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• circostanze interne: maggiore vicinanza del tipo linguistico rentino al latino.
Si può dunque affermare che l’italiano si fonda, sostanzialmente, sul rentino letterario del
Trecento.
La letterarietà rappresenta una delle marche tipiche della storia dell’italiano. Vanno però
sottolineati due aspetti. In primo luogo la differenza che ha separato la storia della lingua poetica dalla
storia della lingua della prosa. La lingua poetica appare già uni cata a ne Trecento, sul m dello
petrarchesco, e si mantiene pressoché inalterata no all’Ottocento. La lingua della prosa si sviluppa
lentamente a livello letterario, e ancora più lentame te a livello dei testi pratici o tecnici.
l’italiano si è codi cato nel corso del Cinquecento sulla base di modelli letterari ese plari. Ma la nostra
lingua si è adattata faticosamente agli impieghi pratici, scienti ci, civili. Da qui nasce la richiesta di un
rinnovamento linguistico, che viene avanzata perentoriamente nel corso del Settecento; secondo gli
intellettuali aperti alla cultura illuministica, all’italiano mancavano termini unitari per designare oggetti
appartenenti alla sfera quotidiana, alla vita domestica, agli usi tecnici e pratici.
Ha segnato profondamente la nostra storia linguistica il fatto che per secoli, almeno no
all’uni cazione politica, l’italiano è stata una lingua prevalentemente scritta, mentre la comunicazione
viva e parlata avveniva per lo più, nelle aree non toscane, anche per le classi colte, in dialetto.
Solo dopo l’uni cazione politica, quando si sono create cond zioni sociali e culturali nuove, si è
avviato nalmente il processo che ha portato l’italiano a divenire, nell’arco di poco più di un secolo, da
lingua prevalentemente scritta la lingua anche parlata dalla quasi totalità della nazione.
Il volgare nei testi pratici e nei testi letterari in prosa. L’affermazione del volgare, in concorrenza
col latino, negli usi scritti, avviene in tempi e modi diversi.
Nei testi pratici, dopo le prime attestazioni, tale affermazione si veri ca più precocemente in
alcune aree: in Toscana e a Venezia. Anche se il latino continua a essere la lingua più usata, si avviano
nei vari centri tradizioni di scritture pratiche già caratterizzate dal punto di vista linguistico-testuale e
lessicale.
É signi cativo lo spazio che acquista il volgare nell’ambito della scuola e dell’università,
istituzioni tradizionalmente legate al latino, ma sensibili alle nuove esigenze della vita civile e politica: la
necessità di impi gare un volgare sovramunicipale e di larga comprensibilità, arricchito degli arti ci
dell’ornatus e della retorica latina, è ben presente nelle formule ep stolari volgari contenute nella
GEMMA PURPUREA di Guido Faba. Faba appresta anche modelli di discorsi pubblici in volgare nei
suoi PARLAMENTA ET EPISTOLE in latino, e su questa via diventa importante l’applicazione della
retorica al volgare.
Fioriscono così manuali di ars dictandi, come la RETTORICA del orentino Brunetto Latini.
È noto il ritardo con cui si avviano, in area italiana, esperienze volgari di prosa letteraria, che
resta a lungo condizionata dal prestigio del latino e del francese. Una tr dizione di prosa narrativa
media, a ni didattico-moraleggianti, inizia in Toscana a ne Duecento, con il NOVELLINO.
Le tr duzioni dal francese di romanzi del ciclo arturiano hanno grande fortuna e sono
documentate soprattutto in area veneta e toscana. La formularità e la ripetitività di schemi sintattici e
del lessico caratterizzano questa prosa d’intrattenimento. La pr senza di francesismi è massiccia.
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La formazione della lingua poetica. Già nel corso del Duecento si avvia una tradizione di lingua
poetica in volgare. La nascita di una vera e propria scuola, la SCUOLA SICILIANA, che sperimenta
l’impiego letterario del volgare sulle orme della poesia provenzale, appare determinante per il
formarsi della tradizione lirica successiva). Questa tradizione si irradia dal Meridione al Centro-Nord
Italia, avendo come polo soprattutto la Toscana, coprendo un arco che va dai primi decenni del XIII
secolo, passa attraverso il modello del Petrarca, poi codi cato dal Bembo nel Cinquecento, e arriva
almeno no alla metà dell’Ottocento. Sarà Petrarca a selezionare e a codi care un repertorio di forme,
a ss re una grammatica della poesia destinata ad avere una durata secolare.
Tra ne XII e primi del XIII secolo si collocano i primi documenti poetici in volgare con qualche
intento letterario, che rinviano a un’area culturale che va dalla Toscana alle Marche, alla Campania. Si
tratta di RITMI anonimi: componimenti metr camente irregolari come il ritmo laurenziano (toscano), il
ritmo march giano di S. Alessio, il ritmo cassinese (Montecassino).
Attorno al 1220 si situano gli inizi della poesia religiosa, col CANTICO DI FRATE SOLE, scritto
in volgare umbro. È importante la tradizione delle laudi, di origine umbro-marchigiana e toscana.
Nel corso del Duecento si sviluppa nell’Italia settentrionale un lone di poesia con nalità
didattiche e moraleggianti. Questo lone rappresenta un documento signi c tivo della vitalità delle
tradizioni linguistico-culturali locali. Si tratta di opere, scritte in volgari illustri, nobilitati attraverso il latino
e gallicismi.
Gli esordi della poesia siciliana risalgono probabilmente almeno a un decennio prima, dato che
a quell’altezza cronologica la circolazione dei testi risulta già presente anche nell’area nord-orientale.
La scuola siciliana impiega, a ni artistici, il volgare depurato dai tratti linguistici locali più vistosi, e
nobilitato attraverso il l tino e il provenzale. Temi, immagini e repertorio stilistico ed espressivo
vengono derivati dall’esperienza poetica trobadorica. Nella lirica s ciliana si abbondano provenzalismi.
È caratteristico l’impiego di allotropi e il ricorso a dittologie sinonimiche. In Toscana, furono
confezionati i tre grandi canzonieri che ci hanno trasmesso la lirica antica: il VATICANO LATINO 3793, il
LAURENZIANO REDIANO 9, il PALATINO 418. I copisti toscani, trascrivendo i testi siciliani, li adattarono
al loro sistema linguistico, dando ai testi una patina toscaneggiante; conservarono, però, alcuni tratti
caratteristici. È possibile riconoscere il processo di travestimento messo in atto dai copisti e ricostruire
la veste linguistica della lirica siciliana attraverso l’analisi della rima: mentre per i siciliani, secondo il
modello provenzale, la rima d veva essere perfetta, troviamo nei canzonieri rime imperfette. Inoltre,
Giovanni Maria Barbieri tr scrisse alcuni componimenti da un Libro siciliano: Pir meu cori alligrari di
Stefano Protonotaro, Allegra coriplenu e un frammento di due stanze S ’io trovasse pietanza (‘pietà’)
di Re Enzo.
Il formarsi di una tradizione linguistica lirica si ha con alcuni poeti nati e operanti in Toscana,
etichettati come Siculo-toscani e Toscano-siculi, accomunati dall’imitazione della mani ra
siciliana sulla base dei codici toscaneggiati. L’impasto linguistico è composito, con tracce locali
consistenti e con l’impiego esibito di sicilianismi. Il lessico è un intarsio di sicilianismi, latinismi e di
sovrabbondanti gallicismi. Viene inoltre istituzionalizzato nel linguaggio poetico il principio della rima
imperfetta, o rima siciliana.
I poeti dello STILNOVO innovano profondamente le tem tiche amorose, e vi immettono
venature intellettuali e psicologiche. I principali rimatori, come Guinizelli, Cavalcanti e Dante,
assimilano e tras gurano le forme linguistiche della lirica siculo-toscana, selezionando i dati della
tradizione ed elaborando una lingua ra nata. La nobilitazione si esprime in una riduzione dei tratti
locali e di tutto ciò che è particolaristico. Si tende a una forma di sublimazione letteraria del
tosco- ore tino.
Dante e la ri essione sul volgare. È di Dante la prima ri essi ne teorica e storica sul volgare e
sulla tradizione di poesia volgare dai sicili ni ai siculo-toscani. Il DE VULGARI ELOQUENTIA (1303-04) è
un trattato in latino rimasto interrotto. Oggetto pri cipale del trattato è una ricerca di stile poetico.
Si parla del volgare come elaborazione artistica e come strumento di comun cazione letteraria di alto
livello. Dante individua l’esistenza di quattordici varietà principali di volgari parlati nella Penisola,
nessuno dei quali è identi cato nel volgare illustre. Dal capitolo XI del 1º libro la tratt zione dantesca si
volge più esplicitamente alla ricerca e alla de n zione di una lingua altamente letteraria. Condannati
duramente i volgari giudicati peggiori, Dante giudica più positivamente il siciliano elaborato
artisticamente dai poeti federiciani. Sono scartati i volgari toscani e lo stesso orentino. Dante dà un
giudizio più positivo del bolognese, impiegato da poeti come Guinizelli. Il volgare illustre (cioè
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raf nato letterariamente), cardinale (perché attorno ai suoi cardini si muovono le varietà volgari),
aulico (pe ché degno dell’aula, cioè della reggia), curiale (perché degno della curia, il tribunale
supremo) non si identi ca con quello di nessuna città italiana, ma in realtà appartiene a tutt’Italia.
Nel CONVIVIO, prosimetro di argomento mor le e loso co in 4 libri (1304-07), scritto in
volgare, è a frontato il problema del rapporto col latino. Nel 1º libro, Dante giusti ca la scelta del
volgare per commentare le sue canzoni morali: il poeta ammette la superiorità del latino, anche per la
sua maggiore stabilità e regolarità letteraria, ma giudica il volgare accessibile a un più largo pubblico.
Il volgare e le ‘tre corone’: Dante, Petrarca, Boccaccio e il primato del ore tino. Dante aveva intuito
che il volgare doveva raggiungere una dignità pari a quella del latino. Questo risultato era possibile
solo con l’impiego in opere di valore letterario e di larga diffusione anche tra i non letterati. Le ‘tre
corone’ contribuirono a innalzare letterariamente il orentino, a espandere la lingua di Firenze fuori
della Toscana.
La COMMEDIA, la più ore tina linguisticamente delle opere dantesche, rappresenta un
momento importanza per la storia della lingua italiana. Straordinaria appare la ri chezza espressiva
della Commedia, in cui il poeta inventa un nuovo metro narrativo, la terzina, e sperimenta la pluralità
e la mescolanza degli stili. Ciò si traduce in un vivace plurilinguismo. Dante attinge a piene mani
alle vari tà lessicali del orentino, scendendo no ai livelli più popolari e realistici. Inoltre, sono
impiegati gallicismi, latinismi, tecnic smi delle lingue speciali e voci invent te da Dante per
soddisfare la sua continua ricerca espressiva. Si trovano anche alcuni vocaboli provenienti da altri
volgari. La divulgazionedella Commedia contribuì all’a fermazione del orentino in altre aree già nei
primi decenni del Trecento, in particolare nell’area veneto-emiliana.
Francesco Petrarca iniziò a scrivere il CANZONIERE verso il 1336-38, ma continuò a rivedere
e a correggere i comp nimenti no alla morte (1374). Attr verso l’elaborazione linguistica del
Canzoniere, Petrarca svolge un ruolo di nobilitazione letteraria del orentino, di cui scarta ogni
elemento basso e municipale; e mette in atto al tempo stesso un raf nato lavoro s lettivo sulla
tradizione precedente di ltraggio e consacrazione de nitiva nella lingua poetica delle forme da lui
usate. Il lessico è volutamente circoscritto a un inventario ristretto di parole, mentre abbondano le
perifrasi vaghe e nobilitanti e le dittologie sinonimiche. Petrarca riduce drasticamente la presenza dei
gallicismi. Passa al setaccio i sicilianismi. Codi ca la rima gra ca. Il Canzoniere petrarchesco fornì un
modello linguistico alto e selettivo, a quistando un valore esemplare e paradigmatico.
Per la prosa è stato fondamentale il modello di Boccaccio, in particolare del DECAMERON.
L’opera, che inaugura il genere della prosa narrativa, di intratten mento, era rivolta a un pubblico
ampio e anche non letterato. Alla varietà delle situazioni narrative e di personaggi corrispo de una
straordinaria capacità di variare gli stili e la lingua. Una pluralità di livelli espressivi e di varietà
linguistiche, dotte e popolari, idiomatiche, si alternano e si intrecciano nell’opera. Boccaccio usa con
intenti talora di caratterizzazione realistica o di parodia, varietà basse di lingua o volgari d versi. Inoltre
sperimenta una serie di strategie per riprodurre e caratterizzare i registri colloquiali e il parlato, come il
che polivalente, l’uso ridondante dei pron mi, gli anacoluti, le concordanze a senso, oltre a un
ampio repertorio di segnali discorsivi, di forme esclamative. Per la prosa italiana il Decameron esercitò
una funzione esemplare, cons crata dal Bembo, che lo elesse a modello, soprattutto per lo stile
elevato, che caratterizza larga parte dell’opera, come le cornici e le novelle ‘tragiche’ della X giornata.
L’Alberti e l’Umanesimo volgare. Con Leon Battista Alberti si avvia il processo di rivalutazione
letteraria del volgare che va sotto il nome di ‘UMANESIMO VOLGARE’. Alberti riprende la tesi
dell’umanista Biondo Flavio sul volgare e apre la via alla considerazione del volgare come lingua che
può essere regolata, grammaticalizzata e nobilitata se usata da autori dotti. A lui si deve una
grammatica della lingua toscana (1440), ma rimasta inedita no al secolo scorso. La grammatica,
che si basa sul orentino colto dei suoi tempi, è la prima grammatica di una lingua moderna.
Con Lorenzo de’ Medici e il suo circolo letterario, il riscatto del volgare si fonda sulla
rivalutazione della tradizione linguistica e letteraria tosco rentina, e diviene strumento della politica
medicea. I poeti laurenziani (dal Poliziano al Pulci, a Lorenzo stesso), nella varietà dei generi
sperimentati, usano una lingua composita, aperta al orentino contemporaneo e alle sue innovazioni,
ma anche alla tradizione lirica ant ca e al latineggiamento di stampo umanistico.
Successi del toscano letterario fuori Toscana. L’espansione del toscano letterario nel corso del
Quattrocento ha dei centri propulsori nelle corti. Questo su cesso è sancito con la stampa: a partire
dal 1470, a Milano, a Mantova e a Venezia vengono stampati i classici della lingua volgare.
Stampa, standardizzazione e norma. L’in usso della stampa si è attuato in tre princip li direzioni:
uniformazione della prassi gra ca; diffusione della lingua letteraria e della norma grammaticale;
sostituzione di un modello fondato anche sull’oralità con un altro fondato solo sulla scrittura.
La lingua delle stampe quattrocentesche è ibrida, ma tip gra e revisori editoriali cominciano a
porsi il problema di una regolarizz zione gra ca e linguistica dei testi.
La svolta avviene con Aldo Man zio e Pietro Bembo. Bembo applicò la sua esperienza di
lologo umanista alla stampa dei classici volgari. Nel Petrarca stampato da Aldo, le novità tipogra che
e l’introduzione di criteri ortogra ci si accompagnano a una veste linguistica che è quella su cui
Bembo fonderà le indicazioni normative delle Prose della volgar lingua. Il modello boccacciano per la
lingua della prosa è già ben presente negli Asolani (1505), il dialogo loso co scritto da Be bo.
Le PROSE DELLA VOLGAR LINGUA (1525) sono un trattato in forma di dialogo in tre libri. Nelle
Prose Bembo arriva a de nire la retorica, la stilistica e la norma letteraria del volgare. Nelle Prose, la
ssazione della grammatica del volgare letterario si collega alla teoria del classicismo volgare elaborata
da Bembo e alle discussioni linguistiche del primo Cinquecento (la ‘questione della lingua’).
Dalla questione della lingua alla de nizione della norma letteraria: le Prose della volgar lingua. Le
principali posizioni teoriche che fanno da sfondo alle Prose sono:
• TEORIE ‘CORTIGIANE’ (comuni’, ‘italiane’). Varietà di posizioni le cui premesse sono le esperienze
delle koinè sovraregionali usate nelle corti quattrocentesche. Il principale teorico fu il Calmeta:
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la lingua poetica doveva essere imparata sui modelli orentini trecenteschi (Dante e Petrarca) e poi
doveva ‘af nata’ sull’uso della corte romana. La teoria di una lingua ‘italiana, comune e varia’ è
espressa da Castiglione, nel suo dialogo II Cortegiano (1524): si ri ette l’ideale di una lingua per
l’uomo di corte, nobilmente eclettica e fondata sull’uso colto co temporaneo; questa lingua
doveva essere lontana dalle affettazioni del rentinismo letterario e arcaizzante sia dalla sola
consuetudine del parlare toscano di quel tempo. G. Trissino riscoprì il manoscritto del De vulgari
ebquentia: la nozione dantesca del volgare illustre, interpretata come teoria di una lingua mista e
composita, ricavata dalle forme migliori di ‘tutte le lingue d’Italia’, è assunta come fondamento
della sua teoria di una lingua illustre comune italiana;
• TEORIE ‘FIORENTINISTE’ E ‘TOSCANISTE’. Posizioni teoriche dei sostenitori del fiorentino vivo e del
toscano. Sostenitori di queste teorie sono: Lodovico Ma telli, Angelo Firenzuola e Claudio
Tolomei. Questa posizione è asunta anche da Macchievelli, soprattutto nel Discorso intorno
alla nostra lingua (1524); in n esso viene svolta un’appassionata difesa del orentino come
lingua naturalmente be la e superiore agli altri volgari italiani; ma soprattutto viene dimostrata la
orentinità della lingua della Commedia, e la continuità del orentino cinquecentesco con quello
trecentesco.
• Le PROSE DELLA VOLGAR LINGUA (1525) costituiscono il manifesto del orent nismo classicista
e arcaizzante di BEMBO. Uno dei partecipanti al discorso difende il primato del orent no dei
grandi scrittori trecenteschi. Nelle Prose sono indicati come mass mi esempi Petrarca per la
lingua poetica, e Boccaccio per la prosa. Nelle Prose viene rivendicata la piena dignità del
volgare rispetto al latino e la funzione degli scrittori nel nobilitare ed el vare la lingua. Bembo,
accettando la teoria dell’umanista Biondo Flavio, indicava nel Trecento il momento in cui il volgare
era divenuto ‘regolato e gentile’ per l’elaborazione artistica dei grandi scritt ri orentini. Al centro
della teoria bembiana sta la considerazione della lingua come fatto scritto, letterario e retorico,
distaccata dal presente e dall’uso e collocata in una dimensi ne atemporale per poter aspirare
all’universalità. Bembo si atteneva al principio dell’imitazione, che consisteva nell’emulazione e nel
superamento degli autori esemplari. Le Prose si con gurarono non solo come difesa teorica della
posizione bembiana, ma anche come strumento pratico di regolamentazione e uni cazione
linguistica.
Diffusione e accettazione della norma letteraria: da lingua ‘toscana’ a lingua italiana’. Il 1525 segna
una data fondamentale per la storia dell’italiano: le Prose forniscono agli scriventi non toscani e
all’editoria volgare un punto di riferimento ed avviano una ricchissima produzione a stampa di
ispirazione be biana, con scopi pratici e didattici. Grammatiche, prontuari, lessici resero più
immediatamente utilizzabili le indicazioni contenute nelle Prose, e contribuirono a diffondere la norma
anche tra i non letterati.
Nel giro di pochi d cenni, il orentino letterario trecentesco diviene la lingua studiata e
imitata da un numero sempre più ampio di scriventi italiani.
Bembo e la cultura orentina: Giambullari, Varchi e l’Accademia della Crusca. Gli ambienti orentini
non accolsero favorevolmente le Prose di Bembo, che non accettava il orent no vivo contemporaneo
e sminuiva la grandezza linguistica di Dante. Così, alcuni letterati si mossero e fecero uscire la prima
grammatica elaborata in ambiente toscano diretta a non toscani, che raccoglieva in forma di ‘Regole’
gli usi correnti del orentino colto accanto a quelli della tradizione letteraria.
La mediazione delle posizioni orentiniste con quelle di Bembo fu opera di Benedetto Varchi,
che pubblicò nel 1549 l’edizione orentina delle Prose bembiane, e compose tra il 1560 e il 1565 un
dialogo, XHercolano. Nell’opera Varchi d stingueva la lingua come fatto vivo e naturale, dallo stile,
come elaborazi ne letteraria, e conciliava il principio della « orentinità viva, sul piano della lingua [...] e
il principio - derivato dal Bembo - della letterarietà sul piano dello stile».
Sotto l’in uenza delle idee varchiane, avvenne una signi cativa evol zione negli ambienti
culturali orentini, che nel secondo Cinquecento ass milarono e adattarono la soluzione letteraria del
Bembo, tentando di ridare a Firenze il ruolo di ‘legislatrice’ della lingua. Ciò si veri cò principalmente
con la fondazione dell’ACCADEMIA DELLA CRUSCA (1582) e l’attività letteraria e lologico-grammaticale
di L. Salviati, che fu di fatto l’ispiratore de VOCABOLARIO DEGLI ACCADEMICI DELLA CRUSCA. Salviati
affermava la perfezione naturale della lingua orentina tr centesca e allargava il canone ristrettissimo
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del Bembo: tutte le scritture orentine del Trecento erano considerate importanti come d cumento
linguistico. Il Vocabolario della Cr sca si costituiva come roccaforte della tradizione linguistico-
letteraria tosco orentina, nel momento però in cui erano già attive le spinte antitradizionaliste e
moderniste del barocco. Il Vocabolario documentava con larghezza le voci degli scrittori maggiori e
minori del Trecento; selezi nava le voci moderne di quegli autori che avevano seguito l’uso
trecentesco (come Bembo, Ariosto, Della Casa, Gelli, Salviati), ma accettava con pars monia l’uso
vivo, non documentato da esempi d’autore. La seconda edizi ne del Vocabolario uscì nel 1623, con
alcune giunte e modi che non sosta ziali, accogliendo però Galileo tra gli autori citati.
Reazioni alla Crusca: i ‘moderni’ contro gli ‘antichi’. Tra i grandi esclusi dal Vocabolario ci fu il
Tasso, che era stato al centro di durissime polemiche: nella Gerusalemme liberata (1580) aveva
creato una lingua antitradizionale, ricorrendo a latinismi inusuali, a voci nuove per forma o per
signi cato, a parole straniere, a lombardismi, a costruzioni a ti ciose e ricercate. Il Tasso diventò
l’emblema degli oppositori alla Crusca, che reclamavano la superiorità dei moderni sugli antichi e
dell’uso linguistico contemporaneo su quello arcaizzante trecentesco. Inoltre rimproveravano la
ristrettezza geogra ca del canone cruscante, che fondava la norma lessicogra ca sull’uso orentino
esclude do voci già in uso nel resto d’Italia.
Il Vocabolario della Crusca divenne bersaglio polemico da parte degli orientamenti moderni e
barocchi del pr mo Seicento, che determinarono gli sviluppi del linguaggio poetico sulla strada già
aperta dal Tasso.
La spinta antitradizi nale riguardava lo stile e il lessico, mentre le strutture metriche e
l’impalcatura grammaticale restavano nel solco della tradizione precedente. Si trattava, soprattutto, di
un’estensione dei temi e delle s tuazioni poetiche. Ne derivava una ricerca di elementi lessicali nuovi e
orientati verso l’attualità.
È nu vo il lessico scienti co, derivato dalla contemporanea scienza sper mentale galileiana,
come cannone, occhiale, telescopio (sinonimi usati da Galileo), e dai trattati di medicina (ventricolo,
nervi, labirinto, circolo visivo ecc.) o di botanica (ligustro, giacinto ecc.); e il lessico settoriale della
sche ma, dell’equitazione, della danza {stoccata, pettorale, saravanda)·, c’è un’esibita propensione
alle novità esotiche, come gli ispanismi squadriglia, mandiglia ‘mantiglia’, o i francesismi come
gabinetto ‘stipo’, voliera ‘uccelliera’, alea ‘viale’.
Galileo e la prosa scienti ca: Redi, Magalotti e la terza edizione del Vocabolario (1691). La prosa
scienti ca rappresenta la continuità con la tradizione toscana. Galileo opta per l’italiano, spinto da
una forte esigenza di comprensibilità e di divulgazione anche presso i non specialisti. Galileo usa
procedimenti di riformulazione o glosse per spiegare i termini e rivede sistematicamente la
terminologia precedente, de nendo e ssando in senso tecnico il signi cato di parole già in uso, che
divengono così ‘termini’, come candore, macchie solari, mome to, pendolo.
Redi e Magalotti furono tra i collaboratori alla terza edizione del Vocabolario della Crusca
(1691), docume to di una maggiore apertura della cultura orentina alla modernità. La li gua della
scienza seicentesca entrava largamente, insieme ad altre n vità come l’inserimento di autori non
toscani (tra cui Tasso).
Uso letterario dei dialetti, italiano e dialetti nella commedia. La prom zione del orentino letterario
trecentesco al ruolo di lingua scritta nazion le fa scadere le varie parlate locali in Italia al rango di
dialetti. Si sviluppa di conseguenza in tutta la Penisola l’uso letterario dei dialetti: il ricco lone di
letteratura dialettale, già a partire da ne Quattrocento - inizi Cinquecento, diventa depositario di
istanze realistiche o di sperime tazioni espressionistiche e plurilingui. In certi casi l’uso letterario dei
dialetti diviene esplicita protesta e rivendicazione delle possibilità artistiche e della superiorità dei
dialetti. Gli scrittori di teatro sfruttano il contrasto dell’italiano coi vari dialetti in direzione espressiva e
comica.
In usso iberico e francese nel Cinque-Seicento. Nel co so del '500 la conoscenza dello spagnolo,
che attraverso la corte aragonese di Napoli si diffonde in Italia, diventa indispensabile per gli uomini
politici e di cultura. Gli intensi rapporti di carattere culturale, commerciale, politico e religioso con la
Spagna ebbero anche un ri esso nella produzione a stampa: molti i testi pubblicati per la didattica
dello spagnolo agli italiani.
Nel corso del Cinquecento e del primo Seicento dunque, mentre l’italiano conosce in Europa
una stagione di enorme fortuna, la lingua spagnola diventa prevalente in Italia e l’in usso iberico
preponderante rispetto a quello del francese.
Cambiano anche le idee sulla lingua: già nel Seicento cerano stati i segnali di una crisi della tradizione
linguistico-letteraria fondata sulla norma t sco orentina trecentesca, ma in epoca illuminista si fanno
strada atteggiamenti innov tori. I nuovi modelli culturali e linguistici sono i pensatori inglesi e francesi,
e autori contemporanei in cui si identi cava l’ideale illuministico del losofo rispetto al letterato. Si
tratta del momento di più aperta frattura, almeno a livello teorico, con la trad zione linguistica
rappresentata dall’Accademia della Crusca.
Ma con la diffusione delle teorie loso che sensiste, che esa tavano i valori artistici, affettivi,
immaginativi del linguaggio, si recupera il genio retorico della lingua. A questi principi è ispirato il
SAGGIO SOPRA LA LINGUA ITALIANA (1785) di M. Cesarotti. Cesarotti ammette la libertà espressiva
degli scrittori e legittima l’innovazione del lessico, indicandone le ‘fonti’ e stabilendone con precisione
le regole: l’‘analogia’, cioè la formazione di parole nuove; i di letti; le lingue straniere; le discipline
tecniche e scienti che, attraverso tr slati o metafore. Veniva quindi legittimato l’ingresso di
stranierismi, e in particolare dei francesismi, avvertiti come necessari al processo di modernizzazione
cu turale e linguistico dell’italiano.
Diffusione e usi del francese e dell’inglese. Si possono indicare 3 fasi di penetrazione dei
francesismi:
1. seconda metà del Seicento - primi del Settecento → ‘egemonia’ del francese come lingua di
cultura universale e “gallomania”;
2. rinnovamento culturale dell’epoca illuminista;
3. radicali trasformazioni politiche, s ciali e culturali dell’età rivoluzionaria e napoleonica.
Si individuano due aspetti importanti del fenomeno: la penetrazione del francese avveniva in
settori della vita pratica, come l’abbigliamento, la cuc na, l’arredamento; l’impiego del francese era
favorito dalla generale scarsa competenza de l’italiano parlato, e dalla scarsa essibilità dell’italiano
agli usi scritti.
Il contatto col francese promuove l’avanzata di certi costrutti. È promosso l’ordine SVO. Si
rivendica una sintassi sciolta dai legami connettivali, in nome di uno stile spezzato.
Nel corso del ‘700 comincia a manifestarsi negli ambiti intellettuali un certo interesse per il
mondo inglese. La conoscenza e la pratica dell’inglese sono ancora molto scarse, più di usa è la
competenza passiva. Sono ancora pochi e sporadici gli anglicismi che compaiono negli scritti di autori
italiani. Si di fondono però, tramite i giornali, parecchi anglicismi del linguaggio politico, soprattutto
calchi, per lo più mediati dal francese (aggiornare, club, coalizi ne, commissione, potere esecutivo e
legislativo, mozione, opposizione).
«Un distinto, e speciale linguaggio». Continuità e speci cità della lingua poetica. La lingua della
poesia, anche quando accoglie tematiche nuove e proiettate verso l’attualità (come la scienza),
continua a mantenere la sua speci cità, anzi approfondisce la sua distanza dalla lingua della prosa,
caratterizzandosi negli usi grammaticali, negli art ci retorici e nelle scelte lessicali.
Elementi caratterizzanti sono: il latinismo e il termine raro; la p rifrasi dotta; l’epiteto classi-
cheggiante o l’esotismo. Molto ampio l’inve tario a livello di grammatica e sintassi: frequenza di
troncamenti e dell’enclisi pronominale; proclisi pronominale nell’imperativo; ricerca esibita
dell’iperbato.
Lingua comune, identità nazionale e dialetti nel primo Ottocento. Nel ‘700 ed in età illuminista
emerge la richiesta di rinnovamento linguistico e di una lingua unitaria.
Gli illuministi continuano a pe sare a un ammodernamento della lingua della tradizione
letteraria comune alle persone colte di tutt’Italia, anche nella versione più allargata di una «universale
lingua italiana».
L’esigenza dell’unità della lingua, che deve coincidere con lo strumento vivo della comunità dei
parlanti di una nazione, si fa strada con le idee romantiche ed è affrontata con risolutezza da
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Alessandro Manzoni. Si trattava di recuperare la dime sione unitaria e la funzione sociale della
lingua.
Purismo e classicismo condividono stessi ideali, che però si differenziano nei modelli e negli
obiettivi. Il purismo, con caposcuola A. Cesari, aspira a una lingua naturale, semplice, popolare, e
guarda al ‘300 come al «secol d ’oro della lingua toscana». Il classicismo guarda ai valori artistici,
letterari e n zionali della tradizione linguistica, soprattutto cinquecentesca. È questa la posizione di un
intellettuale come Leopardi: biasima i gallicismi ma non gli europeismi sette-ottoce teschi, ed è
contrario al modello francesizzante e coupé della prosa.
Con i nuovi ideali del Romanticismo af ora la richiesta di una lingua come strumento soci le,
di comunicazione scritta e parlata; mentre si ri ette sui dialetti come immagine delle abitudini, dei
costumi, delle idee e delle passioni predominanti dei popoli che le parlano e si rivaluta la letteratura
dialettale, considerata strumento educativo.
Contro i dialetti si poneva Manzoni, che condivideva con i romantici il concetto del dialetto
«come lingua viva e vera». Egli arriverà a proporre la lingua viva e parlata di Firenze, il dialetto orentino
colto, come strumento di uni cazione li guistica nazionale. Lo scrittore giungerà attraverso una lunga
r essione, che accompagna l’elaborazione del suo romanzo storico, i Pr messi sposi, a questa
soluzione teorica così radicale.
Dopo l’Unità: scuola, italofonia e dialettofonia. Dopo l’edizione de nitiva dei Promessi sposi,
Manzoni dà voce pubblica alla sua teoria con la LETTERA A GIACINTO CARENA (1847): M. circoscrive la
sua proposta alla diffusione del solo orentino colto per ottenere l’unità linguistica. Manzoni
interverrà nuovamente sulla questione come ministro della Pubblica istruzione del nuovo Regno
d’Italia e scriverà la RELAZIONE SULL’UNITÀ DELLA LINGUA E I MEZZI PER DIFFONDERLA (1868): M.
ribadisce la sua ducia nell’adozione del orentino vivo come mezzo per costituire una sola lingua
comune per gli usi parlati e scritti della giovane nazione italiana; ed indicava le strategie per diffondere
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in tutto il paese la lingua. La prima proposta era la compilazione di un v cabolario della lingua italiana
fondato sull’uso vivo di Firenze, a cui occo reva far seguire vocabolari dialettali. Tra 1870-97 esce il
Novo vocabolario della lingua itali na secondo l’uso di Firenze, di Giovan Battista Giorgini ed Emilio
Broglio; più fortunato fu il Nòvo Dizionario Universale della lingua italiana di Policarpo Petrocchi (1887).
La Relazione di Manzoni suscitò molte critiche; tra gli o positori ci fu anche Graziadio Isaia
Ascoli, che intervenne nel 1873 nel Proemio alla rivista Archivio glottologico italiano: Ascoli prendeva le
mosse per criticare la pretesa di imporre la lingua di Firenze a un paese come l’Italia, in cui non cerano
le condizioni per realizzare ‘dall’alto’ l’unità linguistica, né si potevano cancellare le varietà dialettali.
Solo creando condizioni culturali diverse e più progred te, riducendo l’analfabetismo e facendo
circolare più largamente in tutti gli strati sociali la lingua letteraria, si sarebbe potuto diffondere l’uso
de l’italiano.
Il programma di Manzoni poneva la scuola al centro del processo di uni cazione e diffusione
dell’italiano e r guardava anche la formazione e la ‘ orentinizzazione’ degli insegnanti e l’a vio di
un’editoria scolastica specializzata. Fu quest’ultima proposta a trovare terreno fertile in età
postunitaria, e per questa via l’attenzione alla lingua parlata e al orentino vivo fu determinata anche
dal successo di libri per l’infanzia, come Pinocchio di Collodi (1883), Ciondolino di Vamba (1896),
Cuore di Edmondo De Amicis. Di notevole interesse furono anche testi destinati a diffondere tra i non
t scani la terminologia viva d’arti e mestieri. Questa produzione continuò però a coesistere, per molti
decenni, con stampe e ristampe di t sti scolastici che proponevano un modello di lingua tradizionale.
La Relazione manzoniana si inserisce nel vivo dei problemi legati alla scuola e
all’alfabetizzazione che il nuovo Stato dovette affrontare all’i domani dell’Unità: grazie allo sforzo per
l’allargamento dell’istruzione elementare l’analfabetismo, nel 1911 diminuì. La sola frequenza
elementare, disattesa e d scontinua in certe zone, non poteva tuttavia garantire il pieno po sesso della
lingua (l’italofonia); più estesa era la competenza passiva dell’italiano.
Ai primi del Nov cento l’italiano guadagnava terreno anche come lingua d’uso familiare nelle
classi borghesi. L’abbandono del dialetto è incoraggiato dalla scuola attraverso i progra mi
ministeriali. La tendenza antidialettale si rafforza nel periodo tra le due guerre: la polit ca linguistica del
fascismo fu infatti improntata a un programma di itali nità; all’insegna quindi della lotta alle lingue
straniere e ai forestierismi, in nome dell’autarchia linguistica, e dell’ostilità ai dialetti. Nel secondo
dopoguerra la scuola continuerà a lungo a ignorare e a ri ut re il dialetto. Solo alla ne degli anni
settanta, con i nuovi programmi, comincia a farsi strada l’atte zione ai dialetti come patrimonio
linguistico e culturale dell’allievo.
Una lingua per tutti: fattori di evoluzione dopo l’Unità e linee di tendenza. Le scuole moltiplicate, il
giornalismo che va per le mani di tutti, l’uguagliarsi delle classi sociali, l’aumentare delle comunicazioni
e dei commerci tra le varie parti d’Italia, le abitudini della vita pubblica contribuiscono alla scomparsa
del dialetto. Oltre alla scuola hanno agito dunque una serie di fattori socioeconomici:
• il fenomeno delle migrazioni interne, connesse con l’urbani zazione e l’industriali zazione. Il
fenomeno comporta l’abbandono del dialetto di provenienza al di fuori degli usi familiari e, almeno
no alla seconda guerra mondiale, l’integrazione linguistica sulla base del dialetto d’arrivo di
maggior prest gio. Dal secondo dopoguerra, l’integrazione linguistica avviene in italiano;
• le forti ondate migratorie verso l’estero a cavallo tra Otto e Novecento, che spingono verso
formalità;
• il servizio militare obbligatorio, che mette in rapporto tra loro soldati provenienti da regioni
diverse, e spinge verso l’italianizzazione dei dialetti e l’adozione della lingua nazionale;
• la stampa e le trasmissioni di massa (cinema, radio, televisione), che sono stati determinanti
per l’espansione dell italiano a scapito dei dialetti e la circolazione di innovazioni lessicali e
linguistiche.
Da una situazione di prevalente monolinguismo diale tale si è arrivati alla situazione attuale di
prevalente bilinguismo con diglossia: oggi la maggioranza degli italiani è composta da italofoni con
la competenza di un dialetto, avvertito però come codice ‘basso’ rispetto all’italiano, e usato in
situazioni comunicative più limitate.
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L’italiano avanza progressivamente sia negli usi familiari sia fuori casa, parallelamente al
decremento del dialetto, che perde parlanti e perde co testi d’uso. I giovani tendono a usare sempre
più l’italiano sia in famiglia sia fuori casa, soprattutto al Nord-Ovest e al Centro. Le aree di maggior
resistenza nell’uso del dialetto continuano a essere il Nord-Est, il Sud e le Isole. Una buona
percentuale della popolazione continua a essere bilingue, e il bilinguismo italiano-dialetto produce
spesso nei parlanti fenomeni di alte nanza di codice opp re di cambio di codice. Il cambio di codice
può avvenire come CODE SWITCHING (= passaggio dall’uso dell’italiano al dialetto e viceversa, nello
scambio conversazionale), oppure come CODE MIXING (= mescolanza di italiano e dialetto all’interno
della frase). Una percentuale sempre crescente di popolazione è solo italofona; la tot le italofonia
tende ad aumentare maggiormente nei medi e grandi centri urbani, e progredisce nelle nuove
generazioni.
Il processo di espansione dell’itali no nel periodo postunitario e nel corso del Novecento è
sempre meno legato al suo principale fattore di diffusione nei secoli passati (la li gua letteraria); sono
entrati in gioco nuove forze e nuovi protagonisti della nostra storia linguistica recente: i giornali e i
mezzi di comunicazione di massa, la pubblicità. Sono questi i principali laboratori in cui si ri novano le
strutture dell’italiano contemporaneo, e i veicoli di diffusione delle innovazioni morfosintattiche e
lessicali, di divulgazione nella lingua comune di termini delle lingue speciali, di prestiti stranieri, di
elementi dialettali o gergali.
Il ruolo dei mass media. I mass media hanno progressivamente acquis to nella storia della lingua
italiana, almeno dalla metà del secolo scorso, una posizione sempre più centrale. Di fronte alla
perduta autorevolezza dei testi letterari, i mass media tendono oggi a proporsi come le nuove fonti
della norma linguistica, come modello espressivo di usi scritti e parlati per una fascia di utenti ampia e
strati cata; per un pubblico che legge poco è soprattutto la televisione il mezzo dotato di maggiore
pervasività e prestigio nell’irradiazione di modelli linguistici.
Un bilancio. L’italiano è diventato solo recent mente una lingua viva e intera. La nostra lingua
appare oggi in trasformazione più rap da rispetto al passato. Le tendenze evolutive più rilevanti degli
ultimi decenni sono:
• si è potenziato l’apporto dell’inglese/angloamericano;
• si sono consolidate le varietà regionali, che soprattutto nell’esecuzione orale rendono oggi quasi
‘risalita’ verso la norma di fenomeni sopra utto morfosintattici emarginati dalla grammatica
tradizionale;
• nell’ambito delle varietà diafasiche dell’italiano si sono potenziati e di ferenziati i sottocodici o
un registro marcatamente informale e dal rap do ricambio del materiale lessicale. Il linguaggio
giovanile utilizza elementi di diversa provenienza in funzione espressiva (l’italiano colloquiale,
dialetti, prelievi dai gerghi e dalle lingue straniere);
• si sono rafforzate e diversi cate le varietà diamesiche, tra i due poli de lo scritto e del parlato. Di
particolare rilievo le varietà di italiano trasmesso (radio, cinema, televisione) e le nuove varietà di
scrittura attraverso i media elettronici. Il linguaggio giovanile utilizzando le nuove modalità di
scrittura vi travasa elementi tipici dell’oralità. Si crea così un ‘iperparlato-scritto’ caratterizzato da
fenomeni gra ci e iconici, zeppo di abbreviazioni, tachigrafìe, onomatopee e prelievi dai fumetti;
• si sono diffuse varietà di italiano parlato da stranieri immigrati in It lia e appreso come seconda
lingua. Si tratta di varietà instabili e fort mente differenziate. Anche se le varietà di italiano di
stranieri hanno caratteristiche speci che, esse sono accomunate da fenomeni di sempli cazione
linguistica de l’italiano nella pronuncia, nella grammatica, nella sintassi e nel lessico.
Apporti di altre lingue. ‘Italiano anglicizzato’? In pa sato nella nostra storia linguistica l’apporto
maggiore di elementi stranieri è venuto dalla Francia e dal mondo iberico. Il francese, almeno no alla
s conda guerra mondiale, continua a essere la lingua straniera più conosciuta e usata dalle persone
colte e la principale fonte dei prestiti. Nel secondo dopoguerra l’af usso di francesismi diminuisce
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drasticame te, per il nuovo assetto storico-politico e la sostituzione del modello franc se con il
modello angloamericano, portatore di nuovi v lori economici e sociali.
L’in usso dello spagnolo è stato piuttosto marginale già a partire dal s condo Seicento.
L’apporto iberico e soprattutto iberoamericano si raffo za nuovamente in vari settori nel Novecento,
con l’intensi carsi dei ra porti politici, economici e culturali → termini politici (falange, franchismo,,
desaparecido, golpe), legati alla vita sociale (macho, movida), danza (tango, cha cha cha, rumba,
samba, merengue, salsa, bachata), sport (goleador, ola, rodeo), gastron mia (paella, tapas, tortilla,
sangrìa), mondo della droga.
L’in usso massiccio dell inglese è recente e si può datare dagli anni settanta del Novecento.
Con la ne della seconda guerra mondiale e l’imporsi del modello americano inizia un consistente
apporto linguistico. Ma solo negli ultimi 30-35 anni è cambiato il peso dell’angloamericano.
L’in ltrazione dell’inglese riguarda più le varietà diafasiche (in particolare le lingue speciali, come quelle
dell’economia, dell’informatica, dello sport, della medicina) che la lingua d’uso.
L’italiano: una lingua che attrae. La fortuna all’estero della lingua itali na è sempre stata
collegata, dal Rinascimento in poi, soprattutto alla forza espansiva della sua tradizione culturale,
letteraria, artistica, musicale. I pr stiti italiani nel lessico di altre lingue (italianismi) sono stati molto
cons stenti in questi settori (è noto che soprattutto nel Settecento sono italiani i termini della musica e
dell’opera). Oggi l’italiano è ancora dotato di una grande forza di attrazione, e il suo studio è in
espansione in tutti i paesi.
Negli ultimi anni sono emersi altri fattori di attrattività della lingua italiana, in part colare il
sistema produttivo italiano, i rapporti economici e culturali con l’estero soprattutto in relazione ai
settori della moda e del design, del cin ma, della canzone e dell’enogastronomia, che fungono da
polo di attrazi ne.
Sperimentalismo ed espressionismo poetico. I poeti della rivista orentina “La Voce” (1908-16)
ri utano sia la tradizione sia la medietà linguistica in nome di un infatic bile e personale ricerca
espressiva. La tendenza espressionistica è una deviazione dalla norma, specialmente nel lessico e
nella formazione delle parole.
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La ricerca espressiva culminerà con le prime esperienze di Giuseppe Ung retti che ridurrà al
minimo l’impalcatura grammaticale e l’ossatura sintattica della sua lingua poetica, potenziando la
concentrazione semantica delle analogie e le arditezze grammaticali.
La nuova grammatica della poesia è ssata dall’ermetismo, il movimento che ricercava
l’autonomia totale della parola poetica come fuga dal prese te. I poeti ermetici forzando la lingua
verso l’allusività e l’astrazione, codi cano una serie di fenomeni stilistici e linguistici ben riconoscibili.
Si differenzia la sperimentazione originale e complessa di Eugenio Mont le, caratterizzata dal
plurilinguismo lessicale, con passaggi dalla parola rara e letteraria al tecnic smo, al dialettismo ligure,
allo stranierismo.
Un linguaggio poetico ‘medio’: adesioni e ri uti. Una linea di media co loquialità attraversa la
poesia novecentesca: da Umberto Saba, in cui sono presenti, accanto al lessico quotidiano, relitti
poetici tradizionali; a Cesare Pavese, che intr duce tratti del parlato e dell’italiano popolare.
Nel secondo dopoguerra, nel clima del neorealismo, si riduce l’in usso della linea ermetica e si
fa strada la tendenza a una lingua poetica più accessibile: i poeti si confrontano con l’italiano dell’uso,
ne assumono i registri parlati e i formali.
Negli ultimi decenni la lingua poetica tende spesso a incorporare il usso del parlato e gli
elementi della dialogicità, mentre la sua ‘diversità’ è segnata quasi solo dalla sintassi e dal sistema
metrico e ritmico.
tempo;
• DIATOPIA: mutamenti della lingua nello spazio.
Per REPERTORIO LINGUISTICO si intende l’insieme di tutte le varietà di lingua presenti in una
comunità di persone. Nel co cetto di varietà di lingua rientrano le lingue uf ciali, nazionali, region li,
standard ed i dialetti; il repertorio linguistico dell’Italia contemporanea include, oltre all’italiano standard
e alle sue varietà, anche i dialetti e n merose lingue non italiane, le lingue alloglotte e le lingue
immigrate. La nozione di repertorio tiene conto delle varietà linguistiche che la comunità impiega e
delle loro norme d’uso. La nozione di repertorio può valere anche in riferimento al singolo indiv duo, ad
indicare le varietà che rientrano nella sua competenza speci ca: il repertorio linguistico individuale è
l’insieme delle varietà di lingua usate da una singola persona.
La DIAMESIA. Individua in prima approssimazione le due fondamentali varietà dello scritto e del
parlato. Due modi di esprimersi la cui principale differenza r posa nel canale di trasmissione.
Il punto di più ampia divergenza risiede nella piani c zione del discorso: la scrittura consente
una progettazione, che in tutte le forme del parlato è minima e nella maggioranza dei casi del tutto
ines stente; anche il parlato ha sue particolari possibilità di autocorrezione, ma esse non possono
cancellare, a differenza di quanto avviene nella scrittura, ciò che è stato enunciato in precedenza.
L’oralità, per parte sua, si avvale con larghezza dei mezzi prosodici e dei tratti paralinguistici.
Fra lingua scritta e lingua parlata è molto diversa ino tre la condizione del destinatario: chi ha
sotto gli occhi un testo scritto può riesaminarlo ed approfondire la sua comprensi ne, mentre il parlato
è fuggevole.
Accanto alla scrittura e all’oralità nella sua forma più tipica e spontanea, quella del lib ro
scambio dialogico fra interlocutori, esistono altri tipi di comun cazione parlata: il monologo e le
multiformi realizzazioni orali legate in qualche modo alla scrittura. La conferenza, la relazione
congressuale, l’oratoria politica o forense possono fondarsi solo su uno schema degli argomenti da
trattare o su appunti essenziali, oppure appoggiarsi su una traccia scritta più ampia e talora su una
stesura completa. I copioni teatrali e cinematogra ci sono redatti come testi scritti, destinati però a
un’esecuzione orale. Anche la lingua della radio e della televisione, almeno nella funzione più
propriamente informativa e giornalistica e nei programmi di divulgazione scienti ca e culturale, si
realizza come oralità se guardiamo al fruitore, ma a partire da testi che sono prima stesi in forma di
scrittura e poi letti. Si è affermata ormai da anni, a proposito della li gua radiotelevisiva, la de nizione
di italiano trasmesso, mentre si parla di trasmesso-scritto in relazione alla lingua di web, chat, e-
mail e sms, che spesso viene a con gurarsi secondo modalità che tendono al parlato.
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La DIASTRATIA. Individua la v riazione determinata da fattori di tipo sociale, correlata allo
status socioec nomico di chi usa la lingua. Nel quadro di un miglioramento generale delle
condizioni di vita negli ultimi decenni, per la linguistica le variabili pertinenti sono costituite non solo e
non tanto da fattori tradizionali come il reddito economico o il patrim nio posseduto, ma dall’incrocio
fra indicatori di vario tipo: l’istruzione scolastica, il tipo di occupazione o di attività lavorativa, la
consuetudine alla lett ra (e la relativa tipologia), le altre occasioni di contatto con la lingua scritta. Si
distingueranno quindi: persone più a culturate (→ italiano formale o colto); la classe dotata di minor
dimest chezza con la sfera culturale, con una competenza attiva o solo dialettale o del dialetto e del
cosiddetto italiano popolare; i ceti che si collocano in una fascia intermedia, portatori di varietà vicine
allo standard ma interferite da elementi tipici del parlato, da popolarismi, da tratti di origine dialettale.
Una peculiare varietà diastratica in via di diffusione è costituita dall’it liano praticato dal crescente
numero degli immigrati.
Si possono iscrivere in un concetto allargato di diastratia anche le variazioni linguistiche legate
al sesso e all’età. Per il primo aspetto, si è osservato che le donne sono più propense a far proprie le
varianti più rispettose della norma e di maggior prestigio; gli uomini sono più inclini all’imprecazione,
all’uso di parole volgari, mentre nelle consuetudini lingu stiche delle donne sono ricorrenti forme
attenuative o affettive. Per la variabile legata all’età, si è individuata una lingua particolare
nell’espressione dei giovani, che ha senza dubbio alcune sue individuali caratteristiche (giovanilese).
La DIAFASIA. Individua le varietà della li gua determinate dalla situazione comunicativa, dalle
funzioni e dalle nal tà del messaggio, dal contesto generale, dagli interlocutori e anche dal suo
argomento. Nello scritto e nel parlato viene adottata una particolare varietà del codice in relazione al
tipo di comunicazione. Si distinguono: le varietà più formali della lingua, che richiedono un forte
autocontrollo; le varietà più informali, consentite dall’immediatezza e dalla spontaneità delle
situazioni che non impongono speciali cure espressive. Si delinea così una scala nella quale trovano
posto i diversi registri della lingua, da un mass mo a un minimo di elaborazione formale.
Si fanno rientrare nel parametro della diafasia anche le varietà della lingua che de niamo
sottocodici, correlati all’arg mento del messaggio: sottocodici tecnico-scienti ci e quelli, meno
specializzati, dello sport, della moda, dei mezzi di trasporto.… Si osservi però che i sottocodici
appartengono in qualche m sura anche alla dimensione diastratica, nel senso che determinati
argome ti sono appannaggio di strati circoscritti della popolazione.
Ad apprezzare meglio le nozioni di diastratia e diafasia, si consideri che fra questi due
parametri corre una differenza fondamentale. Le varietà diastratiche sono legate all’utente in modo
univoco: ognuno di noi può far uso di una sola varietà diastratica, quella del ceto sociale di
appartenenza (o del suo sesso o della sua generazione); viceversa, le varietà diafasiche cui possiamo
ricorrere sono molteplici, dal momento che ogni parlante può esprimersi in un ampio ventaglio di
registri (→ sono legate all’uso).
L’Italia dialettale. L’Italia dialettale si ripartisce in 3 grandi aree, delimitate da due fasci di
isoglosse noti come le linee La Spezia-Rimini, che segna il con ne meridionale dei dialetti del Nord,
e Ancona-Roma, che individua il limite fra le parlate centrali e quelle del Mezzogiorno.
Solo nei dialetti settentrionali occorrono per esempio: la riduzione delle consonanti rafforzate;
la sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche; la caduta delle vocali nali dive se da -a.
Solo in quelli meridionali si rilevano: lo sviluppo della vocale indisti ta [a] in posizione atona; le
assimilazioni -nd- > -nn- e -mb- > -mm-; la sonorizzazione delle cons nanti sorde dopo nasale; la
pospos zione del possessivo; l’uso di tenere per ‘avere’.
I dialetti centrali risultano più conservativi rispetto alle basi latine. Fra essi primeggiano quelli
toscani.
Al’interno di queste 3 aree, si individuano altre suddivisioni. Al Nord distinguiamo i dialetti
gallo-italici da quelli veneti. Fra le parlate del Sud si segnala il con ne che separa le aree
continentali dalla Puglia salentina e dalla Calabria peninsulare, solidali con la Sicilia in alcune
caratteristiche.
In posizione particolare si collocano le parlate della Sardegna e del Friuli, la cui appartenenza
al sistema dei dialetti italiani è controversa. Sardo e friulano sono contrassegnati da fenomeni che ne
designano la sionomia di 2 codici autonomi, nell’ambito delle lingue neolatine. Essi rientrano nelle
lingue di minoranza.
L’uso dei dialetti oggi è in declino, contrastato dall’espansione della lingua comune. Ci sono
però degli ambiti in cui le parlare dialettali paiono ritagliarsi nuovi spazi: i dialetti af orano nel
trasmesso-scritto, nella pubblicità, nelle lingue esposte, nella musica giovanile.
Le varietà regionali di italiano. Con ITALIANO REGIONALE de niamo quella varietà di italiano,
soprattutto parlato ma anche scritto, che mostra a tutti i livelli del codice caratteristiche peculiari di
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un’area geogra ca. I con ni delle regioni amministrative non coincidono sempre con quelli linguistici,
in particolar modo se guardiamo ai dialetti. L’italiano regionale consiste in una reazione di sostrato,
cioè in quel meccanismo per il quale la lingua che si afferma in una determinata area geogra ca
subisce l’in uenza de la lingua dominante in precedenza nello stesso territorio, ma ormai in d clino.
Le varietà regionali di italiano sono ben perc pibili soprattutto nell’intonazione, nella pronuncia e nel
lessico; addirittura si veri ca per molti co cetti/oggetti la coesistenza di perfetti sinonimi marcati in
diatopia, o geosinonimi.
due gruppi ladini del cantone svizzero dei Grigioni e del Friuli. Con ladino si designa il complesso
di idiomi neolatini parlati nella regione alpina centr le e orientale;
• le parlate bavaro-tirolesi della minoranza tedescofona dell’Alto Adige, concentrate nella
provincia di Bolzano. Il tedesco, che è lingua uf ciale nella scuola e nella pubblica amministrazione
in pr porzione al numero degli utenti, non coincide con le parlate locali;
• i dialetti sloveni nella fascia di con ne nord-orientale. Si possono d stinguere gli sloveni della
L’italiano parlato
Caratteri generali dell’oralità. Nel parlato dialogico, locutore e ascoltatore sono compresenti, si
scambiano i ruoli con alternanza (non programmata, irregolare e con sovra posizioni di turno), e con
la possibilità di intervenire in vari modi nel me saggio secondo i meccanismi della “retroazione”:
autocorrezione, correzione degli errori altrui, interventi sugli enunciati dell’interlocutore, controllo del
passaggio dell’informazione.
I tratti principali del parlato spontaneo sono: linearità e immediatezza ne la produzione e
nella ricezione del messaggio; evanescenza del messaggio; uso dei tratti prosodici e di quelli
paralinguistici; compresenza di parlante e interlocutore nello stesso spazio; interazione fra
parlante e ascoltatore.
Il lessico. II lessico dell’italiano parlato non è diverso per natura da quello dello scritto, sono
però diversi i meccanismi di selezione: il parlato privilegia il lessico dei registri informali. La lingua
parlata fa uso rispetto allo standard di un nucleo più ristretto di voci, spesso di signi cato
generico.
Il lessico del parlato si co nota spesso per la coloritura dei toni, per una ricerca di
espressività attuata secondo varie modulazioni. Nascono da “esigenze di affettività” le forme di
diminutivo. Un’evidente espressività induce all’uso di superlativi assoluti enfatici. Allo stesso
versante dell’accentuazione espressiva rispondono i raddoppi menti, le esclamazioni enfatiche,
le espressioni onomatopeiche.
Fra i procedimenti di formazione delle parole si annota uno spiccato grad mento della lingua
orale per i su ssati in -ata.
Ricorrono in particolare nell’oralità dei giovani troncamenti a ettivi.
Alcuni tratti fonologici. Tra gli aspetti fonologici del parlato meritano ri essione solo alcuni
fenomeni di metatesi (es: areoplano) e la tendenza alla ritrazione dell’accento sulla terzultima sill ba in
una tta serie di voci.
Il trasmesso radiotelevisivo e dei nuovi media. È di importanza centrale negli sviluppi dell’italiano
contempor neo, per il solo fatto di raggiungere in relazione ai gradi della diastratia un pubblico del
tutto indifferenziato. La peculiarità più evidente del parlato radiotelevisivo risiede nella sua direzione a
senso unico.
Con l’attenzione rivolta alle più spiccate modalità informative della radio e della televisione,
dovremo collocare l’oralità radiotelevisiva nel settore intermedio della diamesia che corre dallo scritto-
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scritto al parl to-parlato, nel campo dei testi la cui produzione è scritta, ma che sono d stinati a
un’esecuzione orale.
L’italiano trasmesso pa tecipa di alcuni caratteri del parlato ma anche di alcuni caratteri della
scrittura. L’italiano trasmesso si presenta con uno dei tratti fondamentali del parlato, che è la sua
evanescenza nel tempo. D’altra parte esso è accostabile alla scri tura per altri tratti: in quanto
passibile di registrazione può essere usufruito più volte; la sua comunicazione è a una sola
direzione; l’emittente e il destinatario non condividono la stessa situazione spaziale; la
comunicazione è rivolta a una pluralità di persone molto alta e che può essere situata a
grandissime distanze; la comunicazione a viene per lo più a partire dalla scrittura. Il linguaggio
della radio e della televisione, in sintesi, si pone molto spesso come espressione scritta nell’atto della
produzione, ma orale per il punto di vista della ricezione.
Al linguaggio della radio e della televisi ne si richiedono chiarezza e capacità di concisione.
Si è osservato che il linguaggio radiotelevisivo tende a una strutt ra del periodo semplice,
accordando larga preferenza alla paratassi e allo stile nominale.
L’italiano trasmesso ha una capacità di livell mento che si manifesta anche, in direzione più
propriamente standardi zante, nella proposta di un modello di pronuncia sregionalizzato.
Si deve parlare di rapidità, non solo per quanto riguarda il consumo, ma anche in relazione
alla produzione, in merito ai processi comunicativi che si realizzano attraverso pagine web, blog, e-
mail, chat. I testi che si trasmettono attraverso lo schermo del computer non present no contorni e
sionomia de niti. Negli scambi e nelle interazioni che due o più interlocutori mett no in atto con la
digitazione di messaggi via Internet si riproducono le m venze del parlato. L’adesione a uno stile
improntato all’immediatezza e all’informalità fa sì che ci sia una certa noncuranza verso le norme
ortogra co-grammaticali. Nel lessico spiccano gli anglicismi, ma non mancano pure i dialettismi.
L’italiano popolare
L’italiano degli analfabeti e dei semianalfabeti. Verso i gradini più bassi della scala diastratica si
colloca l’italiano popolare: espressione linguistica propria degli incolti e dei semicolti (= coloro che, pur
avendo avuto un’istruzione scolastica di base, non hanno mai a quisito piena competenza della
lingua italiana). Si tratta di una fascia della popolazione valutabile per la quale si parla di
‘analfabetismo di ritorno’: sostanziale incapacità a comporre ed intendere in modo corretto un
testo, pur breve ed elementare, rel tivo a eventi di pubblico dominio.
L’italiano popolare è orientato verso il parlato in diamesia e si realizza per lo più nei registri
inferiori dell’asse diafasico, nelle occasioni di minor controllo formale.
I fenomeni che ne de niscono la sionomia investono tutti i settori della lingua e devono essere
ricondotti, in sintesi, all’in usso delle parlate diale tali e alla spinta dell’oralità, che ripetono la scarsa
coesione e la dif coltà di progettazione del parlato-parl to.
Nella scrittura sono continue le incertezze gra che. In fonetica i tratti di italiano popolare
individuati dagli studiosi sono quasi tutti il ri esso di abitudini dialettali. Quanto alla sintassi, sono
continue le incertezze nell’uso delle preposizioni. Il lessico dell’italiano popolare è contrassegnato
dall’impiego delle stesse voci generiche.
Il gergo
I gerghi storici. Nell’accezione più tecnica e ristretta il gergo è la lingua propria di alcuni
gruppi di persone ai margini della società, che ne fanno uso all’interno della loro cerchia, con la
nalità primaria di pr muovere il senso di appartenenza al gruppo, la sua autoidenti cazione e
coesione interna, e con il risultato di escludere dalla comprensione gli estranei. Il parametro
fondamentale per individuare il gergo è quello diastratico: una lingua parlata (ma talora anche scritta)
da categorie di bassa estrazione sociale e collocate alla periferia del consorzio civile.
I tratti più rilevanti dei gerghi storici devono essere ricercati nel lessico, che si forma su basi
dialettali e secondo alcuni procedimenti caratteristici.
I gerghi transitori e altri usi della voce ‘gergo’. Si tratta dei gerghi che hanno origine dalla
convivenza temporanea in ambienti di segregazione più o meno coatta, come il carcere, il collegio,
la caserma.
fi
fi
fi
fi
a
fi
o
z
fl
fi
r
a
fi
v
o
fl
t
a
a
fi
o
c
t
u
o
a
fi
e
Il gergo penetra nella li gua dei giovani, della quale costituisce una componente non
secondaria.
Negli usi correnti, al termine si attribuiscono anche due sign cati estensivi: di ‘terminologia
speci ca di una certa classe o professione’ e di ‘modo di pa lare oscuro e allusivo’.
L’italiano burocratico
Lessico e sintassi della lingua degli uf ci. C rattere costante e tradizionale dell’espressione
burocratica è quello di ess re un po’ intimidatoria, tale da incutere nel destinatario un certo rispetto.
Ciò contribuisce, almeno in parte, a spiegarci l’inclinazione del linguaggio burocratico a tratti formali
che tendono a distanziarsi da quelli più corre ti, in uno sforzo di nobilitazione espressiva.
Il lessico della lingua degli uf ci abbonda per esempio di sinonimi prete ziosi, assunti secondo
alcune accertate modalità: frequente è il ricorso al serbatoio del latino. Tipiche del linguaggio
burocratico sono poi le locuzioni sovrabbondanti. Non poche sono le forme ormai antiquate.
Le lingue speciali
Problemi di classi cazione. Nelle lingue speciali si accomunano spesso i linguaggi tecnico-
scienti ci, quelli delle discipline umanistiche (del diri to, della sociologia, della critica d’arte, della
linguistica ecc.), quelli dei mass media, della pubblicità e altri ancora.
La prima importante distinzione ci è offerta dalla nozione di SOTTOCODICE, le varietà della
lingua correlate all’argomento, alla disciplina di cui si tratta, la cui peculiarità è proprio il riferimento a
un determinato ambito special stico. All’interno di ogni sottocodice possono e serci poi ulteriori
specializzazion (sottosottocodici). Altra è la natura delle espressioni veicolate da particolari mezzi di
comunicazione, la cui caratteristica più pertinente consiste nella speci cità del canale di trasmissione.
Fra le lingue speciali entrano anche i linguaggi relativi a quei campi dell’attività umana non
classi cati di norma come scienti ci, che pure presentano un grado più o meno elevato di
specializzazione, soprattutto lessicale: lo sport, la moda, il turismo, i trasporti, la gastronomia e altri.
Tutte le lingue speciali si possono realizzare in una v sta pluralità di registri, differenziandosi al
loro interno secondo il param tro della diafasia. In realtà l’escu sione diafasica delle lingue speciali
soffre di limitazioni diverse a seconda che si scenda nella scala dalle scienze più formalizzate agli altri
linguaggi. La variazione diafasica delle lingue speciali è ci coscritta verso il basso (l’informalità) per le
scienze più sistematiche e cod cate e verso l’alto (la formalità) per quelle attività sociali che non
catal ghiamo nell’ambito delle discipline scienti che.
Le lingue speciali si differenziano inoltre secondo la diastratia, individuata secondo categorie
professionali piuttosto che socioeconomiche e di preparazione culturale.
Tratti testuali e sintattici. A partire dal lessico, la ripetizione di una parola a breve distanza si
veri ca molto più spesso che nell’espressione comune. Il dettato scienti co ha per tipologia una
dimensione dimostrativo-esplicativa e che ricorre perciò volentieri a espressioni intr duttive,
premesse, presupposti, che cost tuiscono l’antecedente logico dell’argomentazione, cui segue la
deduzione delle conseguenze.
Anche sul piano della strutturazione sintattica le lingue speciali mostrano alcune scelte
preferenziali. Vi è un processo che porta alla cancellazione del ve bo: esso può essere sostituito da
locuzioni preposizionali e da sintagmi nominali. Per quanto riguarda i verbi, essi sono limitati nella
gamma dei te pi, dei modi e delle persone: prevale fra i tempi il presente, af ancato dal futuro; fra i
modi è dominante l’indicativo, anche se il congiuntivo non è infrequente così come il condizionale; per
quanto concerne le persone, la dissertazione è per lo più svolta in terza persona, ma si avvale anche
della prima plurale. Ma il dato più macroscopico nell’uso delle persone è la tende za a servirsi di
forme impersonali. Si nota anche una spiccata propensione per le forme passive del verbo.
L’italiano standard
La nozione di lingua standard. Si intende un’espressione dotata di una sostanziale stabilità,
garantita da la codi cazione grammaticale, depositata nei vocabolari, capace di piega si alla
produzione di qualsiasi tipo testuale. In quanto standard una lingua ha una funzione uni catrice.
Si ind viduano nell’italiano contemporaneo il punto di arrivo di una lingua che ha le sue origini
nel orentino scritto del Trecento ed è diventata lingua letteraria comune nel corso del
Cinquecento, anche in assenza di unità politica. Essa ha consolidato la sua dimensione parlata solo
negli ultimi decenni.
Linee di tendenza
I tratti in via di espansione. Una lingua standard è stabile ma non immobile. Mioni, Sabatini e
Berruto, intorno alla metà degli anni ‘80, hanno cercato di de nire quei tratti che conferiscono una
rinnovata sionomia alla lingua d’oggi e che consentono di fotografare lo status attuale dell’itali no e
di ipotizzare la nascita di un nuovo sta dard o neostandard.
• Pronomi: lui, lei e loro in funzione di soggetto; gli come dativo plurale; lo come pronome neutro
che riprende un predicato o una proposizione; ci con avere e con altri verbi; cosa e che
interrogativi a scapito di che cosa.
fi
fi
i
fi
fi
l
i
m
fi
i
i
a
i
n
t
fi
a
e
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t
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e
fi
fi
fi
n
n
fi
o
r
a
fi
Costrutti preposizionali con il partitivo; a gettivi invariabili di voci appartenenti ad altre categorie
•
grammaticali; uso di come mai interrogativo e delle congiunzioni subordinative tipiche del pa lato.
• Imperfetti modali; presente pro futuro, futuro epistemico e perifrasi sost tutive del futuro; verbi
pronominali con valore di intensi cazione affettiva; costrutti della sintassi marcata (dislocazioni a
sinistra e a destra, frase scissa, tema sospeso, c’è presentativo) e l’uso del che pol valente.
Dentro i binari della norma tradizionale, invece, si è osservato che alcuni esiti e costrutti sono in forte
declino. In particolare, fra gli altri: la i prostetica; le varianti sintetiche per le preposizioni articolate per e
con; le forme eufoniche ad, ed; vi, sostituito da ci con valore locativo e con l’ausiliare essere; l’uso di
codesto/costì/costà, di ella/loro come allocutivi, di quale a gettivo interrogativo ed esclamativo
(contrastato da che), del dimostrativo ciò (soppiantato da questo e quello quando ha funzione di
pronome neutro).
Tutte queste evoluzioni de niscono un ‘italiano dell’ so medio’ diverso dallo standard
tradizionale, ormai ammissibile nel parl to e negli scritti di media formalità e non interferito da varietà
geogra che. Alcuni studiosi hanno proposto l’etichetta di ‘italiano neostandard’, intesa a
sottolineare la contiguità con lo standard e l’accettabilità nella norma dei fenomeni innovativi della
lingua contemp ranea.
Nell’inventario delle nuove forme che darebbero vita al neostandard trovano p sto molti usi
sbilanciati in relazione agli assi della variazione linguistica, vivi in particolare negli usi parlati piuttosto
che in quelli scritti.
ELEMENTI DI TESTUALITÀ
La tipologia tradizionale. I tentativi di classi cazione dei testi letterari risalgono all’antichità: gli
studiosi di retorica avevano individuato nei macroatti li guistici della descrizione, della narrazione,
dell’esposizione e dell’argome tazione le tradizionali partizioni del discorso prosastico. Tali partizioni
tr dizionali vengono riprese dalle recenti tipologie testuali che includono a che i testi pragmatici. La
più diffusa di queste tipologie è quella proposta da E. Werlich, che distingue cinque tipi fondamentali
di testi: narrativo, descrittivo, espositivo, regolativo, argomentativo.
TESTO NARRATIVO Registra un’azione o un processo nello svolgersi del tempo. Gli ambiti del
narrativo non includono solo la letteratura, ma anche testi pragmatici: narrazioni possono tr varsi in
articoli di giornale, nelle biogra e (e autobiogra e), in resoconti di viaggi. Gli eventi e le trasformazioni
raccontati sono disposti in una s quenza che può coincidere con il progressivo svolgersi del tempo; in
questo caso si avrà coincidenza tra la fabula (→ ordine naturale degli eventi nella loro successione
causale e temporale) e l’intreccio/trama (→ reale disposizione degli eventi nel racconto). Non
sempre però si ha questa coincidenza: il narratore può interrompere la successione lineare degli
avvenimenti a traverso l’analessi/ as back o la pr lessi.
TESTO DESCRITTIVO Rappresenta persone, oggetti, ambienti in una dimensi ne spaziale.
La descrizione può essere condotta secondo un criterio spaziale o un criterio logico. Se la
descrizione letteraria ricerca il coinvolgimento emotivo, anche con l’esplicitazione della soggettività
dell’autore, più neutre e oggettive cercano di essere le descrizioni nei testi pragmatici, specialmente di
tipo tecnico. Il testo descrittivo è per sua natura scarsamente autonomo; lo si trova solit mente
all’interno di altri tipi di testo nei quali può assumere funzioni d verse. A seconda del rapporto che il
testo descrittivo instaura con il proprio referente è possibile distinguere 2 tipi basilari di descrizione. Gli
oggetti descritti possono e sere distinti in reali o ttivi, con una ulteriore suddivisione per entrambi in
oggetti particolari e oggetti generici.
a
fi
t
o
s
n
fi
e
fl
fi
fi
h
a
fi
g
fi
o
fi
fi
n
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u
i
n
g
i
o
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r
fi
o
a
TESTO ESPOSITIVO È nalizzato all’organizzazione e alla trasmissione di co cetti e
conoscenze attraverso procedimenti di analisi e di sintesi. Tra i testi espositivi si possono ricordare
le lezioni, i manuali scolastici, i saggi di divulgazione, alcuni articoli giornalistici, le voci enc clopediche,
la poesia didattica.
TESTO REGOLATIVO Ha lo scopo di indicare regole, dare istruzioni, in modo tale da indirizzare
il comportamento del destinatario. Tra i testi regolativi si ricordano le leggi, i regolamenti, gli statuti, le
regole dei giochi, le ricette di cucina, le istruzioni per l’uso.… Poiché impongono o indirizzano il
comportamento dei destinatari, i testi regolat vi devono essere intesi come provenienti da una autorità,
che può essere tale istituzionalmente oppure perché le si riconosce una particolare comp tenza in
una determinata materia.
TESTO ARGOMENTATIVO Ha lo scopo di persuadere di qualcosa il destinatario; deve indurre
quest’ultimo ad accettare o a valutare positivamente o negativamente determinate idee e convinzioni.
Tra i testi argomentativi si ricordano i saggi scienti ci, le recensioni cr tiche, gli interventi a un dibattito,
i discorsi politici, le arringhe degli avv cati, gli articoli di fondo dei gio nali. Gli “ingredienti” del testo
argomentativo e la sua struttura sono: un’esposizione del tema rispetto al quale si d chiara; una tesi;
gli argomenti in favore della tesi; l’antitesi e gli argomenti contro questa; una conclusione. Questo
tipo di testo deve tenere conto dell’uditorio, la cui conoscenza è fondamentale per il dispiegamento
delle strategie argomentative, per la scelta dei tipi di arg mentazione a favore della tesi da sostenere:
dipenderà molto dal tipo di uditorio la scelta tra argomenti logici (→ fondati sui rapporti causali),
argomenti pragmatici (→ fanno leva sui vantaggi concreti ott nibili sostenendo una data tesi) e
argomenti d’autorità (→ la gi stezza della tesi è affermata in base a ciò che dice qualcuno che si
ritiene dotato di particolare sapere o esperienza in quel campo).
Il vincolo interpretativo come parametro tipologico. Una proposta tipol gica diversa è stata
avanzata da Sabatini. Egli propone un modello che si fonda sul principio di rigidità/elasticità del
vincolo interpretativo posto da chi produce il testo al destinatario: il produttore di un testo, nel
rivolgersi a un destinatario, è guidato da un parametro costituito dalla volontà di regolarne in modo più
o meno rigido l’attività interpretativa. Per mezzo di tale parametro si possono individuare 3 grandi
classi di testi:
• testi per i quali il vincolo interpretativo posto dall’emittente al destinatario è mass mo. La libertà di
interpretazione è regolata se non ristretta al massimo. L’autore espone i concetti con massima
precisione, allo scopo di condurre e costringere il le tore a dare un’interpretazione del testo e
assumere una posizione di pensi ro identiche alle proprie;
• testi per i quali l’emittente tempera la necessità di un’interpretazione aderente alla propria, poiché
intende far raggiungere per gradi al destinatario uno stadio di conoscenze o posizioni diverso da
quello di partenza; o ancora la necessità di un’interpretazione corretta è mitigata dalla
consapevolezza della possibile controvertibilità delle proprie tesi (saggi critici, testi giornalistici… );
• testi per cui non vi è da parte dell’emittente una rigida volontà inte pretativa: al destinatario viene
Classi fondamentali Classi intermedie distinte in base alle funzioni speci che Tipi testuali concreti
C. Testi poco vincolanti C1-C2. Testi d’arte (‘letterari’) Opere con nalità d’arte o che assumono forme
artistiche per altri ni
Funzione espressiva, basata sull’intenzione di
esprimere un proprio modo di sentire e di metterlo a
confronto con quello di altri.
pronomi, nomi, aggettivi, verbi, perifrasi, iperonimi, sinon mi, fenomeni di ricorrenza, nomi generali;
• segnali disco sivi: elementi che appartengono a varie categorie gramm ticali e che, perdendo
parzialmente il loro signi cato originario, hanno tra le funzioni primarie di indicare l’articolazione del
testo, i rapporti tra le sue parti e di collocare il testo in una dimensione interpersonale nel caso del
parlato, Quando sono usati per co legare tra loro parti di testo, la loro funzione più speci ca è di
connettivi testuali, e sono per lo più collocati all’inizio di un enunciato.
successivi;
• progressione a temi derivati da un ipertema/iperrema;
• progressione con sviluppo di un tema o di un rema dissociato;
• progressione tematica a salti.
Nella realtà dei testi i vari tipi di progressione tematica si presentano gen ralmente insieme.
La coerenza semantica riguarda la compatibilità tra i signi cati di par le/sintagmi/proposizioni.
La DEISSI. È il fenomeno per il quale alcuni elementi linguistici hanno la pr prietà di mettere in
relazione l’enunciato con la situazione in cui questo è prodotto. Tali elementi sono detti deittici e la
loro corretta interpretazione dipende dalla conoscenza dei partecipanti all’atto comunicativo e della
loro collocazione spazio-temporale. Possiamo distinguere tre tipi principali di deissi: personale,
spaziale e temporale.
I costrutti marcati. In italiano l’ordine basico dei costituenti di una frase è dato dalla sequenza
SVO ; talora, però, quest’ordine non è rispettato per particolari esigenze comunicative, e a esso si
preferisce un ordine marcato dei costituenti.
Una frase può essere considerata marcata sotto tre aspetti:
• sotto il pro lo fonologico quando presenta dei picchi intonativi e non un andamento continuo;
fi
a
fi
o
fi
fi
fi
fi
fi
e
o
i
o
n
o
s
e
t
n
o
a
•sotto il pro lo sintattico quando l’ordine basico dei costituenti non è rispettato;
•sotto il pro lo pragmatico quando alcuni elementi vengono messi in r lievo per determinati ni.
L’ordine delle parole all’interno di un enunciato può essere considerato anche dal punto di
vista dell’articolazione tema-rema. Non sempre vi è coincidenza tra soggetto-tema e predicato-rema;
molto spesso le ragioni pragmatiche prevalgono sulla sintassi, così da dar lu go a costrutti marcati.
Il più frequente di questi costrutti è la dislocazione a sinistra: un elemento diverso dal
soggetto viene spostato a sinistra dell’enunciato, divenendone il tema-dato, ed è quindi - quasi
sempre - ripreso da un clitico nella parte successiva.
La dislocazione a destra è una costruzione che consiste nell’isolare a destra dell’enunciato
un costituente, che viene anticipato da un pronome clitico.
Un altro costrutto marcato è la topicalizzazione contrastiva: un costituente con valore di
‘nuovo’ viene collocato all’inizio di frase ed è pronunciato con enfasi.
Pragmaticamente simile alla topicalizzazione è la frase scissa. Anche in qu sto caso vi è,
nell’enunciato, un’enfatizzazione, sia sintattica che intonativa, di un elemento, spesso con valore
contrastivo, al quale è af data la pa te nuova dell’informazione.
L’italiano contemporaneo
LA LINGUA ITALIANA OGGI
Caratteri dell’italiano
L’ita. deriva dal latino volgare (→ latino parlato nella tarda età imperiale nelle varie zone
dell’Impero in cui Roma era riuscita a imporre la propria lingua, la Romània). Tra le lingue romanze non
è solo quella rimasta per vari aspetti più vicina al latino volgare, ma anche quella che ha avuto un più
continuo contatto col latino classico, da cui ha ripreso moltissime parole (latinismi o parole dotte,
contrapposte alle parole popolari - es.: ‘ oreale’ rispetto a ‘ ore’) e alcune strutture morfosintattiche
(es: formazione superlativo di tipo sintetico, con suf sso ‘-issimo’).
L’ita è nato dall’elaborazione di una parlata locale, promossa a lingua dell’uso nazionale. L’ita
deriva nelle sue strutture linguistiche fondamentali dal dialetto orentino del ‘300, nell’elaborazione
letteraria che ne fecero le “3 corone” e che poi i grammatici del ‘500 posero a modello dell’uso
scritto. In Italia fu dunque la letteratura alla base dell’uni cazione linguistica. Il orentino riuscì a imporsi
sugli altri dialetti, almeno nell’uso scritto, non grazie a un predominio politico, ma in virtù di altri fattori:
l’alto valore letterario dei grandi scrittori del ‘300; certe caratteristiche strutturali che rendevano il
dialetto orentino meno lontano dal latino e lo ponevano in una posizione di medietà tra gli altri dialetti
della penisola; il prestigio di Firenze in altri campi socioculturali.
L’origine colta della nostra lingua, che si rifaceva a una tradizione letteraria già arcaica quando
venne istituzionalizzata, spiega perché l’ita non abbia avuto all’inizio dell’epoca moderna
un’evoluzione strutturale tale da staccarsi totalmente dalla fase medievale.
Fino all’uni cazione nazionale nel 1861, l’ita fu una lingua usata soprattutto nello scritto. Prima
dell’Unità l’ita, al di fuori della Toscana, era una lingua nota a un numero di persone alquanto ridotto,
almeno per quello che riguarda la “competenza attiva”; più estesa era, invece, la “competenza
passiva”. La maggioranza della popolazione parlava uno dei dialetti. Il ridotto uso parlato dell’ita
favoriva la stabilità e la conservatività delle strutture della nostra lingua.
A partire dall’Unità, in seguito a vari fattori (→ progressiva alfabetizzazione legata all’obbligo
scolastico; emigrazione esterna e interna; urbanizzazione; mutate condizioni sociali, economiche e
culturali; contati più forti tra cittadini ed apparati amministrativi statali; sviluppo dei mezzi di
comunicazione di massa), l’ita ha progressivamente ampliato i propri ambiti d’uso.
La progressiva espansione dell’ita ha avuto notevoli conseguenze. Dopo una fase di
sistemazione grammaticale, durata almeno no a ne anni ’50, il crescente uso anche orale dell’ita ha
determinato una pressione del parlato sulle strutture dello scritto; questa pressione ha provocato varie
ristrutturazioni del sistema linguistico. Mutato è anche il rapporto tra ita e toscano: Firenze e la
Toscana solo nel periodo iniziale dello Stato unitario ganno mantenuto la posizione di centralità sul
piano linguistico; poi hanno nito col perderla a vantaggio ora di Roma,, ora dei centri industriali del
Nord, che si sono rilevati più capaci di imporre innovazioni linguistiche o più in sintonia con
l’evoluzione del sistema.
L’italiano standard
Per secoli l’ita, a causa del suo uso prevalentemente scritto, è stato una lingua stabile e poco
compatta al suo interno. La lingua letteraria prevedeva una netta distinzione tra poesia e prosa. L’uso
scritto consentiva un’abbondante polimor a (= coesistenza di più forme tra loro sostanzialmente
equivalenti).
Nel corso del ‘900 e no ad oggi, l’ita da una parte ha rinunciato, anche in poesia, agli
arcaismi propri del linguaggio poetico, dall’altra ha fortemente ridotto la polimor a.
A questo processo di sempli cazione ha corrisposto un processo di normativizzazione: la
tradizione grammatical e la prassi scolastica (“ita delle maestre”), almeno per un certo lasso di tempo
basato sull’uso orentino e toscano, hanno progressivamente imposto una serie di regole, che si sono
poi largamente diffuse.
L’insegnamento scolastico e gli altri importanti canali di diffusione hanno reso l’ita
contemporaneo un sistema molto più compatto rispetto al passato, e hanno contribuito a un secondo
processo di standardizzazione.
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fl
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La nozione di ‘lingua standard’ è complessa, ma si può indicare nello ‘standard’ l’uso
linguistico che l’intera comunità dei parlanti riconosce come corretto: il modello di lingua proposto
nelle grammatiche, quello usato dalle persone istruite sia nello scritto che nel parlato. L’ita standard
contemporaneo non è riconducibile alla tradizione letteraria. L’ita letterario contemporaneo presenta
una notevole varietà di realizzazioni sul piano linguistico, spesso in esplicita violazione dello standard
tradizionale e non costituisce più il punto di riferimento per lo standard contemporaneo.
Un problema particolare dell’ita standard parlato è costituito dall’assenza di uno standard
parlato; anche se uno standard esisterebbe: si tratta del “ orentino emandato”, basato sulla pronuncia
colta di Firenze, insegnato solo in apposite scuole di dizione.
Le varietà dell’italiano contemporaneo. Ogni lingua, quanto più è diffusa nello spazio e nel
tempo, tanto più presenta, nelle sue manifestazioni concrete, una serie di differenze, dovute a variabili,
dette assi di variazione.
La v. DIAMESICA è quella legata al mezzo materiale in cui avviene la comunicazione, che
distingue la lingua dei testi parlati da quella dei testi scritti. Alle tradizionali categorie dello scritto e
del parlato è stata aggiunta quella del trasmesso, con riferimento prima al parlato a distanza, poi
anche allo scritto.
La v. DIACRONICA è quella legata al tempo; il passare del tempo determina un mutamento
linguistico. Alcune differenza si rilevano già nell’uso linguistico dei giovani rispetto a quello degli
anziani. Il mutamento linguistico può avvenire per fattori interni al sistema della lingua, che determina
l’abbandono di certe forme a vantaggio di altre, lo sviluppo di processi di grammaticalizzazione
primaria e secondaria, e di lessicalizzazione. Ma possono determinare cambiamenti nell’uso anche
fattori esterni, come il contatto con altre lingue, che provoca interferenza tra i sistemi distinti e anche
fenoli culturali e trasformazioni sociali.
La v. DIATOPICA è quella legata allo spazio: una stessa lingua assume caratteristiche diverse
a seconda delle singole zone in cui è usata. La ricchezza dei dialetti ha avuto e continua ad avere
ri ussi notevoli sull’ita che a quei dialetti si è sovrapposto, soprattutto sul piano fonetico e su quello
lessicale, determinando la nascita degli italiani regionali.
La v. DIASTRATICA è quella legata alla posizione sociale del parlante e dipende da vari
fattori: il genere, l’età, la classe sociale, le condizioni economiche, il grado di istruzione. In Italia è stato
notato che ha ri essi linguistici più il livello di istruzione che non il reddito: la varietà “bassa” è stata
spesso de nita “ita popolare”.
La v. DIAFASICA è quella legata alla situazione comunicativa, all’argomento trattato, al
grado di con denza che si ha con l’interlocutore. Da questi attori deriva la scelta di un registro
linguistico formale o informale. Appartengono alla v.diafasica anche i sottocodici, cioè i tratti,
prevalentemente lessicali, propri dei linguaggi settoriali o lingue speciali.
Un nuovo italiano?
Un fatto notevole è lo sviluppo, nel parlato e nello scritto mediamente formale e informale di
persone colte, una nuova varietà di ita, he è stata individuata e de nita “ita dell’uso medio” e “ita
neostandard”. Questa varietà di ita è caratterizzata da fatti morfosintattici e lessicali che non sempre
rappresentano delle effettive novità; spesso si tratta di fenomeni già documentati in testi del passato,
ma censurati o ignorati dalle grammatiche. Tali fenomeni si sono progressivamente diffusi, tanto da
apparire ormai del tutto normali sia nel parlato che in molti tipi di testi scritti.
LESSICO
Il concetto di lessico
È il complesso delle parole di una lingua.
L’unità fondamentale del lessico è il lessema, che non sempre corrisponde a una parola, ma
è al tempo stesso più ristretto (→ molte parole formalmente diverse costituiscono un unico lessema9
e più ampio (→ può essere formato da più parole tra loro combinate).
fl
fi
fi
fl
fi
fi
Il lessico è il livello della lingua più esposto al contatto con la realtà extralinguistica. La
linguistica moderna ha elaborato il concetto di arbitrarietà del segno: il nome delle cose è
generalmente immotivato, come dimostra la varietà dei nomi che lingue o dialetti diversi danno agli
stessi oggetti/animali/eventi; inoltre, l’individuazione delle “cose” varia da lingua a lingua.
All’interno del patrimonio lessicale è possibile individuare rapporti tra vari lessemi, che
costituiscono una struttura precisa, tanto sul piano sintagmatico (→ legame che un lessema ha con
gli altri che compaiono nello stesso enunciato) quanto sul piano paradigmatico (→ legame di un
lessema con altri che potrebbero comparire al suo posto all’interno dell’enunciato).
Negli studi lessicali è stata fatta un’opportuna distinzione terminologica tra il lessico - che
comprende la totalità dei lessemi di una lingua - e il vocabolario - che costituisce una parte delimitata
del lessico, usata in una scienza, in un linguaggio settoriale, da un gruppo sociale. Nei linguaggi
scienti ci, in particolare, il vocabolario è ordinato gerarchicamente ed è costituito da termini il cui
signi cato è circoscritto. Nei vocabolari delle scienze, i lessemi hanno una funzione denotatativi, cioè a
de nire in modo oggettivo/neutro; nel linguaggio comune, molti lessemi hanno una funzione connotati,
esprimendo anche valutazioni soggettive, affettive o espressive.
Tra i lessemi si possono distinguere le parole semanticamente piene (nomi, verbi, aggettivi,
alcuni avverbi) e le parole grammaticali/funzionali/vuote (articoli, pronomi, preposizioni,
congiunzioni, molti avverbi). Quest’ultima classe è tendenzialmente “chiusa”, perché in essa non si
possono inserire nuovi elementi, come avviene invece nel caso delle parole piene.
Il lessico è costituzionalmente “aperto”, si arricchisce continuamente di nuove entrate
(neologismi), ma al tempo tesso subisce anche delle perdite (arcaismi).
Notevole incidenza sul piano lessicale hanno i contatti con altre lingue, che determinano
l’introduzione di prestiti. Il fenomeno del prestito è dovuto a fattori extralinguistici: il contatto tra lingue
diverse si può avere per contiguità territoriale o in seguito a movimenti demogra ci, a eventi politici, a
scambi economic, a rapporti culturali. Nel prestito linguistico molto importante è il concetto di
prestigio: è la superiorità di un popolo in un determinato campo a favorire l’accoglimento di parole
della lingua di quel popolo in altre lingue.
Il lessico italiano
L’italiano dispone di un lessico molto ampio, che è progressivamente cresciuto nel corso dei
secoli. Nessun italiano conosce o usa l’intero lessico della propria lingua, ma solo una parte ridotta di
questo: il vocabolario di ciascuno varia in rapporto all’età, alla cultura, alla professione, agli interessi, ai
rapporti sociali… Gli stessi dizionari raccolgono solo una parte del lessico ita.
All’interno del patrimonio lessicale è possibile distinguere porzioni di lessico comuni o
largamente condivise: il vocabolario di base, che è suddiviso al suo interno in 3 fasce:
• lessico fondamentale: parole funzionali, verbi, sostantivi, aggettivi e avverbi più frequenti, che
anche se non vengono nominati spesso, sono ben noti a ogni parlante.
Altri lessemi appartengono al “vocabolario comune” e compaiono in testi più complessi,
soprattutto scritti, comprensibili a chi è fornito di un’istruzione medio-alta. Il vocabolario di base ed il
vocabolario comune costituiscono il vocabolario corrente.
Al di fuori del vocabolario corrente si situano i lessemi propri della lingua letteraria o dei vari
linguaggi settoriali.
Le voci gergali sono le parole proprie dei linguaggi usati da gruppi ben de niti, i quali, per
comunicare tra loro in modo da non farsi comprendere da estranei e per riconoscersi come
appartenenti allo stesso gruppo, utilizzano voci della lingua comune o di base dialettale modi cate o
nel signi cato o nel signi cante.
I regionalismi sono lessemi relativi a concetti legati a cose, fatti, eventi della realtà quotidiana,
ma che non sono estesi sull’interno territorio nazionale, ma solo nelle varietà di ita parlate in alcune
regioni o subregioni; per lo più si tratta di voci proprie dei dialetti locali. Molto marcata localmente è la
fraseologia. Come i termini dei vocabolari settoriali, anche le voci regionali possono entrare nell’ita
comune. Tra i regionalismi particolarmente interessanti sono i geosinonimi, che indicano gli stessi
oggetti in aree geogra che diverse.
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Le componenti del lessico italiano
• Parole di origine latina.
• Prestiti (o forestierismi).
• Neoformazioni.
Le componenti latina e greca. All’interno delle componente latina vanno individuate le parole
popolari, quelle di tradizione diretta o ininterrotta, che dal latino sono passate nella nostra lingua.
Dalle parole popolari vanno tenuti distinti i latinismi, le parole dotte che non sono passate dal latino
classico al latino volgare e poi all’ita, ma sono state recuperate nel lessico ita, anzitutto nella lingua
scritta, in momenti diversi (dal ‘200 a oggi).
Non di rado, da una stessa base latina sono derivate 2 parole ita, una popolare e una dotta,
diverse sia nella forma sia nel signi cato, che vengono chiamate allotropi.
Oltre alle voci di tradizione diretta, moltissimi altri termini di origine latina sono stati introdotti
per via dotta, dal Medioevo a oggi, nel lessico ita. A molte parole pervenute per via popolare sono
legati aggettivi relazionali di coniazione dotta e la diversa tra la spiega differenze fonetiche.
Il latino ed il greco hanno costituito un serbatoio prezioso per il lessico ita. I latinismi si sono
ben integrati, perché hanno per lo più assunto veste fonomorfologica ita. Ciò non si è veri cato nei
latinismi d’uso colto e specialistico e per quelli entrati tramite un’altra lingua straniera.
La componente greca si può per più di un verso accostare a quella latina di origine dotta. I
grecismi sono stati infatti introdotti prevalentemente in epoca moderna per via dotta e sono spesso
propri del linguaggio scienti co internazionale.
Sia il latino che il greco hanno fornito all’ita elementi per formare parole nuove: pre ssi (super-,
iper-), suf ssi (-essa, -ista) e con ssi (auto-, -logia).
I prestiti. Si tratta di parole tratte da altre lingue con cui la nostra è venuta in contatto per
vicende politiche, economiche o culturali. I forestierismi del nostro lessico sono molti, anche se non
tutti rivelano la propria origine straniera. Questa è percepita solo nel caso dei prestiti non adattati, che
sono diventati sempre più numerosi dall’800 a oggi. Fino all’800, invece, le voci straniere sono state
per lo più adattate e integrate al sistema dell’Itaca, dal punto di vista sia fonetico sia morfologico. Il
prestito può consistere semplicemente in un nuovo signi cato aggiunto a voci già esistenti: si parla di
prestiti semantici, tra i quali si distinguono quelli omonimici (basati sulla somiglianza del
signi cante) e quelli sinonimici (basati sulla somiglianza del signi cato). Una parola o una locuzione
straniera può entrare in un’altra lingua grazie al calco; anche per i calchi si distingue tra quelli
omonimici e sinonimici.
Normalmente parole che sono polisemiche nella lingua di partenza in quella d’arrivo
mantengono uno solo dei loro signi cati; frequente è il caso dell’acquisizione di un signi cato diverso
da quello originario. Possibili sono anche i mutamenti di categoria.
Se si passano in rassegna le varie categorie di forestierismi del lessico ita, i primi in ordine
cronologico sono i germanismi, le voci tratte dalle lingue delle varie popolazioni germaniche che
invasero la penisola dopo il crollo dell’Impero romano. Molti gurano nel lessico fondamentale: nomi
che si riferiscono a parti del corpo (guancia, anca), a oggetti di ambito domestico (sapone, balcone), a
concetti generali (guerra) o astratti (astio); aggettivi relativi a colori (bianco, biondo); verbi come
guardare, rubare, scherzare. D’origine germanica sono anche alcuni suf ssi, come -ingo e -ardo.
Nel Medioevo si sono diffusi molti arabismi: l’arabo ha dato all’ita numerose parole, tra cui le
voci legate al commercio (ragazzo, magazzino) o a prodotti importati dall’Oriente (albicocca, carciofo,
zucchero) e termini propri di ambiti scienti ci come la matematica (zero, algebra) o l’astronomia (zenit,
nadir). Successivamente sono entrate alcune voci dal turco (divano, caffè, yogurt).
Il contingente di ebraismi annovera parole di uso liturgico (amen, alleluia) e poche altre.
Al grande prestigio delle letterature d’oc e d’oïl e della civiltà francese si deve la notevole
presenza di gallicismi già nella lingua e nella letteratura medievale; il francese ha poi continuato a
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dare parole all’ita anche nelle epoche successive, spesso nel ‘700. Forte ancora nell’800, l’in usso del
francese si è progressivamente ridotto nel corso del ‘900.
L’in usso dello spagnolo è stato forte soprattutto nel ‘500 e nel ‘600, epoche a cui risalgono
ispanismi come quintale, otta; attraverso lo spagnolo sono entrate in ita anche molte voci esotiche
(amaca, cacao). Nell’ita contemporaneo, accanto alle voci spagnole, sono da segnalare quelle di
origine ispano-americana: termini relativi alla politic (golpe, desaparecido), alla musica (tango, samba),
allo sport (goleador, ola), al costume (movida).
Un posto a parte, tra i forestierismi dell’ita contemporaneo, va riservato agli anglicismi, che
da inizio ‘900 a oggi sono diventati di gran lunga i forestierismi più numerosi e frequenti. Del fenomeno
si possono dare varie spiegazioni: maggiore conoscenza dell’inglese e sua funzione di lingua della
comunicazione internazionale; prestigio in vari ambiti culturali e sul pino politico-economico; carte
caratteristiche strutturali delle voci inglesi (brevità, iconici, frequenza di composti e possibilità di
accorciarli). Molte voci inglesi appartengono a linguaggi settoriali, dall’informatica all’economica e alla
nanza, alla medicina, ma anglicismi non adattati gurano anche in ambiti non specialistici come lo
sport, la musica leggera, la telefonia ssa e mobile, la televisione e i mass media, la moda e il
costume. Gli anglicismi sono frequenti anche nella lingua comune (weekend, okay). Notevole anche la
diffusione di sigle inglesi.
I neologismi. Sono parole nuove, entrate da poco nel lessico di una lingua per indicare nuovi
concetti. Per coniare parole nuove si utilizzano prevalentemente i meccanismi di formazione delle
parole: in questo caso si parola di neologismi combinatori, che mettono insieme elementi già
esistenti nella lingua. Esistono anche neologismi semantici: nuovi signi cati si aggiungono a voci già
esistenti; con questa tipologia la lingua sfrutta le possibilità offerte dalla polisemia.
LE VARIETÀ PARLATE
L’italiano parlato
Lo studio dell’ita parlato pone problemi particolari, in primo luogo per il ruolo essenziale svolto
dalla variazione diatopica: la varietà degli ita regionali ha reso dif cile l’individuazione di fenomeni
linguistici non registrati nelle descrizioni dello standard scritto tradizionale e comuni all’intera nazione. Il
sistema fonologico ita è ben rappresentato nella gra a, e a livello di morfologia e sintassi le differenze
tra ita scritto e ita parlato concernono la maggiore o minore frequenza di certi tratti piuttosto che
l’esistenza di “regole” diverse, oppure sono rapportabili ad elementi generali validi per tutte le lingue.
Molti tratti additati come tipici dell’ita neostandard compaiono prevalentemente nei testi parlati.
Aspetti di morfologia. L’ita parlato non utilizza forme alternative rispetto a quelle dello scritto, ma
ne riduce la varietà. Spicca la maggiore frequenza nel parlato dei pronomi personale; le forme
soggetto sono frequenti per il loro valore deittico: il pron. di 1ª p.s. compare molto più spesso che
nello scritto e spesso rimane un “tema sospeso”; frequenza anche pron. di 2ª p.s. e come sogg. si
usa spesso anche te; lui/lei sostituiscono egli/ella e si estendono anche agli inanimati; i plurali essi/
esse cedono il campo a loro.
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I dimostrativi nel parlato sono spesso usati con valore vicino a quello degli articoli; per
assumere un più forte valore dittico vengono spesso rafforzati con avverbi.
Per quanto riguarda i verbi, non mancano regolarizzazioni analogiche di paradigmi irregolari
(intervenì invece di intervenne). Il pres. ind. sostituisce passato, futuro ed imperativo. È in espansione
la forma perifrastica stare + gerundio con valore progressivo. Il pass. prossimo si usa generalmente al
posto del pass. remoto. L’imperfetto è il tempo più in espansione. Il congiuntivo tende a cedere il
campo all’ind, pres. o fut. o imp. Si registrano alcune particolarità nella scelta degli ausiliari.
Nell’accordo del part. pass. all’oggetto nelle forme composte con l’ausiliare avere o con i verbi
pronominali si registrano oscillazioni.
La sintassi del parlato. Si registra una frequenza nel parlato delle dislocazioni a sinistra e dei
temi sospesi. Le dislocazioni a sx sono usate sia per intervenire attivamente nel discorso sia per
spostare la conversazione su un nuovo argomento. La dissociazione si lega a 2 meccanismi che
caratterizzano il parlante: l’egocentrismo del parlante e la percettività del ricevente, in vista della quale
le informazioni sono disotte in modo da facilitarne la ricezione. La preferenza del parlato per queste
costruzione si lega alla dif coltà di piani care il discorso anche a breve gittata, come dimostrano i
“temi sospesi”, e alla necessità di elementi “ridondanti” che facilitino anche il controllo sintattico.
Per quanto riguarda le dislocazioni a destra, sono sante distinte quelle che prevedono una
pausa prima dell’elemento dislocato da quelle che presentano una curva intontiva unitaria.
Nel parlato è possibile anche l’anticipazione clitica di un pronome tonico, per metterlo in
rilievo (mi piace a me).
La frase scissa nel parlato è utilizzata soprattutto per mettere in rilievo il sogg., l’intera
proposizione o la negazione (è lui che lo dice). Le frasi scisse sono utilizzate spesso anche nelle
interrogative introdotte da un “operatore” (dov’è che vai?); le strutture col c’è presentato, seguito dal
che, sono frequenti per introdurre più elementi nuovi.
È un fenomeno esclusivamente parlato, specie popolare, la “struttura cornice”, che consiste
nella ripetizione del verbo alla ne dell’enunciato.
La prevalenza della semantica sulla sintassi fa sì che nel parlato siano possibili concordanze
anomale. Sono frequenti ache i mancati accordi di genere.
Quanto alla sintassi del periodo, il parlato si caratterizza per interruzioni, false partenze,
autocorrezioni. Il testo parlato ha un andamento prevalentemente paratattico e tende a costituire
frasi brevi. Nel collegamento tra le varie frasi ci sono congiunzioni coordinanti (e, ma, però…), che
svolgono peraltro soprattutto funzioni di legamenti testuali; molto diffuso è l’asindeto, cioè la
giustapposizione delle frasi senza legamenti sintattici espliciti. La subordinazione è molto meno
frequente rispetto allo scritto. Nel parlato la subordinata più diffusa è la frase relativa, che adotta
modelli diversi da quelli dello scritto, con larga accettazione del che “polivalente”.
Particolarmente diffusi nel parlato sono gli avverbi frasali, che si riferiscono all’enunciato nel
suo complesso e non a singoli elementi della frase e rappresentano un commento del parlante al
proprio atto linguistico.
Un’altra caratteristica del testo parlato spesso segnalata è la sua frammentarietà tematica
o formale; si dovrebbe parlare piuttosto di analiticità, rispetto alla sinteticità del testo scritto.
Un’importante funzione testuale è quella dei demarcativi, che servono per indicare l’inizio e la ne del
discorso o la sua scansione interna (allora, ecco, cioè…). La seconda funzione è quella dei segnali
fatici, di assicurare il contatto con l’interlocutore, sollecitandone pragmaticamente l’assenso o la
partecipazione (guarda, senti, scusa…). Molti elementi discorsivi hanno la funzione di connettivi,
indicando il tipo di relazione tra le varie parti del discorso. Una funzione importante di demarcativi,
segnali fatici e connettici peraltro è quella di riempire le pause. Gli stessi effetti si ottengono con
ripetizioni, riformulazioni ed anafore. La funzione pragmatica di molti segnali discorsivi del parlato
e dei “segnali di sfumatura” è quella di attenuare le informazioni (in pratica, per dire, una specie
di…); si tratta di elementi che consentono al parlante di presente le distanze dal proprio discorso. Ci
sono anche particelle modali che servono a enfatizzare le proprie affermazioni (veramente, davvero…).
Il lessico. Caratteristica generale del parlato è l’uso di un lessico abbastanza ridotto, almeno
per quello che riguarda le parole di alta frequenza: chi parla tende a ripetere più volte gli stessi
termini e a usare parole di signi cato ampio e generico.
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Importante è la presenza di verbi che, accompagnati da uno o più pronomi clitici, assumono
valori particolari (arrivarci, farcela, sentirsela). Molto usate anche espressioni formate da un verbo di
signi cato generico e da avverbio di luogo (buttare giù).
L’alterazione è molto diffusa (cosina, attimino). Con valore espressivo sono frequenti
superlativi o altre espressioni con valore elativo (un sacco bello, un freddo della madonna). Negli ultimi
anni è crescita la presenza di termini disfemici, o riferire alla sfera sessuale, che ormai non vengono
più tabuizzati.
L’italiano regionale
Si tratta della varietà di ita parlata in una determinata area geogra ca, che denota
sistematicamente caratteristiche in grado di differenziarla sia dalle varietà usate in altre zone, sia
anche dall’ita standard. L’ita reg. è nato dall’incontro della lingua nazionale con il dialetto e
rappresenta per molti aspetti la nuova realtà dialettale del nostro paese.
Alcuni linguisti sostengono che nell’ita contemporaneo, anche parlato, i tratti regionali si vanno
sempre più attenuando, in un processo di crescita della standardizzazione; per altri studiosi, invece,
l’ita reg. è oggi la varietà comunemente usata, nel parlato, dalla stragrande maggioranza degli italiani.
Un primo elemento di differenziazione regionale assai marcato è l’intonazione/cadenza/
accento, che in certe regioni assume andamenti particolari, per esempio conferendo un’intonazione
apparentemente interrogativa a enunciati che sono in realtà affermativi. Molto nette sono le peculiarità
regionali sul piano fonetico. Le particolarità regionali sul piano della morfologia e della sintassi sono
meno percepibili.
Il lessico costituisce un altro settore di forte differenziazione regionale: tutto il vocabolario
relativo alla quotidiana è soggetto a interferenze dialettali; molti parlanti danno spesso veste
morfologica italiana a voci del dialetto che sono ancora vitali localmente (regionalismi) e spesso gli
tessi concetti vengono indicati con termini che variano da zona (geosinonimi).
Il rapporto tra ita reg. e ita neostandard è regolato da un processo di dare e avere.
La presenza di tratti regionali nel parlato si lega anche a fattori disastratici: ci sono elementi
regionali condivisi da tutti i parlanti di una determinata area in tutte le situazioni comunicative
(“indicatori”), altri (“marcatori”) che sono propri solo delle fasce più basse o che possono essere
meglio controllati in contesti molto formali.
Code switching. L’enunciato comincia in una lingua, poi passa decisamente al dialetto per
tornare, eventualmente, alla lingua. Il parlante alterna consapevolmente i due codici.
Code mixing. I diversi costituenti della stessa frase sono in parte in ita e in parte in dialetto; la
mescolanza tra i 2 codici può essere voluta, ma può anche essere dovuta a incertezza del parlante e
in particolare a una sua conoscenza approssimativa dell’ita.
Il parlato giovanile
Il linguaggio dei giovani è stato per lo più classi cato come una varietà diafasica, un registro,
utilizzato dai ragazzi in situazioni comunicative informali e prevalentemente orali.
Ogni generazione tende a differenziarsi da quella precedente e quindi molte innovazioni
cadono ben presto in disuso.
Il parlato giovanile è stato studiato prevalentemente dal punto di vista del lessico e della
formazione delle parole.
• La componente principale del linguaggio giovanile è stata individuata nell’ita colloquiale e
informale, che ne costituisce la base. Su questa si innestano:
• uno strato dialettale;
• uno strato gergale;
• uno strato proveniente dalla lingua della pubblicità e dei mass media, ricco anche di parole
straniere;
• termini propri di linguaggi settoriali, a volte “accorciati”, spesso usati con valori metaforici.
LE VARIETÀ SCRITTE
L’italiano scritto
Nel corso del ‘900 la letteratura è andata progressivamente perdendo il ruolo guida per tutte le
scritture. Il legame con la tradizione appare, specie in certi tipi di testo, ancora forte, ma l’esigenza di
un tono medio si è fatta sentire e ha portato, soprattutto sul piano sintattico, a un deciso snellimento
delle strutture ipotattiche caratteristiche dello scritto. Anche la di usione della videoscrittura ha
profondamente modi cato il modo di costruire il testo scritto.
Aspetti gra ci. Sembra notevole la tendenza a scrivere universale le voci composte che si sono
ormai lessicalizzate.
Per quanto riguarda l’accento gra co, si è stabilizzato a 10 il numero dei monosillabi che lo
richiedono: ché, dà, dì, là, lì, né, sé, sì, té. L’accento è inoltre collocato su già, giù, più, può. L’uso di
accentare i monosillabi forti tende ad espandersi. Sebbene lo standard prescriva sistematicamente
l’accento nelle parole tronche, capita sempre più spesso di non trovarlo in parole composte con
monosillabi che, isolati, non lo richiedo e anche nei nomi dei giorni della settimana.
Interessante è la riduzione delle elisioni e delle apocopi.
Si segnala la riduzione della d eufonica: ad, ed, od si usano ormai solo prima di parola iniziante
per la stessa vocale e in pochi altri casi.
Per quanto riguarda l’inventario dei grafemi, si segnala il recupero di |k| in molte scritture
commerciali, politiche e giovani. Nell’uso giovanile si registrano anche particolarità come il ricorso a
segni matematici, come x, +, 6.
Piuttosto oscillante, a parte i nomi propri, è l’uso delle iniziali maiuscole, abbastanza diffuse in
certi tipi di testo, meno in altri. Molto diffuse nello scritto sono le sigle e, specie nella lingua
burocratica, le abbreviazioni.
Aspetti sintattici. La struttura sintattica non marcata dell’ita SVO compare nello scritto con una
frequenza maggiore rispetto al parlato. Le dislocazioni a sinistra dell’ogg. sono presenti anche nello
scritto; hanno peraltro frequenza minore rispetto al parlato e restano del tutto escluse da testi
legislativi e scienti ci. Estranei allo scritto sono i temi sospesi e le dislocazioni a destra. Trova buon
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accoglimento la frase scissa. Tra le particolarità sintattiche, da segnalare la frequenza di locuzioni
preposizionali.
La caratteristica forse più importante dell’ita scritto contemporaneo è il particolare rapporto
nomi-verbi. In alcuni tipi di testo i verbi servono prevalentemente ad assicurare la coesione sintattica,
mentre sui nomi si concentra il carico semantico e informativo. In altri tipi di testi, in particolare nel
linguaggio giornalistico e nella titolistica, si rileva la tendenza a costruire enunciati di stile nominale.
L’ita scritto tradizionale preferisce la subordinazione alla coordinazione. Tuttora l’ita scritto
tende a costruire periodi sinteticamente complessi. Da segnalare è la ricchezza e la varietà delle
congiunzioni e delle locuzioni congiuntive. La frase relativa anche nello scritto rappresenta la
subordinata più frequente.
La testualità e il lessico. Il testo scritto ha un andamento lineare, con una struttura coerente e
coesa rispetto al testo parlato. La tendenza alla densità lessicale è propria dell’ita scritto
contemporaneo, almeno in certi tipi di testi.
Il medium scritto consente un’articolazione testuale molto più complessa e ricca: un testi
ampio è spesso suddiviso in capitoli e paragra , ma anche un testo piuttosto breve è strutturato
almeno in capoversi. Anche i segni di interpunzione nel testo scritto hanno prevalentemente una
funzione sintattica e testuale.
La testualità scritta si caratterizza per i legamenti a distanza, che collegano tra loro porzioni di
testi più o meno estese, con maggiore esplicitezza di quanto avvenga nel parlato. La scrittura
contemporanea sembra particolarmente attenta alle funzioni testuali e informative del testo.
Dal punto di vista lessicale, lo scritto utilizza un lessico più ampio rispetto al parlato. L’ita tende
a evitare la ripetizione della stessa parola nel corso della stessa frase, preferendo ricorrere a sinonimi
o a perifrasi. Notevole, in molti tipi testuali, è la presenza di sigle e forestierismi.
L’italiano della prosa scienti ca e della saggistica. L’ITA DELLA PROSA TECNICO-SCIENTIFICA adotta
spesso una struttura testuale di tipo argomentativo, con formulazione di ipotesi al congiuntivo e
strutture sintattiche di tipo deduttivo. Dal punto di vista lessicale abbondano i tecnicismi, tra cui
spiccano le parole formate con con ssi latini e greci o con articolari pre ssi e suf ssi (-zione,
-logico…). La sinonimia è ridotta. Rigorosa appare la suddivisione in paragra e capoversi.
Notevole è la presenza di parentesi, che introducono spesso elementi esplicativi.
La LINGUA DELLA SAGGISTICA tende spesso a una maggiore dialogicità, come dimostrato dalla
presenza di frasi interrogative e dall’uso di congiunzioni testuali. La subordinazione è molto
diffusa, ma notevole è anche la presenza di frasi incidentali e nominali. Sul piano lessicale, spiccano
l’abbondante aggettivazione, la scelta di termini tecnici o ricercati e l’uso metaforico di parole del
linguaggio comune o proprie di altre lingue speciali.
L’italiano delle leggi e della burocrazia. La rigorosa suddivisione del testo in capoversi, l’ampio
ricorso al passivo, il ri uto della sinonimia, la presenza di tecnicismi, aulicismi e latinismi sono
tratti caratteristici della lingua della legislazione ita.
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Direttamente legata alla lingua delle leggi è quella della burocrazia. Nonostante lo sforzo di
sempli cazione, l’ita della burocrazia costituisce per molti aspetti una sacca di conversazione e
presenta elementi che rendono il testo oscuro e ambiguo. La sintassi è molto elaborata: frequenti
sono le inversioni, senza ripresa nominale, e gli accumuli delle speci cazioni nominali; ampio
spazio trova la subordinazione, ottenuta spesso con participi e gerundi. Sono frequenti le perifrasi,
le nominalizzazioni, le locuzioni preposizionali. Nel lessico, notevole la presenza di parole
astratte, iperonimi, tecnicismi. Notevoli i deverbali a su sso 0 o con sottrazione di su sso.
L’italiano dei giornali. La scrittura giornalistica `in larga parte “riformulazione di un discorso
primario”. Sul piano sintattico, è stata rilevata l’importanza dello stile nominale, particolarmente nei
titoli. I titoli giornalistici, spesso ricchi di giochi di parole e di allusioni a titoli di romanzi, lm o canzoni,
presentano una distinzione netta tra tema e rema. Specie nelle parti iniziali degli articoli sono frequenti
i periodi monoproposizionali. Sul piano lessicale si segnala soprattutto l’uso di parole/formule
stereotipate e di neologismi occasionali. Frequente il ricorso a metafore e metonimie.
Frequentissimo è l’uso di derivati e composti, di sigle, di parte macedonia, di polirematiche e di
combinazioni asindetiche; ampia la presenza di anglicismi non adattati, ma anche alcuni dialettismi
hanno avuto fortuna nel linguaggio giornalistico. I giornali costituiscono la principale fonte di diffusione
delle terminologie dei vari linguaggi settoriali, della moda, della musica e dello sport.
indebitamente raddoppiate - e dei nessi consonantici, sempli cati nella gra a (e spesso nella
pronuncia); particolarmente frequente è l’omissione della nasale;
• presenza di errori ortogra ci, soprattutto in alcuni punti critici del sistema, come la |h| (omessa),
la |q| (indebitamente estesa), i fenomeni resi nello standard con digrammi e trigrammi;
• scarsa e impropria utilizzazione dei segni paragrafematici: accenti e apostro omessi o
inseriti indebitamente; punteggiatura assente o messa a casaccio.
Sul piano delle morfologia, i fenomeni già rilevanti sono:
• tendenza a regolarizzare i paradigmi nominali e aggettivali, per lo più con adozione di
LE VARIETÀ TRASMESSE
Il parlato trasmesso
La nascita e la diffusione dei mezzi di trasmissione a distanza del parlato sono state in Italia
storicamente importanti perché hanno favorito l’uni cazione nazionale sul piano dell’uso linguistico
orale. Questo ruolo è stato svolto soprattutto dalla radio, dal cinema e dalla televisione.
La radio, che in Italia iniziò le trasmissioni regolari a partire dal 1925, è stata uno dei più
importanti canali di diffusione dell’ita parlato.
Anche il cinema sonoro, diffuso in Italia a partire dagli anni ’30, ha costituito un importante
veicolo di diffusione dell’ita parlato in tutte le classi sociali.
La televisione, iniziata nel 1954 (e regolarmente dal ’57), ha svolto, soprattutto nel periodo del
monopolio RAI, un’importantissima funzione uni cante e modellizzante sul piano linguistico.
In tutti e 3 i media il parlato trasmesso non soltanto è monodirezionale, ma è stato spesso
anche un “parlato scritto”. Alla radio e in televisione, però, negli ultimi anni si è avuta una vera e
propria irruzione del parlato. Da maestre di ita, radio e tv sono diventate specchio delle realtà
linguistica contemporanea.
L’italiano della radio. I testi radiofonici per molto tempo hanno fatto parte della categoria del
“parlato scritto”. Tuttora molti testi trasmessi per radio sono scritti. Il parlato autentico è entrato nella
radio tardivamente: a partire da ne anni ’60, grazie a trasmissioni in cui potevano intervenire da casa
ascoltatori; poi, in seguito all’avvento delle radio private, molto aperte al parlato informale. La
tendenza a non af darsi più a un unico conduttore accresce il tasso di dialogicità.
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Dal punto di vista fonetico, l’ita radiofonico ha presentato tradizionalmente un buon grado di
standardizzazione. La pronuncia standard è tuttora abbastanza diffusa nei notiziari e negli annunci
pubblicitari. Le pronunce regionali vanno sempre più espandendosi e sono di gran lunga prevalenti in
trasmissioni di intrattenimento e soprattutto nelle radio locali.
Dal punto di vista sintattico, i testi scritti per la radio devono rispettare delle “regole”: uso di
frasi brevi (anche nominali); preferenza per la paratassi; evitamento di incisi, parentesi e inversioni
sintattiche.
L’italiano del cinema. Il parlato cinematogra co rientra nel “parlato recitato”. La ricchezza dei
generi cinematogra ci rende problematica una caratterizzazione unitaria della lingua del cinema.
Dal punto di vista storico, dalla lingua tendenzialmente stilizzata, neutra e libresca, si è passati
a un ita più naturale e vario, ricco di tratti regionali. L’utilizzazione dello standard parlato ha conosciuto
sempre notevoli eccezioni. Tra le varietà regionali e i dialetti utilizzati al cinema, particolare fortuna
hanno avuto il romanesco e la varietà romana di ita: il cinema ha contribuito a veicolare
romaneschismi lessicali, fraseologici e sintattici.
L’italiano della televisione. L’ita della tv presenta aspetti simili a quelli della radio, con una
maggiore apertura al dialetto. Inizialmente le trasmissioni televisivi si sono basate su testi perlopiù
scritti e hanno utilizzato uno lingua tendenzialmente standardizzata, ma anche con una funzione
modellizzante accentuata: scarsa la presenza dello stile nominale; caratteristico l’evitamento di forme
colloquiali. Anche la tv si è aperta, dagli anni ’70 in poi, al parlato autentico, con tutte le sue varietà.
Il dialogo è diventato il genere testuale predominante. Tra le varietà regionali presenti in tv, molto netta
risulta la prevalenza della varietà romana e milanese, quest’ultima soprattutto in seguito alla fortuna
nazionale delle reti Mediaset. Anche la tv ha fornito parole e frasi alla lingua comune. I vari generi
televisivi hanno caratteristiche linguistiche tra loro diverse.
Nei telegiornali, che hanno una componente di “parlato scritto”, si rilevano varie caratteristiche
proprie della lingua dei giornali.
Nelle trasmissioni culturali si usa un ita parlato di tono più formale, che cerca però di trattare
con un linguaggio semplice e poco tecnico anche argomenti scienti ci.
Anche la ction, basta su testi scritti, cerca di avvicinarsi al parlato, senza più escludere le
varietà regionali.
La tv veicola spesso anche la lingua scritta. Lo scritto che compare in tv non è sempre
immune da refusi dovuti alla fretta né da errori ortogra ci.
Lo scritto trasmesso
Con la nascita del trasmesso, lo scritto sembrava destinato alla ne: invece, poi, il nuovo
mezzo ha rilanciato anche la lingua scritta dei siti Internet, della posta elettronica (e-mail), delle chat-
lines e dei messaggi telefonici.
La scrittura sullo schermo acquista un carattere virtuale. Lo scritto trasmesso ha una
“mobilità” inusitata: i testi vengono frazionati in stringhe più o meno brevi. La possibilità di correggere il
testo non è sempre sfruttata nella scrittura elettronica.
I testi scritti trasmessi tendono alla brevità o a sempli carsi e a strutturarsi in parti brevi; ne
consegue l’abbandono o la riduzione delle strutture subordinate. La ricerca della concisione è
documentata anche dal frequente ricorso a sigle, abbreviazioni, accorciamenti ed altri espedienti
gra ci che producono codici di scrittura parzialmente alternativi a quelli tradizionali.
La caratteristica comune è la ricerca della dimensione dialogica.
L’italiano in Internet. Nei siti Internet lo scritto acquista la possibilità di strutturarsi su più piani: ci
troviamo di fronte ad ipertesti. Il testo scritto è normalmente multimediale.
In Internet si può trovare qualunque tipo di testi.
Per risultare ef caci, i testi in rete devono necessariamente essere brevi, chiari, asciutti. Molta
attenzione viene riservata all’aspetto gra co, che è particolarmente curato.
Dal punto di vista linguistico vige il rispetto delle convenzioni grammaticali, anche sul
piano ortogra co; qualche cedimento si rileva nell’uso degli accenti, né mancano refusi o “incidenti”
sintattici e testuali.
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L’in usso inglese si rileva in tanti aspetti, tra cui la frequenza della sigle e degli anglicismi
non adattati.
Dal punto di vista sintattico, i periodi si strutturano preferibilmente in frasi brevi, separate dal
punto e con frequentissimi a capo. È notevole la presenza dello stile nominale.
L’italiano della posta elettronica. Il messaggio di posta elettronica è una forma di scrittura più
vicina alla telefonia ache non alla lettera: lo stile tende alla colloquialità; le formule di apertura e
chiusura sono rapidissime; a volte mancano per no riferimenti diretti all’emittente e al destinatario.
Rispetto alla telefonata il testo ha il vantaggio di poter essere salvato nella memoria del computer o
stampato.
Il messaggio di posta elettrica non è quesi mai piani cato, viene scritto velocemente e, di
solito, non viene riletto. Caratteristiche comuni sono: l’impaginazione del testo è poco curata;
frequenti sono gli errori di battitura; gli accenti sono spesso sostituiti dagli apostro ; l’utilizzazione
dei caratteri maiuscoli è ridotta; i segni paragrafematici si limitano normalmente al punto, alla virgola e
alle parentesi; punti esclamativi e interrogativi sono molto usati. Sul pano lessicale, sono caratteristici
accostamenti tra anglicismi, colloquialismi, arcaismi, neologismi e per no inserti dialettali.
Dal punto di vista sintattico, il testo è costituito da frasi brevi, coordinate tra loro, non di
rado prive di verbo. Il testo ha tratti di particolare densità e stringatezza. Non di rado il post-
scriptum risulta più elaborato del testo vero e proprio, perché contiene informazioni importanti o
dichiarazioni attenuate che ne consentono una diversa lettura.
L’italiano delle chat-lines. Caratteri in parte analoghi a quelli della posta elettronica presenta la
comunicazione nelle chats, ma presenta una più spiccata dialogicità e tende ad assumere (o
simulare) tratti di parlato.
Dal punto di vista gra co, si segnalano l’uso del k per la velare davanti a i ed e, e di x ‘per’,
mentre tra i segni paragrafematici, solo i punti interrogativi ed esclamativi, spesso ripetuti e
combinati, sono frequenti. Tra i segni innovativi, notevoli le emoticons. I caratteri maiuscoli e le
ripetizioni delle lettere, in particolare delle vocali, hanno l’effetto di imitare la voce.
Sul piano sintattico, la lingua presenta alcuni tratti di parlato.
Dal punto di vista testuale, si rileva l’ampio uso di segnali demarcativi e discorsivi.
Signi cativa è anche la presenza di elementi olofrastici, come interiezioni ed ideofoni.
Dal punto di vista lessicale, spicca una componente gergale, costituita per lo più da termini
tecnici di matrice inglese e da derivati italiani. Notevole il plurilinguismo.
Il dialetto e il continuum
Il continuum
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La nozione di continuum solitamente si riferisce a un insieme di varietà nel quale ve ne sono 2
che si pongono agli estremi, in posizione polarizzata, e che si possono identi care, e varietà
intermedie che sfumano l’una nell’altra.
Al concetto di continuum si aggiunge quello di gradatum/discretum/discontinuum: termini che
fa riferimento a un continuum a gradini e si usa in presenza di varietà in parte discretizzabili.
Varietà di dialetto
Nel repertorio linguistico ita sono presenti varietà di dialetto schematicamente rappresentate
nel modo seguente a partire dalle varietà di ita interferite col dialetto (e viceversa):
- - - - - - ita - dialetto / dialetto - ita - - - - - -
koinè dialettale
dialetto urbano
dialetto locale (rustico)
Lo schema evidenzia la presenza di una varietà di dialetto che interessa un territorio più esteso
(koinè dialettale), il dialetto del centro maggiore e quello del piccolo centro (più rustico, meglio
conservato, meno soggetto a cambiamenti, che accoglie lentamente le innovazioni linguistiche). Nella
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comunità urbana il dialetto si usa meno e la sua italianizzazione è più marcata; nel paese il dialetto è
assai più usato ed è meglio conservato.
Nella situazione odierna, il modello linguistico più prestigioso (o al quale tende ad uniformasi) è
costituito dall’ita: il dialetto locale nell’eliminare le forme “rozze” guarda direttamente all’ita regionale
senza passare attraverso la koinè dialettale.
Oggi il problema della koinè è diventato importante in particolari situazioni dialettali che
coincidono con minoranze linguistiche (ladino, sardo, friulano). Individuare una koinè signi ca ssare
una varietà di lingua standardizzata e normalizzata da utilizzare come lingua scritta, per tutti quegli usi
che abbisognano di una lingua sopralocale.
L’in usso del dialetto del centro, modello da imitare, si manifesta nell’accoglimento di tratti
linguistici o nella sostituzione o abbandono di tratti propri perché considerati troppo locali. Le
innovazioni muovono da un centro e raggiungono la periferia con una forza che diminuisce sempre
più man mano che ci si allontana da esso. Le grandi città offrono i riferimenti per un dialetto “civile”
che soddisfa le esigenze delle città e delle classi borghesi, mentre i dialetti delle campagne o isolati,
con la loro arcaicità, sono visti come un indice di inferiorità socioculturale e di rozzezza. Le innovazioni
possono raggiungere un luogo per paracadutismo: il termine rende l’idea di innovazioni a distanza,
cioè d’in uenze tipicamente culturali e sociali, di cui il dialetto costituisce il mezzo esteriore di
espressione, pronto ad essere appreso ed imitato; si tratta di un fenomeno che può essere abbinato
all’espansione territoriale.
Il centro maggiore è anche una via di diffusione di italianismi, attraverso la lingua alta dei
borghesi, delle persone colte. Questo, però, non è un procedimento valido in assoluto. Altri sono i
casi che si registrano nella complessa situazione linguistica ita:
• non sempre l’azione del tipo linguistico urbano su quello rurale ne determina l’italianizzazione; per
es., la diffusione di un elemento dialettale può determinare l’abbandono di una forma in realtà più
vicina all’ita;
• casi in cui gli italianismi sono accolti dai dialetti che non provengono da un modello urbano
modello che gli strati sociali alti imporrebbero a quelli bassi: all’interno di un centro urbano
coesistono diverse varietà di dialetto, quindi non vi è solo un dialetto basso che imita quello alto
ma situazioni di contatto e di antagonismo più complesse;
• i processi di livellamento delle varietà dialettali generati dalle città non avvengono sempre secondo
un modello uniforme.
Nel contatto tra lingua e dialetto, quest’ultimo subisce vari processi di italianizzazione, più
evidenti nel lessico. I cambiamenti nel vocabolario sono dovuti da un lato alla perdita di parole per
l’abbandono di tradizioni locali, strumenti e mestieri che non si praticano più, prodotti che non si
utilizzano come in passato; dall’altro lato si introducono nuove abitudini di vita, nuovi oggetti, e ciò
determina l’inserimento nei dialetti di parole che solitamente vengono dall’ita, cioè i prestiti lessicali.
Secondo un’indagine, gli italianismi ltrano con maggiore frequenza nell’ambito tecnico-burocratico,
nel settore delle parti del corpo, delle malattie e dell’assistenza sanitaria, della vita religiosa, della
parentela o dello stato sociale, del commercio. L’italianizzazione si manifesta anche in termini che
riguardano concetti tratta e la vita morale, ed inoltre in avverbi, congiunzioni … nonché in sintagmi e
modi di dire. Oltre all’ingresso di termini riferiti a nuovi concetti, nell’italianizzazione del lessico
dialettale si può osservare la sostituzione di parole speci che con termini generici. Un’altra tipologia è
rappresentata da quelle parole che sono sinonimi di parole dialettali di uso comune, in genere adattati
al dialetto, di modo che si formano delle coppie di sinonimi di cui un elemento appartiene al dialetto e
l’altro viene dall’ita. Schematizzando, l’italianizzazione del lessico dialettale si manifesta come segue:
• con ingresso di parole nuove;
• con sostituzione coon quelle ita di parole del dialetto le quali, di conseguenza, tendono a essere
I processi di italianizzazione dei dialetti sono ben più complessi di quanto non mostrino gli
schemi e investono anche gli altri livelli d’analisi, come la sintassi o la morfologia.
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La KOINÈ DIALETTALE
L’adeguamento al tipo linguistico di un centro con l’assunzione di tratti linguistici e con
l’eliminazione di quelli che sono sentiti dai parlanti come troppo locali/“rozzi” è una sorta di processo
di standardizzazione e può portate alla formazione di una koinè dialettale, che è ritenuta varietà pià
alta rispetto al dialetto locale. Con tale espressione si intende una varietà dialettale che interessa un
territorio più esteso rispetto al dialetto locale.
Koinè dialettali si sono formate in area settentrionale, dove l’evoluzione linguistica ha prodotto
situazioni dialettali più differenziate rispetto a quella toscana e quindi si distinguono meglio parlate civili
e parlate rustiche. In area meridionale ha avuto un ruolo importante il napoletano, almeno sulle varietà
dialettali circostanti.
Il caso più evidente di formazione di una koinè dialettale interessa l’area del Vento, dove si
sono diffuse, intorno al XV-XVI sec., caratteristiche dialettali veneziane per cui i dialetti dei centri più
importanti, prima, e quelli minori poi, si sono adeguati a questa varietà perdendo i tratti locali. I dialetti
che si sono adeguati per primi sono quelli dei maggiori centri urbani, specie quello di Padova.
Il DIALETTO LOCALE
È la situazione nella quale il comportamento linguistico dei parlanti è strettamente correlato alla
posizione nel territorio, nelle campagne o in aree periferiche rispetto ai centri da cui partono le
innovazioni, e alla presenza di una comunità ristretta con la tipica struttura della rete sociale chiusa.
Il dialetto locale inteso geogra camente, cioè riferito ad una località, si può chiamare punto
linguistico. Il punto linguistico, con la sua parlata, costituisce insieme ad altri un’area linguistica,
che è tale in quanto un dato fenomeno linguistico si presenta come uniforme e costante. Ma l’area è
uno spazio linguistico-geogra co dinamico percorso da spinte innovative e spinte conservative alle
quali i punti possono reagire in vario modo. Vi sono delle aree meno esposte alle innovazioni (aree
laterali/periferiche), rispetto a quelle dette centrali; un’altra distinzione introdotta dagli studiosi riguarda
aree che hanno un centro innovatore proprio, in grado di produrre innovazioni e di diffonderle nel
territorio ed aree che ne sono prive. Lo studio della diffusione dei fatti linguistici nello spazio è oggetto
speci co della geogra a linguistica.
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