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DIABOLUS IN MUSICA

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XI flsVcaud

srNErrNoS
DaNrro Pnerunao
Nicolò Paganini: gli studj n. 4 per violino so1o. Problemi di autenticità r67

Iraro VEscovo
Opere cameristiche di Nicolò Paganini di recente scoperta:
modelli forrnali e aspetti fìloiogici 175

PacaNrNr aN» Irary


Canl,mra BoxcrovaNxr
Virtuosi e musica per virtuosi tra fine Settecento
e primi Ottocento a Genova 201

Lurcr Srsro
Nicolò Paganini a Napoli (r816-r8zr) 22r

Marrsct Matxan»r
Paganini e Milano 257

Arrortc.r C:.nrrrr
L'a1tro r,iolino: istinto e bisogno
fra i violinisti popolari al tempo di Paganini 285

THe RncEprroN oF PacaNrNr's Musrc


Rosarsa AcRasra
Les Concerts de Paganini .ì Paris (r83r) 307

CÉcrrp RryNauo
Francors-Joseph Fétis er Pagamni J4 /

\ltt.trrr-r \lcr or rr
lJn r,-irnrosismo da opererta: Paganini diFranzLehfu (rgrS) .)i /

M,u Kawasara
Paganini's Legecy 3J3
pacaNrNr aNn Vror-rN Scuoors oF THE ErcurpsNtH AND NrNlrnsN'nr CeNruRrEs

Gnpconto CannaRo
I trii per due violini di Francesco Zannetti ('lZl-r788)'
e basso
Testi e contesti nella tradizione violinistica itaLana del secondo Settecento 36r

DraNB Trsoan
'Violoniste Chanteur' versus'Violoniste Virtuose':
Contextualising the Technical Demands of Viotti's Violin Repertoire 375

TarraNa Bsnronp
Giovanni Battista Viotti: un altro predecessore paganiniano 399

ANroNro Canoccra
Paganini e la scuola violinistica partenopea 407

ENnrca DoNrsI
I rapporli di Nicolò Paganini
con Gaetano Ciandelli e Onorio de Vito +r9

Fravro MnNanoI Nocusna


Nicolò Paganini e Camillo Sivori:
1'anello forte della scuola ligure del violino 435

P.loro Suno
I Solfegi di Alessandro Rolla nel1a didattica violinistica del xtx secolo 457

Rrraro RIcco
L'eredità di Nicolò Paganinr nelle musiche
di Camillo Sivori e Antonio Rolla 469

PacaurNr AND THE PraNo

l'.l-rnrxa Esposlro
Lc Souuenir de Paganini di Fryderyk Chopin +97

-
ANonEa MarvaNo
«I1lato poetico della composizione».
La recezione schumanniana dei Capricci di Paganini 5r5

Krrl.rs Vosxrprs
Paganini Meets Pianism: The Influence of the Violin Virtuoso
on Liszt's and Thalberg's Pianistic'Writing 527

Aoarsrnro Manra Rrva


Differenti tipologie di trascrizioni per pianoforte da Paganini 537

INoEx or Naups s49


L’altro violino:
istinto e bisogno fra i violinisti
popolari al tempo di Paganini

Antonio Carlini
(Bolzano)

N el giugno del 1836 August Lewald, uomo di teatro e musicista tedesco,


percorreva il Tirolo nel classico viaggio di istruzione e di svago tipico
degli intellettuali europei, lasciando un diario curioso, con descrizioni
geografiche, cronache musicali e acuti profili di umanità varia. Verso la fine del
mese entrava nella città di Trento in festa per il santo patrono Vigilio. Il 26 giugno,
giorno della tradizionale fiera, il Lewald, girando per le vie della città, incontrava
un numero incredibile di «virtuosi»: suonatori di violino, arpa, violoncello, chitarra,
scacciapensieri, cantanti mescolati a ciarlatani e pagliacci. Fra questi aveva modo di
ascoltare un vecchio violinista rimanendo profondamente colpito dal contrasto fra
l’aspetto fisico, assolutamente decadente e quasi inerme, e l’orgogliosa delicatezza del
suo mondo interiore, espresso attraverso il violino. Tornato in albergo il Lewald fissava
nel proprio diario quell’immagine con queste parole:

Era un uomo piccolino, magro […] Gli occhi erano spenti [ma] capaci
di un’espressione raffinata quando […] suonava il violino […] Il suo modo di
suonare denotava una scuola, ma la sua arcata era troppo debole; sembrava che
al poveretto mancassero le forze alle braccia. In compenso cercava di portare
nella sua musica la maggiore espressione possibile. E ciò che non riusciva a
comunicare con l’archetto, veniva espresso dai suoi occhi e dalla bocca […]. E
anche il resto del corpo prendeva parte a questa interiorità […]. I miei amici
risero quando videro il povero suonatore di violino e dissero con cattiveria:
“Guardi, guardi, come può finire un italiano, si atteggia come se suonasse con
espressione, ma quale?” Mi fecero male queste osservazioni perché capivo e mi
immedesimavo. Dalla cucina usciva una mescolanza di profumi molto aromatici,
ci si accingeva a portare il cibo e ciò faceva venir fame ad ambedue. Io avevo
Antonio Carlini

la prospettiva di poter saziare la mia fame, egli invece di restare affamato. Il suo
suono melanconico mi penetrò nel cuore e gli diedi il doppio1.

Secondo la descrizione del Lewald il violinista indossava un lungo «frack» — vestito


da esibire non certo in strada — che gli cadeva addosso come una tunica, mentre attorno a
lui altri musicisti imitavano «versi degli uccelli canterini» o «il suono del corno e del fagotto
in maniera comica»2.
Possiamo mettere a confronto questa cronaca del 1836 con un secondo testo lasciatoci
dal sacerdote (e violista nella cappella palatina di Lucca) Jacopo Chelini (1759-1824) per la
festa di S. Croce, celebrata a Lucca nel dicembre 1801 con protagonista Nicolò Paganini.
Scriveva il Chelini:

1
. Questo il testo originale: «Unter diesen bemerkte ich einen Violinspieler, der meine besondere
Aufmerksamkeit anzog. Es war ein kleines, mageres Männchen, dessen dünne Beine in grauen engen Pantalons
dicht an einen Höcker stiessen, der den ganzen Oberleib ausmachte. Ein langer, weiter, wahrscheinlich
geborgten Frack von blauem Tuche flatterte wie ein Wimpel davon hernieder. Den Kopf trug der Mann
ganz bloss, nicht nur ohne Hut, sondern auch ohne Haare; nur den Nacken zierten noch einige wenige von
bedeutender Länge, die mit Sorgfalt über die Mitte des Schädels gelegt waren; wie der Rosschweif auf den
Helm eines Kriegers. Die Augen waren matt, und schienen einst bessere Tage gesehen zu haben, denn es lag
ein feiner Ausdruck darin, wenn der Mann die Geige spielte. Die Nase war wirklich edel, dabei dünn und
spitzig, wie diess bei verhungerten Gesichtern der Fall ist; der Mund breit gezogen, mit schmalen Lippen, das
Kinn gar nicht vorhanden. So ragte dieser Kopf nur wenig über dem Höcker empor aus einer lose geknüpften
Binde, als ein recht wehmüthiges Bild. Sein Spiel hatte Schule, doch war sein Strich nur schwach, es schien
dem Armen alle Kraft dazu zu fehlen. Dafür aber suchte er allen nur möglichen Ausdruck hinein zu legen, und
was dem Bogen nicht auszudrücken möglich war, ergänzten Augen und Mund. Jene drehten sich empor gent
Himmel und schienen sich mit Thränen zu füllen; dieser öffnete sich, die Lippen zitterten, er wollte sprechen,
er floss von innerer Seligkeit über, aber er konnte kein Wort für sein überschwängliches Gefühl finden. Und
auch der übrige Körper nahm Theil an der innern Bewegung; nur die dünnen Beine standen fest und starr,
sie, die ohnediess zu schwach waren, den Mann, die Geige und sein Gefühl zu tragen; dafür aber hoben sich
die Schultern und senkten sich wieder wellenförmig, und selbst der Höcker hüpfte dann und wann wie ein
tanzen der Berg, den Orpheus Spiel belebte. Meine Freunde lachten, wenn sie den armen Geiger anblickten
und sagten boshaft: “Sehen Sie nur, wie so ein Italiener sich verstellen kann, er thut, als spiele er mit Ausdruck,
und mit welchem ?” Mir thaten diese Bemerkungen weh, denn ich fühlte. — Aus der Küche stieg ein Gemisch
von aromatischen Düften, man schickte sich an, das Essen aufzutragen und uns beide hungerte. Ich hatte die
Aussicht, meinen Hunger zu stillen, er hungrig zu bleiben. Sein melancholisches Spiel drang mir zu Herzen,
und ich gab ihm doppelt». Lewald, August. Tirol vom Glockner zum Orteles und vom Garda - zum Bodensee,
Monaco, Verl. der literarisch-artistischen Anstalt, 1838, pp. 190-191.
2
. «Die Menge der ambulanten Virtuosen, welche die Luft mit Gesang und Spiel erfüllten, war
ausserordentlich. Hier zwei ziemlich corpulents Schönen, welche die Harfe spielten, mit einem Begleiter, der
die Violine wie ein Cello behandelte; weiterhin ein altes Paar, sie mit einer Guitarre, er mit einem Stäbchen im
Munde, alle Sangvögel auf das täuschendste nachahmend und Gesichter schneidend, die Niemand ohne Lachen
ansehen konnte; dort einige Guitarren, zu deren Geklimper die Virtuosen mit dem Munde Horn und Fagott
auf komische Weise nachahmten; diese Duette, jene Arien singend; Redner, Improvisatoren, Taschenspieler,
Bajazzo und Marktschreier im bunten Gemische; das Ideal eines Jahrmarktes von Plundersweilern, zu welchem
Goethe schwerlich die Züge in Deutschland zusammentragen konnte». Ibidem.

2
L’altro violino: istinto e bisogno fra i violinisti popolari al tempo di Paganini

La musica fu longa assai p[er]ché si ebbe l’indiscretezza […] di fare eseguire


[…] un Concerto di Violino [durato 28 minuti] da un tal Paganini Giacobino
Genovese […] subito dopo il Chirie eleison […]. Questo Professore aveva una
grande abilità ma non aveva ne criterio, ne giudizio musicale. Imitava col Violino
il canto degli uccelli, i Flauti, le Trombe, i Corni etc. di modo che il suo Concerto
terminò in un’Opera Buffa facendo ridere tutti nel tempo che restavano ammirati
dell’abilità, e franchezza di costui3.

Difficile interpretare la definizione «concerto di violino» qui adoperata dal musicista


Chelini. Il riferimento, probabilmente, non è alla forma musicale ma semplicemente
all’esibizione. Una simile composizione paganiniana è comunque persa; problematico
è pure immaginare o escludere un accompagnamento con orchestra che comunque, a
momenti, avrebbe lasciato libero d’improvvisare il solista Paganini. Anche in questo caso
l’osservazione successiva del memorialista toscano merita un richiamo: l’abate lucchese
lodava l’abilità di Paganini, ma osserva che «l’imitazione e degli uccelli, e d’altri strumenti
fatta con un violino» dovrebbe essere proposta «soltanto in un’accademia»4. Da parte sua il
doge di Ragusa, l’aristocratico Matteo Niccolò de Ghetaldi, seccato di sentire «simili cose»,
rigettava dalle accademie questo repertorio, ritenendolo adatto «per una fiera e non per un
concerto». Tale giudizio veniva espresso dopo l’ascolto in sala di Paganini nel settembre
del 1824 a Venezia; in quella occasione il violinista genovese aveva imitato («naturalmente
tutto in modo meraviglioso») «un asino, un papagallo e un merlo»5.
Anche l’opinione di escludere dalle chiese musiche come quelle proposte a Lucca
nel 1801 da Paganini (espressa dal Chelini) rimaneva elitaria. La conferma arriva, senza
ricorrere all’ampia bibliografia sulla musica sacra nell’Italia del periodo, da un osservatore
imparziale quanto esperto come Leopold Mozart che, nel febbraio del 1770, da una città
culturalmente avanzata come Milano, scriveva alla moglie:

Intanto qui [a Milano] abbiamo avuto occasione di ascoltare diversi


pezzi di musica sacra; e tra l’altro ieri l’Ufficio funebre o Requiem per l’anziano
Marquese Litta […] Il Dies Irae di questo Requiem durò all’incirca 3 quarti d’ora
[…] Non devi pensare che ti farò una descrizione delle funzioni di qui; non
potrei farlo senza arrabbiarmi: tutto consiste nella musica e negli addobbi della
chiesa, il resto è una terribile sfrenatezza6.

3
. Biagi Ravenni, Gabriella. Diva panthera. Musica e musicisti al servizio dello stato lucchese, Lucca, Acca-
demia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, 1993 (Studi e Testi, 33), pp. 97-98.
4
. Ibidem.
5
. Tonazzi, Bruno. Paganini a Trieste, Padova, Zanibon, 21978 (Collana di studi musicali), pp. 43-
46: 44. I documenti sono stati pubblicati per la prima volta in lingua tedesca da Ghetaldi, Eugenia Maria
de. ‘Der verrückte Geiger. Unveröffentlichte Briefe über Niccolò Paganini, den grössten Virtuosen aller
Zeiten’, in: Acht Uhr Abendblatt, 19 marzo 1934; lettera del 2 ottobre 1824.
6
. Lettera di Leopold Mozart a sua moglie (Salisburgo), datata Milano, 10 febbraio 1770. Basso, Alberto.
I Mozart in Italia. Cronistoria dei viaggi, documenti, lettere, dizionario dei luoghi e delle persone, Roma, Accademia

3
Antonio Carlini

Tornando al richiamo dell’abate Chelini, effettivamente, nello scorrere i programmi


delle accademie tenute in teatro come nei saloni dei palazzi aristocratici fra il 1790 e il
1830, troviamo diversi numeri dedicati a imitazioni di animali, accolti sempre con grande
entusiasmo dal pubblico. Se vogliamo rimanere a Trento, ma la situazione si ripete in
tutte le città d’Italia, possiamo citare un concerto del 25 marzo 1809, dove l’orchestra dei
filarmonici eseguiva nel Teatro Osele un Walzer di Schikaneder nel quale si ascoltavano
«50 voci d’uccelli», anticipato da un solo di corno preso dalla Nina di Paisiello «suonato
colla bocca» e da un solo di fagotto «accompagnato colla bocca senza strumento»7. La
partecipazione a questa tipologia di repertorio da parte di Paganini è nutrita e continuativa
come possiamo verificare attraverso alcune cronache:

- 1800, 21 dicembre. Modena: Teatro Rangoni, Fandango spagnolo variato con


imitazione del canto degli uccelli8.
- 1801, 15 dicembre. Lucca: Cattedrale, Concerto di violino con il canto degli uccelli,
imitazione del flauto, trombe e corni9.
- 1811, 16 giugno. Reggio Emilia: «Fandango Spagnuolo variato a capriccio imitando
nel frattempo la voce, ed il canto di diversi Animali»10.
- 1812, 22 gennaio. Ferrara, imitazione di canti e gridi d’animali (raglio
dell’asino)11.
- 1814, 6 settembre. Genova, Teatro S. Agostino: «Accademia [… con] voci nuove
non appartenenti [al violino] come di flauto, gorgheggio d’uccelli, chitarra»12.
- 1818, 12 febbraio. Torino, Teatro Carignano: «il suo violino non è più violino: è
flauto, è voce limpidissima di ben addestrato canarino»13.
- 1824, settembre. Venezia: imitazione di «un asino, un papagallo e un merlo»14.
- 1831, 20 agosto. Londra, Fandango spagnolo15.

Nazionale di Santa Cecilia, 2006 (L’arte armonica. Ser. 4, Iconografia e cataloghi, 3), pp. 179-180.
7
. Duecento anni di concerti. 1795-1995, Trento, Società Filarmonica di Trento, 1995 («C.M.T», 19),
p. 111.
8
. Berri, Pietro. Paganini. La vita e le opere, a cura di Mario Monti, Milano, Bompiani, 1982 (Ritratti),
p. 453.
9
. Biagi Ravenni, Gabriella. Op. cit. (si veda nota 3), pp. 97-98. Una versione diversa è trascritta in:
Tonazzi, Bruno. Op. cit. (si veda nota 5), pp. 42-43.
10
. Fabbri, Paolo. ‘Il melodramma tra metastasiani e romantici’, in: Teatro a Reggio Emilia, a cura di
Sergio Romagnoli e Elvira Garbero, 2 voll., Firenze, Sansoni, 1980, vol. ii: Dalla Restaurazione al secondo
Novecento, pp. 111-125: 115.
11
. La cronaca della serata, narrata dal Gordigiani, si può leggere in Tibaldi Chiesa, Maria. Paganini. La
vita e l’opera, Milano, Garzanti, 31944, pp. 72-78.
12
. Recensione nella Gazzetta di Genova, citata in ibidem, p. 95.
13
. Recensione della Gazzetta piemontese, citata in ibidem, p. 112.
14
. Berri, Pietro. Op. cit. (si veda nota 8), p. 218.
15
. Ibidem, p. 496.

4
L’altro violino: istinto e bisogno fra i violinisti popolari al tempo di Paganini

- 1832, 17 agosto. Londra: Fandango spagnolo variato «con l’aggiunta di imitazioni di


voci di animali da cortile»16.

Di questi brani, tutti improvvisati, il solo Fandango veniva probabilmente stampato,


ma nessuna copia è stata a oggi rintracciata17.
A fronte di proposte concertistiche così frequenti e continuative di un repertorio
‘naturalistico’ piuttosto discusso, si potrebbe pensare a un volgare calcolo di successo presso
un pubblico vasto e poco educato. Ma senza tralasciare questo ‘bisogno’ economico,
dobbiamo pur considere la forza passionale presente nel più generale ‘istinto’ umano
dell’imitazione, definito, nel 1825 dal francese Alibert, «legge primitiva del sistema
senziente»18. Stando allo scritto di Alibert, proprio al gusto per l’imitazione da parte
dell’uomo si doveva «quel diletto che proviamo alle rappresentanze o comiche o tragiche,
alla lettura de’ Romanzi, alla pittura, alla scultura e perfino all’architettura»19. Le imitazioni
animalesche, scrive Claudio Casini, «erano una specie di didattica, a suo modo geniale,
che raggiungeva risultati inauditi passando per vie extra-musicali, naturalistiche, invece
che per i soliti itinerari scolastici»20. Non si dimentichi poi che sulla maggiore o minore
capacità di avvicinarsi al modello originario si misurava la bravura di un artigiano o di un
artista (l’imitazione della natura). Ecco quindi comparire, anche nel mondo ‘colto’, le due
categorie di ‘istinto’ e ‘bisogno’ segnalate all’inizio fra i suonatori popolari.
Abbiamo riportato le opinioni di Chelini e de Ghetaldi perché le loro parole
sono, a inizio Ottocento, il sintomo di un processo culturale assai importante, vale a dire
l’affermazione della volontà di definire per ogni classe sociale un preciso prodotto culturale.
Per questo si comincia a impostare una sorta di gerarchia fra i prodotti artistici, individuando
per ognuno di essi un solo contesto di consumo. Unica, parziale, eccezione era in realtà la
Chiesa, che nello spazio sacro doveva pur accogliere tutti! È il concetto di ‘distinzione’ che
inizia a condizionare fortemente il giudizio estetico e le strutture produttive della cultura
secondo le modalità illustrate acutamente dal sociologo Pierre Bourdieu21.
È da questo sottile, ma persistente, processo che nasce quel «disagio estetico» espresso
nei confronti del repertorio strumentale italiano di fine Settecento (inizio Ottocento)

16
. Ibidem, p. 502.
17
. Introduzione e fandango con variazioni gaie inserito in un «Elenco de’ pezzi di musica da stamparsi». Cfr.
Catalogo tematico delle musiche di Niccolò Paganini, a cura di Maria Rosa Moretti e Anna Sorrento, Genova,
Comune di Genova, 1982, pp. 361-362: 362
18
. P[aolo] S[avi]? ‘Physiologie des passions etc. Fisiologia delle passioni o nuova dottrina de’ senti-
menti morali del sig. L. Alibert. T. I. Parigi 1825 di pag. lxxv e 378 in 8’, in: Nuovo Giornale de’ Letterati,
Tomo Duodecimo (N. 25), Scienze, Pisa, Sebastiano Nistri, 1826, pp. 49-58: 57 (Prima parte).
19
. Ibidem.
20
. Casini, Claudio. Paganini, Milano, Electa, 1982, p. 36.
21
. Bourdieu, Pierre. La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, Il Mulino, 1983 (Collezione di testi
e di studi. Sociologia).

5
Antonio Carlini

acutamente individuato nella cultura europea da Giacomo Fornari22. Una citazione


riportata da Fornari — la lettera di Antonio Salieri pubblicata nel 1811 dall’Allgemeine
musikalische Zeitung di Lipsia — restituisce concretamente le dinamiche che favoriscono
questa ‘distinzione’. Secondo Antonio Salieri quel particolare modo di suonare il violino
«imitando talvolta un pappagallo, un cane o anche un gatto», per «avvincere il pubblico» e
attirare più gente ai propri concerti — messo in atto nel caso specifico dal violinista italiano
Antonio Lolli —, poteva andar bene solo agli «ignoranti» e non al «pubblico colto»; un
pubblico che (siamo in un paese a cultura tedesca) iniziava a mostrare il «proprio disprezzo»
e che si rivolgeva, invece, alle opere di Haydn, Mozart e Beethoven; un pubblico, e questo
è il vero punto distintivo, che pagando l’ingresso al concerto doveva essere rispettato e
servito con un prodotto serio, professionale e decoroso23.
Uno scritto breve ma significativo questo di Antonio Salieri che indica anche una
delle ragioni delle differenze fra la musica tedesca e italiana. Nel descrivere alla moglie i
primi concerti dati dal figlio in Italia, Leopold Mozart, il 26 gennaio 1770 precisava: «Devi
però sapere che né questa accademia a Mantova né quella a Verona sono date a pagamento,
ma tutti vi accedono liberamente. A Verona solo i nobili, perché è sostenuta solo da loro,
a Mantova però i nobili, i militari e i cittadini di riguardo, perché essa riceve un sostegno
22
. Fornari, Giacomo. ‘Antonio Salieri e l’idea di musica assoluta’, in: Album amicorum Albert Dunning
in occasione del suo LXV compleanno, a cura di Giacomo Fornari, Turnhout, Brepols, 2002, pp. 353-363:
360-361.
23
. «Da nun diese Methode ganz gegen die Rücksicht ist, welche jeder Spieler auf fremde Compositionen
nehmen muss, so wie gegen die Achtung, die man dem Publicum schuldig ist, welches für sein Geld die Musik
mit Ernst und nicht spasshaft ausgeführt haben will: so wird hiermit jedem Director der kaiserl. Theater-
Orchester zu Wien zu wissen gethan, dass er eine solche abgeschmackte Neuerung sey den Individuen
seiner Direction nicht zu dulden habe. Zugleich wird jedem Musiker insbesondere, dem seine Ehre und
sein Vortheil lieb ist, angekündigt, dass, wenn er dieser Weisung keine Notiz nimmt, er für einen schlechten
Spieler erklärt und deshalb für unfähig angesehen werden wird, länger in der Gesellschaft von würdigen
Practikern der Kunst zu bleiben, von denen ihn zu entfernen sich das Directorium zur Pflicht machen wird.
[…] Anmerkung. Diese lächerliche Manier auf der Violin schreibt sich von einem Scherz des berühmten
Violinspielers Lolli her. Als dieser in seinen spätern Jahren nicht mehr der hinreissenden, zauberischen Energie
Meister war, durch welche er ehemals das Publicum fesselte: so suchte er, um Zuspruch zu den Concerten
zu gewinnen, die er auf seinen Reisen gab, den Zuhörern wenigstens etwas zum Lachen zu geben, indem
er es im letzten Allegro seiner Concerte bald dem Papagai, bald dem Hunde, bald der Katze nachmachte.
Das Katzenconcert, wie er selbst nannte, war beym Publicum am beliebsten, und er gab es deswegen am
häufigsten und mit allgemeinem Beyfall. Andere Violinisten nicht blos, sondern auch Violoncellisten, suchten
nun diesen Meister in seinem Scherze nachzuahmen. Nach und nach wurde der Scherz zur Mode, die Mode
(von der sich sonderbarer Weise nicht blos Spieler, sondern auch Sänger und Sängerinnen hinreissen liessen),
wurde unter den Schwächern und Unverstädigern zur Methode; und da die Anzahl der letzern unendlich ist,
so ging jene falsche Manier nach und nach in eine Art von Schule über, aus welcher eine schöne Menge von
Katzen hervorgegangen ist, die durch Spiel und Gesang in dieser Manier die Ohren der Zuhörer quälen, in
der Meynung, sie zu ergötzen. Es ist jedoch zu hoffen, dass diese Mode bald ihre Endschaft erreichen werde,
weil das unterrichtete Publicum schon anfängt, dieses wahrhafte Katzenmiau zu verlachen, wenigstens sein
Missfallen daran zu bezeigen». Ibidem.

6
L’altro violino: istinto e bisogno fra i violinisti popolari al tempo di Paganini

da Sua Maestà l’Imperatrice»24. Nei paesi a cultura tedesca la ‘distinzione’ era determinata
dal censo: l’accesso alle accademie avveniva a pagamento e per libera scelta (estetica); in
Italia l’elemento discriminante era il ‘ceto’: l’accesso era libero (motivato dal passatempo)
e la musica era solo uno degli ingredienti della serata25.
Con le brevi citazioni poste in apertura, abbiamo richiamato tre ambienti: fiere —
regno dei commercianti, ma pure dei contadini che acquistavano prodotti per la terra,
attrezzi e animali —, teatri e saloni — regno di impiegati, ufficiali, burocrati, artigiani,
borghesi, nobili e studenti — e chiesa — regno nel quale convergeva tutto il popolo. Tre
luoghi che si servivano, in pratica, della stessa musica proposta indubbiamente con abilità
e sfumature diverse.
Questa prima convergenza può essere sostenuta da un secondo parallelismo.
Nello scorrere i programmi proposti in Italia dai virtuosi preparati nelle scuole musicali
accademiche, una forma prevale su tutte, il Tema con variazioni26. Ora, indipendentemente
dalla natura del tema — che poteva essere tratto da un’opera lirica o da una canzonetta —,
la tecnica della variazioni (occasione per esibire il più brillante virtuosismo) era anche un
procedimento primario della musica popolare perché legato all’improvvisazione e quindi
al mondo dell’oralità.
Fra il popolo, nella grande massa, diventava un mito chi sapeva usare da virtuoso
una spada (se soldato), un maglio (se fabbro), un archetto (se violinista). Così si spiega la
predilezione per il virtuosismo nella musica strumentale come nel canto, spesso esibito fine
a se stesso; virtuosismo che è frutto di una grande abilità nell’impiego delle mani come
fra gli artigiani e che trova, appunto, nella forma del tema con variazioni il luogo principe
d’espressione27.
E la variazione, in realtà, altro non è che un racconto che inizia con la presentazione
di un personaggio (il tema), si sviluppa in un crescendo di complicazioni e si conclude
sempre con un gesto di sorpresa.

24
. Lettera di Leopold Mozart alla moglie (Salisburgo), datata Milano, 26 gennaio febbraio 1770. Basso,
Alberto. Op. cit. (si veda nota 6), pp. 174-177: 175.
25
. Su questo argomento si legga il recente saggio di Fornari, Giacomo. ‘Instrumentalmusik und
Accademie in Italien zwischen Barock und Klassik. Ein Repertoire in “appartate stanze”’, in: Kammermusik in
Übergang vom Barock zur Klassik, a cura di Christoph-Hellmuth Mahling, Magonza, Villa Musica Rheinland-
Pfalz, 2009 (Chloss-Engers-Colloquia zur Kammermusik, 5), pp. 125-136.
26
. Per una conferma anche quantitativa del fenomeno riferito alla letteratura per clarinetto, tromba e
flauto, si veda: Amore, Adriano. Il clarinetto in Italia nell’Ottocento, Perugia, Accademia italiana del clarinetto,
2009; Carlini, Antonio. ‘Amilcare Ponchielli e le opere concertistiche per tromba e cornetta nelle tradizioni
bandistiche italiane del xix secolo’, in: Ponchielli e la musica per banda. Atti della Tavola Rotonda. Ridotto del
teatro Ponchielli 27 Aprile 2001, a cura di Licia Sirch, Pisa, Edizioni ETS, 2005, pp. 49-118; Lazzari, Gianni.
Il flauto traverso. Storia, tecnica, acustica, Torino, EDT, 2003 (Biblioteca di cultura musicale. I manuali EDT/
SIdM, 12).
27
. Sul tema si può ora leggere il saggio brillante di Sennett, Richard. L’uomo artigiano, traduzione di
Adriana Bottini, Milano, Feltrinelli, 22009 (Campi del sapere).

7
Antonio Carlini

Anche la forma del racconto ci riporta a un concetto unitario: la ballata cantata nelle
stalle è un racconto; la novella, il romanzo d’appendice e persino una poesia letti ad alta voce
in un salotto sono racconti; un paesaggio o un personaggio storico dipinto sottintende l’idea
del racconto; un dramma o un balletto seguiti in teatro si sostengono su un racconto; un
pezzo caratteristico suonato da un’orchestra o da banda in piazza è un racconto. Racconti
articolati in veri e propri capitoli sono, in questo senso, La Tempesta, Le Couvent du Mont St.
Bernard o la Sonata Napoléon di Paganini. Racconti, vale a dire emozioni e storie da cogliere
immediatamente attraverso il suono, la parola, il colore, il ritmo rapido dei cambiamenti e delle
espressioni. Racconti brevi sono pure le vignette satiriche che la recentissima invenzione della
litografia (Alois Senefelder, 1796) permetteva di pubblicare con sempre maggior frequenza
sulle ‘Gazzette’ dell’epoca e le sciarade, le canzoni o le romanze, mentre non lo sono le
sonate classiche (di tipo viennese), sottintendendo piuttosto un ragionamento, una riflessione
da seguire con il pensiero, con attenzione e concentrazione28.
Se, invece, intendiamo osservare il repertorio non solistico ma collettivo (grandi
o piccoli complessi sia nel mondo popolare che più colto) praticato fra 1790 e 1830, ci
rendiamo conto che la percentuale più consistente dei titoli è occupata da forme ballabili
(walzer, contraddanze, scottisch, monferrine, ecc.). Anche qui i luoghi sono gli stessi:
piazze, saloni, teatri, palazzi, locande ecc. E se vogliamo ancora sorprenderci, possiamo
sfogliare la raccolta manoscritta N. 100 Frà Contradanze, Quadriglie, Monfrine, e Waltz per
Clarinetto, e Violoncello composta dal trombettista del duca di Modena e capo banda del
Battaglione Estense Geminiano Luigini fra il 1815 e 1825: le melodie non sono inventate,
ma semplicemente tratte dalle opere rossiniane alla moda (tre contradanze — N. 3, N. 6
[Zelmira], N. 12 —, una quadriglia, N. 22 e un Waltz, N. 7)29. La sorpresa diventa poi
conferma di un costume diffuso e ricercato nel leggere il documentato studio di Gloria
Giordano, L’opera in ballo30.
Gli elementi fino qui richiamati — la presenza dominante delle forme a variazione,
delle romanze brevi e delle forme di danza — sono unificanti di una tradizione musicale,
quella italiana, difficile da frazionare, da scomporre in settori specifici e che spiega
probabilmente la particolare natura della nostra letteratura strumentale ottocentesca.

28
. I concertisti tedeschi in tournée in Italia ne erano ben consci: per questo si limitavano, spesso, a offrire
un tempo solo di una sonata o di un concerto, pensando che gli italiani fossero incapaci di comprendere i
legami razionali fra i vari movimenti di un’opera.
29
. Modena, Biblioteca dell’Istituto musicale ‘O. Vecchi’, Fondo Salimbeni 2538. Geminiano Luigini
è scritturato quale trombettista nell’orchestra del Teatro di Reggio Emilia, dove ha modo di eseguire spesso
le opere di Rossini, a partire dal 1815 fino al 1830 (Fabbri, Paolo - Verti, Roberto. Due secoli di teatro per
musica a Reggio Emilia. Repertorio cronologico delle opere e dei balli 1645-1857, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Municipale Valli, 1987).
30
. Giordano, Gloria. ‘L’opera in ballo, ovvero contradanze su temi rossiniani’, in: Di sì felice innesto.
Rossini, la danza, e il ballo teatrale in Italia, a cura di Paolo Fabbri, Pesaro, Fondazione Rossini, 1996 (Saggi e
fonti, 3), pp. 127-141.

8
L’altro violino: istinto e bisogno fra i violinisti popolari al tempo di Paganini

Il recente articolo di Mauro Balma, ‘La tradizione popolare fonte di ispirazione per
Paganini’31, ha messo in evidenza i debiti, alcuni sottili altri più espliciti (pensiamo ai ritmi
di danza modellati sullo stile delle alessandrine)32, della musica paganiniana nei confronti
del mondo musicale popolare. Ma un simile lavoro di analisi può essere applicato al
melodramma e ad altri compositori raggiungendo lo stesso risultato. Il processo creativo di
un prodotto musicale per l’haute culture è complesso e articolato: il tempo che accompagna
la realizzazione di un’opera, particolarmente nel periodo in esame (1790-1830), è ricco
di interferenze, reinterpretazioni, riprese più o meno leggere di elementi anche semplici,
trasformati dal punto di vista artistico e funzionale. Quando Mauro Balma richiama, ad
esempio, «il triangolo del Rondò galante del Quarto Concerto in re minore» attribuendo
il suo ricorso a un autonomo «atteggiamento allegramente trasgressivo» di Paganini, non
dobbiamo dimenticare che il triangolo era, all’inizio dell’Ottocento, uno degli strumenti
che si ascoltava più frequentemente per le strade delle città, suonato da ogni sorta di
vagabondi e mendicanti, «deformi nel loro corpo, e schiffosi e puzzolenti nel loro abito»,
come si legge nei rapporti della polizia33.
Al di là dell’esercizio, pur fondamentale, di ricercare corrispondenze fra temi e stilemi
applicati nelle campagne come nei salotti e nei teatri, è importante tentare di comprendere
questo contesto dialogico. Una prima risposta può arrivare dalla struttura socio-economica
del nostro paese che, negli anni considerati (1790-1830), appare sostanzialmente immobile,
interessata da una transizione piuttosto lenta. I pochi e non sempre affidabili dati a nostra
disposizione indicano, per il ventennio compreso fra il 1791 e il 1811, una crescita
demografica annuale molto bassa, attestata attorno al 2,2 per mille34. Seguendo poi un
campione rilevato nella provincia di Ravenna, ma facilmente estensibile al resto d’Italia, si
può precisare questa immobilità anche dal punto di vista dell’articolazione professionale:
il 51% dei maschi morti fra i 16 e i 60 anni apparteneva alla classe degli agricoltori e
il 7% era bracciante; tutte le altre categorie sociali — muratori, impiegati, soldati, sarti,
domestici, possidenti, artisti ecc. — si attestavano attorno all’1-2%. Molto alto era il grado
di analfabetismo, il che alimentava una cultura di tipo orale: a Piacenza, all’inizio del secolo

31
. Paganini divo e comunicatore: Atti del Convegno Internazionale, Genova, 3-5 dicembre 2004, a cura di
Maria Rosa Moretti, Anna Sorrento, Stefano Termanini ed Enrico Volpato, Genova, SerEl International
Eeditrice.com, 2007, pp. 227-254.
32
. Sei sono le alessandrine inserite da Paganini nei suoi Divertimenti Carnevaleschi.
33
. La diffusione fra i vagabondi del triangolo è, ovviamente, determinata dalla facilità nell’uso dello stru-
mento che serviva semplicemente a sollecitare l’elemosina. Per la lettura di alcuni casi specifici si rimanda a:
Ghidoli, Paola. ‘«Suonatori d’inconcludenti strumenti». Musicanti girovaghi e spettacoli in piazza a Milano
nelle carte di polizia dell’Archivio di Stato, 1815-1840’, in: Milano e il suo territorio, a cura di Franco Della
Peruta, Roberto Leydi e Angelo Stella, Milano, Silvana Editoriale, 1985 (Mondo Popolare in Lombardia,
13), vol. ii, pp. 805-862: 813, 838.
34
. L’Ottocento economico italiano, a cura di Sergio Zaninelli, Bologna, Monduzzi, 1993, p. 87. La popo-
lazione della penisola era di circa 18 milioni di persone.

9
Antonio Carlini

xix, solo il 2% degli addetti all’agricoltura era in grado di firmare un documento, contro
il 22% degli artigiani35. Il dato può anche giustificare la prevalente origine artigiana dei
musicisti di professione.
All’interno di questa netta predominanza di un’economia di tipo agricolo, l’età
napoleonica avviava un sensibile ridimensionamento delle grandi proprietà terriere, tolte
alla nobiltà feudale e alla chiesa per essere affidate, almeno in parte, alla nuova classe
borghese. In realtà, grazie a questo processo di riconfigurazione del paesaggio agrario,
soprattutto nelle regioni del nord e centro-Italia veniva a formarsi un’unica, nuova classe
di possidenti che nelle sue frange estreme era parimenti collegata con il ceto contadino
e l’antica nobiltà feudale. Ecco dunque ricomparire il concetto di contiguità fra i ceti,
confermato anche nelle strutture urbane, dove ancora alto rimaneva il numero di animali
allevati, di orti, cantine, stalle, legnaie e fienili e naturale era il passaggio fra la campagna
e i quartieri abitati. Ma anche senza queste ultime osservazioni si tenga presente che
nell’Italia d’inizio Ottocento la cultura urbana era poco diffusa, a vantaggio di un sistema
municipalistico che esaltava i piccoli centri immersi con le loro frazioni nei campi e nei
boschi, mentre tutte le ville padronali nelle pianure e colline erano affiancate dalle case
dei fittavoli che potevano osservare in ogni momento i comportamenti dei signori. Si
pensi al complesso delle ville venete, vere e proprie domus estive e autunnali disseminate
fra i poderi, dei nobili veneziani, padovani, vicentini o si richiami la reggia, sempre
estiva, di «Sua Maestà la Principessa Imperiale ed Arciduchessa d’Austria Maria Luigia,
Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla»36 pure immersa in fertili terre nel borgo di Sala
Baganza (Parma).
La vita della popolazione era condizionata da un sistema di relazioni piuttosto
arretrato, vincolata da un paesaggio che non facilitava le comunicazioni. Le grandi città
erano «separate dalle altre città da vaste zone di campagna»; di conseguenza il livello di
mobilità lavorativa (di «flussi immateriali e materiali») intercomunale era praticamente
inesistente. L’Italia d’inizio Ottocento è il risultato mentale di un «assemblaggio di regioni
profondamente diverse», non solo divise nelle classiche tre macro aree (Nord, Centro e Sud),
ma a loro volta disparate per potenzialità interne, con dinamiche di sviluppo policentrico
in Emilia, Lombardia, Veneto, Piemonte, o esclusivamente lineare in Liguria e Trentino
Alto-Adige37. In percentuale la stragrande maggioranza del territorio italiano era costituito
da campagne e piccoli villaggi, dove la vita comunitaria era scandita non solo dal calendario
religioso (con le festività natalizie e pasquali), ma soprattutto dai momenti salienti della vita
agricola e silvo-pastorale come i periodi delle raccolte, delle fienagioni, delle vendemmie e
del divertimento più antico, ovvero il carnevale. Un mondo letteralmente dominato dalla

35
. Ibidem, p. 25.
36
. Così recitava il decreto emanato da Maria Luigia sulla dizione italiana del proprio nome e titolo il
29 febbraio 1816.
37
. Boatti, Giuseppe. L’Italia dei sistemi urbani, Milano, Electa, 2008, pp. 12, 14, 16, 24.

10
L’altro violino: istinto e bisogno fra i violinisti popolari al tempo di Paganini

musica, anche se difficile da documentare. Analizzando gli spettacoli del xviii secolo in una
giurisdizione esclusivamente agricola come quella gestita dai conti Lodron in Vallagarina
(Trentino), Clemente Lunelli notava che «i mesi più frequenti per i balli» risultavano
essere «febbraio-marzo, e ottobre-dicembre», vale a dire i tempi del carnevale e delle
vendemmie38. In un processo per porto abusivo d’armi i testimoni, nell’ottobre del 1777,
dichiararono, ad esempio, di aver partecipato a un ballo dove erano presenti 13 uomini
e 10 vendemmiatrici39. Momenti importanti di ritrovo erano pure i filò nelle stalle. Nel
corso di un altro processo il calzolaio Giuseppe Spomer, nel marzo del 1767, affermava di
aver suonato «il Calissone due sere nelle stalle, o sia Filò»; con lui avevano suonato «Gian
Luca Zambon di Violino, e Niccolò Pescador di Cimbalo»40. Altra forma comunicativa
tradizionale, diffusa in tutta Italia, dove si può verificare l’uso del violino suonato ‘a mente’
(a memoria), è la matinada e la serenata notturna, manifestazioni estemporanee, pensate e
realizzate immediatamente sotto le finestre di belle ragazze e sulle strade con un numero
di suonatori assolutamente variabile, strumenti rozzi, solidi e facili da trasportare. Dopo la
visione minuziosa di archivi famigliari, notarili, amministrativi, di cronache, testamenti,
inventari e libri di chiesa riferiti alla piccola area, primariamente agricola, del Principato
Vescovile di Trento, possiamo ipotizzare la presenza, per il Settecento, di una settantina
di violinisti popolari su una popolazione di circa 230.000 abitanti41. Una percentuale dello
0,03% che, se vogliamo forzatamente estendere alla popolazione dell’Italia intera, sarebbe
destinata a guadagnare numeri non indifferenti. Suonatori che agivano d’istinto e che si
muovevano per bisogno, per integrare salari e disponibilità finanziarie misere. Istinto che
significava orecchio, memoria, improvvisazione. Questa netta predilezione per l’istinto a
sfavore di un approccio razionale la ritroviamo anche nel Paganini ‘direttore’ e ‘professore’.
Quando nel 1835, a Parma, il barone Paganini entrava nella Commissione teatrale destinata
a valutare i componenti la stessa orchestra, quale discriminante per le scelte adottava proprio
‘l’orecchio’, come possiamo leggere nella lettera indirizzata il 23 dicembre 1835 al Germi:
«Passati all’esame i vari professori di violino, ed avendoli trovati privi dell’orecchio, sono
stati esclusi dalla ducale orchestra e dal teatro sette individui»42.
Pochissime, all’inizio dell’Ottocento, erano in Italia le città capaci di esercitare una
forza attrattiva a lungo raggio nei settori dell’economia, mentre più facile era il richiamo
nel campo della formazione: l’esame delle provenienze degli studenti nelle università, per

38
. Lunelli, Clemente. ‘Processi per balli suoni e mascherate in Vallagarina nei secoli xvii e xviii’, in:
Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati, ccxl (1990), s. vi/30 (A), Rovereto, Manfrini, 1991, pp. 169-205:
179.
39
. Ibidem, p. 188.
40
. Ibidem, p. 184.
41
. Secondo la statistica del 1810 la popolazione del Trentino corrispondeva a 230.224 abitanti. Perini,
Agostino. Statistica del Trentino, 2 voll., Trento, Perini, 1852, vol. i, p. 477.
42
. Paganini, Nicolò. Epistolario, a cura di Edward Neill, Genova, Comune di Genova, 1982, pp. 191-
193: 193.

11
Antonio Carlini

esempio, di Bologna, Padova o Pavia, è in questo senso significativo. Come pure degli iscritti
nel Conservatorio di Milano43, o nei Licei di Bologna e Pesaro. Pregevole e impegnativa
fu, in questo senso, la scelta dei genitori di mandare il piccolo Nicolò Paganini a studiare
nella Scuola musicale di Parma. La maggior parte delle aree urbane erano tendenzialmente
monocentriche: persone, informazioni, denaro, merci, ecc. circolavano in massima parte
in un solo capoluogo, marcando le vicinanze sociali e culturali. L’intero sistema musicale
seguirà questo tipo di pianificazione, cercando, ogni città, l’autonomia per orchestre, cori
e maestranze nel settore delle bande, della musica sacra, della musica cameristica, del teatro,
persino dell’editoria, limitandosi a chiamare dall’esterno di volta in volta qualche solista, i
cantanti e pochi docenti per le scuole filarmoniche. Un impianto organizzativo non privo
di conseguenze per esempio nel settore della didattica della musica, con l’impossibilità
pratica di impostare un metodo unico di educazione sul modello francese, tedesco o inglese.
Di più: la mancanza di un sistema scolastico unitario fino, almeno, al 1870, impedendo
lo sviluppo di un qualsivoglia mercato sovraregionale, ha portato a un disimpegno
dell’industria editoriale verso la stampa in grandi tirature di metodi strumentali44, favorendo
quella trasmissione orale delle tecniche esecutive tipica del mondo tradizionale45. Per gran
parte dell’Ottocento si assiste quindi alla conservazione dell’insegnamento personalistico
‘a viva voce’ del maestro, che aveva bisogno di un sostegno solo minimale di un testo
scritto; una pratica, per l’Italia violinistica del Settecento, ben documentata da Marianne
Kubitschek-Rônez46. La professione di violinista poteva passare di padre in figlio, oppure
un giovane poteva apprendere lo strumento privatamente ‘a bottega’, da un maestro: così
nel mondo tradizionale47 e in quello colto48. Ma la mancanza di opere didattiche a stampa
43
. Si pensi alla vicenda di Giuseppe Verdi, respinto dal Conservatorio di Milano perché nato in una
città distante qualche chilometro di troppo da Milano e suddito del Ducato di Parma.
44
. Persino un metodo importante come quello di Francesco Pollini per pianoforte (Metodo pel clavi-
cembalo), adottato dal Conservatorio di Milano, veniva stampato da Ricordi nel 1812 perché «coperto dalle
sottoscrizioni di oltre trecento privati». Cfr. Biggi Parodi, Elena. ‘Il «Metodo pel clavicembalo» di Francesco
Pollini ossia il primo metodo pubblicato in Italia per pianoforte’, in: Nuova Rivista Musicale Italiana, xxv/1
(1991), pp. 1-29: 3.
45
. Agli ultimi decenni dell’Ottocento risale, per l’appunto, l’impegno editoriale di Ricordi, Sonzogno,
Saporetti & Cappelli, ecc. per i dilettanti, con edizioni popolari di metodi per archi e fiati a basso costo e
alte tirature.
46
. Kubitschek-Rônez, Marianne. ‘Die Entwicklung der Violintechnik in Italien von den Anfängen
bis zur Hälfte des 18. Jahrhunderts’, in: Der Einfluß der italienischen Musik in der ersten Hälfte des 18. Jahrhunderts.
Konferenzbericht der XV. Wissenschaftlichen Arbeitstagung, Blankenburg/Harz, 19. bis 21. Juni 1987, Michaelstein-
Blankenburg, Kultur- u. Forschungsstätte Michaelstein 1988, pp. 48-60: 55.
47
. Nel 1738 «Per imparare a suonare il violino da ballo venne da Riva a Rovereto certo Alessio Rubini
che entrò in servizio presso il barbiere Bartolomeo Cavalieri a condizione che questi gli facesse impartire le-
zioni di Violino». Levri, Mario. La Cappella musicale di Rovereto, Trento, Edizioni Biblioteca PP. Francescani,
1972 (Collana di pubblicazioni della Biblioteca dei PP. francescani), p. 212.
48
. Rostirolla, Giancarlo. ‘La professione di strumentista a Roma nel Sei e Settecento’, in: Studi mu-
sicali, xxiii/1 (1994), pp. 87-174.

12
L’altro violino: istinto e bisogno fra i violinisti popolari al tempo di Paganini

non significa l’assenza di simili manuali che circolavano in alto numero nella versione
manoscritta49. La struttura era estremamente sintetica: le opere, titolate variamente Principi
di musica per violino50, Regole della musica per il violino, Esercizi per violino51, si aprivano con
un riassunto delle regole principali della scrittura ritmica per passare subito alla scala. La
tecnica veniva quindi assimilata attraverso la lettura diretta di una serie progressiva di
piccole pagine compiute di musica (danze o melodie progressivamente più complicate).
Nessuna informazione era concessa all’impostazione o alle modalità concrete per superare
difficoltà di tecniche specifiche, evidentemente lasciate alla voce dell’insegnante. Possiamo
seguire una impostazione-tipo fino a oggi rimasta sconosciuta: il Particolare metodo per violino
con accompagnamento di un secondo violino del maestro Cesare Bolesini ritrovato fra le musiche
già proprietà del maestro di banda Giovanni Roggero e conservato nella Biblioteca
del Conservatorio di Brescia52. Il manoscritto risale ai primi decenni dell’Ottocento. Il
percorso didattico suggerito dall’autore — un maestro tuttora sconosciuto ai normali
dizionari — si segnala per l’originale accostamento di un secondo violino pensato non
come parte da assegnare in accompagnamento al maestro, ma a un secondo allievo di
pari capacità. Il momento teorico si riduce alle tradizionali indicazioni di valore e lettura
delle note, mentre il metodo vero e proprio è costituito da una serie di esercizi piacevoli
all’esecuzione (ballabili, studi, variazioni, brani caratteristici) ordinati progressivamente per
difficoltà tecnica. Completamente assente è l’idea dell’impostazione dell’arco a corde vuote,
la sola a permettere l’acquisizione dell’equilibrio del braccio destro sulle corde e relativa
sicurezza nell’arcata in tutte le sue possibili implicazioni ritmiche e per così dire spaziali
(metà arco, metà superiore, metà inferiore, punta, tallone, tutto arco ecc.) prima dell’avvio
dello studio delle dita. La posizione della mano sinistra sulla tastiera, in linea con la didattica
settecentesca, considera l’impianto contemporaneo e non graduale delle quattro dita, con
evidenti conseguenze negative sul corretto posizionamento e intonazione. L’unica scala
proposta nel caso del Metodo di Bolesini percorre l’intera gamma della prima posizione
(sol2-si4) per di più in Do maggiore, scala notoriamente poco agevole per un principiante
di violino. Queste erano le lacune colmate dalla viva voce e dall’esempio dell’insegnante.
La parte ‘razionale’ del Metodo considera soprattutto un consistente numero di varianti
ritmiche e dinamiche, salti, frammenti di scale, doppie corde per unisoni, ecc., mentre per
la parte più ‘istintiva’ compaiono gradevolissime melodie di stampo operistico, ma anche
esempi provenienti dalla tradizione popolare come alcune tirolesi.
49
. Per la segnalazione di alcuni esemplari destinati ai violinisti popolari si veda: Grasso, Giuliano -
Padovan, Maurizio. Vecchi balli per violino di area lombarda. Fonti scritte e tradizione popolare, Cremona, Comu-
ne di Cremona-Sistema Museale, 2002 (Quaderno del Cambonino, 1). Un quadro approfondito del mondo
colto è offerto invece da: Aversano, Luca. ‘Struttura e principi della didattica del violino nel Settecento
italiano’, in: Analecta Musicologica, xxxii (2002), pp. 267-288.
50
. Como, Biblioteca Comunale, Ms 3-1-17, inizio sec. xix.
51
. Trento, Archivio di Stato, Fondo Buffa, M 204, M 205.
52
. Brescia, Biblioteca Conservatorio ‘Luca Marenzio’, Fondo Prezioso.

13
Antonio Carlini

Abbiamo la possibilità di verificare la storia ‘di molti’, fin qui narrata, con la storia ‘di
uno’ e trovare ulteriore conferma delle dinamiche illustrate. Le Memorie del violinista ‘colto’
Nicola Petrini Zamboni (1785-1849) riassumono, infatti, compiutamente il complesso
intreccio di culture che andiamo esponendo. Nato a Cesena da padre dilettante in violino,
fu concertista ammirato, maestro concertatore per quindici anni al Teatro della Pergola di
Firenze ma pure a Parigi e altre città, compositore e autore di saggi critici; conobbe anche
Nicolò Paganini del quale fu amico e corrispondente. Nicola Petrini Zamboni comincia a
suonare il violino a cinque anni in famiglia, prendendo le prime lezioni dal padre. Dopo
aver imparato in soli tre giorni la scala, inizia subito a suonare «le Ariette stradarole di quel
tempo, e qualche Minuetto». Il suo primo, vero, insegnante (Domenico Giorgis), scrive
il nostro, «non mi faceva suonare nulla di scritto, ma m’insegnava a mente dei passi di
concerto, dei capricci, infinite scale ascendenti e discendenti, arpeggi modulanti, e cose
simili, sempre passeggiando per la camera dopo mezzanotte». Abbracciata la professione,
nel 1800 suonava nei teatri di Forlì e Ravenna, dove al termine delle recite faceva «delle
Serenate sotto le finestre» delle ragazze, suonando «con tutta la maestria ciò che si sarebbe
suonato nella più compiuta Accademia». Quando poi, in Teatro, tornava a suonare la
Sinfonia dell’Lodoïska imitando il proprio maestro, Nicola Petrini Zamboni improvvisava
sulla partitura eseguendo la parte «con gli armonici» non prescritti dall’autore53.
Il sistema di inevitabili relazioni sociali sopra descritto, permette un continuo scambio
di linguaggi e imposta una convivenza fra tradizioni che, in realtà, non vantavano differenze
sostanziali. Il mondo accademico, anche per una pur condivisibile volontà di chiarezza e
razionalità interpretativa, ha tracciato una serie di confini sensati e coerenti fra mondo
tradizionale e ambienti colti. Ma nel perseguire una immediata, presunta riconoscibilità,
ha falsato la ben più grande complessità della realtà, certamente scindibile in settori, ma
separati da confini, per usare una parola di moda, liquidi.
Quando nel 1819 Joseph Sonnleithner (1766-1835), per la Società degli Amici della
Musica dell’Impero Austriaco, avviava nei territori della monarchia una raccolta «di tutte le
melodie popolari», il podestà di Trento (lo storico e letterato conte Benedetto Giovanelli)
inviava a Vienna un fascicolo nel quale, accanto a ventuno danze tradizionali per violino
(La bella molinara, La pollacina, La bella riosa, Ballo del Gallo, La dragona etc.), poneva sei walzer
del filarmonico Cristoforo Weiss scritti per qualche giovane pianista, canzoni spirituali
cantate durante le processioni e ariette con raffinato testo in italiano da esibire in qualche
salotto54. Un comportamento dettato non da un fraintendimento delle richieste viennesi,
ma semplicemente perché tutto quel materiale era da lui, uomo acculturato, percepito
come simile, popolare appunto.

53
. Nicola Petrini Zamboni. Memorie di un violinista cesenate (1785-1849), a cura di Franco Dell’Amore,
Cesena, Comune di Cesena, 1995 (Romagna Musicale nei Secoli, 3), pp. 24, 29-30.
54
. Carlini, Antonio. Una raccolta inedita di musiche popolari nel Trentino del primo Ottocento, Bologna,
Dipartimento Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna, 1985 (Preprint Musica, 5).

14
L’altro violino: istinto e bisogno fra i violinisti popolari al tempo di Paganini

Viceversa, nel repertorio di un violinista tradizionale della Val dei Mòcheni


(Trentino), impaginato attorno al 1796 e ritrovato casualmente nella cornice di un quadro,
fra contraddanze, polesane, furlane, saltarelli e walzen, ecco spuntare un Largo «del Corel»,
vale a dire una pagina ispirata al più classico degli autori italiani, Arcangelo Corelli, qui
scritto in dialetto trentino55.
Queste due antologie, scritte di balli popolari per violino con basso56, possono essere
affiancate da un numero discreto di documenti simili più o meno antichi e comunque
riferibili ad ambienti popolari. Un lavoro di raccolta e analisi davvero ammirevole (con
la segnalazione di oltre seicento balli per violino solo) è stato compiuto recentemente
da Giuliano Grasso e Maurizio Padovan per l’area lombarda57 e potrà sicuramente essere
esteso nel resto d’Italia con altre ricerche58. Lo studio di tale materiale scritto conferma
linguisticamente gli incroci culturali e la permeabilità fra le diverse tradizioni musicali sopra
descritte e ben teorizzate da Clifford Geertz59. Ancora, a proposito di questa tesi, voglio
richiamare le affermazioni perentorie quanto autorevoli del sociologo Pierre Bourdieu:
«la musica [al contrario del teatro] rappresenta la forma più radicale e più assoluta di quel

55
. Le musiche sono ora pubblicate in: Il violino di strada. Antiche musiche da ballo del Trentino, a cura di
Antonio Carlini, Trento, Società Filarmonica di Trento, 2010 («C.M.T.», 28). Due pagine di Arcangelo
Corelli («Pasaggio de […] Arcangelo Corelli [Do]; Gavotta del Sig. Arcangelo Corelli [Fa]») sono pure inseri-
te — fra «qualche aria e un cospicuo numero di danze» (una trentina di Forlane, Minuetti, Galiarde, Paesane,
ecc.) — in un manoscritto risalente alla metà del xviii secolo. Milano, Collezione privata De Micheli, Ms.
Mus. 101 (cit. in Grasso, Giuliano – Padovan, Maurizio. Op. cit. [si veda nota 49], pp. 38, 66): dieci Mon-
ferrine sono precedute da una Sonata a violino Solo del Signor Gioseppe Tartini in un’antologia (prima metà del
xix sec.) conservata nella Biblioteca Musicale Greggiati di Ostiglia, Mss. Musiche B 4362 (ibidem, p. 51).
56
. Le parti per basso, se esistevano, sono andate perse. Non è da escludere però l’improvvisazione
diretta del suonatore al basso, considerando la semplicità e ripetitività dei giri armonici. I pochi documenti
iconografici a nostra disposizione, riferiti a esecuzioni in ambienti popolari di compagnie di violinisti con
basso, non mostrano momenti di lettura davanti a leggii o qualsivoglia foglio notato. Allo stesso modo, fino
al 1820 circa, nelle bande, la parte ritmica non veniva quasi mai scritta, ma lasciata all’improvvisazione dei
singoli strumentisti.
57
. Grasso, Giuliano - Padovan, Maurizio. Op. cit. (si veda nota 49).
58
. Possiamo, ad esempio, già richiamare la monografia riservata alla Tirolese da Zeni, Annely. Tradizioni
di danza in Trentino dal Rinascimento all’età moderna. Il caso della “Tirolese”, Trento, Comune di Trento, 2006
(Quadri e Riquadri, Quaderno 12). Altri esempi si possono leggere in: Musiche da ballo, balli da festa. Musiche,
balli e suonatori tradizionali della montagna bolognese, a cura di Stefano Cammelli, Bologna, Alfa, 1983; Dalla
Valle, Marina – Pinna, Guglielmo Natalino – Tombesi, Roberto. Strumenti, musiche e balli tradizionali nel
Veneto, Bologna, Forni, 1987; L’altro violino. Violino e violinisti popolari in cento anni di fotografia, a cura di
Giuliano Grasso e Maurizio Padovan, Cremona, Comune di Cremona, 1997; Falconi, Bernardo - Grasso,
Giuliano - Venier, Giulio. Manuale di violino popolare. Guida ai repertori violinistici del nord Italia, Milano, As-
sociazione culturale Baraban, 22001; Grasso, Giuliano - Citelli, Aurelio. La tradizione violinistica nell’oltrepo
pavese, Milano, Associazione culturale Baraban, 1993; Le vie del violino. Scritti sul violino e la danza in memoria
di Melchiade Benni (1902-1992), a cura di Placida Staro, Udine, Nota, 2002.
59
. Geertz, Clifford. ‘Gli usi della diversità’, in: Antropologia e filosofia. Frammenti di una biografia intellet-
tuale, Bologna, Il Mulino, 2001 (Collezione di testi e di studi. Antropologia), pp. 85-106: 104.

15
Antonio Carlini

disconoscimento del mondo, e soprattutto del mondo sociale, che l’ethos borghese si attende
da tutte le forme di arte»60.
Le tante mani, più o meno esperte, che ci hanno tramandato, con la scrittura,
questo patrimonio di balli hanno cercato di rispettare perfettamente le regole seguite
anche da Arcangelo Corelli e Nicolò Paganini per quanto riguarda la notazione ritmica,
armonica, espressiva e agogica61. Certo, nella semplicità assoluta delle forme (frasi sempre
simmetriche di 4 + 4 battute) chiuse in genere da un saltarello, un minuetto o da una
tresca nella stessa tonalità e stesso materiale melodico, nella prevedibilità degli andamenti
melodici realizzabili immancabilmente nella sola prima posizione, nelle scelte monocrome
delle tonalità d’impianto (Re o Sol, meno frequenti Fa e Sib) e nella predilezione della
scontata acciaccatura fra le ornamentazioni, si possono registrare alcuni passaggi modali,
quinte vuote, asimmetrie, ‘durezze’ armoniche, ma come già segnalava nel 1973 Alberto
Maria Cirese62, la percezione primaria è di essere di fronte non a un patrimonio autonomo
dotato di una precisa identità culturale, quanto piuttosto a una sopravvivenza, a un
ritardo del mondo violinistico popolare contadino rispetto a quello borghese63. Questa
sostanziale debolezza, questa lentezza nell’assimilazione dei cambiamenti (se non incapacità
di accogliere l’innovazione) — assolutamente assente invece dal mondo delle bande
guidato da un’industria di strumenti musicali, moderna, dinamica a cultura, ovviamente,
capitalistica —, determinerà l’isolamento di tali repertori e tradizioni in piccole aree
geografiche del paese, in una sorta di ‘riserve’ a loro volta proposte come ‘prodotti’ di
nicchia dall’industria del turismo e della cultura64.
Con questi presupposti teorici, senza mitizzare alcuna espressione culturale attribuendo
a questo o a quello caratteri progressivi o divergenti, possiamo comunque registrare la
dinamicità del processo culturale, la convivenza di tante piccole tradizioni assolutamente
prive di confini. Un insieme culturale governato da quella legge del movimento sintetizzata,
nel 1911, da Wassily Kandinsky nella figura simbolica della piramide, del triangolo.

60
. Bourdieu, Pierre. Op. cit. (si veda la nota 21), p. 13.
61
. Perse, purtroppo, sono le tecniche esecutive non tutte, probabilmente, riducibili a prassi colte; ma
si ricordi che la sempre richiamata posizione del violino appoggiato sul petto, come pure la lunga sopravvi-
venza di archetti convessi, si collega all’antica prassi colta del violino barocco. Per un approfondimento del
problema si veda: Rovighi, Luigi. ‘Violino popolare e violino barocco. Rapporti fra due linguaggi e due
prassi’, in: Culture musicali, ii/4 (luglio-dicembre 1983), pp. 31-55.
62
. Cirese, Alberto Mario. Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare
tradizionale, Palermo, Palumbo, 1973, p. 11.
63
. Per una trattazione dinamica e aggiornata del tema delle relazioni complesse fra culture tradizionali
e industria culturale predominante si veda: Dei, Fabio. Beethoven e le mondine. Ripensare la cultura popolare,
Roma, Meltemi, 2002 (Gli argonauti, 83).
64
. Si pensi, ad esempio, alla Valle del Caffaro (Brescia), Valle Resia (Udine), Oltrepo pavese, Val
Vigezzo (Piemonte), Val Varaita. Alcune di queste tradizioni sono descritte in Il violino tradizionale in Italia.
Atti del Convegno, Trento, 25-26 giugno 1994, a cura di Mauro Odorizzi e Maurizio Tomasi, Trento, Comune
di Trento, 1996.

16
L’altro violino: istinto e bisogno fra i violinisti popolari al tempo di Paganini

Un grande triangolo acuto diviso in sezioni disuguali, che si restringono


verso l’alto, rappresenta in modo schematico, ma preciso, la vita spirituale. In
basso, le sezioni del triangolo diventano sempre più grandi ed estese. Il triangolo
si muove lentamente, quasi impercettibilmente, verso l’alto e dove ’oggi’ c’è il
vertice, ’domani’ ci sarà la prima sezione; quello cioé che oggi è comprensibile
solo al vertice, e per il resto del triangolo è ancora un oscuro vaniloquio, domani
diventerà la vita, densa di emozioni e di significati, della seconda sezione65.

Queste teorie, applicate essenzialmente al Volkslied, al canto popolare — ma del tutto


estensibili alla musica strumentale — verranno riprese e ampliate da un folklorista piuttosto
discusso per il contributo alla formazione della cultura nazista, Hans Naumann66. Nel suo
volume Primitive Gemeinschaftskultur, stampato nel 1921, lo studioso tedesco, riprendendo
analoghe affermazioni di E. Hoffmann-Krayer, afferma decisamente che il popolo è
incapace di una qualsiasi innovazione; la sua cultura non è altro che la riproduzione di
quella borghese. È pur vero, continua Naumann, che depositario della canzone popolare è
il ceto basso di una nazione, ma la sua cultura è un qualche cosa di assorbito dall’alto e che
rimane fermo per un lungo periodo a dispetto dei cambiamenti della cultura ‘alta’67. Più
recentemente, Marcello Sorce Keller, riprendendo il tema del passaggio (ascese e discese)
dal mondo dell’oralità a quello delle scritture (e viceversa), sottolinea l’incongruenza di
definizioni che sottintendono comunque due livelli differenti (uno basso e l’altro alto)
e propone con più efficacia, per segnare un processo trasformativo (e quindi creativo),
l’utilizzo dei termini ‘oralizzazione’ (passaggio dalla musica colta a quella popolare) e
‘letterarizzazione’ (fenomeno contrario)68.
Il violino, in questo processo di prossimità e mutamenti, diventa un oggetto
emblematico, conservando, nelle stalle come nei salotti, la stessa, identica forma, accordatura
e modalità di suono: è un testimone di quella «tensione interculturale» responsabile di un
reciproco processo di continui scambi, ben individuata anche da Paolo Scarnecchia nel
saggio intitolato significativamente Musica popolare e musica colta69.
Il mondo del ballo — che nel periodo napoleonico conosce un’espansione
assolutamente inedita — finisce con l’essere l’ambiente ideale per questi processi di osmosi.

65
. Kandinskij, Wasilij. Lo spirituale nell’arte, a cura di Elena Pontiggia, Milano, Bompiani, 61996 (Saggi
tascabili, 23), p. 23.
66
. Si legga in proposito: Kaschuba, Wolfgang. Einführung in die Europäische Ethnologie, Monaco, Beck,
1999, p. 62.
67
. «Man sagt mit Recht, der Traeger der Volksdichtung sei die Unterschicht der Kulturnation, und der
Geschmack dieser Unterschicht hinke um einen großen Zeitraum hinter dem Geschmack der Oberschicht
nach». Naumann, Hans. Primitive Gemeinschaftskultur, Jena, Verlegt bei Eugen Diederichs, 1921, pp. 4-5.
68
. Sorce Keller, Marcello. ‘Echi della musica colta nella tradizione orale italiana, tedesca e statuniten-
se: alcune osservazioni’, in: Musica colta e musica popolare. Atti del Convegno promosso dalla Siae, Varazze, 8-9
giugno 1991, Roma, Siae, 1992, pp. 79-85.
69
. Scarnecchia, Paolo. Musica popolare e musica colta, Milano, Jaca Book, 2000, p. 14.

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Antonio Carlini

L’esercito, istituto di per se stesso interclassista, è il fattore trainante: le serate danzanti fra
ufficiali d’ogni nazione e aristocratici locali, diventano occasioni fondamentali di dialogo
con le terre occupate. Ma con gli ufficiali ballavano pure i soldati anche se in saloni specifici,
nelle osterie e bettole delle città, col coinvolgimento d’ogni sorta di suonatori; e ballavano
pure i nuovi ‘cittadini’, senza distinzione di classi, come possiamo leggere in molti passi
di cronache coeve come quella del modenese Antonio Rovatti: Domenica 12 febbraio
1797 «[…] Dopo la passeggiata […] parecchi cittadini e cittadine fra i suoni repubblicani
ballano a bozzolo attorno all’albero della libertà, senza distinzione, uniti ad uffiziali francesi,
cispadani, individui delle auttorità, Ebrei etc.»70.
Nulla cambiava quando protagonisti, al posto dei francesi, erano tedeschi o russi e
invece di una grande città come Modena si trattava di un piccolo paese della media Valle
del Serchio come Borgo a Mozzano:

[1799] Al Borgo l’erezione dell’albero fu preceduta da una processione


eseguita da un numero di soldati con Capitano, bandiere e tamburo con molta
gente. Fu eretto l’albero fornito di bandiere tricolori e altri trofei a norma
dell’istruzione. […] Il 18 luglio si seppe che i Tedeschi e i Russi erano entrati in
tutta la Toscana […] Anche al Borgo si fecero varie allegrie di suono di campane
e sparo di fucili […] La sera del 24 luglio 1799, provenienti da Lucca arrivarono
quaranta Tedeschi di truppa e di cavalleria […] molti andarono loro incontro fra
gli evviva e rientrarono in paese con loro; subito fu fatta una baldoria di fronte
all’osteria, con suono di violini fino a tarda notte»71.

Ho volutamente richiamato all’inizio di questo scritto alcuni elementi strutturali


della società italiana fra Sette e Ottocento perché dalla loro evoluzione dipende la vitalità
e qualità della musica popolare. La Rivoluzione francese, portando nelle piazze e nelle
strade il popolo, e forzando l’idea di Stato, finisce col modificare la sequenza delle feste nel
calendario annuale che sempre meno seguirà il ciclo della vita, preferendo quello civico,
più articolato.
È qui che si innesta il cambio degli strumenti. Se negli ultimi anni del Settecento è
possibile trovare ancora violini che accompagnano le processioni e orchestre d’archi che
si fronteggiano in piazza con complessi di fiati72, nell’Ottocento a sfilare in processione e

70
. Modena napoleonica nella cronaca di Antonio Rovatti. L’Albero della Libertà 1796-1797, a cura di Gian
Paolo Brizzi, Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, 1995, p. 166.
71
. Burlamacchi, Maurizio. ‘Passaggio di truppe e fatti guerreschi al Borgo a Mozzano - Dalla cronaca
di Antonio del Tenente Agostino Benedetti (1750-1812)’, in: Giornale storico della Lunigiana e del territorio lu-
cense, La Spezia-Lucca, Nuova serie, xxiv-xxv (gennaio-dicembre 1973-1974), pp. 166-175: 169-171.
72
. Fra i molteplici esempi possiamo richiamare un episodio successo a Lugo di Romagna il 14 luglio
1799, quando la tradizionale corsa di cavalli berberi, veniva rallegrata da «banda militare e orchestra, in Piazza,
di violini» (Manzoni, Giovanni. Spettacoli teatrali e altre manifestazioni culturali e folkloristiche in Lugo di Romagna
dal 1711 al 1920, Lugo, Walberti Editore, 1984, p. 15).

18
L’altro violino: istinto e bisogno fra i violinisti popolari al tempo di Paganini

suonare in piazza sono solo le bande. La ritualità civica — non solo le feste nazionali, ma
i carnevali organizzati dalle varie associazioni, i politeama, le birrerie, i giardini pubblici
ecc. — nega lo spazio libero al violino che viene relegato preferibilmente nelle più eleganti
sale da concerto. Per alcuni decenni, fino alla metà circa del secolo, fiati e archi cercheranno
di convivere in orchestre filarmoniche dove alcuni violini e contrabbassi annegavano fra
trombe e clarinetti, ma poi i due campi si separeranno. Il violino acquisterà forza solo
rimanendo unito agli altri archi.
Nel mondo popolare, il cambiamento fra violini (a intonazione libera) e trombe
o clarinetti (a intonazione predeterminata) fu comunque radicale, diffondendo modalità
esecutive e di apprendimento profondamente diverse. Le festività civili pretendevano
adesioni rigide al rito, con repertori fissi e modalità esecutive controllate. Se nel mondo
tradizionale un musicista arrivava al violino obbedendo semplicemente al proprio istinto,
nelle bande e orchestrine ottocentesche si poteva entrare seguendo anche solo un corso
di addestramento. Così finiva ignorata una musicalità naturale destinata a ricevere una
più profonda mortificazione con la diffusione degli strumenti meccanici, quegli organetti
a manovella che trasformando tutti in musicisti assicuravano un pur modesto obolo a
sciancati e vagabondi73. Mentre però, nel Settecento, un musicista popolare dal suo
mestiere, in genere, poteva guadagnare qualche soldo, ora la maggior parte dei suonatori
prestava il proprio tempo gratuitamente con un generoso gesto di orgoglio civico. La
nascita dei virtuosi itineranti ‘alla Paganini’ e delle orchestre filarmoniche determina la
fine dei violinisti popolari girovaghi. Fino alla metà del Settecento, ad esempio, decine di
compagnie di suonatori (pastori, boscaioli, contadini) formati da violino, viola74 (o cetra) e
basso partivano per mesi dalla Val di Fassa percorrendo l’Europa, da Verona ad Augusta e
Vienna fornendo musica a matrimoni, carnevali e osterie. In questo modo assicuravano alle
loro famiglie cospicue entrate economiche da spendere durante gli aspri inverni dolomitici75.
Il movimento dei filarmonici, dopo il 1820/1830, riduce notevolmente tali movimenti,
lasciando spazio, nel Nord d’Italia e Centro Europa, ai suonatori boemi (i Bohmischer) con

73
. Comuni, congregazioni di carità e gruppi di singoli cittadini, di fronte alla necessità di contribuire
al parziale, ma continuo, sostentamento di uomini con qualche difetto fisico (storpi, ciechi, deformi ecc.),
decidevano spesso per l’acquisto di uno strumento meccanico da affidare a un loro assistito che era così libero
di muoversi sul territorio per chiedere elemosine ai privati cittadini. È il caso, ad esempio, di un gruppo di
«benefatori» milanesi che, nel 1821, «Unirono una Soma Considerevole, per fare Acquisto d’un Organo per
suonare», da consegnare a Tomaso Casati, «Cieco privo della Propria Vista, e con una Sorela d’anni 37, im-
becile»; in questo modo il Casati poteva «acquistarsi il Sostentamento per se, e per la Sorela». Ghidoli, Paola.
Op. cit. (si veda nota 35), pp. 805-862: 808-809.
74
. La tradizione della viola in Italia, oggi, sembra completamente persa a differenza di alcuni paesi
dell’est Europa (Ungheria). Si trattava probabilmente di uno strumento a tre corde, a manico diritto, suonato
in posizione perpendicolare al pavimento e quindi con funzione di accompagnamento armonico.
75
. Cfr. Carlini, Antonio - Ghetta, Frumenzio. ‘La vita musicale in Val di Fassa attraverso i documen-
ti, in Musica e canto popolare in Val di Fassa’, in: Mondo Ladino, xix (1995), pp. 15-155.

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Antonio Carlini

violini uniti a clarinetti e bombardini e, soprattutto, alle orchestrine di stampo viennese


con i nuovi repertori fatti di walzer, polke e mazurke. Verso la fine del xix secolo, come
riflesso di cambiamenti sociali sempre più rapidi, si assisterà alla progressiva cancellazione
di queste tradizioni per opera di nuove forme di musiche popolari. Dapprima, a partire dal
1880 circa, saranno le orchestre mandolinistiche76 e quelle napoletane77 a imporre modelli
colti e quindi, con la guerra mondiale, la musica leggera americana.
Volendo quindi riassumere questo percorso, possiamo dire che proprio la costruzione
di una cultura borghese debole come quella italiana dopo la Rivoluzione francese è
responsabile di un avvicinamento tra musica colta e musica popolare intesa a creare un
modello indirizzato alla grande massa della popolazione e che potremmo definire, con
termine moderno, musica di consumo. Questa nuova modalità assorbiva dal contesto
popolare la semplicità dello stile e la brillantezza tecnica del virtuosismo togliendo però
a essa la sostanza istintiva e improvvisativa assorbita dall’emulazione del mondo colto nei
suoi elementi di scrittura e di superiorità intellettuale, sintomo di quello stesso desiderio
di elevazione, o, per dirla con Pierre Bourdieu, dell’«habitus» (ovvero, ‘percezione’,
‘valutazione’ e ‘classificazione’) sociale, tipico del popolo ottocentesco.

76
. Pur definibili come ‘gruppi popolari’ i mandolinisti erano strutturati secondo il modello del classico
quartetto d’archi (due voci cantanti, una intermedia e un basso) o secondo lo schema dell’orchestra, con archi
e percussioni. In ogni caso suonavano con la parte sul leggio.
77
. A differenza dei gruppi mandolinistici, le orchestrine napoletane, che troveranno vasto impiego nella
nascente industria turistica alberghiera sia marittima che alpina, non avranno un carattere dilettantistico e
volontaristico, ma professionistico e comunque indirizzato a un guadagno immediato.

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