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RIASSUNTO “LEGGERE I PROMESSI SPOSI”

Manzoni per comporre i Promessi Sposi, fu ispirato da un romanzo di Walter Scott. Lo iniziò il 24 aprile del
1821 (scrisse solo i primi due capitoli e l’introduzione) ma lo interruppe per riprendere la stesura
dell’Adelchi. Riprese la riscrittura del FERMO E LUCIA (nome che gli venne dato da alcuni amici di Manzoni)
nel 1822 ma fu interrotta nuovamente dopo la nascita di una figlia e la morte di un’altra figlia di soli due
anni. Il libro non era ancora finito che già Manzoni ne era scontento. Man mano che Manzoni procedeva
con il lavoro mutava alcuni nomi dei personaggi (es. Fra Galdino diventa Fra Cristoforo), e si ritrova a dover
affrontare un problema, ovvero quello della lingua.
Fin dal 1806 Manzoni aveva capito che la principale difficoltà per uno scrittore italiano che volesse avere dei
lettori era l’incolmabile distanza tra la lingua scritta e la lingua parlata.
Il romanzo di Manzoni parla di molti argomenti e fa parlare persone di differenti classi sociali quindi
necessità di una lingua di facile comprensione per tutti.
Manzoni parlava correttamente il milanese, il latino e il francese; infatti, la prima composizione del Fermo e
Lucia, è stata scritta con un misto di queste tre lingue.
Dopo vari studi e tentativi, Manzoni capì che il dialetto perfetto per comporre la sua opera era il toscano,
tanto che per comporre la quarantana partì per Firenze (questo lo vedremo del dettaglio più avanti).
Manzoni continuò a revisionare e a modificare il suo romanzo, tanto da cambiargli titolo; GLI SPOSI
PROMESSI, viene denominata anche seconda minuta per distinguerla dal Fermo.
Nel settembre del 1825 Manzoni scelse il titolo definitivo, I PROMESSI SPOSI. Quest’ultima revisione è
diversa non solo dal Fermo e Lucia ma anche dagli Sposi Promessi.
Il 27 giugno 1827 uscirono in tre tomi i Promessi Sposi, questa viene anche detta Ventisettana.
La lingua del Fermo come già detto, è un misto tra il dialetto milanese, francese e latino, mentre la lingua
all’interno della ventisettana è solo toscana. Quest’ultimo dialetto Manzoni lo studiò molto, in modo
approfondito, per comporre la ventisettana si rifece ai vocabolari toscani ma anche a molte letture di testi
toscani.
Nel fermo Manzoni racconta la storia in modo schematico, ovvero dedica un capitolo o un tomo ad un
personaggio diverso, mentre nella ventisettana compie un intreccio continuo tra le vicende dei due
protagonisti.
I Promessi Sposi introducono anche altri cambiamenti oltre la lingua, uno di questi sono i nomi dei
personaggi ( Fermo diventa Renzo, il Conte del Sagrato diventa l’Innominato, Felicita diventa Perpetua
etc.) o anche una grande riduzione riguardo le vicende della monaca di Monza e/o quella dell’innominato.
All’interno di quest’ultima versione vediamo anche un cambiamento caratteriale dei personaggi, Lucia così
silenziosa e riservata nei promessi sposi, nel Fermo era loquace e logorroica; Fermo era molto più violento
dell’odierno Renzo; Don Abbondio utilizzava molto meno i suoi classici toni ironici.
i Promessi Sposi della ventisettana, ebbe subito un grande successo sia in Italia che in Europa. Nonostante
ciò, Manzoni non era soddisfatto della lingua, tanto che nel 1827 parte con tutta la famiglia per la Toscana,
per studiare e approfondire la lingua.
Nel 1833 muore l’amatissima moglie di Manzoni, Enrichetta e da quel giorno Manzoni non compose più
nulla. Fu solo nel 1837, quando si risposò con Teresa Borri, che riuscì a far ritrovare a Manzoni un equilibrio,
riprendendo la revisione del romanzo.
L’ultima revisione di Manzoni uscì a dispense tra il 1840 e il 1842, con tre novità: la prima è la lingua,
perfettamente toscana (composta con l’aiuto di alcuni amici fiorentini che gli supervisionarono il lavoro), la
seconda novità è la presenza di un gran numero di illustrazioni che dovevano servire a differenziarlo dalle
stampe non autorizzate dall’autore e favorirne la comprensione anche a coloro che faticavano a leggere ed
infine Manzoni aggiunse la STORIA DELLA COLONNA INFAME. Quest’ultima revisione uscita nel 1840 viene
denominata quarantana.
Manzoni fu il primo scrittore italiano a non innalzare la lingua parlata al livello di quella scritta, ma di
adeguare quella scritta a quella parlata.
La quarantana non ebbe successo come le edizioni precedenti, tanto che l’editrice continuò a stampare
l’edizione del 1827, ovvero la ventisettana. Manzoni contrario a ciò, fece causa all’editore e riuscì ad
ottenere dal tribunale il messo al bando della ventisettana e il riconoscimento della quarantana come unica
edizione esistente. La quarantana causò un disastro finanziario, cioè non furono vendute abbastanza copie
da rientrarci con le spese.
Manzoni per evitare la diffusione di copie non autorizzate, pone all’interno dell’opera delle immagini.
Queste furono prima incaricate ad Hayez, successivamente l’artista abbandonò per motivi non ben chiari e
l’incarico fu affidato a Gonin. Manzoni supervisionò tutto, tutte le copie e anche tutte le immagini, fu lui a
scegliere come dovevano essere i personaggi. I promessi sposi non vanno considerati come un libro
illustrato ma come un vero e proprio prodotto multimediale, in cui testo e immagini collaborano ad
arricchirsi vicendevolmente.
L’introduzione della “colonna infame” alla fine del romanzo fu una novità. Quest’opera fu concepita e
abbozzata molti anni prima, durante la stesura del Fermo e Lucia. Inizialmente questa storia doveva essere
una digressione all’interno del romanzo. Manzoni però si accorse che la digressione era troppo grande e
decise cos di realizzare un romanzo a parte. La storia della colonna infame appare in stampa nella sua
versione definitiva nel 1842. La storia della colonna infame fu poco apprezzata; all’epoca giravano voci che
Manzoni stesse lavorando a un nuovo romanzo e invece i lettori si trovarono di fronte ad un’opera storica,
che per di più metteva sotto accusa le istituzioni milanesi e i milanesi stessi.
Questo romanzo storico si mostra come il contrario negativo, il lato oscuro dei promessi sposi: essa
racconta infatti, ciò che sarebbe potuto capitare a Renzo se non fosse passata di lì il carretto con i monatti.
L’accostamento dei promessi sposi alla colonna infame, ci fa ricordare che nelle favole le cose possono
finire anche bene, ma il romanzo non è una favola, ma è storia; nella storia, purtroppo, le cose possono
finire male, come in questo caso.
Manzoni però pose la parola fine non al termine dei Promessi Sposi ma al termine della Colonna Infame.

TRAMA PREOMESSI SPOSI


I promessi sposi li possiamo dividere in 4 fasce:
- L’introduzione: l’autore finge di aver trovato un manoscritto secentesco anonimo, contenente una
storia “molto bella” e comincia quindi a ricopiarla per farla conoscere ai suoi contemporanei. Ma lo
stile dell’anonimo non è il massimo, così Manzoni decide di conservare la trama cambiando il
linguaggio e rendendolo più moderno.
- Dal capitolo I al capitolo VIII l’ambientazione è il paesino di Renzo e Lucia. Il pauroso Don Abbondio,
curato del paese, è minacciato da due bravi che lavoravano per il prepotente Don Rodrigo,
signorotto del luogo, che si è infatuato di Lucia, si rifiuta di celebrare le nozze tra Renzo e Lucia.
Pressato da Renzo, cui ha rifilato dei pretesti per rimandare il matrimonio, il curato gli rivela
finalmente il vero motivo della sua decisione. Renzo si rivolge, per ottenere giustizia all’avvocato
Azzeccagarbugli, il quale però si rifiutò una volta aver sentito il nome del prepotente che impedisce
le loro nozze, proprio perché questo era un cortigiano di Don Rodrigo.
I promessi sposi chiedono quindi aiuto a Padre Cristoforo che ha preso a cuore le sorti di Lucia
(anche perché egli prima di farsi frate, già per carattere cercava di raddrizzare i torti). Il frate si reca
da Don Rodrigo per convincerlo a interrompere la sua persecuzione, ma senza alcun esito. Su
consiglio di Agnese, subito accolto da Renzo, e Lucia costretta a farlo, organizzarono un matrimonio
segreto. Anche Don Rodrigo inizia a pianificare il suo piano, ovvero il rapimento di Lucia, affidando
questo atto ad un gruppo di bravi condotti da Griso. La sera i due piani si intrecciano; Griso entra in
casa di Lucia, ma non trova nessuno, perché la ragazza insieme a Renzo sono andati a casa di Don
Abbondio, il quale però non pronuncia la formula matrimoniale e riesce a dare l’allarme. Nel
frattempo, Padre Cristoforo che ha saputo del rapimento manda un ragazzino ad avvertire Lucia,
credendo anche lui che fosse in casa. Il ragazzino mandato dal frate, si trovò in mano ai bravi, ma
riuscì a fuggire. Scappando trova i due promessi anche loro in fuga e li conduce al convento, da
Padre Cristoforo.
- I capitoli IX-XXVI, sono i capitoli della separazione tra Renzo e Lucia, dove ognuno attraversa a
modo suo, una serie di prove a contatto diretto con il male. Padre Cristoforo invia Agnese e Lucia a
Monza, all’interno del convento di Gertrude (divenne monaca per costrizione del padre e commise
dei delitti con il suo amore Egidio). Renzo invece fu mandato a Milano. Qui Renzo invece di
aspettare il padre guardiano del convento cui padre Cristoforo lo ha indirizzato, si lascia coinvolgere
dalle varie rivolte provocate dalle carestie. Assiste anche al saccheggio del forno. Eccitato da tante
avventure fece in piazza diversi discorsi imprudenti, tanto che suscitò l’attenzione della polizia che
la mattina dopo lo arresta. Renzo riesce a scappare e si rifugia presso il cugino Bortolo in Veneto
dove viene assunto nel filatoio. Viene emesso però un mandato di cattura nei confronti di Renzo.
Don Rodrigo riesce a scoprire dove si trova Lucia, grazie a Griso che riuscì tramite pettegolezzi a
scoprirlo. L’impresa era troppo difficile anche per lui, tanto che si rivolge all’Innominato. Tra i
“seguaci” dell’Innominato c’è anche Egidio che obbliga l’amante ovvero la monaca di Monza, a far
uscire fuori dal convento Lucia tramite una scusa; in strada c’erano i bravi che la aspettavano e la
portarono al castello dell’innominato. La sera seguente, Lucia fa il voto di castità alla madonna, se
lei l’avesse aiutata ad uscire. La stessa sera avviene un elemento molto importante, l’innominato
tramite le parole di Lucia inizia a convertirsi. Quest’ultimo si diresse dal cardinale Federico (in visita
al paese) che con le sue parole finì del tutto la sua conversione. Ad esso l’innominato gli confessa di
aver rapito Lucia; il cardinale manda così Don Abbondio e un’altra donna a prendere la ragazza e
portarla in salvo. Lucia fu ospitata prima in casa del sarto del paese poi a Milano da don Ferrante e
donna Prassede. Il cardinale, grazie ad Agnese viene a sapere dell’accaduto tra Renzo e Lucia e
prende provvedimento verso l’atteggiamento pauroso di Don Abbondio.
Da questo momento c’è una lunga pausa in cui non accade nulla.
- Nei capitoli XXVII-XXXVIII, le vicende private dei personaggi si intrecciano a quelle pubbliche, ovvero
guerra, carestie e peste che vanno a costituire lo sfondo della storia. Renzo viene a sapere che Lucia
non lo vuole più sposare, ma il vero motivo (ossia quello del voto) gli viene a malapena accennato.
Nel fratello l’esercito alemanno entra in città, Agnese, Perpetua e don Abbondio si rifugiano nel
castello dell’innominato, che è divenuto un luogo di ricovero per tutti i fuggiaschi. Don Rodrigo si
trasferisce a Milano dopo la notizia della liberazione di Lucia. Gli venne la peste e fu tradito da Griso
che lo manda al lazzaretto. Anche Renzo e Lucia hanno avuto la peste ma entrambi sono riusciti
sopravvivere. Renzo decise di tornare a Milano, pensando che con la problematica della peste, la
polizia non stava a pensare al suo mandato d’arresto. Cerca Lucia, prima al paese poi a Milano. Qui
sfugge per fortuna da una folla che lo accusava di essere un untore; Renzo riesce a salvarsi grazie a
un carretto di Monatti. Arrivati al lazzeretto incontro Padre Cristoforo, malato anche lui che gli dà
indicazione di dove potrebbe trovare Lucia. Renzo inizia a minacciare di morte Don Rodrigo, Padre
Cristoforo sdegnato gli fa la predica dicendo che non è lui che deve fare giustizia ma è Dio. Una
volta che Renzo ragionò alle parole dette dal frate, perdonò Don Rodrigo e fu proprio in quel
momento che Padre Cristoforo lo porta dal tiranno, in punto di morte per colpa della peste.
Renzo finalmente trova Lucia, che non voleva più sposarsi per il voto di castità, voto che Padre
Cristoforo annullò e prima di andarsene via, gli dona il pane del perdono, lo stesso che si conservò
quando andò dalla famiglia di colui che uccise in gioventù.
Arriva un violento temporale che purifica e spazza via la peste, nel frattempo Renzo e Lucia tornano
a casa. Don Abbondio dopo aver saputo della morte di Don Rodrigo decise finalmente di celebrare
le nozze. I due una volta sposati andarono a vivere in un altro paesino dove ebbero poi dei figli.
TRAMA DELLA COLONNA INFAME
La storia è uno scritto storico che tratta di un processo svolto nel 1630 contro alcuni presunti untori, i più
noti fra loro sono, Mora e Piazza. L’opera è composta da un’introduzione e da sette capitoli.
Nell’introduzione, Manzoni spiega del motivo che lo ha condotto ad occuparsi di un argomento del genere.
All’interno dell’introduzione Manzoni si domanda se il gran male fatto da uomini ad altri uomini sia effetto
dei tempi e delle circostanze o se sia colpa dell’uomo. Intende dimostrare con una puntigliosa e accurata
ricostruzione storico-documentaria che è stata colpa degli uomini in particolare dei giudici.
I capitoli I; III; IV; V ripercorrono passo dopo passo le vicende del processo, qui Manzoni alterna racconto e
commento, mostrando da una parte gli abusi e le illegalità commesse dai giudici, dall’altra parte mostra le
sofferenze patite dagli innocenti. Piazza, riuscì a resistere alla tortura, nonostante non avesse nessuna colpa
e non solo non aveva commesso nessun crimine ma addirittura le accuse erano su un’azione che non
poteva esistere, per il semplice motivo che la peste si trasmette per contagio non per unzione.
Il capitolo VI segue le vicende di altri imputati, alcuni condannati, alcuni riusciti a sfuggire alla condanna.
Il capitolo II invece, è una digressione di storia della giurisprudenza, mostra che la tortura fosse ammessa
dalla legge; tuttavia, la letteratura giurisprudenziale e la tradizione giuridica ne limitavano fortemente l’uso,
e che quindi i giudici la usarono in modo illegale.
Nel capitolo VII Manzoni mostra come gli storici, intellettuali, poeti abbiano ripreso e ripetuto le opinioni
precedenti senza mai esaminarle, contribuendo così all’errore e continuando quindi anch’essi a condannare
gli innocenti.
Manzoni quindi con la storia di una colonna infame, non solo accusa i giudici milanesi ma accusa anche gli
intellettuali che hanno rinunciato alloro dovere, ossia la ricerca della verità.

Manzoni cercava un periodo non troppo vicino da essere ricordato o sufficientemente documentato ma
neanche abbandonato; fece questo per poter inserire all’interno parti di finzione per poter rendere la storia
omogenea, qualora mancassero delle parti e più interessante.
Manzoni scelse il 600 come periodo, il Quattrocento lo utilizzò nel Carmagnola mentre il Medioevo fu
utilizzato nell’Adelchi, in più nell’età contemporanea di Manzoni, il Medioevo era molto in voga, dopo che
furono viste in esso gli inizi dell’età moderna.
Il Seicento aveva anche un’abbondante documentazione che Manzoni riuscì a reperire in modo
relativamente facile dalle biblioteche.
La storia dei promessi sposi, proprio come quella della colonna infame sono stati composti anche per
riprendere la società e la politica del tempo manzoniano i promessi sposi hanno come contesto storico la
situazione della Lombardia secentesca sotto il governo spagnolo, si pensa che questo alluda alla situazione
della Lombardia ottocentesca sotto al governo austriaco. Così come la colonna infame richiamava la
responsabilità personale dei giudici, si pensa che sia un richiamo alla responsabilità individuale di ciascuno,
nella Milano del 1630 ma anche nell’Europa dell’Ottocento.

Ci furono vari dibattiti sul romanzo manzoniano; quello svolto nel 1900 criticò il romanzo giudicandolo
come un’opera “reazionaria”, ossia che insegna la rassegnazione anziché la ribellione, la sottomissione
anziché la rivolta e acquieterebbero il lettore con quell’oppio dei popoli che sarebbe la religione. In realtà
essi sono un’opera rivoluzionaria, proprio come lo era Manzoni.
Sono un’opera rivoluzionaria perché per la prima volta nella storia della letteratura italiana ed europea, i
protagonisti di un’opera letteraria di alta qualità sono due persone di un basso ceto sociale, due umili.
Nonostante sono il “nulla” per la società, tutto gira intorno a loro, i potenti e le vicende della grande storia,
e alla fine sono loro che risulteranno vittoriosi. Manzoni, infatti, non fa distinzioni sociali ma morali, ovvero
ci sono coloro che compiono il male e coloro che lo subiscono, i nocenti e gli innocenti.
Un altro elemento rivoluzionario dell’opera è proprio la lingua. Manzoni offre una lingua unitaria, che
permette di superare le divisioni linguistiche che ancora separano gli italiani. Mira dunque non solo a
scrivere un libro accessibile a chiunque, ma anche a fornire uno strumento che consenta di imparare la
lingua italiana che è ancora troppo poco diffusa e di conseguenza a introdurre il popolo nel concetto di
cultura.
Il lettore all’interno dell’opera manzoniana ha un compito fondamentale, ossia quello di leggere tra le righe
e riempire i vuoti, per restituire alla storia la pienezza di una morale che vale anche per tutta la narrazione.
La conversione è un elemento che mette in moto la storia, soprattutto la conversione dell’Innominato che
va a sballare tutti gli schemi regolatori dell’opera (ossia 4 buoni e 4 cattivi etc. con altre divisioni in
categorie, tutte con 3 maschi ed una femmina), ovvero un gruppo da 5 e un gruppo da 3. La sua
conversione è quella che mette in moto la storia, perché dopo che si converte, i problemi per i due
promessi si riducono. Troviamo all’interno dell’opera anche conversioni minori come quella di Nibbio, che
durante il rapimento di Lucia prova per la prima volta, un senso di rimorso e compassione che lo mette in
crisi. Però vediamo anche delle conversioni mancate, come quella di Gertrude e di Don Abbondio.
Un altro elemento che mette in moto la storia è il perdono. Fino a che non si perdona il proprio nemico, si
resta legati a lui e si ragiona come lui, che è quello che è successo a Renzo per tutto il romanzo con Don
Rodrigo. Solo quando Renzo perdona il tiranno, si scioglie finalmente il legame che ha con il suo nemico e
può finalmente dedicarsi a ciò che vuole. Il perdono è quell’ostacolo che blocca il ciclo vizioso del “occhio
per occhio e dente per dente”, dove ad un male si risponde male per vendetta.
All’interno del romanzo molti personaggi hanno un percorso di formazione, tutti tranne Don Abbondio che
nonostante tutto continua a vivere nella paura.
Renzo ha il percorso di formazione che si divide in:
- Percorso sociale operaio all’inizio e piccolo imprenditore alla fine
- Lo sviluppo della personalità l’incontro / scontro che ha avuto con la città e con i grandi
avvenimenti della storia lo straformano da ingenuo e inesperto montanaro a uomo capace di
cavarsela in situazioni complesse e per lui inedite.
- Il processo fi formazione dal punto di vista morale conducendolo da una concezione della vita e
del rapporto con il male fondato su una giustizia che finisce per dirigersi verso la vendetta a una
concezione dell’esistenza basata sul perdono.
Anche Lucia durante il romanzo compie un processo di formazione. Un itinerario di umiltà, che le impedisce
di pensare che il dono che ha ricevuto sia un contraccambio per il voto. È grazie a Padre Cristoforo, che gli
scioglie il voto e che gli fa capire che il bene non arriva perché lo si merita. È un dono non una ricompensa.
Sui promessi sposi grava un doppio giudizio negativo; per molti non cattolici il romanzo ha troppa religione
al suo interno, per chi è cattolico invece afferma che la religione all’interno è trattata male ed è esclusa dai
suoi aspetti fondamentali.
Manzoni concorda che all’interno del romanzo la presenza della religione è molta per due motivi: il primo è
che se ne avesse inserita di meno non avrebbe rappresentato più il vero storico; il secondo motivo è per la
conversione che fece anche Manzoni nel corso della sua vita, conversione che gli cambierà il modo di
pensare e di vivere.
I promessi sposi sono un romanzo cristiano non perché parlano di religione o perché all’interno sono
presenti personaggi ed eventi religiosi, ma perché mettono in scena elementi essenziali del sacro.
All’interno del romanzo vediamo la presenza della provvidenza (L'azione costante esercitata da Dio sul
mondo creato). Manzoni pone questo termine “in bocca” ai suoi personaggi e questi la ripiegano di
significati più disparati, es. per Don Abbondio, la provvidenza si manifesta nella peste che ha ucciso Don
Rodrigo, mettendo fine alla paura che lo dominava. Tutti i personaggi all’interno del romanzo credono di
riconoscere l’intervento della provvidenza in quei fatti che tornano a loro vantaggio.

Nel momento in cui Manzoni scrive il Fermo, porta a termine l’Adelchi e compone di getto il Cinque Maggio
e la Pentecoste. Questo porta ad un accavallarsi di temi con rimandi da un’opera all’altra.
Molti critici e storici videro una somiglianza fra Napoleone descritto da Manzoni nel “cinque maggio” e
l’Innominato. Sono simili sia dal punto di vista esteriore, ovvero sono uomini eccezionali che si collocano al
di sopra non solo di tutti gli altri ma anche di Dio, ed entrambi non hanno il nome (Napoleone non viene
mai nominato all’interno dell’ode); un altro elemento esteriore è lo sguardo, così vivace. Vediamo delle
somiglianze anche dal punto di vista psicologico, ossia l’assalto dei ricordi e di pensieri dovuto al fatto che si
trovavano in un ambiente chiuso (l’Innominato chiuso dentro la sua stanza, mentre Napoleone era chiuso,
bloccato nell’esilio). Riusciamo a vedere delle somiglianze anche da alcuni atteggiamenti fisici:
l’Innominato, nel momento in cui Nibbio gli comunica di aver rapito Lucia assume la stessa postura di
quando Napoleone fu esiliato a Sant’Elena; i due assumono una postura statica, in piedi con le braccia
conserte e immobili.
Un argomento che sfiora i pensieri di alcuni personaggi all’interno del romanzo è il suicidio. È successo
all’Innominato, che lo respinge solo con il pensiero di ciò che avrebbero fatto al suo corpo dopo la morte e
non per ragioni religiose. Un altro personaggio è Lucia, che penso per un attimo di togliersi la vita, ma
cancellò questa idea subito dopo aver pensato alla preghiera, e poco dopo aver iniziato a pregare gli si
accese una piccola speranza nel cuore.

I Promessi Sposi possono essere definiti un libro biblico. La bibbia in questo romanzo è continuamente
ripresa, parafrasata, citata e riattualizzata nel romanzo. La Bibbia è un deposito di lessico, di modi di dire, di
immagini, di metafore, di soluzioni narrative alle quali Manzoni attinge a piene mani.
La bibbia può essere anche parafrasata e riadattata, come avviene di frequente soprattutto nei personaggi
ecclesiastici come il cardinale e Padre Cristoforo. Anche l’Innominato, una volta pentito inizia a pregare
ricordandosi delle preghiere di quando era bambino; ne ricorre meno Don Abbondio.
Manzoni all’interno del suo romanzo cerca di imitare alcune caratteristiche di Virgilio, prima fra tutte quella
di trovate pensieri nuovi non inventando nuovi vocaboli ma usando in modo nuovo i vocaboli già esistenti.
Infatti, i Promessi Sposi utilizzano vocaboli noti che però esprimono concetti nuovi grazie agli inusuali
accostamenti che Manzoni fa. Manzoni però fa anche dei riferimenti a Dante e alla Divina Commedia. un
esempio di citazione dantesca è quando Don Abbondio sta andando al castello dell’innominato per
riprendere Lucia.
Manzoni lesse molto i grandi moralisti cattolici per due motivi: il primo è che in essi trovava conferma alle
proprie convinzioni religiose la seconda è perché li riteneva opere di alta qualità letteraria che gli
consentivano di imparare più stili.
Come già scritto Manzoni incominciò la scrittura dei promessi sposi grazie alle letture dei romanzi di Walter
Scott. Manzoni però si distanzia da lui per il problema del rapporto con la verità storica; infatti, Scott si
permette di fare molti cambiamenti, mentre Manzoni vuole conservare la realtà dei fatti.

L’introduzione ai promessi sposi fornisce due indicazioni di carattere stilistico, una in negativo l’altra in
positivo; il trascrittore ovvero Manzoni, rifiuta la retorica del proemio secentesco e si propone di sostituirla
con una retorica di buon gusto. Per retorica si deve intendere l’insieme dei modi in cui il pensiero si traduce
in forme linguistiche, quindi, la retorica è l’unico modo in cui il pensiero di chi scrive può manifestarsi
all’interlocutore/ lettore. Sarà dunque l’attento esame dell’uso delle parole nei discorsi dei parlanti e dei
testi degli scriventi che permetterò di cogliere la verità o il falso delle idee che vi sono espresse.
Tra le figure retoriche più tipicamente manzoniana e più diffusa nel romanzo è l’ironia. L’ironia è stata
raggiunta e inserita solo nella ventisettana. Nei Promessi Sposi si manifesta a vari livelli testuali. Per
esempio, c’è l’ironia di parola: il narratore usa una parola in un significato opposto a quello che essa ha.
L’ironia drammatica: entra in gioco quando il lettore ne sa di più del personaggio e quindi è in grado di
interpretare ironicamente situazioni di cui il suddetto personaggio coglie solo il senso letterale. L’ironia più
diffusa nel romanzo è quella strutturale: i personaggi “buoni” del romanzo cercano in tutti i modi di favorire
Renzo e/o Lucia ma tutto quello che fanno per aiutarli fallisce nel suo scopo. Il narratore utilizza questa
ironia per mostrare che a nessuno degli attori del romanzo, nemmeno a quelli che rappresentano il bene, è
delegato il compito di risolvere i problemi del mondo.
L’ironia non risparmia nessun personaggio del romanzo, nemmeno quelli più rispettati da Manzoni. Investe
anche i due narratori della storia, soprattutto l’anonimo. L’autoironia è la forma più raffinata di ironia e i
Promessi Sposi possono definirsi come un romanzo autoironico.
L’ironia per essere compresa ha bisogno della cooperazione del lettore, il quale, aiutato dal contesto, è
chiamato a capire che il significato letterale della frase è esattamente l’opposto di ciò che l’autore intende
dire. Se il lettore non fa attenzione ai segnali di ironia che il narratore dissemina nel testo, ne perde il vero
significato. Manzoni quando ne fa uso si espone ad un consapevole rischio di non essere capito, ma lo fa
perché vuole un lettore giudice, non complice, un lettore che stia sveglio, che cooperi con l’autore alla
costruzione di quell’opera.
I Promessi Sposi sono un romanzo dualistico, a diversi livelli: possiamo trovare il dualismo nella parte del
protagonista: sia Renzo che Lucia, o nel distinguere i personaggi d’invenzione o personaggi storici, o anche
la responsabilità della narrazione, che è affidata a due narratori, uno che è l’anonimo e il rifacitore ossia
Manzoni.
Il narratore presenta la stessa vicenda, spesso da diversi punti di vista, che possono essere quelli del primo
narratore e del secondo narratore, oppure di un personaggio e di un narratore o anche di due o più
personaggi interni della storia, etc.
La finzione che la propria opera deriva da un manoscritto preesistente ha dei precedenti come Ariosto ma
soprattutto il romanzo di Walter Scott. Il fatto che si tratti di una finzione letteraria non ha
impedito a molti critici di ricercare nella letteratura del Seicento un romanzo realmente scritto che
potesse costituire la storia scritta dall’anonimo. Nonostante le varie ricerche, non si trovò nulla di
questo tipo, quindi si può confermare che l’anonimo è un personaggio di invenzione autore di
un’opera che non esiste.
I promessi Sposi sono un romanzo polifonico, sia per quanto riguarda la lingua che per quanto riguarda lo
stile. Manzoni è estremamente attento ai registri linguistici. L’esigenza di realismo e la conseguente ricerca
della verosimiglianza non investono solo l’ambiente storico e l’intreccio ma anche la lingua dei personaggi.
Tutti i personaggi hanno un modo di parlare proprio, nessuno simile con un altro personaggio. un esempio
di dualismo è all’interno di una conversazione tra Renzo e l’avvocato Azzeccagarbugli. La parola polifonica è
ciuffo, nel mondo semplice di Renzo, sono i capelli lunghi, per quanto riguarda il linguaggio del legislatore, è
un termine che rimanda al costume del bravo.
Ne capoversi finali, il narratore cede la parola ai suoi protagonisti, della povera gente, i quali però hanno
saputo dimostrare di essere in grado di trarre conclusioni e di dare consigli che coincidono con quelli dei
grandi della storia e della chiesa. Dunque, la “povera gente” sarà in grado di trarre il succo di tutta la storia.
Nel capoverso finale, il narratore riprende parola, un po’ come il servo di turno che annuncia la calata del
sipario e chiede l’applauso.
Quando si tratta si raccogliere applausi, Il narratore manda avanti l’anonimo diminuendo la sua
importanza, per quanto riguarda il ricevere critiche di chi si è annoiato, si fonde con l’anonimo.
Il narratore dei promessi sposi è onnisciente, questo non vuol dire che conosce tutto, ma vuol dire che sa
più rispetto ai personaggi. Il racconto però ha un’alternanza di punti di vista, infatti durante il racconto, il
narratore abbandona il punto id vista dall’alto per assumerne magari uno interno. Spesso il narratore
corregge o integra la visione dell’anonimo, altre volte invece, dichiara la sua ignoranza, lasciando spazio alla
libertà del lettore. In alcuni casi il narratore raggiunge questo effetto polifonico ricorrendo alla tecnica del
racconto ripetitivo, ossia, lo stesso avvenimento narrato due o più volte ma mutando prospettiva.
Il ricorso a questa tecnica narrativa deriva dalla consapevolezza che gli uomini, sulla terra, posseggono un
punto di vista limitato e parziale, e che il miglior modo per conoscere un avvenimento è quello di ascoltare
più voci possibili.

I Promessi Sposi sono diventati molto famosi, in meno di dieci anni furono tradotti in quasi tutte le lingue
del mondo occidentale. Come già detto anche in precedenza la quarantana fu un insuccesso finanziario,
questo perché molti preferivano la ventisettana che veniva sentita come più popolare, proprio perché più
intrisa di lombardismi. In realtà questa è meno popolare, appunto perché è comprensibile a una minor
porzione di popolo. Nel frattempo, i promessi sposi entrano a far parte del programma scolastico. Questa
scelta ha ottenuto due risultati contraddittori: da un lato, questa entrata nelle scuole del romanzo, facilitò
la diffusione di una lingua unitaria e garantì la popolarità al romanzo, tuttavia, la lettura scolastica provocò
un’insofferenza e diminuì il numero di persone che lessero integralmente o parzialmente il romanzo dopo
la scuola.

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