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Diventato un cult del fumetto italiano e tradotto anche all’estero, Dylan Dog nacque nel lontano 1986 da

un’idea di Tiziano Sclavi.


GENESI
Comincia tutto quando Sclavi propone a Sergio Bonelli un fumetto horror. L’idea è quella di un detective
solitario di New York. Si decide poi di cambiare location e ambientare la storia a Londra e di affiancare al
detective un assistente con un senso dell’umorismo che più british non si potrebbe e le sembianze di
Groucho Marx. Nel cercare la faccia giusta Sclavi dice a Claudio Villa, disegnatore del fumetto, di andare al
cinema e guardare un film con Rupert Everett. La faccia dell’attore gli pare interessante. «Prendila e tirala
giù», dice a Villa, «solo fallo più macho». Villa guarda il film, scarabocchia un volto e lo mostra a Sclavi che
si dice soddisfatto. Quando sul finire di settembre esce il primo numero nessuno sembra interessato. Bisogna
attendere una settimana perché i lettori prendano d’assalto le edicole.
Quattro anni più tardi, Dylan Dog ha raggiunto un successo tale da diventare un best seller e in un’occasione
riesce persino a superare il Tex di Bonelli in termini di copie vendute.
DYLAN DOG
L’investigatore dell’incubo bello e dannato, un po’ James Dean e un po’ Sherlock Holmes, ha un look che
non potremmo definire variegato. Indossa sempre una camicia rossa che abbina ad una giacca nera, jeans e
scarpe Clarks. Gira su un maggiolone bianco e, quando non è impegnato a razzolare sotto le lenzuola con la
sgallettata di turno, impegna il tempo libero leggendo o guardando film horror. Ha un filo diretto con
l’ispettore Bloch di Scotland Yard, suo mentore e amico. Le armi che usa sono un notevole intuito (quello
che lui chiama il suo quinto senso e mezzo) e una rivoltella vecchia come Mosè. Abita al numero 7 di Craven
Road (se il cognome solletica il vostro quinto senso e mezzo è perché l’autore ha voluto omaggiare Wes
Craven) e l’appartamento che funge anche da ufficio è un vero e proprio museo dell’orrore, a cominciare dal
campanello, la cui melodia non è un armonico ding-dong ma un urlo straziante. L’arredamento interno
consiste di maschere tribali, armature, quadri spaventosi, oggetti maledetti e mostri a grandezza naturale di
cui il detective sembra andare molto fiero.
Se state pensando a una miscela esplosiva di hard-boiled e horror, direi che avete imbroccato.
Da quel lontano settembre del 1986 l’indagatore dell’incubo ne ha macinate di miglia e non sembra affatto
intenzionato ad andare in pensione. L’impatto che ha avuto sulla cultura di massa è tra i più incisivi, tanto da
far breccia nel cuore di letterati come Umberto Eco, che disse di lui: «Posso leggere la Bibbia, Omero e
Dylan Dog per giorni e giorni senza annoiarmi.»

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