // plastica:
− spruzzando la colla di fibrina sull’area donatrice dell’innesto, si ha un’azione emostatica per fermare il sanguinamento
− // ricevente, si ha un’azione collante/adesiva per facilitare l’attecchimento (senza punti di sutura)
❖ // ortopedica
− nella chirurgia protesica riduce il rischio di sanguinamento (azione emostatica) e del fabbisogno trasfusionale
− nella chirurgia riparativa può essere utilizzare per veicolare i condrociti per i processi degenerativi
241
Nella seguente tabella si osservano i vari tipi di presidi emostatici con le relative indicazioni.
La più semplice è la cellulosa ossidata, ottima per i sanguinamenti modesti; al contrario invece la gelatina o la colla di fibrina sono più idonee per
sanguinamenti arteriosi importanti.
CELLULOSA COLLE DI
OSSIDATA GELATINE COLLAGENI FIBRINA TROMBINA
tempo di
riassorbimento rapido medio lento Molto lento Molto lento
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DIABETE MELLITO in CHIRURGIA
Il DM è una sindrome dismetabolica caratterizzata da un aumento cronico della glicemia.
• HbA1c ≥ 6,5% (permette di valutare la glicemia media nei tre mesi precedenti al prelievo)
• Glicemia a digiuno (⇒ nessuna assunzione calorica per almeno 8 h) ≥ 126 mg/dL in almeno
In condizioni fisiologiche, la glicemia
due misurazioni a distanza su plasma venoso plasmatica a digiuno è compresa fra 70 -
100 mg/dL
• Glicemia 2 ore dopo carico orale con glucosio (OGTT) ≥ 200 mg/dL.
L’OGTT (Oral Glucose Tolerance Test) consiste nella somministrazione per os di una soluzione acquosa (300 mL) contenente 75 g di
glucosio, a cui seguono misurazioni seriate della glicemia
È sufficiente la positività ad uno solo di questi criteri per fare diagnosi di DM.
Classificazione
Distingue sulla base di criteri eziopatogenetici:
A) Forma primaria: non presenta una causa scatenante precisa, ma una serie di fattori predisponenti:
➢ Tipo 1: distruzione della -cellula che determina solitamente deficit insulinico assoluto, con meccanismo:
- Immunomediato (tipo 1A, più frequente)
- Idiopatico (tipo 1B – 10%)
➢ Tipo 2 (rapporto 9:1 con DM 1): spazia da una fase iniziale di predominante insulinoresistenza con deficit insulinico relativo fino a una
fase tardiva in cui prevale un difetto della secrezione insulinica con insulinoresistenza.
Fattori predisponenti:
▪ Predisposizione genetica
▪ Obesità (soprattutto viscerale) e sedentarietà.
B) Forma secondaria:
➢ Difetti genetici della funzione della -cellula (⇒ Maturity Onset Diabetes of the Young - MODY)
➢ Difetti genetici dell’azione insulinica per alterazioni a carico del recettore
➢ Malattie del pancreas esocrino ⇒ pancreatite, trauma, neoplasia…
➢ Endocrinopatie ⇒ acromegalia, sindrome di Cushing, glucagonoma, feocromocitoma…
➢ Diabete indotto da farmaci o chimici ⇒ glucocorticoidi, ormone tiroideo, agonisti -adrenergici, tiazidi…
Epidemiologia
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Clinica
1) DM1
Esordisce nel 50% dei casi a un’età inferiore ai 20 anni, soprattutto durante la pubertà.
L’esordio può essere acuto con chetoacidosi diabetica oppure subacuto con sintomi/segni più sfumati.
Sintomi comuni all’esordio:
- Poliuria, con conseguente sete e polidipsia → il deficit assoluto di insulina e il concomitante aumento dei livelli di glucagone provocano
iperglicemia; quando la glicemia supera la soglia renale per il riassorbimento di glucosio (⇒ 180 mg/dL), compare glicosuria, che
provoca diuresi osmotica con conseguente poliuria.
2) DM 2
Esordisce di solito in età adulta e si associa frequentemente a obesità viscerale e IA.
Può manifestarsi, analogamente al DM 1, con poliuria, sete, polidipsia, polifagia (⇒ che in questo caso determina un aumento del peso, a differenza
del DM1) e astenia, anche se nella maggior parte dei casi la diagnosi viene fatta per occasionale riscontro di iperglicemia.
Poiché il DM 2 può rimanere a lungo asintomatico (⇒ in media 7 anni), un’elevata percentuale di soggetti presenta già all’esordio le complicanze
croniche della malattia.
I pz con DM2 hanno scarsa tendenza a sviluppare chetoacidosi diabetica, sebbene i soggetti più anziani possano sviluppare sindrome iperglicemica
iperosmolare.
b) // micro-vascolari
• Retinopatia diabetica
• Nefropatia diabetica
- Neuropatia autonomica (nel 30% dei pz con diabete di lunga data) con:
o ipotensione ortostatica, tachicardia a riposo e minor variabilità della FC nelle 24h
o Disturbi GI per difetti della motilità intestinale
o Disturbi sfinterici con incontinenza o ritenzione, disfunzione erettile
244
Problematiche chirurgiche del DM
Sono connesse ad un aumentato rischio di complicanze peri-operatorie (⇒ polmoniti, IVU, infezione della ferita chirurgica, sepsi…), che
mediamente allungano la degenza di 4-5 giorni.
Il riscontro al ricovero, soprattutto a seguito di un evento traumatico, di un’iperglicemia (> 140-150 mg/dL) è un evento comune (circa il 38% dei
ricoveri, di cui il 12% sono pz con diabete non noto), come risposta dell’organismo allo stress; difatti la glicemia in poche ore torna a valori
fisiologici.
• // tra 5.2 - 6%: situazione dubbia che richiede un percorso diagnostico specialistico
Nelle situazioni che non richiedono un intervento in urgenza, è importante portare prima il
livello glicemico < 140-150 mg/dL, in modo da ridurre in maniera importante il rischio di
mortalità associato alle complicanze.
In caso di ricovero, l’AIFA impone il cambiamento della terapia con ipoglicemizzanti orali
ad insulina entro 48 h dall’intervento, in quanto questo riduce il rischio di acidosi lattica.
L’assunzione della metformina viene riprese ad alcuni giorni dall’operazione.
Durante il ricovero il farmaco d’elezione è l’insulina.
È possibile mantenere oppure adottare la terapia con ipoglicemizzanti orali quando il pz:
− È in condizioni cliniche stabili
− Ha una patologia di modesta entità
− Si alimenta regolarmente
− Non ha insufficienza epatica o renale
− Ha un buon controllo glicemico.
In conclusione, è importante mantenere la glicemia tra valori che oscillano tra 100 mg/dL - 180 mg/dL,
Terapia insulinica
Si basa su quattro iniezioni sottocutanee giornaliere:
− 1 somministrazione di basal bolus con un analogo lento
− 3 somministrazioni prima dei pasti con analoghi rapidi.
Chirurgia bariatrica-metabolica
Non trova più indicazione solamente nel trattamento delle grandi obesità refrattarie, ma sta conquistando sempre più spazio anche nella terapia delle
forme diabetiche (soprattutto in pz con alto grado di obesità).
A seguito dell’intervento si ha un notevole miglioramento della condizione metabolica: la malattia diabetica va in remissione rapidamente dopo
l’intervento prima che si abbia una riduzione significativa del peso e inoltre, a parità di perdita di peso ottenuto con la restrizione calorica, l’intervento
di chirurgia bariatrica ottiene un maggior miglioramento del controllo glicemico.
I meccanismi coinvolti in questo processo non sono del tutto chiari, ma sembrano coinvolgere in maniera importante:
− incretine: aumentano i livelli di GLP-1 e insulina post-prandiali (in alcuni casi si riduce anche la grelina). Questo è il motivo per cui un
carico orale di glucosio determina un picco di secrezione insulinica maggiore rispetto al carico in vena, in quanto l’assunzione per via
orale mette in gioco il sistema delle incretine.
245
− circolazione entero-epatica: si notano delle alterazioni a livello del signaling degli acidi biliari
− aumento del consumo metabolico di glucosio da parte dell’intestino e riduzione del trasportatore SGLT1, con aumento della sensibilità GI
all’insulina
− alterazioni del microbioma.
246
TERAPIA ANTICOAGULANTE
Comprende:
• Farmaci con somministrazione parenterale ⇒ eparine
• // per os (TAO) ⇒ anticoagulanti di vecchia gen. (Warfarin e Acenocumarolo) e NAO (nuovi anticoagulanti orali).
EPARINE
Sequenze di mucopolisaccardi che potenziano l’attività dell’antitrombina, con via di somministrazione parenterale.
Farmacocinetica: l’azione farmacologica inizia dopo circa 3-4 h (è evidente quindi che
non potranno essere utilizzate per le emergenze).
L’emivita è di circa 4h e viene eliminata per via renale.
− 100 UI/kg x 2 volte/die in tutti gli altri pz, quali pz obesi, con EP
sintomatica, patologia tumorale, recidiva di TV o trombosi prossimale (vena
iliaca).
Tabella posologica per VFG 15- 30: dosaggi dimezzati, con 2.000 UI per la profilassi
TEV e 100 UI x 1 volta/die per teapia TVP/embolia polmonare.
In caso di VFG < 15 ml/min, l’Enoxaparina non è raccomandata.
Controindicazioni:
Sindromi emorragiche in atto o recenti
Anamnesi positiva per HIT nei 100 giorni precedenti o in presenza di Ab circolanti
Coagulopatia e grave piastrinopenia
Recente trauma cranico.
Cautele e interazioni:
• Età (⇒ l’anziano è il pz più fragile)
• Insufficienza epatica e renale
• Gravidanza (non vi sono dati certi)
• Concomitanti terapie con anticoagulanti orali, antiaggreganti piastrinici, FANS, trombolitici (generalmente la terapia viene sospesa prima
di iniziare il trattamento con eparina)
247
Effetti indesiderati per Eparina non frazionata ed L-MWH:
• Emorragia maggiore (il più frequente)
• Heparin-Induced Thrombocytopenia (HIT)
• Altre complicanze: osteoporosi e ipersensibilità cutanea locale, reazioni anafilattoidi, iperpotassiemia ed aumento transaminasi.
➢ Fondaparinux
È un inibitore del fattore X-attivato, somministrato per ev o sc;
rispetto all’eparina impiega un po’ di tempo ad agire, ma ha
lunga emivita.
Vantaggi:
• Minor rischio di HIT, quindi può essere usato nei
pz con piastrinopenia
• Somministrazione una volta al giorno
• Dosaggio in base al peso corporeo (valutare sempre
la funzione renale).
Svantaggi:
• la sua lunga emivita è controproducente in caso di sanguinamento prolungato
• non si sa quale sia la sicurezza in gravidanza, quindi si utilizzano altre eparine, che si sono dimostrate sicure per il feto (sono invece da
sospendere gli AVK)
Take-home messages
La scelta della terapia è determinata da una parte dall’intento di prevenire eventi
trombotici, dall’altra evitare eventi emorragici.
Pazienti polipatologici e anziani hanno rischio emorragico tutt’altro che basso.
Certamente nella pratica clinica bisogna utilizzare sempre i criteri contenuti negli
score CHA2DSVASC e HASBLED.
248
TERAPIA ANTICOAGULANTE ORALE (TAO)
Circa il 2% della popolazione italiana assume farmaci anticoagulanti:
− Più della metà di questi pz sono affetti da FA
− TEV (31%)
− Protesi valvolari cardiache (13%)
− arteriopatie obliteranti (5%).
Per la FA vi sono due score utilizzati come guida riguardo l’uso della TAO per la prevenzione degli eventi trombo-embolici: lo score CHADVASC
descrive il rischio di ictus, mentre lo score HAS-BLED il rischio emorragico.
// potenzialmente reversibili:
• Anemia
• Insufficienza epatica
• IR
• Piastrinopenia
È importante notare che tra i fdr tromboembolico sono presenti anche alcuni fdr per eventi emorragici, in particolare età avanzata e IA.
249
➢ WARFARIN
Agisce mediante inibizione della vitamina K-reduttasi ⇛ si impedisce così la γ-
carbossilazione da parte della vitamina K dei fattori VII, IX, X e II, indispensabile per la loro
attività biologica.
• Finestra terapeutica molto stretta: nella maggior parte dei pz viene somministrato
Warfarin in modo tale che l’INR tra 2 - 3; nei pz con valvola meccanica INR 2,5 -
3,5.
Al di fuori di questo range, si ha rischio di sanguinamenti intracranici quando l’INR
> 3, mentre rischio di ictus ischemico quando INR < 2.
È pertanto necessario dosare continuamente l’INR, almeno una volta al mese, ma anche settimanalmente a seconda dei casi.
Il PT valuta la via estrinseca della coagulazione (⇒ parte dal fattore VII, poi via comune con X, V II e fibrinogeno).
L’INR è una misura derivata dal PT che mette in relazione il PT del pz con il PT di una popolazione di riferimento: se è uguale a 1
significa che è normale, se aumenta significa che è più scoagulato di una persona normale.
• Interazioni con:
- verdure a foglie larghe verdi (⇒ broccoli, cavolo, cavolini di Bruxelles, cime di rapa, spinaci…)
- FANS e antiepilettici
- Amiodarone
Molti medici non sanno distinguere il significato di PT e INR rispetto a quello di aPTT.
PT e INR sono esami diversi rispetto al PTT (o aPTT): non ha senso chiedere l’INR per un malato che fa terapia eparinica, viceversa non ha senso
chiedere il PTT per un malato che sta facendo un anticoagulante orale.
La terapia anticoagulante tradizionale per bocca si controlla con PT INR.
- Se invece il PT (in 3° giornata) rimane uguale (al basale) continuo a somministrare una compressa al giorno e in quinta giornata eseguo il
dosaggio del PT.
250
Controindicazioni assolute:
• Gravidanza (teratogeno) ⇛ si somministra eparina
• Emorragia maggiore: entro un mese dall’insorgenza
Un pz che abbia una protesi valvolare mitralica (più a rischio di trombosi rispetto alla protesi
aortica) oppure FA con protesi valvolare, possiede un elevato rischio trombotico quindi
sospendere la TAO significa esporlo ad un rischio di ictus che può essere dell’1%, anche se il
VKA è momentaneamente sostituito da eparina (pz ad alto rischio).
Per il pz che entra in urgenza non è possibile effettuare la sospensione a tempo debito della
terapia, pertanto è necessario ricoagularlo.
In particolare, ciò va effettuato in caso di emorragia, sia come complicanza della terapia
anticoagulante, sia conseguente ad es. ad un incidente stradale che abbia provocato una
rottura di milza.
Oggi il 70-80% delle rotture di milza o di fegato sono trattate conservativamente
quindi è fondamentale poter ricoagulare questi pz.
Per ricoagulare si possono utilizzare:
- Vitamina K (Konakion): antagonista della warfarina, che impiega tuttavia
6-12h per esercitare il proprio effetto e nelle persone più anziane, magari
scompensate con stasi epatica o epatopatiche, può impiegare anche 24 h;
non è quindi sufficiente in caso di emergenza chirurgica
+
- Concentrato di complesso protrombinico a 4 fattori (CPC): sono
considerati farmaci salvavita, ricoagulano il pz immediatamente.
Se un pz scoagulato va incontro ad un’emorragia cerebrale è necessario intervenire ricoagulandolo il prima possibile poiché, se si attende, il focolaio
emorragico si espande (raddoppia in 6h).
Se l’intervento chirurgico non è urgente ma viene programmato (in elezione), nei giorni precedenti si effettua la cosiddetta bridging therapy: si
sospende la TAO e si somministra eparina al posto del VKA.
Nello specifico, nei pz ad alto rischio di trombosi (⇒ pz con TVP recente, protesi valvolare meccanica in posizione mitralica, protesi vecchio
modello a palla, FA con pregresso TE arterioso o valvulopatia mitralica), occorre:
1. Interrompere TAO 4-5 giorni prima dell’intervento
2. Iniziare LMWH a dosi indicate per alto rischio oppure eparina standard.
LMWH va cominciata dopo 48h dalla sospensione della warfarina (poiché la
warfarina ha emivita di 48h, quindi è necessario attendere che venga
completamente eliminata dall’organismo, altrimenti è come se somministrassi due
anticoagulanti contemporaneamente)
La ripresa della terapia anticoagulante può anche essere ritardata di qualche giorno dopo
l’operazione, in base al parere del chirurgo.
Ad es. in caso di intervento maggiore è possibile attendere anche 7-10 giorni.
251
➢ NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI
Inibiscono un singolo fattore della coagulazione in modo specifico:
• Dabigatran: inibisce la trombina (fattore IIa); presenta un antidoto specifico (Idarucizumab)
• Apixaban, Edoxaban e Rivaroxaban: // fattore Xa
Vantaggi:
• Non hanno bisogno di terapia “a ponte” (embricazione con eparina), poiché iniziano la loro attività immediatamente.
Pertanto, dopo un intervento di chirurgia maggiore si attendono 5-6 giorni in modo che la ferita si stabilizzi, sostituendoli in questo lasso di
tempo con eparina
Limiti:
Controindicati in caso di protesi valvolare meccanica o stenosi mitralica
Non possono essere somministrati in pz in IRC grave con VFG ≤ 15 (per via dell’escrezione renale)
Indicazioni:
▪ Prevenzione TEV in ambito ortopedico
▪ Prevenzione eventi trombo-embolici in FA non valvolari
Opzioni di trattamento:
− LMWH ⇒ enoxaparina 150 UI/kg x 1 volta die o 100 UI/kg x 2 volte/die
− Fondaparinux (5 mg, 7,5 mg, 10 mg)
− Eparina sodica per ev, mirando ad aPTT in range 1,5-2,5
− Iniziare AVK contemporaneamente all’eparina, dopodichè sospendere eparina quando INR ≥ 2 in due determinazioni e non prima
di 5 giorni.
Nel pz che non ha insufficienza renale, è possibile oggi un approccio alternativo con i DOAC:
− Terapia con eparina per i primi 5-9 giorni, poi Dabigatran (150mg x 2volte/die) o Edoxaban (60mg/die)
− Subito Apixaban/Eliquis (10mg x2/die per i primi 7 giorni, poi 5mg x2/die) o Rivaroxaban/Xarelto (15mg x2/die per i primi 21
giorni, poi 20mg/die)
▪ Prevenzione eventi cv in pz con SCA (soprattutto Rivaroxaban, ma in realtà possono essere utilizzati anche Dabigatran ed eventualmente
fare associazioni con antiaggreganti).
• Medio rischio (ad es. endoscopia con biopsia, posizionamento di pacemaker…) ⇒ sospensione NAO almeno 24h prima.
• Alto rischio (ad es. per procedure chirurgiche in pz in anestesia epidurale, biopsie epato-duodenali, interventi toraco-addominali…) ⇒
sospensione NAO 48h prima.
252
CHIRURGIA BARIATRICA
Branca della chirurgia che si occupa dei pz affetti da obesità.
Esistono diverse classificazioni dell’obesità: le principali sono la classificazione morfologica, che distingue l’obesità in ginoide e androide, e la
classificazione quantitativa basata sulla valutazione del BMI.
Strategie terapeutiche:
253
TECNICHE CHIRURGICHE
A) INTERVENTI GASTRORESTRITTIVI
Hanno l’obiettivo di indurre un senso di sazietà precoce con l’assunzione di una modesta quantità di cibo, in relazione al volume della capacità gastrica.
Tipologie di intervento:
➢ Gastroplastica Verticale secondo Mason
Si crea, in regione sotto cardiale, una neocavità gastrica cilindrica.
Si viene a creare una compartizione gastro-gastrica cioè una separazione della cavità
gastrica sotto cardiale verticale all’His.
La neocavità gastrica ha una capacità di 30/40 cc ed è collegata con il resto della cavità
gastrica a livello del neopiloro.
Si utilizza un rinforzo extraluminale per evitare l’espansibilità tissutale, in quanto il cibo
deve ristagnare, distendere la neocavità gastrica e successivamente passare nella cavità
residua.
Questo meccanismo induce un senso di sazietà precoce.
➢ Bendaggio gastrico
Ha soppiantato la gastroplastica verticale per la maggior semplicità nell’esecuzione
dell’intervento e per anni è stato uno dei principali interventi nell’ambito della
chirurgia bariatrica.
Ultimamente è sempre meno applicato in quanto presenta risultati scadenti e la
qualità di vita scarsa a causa della restrizione alimentare esasperata: i malati devono
avere una fase masticatoria prolungata, frullare il cibo, devono mangiare molto poco,
ma cibi ad alto contenuto idrico e alimentarsi lentamente.
La tecnica chirurgica consiste nel posizionamento di un anello in silicone a pochi
centimetri dal passaggio esofago gastrico creando una neo cavità di pochi cc,
all’inizio virtuale e che poi il cibo spontaneamente creerà.
Il bendaggio prevede nella parte interna un anello in silicone che è collegato tramite
un sistema di connessione esterna a un Port sottocutaneo che permette l’introduzione
di un liquido specifico per diminuire l’outlet gastro-gastrico, ossia stringere
ulteriormente il passaggio dalla neocavità alla cavità residua.
➢ Sleeve gastrectomy
Rappresenta oggi uno dei principali interventi.
Si esegue una sezione gastrica partendo da circa 6 cm dal piloro, tubulizzando lo stomaco e
rimuovendo tutta la parte parietale dello stomaco.
La restrizione è meno importante dal punto di vista volumetrico per cui ci permette una
maggiore alimentazione, che però rappresenta un problema se applicato ad un iperfagico.
Un iperfagico, infatti, potrà non mangiare come prima, ma sottoporre ad un’ipertensione il
tubulo e questo col tempo può dilatarsi e quindi andare incontro ad un’eccessiva compliance
alimentare, fenomeno che potrebbe correlarsi con l’arresto del calo ponderale o addirittura ad
un aumento del peso.
L’altra problematica della sleeve è l’infrequente, ma preoccupante, sviluppo di fistola per
problemi di scarsa vascolarizzazione e ipertensione endoluminale, che interessa circa l’1%
dei pz.
254
➢ Plicatura gastrica
Richiede la devascolarizzazione della grande curva e
l’introflessione a punti staccati o in continua della grande curva,
calibrando il tubolo gastrico con una sonda da 50 french. Spesso i
punti staccati possono cedere per cui si può dilatare lo stomaco e
la restrizione gastrica viene meno; è consigliata quindi la sutura
in continuo.
Anche in questo secondo caso risulta difficile graduare il
tubulizzazione gastrica, per cui la tecnica non è più in voga.
Concludendo, con questa tecnica sicuramente non si hanno più i
rischi della creazione di una fistola, ma i rischi di insuccesso sono
maggiori.
Il vantaggio degli interventi restrittivi è che non si tocca l’intestino, non si crea nessun bypass intestinale,
non correndo quindi tutti i rischi e le complicanze correlate con queste manovre.
In particolare, gli interventi restrittivi non presentano problemi di deficit di sostanze, oligoelementi e
vitamine, ma sono correlati alla presenza di steatorrea.
I principali problemi degli interventi restrittivi sono correlati con la restrizione alimentare, che invece
non interessa gli interventi malassorbitivi.
B) INTERVENTI MALASSORBITIVI
➢ By-Pass Bilio-Intestinale
255
C) INTERVENTI MISTI
Si tratta degli interventi che vanno per la maggiore al giorno d’oggi:
➢ Minibypass anatomico
Prevede la creazione di una neocavità
gastrica, con una capacità gastrica che è pari
al doppio rispetto a quella del bypass
gastrico.
Il minibypass risulta essere sempre un
bypass anatomico in quanto il tratto viene
staccato completamente dallo stomaco.
Un'altra differenza riguarda l’anastomosi: al
posto dell’anastomosi alla Roux si esegue
una sola anastomosi ad omega; questo
rende l’intervento più rapido e meno
rischioso perché si fa una sola anastomosi.
Nonostante ciò, una delle problematiche correlate alla tecnica è l’ingresso delle secrezioni biliari, le quali prima di scendere nel tratto
comune potrebbero verniciare cronicamente la neocavità gastrica e indurre lesioni precancerose.
ALGORITMO TERAPEUTICO
I soggetti vengono valutati da un gruppo multidisciplinare e suddivisi in:
• Idonei alla chirurgia: nel caso di controindicazioni all’intervento
malassorbitivo vengono indirizzati all’intervento restrittivo, mentre nel caso
vi siano controindicazioni all’intervento restrittivo, vengono indirizzati verso
l’intervento malassorbitivo.
Prima di un intervento restrittivo si potrebbe sottoporre il paziente al test di
posizionamento di un palloncino per sei mesi per vedere la compliance del
paziente all’intervento di gastro restrizione.
256
❖ Palloncino endogastrico
Dispositivo inserito per via endoscopica e successivamente
riempito con liquido o aria per un volume di 500 cc.
Questo dispositivo occupa 1/3 della cavità gastrica e quindi
induce una restrizione gastrica di media entità che dopo 6
mesi deve essere rimosso.
È un provvedimento assolutamente non invasivo perché
viene applicato e rimosso per via endoscopica.
I risultati sono scadenti, in relazione alla difficoltà nella
rieducazione alimentare del pz, che non sempre porta alla
risoluzione della condizione.
Il candidato ideale è l’iperfagico, giovane e fortemente
motivato che ha avuto la fortuna di avere un consenso
informato completo e che quindi comprende l’azione di aiuto
del palloncino assieme al periodo di rieducazione alimentare.
CONTROINDICAZIONI:
• Per interventi restrittivi:
Binge Eating Disorder
Sweet Eaters
Grazing, Night Eating, Emotional Eating.
Questi tre primi parametri corrispondono ad abitudini alimentari che non sono compatibili con l’importante restrizione
alimentare indotta dagli interventi restrittivi.
Obesità diencefalica
Personalità fobico-ossessiva
Scarso livello intellettivo: ci vuole discreta collaborazione e bisogna comprendere la masticazione e il rapporto col cibo
Ridotto metabolismo basale, se viene ridotta l’assunzione calorica si riduce ulteriormente il metabolismo basale e questo non
aiuta anzi danneggia il paziente
Controindicazioni relative:
o BMI > 45: tanto più è obeso il pz, tanto più gli interventi non ottengono risultati
o Età < 35: questo parametro viene posto in relazione all’aspettativa di vita del pz e i problemi che l’operazione
comporta sul cronico
• // malassorbitivi:
Indisponibilità a mantenere un impegno di cura e di controlli medici continuato nel tempo
Condizioni economiche che impediscano l’acquisto degli integratori necessari, i malati dovrebbero curarsi per tutta la vita
Attività lavorative e/o abitudini di vita incompatibili con alcuni effetti dell’intervento, risulta infatti facile la diarrea e la
steatorrea
Personalità incapace di mantenere un rapporto di continuità o che hanno difficoltà con l’area della dipendenza
Rischio anestesiologico elevato
Grave disprotidemia (albuminemia < 3.4 g/dl)
Enteropatia diarrogena
Controindicazioni relative:
o BMI < 45
o Età > 45
o Tabagismo: questi interventi espongono maggiormente al rischio di ulcere peptiche post anastomotiche.
Più è anziano il pz, più risulta corretto indirizzarlo verso interventi meno impegnativi.
257
Se non vi sono controindicazioni specifiche, si può scegliere in base ai parametri riportati in tabella:
Tanto maggiore è il BMI, tanto più sarebbe da orientare il pz verso un intervento malassorbitivo o misti, che però prevedano un’entità di malassorbimento
maggiore.
I piccoli obesi, invece è meglio indirizzarli verso interventi restrittivi o misti con un’entità di malassorbimento modesto.
Il pz deve capire che si tratta di interventi che cambiano la qualità di vita e richiedono collaborazione a vita.
COMPLICANZE
a) Chirurgiche:
• Maggiori:
− Precoci:
o Fistola gastrointestinale ⇛ ascesso o peritonite, infezione severa di ferita o deiescenza
o Emorragia GI che necessiti di emotrasfusioni
o Lesione splenica che necessiti di splenectomia
o Occlusione intestinale, volvolo o sindrome dell’ansa cieca
− Tardive:
o Ulcera peptica complicata
o Colelitiasi, laparocele, cedimento della linea di sutura meccanica, fistola gastro-gastrica
o Reospedalizzazione per grave deficit proteico o altro deficit nutrizionale.
• Minori:
− Precoci: sieroma, infezione cutanea o di ferita minore, edema dell’anastomosi
− Tardive: stenosi anastomosi, alterazioni elettrolitiche, vomito o diarrea persistenti, esofagite, esofago di Barrett, ulcera peptica
b) Mediche:
• Maggiori:
− Precoci:
o Polmonari: polmonite
o Cv: infarto miocardico, SC, stroke
o Renali: IRA
o Psichiatriche: depressione severa
postoperatoria
− Tardive:
o Epatiche: insufficienza, cirrosi
• Minori:
− Precoci: atelettasia polmonare, IVU, TVP,
scompenso elettrolitico, vomito, esofagite
258
TRAPIANTO di ORGANI
Sostituzione di un organo malato, non più funzionante, con uno sano prelevato da un donatore.
Si possono trapiantare: cuore, fegato (in toto o diviso in fegato dx e sx), rene, pancreas, intestino, polmone.
Tipi di donatore:
➢ Donatore vivente: generalmente un parente dei pz che ricevono l’organo.
Esiste un programma cross-over: sono più coppie che si scambiano gli organi donati da vivente per ricevere a loro volta organi da
donatori viventi compatibili.
Per chiarire: una coppia era incompatibile direttamente al trapianto di rene (cioè la moglie non poteva donare al marito).
Entrando nel programma cross-over il marito ha ricevuto il rene da un altro donatore vivente e la moglie ha deciso di donare il rene per
fare in modo che qualcun’altro compatibile potesse ricevere il trapianto.
➢ Donatore cadavere a cuore battente: pz morto che presenta completa assenza di attività elettrica cerebrale
o Pz che va in arresto in
ambiente pubblico senza
nessuno che lo rianima.
Il ricondizionamento degli organi è necessario perché il prelievo viene fatto su un donatore non nelle condizioni ottimali, dal momento
che:
o La perfusione non è propria del pz, ma sostenuta artificialmente
o C’è stato un tempo di ischemia calda di 20 minuti, stabilito per legge
o Spesso il pz aveva già avuto un arresto cardiocircolatorio, con una fase di anossia cerebrale e organica di cui non sempre si ha
una completa conoscenza.
Per ovviare a questo problema, l’organo viene messo in un apparecchio dove circola un liquido artificiale costituito da sostanze che lo
rendono il più simile possibile al plasma umano.
Quando gli organi sono pronti a essere rimossi bisogna fare in modo di preservarli, perciò viene immesso nel sistema circolatorio del pz, attraverso
delle cannule in aorta e in vena cava, una soluzione a 2-3 gradi contenente glucosio, elettroliti, glutatione ridotto, cortisone e sostanze stabilizzatrici di
membrana.
Questa soluzione sostituisce il sangue del pz e viene immessa per due motivi:
- Ridurre l’attività metabolica per ridurre i danni dell’ischemia
- Fornire alle cellule nutrizione e stabilità di membrana per mantenere un’efficiente attività funzionale.
Quella più usata è la soluzione Celsior che ha effetto stabilizzante di membrana, di nutrizione cellulare e di refrigerazione.
259
Il primo organo che viene tolto è il cuore, poi vengono prelevati nell’ordine fegato e reni.
Più raramente si prelevano anche pancreas, polmoni ed eccezionalmente intestino; questo perché sono organi con pochi pz in lista d’attesa.
Dopo il prelievo gli organi vengono posti in contenitori sterili nel ghiaccio.
Il tempo che intercorre fra il prelievo ed il trapianto viene definito tempo di ischemia fredda: è opportuno che tale intervallo di tempo non si
protragga oltre le 24 ore.
Allocazione d’organi
Si basa su diversi criteri:
• Organi salvavita: cuore e fegato devono rispettare le emergenze/urgenze sul territorio prima regionale, poi nazionale ed eventualmente poi
europea
• Criteri immunologici: meno importanti per cuore e il fegato, più importanti per rene, polmone e intestino.
Si guarda la compatibilità:
− AB0
− HLA: il sistema è molto complesso e comprende centinaia di antigeni diversi.
Si testano 5 classi di antigeni (i più importanti per l’immunità cellulo-mediata): la compatibilità deve essere accettabile, cioè almeno
3/5.
− Cross match negativo: occorre valutare se esistono Ab preformati diretti contro l’organo trapiantato che porterebbero a rigetto
iperacuto.
Un ricevente rimane in attesa per molto tempo (ad es. l’attesa media per trapianto di rene a Brescia è di 3 anni) e durante questo
lasso di tempo i pz fanno diversi trattamenti, come trasfusioni di sangue o di plasma, oppure contraggono infezioni a seguito delle
quali possono sviluppare Ab che prima non avevano, definiti Ab irregolari.
Quindi i diversi organismi che si occupano dell’allocazione aggiornano i sieri dei pz in lista ogni 6/8 mesi e li conservano in una
banca interna.
Questo avviene perché quando si decide di trapiantare, si deve sapere se il siero del donatore e del pz hanno o meno Ab irregolari
incompatibili.
− Dimensione organo/ persona: non si mette un cuore di un uomo di 80-90 kg in una donna di 50 kg.
260
TRAPIANTO di RENE
Indicazioni:
- Patologie glomerulari
- DM: nefropatia diabetica con sclerosi glomerulare, sclerosi interstiziale, danno glomerulare che portano a insufficienza renale.
Nella nefropatia diabetica, soprattutto in pz giovani, oggi si tende a fare un trapianto combinato rene e pancreas.
- Angiosclerosi ipertensiva.
Preparazione
Il primo tempo del trapianto è la preparazione su banco: infatti, quando si preleva un organo viene fatto un prelievo “grossolano” senza isolare
l’organo in dettaglio perché si cerca di essere il più rapidi per refrigerarlo ed evitare ulteriori danni.
Bisogna preparare arteria renale, vena renale e uretere, che vengono adattati alle strutture vitali del pz per essere anastomizzate con la vena e le
arterie dello stesso in modo che il rene riprenda la sua funzione.
Il rene non viene messo in sede nativa (cioè in sede retroperitoneale), ma viene posizionato in fossa iliaca in sede extraperitoneale, nella parte più
bassa dell’addome.
Questo perché fare l’intervento in sede retroperitoneale e attaccare il nuovo rene all’arteria e alla vena renale sarebbe più complesso, invasivo e
cruento.
Quindi si esegue una incisione arcuata pararettale o più bassa, si espone il retroperitoneo e si fanno anastomosi tra:
- Arteria rene ⇒ arteria iliaca del pz
- Vena rene ⇒ vena iliaca del pz
- Uretere ⇒ vescica del pz.
Se si confrontano i risultati nell’utilizzo di reni da donatori non ottimali rispetto a donatori sani, i trapianti ECD
vanno meno bene: a 3 anni la perdita del trapianto è del 20% superiore nei donatori ECD, per cui si selezionano
dei riceventi idonei a questi reni subottimale.
Grazie a questa evidenza, si è pensato di considerare la possibilità di trapianto doppio di rene.
Per decidere se effettuare un trapianto doppio o singolo, si è stabilito un criterio clinico per la valutazione del
donatore e istologico per la qualità del rene: nei donatori marginali si fa una biopsia sull’organo prelevato e
l’anatomopatologo fornisce uno score che tiene conto di diversi aspetti istologici:
− Grado di sclerosi glomerulare
− Atrofia tubuli renali
− Fibrosi dell’interstizio renale
− Ispessimento dei vasi corticali, cioè il loro grado di sclerosi.
Risultati:
- Score tra 0 e 3 ⇒ trapiantare rene in singolo
- Score tra 4 e 6 ⇒ trapianto rene in doppio
- Score > 7 ⇒ reni non idonei al trapianto.
È un processo molto più complesso rispetto alla donazione da cadavere, perché bisogna verificare che il donatore non abbia ricevuto coercizioni
familiari anche non esplicite.
261
TRAPIANTO di PANCREAS
È utilizzato raramente, perché il controllo dei diabetici è molto buono, grazie alle terapie mediche.
Ci sono casi, tuttavia, in cui il trapianto di pancreas serve e cambia la vita: in tal caso esistono diverse opzioni:
• trapianto simultaneo rene-pancreas: spesso il pz che ha diabete avanzato ha anche insufficienza renale; è la scelta più facile e migliore
dal punto di vista prognostico
• trapianto di pancreas successivo al trapianto di rene: questo avviene perché il diabete è comparso a seguito della terapia
immunosoppressiva o perché il diabete è peggiorato nel tempo
262
TRAPIANTO di FEGATO
A differenza degli altri tipi di trapianto, è nato come terapia per il cancro ed è la terapia di scelta per quasi
tutte le cause di “Chronic Liver Disease”.
Proprio per questo motivo e data l’elevata prevalenza di CLD, si pone il problema di individuare quali casi
escludere:
• Pz non sufficientemente gravi: è un intervento salvavita, pertanto è indicato quando il pz ha un
elevatissimo rischio di morte a 6 mesi se non trapiantato
• Controindicazioni al trapianto.
La graduatoria della lista d’attesa per il trapianto si basa sostanzialmente sul guadagno in termini di
sopravvivenza: se ad es. la stima della sopravvivenza a 5 anni dal trapianto è del 50% in un pz e dell’80%
in un altro, allora quest’ultimo trarrà maggior guadagno e verrà trapiantato.
Occorre dunque selezionare per ciascuna patologia i pz che, sulla base della storia naturale della malattia e
delle terapie alternative, beneficerebbero maggiormente del trapianto e poi valutare se i risultati attesi sono
comparabili a quanto ottenibile per le altre cause di cirrosi.
Sebbene sia un intervento salvavita, oggi può eventualmente essere sfruttato anche per migliorare la qualità di vita, come nei casi di:
• Prurito intrattabile: raro, ma particolarmente invalidante
• Colangite ricorrente
• Ascite intrattabile
• Osteopatia metabolica.
• Letargia.
Quando trapiantare?
• Non troppo presto, poiché terapie alternative potrebbero stabilizzare la malattia
• Non troppo tardi, poiché condizioni generali scadenti aumentano la mortalità operatoria.
Nel grafico si vede come varia la sopravvivenza dei pazienti in base all’UNOS-status
(stadiazione dell’United Network for Organ Sharing): i pz di stadio I, cioè con una
funzione epatica non gravemente compromessa, hanno un’aspettativa di vita a 1
anno dal trapianto decisamente più alta rispetto a quella di pazienti di stadio IV.
Valutazione del pz
Prende in esame diversi parametri:
• Gravità di malattia
• Efficacia terapie alternative
• Parametri psicosociali: il pz deve assumere regolarmente la terapia per evitare il rigetto, quindi se è
scostante e inaffidabile non può essere trapiantato
• Controindicazioni
− Assolute:
AIDS conclamata
Neoplasia extraepatica (per via della terapia immunosoppressiva)
Infezione non controllata
Tossicodipendenza attiva
Malattia cardiopolmonare grave: non può sopportare l’intervento chirurgico
Ipertensione polmonare severa
Non compliance al trattamento immunosoppressivo (protratto a vita)
263
− Relative: condizioni cliniche che hanno un impatto negativo sulla morbidità e mortalità postoperatorie, ma che in certe circostanze
possono conseguire un favorevole risultato a lungo termine:
Età > 65 anni: concetto molto relativo
EpatoK con determinate caratteristiche
Alcolismo: il pz deve essere astemio da 6 mesi
HBeV e HBV-DNA+: non è più controindicazione assoluta grazie ai farmaci anti-virali
HIV +: in casi selezionati non è più controindicazione.
Riflessione del Prof: l’HIV positività e l’etilismo possono essere anche valutati da un punto di vista etico: perché utilizzare una
risorsa utile per la società per un pz che per anni è stato tossicodipendente?
Queste sono le cosiddette “self-inflicted diseases” e costituiscono per lo più un problema etico; seguendo questo ragionamento
allora non si dovrebbero più operare nemmeno i tumori al polmone nei fumatori.
Il medico però non può giudicare e non può etichettare una categoria come non meritevole di cura, deve curare in ugual modo sia
l’assassino che la vittima.
Il trapianto, tuttavia, è una risorsa limitata: ogni anno in Italia si fanno circa 1100 trapianti di fegato, perché ci sono 1100 donatori.
Se ci sono 1500 candidati, come si sceglie chi sottoporre a intervento e chi no? Questo è stato un grosso problema etico per molti
anni. La trapiantologia trova nell’etica il suo tallone di Achille, ma forse anche l’aspetto più qualificante.
Risultati generali
Sono migliori in ordine decrescente nelle seguenti patologie:
1. Cirrosi biliare primitiva: hanno l’andamento migliore
3. Cirrosi post-necrotica/epatitica
4. Epatite acuta fulminante
Sono state poi effettuate delle rimodulazioni che hanno permesso di dare un’opzione terapeutica a pz che
sarebbero altrimenti stati esclusi dalla lista trapianto, come:
❖ UCSF criteria:
• 1 nodulo singolo ≤ 6.5 cm
oppure
• 2-3 noduli ≤ 4.5 cm e diametro tumorale totale ≤ 8 cm.
❖ Criteri di Herrero:
• 1 nodulo singolo ≤ 6 cm
oppure
• 2-3 noduli ≤ 5 cm alla TC
264
Trattamento pre-trapianto
Può essere indicato per le seguenti due condizioni:
• per evitare che un pz candidabile a trapianto esca
dalla lista a causa della progressione tumorale ⇒
fenomeno del drop out
• Trattamento pre-trapianto: soprattutto per i pz in cui è prevedibile l’uscita dalla lista d’attesa, sulla
base di dimensioni e tempo di attesa (con terapie loco-regionali o resezione epatica)
• Priorizzazione (soprattutto negli USA): si fa salire in graduatoria i pz con HCC per evitare il drop out,
attribuendo punti aggiuntivi nello score MELD.
Resezione epatica
È sempre stata considerata una terapia alternativa al trapianto e il dubbio su quale sia la soluzione migliore tra le due è tuttora irrisolto:
▪ Recentemente si è valutata una possibile consequenzialità delle due terapie: prima si reseca il nodulo e solo se il pz recidiva si trapianta.
Non sempre però il pz quando recidiva è ancora trapiantabile, poiché l’età media dei pz resecati è di 71 anni, se si ha recidiva dopo 2
anni il trapianto non è più possibile.
▪ Altra possibile opzione è quella di sfruttare la resezione per selezionare l’indicazione al trapianto: dopo aver resecato la massa si valuta
il tumore all’AP e poi si decide se trapiantare
▪ Ulteriore alternativa è utilizzare la resezione come terapia ponte: ad es. ci sono 5 noduli, ne tolgo 2 e il pz rientra così nei criteri di
Milano.
Trapianto da vivente
Viene ampliamente sfruttato per il trapianto di rene, ma può essere fatto anche con il fegato: un parente può donare il fegato di sx senza che ci sia
dunque necessità di inserire il pz in lista.
Questi pz avevano un andamento post-trapianto non buono, poiché non si aspetta il tempo giusto.
L’attesa in lista sembrava una “perdita di tempo”, in realtà era un metodo per selezionare la biologia del tumore: se si fa trapianto subito dopo la
diagnosi, si sa poco della biologia del tumore ed è proprio questa a prevedere l’andamento clinico.
265
CHIRURGIA MINI-INVASIVA
È una modalità di intervento chirurgico applicata a diverse branche della chirurgia, in cui il chirurgo si trova a distanza dal campo operatorio e
introduce gli strumenti attraverso delle piccole incisioni cutanee: per questo motivo si tratta di una chirurgia meno aggressiva.
Il vantaggio non è semplicemente estetico, ma anche e soprattutto funzionale.
LAPAROSCOPIA
È una tecnica chirurgica che consente di esaminare organi e tessuti situati all'interno dell’addome e della pelvi eseguendo delle piccole incisioni, a
differenza della chirurgia tradizionale a “cielo aperto” che richiede tagli più grandi.
Utilizza uno specifico strumento, simile a un tubo sottile, denominato, appunto, laparoscopio.
Esso è costituito normalmente da due camere, una che contiene una sorgente luminosa e una fotocamera che proietta le immagini su uno schermo per
permettere al chirurgo di vedere l’interno del corpo, una che può contenere uno strumento chirurgico per prelevare i tessuti da analizzare (biopsia) o
per eseguire un vero e proprio intervento.
Oggi la lista degli interventi possibili in laparoscopia è vasta: colecisti, appendice cecale, giunto esofagogastrico, colon e retto, ernie
inguinali/laparoceli, chirurgia bariatrica.
In tutti questi campi la laparoscopia è considerata una procedura di scelta per i pz idonei, ma questo non equivale a dire la laparoscopia sia il gold
standard.
Se il chirurgo si trova in difficoltà durante un intervento in laparoscopia o insorgono complicanze, lo si converte in open.
Il vero gold standard è quindi la chirurgia open, perché è la metodica che risolve i problemi in corso di laparoscopia.
Una tecnica è gold standard, ovvero è da preferirsi, qualora le condizioni anatomiche lo permettano e qualora il chirurgo sia esperto.
− In secondo luogo, si ha una più rapida ripresa della funzionalità dell’intestino, grazie al fatto che l’intestino rimane
all’interno dell’addome ed escluso dal contatto con le mani; questo fa sì che il malato possa riprendere ad alimentarsi già dopo
poche ore dall’intervento
− Questi vantaggi, validi per la patologia benigna e nel pz giovane, sono meno evidenti nella patologia oncologica, che però non
esclude un suo utilizzo
In ambito neoplastico si può infine eseguire una laparoscopia diagnostica in caso di sospetto di carcinosi peritoneale, sebbene oggi possa essere
diagnosticata anche con una buona TC o RM nella maggior parte dei casi.
Considerazioni finali:
• Il messaggio su cui la comunità scientifica è concorde è quello di proteggere il pz da questa procedura: il paziente deve essere sottoposto a
questa tecnica solo dopo che il chirurgo abbia completato il processo formativo
• È importante non modificare le indicazioni giustificandole con la nuova tecnica: non è la tecnica che dà l’indicazione chirurgica
• La chirurgia laparoscopica è la tecnica del presente e del futuro, la maggior parte delle neoplasie addominali può essere trattata così, ma
rimarrà sempre una tecnica per pz selezionati
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• Il rischio è l’overutilization, cioè l’utilizzo laddove non ci sia l’expertise, spinto dalla necessità di eseguire interventi in laparoscopia per
non essere fuori moda.
Allo stesso modo, è opportuno evitare qualsiasi metodica in situazioni dove non ci sia una comprovata efficacia: quando non c’è un
conclamato beneficio, bisogna procedere con molta cautela.
CHIRURGIA ROBOTICA
Per definizione un sistema robotico è un sistema programmabile per eseguire autonomamente un determinato compito.
Ciò che noi chiamiamo attualmente chirurgia robotica non funziona in questo modo: il chirurgo seduto alla console compie dei gesti mediante un
sistema master-slave e la macchina riproduce i gesti del chirurgo sul pz.
Occorre fare questa precisazione perché proprio in questi anni stanno arrivando i primi sistemi veramente robotici: dalla telecamera che si muove
da sola seguendo ciò che sta facendo il chirurgo, all’assistente robotico, una macchina che aiuta il chirurgo eseguendo in autonomia alcune
operazioni, fino ad arrivare forse a macchine che eseguono qualche porzione dell’intervento da sole, come ad es. delle anastomosi.
Il robot impara le procedure grazie al machine learning, ovvero dopo che ha analizzato una grande quantità di video di interventi forniti dall’azienda
produttrice.
Il vantaggio è che, una volta che una sola macchina ha imparato, può insegnare a tutte le altre macchine in pochissimo tempo, evitando quindi di
dover formare un nuovo chirurgo da zero.
L’utilizzo dell’intelligenza artificiale (A.I.) è già presente in alcune branche mediche, come la radiologia e l’anatomia patologica, dove è dimostrato
per certe diagnosi le macchine sono meglio dei medici (es. diagnostica del tumore alla mammella).
È inoltre dimostrato che i medici che usano l’A.I. stanno soppiantando quelli che non la usano.
Indicazioni
Non c’è nessuna indicazione alla chirurgia robotica in chirurgia generale.
Non ci sono nemmeno evidenze di primo livello per la chirurgia robotica che dimostrino che sia meglio della laparoscopia.
Quindi perché investire su questa tecnologia? L’impressione è che la laparoscopia, con tutti i suoi limiti sia una fase di passaggio, tecnologicamente
si può avere qualcosa di meglio.
I vantaggi della chirurgia robotica si rendono più evidenti quando l’intervento è molto difficile o ci sono ricostruzioni complesse da fare.
La chirurgia robotica è ancora da considerare pionieristica: i robot stanno avendo in questi ultimi anni una diffusione sul territorio e anche in questo
campo la chirurgia generale è subentrata più tardivamente, rispetto all’urologia, primo grande campo di applicazione di questa tecnica; nella
fattispecie, gli interventi in chirurgia robotica per le patologie della prostata sono aumentati in questi ultimi anni.
In chirurgia generale chi lo prova tendenzialmente non torna indietro, perché il vantaggio puramente tecnico è innegabile soprattutto in ambito
ricostruttivo. Questo vantaggio tecnico però, se non diventa un vantaggio clinico misurabile, non giustifica l’utilizzo della tecnologia così costosa.
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PROTOCOLLO ERAS (Enhanced Recovery After Surgery)
È un approccio innovativo per gestire la fase pre-, intra- e post-operatoria dei pz, al fine di migliorare l’outcome e ridurre le complicanze, basato su
prove scientifiche fornite dalla Evidence-based medicine.
1) Fase pre-operatoria
Prevede:
✓ Valutazione del pz: bisogna indagare condizioni cliniche, stato nutrizionale e stato psicologico del pz per verificare di poter garantire
l’adesione al programma ERAS.
Se si tratta di un pz defedato, prima di avviarlo alla chirurgia bisogna fargli compiere un percorso di recupero funzionale e nutrizionale.
Si va ad agire sui fdr modificabili quali esercizio fisico, stato nutrizionale e attività respiratoria.
✓ Selezione: nel protocollo non vengono ancora inclusi i pz operati in urgenza o che hanno un rischio ASA ≥ 4
Preparazione intestinale non più necessaria: è stata dichiarata come inutile, se non dannosa poiché comporta disidratazione, squilibri
elettrolitici, oltre che ritardare la canalizzazione dei pz.
Per cui al giorno d’oggi non viene più fatta.
Al massimo si fa una dieta priva di scorie e clistere la sera prima dell’intervento.
Fanno eccezione interventi in cui è prevista:
− colonscopia intraoperatoria
− ileostomia intraoperatoria
− resezioni rettali ultrabasse.
✓ Nutrizione pre-operatoria con somministrazione di maltodestrine: hanno la caratteristica di essere assorbite e degradate in un tempo
molto lungo, mantenendo la glicemia stabile, a differenza degli altri zuccheri.
Vengono somministrate sciolte in acqua la sera prima e la mattina dell’intervento, in dosi rispettivamente di 800 ml e 400 ml.
Pre-anestesia: non viene quasi più usata perché non comporta una sostanziale diminuzione del dolore post-operatorio e può prolungare la
fase di incoscienza post-operatoria.
2) Fase intra-operatoria
✓ Tecnica anestesiologica:
− preferire agenti a breve emivita in modo che vengano smaltiti velocemente nel post-operatorio
− tecnica anestesiologica che riduca al minimo lo stress chirurgico
− controllo del dolore intra e post-operatorio: ad es. è raccomandato il posizionamento di un catetere epidurale per
somministrare farmaci analgesici, che può esser tenuto 2 o 3 giorni migliorando il dolore post-operatorio.
✓ Tecnica chirurgica: le tecniche mini-invasive (⇒ laparoscopia) sono migliori per il recupero post-chirurgico e sono considerate migliori
le incisioni trasversali o oblique
✓ Sondino naso-gastrico: dovrebbe essere rimosso prima del risveglio del pz.
Il suo utilizzo si associa a numerose problematiche: aumentato rischio di polmoniti, atelettasia, ipertermia, ridotta motilità intestinale e
aumento rischio di reflusso gastro-esofageo.
Il sondino può essere utile per valutare il caso in cui l’anastomosi sanguini, in particolare nel caso di chirurgia dello stomaco e dell’esofago.
3) Fase post-operatoria
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− utilizzo limitato di oppioidi
− Si ritiene più efficace la prevenzione del dolore con una terapia preimpostata rispetto alla somministrazione di antidolorifici al
bisogno.
✓ Prevenzione e trattamento della nausea e del vomito: al fine di ottenere una rialimentazione orale precoce.
Nella maggior parte dei casi è sufficiente la somministrazione di ossigeno nel post-operatorio.
I farmaci utilizzati sono: desametasone, ondansetron, droperidolo, propofol.
✓ Mobilizzazione precoce: per il giorno dell’intervento l’obiettivo è di tenere il pz in poltrona per 2h, aumentando tale tempo a 6h in prima
giornata post-operatoria.
▪ Viene prescritto digiuno ai solidi da 6h prima dell’intervento e viene assunta la bevanda con maltodestrina
È fondamentale seguire il pz anche a domicilio per controllare che il post-operatorio prosegua correttamente.
Una dimissione precoce deve tenere conto del domicilio del pz, possibilità di assistenza domiciliare da parte dei famigliari, oltre che della
sintomatologia (dolore o febbre).
È poi fondamentale istruire il pz sui sintomi di un problema anastomotico per fare sì che si possa recare velocemente in ospedale.
Prescrizioni domiciliari: terapia analgesica e eventualmente antiemetica, attività fisica evitando sforzi, riferimenti su come contattare
l’istituto in caso di necessità, istruzioni sulla gestione post-operatoria di medicazioni.
Follow-up: contatto telefonico il giorno dopo la dimissione, visita di controllo in settima giornata e dopo un mese.
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Diete ERAS
• Dieta ERAS 0: semolino o minestrina 40g, parmigiano 10g, olio 10g, succo di frutta senza polpa 200ml
• Dieta ERAS 1:
− bere almeno 2L di liquidi (acqua e succo di frutta)
− colazione con caffè d’orzo o tè, biscotti o fette biscottate 30g, zucchero 5g
− spuntino con yogurt bianco 125g
− pranzo con pasta o riso 30g, parmigiano 10g, carne bianca 70-80g o pesce 100g, olio 10g, pane comune 25g, succo di
frutta 200ml
− spuntino con caffè d’orzo o tè, biscotti o fette biscottate 30g, zucchero 5g
− cena uguale al pranzo
• Dieta ERAS 2:
− bere almeno 2L di liquidi
− colazione con caffè d’orzo o tè, biscotti o fette biscottate 30g, zucchero 10g
− spuntino con yogurt bianco 125g
− pranzo con pasta o riso 40g, parmigiano 10g, carne bianca 100g o pesce 150g, patate, carote o zucchine 150g, olio 15g,
pane comune 50g, frutta fresca senza buccia (mela o banana) 150g
− spuntino con caffè d’orzo o tè, biscotti o fette biscottate 30g, zucchero 10g
− cena uguale al pranzo.
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NUTRIZIONE ARTIFICIALE in CHIRURGIA
Procedura terapeutica mediante la quale è possibile soddisfare i fabbisogni nutrizionali di pz non in grado di alimentarsi sufficientemente per via
orale.
In ambito ospedaliero, la NA è indicata in caso di:
● Malnutrizione: è definita come un’alterazione dello stato nutrizionale per carenza o eccesso (squilibrio) di calorie, proteine ed altri nutrienti
che porta a effetti negativi sull’organismo e sull’evoluzione clinica
● Supporto nutrizionale in caso di pz impossibilitato ad alimentarsi per via orale
● Ipercatabolismo
● “Riposo intestinale” (condizioni post-chirurgiche).
Malnutrizione calorico-proteica
Nel pz ospedalizzato, è la risultante di un deficit, acuto o cronico, sia
di calorie (substrati energetici) che di proteine (substrati plastici).
È caratterizzata clinicamente da riduzione della massa magra ed
espansione del compartimento extracellulare.
Bisogna tenere a mente che il muscolo è il sito di stoccaggio
principale dell’acqua: bevendo 3L di acqua al giorno, ne verranno
urinati 2.5-3 senza che l’acqua passi direttamente dallo stomaco al
rene ma, entrando e uscendo dal muscolo sarà immagazzinata in parte
ed eliminata nel tempo.
Perdendo massa magra, il pz è costretto a trattenere liquidi nel terzo
spazio: pericardio, pleura e con la formazione di edemi declivi.
Dati epidemiologici:
● prevalenza del 30%
● sono più colpite le persone con età > 65 anni, di sesso F,
● è frequente nei reparti di chirurgia gastroenterologica e oncologica, dove già al momento del ricovero una buona parte dei pz presenta deficit
nutrizionali importanti, sebbene sia più frequente nei pz ricoverati in area medica rispetto all’area chirurgica (37% vs 23,3%)
● Nel 63% dei malati lo stato nutrizionale peggiora dopo 15 gg di ospedalizzazione
● la massa magra si riduce sensibilmente dopo 8 gg di ospedalizzazione.
Conseguenze cliniche:
● Incremento vulnerabilità del pz con maggiore morbilità e mortalità
● Aumento di complicanze
● Azione negativa sui risultati delle terapie
● Riduzione della risposta immunitaria ⇛ predisposizione alle infezioni
● Aumento del rischio di insorgenza di fratture o di piaghe da decubito
● Ritardo della guarigione delle ferite chirurgiche
● Riduzione massa e forza muscolare
● Effetti dannosi a livello psichico con depressione e inappetenza
● Compromissione della funzione di organi ed apparati
● Aumento delle cure e prolungato recupero delle performance
● Allungamento della degenza.
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Parametri necessari per la valutazione dello stato di nutrizione:
a) Parametri clinici:
− Anamnesi: ad es. comparsa di edemi, anoressia, vomito o diarrea, sui cambiamenti delle abitudini alimentari, sulla presenza di
malattie croniche, di comorbilità e sulla terapia farmacologica
− EO: prestare attenzione all’eventuale presenza di ittero, di alterazioni della mucosa orofaringea e di edemi e alla riduzione del
grasso sottocutaneo e delle masse muscolari (in particolare dei muscoli interossei della mano).
b) Parametri antropometrici:
− Valutazione statica ⇒ BMI
− // dinamica ⇒ calo ponderale
c) Parametri bioumorali:
− Albuminemia: per valutare malnutrizione cronica (avendo emivita di 20 giorni)
− Un parametro fondamentale per lo studio del metabolismo dei pz è il bilancio azotato, cioè la differenza tra azoto introdotto
(dieta, NA) e quello perso (⇒ urine, feci, capelli, desquamazione).
Il bilancio azotato in un soggetto normale dipende, in condizioni di adeguato apporto proteico, dall’azoto totale eliminato e
dalla quantità di proteine introdotte.
Nella pratica comune il bilancio viene generalmente estrapolato dalla concentrazione dell’azoto ureico urinario, cui viene
sommato un fattore costante (2-4 g), che costituisce approssimativamente la somma delle perdite non ureiche e non urinarie:
N urinario totale = N ureico urinario (80%) + altri composti azotati (20%)
Con buona approssimazione si può calcolare l’azoto ureico moltiplicando l’urea delle urine delle 24 ore × 0,46.
I fattori che possono condizionare l’accuratezza del bilancio azotato sono la difficoltà di misurare con precisione le perdite di
azoto non urinarie e la possibile inaccuratezza nella raccolta del campione di urine delle 24 ore.
Il bilancio azotato fornisce informazioni sull’entità del catabolismo proteico del pz.
Considerando che il soggetto normale perde con le urine meno di 5 g di N/ die, si possono riconoscere queste diverse
situazioni:
o catabolismo lieve: perdita di 5-10 g di N/ die
o // aumentato: perdita di 10-15 g di N/ die
o // grave: perdita di > 15 g di N/ die.
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Screening dello stato nutrizionale
Viene generalmente effettuata mediante diversi questionari:
• MNA (Mini Nutritional Assessment): specifico per l’età geriatrica
• NRS (Nutritional Risk Screening): utile in ambito ospedaliero
• SGA (Subject Global Assessment): specifico per l’età geriatrica ed in ambito ospedaliero
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NUTRIZIONE ENTERALE
È la metodica di prima scelta in tutti i pz con indicazione alla NA: il presupposto è che l’intestino sia integro, funzionante e accessibile.
Quando la NE non è sufficiente a coprire i fabbisogni del pz è indicata una nutrizione mista (NE+NP).
Si realizza somministrando le sostanze nutritive direttamente nell’intestino (bypassando sempre la bocca e l’esofago ed alcune volte anche lo
stomaco).
Vantaggi:
● Utilizza la via fisiologica
● Preserva la funzione intestinale (mantenimento funzionalità intestinale, trofismo della mucosa e capacità di assorbimento)
● Mantiene la funzione immunitaria intestinale (⇒ produzione di IgA)
● Riduce il rischio di complicanze gravi infettive
● Produce meno alterazioni metaboliche.
Controindicazioni:
Occlusione intestinale con ostruzione meccanica
Grave ischemia intestinale
Fistole intestinale ad alta portata (perdite > 400 ml/die)
Gravi alterazioni della funzione intestinale da enteropatie o riduzione della superficie assorbente (⇒ vomito e diarrea intrattabili, sindrome da
intestino corto con < 60 cm di ileo residuo, enteriti da CT o RT)
Mezzi di somministrazione:
• Sondini: Naso-Gastrico (SNG) o Naso-Digiunale (SND).
Si usano solitamente per brevi periodi (da 1 a 3 mesi) ed è necessario che non vi siano stenosi invalicabili
delle vie digestive alte
Le miscele per NE sono nutrizionalmente bilanciate (è possibile conoscere per filo e per segno cosa e
quanto è contenuto attraverso delle schede tecniche) e ne esistono con composizioni varie tra i vari
macrocomponenti: normocaloriche/normoproteiche, normocaloriche/iperproteiche,
ipercaloriche/normoproteiche, ipercaloriche/iperproteiche, ipocaloriche/iperproteiche, ecc).
Fabbisogno nutrizionale
Nelle forme lievi o moderate di malnutrizione, di più frequente riscontro nella pratica clinica, il supporto nutrizionale prevede la somministrazione di
25-35 kcal/ kg/ die associati a 0,8-1,5 g/ kg di proteine,
L’acqua deve essere fornita con la dieta in quantità adeguata: nell’adulto circa 35 mL/kg di acqua, cioè circa 1.500-2.000 mL di acqua al giorno.
Il fabbisogno di acqua aumenta con febbre, vomito, diarrea, sudorazione e in presenza di fistole enteriche.
Modalità di somministrazione
• Infusione pre-pilorica: richiede un normale svuotamento gastrico e può
essere somministrata:
− con nutripompa in modalità continua o discontinua/ciclica
− a boli (30-50 ml ogni 3-5 minuti)
Nello specifico esistono delle velocità alle quali impostare le pompe e che possono variare in base ai segmenti interessati dalla stomia.
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Sbagliando la velocità di somministrazione rischio EC: diarrea, addominalgia, vomito con rischio di complicare in ab ingestis.
Complicanze delle NE
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NUTRIZIONE PARENTERALE
Deve essere utilizzata solo quando vi sia una controindicazione alla NE o quando essa sia impraticabile.
Consiste nella somministrazione di nutrienti direttamente per ev, scavalcando l'apparato digerente.
Si pratica grazie a delle sacche che possono avere diverse preparazioni:
● Standard (industriali)
● Personalizzate (galeniche, preparate dalla farmacia dell'ospedale)
Gli oligoelementi contenuti nelle sacche all-in-one (zinco, rame, cromo, manganese, molibdeno, selenio, iodio e fluoro) non sono da ritenersi
indispensabile nelle NPT a breve termine ma vanno invece sempre somministrati nelle NPT a medio/lungo termine (>10 giorni) mediante fiale che
possono essere aggiunte direttamente nella sacca o infuse separatamente.
Tutte queste miscele non contengono né vitamine né oligoelementi; sono da aggiungere all’infusione.
Modalità di somministrazione
La NP presenta specifiche caratteristiche dettate dalla sede di infusione:
● via centrale: vena di grosso calibro.
Prevede l'utilizzo di un catetere che consente un collegamento tra l'esterno e una vena
centrale.
Questa sede è più pericolosa rispetto al posizionamento in una vena periferica, poiché il
catetere va direttamente all’interno della vena cava ed eventuali batteri possono transmigrare
dalla cute alla punta dello stesso.
I cateteri sono biocompatibili e arrivano in regione atrio-cavale poichè in questa sede
l’osmolarità delle soluzioni infuse viene istantaneamente diluita con l’osmolarità del sangue
della vena cava, evitando così il danno chimico sulla vena.
Tipi di catetere:
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La densità calorica corrisponde a quante calorie sono presenti per ml di soluzione (questo concetto vale sia per le pappe da NE che per le sacche da
NP):
− Quando devo infondere una nutrizione per ev attraverso una via periferica (piccola) necessariamente devo utilizzare una densità calorica
bassa: maggiore quantità di acqua rispetto al glucosio, al lipide e all'amminoacido; generalmente il rapporto è 0,7 calorie ogni ml di acqua
− Quando invece ho a disposizione una via centrale di grosso calibro il rapporto di solito è 1:1 o anche 1,1:1 o 1,2:1.
Questa differenza è fondamentale perché, aumentando la concentrazione degli elementi nell'acqua, aumento l’osmolarità: infondendo delle nutrizioni
che hanno osmolarità tre/quattro volte maggiore, per non rischiare un’occlusione acuta della vena da irritazione chimica, è necessario avere una vena
di grosso calibro ed è per questo che la differenza tra nutrizione parenterale periferica e centrale è legata alla densità calorica, strettamente legata al
concetto osmolarità.
Complicanze:
• Precoci: si possono riscontrare dal primo giorno fino alle prime due/tre settimane di somministrazione e riguardano:
− squilibri idroelettrolitici
− alterazioni del metabolismo: ipertrigliceridemia e iperglicemia
− alterazioni EAB
− sindrome da refeeding.
Refeeding syndrome
Si verifica in corso di rialimentazione dopo grave malnutrizione calorico
proteica.
La complicanza si verifica in corso di terapia medica rialimentando un pz
che prima non mangiava, dunque con un metabolismo adattato all'utilizzo
come fonte energetica di grassi e di corpi chetonici (prodotti dallo
smantellamento degli acidi grassi da parte dei mitocondri).
277
La sola somministrazione di glucosio non accompagnata da quantità adeguate di sali minerali e vitamine scatena un deficit acuto di
micronutrienti, in particolare di fosforo.
Inoltre il glucosio e l’insulina riducono l'escrezione di sodio ed acqua e il pz trattiene liquidi e si gonfia.
Il pz non ha muscolo dove mettere l'acqua ed è così che sviluppa un edema polmonare, un versamento pericardico e edemi declivi.
Il fosforo serve per produrre ATP, e se non ho fosforo non posso produrre ATP e se non ho ATP il sistema si blocca: non c'è energia per mandarlo
avanti.
Caratteristiche cliniche:
I pz con SBS hanno uno stato di malassorbimento cronico per il quale è necessario molto spesso il supporto nutrizionale.
I supplementi nutrizionali devono essere dati normalmente 24-48h dopo l’intervento chirurgico per prevenire la perdita di massa magra.
I pz che non sono in grado di aumentare la loro nutrizione per via orale o non sono in grado di assorbire energia sufficiente richiedono
necessariamente supporto nutrizionale endovenoso.
L’intestino corto si può complicare in insufficienza intestinale cronica, che è definita come una riduzione della funzione intestinale al di sotto del
minimo necessario per l’assorbimento di macronutrienti e/o acqua ed elettroliti, tale da richiedere la supplementazione ev per mantenere lo stato di
salute o la crescita.
La riduzione della funzione di assorbimento che non necessita di supplementazione ev può essere considerata deficit di funzione intestinale.
Negli adulti la SBS è la più comune causa di insufficienza intestinale cronica (75% dei casi)
IMMUNONUTRIZIONE CHIRURGICA
È un trattamento nutrizionale a sostegno di una efficace risposta immunitaria che si effettua con formulazioni arricchite di immunomodulanti
(⇒ glutammina, arginina, acidi grassi della serie w-3, RNA).
Negli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato che pz trattati con immunonutrienti prima e dopo la chirurgia elettiva maggiore del tratto GI hanno
una riduzione significativa delle complicanze infettive post-operatorie e dei tempi di degenza ospedaliera.
278
PATOLOGIE INFETTIVE in CHIRURGIA
➢ Infezione incisionale profonda: si verifica entro 30 giorni dall’intervento o entro un anno in presenza di materiale impiantabile, coinvolge
i tessuti molli più profondi (come fascia e tessuti muscolari) e presenta almeno una delle caratteristiche di cui sopra
Nel 2011-12 e poi 2016-2017 l’ECDC (European center for disease, prevention and control) ha dimostrato che almeno il 6% dei pz ricoverati hanno
un’infezione nosocomiale legata all’assistenza.
Il 20% delle infezioni correlate all’assistenza sono infezioni del sito chirurgico, ma non tutti gli interventi hanno la stessa incidenza: ci sono siti
definiti “puliti” dove le infezioni del sito chirurgico sono rare (ad es. la tiroide), mentre in chirurgia addominale invece gli organi non sono sterili e
le infezioni del sito chirurgico possono arrivare al 13%.
Agente eziologico
Varia a seconda di diversi fattori:
• Se l’insorgenza dell’infezione è molto precoce (entro le 48 h), bisogna pensare a germi particolarmente aggressivi come S. pyogenes o C.
difficile
• Per la chirurgia pulita (come la chirurgia ortopedica, la chirurgia cardiaca, l’oculistica, la neurochirurgia, chirurgia della mammella) gli
agenti eziologici più frequentemente coinvolti sono i Gram +: S. aureus, S. coagulasi negativi, quali S.epidermidis e S. Hominis,
• Per la chirurgia intestinale e urologica, i tipi di germi più frequentemente coinvolti sono Gram + ma soprattutto Gram – anaerobi saprofiti
dell’addome
• Per la chirurgia vascolare l’intervento è pulito o sporco a seconda della sede (ad esempio le carotidi sono una sede pulita a differenza della
aorta addominale e ciò influenza pertanto l’eziologia di un’eventuale infezione della ferita).
• Infine, nella chirurgia ostetrico ginecologica, oltre ai batteri Gram - intestinali, vi sono anche i batteri del tratto ostetrico ginecologico
(Streptococco Agalactie B e anaerobi).
Diagnosi
Parte da un sospetto clinico.
I segnali da ricercare sono: dolore, edema, eritema, secrezione purulenta e febbre se l’infezione ha coinvolgimento sistemico.
Bisogna guadare la ferita, le medicazioni devono essere trasparenti o, se spesse, vanno cambiate ogni 48h.
• Emocolture se febbre
• Esame colturale delle secrezioni: è la cosa più importante perché, una volta iniziata la terapia empirica antibiotica, non sapere quale
germe ha causato l’infezione rende molto complicato impostare la terapia specifica.
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• Esami strumentali: ECO o TC nel sospetto di infezioni profonde
• Esame colturale su secrezioni purulente aspirate o su aspirato/campione di tessuti profondi: se la ferita secerne pus, bisognerebbe
aspirare il pus: sia perché in questo modo si aumenta di molto la quantità di batteri raccolti, sia perché il tampone superficiale non
sempre è il metodo più adeguato per trasportare i batteri e ciò può ostacolarne la crescita
• Esame colturale del liquido di drenaggio: mettendo un drenaggio in sede addominale, il tubo verrà colonizzato dai germi della cute e
dell’intestino in 24-48h: pertanto quello che cresce in questo drenaggio, soprattutto se il pz sta bene, non è un germe responsabile di
infezione, ma di colonizzazione.
Se, invece, il pz sta male e si decide di fare un esame colturale, c’è il rischio che i germi colonizzanti abbiano preso il sopravvento su
quelli patogeni ⇛ si deve togliere il drenaggio, metterne uno nuovo e solo a quel punto fare l’esame colturale.
L’isolamento dei batteri dal drenaggio è considerato attendibile se posizionato da meno di 48h, dopo di che i batteri sono considerati
sempre colonizzanti.
Per quanto riguarda la candida, invece, servono anche meno di 24h.
Terapia
➢ Per le infezioni superficiali:
− Riaprire la ferita ed evacuare il materiale purulento, mandandolo al colturale
− Effettuare medicazioni locali
− Valutare l’antibiotico: ad es. se il pz è febbrile, presenta valori di PCR mossi, secrezione dalla ferita e ha effettuato una
revisione, si può aspettare l’esame colturale:
o se l’esame culturale è negativo e la ferita va bene con la sola medicazione non si tratta il pz
o al contrario il trattamento antibiotico va valutato.
La terapia di un’infezione non complicata dura mediamente 7-10 gg; tuttavia, può essere prolungata in caso di ascessi o raccolte
da drenare.
Prevenzione
Prima dell’intervento:
• fare smettere di fumare il pz (almeno 4 settimane prima) perchè il fumo causa alterazioni del microcircolo, che in caso di presenza i batteri
favoriscono l’infezione
• selezionare i pz: se un pz ha un’infezione in corso (ad es. IVU), se possibile, sarebbe meglio non operarlo proprio in quel momento e
aspettare la guarigione dell’infezione
• far lavare il pz con doccia o bagno la sera antecedente al giorno della chirurgia
• evitare di radere la parte operata con il rasoio (che causa microlesioni che potrebbero favorire la penetrazione di batteri), usando invece il
clipper
• fare antibiotico profilassi quando raccomandato
• utilizzare soluzioni di clorexidina su base alcolica per preparare la pelle all’intervento
Durante l’intervento:
• mantenere un’adeguata temperatura corporea del pz
• mantenere livelli di glicemia < 200 mg/dl
• forte disciplina in sala operatoria
Nel post-operatorio:
• controllo della glicemia
• utilizzo di garze sterili per coprire la ferita e monitoraggio
• igiene delle mani
• doccia al pz dopo 48h.
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PROFILASSI ANTIBIOTICA PERI-OPERATORIA
Serve a ridurre solamente le infezioni del sito chirurgico, non le infezioni nel post-operatorio in senso generale.
Le linee guida italiane (2011) forniscono diverse indicazioni:
• somministrare l’antibiotico prima che avvenga la contaminazione batterica; non tutti gli interventi richiedono la profilassi antibiotica,
alcuni hanno un tasso di incidenza di infezioni del sito chirurgico talmente basso che non è “cost effective” dare l’antibiotico
• tipo di antibiotico da utilizzare
• minimizzare gli effetti che l’antibiotico ha sulla flora microbica del pz: l’antibiotico necessariamente modifica la flora batterica, quindi un
antibiotico inappropriato farebbe sì che la prossima infezione del sito chirurgico non sia più da germi multisensibili, ma probabilmente da
germi multiresistenti, perché già sottoposti ad un trattamento antibiotico
• minimizzare gli effetti indesiderati; essendo una profilassi non necessariamente quel pz avrà un’infezione del sito chirugico, quindi si deve
evitare di dare EC ad un individuo che sta bene
• minimizzare modificazioni alle difese immunitarie del pz
• la profilassi perioperatoria non è finalizzata a proteggere dalle infezioni post-operatorie
• stratificare il rischio di ogni pz (ASA score).
Criteri di somministrazione
• Momento di somministrazione
Bisogna avere il picco di concentrazione plasmatica quando si sta per fare l’incisione cutanea, pertanto occorre somministrare
l’antibiotico 30 -60 minuti prima dell’incisione (la vancomicina 90 minuti prima)
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• Tempo totale di somministrazione
La terapia serve a ridurre l’incidenza delle infezioni del sito chirurgico per cui, essendo l’incisione il periodo di maggior vulnerabilità, si fa
una sola somministrazione prima dell’intervento per coprire quel preciso momento.
Ci sono due indicazioni per effettuare una dose intraoperatoria:
− Interventi molto lunghi hanno rischio aumentato: ogni farmaco ha una sua emivita e se la durata dell’intervento fosse il
doppio dell’emivita del farmaco somministrato, bisognerà fare anche una somministrazione intraoperatoria
− Se il pz perde molto sangue (più di 1,5L), bisogna fare un’altra somministrazione, perché la concentrazione del farmaco cala.
Ci sono rare eccezioni che giustificano la somministrazione nel post-operatorio, ma solo per pz con elevatissimo rischio di infezioni del
sito chirurgico: la somministrazione si fa in questo entro le 24h successive.
La presenza di un drenaggio non giustifica la prosecuzione della profilassi.
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INFEZIONI INTRA-ADDOMINALI
Si distinguono in:
• Normali: limitate al singolo viscere (ad es. appendicite)
• Complicate: nel caso l’infezione si estenda dal viscere cavo allo spazio peritoneale, dando quindi ascesso o peritonite.
Agenti eziologici
La flora batterica varia a seconda del tratto GI considerato:
• nello stomaco: troviamo pochi batteri a causa dell’elevato pH, gli unici riscontrabili sono lattobacilli
• nel tenue: streptococchi, lattobacilli, enterobacteriaceae
• Nel colon:
− La flora dominante è rappresentata dagli anaerobi: Bacteroides, Prevotella, Bifidobacterium, Clostridi
− la subdominante è costituita da anaerobi facoltativi: Enterobacteriaceae (soprattutto E. coli), Streptococchi, Enterococchi
− infine troviamo una flora rada costituita da Klebsiella, Citrobacter e Proteus e una flora transitoria costituita da Pseudomonas e
Candida, che danno infezioni solo in caso di alterazione della restante flora a causa di antibiotici ed operazioni.
Non posso utilizzarli in profilassi e vanno utilizzati quasi sempre come seconda linea.
Le peritoniti primarie sono normalmente date da un singolo agente, mentre quelle secondarie e terziarie sono polimicrobiche, in cui troviamo
soprattutto anaerobi e anaerobi facoltativi.
Nelle infezioni nosocomiali occorre poi considerare P. aeruginosa, Enterococchi, MRSA, che fanno parte della flora rada, che normalmente non dà
infezione, ma che in ospedale può darla a causa dell’assunzione degli antibiotici.
Ogni ospedale possiede una personale flora batterica e quindi è stata cercata quella del Civile.
Tra tutte le colture nelle chirurgie, la componente principale è rappresentata da gram negativi,41 % gram positivi e 4% funghi.
Il più frequente in assoluto è l’E. coli: lo troviamo anche nelle emocolture, anche se il patogeno più frequente nelle emocolture è lo Stafilococco
Epidermidis coagulasi negativo, che però è un contaminante e non un colonizzante.
Terapia
Consiste innanzitutto nel “source control”, ovvero nella ricerca ed eliminazione del focolaio settico:
− Drenaggio: in caso di ascesso intraddominale, empiema pleurico, pielonefrite o colangite
− Asportazione di parti necrotiche: come in caso di infarto intestinale, fascite necrotizzante e necrosi pancreatica infetta, in quanto le zone
necrotiche possono sovra
− Rimozione dei presidi: protesi, catetere vascolari di tutti i tipi, catetere vescicale, tubo endotracheale colonizzato
− Controllo definitivo: ad es. tramite resezione sigma per diverticolite, colecistectomia per colecistite o amputazione per mionecrosi (spesso
nei diabetici, dove gli stati settici originano dagli arti necrotici).
La terapia antibiotica empirica è da applicare il prima possibile: una terapia ritardata oltre le 24h aumenta la mortalità.
Terapia antibiotica di prima scelta nelle:
• infezioni comunitarie medio-moderate:
− ampicillina-sulbactam per ev (3g x 3-4 volte/die), attiva sul 95% degli anaerobi, mentre le cefalosporine e fluorochinoloni no.
− In alternativa: ceftriaxone+ metronidazolo per ev.
− In caso di allergia alle penicilline: ciprofloxacina + metronidazolo per ev
Fondamentale è poi la de-escalation della terapia nel momento in cui arriva un isolamento affidabile, aggiustando la terapia antibiotica e se possibile
somministrandola per os.
Non esiste una durata precisa, perché ogni pz risponde in maniera diversa: si impiegano 5-7 giorni se è stata fatta una source control corretta.
La terapia sarebbe comunque da proseguire fino a quando il pz è apiretico, non ha più leucocitosi e ha ripreso la funzionalità GI.
Nei casi più gravi con batteri difficilmente eradicabili (⇒ infezioni da Candida, S. aureus, germi MDR, pancreatite necrotizzante infetta) può essere
necessario proseguire anche per 2-3 settimane, fino a 6 settimane in caso di ascesso non sufficientemente drenato.
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Bisogna anche sapere gestire la sepsi, che si può sospettare tramite il qSOFA, score di
derivazione semplificata dello score SOFA rianimatorio:
• Stato mentale alterato ⇒ GCS ≤ 14
• Ipotensione ⇒ PAS < 100 mm-hg oppure pz iperteso ma con PAS molto inferiore ai
suoi standard
• Tachipnea ⇒ FR > 22.
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DEISCENZA ANASTOMOTICA
Riapertura spontanea di una ferita (o anastomosi) precedentemente suturata, che rappresenta una
complicanza post-operatoria piuttosto temuta.
• I due monconi intestinali devono essere vascolarizzati dai propri vasi: per valutare tale aspetto si può osservare
il colore del viscere (roseo) o con le mani palpare le arterie e valutarne la pulsazione; a Brescia si procede normalmente con
strumentazione doppler o sfruttando coloranti come il verde indocianina per osservare la perfusione del viscere.
• a lungo termine:
− Significato “funzionale” del leakage: parte dell’intestino può diventare insufficiente ed
andare incontro ad atrofia, soprattutto quando escluso dal transito intestinale per lungo
tempo
2. Posizionamento di drenaggio chiuso nella pelvi: permette di diagnosticare più rapidamente un’eventuale deiscenza e ne facilita una
guarigione spontanea (una deiscenza non può guarire se non c’è drenaggio)
3. Omentopessi (se fattibile): si posiziona una porzione di omento a livello della cavità che si crea per evitare la formazione di spazi vuoti
che facilitano la formazione di ematomi e sieromi che si possono infettare
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Classificazione di Clavien-Dindo
Suddivide le complicanze post-operatorie a seconda del loro impatto clinico in cinque gradi:
• Grado I: complicanze lievi, che determinino una modifica del normale decorso post-operatorio,
trattabili con analgesici, antipiretici, diuretici, infusioni elettrolitiche, antiemetici, fisioterapia
• // II: complicanze che necessitano di trattamento farmacologico più impegnativo che nel grado I;
sono comprese emotrasfusioni e nutrizione parenterale totale
• // IV: complicanze potenzialmente a rischio di morte (incluse quelle a livello del SNC) che
richiedono ricovero in Unità di Terapia Intensiva:
− IVa: singola disfunzione d’organo (compresa dialisi)
− IVb: multipla //
Tale suddivisione è poi traducibile nella differenziazione in leakage radiologico, minore e maggiore sulla
base dell’impatto che determina sul pz e della necessità di reintervento.
In altre parole, un leakage è tanto più grave quanto più richiede una modifica sostanziale dell’abituale iter
terapeutico del malato, fino anche al reintervento.
● Clinical Major Leak (Free Leak): possono causare peritonite locale o diffusa.
Lo studio “Leackage mascherata come complicanza cardiaca” evidenza come tutti i casi (100%) di
leakage minor fossero misconosciuti all’inizio.
Nell’86% dei casi questi pz vennero trattati inizialmente per cardiopatia: il segno sospetto principale era una
FA nel postoperatorio.
Il 43% dei pz con sintomi cardiaci avevano in realtà una deiscenza anastomotica: questo può portare ad un
ritardo diagnostico di oltre 11 gg.
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Spesso i malati vengono dimessi dall’ospedale senza una diagnosi corretta: si tende infatti ad interpretare la
non completa ripresa del soggetto come un elemento legato al disagio che il pz prova in ospedale,
aspettandosi che questo quadro si risolva in seguito a dimissione.
Management: è mirato in prima istanza al controllo della sepsi (altrimenti la deiscenza non può andare incontro a
guarigione spontanea), pertanto occorre:
1. Drenare il materiale infetto
2. Eradicare la fonte di infezione
3. Prevenire la recidiva di sepsi.
Anastomosi Anastomosi
intra-peritoneale extra-peritoneale
Incidenza Minore Maggiore
Fdr Legati al pz e al grado di Legati alla sede
contaminazione del campo dell’anastomosi (“the lower
the anastomosis, the higher
the risk”)
Stomia di protezione Quasi mai Utilizzo di routine/selettivo
Mortalità correlata Maggiore (peritonite diffusa) Minore (spesso
paucisintomatica)
Terapia del leakage:
▪ Endoscopia/radiologia − Bassa efficacia − In casi selezionati
▪ Reintervento − Spesso demolitivo su anastomosi − Spesso conservativo
▪ Colostomia secondaria − Generalmente temporanea − Più spesso definitiva
▪ In casi selezionati con peritonite circoscritta e pz a basso rischio, si può intervenire con
trattamento radiologico/endoscopico: ad es. posizionando uno stent che sigilli l’area anastomotica
permettendo alla fistola di guarire, utilizzando una colla biologica o un drenaggio percutaneo
▪ La terza opzione è il trattamento chirurgico: si sceglie tale opzione in tutti i casi che non
soddisfano i criteri per terapia conservativa/dopo fallimento terapia conservativa.
Si tende a confezionare una stomia nella quasi totalità dei casi.
Se si sceglie di mantenere l’anastomosi è necessario posizionare un drenaggio e fare una stomia a
monte: questo si verifica soprattutto in caso di anastomosi bassa (ad es. 2 cm dall’ano) perché se si
decidesse di demolirla poi sarebbe molto difficile rioperare e ricanalizzare il pz.
Molto diverso è invece il caso in cui si tratti di un’anastomosi ileale, dove la demolizione
dell’anastomosi non compromette la possibilità di ricanalizzare successivamente il pz.
In linea generale, soprattutto per le deiscenze più alte è sempre da preferire una resezione
dell’anastomosi rispetto ad una revisione della stessa.
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Anche un ematoma può portare ad un ascesso ed è
per questo che la pulizia ed una buona emostasi
durante l’intervento sono fondamentali.
A sua volta, questo ascesso può andare incontro a
rottura in sede di anastomosi e determinare lui stesso
la deiscenza anastomotica.
• Mancata risposta alla terapia conservativa e al drenaggio: perché anche se dreno l’ascesso questo, essendo a contatto
con la deiscenza, continua a riformarsi.
Una deiscenza anastomotica non obbligatoriamente porta ad ascesso, perché se il leakage è ben drenato, l’ascesso non si forma.
Attenzione che una raccolta di liquido sieroso (anche di 300 cc) nel cavo peritoneale in seguito a intervento si forma sempre, ma ciò non significa per
forza trovare un ascesso.
La pelvi extra-peritoneale è uno spazio virtuale nel pz non operato, mentre nel pz operato, a cui sono stati rimossi retto e mesoretto, si crea una
cavità molto grossa, non rivestita da peritoneo e non in grado, quindi, di riassorbire liquidi.
A questo livello non è presente una superficie innervata e qui può raccogliersi una grande quantità di liquido, anche con caratteristiche settiche,
senza alcuna manifestazione clinica, passando inosservata.
Management: prevede innanzitutto drenaggio (se ≥ 3 cm affinché il “ricciolo” finale del drenaggio percutaneo abbia fisicamente
spazio per drenare) o aspirazione (se più piccolo) dell’ascesso, in concordanza con il principio di controllo della
sepsi.
Si procede di norma con un drenaggio radiologico a meno che, per aspetti tecnici, non ci siano difficoltà a raggiungere l’ascesso; ecco che in questo
caso si procede col drenaggio chirurgico.
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