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L'Italia e l'avvento del fascismo

Il caso italiano fu assolutamente esemplare per quanto riguarda le conseguenze della Grande Guerra e la
crisi del liberalismo. In Italia, per la prima volta, le masse popolari vennero portate in piazza dal partito
socialista e da quello popolare cattolico. Le forze politiche si radicalizzarono, e si temette che questo
potesse portare a un processo rivoluzionario, come nel caso russo. La politica italiana aveva, prima della
guerra, delle connotazioni del tutto diverse rispetto al primo dopo guerra, dove il conflitto stesso continuò
negli anni avvenire attraverso la politica. I partiti politici divennero delle macchine da guerra non solo nel
dibattito pubblico ma come se, appunto, la politica fosse un prosieguo della guerra: predominava la forza
e la violenza, infatti nel 1919 vi furono violenti scontri di piazza organizzati tra socialisti e squadracce
fasciste. Il movimento socialista, il primo vero partito a nascere in Italia, venne del tutto sconvolto dalla
presenza del modello bolscevico e dalla Terza Internazionale, perché questo modello rappresentò una
rivoluzione

Quello che successe in Italia fu, appunto, davvero esemplare: soggetti vecchi che si trasformarono,
soggetti nuovi che intendevano la politica diversamente, propaganda alla maniera bellica presa in
prestito dai partiti. Prima della guerra, la maggioranza liberale era ben salda: nel 1912-1913 ci fu la
riforma che introdusse il suffragio universale maschile, ma da qui iniziarono alcuni momenti di
trasformazione perché la componente liberale dovette corrompersi, scendendo a compromessi con le
opposizioni. I due avvenimenti che cambiarono totalmente la politica italiana furono il suffragio
universale, e ancora di più la legge proporzionale del 1919 (introdotta nello stesso anno dalla Francia) in
risposta alla pressione delle masse, perché dava la possibilità a praticamente tutte le forze politiche di
accedere in parlamento. Insomma, il mondo della rappresentanza fu sconvolto, e non c'è dubbio che in
Italia la legge proporzionale fece da detonatore per le instabilità successive: le interpretazioni in questo
senso sono molte, ma in generale alcuni sostengono che essa ha messo in crisi il sistema, altri invece
sostengono che i liberali avrebbero perso anche senza la proporzionale.

Comunque, in generale e al di là dei dibattiti politologici, non possiamo dire che la riforma del 1919 non
ebbe delle conseguenze, e dobbiamo considerare che questa riforma fu una diretta conseguenza della
guerra, oltre al fatto che il dibattito precedente tra interventisti e neutralisti creò le basi per liquidare il
sistema giolittiano e favorire l'avvento del fascismo.
La riforma scaturì la nascita della politica moderna: collegi allargati, campagna elettorale, perdita di
importanza del prefetto in questo senso (perché più facilmente denunciabile dai mezzi di stampa più
diffusi e dai partiti popolari.
Quindi, a fronte di tutto questo, la domanda che ci si può porre è:

Perché i liberali hanno riformato il sistema elettorale, nonostante fossero in maggioranza sia prima che
subito dopo la guerra?

Perché questo avrebbe scongiurato un clima rivoluzionario, dal momento che essi si resero conto che le
cose erano cambiate. C'era la paura diffusa del bolscevismo, non solo in Italia ma in tutta Europa,
problema con il quale le classi dirigenti dovettero fare i conti. Ampi settori dello schieramento
parlamentare cominciarono a maturare l'idea della necessità di una nuova organizzazione della politica,
prese spazio la consapevolezza che il nuovo protagonista della politica era il partito organizzato, e in
questo i liberali mostrarono grandissima arretratezza perché era un partito di coalizione molto
scompaginato e eterogeneo, che raggiunse i connotati di un partito moderno solo nel 1922, pochi giorni
prima della presa di potere del fascismo.

Fu un periodo di grandi dibattiti e opinioni politiche diverse, in cui si metteva in discussione il sistema di
rappresentanza parlamentare stesso, sempre però in via possibilista.
Dunque, ripercorrendo i fatti politici salienti dell'immediato dopoguerra, i socialisti assunsero caratteri
rivoluzionari, Giolitti tornò al potere nel 1920 ma senza avere tanta influenza, e da qui si aprì una
successione di governi brevi (Nitti, Facta…) incapaci di mantenere un ordine, segno che il sistema sarebbe
collassato a breve. Giolitti dovette far fronte al cosiddetto "Biennio rosso", proteste di occupazione di
stampo socialista a partire dalle industrie dell'Alfa Romeo, al quale egli reagì in modo del tutto inadeguato.
Gli occupanti erano con idee molto radicali, e il biennio rosso favorì la nascita del Partito Comunista
d'Italia a Livorno del 1921, che voleva emulare la rivoluzione bolscevica. Tutto questo gettò nella paura il
ceto d'ordine borghese, e questa radicalizzazione a sinistra gettò lo stesso verso il radicalismo di destra,
cioè verso il fascismo. Nel 1919 nacquero i fasci di combattimento, un movimento fondato da Benito
Mussolini sullo stampo dei fasci di azione rivoluzionaria, creati nel 1914 sempre da Mussolini per fare
propaganda massiccia per l'interventismo in guerra. Anche qui, possiamo vedere come i fasci di
combattimento sono direttamente collegati alla guerra già a partire dal nome. Tuttavia, resta da chiedersi
come mai Mussolini non abbia fondato da subito un partito ma un movimento; lo fece perché voleva
opporsi alla politica tradizionale, e il movimento vedeva riuniti molti ex combattenti delusi proprio da
questa stessa politica. I fasci nacquero a Milano con un programma chiaramente rivoluzionario, inserito in
un periodo, quello dal 1919 e il 1921, molto importante e turbolento: - 1919: elezioni politiche
- 1920: elezioni amministrative
- 1921: nuove elezioni politiche

Inoltre, i liberali fecero il grandissimo errore di appoggiarsi al fascismo per combattere il radicalismo
socialista, arrivando addirittura a marciare insieme a loro. Per i liberali, i fascisti erano solo dei giovani
scapestrati che avrebbero fatto il lavoro sporco per mettersi poi da parte, o al massimo sarebbero stati
istituzionalizzati dopo (aspetto tipico del liberalismo). Chiaramente, non fu così, e anzi furono gli stessi
fascisti a fascistizzare i liberali.

Il 28 Ottobre 1922 avvenne la famosa "Marcia su Roma", soggetta a molte interpretazioni diverse:
secondo alcuni, il re si comportò alla maniera di Giolitti evitando scontri di piazza e spargimenti di
sangue, nominando Mussolini capo del governo. Un'altra interpretazione, di origine chiaramente fascista,
sosteneva che il re fosse costretto da un "Plebiscito armato della nazione" di nominare il capo della
rivoluzione a formare un governo. Insomma, la nomina arrivò e da qui iniziò un percorso di ricostruzione
molto abile e anche molto fortunato.

Mussolini fu abile perché formò un primo governo di coalizione (con liberali, cattolici e anche popolari), e
fondando successivamente il Partito Nazionale Fascista nel 1921: questo fatto non deve essere letto come
la rottura di Mussolini dai caratteri rivoluzionari, ma voleva dare un volto più rassicurante ai liberali che
volevano usarlo invece come strumento per sedare i socialisti. Poco dopo, fu fondato il Gran Consiglio
fascista, che era un raccordo tra il fascismo di strada e quello di governo. Poi, partì l'attacco al
parlamento: Mussolini non pensava di fare una rivoluzione di stampo bolscevico, ma di usare gli strumenti
istituzionali per prendere tutti i poteri. Anzitutto, fu abolita la legge proporzionale e fu varata una nuova
legge (la legge Acerbo) secondo cui chi aveva il 25 per cento dei voti avrebbe avuto diritto ai 2/3 dei seggi
(e raggiungere questo risultato fu facilissimo a Mussolini, grazie anche agli appoggi liberali).

La crisi arrivò con l'omicidio Matteotti nell'estate 1924, in cui Mussolini rischiò seriamente di perdere il
potere. I deputati che denunciarono il fascismo come associazione a delinquere, a causa del delitto, si
trovarono costretti a riunirsi sull'Aventino, nella "sala della Lupa". Il 3 gennaio 1925 Mussolini pronunciò
un discorso che fece intendere le sue intenzioni di auto denuncia del delitto Matteotti, in cui si dichiarava
responsabile e "Capo di questa associazione a delinquere" che era il fascismo. Da questo discorso
annunciò dichiaratamente la svolta autoritaria e totalitaria, attraverso un'aperta sfida al parlamento. Le
interpretazioni furono due: Emilio Gentile sostenne che il fascismo fu un regime totalitario compiuto, altri
invece che era sì totalitario ma non compiuto, dal momento che in Italia c'erano altri organi di potere
(come la Chiesa).
Indubbiamente, il sistema era molto autoritario con una serie di provvedimenti volti ad escludere dal
parlamento i movimenti democratici (nel 1925-1926) fino a raggiungere l'apice nel 1936 con la campagna
di Etiopia. Un passo fondamentale fu l'abolizione della rappresentanza in parlamento (con elezioni in cui
veniva proposta un'unica lista di 400 nomi per 400 seggi, e l'elettore doveva solo approvare o meno la sola
lista presentata) e la sua soppressione, con l'istituzione nel 1939 della Camera dei fasci e delle
corporazioni, organo non elettivo ma nominale per decreto. Tuttavia, in questo periodo il fascismo fu già in
fase calante (a partire dallo stesso 1936) e i motivi di disaffezione furono sostanzialmente due: le leggi
discriminatorie per gli ebrei (perché molti di essi erano importanti funzionari, anche fascisti alcuni) e
l'alleanza con la Germania e il Giappone.

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