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GIOVANNI BATTISTA GERVASIO

E MANUELE B ARBELLA
GIOACCHINO CÒCCHI
I manoscritti per mandolino
della collezione Gimo

I solisti dell’ensemble
G ALANTERIE A PLETTRI
T ACTUS
Termine latino con il quale, in epoca rinascimentale, si indicava quella che oggi è detta «battuta».
The Renaissance Latin term for what is now called a measure.

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℗ 2022
Tactus s.a.s. di Gian Enzo Rossi & C.
www.tactus.it
In copertina / Cover:
Michele Foschini (1715-1793),
Carlo di Borbone e Maria Amalia ad un concertino sulla spiaggia di Posillipo, ca 1745.
Quarta di copertina / Back Cover: I solisti dell’ensemble Galanterie a plettri

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Questo cofanetto è stato prodotto con il contributo del Dipartimento di Scienze
dell’Educazione dell’Università di Bologna in collaborazione con l’Università di Uppsala e la
Fondazione Pietà de’ Turchini/This box set was made with the contribution of the Department of
Education Studies – University of Bologna in collaboration with the University of Uppsala and the
Fondazione Pietà de’ Turchini. Si ringraziano l’Eremo di Ronzano (Bologna) e il Maestro Roberto
Palumbo / We thank the Eremo di Ronzano (Bologna), and Maestro Roberto Palumbo.

Collana Discografica / Recording Series «Il mandolino a Napoli nel Settecento»


Scientific direction and booklet edited by Anna Rita Addessi
Artistic direction: Mauro Squillante
Recording, editing e mastering: Luca Simoncini
English translation: Michael Webb
L’editore è a disposizione degli aventi diritto
Il progetto discografico

I cd contenuti in questo cofanetto sono stati ideati e prodotti nell’ambito del progetto Il
mandolino a Napoli nel Settecento, coordinato dall’Università di Bologna con la collaborazione
dell’Università di Uppsala (Svezia) e dell’Accademia Mandolinistica Napoletana
(www.mandolinonapoli700.com). Uno degli obiettivi del progetto è quello della registrazione
con strumenti storici originali delle 19 composizioni per mandolino di musicisti campani della
seconda metà del Settecento, i cui manoscritti sono raccolti nella collezione Gimo e conservati
nelle Biblioteca «Carolina Rediviva» dell’Università di Uppsala. In questo cofanetto sono
contenuti due cd con le sonate, i duetti e i trii. In un altro Cd di prossima uscita saranno raccolti
i cinque concerti. L’interpretazione è affidata ai Solisti di Galanterie a Plettri, una nuova
formazione strumentale nata nell’ambito dello stesso progetto, espressamente dedicata alla
interpretazione di musiche per mandolino napoletano del Settecento.
Questo cofanetto nasce grazie alla fruttuosa collaborazione tra l’Università di Bologna e il
Museo di San Colombano – Collezione Tagliavini di Bologna, che ha ospitato la maggior parte
delle registrazioni mettendo a disposizione i preziosi strumenti della collezione. Desideriamo
ricordare il Maestro Luigi Tagliavini e il Maestro Liuwe Tamminga per la loro preziosa
disponibilità e alla loro memoria dedicare questo cofanetto.

Anna Rita Addessi, Lars Berglund, Mauro Squillante

Note sul mandolino napoletano

Sebbene i mandolini siano stati costruiti e suonati in Italia dal XVI secolo, il tipo più popolare –
il mandolino napoletano – era sconosciuto prima degli anni ‘40 del XVIII secolo. Questo nuovo
strumento (probabilmente creato dai liutai della famiglia Vinaccia) differiva dai precedenti
mandolini essendo accordato come un violino, con quattro paia di corde di ottone e budello
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che producevano un suono luminoso e penetrante quando pizzicato con una penna e con una
tavola armonica piegata o ‘inclinata’ che permetteva di montare le corde con una tensione più
alta e un suono più forte. Poiché la sua accordatura era familiare ai violinisti (che già
conoscevano la diteggiatura della mano sinistra), questo nuovo mandolino divenne
rapidamente popolare nell’Italia meridionale tra i musicisti professionisti e di strada; nel 1760,
stava iniziando a diventare di moda in tutta Europa, poiché i musicisti napoletani viaggiavano
tra Parigi, Lione, Londra e altre grandi città, dove hanno rapidamente iniziato a diffondere il
nuovo strumento. Inoltre, poiché questo nuovo strumento napoletano produceva un suono di
volume maggiore rispetto ai precedenti tipi di mandolino, esso si inserì anche nel teatro
d’opera, diventando una caratteristica dell’opera del tardo Settecento.
A Parigi, il signor Leoni (Leoné) di Napoli divenne un mandolinista importante nel corso
degli anni ‘60, esibendosi molte volte al Concert Spirituel, pubblicando diversi volumi della
propria musica (incluso un metodo per mandolino nel 1768) e insegnando lo strumento ai
ricchi amatori. Sempre a Parig furono pubblicati anche i metodi di Giovanni Battista Gervasio
(1767), Pietro Denis (1768-73), Giovanni Fouchetti (1771) e Michel Corrette (1772). Questi metodi
parigini formano nel loro insieme la base della moderna conoscenza di come il mandolino
napoletano fosse costruito, accordato e suonato nel XVIII secolo. È da questi volumi che
apprendiamo che i mandolinisti usavano sul loro strumento una combinazione di corde per
violino e per clavicembalo, che i loro plettri erano ricavati da una piuma di struzzo o di corvo,
e che la tecnica del tremolo (una successione di colpi rapidi su e giù, considerata una parte
indispensabile della tecnica del mandolino italiano moderno) è stata usata con parsimonia,
come ornamento e non come un mezzo per sostenere la melodia.
Al di fuori di Napoli, Parigi era indubbiamente il centro più importante per il mandolino
napoletano in quel periodo, e lo strumento divenne di moda tra l’aristocrazia e la borghesia
francese durante gli anni 1760 e 1770. Tuttavia, i virtuosi italiani come Leoné e Giovanni Battista
Gervasio (il quale si autoproclamò «Maestro di mandolino presso le loro altezze reali figlie del
re di Francia») insegnarono e suonarono anche in Inghilterra, così come fecero molti altri
mandolinisti che vivevano a Parigi, tra cui Giacomo Merchi e Antoine Riggieri (il quale si
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autoproclamò «primo maestro di mandolino in Europa»). Tutti questi mandolinisti hanno
composto per il proprio strumento, pubblicando molti volumi di musiche originali, per lo più
duetti e sonate.
Durante il XVIII secolo sono stati pubblicati più di un centinaio di volumi di musiche per
mandolino (solitamente indicanti sul frontespizio «per violino o mandolino» per favorirne la
vendita), ma un repertorio ancora più ampio sopravvive sotto forma di manoscritti. Diverse
collezioni manoscritte sono presenti nelle biblioteche in Europa, le più importanti sono quelle
conservate a Parigi, Vienna, Praga e Milano. Queste collezioni contengono principalmente
musiche per mandolino di compositori italiani e ci danno una buona idea del repertorio che si
suonava a Napoli e in altre importanti città italiane durante la seconda metà del XVIII secolo.
Questo è particolarmente vero per la collezione Gimo che (come leggerete nelle prossime
note) contiene una grande quantità di musica per mandolino composta e copiata (a mano) a
Napoli. Ed è la parte migliore di questa musica che viene celebrata in questi cd.

Paul Sparks

Il Mandolino ‘napoletano’ di nuova invenzione

Nel passaggio dalle meraviglie musicali del Barocco allo sviluppo del Rococò, dapprima a
Roma e poi a Napoli, assistiamo a un cambiamento dell’estetica del suono contraddistinto
dall’introduzione di strumenti a corde pizzicate dotati di corde metalliche. Questo profondo
mutamento, che richiese nuove tecniche costruttive quali la piegatura della tavola armonica e
l’adozione di un ponte mobile, interessò dapprima soltanto le chitarre a 5 ordini (chiamate
chitarre ‘battute’ o ‘battenti’ e diffuse in ambito romano verosimilmente già intorno al 1700) e
i ‘liuti a penna’ a 8 ordini (come nel caso dell’esemplare di Gaspar Ferrari, datato 1731,
conservato a Roma presso il Museo degli strumenti musicali dell’Accademia di Santa Cecilia)
e in seguito anche i mandolini.
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Mentre il vecchio mandolino ‘barocco’, suonato con i polpastrelli e accordato per quarte,
continuò a essere utilizzato specie in Italia settentrionale, venne affermandosi un nuovo tipo di
mandolino accordato come il violino, armato di corde metalliche (dopo un periodo di
transizione con cantino in budello) passanti su un ponte mobile e suonato con un plettro
ricavato da una penna di uccello. Sebbene i più antichi esemplari a noi pervenuti siano stati
costruiti nei primissimi anni della quinta decade del Settecento, il più antico mandolino
napoletano finora pervenutoci è un mandolino di Antonio Galeota, Napoli 1751 (Collezione
privata). Risale probabilmente agli stessi anni un esemplare romano di Gaspar Ferrari, privo di
data, conservato presso il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma), possiamo
affermare, con prudente cautela, che le origini di questo nuovo mandolino a 4 ordini risalgano
verosimilmente alla quarta decade del XVIII secolo. Il pragmatismo dei liutai romani e
napoletani fece sì che il nuovo mandolino fosse realizzato attraverso una sorta di mescolanza
di tecniche e caratteristiche costruttive, preesistenti in altri strumenti. Non si può, infatti,
negare che la sua forma non sia altro che l’amalgama di precedenti idee: la forma del guscio e
l’estensione musicale del mandolino barocco, la paletta di una chitarra munita di piroli sagittali
inseriti posteriormente, la tavola armonica piegata e il sistema di ancoraggio delle corde con
pioli inseriti nello zocchetto inferiore, propri della chitarra battente e del liuto a penna.
Ma volgiamo ora lo sguardo, più nel dettaglio, alle caratteristiche e tecniche costruttive di
questo nuovo mandolino. Lo strumento è caratterizzato dal piano armonico piegato,
generalmente in corrispondenza del punto di massima larghezza della tavola appena più in
basso del ponte, e da tasti metallici fissi, in sostituzione dei vecchi legacci in budello; la tastiera
è invece più stretta di quella dei mandolini barocchi ma più larga di quella in seguito adottata
dagli stessi costruttori romani e napoletani. I più antichi esemplari pervenutici sono
caratterizzati da un guscio poco profondo, non molto diverso da quello degli strumenti
barocchi con ponte incollato alla tavola ma formato da un maggior numero di doghe, spesso
scanalate; sulla tavola armonica è presente un battipenna in tartaruga o legno, incassato nel
piano armonico per proteggerlo dai graffi causati del plettro.

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Nell’epoca d’oro del grande Settecento dei Borbone Farnese e del regno di Napoli, gli
strumenti costruiti nella quinta decade del Settecento da Gennaro Vinaccia (capostipite di
questa dinastia di liutai) meglio rappresentano l’archetipo del mandolino ‘napoletano’ dal
punto di vista delle proporzioni scelte per la sua costruzione. Il dato più rilevante riguarda il
profondo cambiamento che interessò le controfasce, perché a causa della piegatura della tavola
armonica, su entrambi i lati, la prima doga dovette essere molto più alta rispetto a quelle usate
nei mandolini barocchi. Di conseguenza la controfascia divenne anch’essa molto più alta, così
estesa da formare una vera e propria calotta, in particolare a partire dalla sesta e settima decade
del secolo. Mentre, inizialmente, per la larghezza della tastiera alcuni costruttori napoletani
adottarono misure pressoché identiche a quelle dei liutai romani, i Vinaccia – che furono
formidabili innovatori – già dalla quinta decade del secolo restrinsero la tastiera, allargarono la
tavola armonica, collocarono il ponte più in alto e accrebbero la profondità del guscio.
Una costante di questi mandolini è di essere caratterizzati da estese decorazioni floreali in
madreperla e tartaruga che dialogano perfettamente con la geometria dello strumento e col
gusto rococò dell’epoca. Già pochi anni dopo l’introduzione del nuovo mandolino a Napoli,
molti dei primi maestri e virtuosi, tra i quali Carlo Sodi e Giovanni Cifolelli, emigrarono
cercando fortuna in Francia. Qui, fra il 1749 e il 1789, il nuovo mandolino si affermò piuttosto
rapidamente, in particolare a Lione e Parigi dove furono pubblicati i primi metodi (G.B.
Gervasio, 1767; Pietro Denis, 1768; Leoné, 1768; Giovanni Fouchetti, 1771 ca.).
Nel primo capitolo del suo metodo Fouchetti descrive sommariamente lo strumento e la sua
accordatura per quinte, affermando che il Mandoline à quatre Cordes ha 10 tasti incollati sulla
tastiera – secondo Gervasio generalmente in ottone (Gervasio, Méthode, 1767, p. 2) – e altri (in
ebano o avorio) aggiunti sulla tavola armonica «qui servent lorsqu’on veut démancher» [che
servono quando si vuole cambiare posizione] (Fouchetti, Méthode, 1771, p. 3). Proprio grazie
all’aggiunta di questi tasti in legno incollati sul piano armonico fino al foro di risonanza,
l’estensione del mandolino napoletano settecentesco poté accrescere da Sol3-Re5, fino a
raggiungere circa 3 ottave. Lo strumento rappresentato nel disegno presente nel noto metodo
di Leoné (Fig. 1) mostra complessivamente 16 tasti (fino al Sol diesis), di cui 10 sulla tastiera e 6
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sul piano armonico, mentre quello descritto da Denis soltanto 14, raggiungendo il Fa diesis. Il
mandoline raffigurato nel Nouvelle méthode de mandoline di Michel Corrette (1772) ha invece
soltanto 9 tasti sulla tastiera e 6 incollati sulla tavola armonica. A Parigi fu pubblicato nel 1754
(Journal du Citoyen p. 175) uno dei più antichi documenti nei quali è menzionato il nuovo
mandolino, e in esso i fratelli Giacomo e Giuseppe Bernardo Merchi e Carlo Sodi sono
annoverati fra i maestri di «Luth, Theorbes, Gallissoncini & Mandoline» (cfr. P. Sparks, The
emergence of the six-course guitar, p. 201, in J. Tyler & P. Sparks, The Guitar and its Music fron the
Renaissance to the Classical Era, 2002).
Davide Rebuffa

La collezione Gimo

La collezione Gimo della Biblioteca dell’Università di Uppsala prende il nome dalla ferriera di
Gimo, situata a 50 km a nord di Uppsala, in Svezia. I manoscritti musicali della collezione
appartenevano alla biblioteca della villa di Gimo del XVIII secolo. Nel 1951 la collezione fu
donata all’Università di Uppsala dopo che la proprietà era stata venduta negli anni ‘30. I
manoscritti appartenevano in origine a Jean Lefebure, il cui padre costruì la villa nel 1760. I
Lefebure erano una famiglia ugonotta francese emigrata in Svezia nel xvii secolo. Jean
Lefebure acquistò i manoscritti in Italia nel 1762, durante il suo Grand Tour attraverso l’Europa,
insieme con il giovane astronomo Bengt Ferrner, il quale ha descritto il viaggio nel suo diario.
Da questo diario è evidente che la partecipazione a concerti e spettacoli teatrali ha
rappresentato una parte essenziale del viaggio.
La collezione comprende 360 manoscritti e include un catalogo tematico originale. La
maggior parte della collezione fu acquistata a Napoli. Poiché alcuni copisti ricorrono in molti
dei manoscritti, possiamo supporre che la maggior parte di essi sia stata acquistata in un unico
pacchetto. Gran parte della collezione consiste in musica da camera – circa 140 trii e sonate, di
compositori quali Carlo Antonio Campioni, Baldassare Galuppi e Francesco Zanetti. Sono
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presenti circa cinquanta sinfonie e ottanta arie d’opera, per la maggior parte composte da
compositori napoletani. Il repertorio di musica da camera è quello tipico delle biblioteche dei
ricchi signori di quel tempo. Tale musica potrebbe essere facilmente eseguita da abili musicisti
dilettanti in ambiente familiare e tra amici. Invece è possibile ipotizzare che i manoscritti delle
opere siano stati acquistati come souvenir piuttosto che come musiche da eseguire.
Oltre a queste due sezioni, la collezione comprende anche un piccolo gruppo di manoscritti
con musiche per il ‘mandolino napoletano’: 25 manoscritti, che presentano 19 composizioni per
quello strumento nuovo e alla moda. Sono presenti alcuni dei più famosi virtuosi del
mandolino: Giovanni Battista Gervasio con sette opere e Emanuele Barbella con cinque. Anche
in questo caso la maggior parte sono pezzi da camera; la raccolta però contiene anche cinque
concerti per mandolino napoletano e archi.
È interessante notare che uno dei manoscritti (ms. Gimo 145) presenta una dedica a Jean
Lefebure di Giovanni Battista Gervasio. In essa si legge: «Composta per divertimento del
Ecce:mo Sig.r Cavalier Lefebure» (Fig. 2). Un dettaglio intrigante è che dalla scrittura e dal
colore dell’inchiostro appare evidente che il nome di Lefebure è stato inserito dopo.
Probabilmente, quindi, il manoscritto è stato preparato in anticipo e la dedica è stata decisa
solo in seguito. La vendita di manoscritti musicali a turisti stranieri era un’attività lucrosa a
Napoli in quel periodo e Lefebure è stato solo uno tra i tanti viaggiatori che comprarono la
musica in questo modo, sia come souvenir sia per uso pratico. Tuttavia, la dedica suggerisce che
Lefebure possa essere stato in contatto diretto con Gervasio a Napoli. Benché non ci siano
prove, si può verosimilmente supporre che Lefebure abbia potuto comprare un mandolino e
preso lezioni da Gervasio, o da un altro musicista della città. D’altro canto, ill mandolino
napoletano era molto in voga in Europa all’epoca, ed era molto comune che i turisti
prendessero lezioni di strumento da un maestro durante i loro soggiorni in Francia e in Italia.
Jean Lefebure non è stato l’unico ad acquistare e a portare a casa spartiti musicali durante il
suo viaggio: l’aspetto interessante in questo caso è che la collezione è unica poiché è stata ben
conservata. Dopo il ritorno di Lefebure in Svezia, infatti, la collezione finì nella biblioteca della
villa di Gimo e vi rimase dimenticata per quasi 200 anni. In maniera fortuita, quindi, i
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manoscritti per mandolino napoletano conservati nella collezione di Lefebure sembrano essere
tra i più antichi tutt’oggi conosciuti.
Lars Berglund

Il repertorio e i compositori

I manoscritti per mandolino di tipo napoletano della collezione Gimo rappresentano un


esempio brillante dello stile galante e della Scuola Napoletana del XVIII secolo. Un repertorio
squisitamente urbano e galante, composto per essere suonato anche da amatori, per
‘conversazioni tra amici’ nelle mura domestiche o per il solo piacere personale. Un repertorio
diffuso, eseguito e ascoltato nelle maggiori capitali Europee dell’epoca, in un’Europa ricca di
scambi e illuminata da un’aristocrazia e dalla nascente ricca borghesia artistica e
imprenditoriale. Queste composizioni presentano i caratteri dello ‘stile moderno’ in voga nella
seconda metà del Settecento a Napoli: melodie in stile cantabile e abbellite nella varietà
ritmica; raggruppamenti periodici del fraseggio; forma in due archi di esposizione-
ricapitolazione, che muovono dalla tonica alla dominante, o dalla tonica minore alla relativa
maggiore; tessitura leggera che abbandona il contrappunto a favore di una linearità armonica,
tonale e melodica; ricorrenza di formule cadenzali, spesso ripetute con effetti retorici e teatrali;
uso del basso albertino e di successioni di arpeggi, accordi e scale che esaltano la tonalità come
principio organizzativo del suono; una grande creatività e libertà d’invenzione, aperta ad un
virtuosismo misurato e ‘naturale’.
L’estetica è quella del sampling (D. Heartz, Music in European Capitals: The Galant Style, 2003):
un caleidoscopio di citazioni, allusioni, memorie musicali che arrivano da diversi stili, vocali e
strumentali, di danze e di sonate, antichi e moderni, colti e popolari, che diventano gli
‘argomenti’ stessi delle conversazioni musicali (K. Agawy, Playing with the Signs, 1991). Vedi per
esempio lo ‘stile antico’ del contrappunto e della polifonia in Barbella; il ritmo di tarantella con
l’indicazione ‘Alla Prussiana’ nel trio Gimo 150; lo ‘stile vocale’ nelle melodie di molti tempi
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lenti, per esempio in Gimo 142, 144 e 149; gli stili di danza (minuetti, gavotte); la ‘marcia’ e la
‘fanfara’ con gli arpeggi nel primo movimento della Sonata Gimo 144; i ‘pittorialismi musicali’,
come i rombi del tuono, i tumulti del mare o il fruscio del vento, evocati nelle veloci scale
ascendenti e discendenti dell’inizio dell’Allegro spiritoso assai della Sinfonia Gimo 149. Una
successione di differenti ‘affetti’ che cambiano repentinamente dopo alcune battute, quasi a
voler rappresentare le infinite sfumature e trasformazioni degli affetti umani, fino ad anticipare
quello stile ‘sentimentale’ (Empfindsamer stil) che verrà di lì a poco d’oltralpe (vedi per esempio
il Duetto a due mandolini Gimo 13, e il secondo movimento della Sonata Gimo 144). Ma la cornice
è qui indiscutibilmente quella della musica napoletana. Ed è a questa storia che i manoscritti
per mandolino della collezione Gimo appartengono, aprendo una finestra luminosa sul
repertorio strumentale napoletano della seconda metà del XVIII secolo.
A Giovanni Battista Gervasio (c.1725-c.1785), virtuoso mandolinista e didatta napoletano, è
dedicato il CD1, che raccoglie tre sonate per mandolino e basso, un duetto per mandolini, e due
trii per mandolini e basso. Ciò che caratterizza queste composizioni, oltre agli aspetti messi
prima in evidenza, è una scrittura che si nutre e allo stesso tempo esalta le potenzialità
espressive, idiomatiche e organologiche del nuovo mandolino di tipo napoletano, di cui
Gervasio fu uno dei massimi virtuosi, viaggiando nelle maggiori capitali europee dell’epoca e
dando inizio alle grandi scuole mandolinistiche del Settecento: è suo il Méthode très facile pour
apprendre à jouer de la Mandoline à quatre Cordes, pubblicato a Parigi nel 1767.
Il CD2 contiene quattro duetti per mandolini e un trio per mandolini e basso di Emanuele
Barbella (Napoli, 14 aprile 1718 – 1 gennaio 1977). Compositore, violinista e insegnante, Barbella
iniziò lo studio del violino con suo padre, Francesco, e composizione con lo zio Michele
Caballone. Studiò violino e composizione al Conservatorio di Santa Maria di Loreto, fu allievo
di Leonardo Leo e Giovanni Battista Martini e fece parte della Reale Cappella e dell’Orchestra
del Teatro San Carlo. Fu amico e informatore del musicologo inglese Charles Burney durante
la visita di quest’ultimo a Napoli nel 1770. Le sue composizioni per mandolino mostrano l’uso
sapiente di una scrittura musicale colta e moderna allo stesso tempo, ricca di sfumature
emotive e galanti, di dettagli ritmico-melodici che si muovono fluidamente ancorati in una
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struttura armonica tonalmente solida e di sorprese uditive rivolte all’ascoltatore del suo tempo
ma che ancora oggi colgono delicatamente il nostro orecchio, come, per esempio, il finale a
sorpresa con l’accordo maggiore nella Gavotta in Gimo 13. Barbella riesce a coniugare lo stile
compositivo appreso nei conservatori napoletani con le tecniche e il suono pizzicato del nuovo
mandolino, creando una scrittura mandolinistica originale, dalle sonorità armoniche e
timbriche probabilmente mai udite fino ad allora.
Infine, il CD2 raccoglie due trii, uno di Anonimo e l’altro di Gioacchino Còcchi (Venezia o
Napoli, c.1715/1720-Venezia 1804?), compositore che ebbe la sua formazione musicale a Napoli,
probabilmente nel conservatorio S. Maria di Loreto, conosciuto soprattutto come compositore
di opere buffe, sia in Italia sia all’estero, in particolare a Londra.
Anna Rita Addessi

Sull’interpretazione

La questione di una corretta interpretazione della musica tardo settecentesca di stile galante
richiede una serie di riflessioni che tengano conto non solo del contesto musicale ma anche di
quello culturale dell’epoca. Musicalmente non si può non tener conto dei cardini della
costruzione del discorso musicale in epoca preromantica, costituiti da retorica, contrappunto
e basso continuo; quest’ultimo risulta centrale in una musica che non contempla una
cantabilità prominente, essendo le linee dello strumento melodico composte prevalentemente
da una serie di scale e arpeggi. Ciò che rende quindi espressiva l’esecuzione musicale è
piuttosto la dialettica della concatenazione degli accordi, il colore che ogni modulazione o
accordo conferisce al flusso delle note, in una sequenza di macchie sonore nitide, in cui la
sorpresa è fornita dal repentino cambio di contesto. Molte indicazioni vengono proprio dalla
linea di basso, nella quale le frequenti deroghe alle regole del contrappunto servono proprio ad
attirare l’attenzione sulle dinamiche desiderate dal compositore, espresse da ogni determinato
rivolto di accordo, secondo una serie di convenzioni che all’epoca risultano grandemente
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condivise e rendevano le scelte
musicali semplici e spontanee.
La semplicità e la spontaneità
sono, infatti, i riferimenti estetici
della musica galante, criteri che
abbiamo cercato di applicare
anche nell’elaborazione delle
diminuzioni, che abbiamo
voluto sembrassero davvero
pensate al momento. La retorica
musicale poi aiuta a districarsi
nelle problematiche inerenti ai
fraseggi, affrontate e risolte
attraverso le giuste diteggiature
e scelte di pennate, decise di
volta in volta senza tener conto
di automatismi, che sempre
aiutano l’esecutore e quasi mai
la musica.
Importante è poi l’utilizzo di
strumenti d’epoca, di plettri
costruiti secondo le indicazioni
dei trattati coevi e di corde quali
quelle che sono state ricercate e
realizzate da Mimmo Peruffo di
Aquila Corde. In tal modo il
suono pilota l’esecutore
Fig. 1 nell’espressione dei giusti colori,
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molto presumibilmente prossimi alle sonorità di allora. Anche l’approccio tecnico al
mandolino viene guidato da uno strumento il più possibile vicino all’assetto originario, le mani
si muovono con un peso e con le angolazioni del plettro giuste, in modo da favorire la piena
risonanza della cassa e del piano armonico; anzi, nonostante gli spessori, il tiraggio delle corde
e le dimensioni dello strumento siano state all’epoca molto inferiori rispetto ai parametri del
mandolino moderno, possiamo dire che non si verifica perdita di volume e anche la produzione
di armonici risulta ricca e piena.
Mauro Squillante

Fig. 2

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The recording project

The CDs contained in this box have been designed and produced as part of the project The
Mandolin in Naples in the eighteenth century, coordinated by the University of Bologna in
collaboration with the University of Uppsala (Sweden) and the Neapolitan Mandolin Academy
(www.mandolinonapoli700.com). One of the objectives of the project is that of recording with
original historical instruments the 19 compositions for Neapolitan mandolin of the 18th century,
whose manuscripts are collected in the Gimo Collection and kept in the ‘Carolina Rediviva’
Library of the University of Uppsala. The two CDs of this box contain the works of Giovanni
Battista Gervasio (CD1), and Emanuele Barbella, Gioacchino Còcchi and an anonymous (CD2).
The third CD (in production) will collect the concertos for mandolin. The manuscriots are
executed by the Soloists of Galanterie a Plettri, a new instrumental ensemble born as part of the
research project, expressly dedicated to the historically informed interpretation of music of
eighteenth-century Neapolitan mandolin.
This box set was born thanks to the fruitful collaboration between the Department of
Education Sciences of the University of Bologna and the Museo San Colombano – Collezione
Tagliavini, which has hosted most of the recordings by making available the precious
instruments of the collection. We would like to thank Maestro Luigi Tagliavini and Maestro
Liuwe Tamminga for their precious availability and collaboration and dedicate this box to their
memory.
Anna Rita Addessi, Lars Berglund, Mauro Squillante

Notes about the Neapolitan mandolin

Although mandolins have been built and played in Italy since the sixteenth century, the most
popular type – the Neapolitan mandolin – was unknown before the 1740s. This new instrument
(probably created by luthiers from the Vinaccia family) differed from earlier mandolins by being
tuned like a violin, with four pairs of brass and gut strings that produced a bright and

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penetrating tone when plucked with a quill, and a bent or ‘canted’ soundboard that allowed for
louder, higher tension strings to be fitted. Because its tuning could be instantly understood by
violinists (who were already familiar with its left hand fingering), this new mandolin quickly
became popular in southern Italy among professional performers and street musicians alike; and
by 1760, it was starting to become fashionable in Europe, as Neapolitan musicians travelled to
Paris, Lyon, London, and other major cities, where they quickly began to disseminate the new
instrument. Moreover, because it produced a greater volume of sound than earlier types of
mandolin, this new Neapolitan instrument also found its way into the opera house, where it
became a regular feature in late eighteenth-century opera.
In Paris, Signor Leoni (Leoné) of Naples became a significant mandolinist during the 1760s,
performing many times at the Concert Spirituel, publishing several volumes of his own music
(including a method book in 1768), and teaching the instrument to wealthy amateurs. Mandolin
methods were also published there by Giovanni Battista Gervasio (1767), Pietro Denis (1768-73),
Giovanni Fouchetti (1771), and Michel Corrette (1772), these Parisian tuition books collectively
forming the bedrock of our modern understanding of how the Neapolitan mandolin was
strung, tuned, and played in the eighteenth century. From them, we learn that players used a
mixture of violin and harpsichord strings on their instrument, that their quills were fashioned
from an ostrich or raven feather, and that tremolo technique (a succession of rapid up and down
strokes, nowadays considered an indispensable part of Italian mandolin technique) was used
sparingly as an ornament, not as a continuous means of sustaining a melody.
Outside of Naples, Paris was undoubtedly the most important centre for the mandolin at this
time, with the instrument becoming fashionable amongst the French aristocracy and middle
classes during the 1760s and 1770s. However, Italian virtuosos such as Leoné, and Gervasio (who
advertised himself as “Master of the Mandoline to their Royal Highnesses the Daughters of the
King of France”) also taught and performed widely in England, as did several other Paris-based
mandolinists, including Giacomo Merchi and Antoine Riggieri (who promoted himself as “first
professor of the mandolino in Europe”). All of these mandolinists composed for their
instrument, with each publishing many volumes of original compositions, mostly duets and
sonatas.

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More than a hundred volumes of mandolin music (usually described on the title page as being
“for violin or mandolin”, to maximise potential sales) were published during the C18, but an
even larger repertoire survives in manuscript. Several large handwritten collections exist in
European libraries, the most substantial being those preserved in Paris, Vienna, Prague, and
Milan. These collections primarily feature mandolin music by Italian composers, and give us a
good idea of the repertoire than was being performed in Naples and other major Italian cities
during the second half of the eighteenth century. This is particularly true of the Gimo
Collection, which (as the following article will demonstrate) contains a large quantity of
mandolin music that was composed and copied (by hand) in Naples. It is the best of this music
that is being celebrated on this CD.
Paul Sparks

The newly invented Neapolitan mandolin

In the transition from the musical marvels of the Baroque to the development of the Rococo,
particularly in Rome and then in Naples, we witness a change in the sound aesthetics marked by
the introduction of plucked-string instruments strung with metal strings. This crucial change,
which required new construction techniques such as the adoption of a canted soundboard and
a movable bridge, was initially only applied to the 5-course guitars, called battute or battenti
(widespread in the Roman environment likely starting from around 1700) and to the 8-course
liuti a penna [plectrum lutes] (as in the case of Gaspar Ferrari’s specimen, dated 1731, preserved
at the Museo degli strumenti musicali of the Accademia di Santa Cecilia), and afterwards also to
mandolins. While the old baroque mandolino, tuned in fourths and played with fingertips,
continued to be used especially in northern Italy, a new type of violin-tuned mandolin
developed; it was strung with metal strings (after a period of transition with a top gut string)
passing on a movable bridge and played with a quill plectrum. Although the oldest surviving
Roman and Neapolitan specimens date back to the early 1750s (the oldest extant Neapolitan
mandolin is a specimen by Antonio Galeota, Naples 1751, private collection; to the same years

15
probably dates back an undated specimen by the Roman maker Gaspar Ferrari, which is housed
in Rome at the Museo Nazionale degli Strumenti Musicali), we can presume, with prudent
caution, that the origins of this new 4-course mandolin probably date back to the fourth decade
of the 18th century. It should be noted that the new mandolin was pragmatically created through
a sort of amalgam of pre-existing constructive features borrowed from other instruments, such
as the violin tuning, the body form and tessitura of the baroque mandolino, a guitar pegbox with
posterior pegs (mounted at the usual shallow angle to the neck) and the raked soundboard and
string anchorage of the chitarra battente and liuto a penna.
Let’s now examine some construction features of these new mandolins. The soundboard was
generally canted at the point of maximum width, just below the floating bridge, and fixed metal
frets inserted into the fingerboard replaced the old tied-on gut frets; the fingerboard is narrower
than that of the baroque mandolinos but much larger than those later adopted by Roman and
Neapolitan makers. The earliest surviving examples of Roman and Neapolitan mandolins of
the new type, have a longitudinal profile which is not (yet) much deeper than the preceding
baroque mandolinos, but the bowl is composed by a greater number of ribs, which were often
fluted; on the soundboard is recessed a tortoiseshell (or wooden) scratch-plate to protect it from
scratches caused by the feather plectrum.
In the 18th century golden age of the Farnese Bourbons and the Kingdom of Naples, the
instruments built in the first three decades of its existence by Gennaro Vinaccia (the founder of
this family workshop) better represent the archetype of the Neapolitan mandolin from the point
of view of the proportions chosen for its construction. The most significant fact regards the
deep change that concerned the capping ribs, because, due to the canting of the soundboard, on
both sides the first rib had to be much higher than those used in baroque mandolinos. As a
consequence, the wide capping rib also became much larger, so huge as to form a real
countercap or ‘lace’. While, at first, the fingerboard width of Neapolitan instruments were
almost identical to those of Roman luthiers, the Vinaccias – who were remarkable innovators –
already starting from the fifth decade of the century narrowed the fingerboard, widened the
soundboard, positioned the bridge higher and deepened the longitudinal profile, covering it

16
with a very large cap. During the subsequent decades of production, the Vinaccias underwent
further changes in body-outlines and depth of the bowl.
A constant feature of Neapolitan mandolins is the extensive mother-of-pearl and tortoiseshell
decorations, perfectly interacting with the geometry of the instrument and the Rococo style of
the time.
Shortly after the introduction of the new mandolin, many of the first masters and virtuosos,
among whom Carlo Sodi and Giovanni Cifolelli, emigrated seeking fortune in France; here,
between 1749 and 1789, the Neapolitan mandolin established itself rather quickly, in particular in
Lyon and Paris where the first methods were published (G.B. Gervasio, 1767; Pietro Denis, 1768;
Leoné, 1768; Giovanni Fouchetti, ca. 1771). In the first chapter of his Mèthode de Mandoline,
Giovanni Fouchetti briefly describes the instrument and its tuning in fifths, stating that the
Mandoline à quatre Cordes has 10 frets glued on the fingerboard – according to Gervasio generally
made of brass (Gervasio 1767, p. 2) – and other additional ebony or ivory frets on the soundboard
“qui servent lorsqu’on veut démancher” [which are used when changing positions] (Fouchetti, 1771,
p. 3). Thanks to these additional frets, which were almost reaching the soundhole, the range of
the 18th century Neapolitan mandolin could be extended from g3-d5 up to about 3 octaves. The
instrument illustrated in the well-known method by Leoné (Fig. 1) shows a total of 16 frets (up
to g5 sharp), 10 of which on the fingerboard and 6 glued on the soundboard, while in Denis’
description are only 14, reaching f5 sharp. However, the mandoline depicted in Michel Corrette’s
Nouvelle méthode de mandoline (1772) has only 9 frets on the fingerboard and 6 glued onto the
soundboard.
One of the oldest documents mentioning the new (Neapolitan) mandoline was published in
Paris in 1754 by the Journal du Citoyen (p. 175), in which Giacomo Merchi and his brother Giuseppe
Bernardo, as well as Carlo Sodi, are described among the masters of “Luth, Theorbes,
Gallissoncini, & Mandoline” (cfr. Paul Sparks, The emergence of the six-course guitar, p. 201, in
James Tyler-Paul Sparks, The Guitar and its Music from the Renaissance to the Classical Era, Oxford
University Press, 2002).
Davide Rebuffa

17
The Gimo Collection

The Gimo collection at Uppsala University Library got its name from the iron foundry of Gimo,
50 km north of Uppsala, Sweden. The musical manuscripts in the collection belonged to the
library of the small eighteen century castle in Gimo. In 1951 it was donated to Uppsala University
after the property was sold in the 1930s. The manuscripts originally belonged to Jean Lefebure,
whose father built the castle in the 1760s. They were part of a French Huguenot family that
migrated to Sweden in the seventeenth century. Jean Lefebure acquired the manuscripts in Italy
in 1762, during his Grand Tour through Europe. He travelled together with the young
astronomer Bengt Ferrner, who described the journey in his travel diary. From this it is clear that
the participation in musical concerts and theatre performances was an essential part of the
journey.
The collection comprises 360 manuscripts, including an original, thematic catalogue. The
majority of the collection was bought in Naples. Since a few copyists recur in many of the
manuscripts, we can assume that most of it was bought as a package. Much of the collection
consists in chamber music – about 140 trio sonatas, by composers such as Carlo Antonio
Campioni, Baldassare Galuppi and Francesco Zanetti. There are about fifty opera sinfonias in
full score, and around eighty opera arias, most of them by Neapolitan composers. The chamber
music repertoire is what you could expect in the library of a rich gentleman of that time. Such
music could easily be performed by skilled amateur musicians in a domestic setting. The opera
scores seems to have had a less practical use, and were presumably bought as souvenirs rather
than as performance material.
Apart from these larger groups, there is also a small group of manuscripts in the collection
with music for the ‘Neapolitan mandolin’ – all in all twenty-five manuscripts, presenting
nineteen compositions for that new and fashionable instrument. Some of the most famous
virtuosos on the mandolin are represented: Giovanni Battista Gervasio with seven works and
Emanuele Barbella with five. Again, the majority are chamber pieces, but the collection also
holds five concertos for Neapolitan mandolin and strings.

18
Interestingly, one of the manuscripts (Gimo 145) comprises a dedication to Jean Lefebure from
Giovanni Battista Gervasio. It reads, “Composta per divertimento del Ecce:mo Sig.r Cavalier Lefebure”
[composed for the pleasure of the excellent Mr Cavalier Lefebure] (Fig. 2). An intriguing detail
is that it is very clear from the writing and the colour of the ink that Lefebure’s name was
entered later than the actual dedication. This seems to indicate that the manuscript was
prepared in advance and the dedicatee decided later. The trade in music manuscripts to foreign
tourists was a lucrative business in Naples at this time, and Lefebure was just one traveller
among many who bought music in this way, both as souvenirs and for practical use. Still, the
dedication suggests that Lefebure was in direct contact with Gervasio in Naples. Even though
there is no evidence, a qualified guess is that he bought a mandolin and took lessons from
Gervasio or some other musician in the city. The Neapolitan mandolin was much in vogue in
Europe at that time, and it was very common that the grand tourists took instrument lessons
from a maestro during their stays in France and Italy.
Jean Lefebure was not unique in buying music and bringing it home from his journey, but the
collection is unique because it is so well preserved. After Lefebure’s return to Sweden, it ended
up in the castle library at Gimo and remained in oblivion there for almost 200 years. Thus, more
or less by coincidence, the mandolin music kept in Lefebure’s collection appears to be the
earliest manuscripts of music for the Neapolitan mandolin that are preserved.

Lars Berglund

The repertoire and the composers

The manuscripts for Neapolitan mandolin of the Gimo Collection represent a striking example
of the galant style and of the so-called Neapolitan School of the 18th century. An exquisitely
urban repertoire, composed to be played also by amateurs, for “conversations between friends”
in the home, or even for personal pleasure only. A type of widespread repertoire, performed and
listened to in the major European capitals of the time, in a Europe full of exchanges and

19
illuminated by an aristocracy and the nascent rich artistic and entrepreneurial bourgeoisie.
These compositions present the characters of the “modern style” in vogue in the second half of
the eighteenth century in Naples and from there, widespread in Europe: sweet melodies in the
cantabile style, embellished and finely diversified in the rhythmic variety; periodic groupings of
phrasing; the form in two arcs, exposition-recapitulation, that move from the tonic to the
dominant, or from the minor tonic to the relative major; light texture that abandons the
counterpoint in favour of the tonal harmony and melodic linearity; the recurrence of cadential
formulas, often repeated with rhetorical and theatrical effects; basso albertino and succession of
arpeggios, chords and scales that enhance the tonality as an illuministic organization of sound;
a great creativity and freedom of invention, open to a measured and ‘natural’ virtuosity.
The aesthetics is that of sampling (D. Heartz, Music in European Capitals: The Galant Style,
2003): a kaleidoscope of quotations, allusions, musical memories that come from different
styles, vocal and instrumental, of dances and sonatas, ancient and modern, cultured and
popular, which are the ‘topics’ (K. Agawu, Playing with the Signs, 1991) of musical conversations.
See for example the ‘learning style’ based on counterpoint and polyphony in many of Barbella’s
movements; the tarantella with the indication Alla Prussiana in Gervasio’s Gimo 150 trio; the
‘vocal style’ in the melodies of the slow tempos, for example in Gimo 142, 144 and 149; the dance
styles (minuets, gavottes); the ‘march’ and ‘fanfare’ style with the arpeggios in the first
movement of Gimo 144; the ‘musical pictorialism’, such as the rumble of thunder, the turmoil
of the sea or the rustle of the wind, evoked in the fast ascending and descending scales of the
Allegro spiritoso molto of Gimo 149. A succession of different affetti that change abruptly after
a few bars, as if to represent the infinite shades and transformations of human affections, up to
anticipating that ‘sensibility style’ (Empfindsamer stil) that would shortly arrive from beyond the
Alps. But the frame is here indisputably Neapolitan. And it is to this story that the manuscripts
for mandolin of the Gimo collection belong, opening, as they are interpreted in a single corpus
in this box, a bright window on the Neapolitan instrumental repertoire of the second half of the
eighteenth century.
CD1 is dedicated to Giovanni Battista Gervasio (c.1725-c.1785), virtuoso mandolin player and
teacher from Naples, and collects three sonatas for mandolin and bass, a duet for mandolins, and

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two trios for mandolins and bass. The characteristic of these compositions, in addition to the
aspects highlighted above, is a writings that is nourished by and at the same time enhances the
expressive, idiomatic and organological potentialities of the new Neapolitan mandolin, of
which Gervasio was one of the greatest virtuosos. He was travelling from Naples to the major
European capitals of the time, and was the initiator of the great eighteenth-century mandolin
schools: his Méthode très facile pour apprendre à jouer de la Mandoline à quatre Cordes was published
in Paris in 1767.
CD2 contains four duets for mandolins and a trio for mandolins and bass by Emanuele Barbella
(Naples, April 14, 1718 – Naples, January 1, 1777). Composer, violinist and teacher, Barbella began
studying the violin with his father, Francesco, and composition with his uncle Michele
Caballone. He studied violin and composition at the Conservatory of Santa Maria di Loreto,
was a pupil of Leonardo Leo and Giovanni Battista Martini and member of the Royal Chapel
and of the San Carlo Theatre Orchestra. He was friend and informer of the English
musicologist Charles Burney during his visit to Naples in 1770. Barbella’s mandolin composition
show a refined use of both learned and modern musical style, rich in emotional and gallant
nuances and of auditory surprises aimed at the listener of his time but which still delicately
catch our ear today as, for example, the surprise of the unexpected major chord at the end of
the Gavotta ms. Gimo 13. Barbella manages to combine the compositional style learned in the
Neapolitan conservatories with the techniques and the pizzicato sound of the new mandolin,
creating an original mandolin sound probably never heard until then. Finally, CD2 collects two
trios composed respectively by Anonymous and by Gioacchino Còcchi (Venice or Naples, c.1715
– 1720-Venice 1804?), a composer who had his musical training in Naples, probably in the
conservatory of S. Maria di Loreto and was known above all as a composer of opere buffe, both
in Italy and abroad.
Anna Rita Addessi

21
About the interpretation

The question of a correct interpretation of the late eighteenth-century music of galant style
requires a series of reflections that take into account not only the musical context but also the
cultural one of the time. Musically we can not ignore the mainstays of the construction of the
musical discourse in pre-Romantic times, consisting of rhetoric, counterpoint and basso
continuo; the latter is central to a music that does not include a prominent cantabile, the
melodic instrument lines being composed mainly of a series of scales and arpeggios. Therefore
what makes the musical performance expressive is rather the dialectic of the concatenation of
the chords, the colour that each modulation or harmony gives to the flow of the notes, in a
sequence of clear splashes of sound, in which the surprise is provided by the sudden change of
context. Many indications come precisely from the bass line, in which the frequent exceptions
to the rules of counterpoint serve to draw attention to the dynamics desired by the composer,
expressed by each determined chord inversion, according to a series of conventions that at the
time were widely shared and made the musical choices simple and spontaneous. Simplicity and
spontaneity are, in fact, the aesthetic references of galant music, criteria that we have tried to
apply also in the elaboration of the diminutions, which we wanted to seem really thought of at
the moment. The musical rhetoric then helps to untangle the problems related to the phrases,
addressed and resolved through the right fingerings and choice of picking, decided case by case
without taking into account automatisms, which always help the performer and almost never
the music.
Also important is the use of vintage instruments, plectrums built according to the indications
of contemporary treatises and strings that have been scientifically researched and made by
Mimmo Peruffo of Aquila Corde. In this way the sound pilots the performer in the expression
of the right colours, very presumably close to the sounds of the time. The technical approach
to the mandolin is similarly guided by an instrument as close as possible to the original setting,
the hands move with a weight and with the correct slant of the plectrum, so as to favour the full
resonance of the soundbox and the soundboard; indeed, although the thicknesses, the tension
of the strings and the dimensions of the instrument were much lower at the time compared to

22
the parameters of the modern mandolin, we can say that there is no loss of volume and also the
production of harmonics is rich and full.
Mauro Squillante

k
Gli strumenti / The instruments
Mauro Squillante
mandolino napoletano di / Neapolitan mandolin by
Donato Filano, Napoli, 1773
Davor Kirkljus
mandolino napoletano di / Neapolitan mandolin by
Giovanni Vinaccia, 1779 (collezione privata/private collection Roberto Palumbo)
Leonardo Massa
violoncello anonimo attribuito alla scuola italiana della metà del Settecento, conservato nella
sua struttura originale / Italian cello, second half of the 18th century
Raffaele Vrenna
clavicembalo di / harpsichord by Francesco Fabbri (Fabri) di Senigallia (Roma, c. 1630) (Museo
San Colombano-Collezione Tagliavini, Bologna)

Le corde dei mandolini sono state costruite da Mimmo Peruffo sulla base delle indicazione
contenute in Giovanni Fouchetti (Mèthode pour apprendre facilement á jouer de la Mandoline á 4
et á 6 Cordes, 1771 ca) e in Michel Corrette (Nouvelle méthode de mandoline, 1772) e testate per la
prima volta in questi cd da Galanterie a Plettri / The strings of the mandolins were built by Mimmo
Peruffo on the basis of the instructions contained in Giovanni Fouchetti (Mèthode pour apprendre
facilement á jouer de la Mandoline á 4 et á 6 Cordes, 1771 ca) and Michel Corrette (Nouvelle
méthode de mandoline, 1772 ), and tested for the first time in these cds by Galanterie a Plettri.
23
Elenco completo delle tracce / Complete tracklist
cd 1

Giovanni Battista Gervasio (ca 1725 – ca 1785)


1. Sonata a mandolino e basso [ms. Gimo 141]
All:o – All:o

2. Sonata per Camera di Mandolino e Basso


[ms. Gimo 142; Sonata a mandolino solo e Basso, ms. Gimo 143]
All:o – Larghetto Grazioso – All:o

3. Sonata per Camera di mandolino è Basso [ms. Gimo 144]


Allegro maestoso – Largo Pizzicato – Allegro assaj

4. Sonata Per Camera di mandolino, e Basso. Composta per divertimento del Ecce:mo Sig.r Cavalier Lefebure
[ms. Gimo 145; Sonata di Mandolino e Basso, ms. Gimo 146]
All:o – Larghetto. Andantino grazioso – All:o con molto spirito

5. Duetto a due mandolini [mss. Gimo 147-148]


Senza indicazione – Senza indicazione

6. Sinfonia a due mandolini, è Basso [ms.. Gimo 149]


All:o spiritoso assaj – Larghetto Andantino – All:o assaj spiritoso

7. Trio a due mandolini e Basso [ms.. Gimo 150]


Allegro e custoso assaj – Largo – All:o alla Prussiana

24
cd 2

Emanuele Barbella (1718-1777)


1. Sonata a due mandolini [ms. Gimo 12]
Allegretto – Senza indicazione

2. Duetto a due mandolini [ms. Gimo 13]


Larghetto e staccato – Allegretto – Minuetto. Alla francese – Gavotta

3. Sonata a due mandolini [ms. Gimo 14]


Andante, e con espressione – All:o – Gavotta All:o

4. Sonata à Due mandolini


[ms. Gimo 15; Sonata a due mandolinj, ms. Gimo 16; Sonata à due mandolini, ms. Gimo 17]
All:o – Andantino

5. Sonata a due mandolini e basso [ms. Gimo 18; Sonata a Due mandolini e Basso, ms. Gimo 19]
All:o – Largo – All:o

Gioacchino Còcchi (1715? – 1804?)


6. Sinfonia a due mandolini, e Basso [ms. Gimo 76]
Allegro assaj – Largo – All:o

Anonimo
7. Trio. A due mandolini e Basso [ms. Gimo 359]
Senza indicazione – Largo – All:o

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I manoscritti per mandolino della collezione Gimo
DDD The manuscripts for mandolin of Gimo collection
TC 710090
℗ 2022
Made in Italy

I solisti dell’ensemble Galanterie a plettri


Raffaele Vrenna · Mauro Squillante · Davor Kirkjus · Leonardo Massa

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