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Prologo 3
3. Nati cyborg 28
3.1 Dall’uomo neuronale al cyborg 28
3.2 Tecnologie della mente 30
3.3. Natura umana 2.0 32
3.4 Menti potenziate e centralità dell’organismo 35
3.5 Dalle menti all’io 37
Epilogo 70
Introduzione
Secondo gli autori, la scienza cognitiva è la rivoluzione silenziosa del Novecento in quanto ha cambiamento,
a poco a poco, la concezione della mente, del soggetto e della natura umana.
Domanda enigmatica che ripercorre un viaggio su come si può giungere ad una teoria della mente. Gli autori
suggeriscono che ci possono essere diverse teorie della mente, tra cui, le più importanti sono:
- Tesi dualista → La mente umana (res cogitans) - dove risiedono il pensiero, la soggettività e la
libertà - non occupa un posto nel mondo naturale (res extensa) regolato dalle leggi fisiche.
Il linguaggio mentalistico, per sua natura olistico1, è legato alla prospettiva del “mondo-come-ci-
appare” ed è inconciliabile con il deterministico e causalistico linguaggio del mondo naturale. Non
ha senso cercare la mente tra i luoghi del mondo fisico (posizione anti-naturalistica)
- Tesi monista → La mente è un fenomeno naturale appartenente al mondo fisico, la cui comparsa
deve ricondursi alle stesse cause dei fenomeni (es. evoluzione e non intervento divino). Domandarsi
dove risiede la mente apre la via a due risposte
- La mente è un prodotto del nostro SNC, perciò il linguaggio mentalistico descrive l’esito di
processi causali che avvengono nel cervello, unico veicolo degli stati mentali. I processi
mentali possono essere causati anche dalla relazione con l'ambiente fisico, sociale e
culturale.
- Modello della mente estesa → La natura della mente travalica il cervello ed è il prodotto di
un organismo dotato di un corpo e immerso nell’ambiente. Di fronte a questo modello si
aprono due letture
Un evento cerebrale non è un evento mentale poiché non esprime un contenuto, non contiene un valore
esperienziale soggettivo e non può unirsi ad altri pensieri per formare un ragionamento; l’evento cerebrale
potrebbe essere però il veicolo per un evento mentale.
Se però ciò che rende mentale un evento cerebrale è il ruolo di realizzare le proprietà descritte, allora si
potrebbe pensare che ci possano essere anche eventi al di fuori del cervello che possono essere mezzi. Per
dimostrare quindi la mente estesa è necessario sorpassare il punto di vista funzionalista e cambiare la
domanda da "dove è la mente?” in "cos’è la mente?”
Quando è stato proposto il MME, il principale obiettivo era di polemizzare la SCC e la sua idea di
particolare visione del mondo formata da:
Il MME ha ridimensionato il modello classico, ma oggi sfida la centralità del SNC e la natura biologica
del pensiero. Si presenta quindi come una nuova prospettiva tra la discussione di mente come software
indipendente dall’hardware cerebrale e di mente come conoscibile solo attraverso l’indagine diretta del
funzionamento cerebrale.
A dire la verità, il MME è compatibile con i dati empirici; infatti, i suoi sostenitori sostengono che questo
modello sia talmente un programma empiricamente progressivo che potremmo finalmente individuare e
1 Ogni concetto è legato ad altri in modo da non consentire riduzioni e gerarchie esplicative
1
prevedere tutti quei fatti che ci sfuggirebbero se restiamo ancorati alla tradizione internista. In passato, ha
permesso di meglio comprendere tre punti fondamentali del nucleo metafisico della scienza cognitiva
contemporanea:
- Discussione sulla natura del “marchio del cognitivo” → Quando un processo “cognitivo” è
eventualmente “mentale”? Il suo contributo ha permesso di capire che la risposta è più complessa e
meno risolta del dovuto
- Rapporto tra le capacità biologiche e gli artefatti culturali → Il loro rapporto ci aiuta a costruire
il nostro io e la nostra immagine di noi stessi
- Visione più equilibrata tra natura e cultura → Decenni fa, si pensava ai prodotti della mente
come unicamente culturali, ma oggi ci si è spostati verso una prospettiva neurocentrica e di
continuità darwiniana tra pensiero animale e pensiero umano
Infine, il modello della mente estesa ha permesso di rivalutare il ruolo della cultura e dell’interazione sociale,
ma in un contesto naturalista in cui vengono reinterpretare le ricerche scientifiche.
Prologo
1. Ridisegnare i confini della mente
La domanda “Dove finisce la mente e inizia il resto del mondo?” posta da Andy Clark e David Chalmers nel
saggio The Extended Mind, ha come punto di partenza il MME.
- In un senso ristretto e preciso, nasce dalla discussione tra “nuova scienza cognitiva” e scienza
cognitiva “classica”; la mente umana può essere compresa in un continuum i cui poli sono occupati
dalla natura o dalla cultura
- In un senso ampio e generale, essa si colloca nella discussione sui rapporti tra mente e mondo
nata con la rivoluzione cartesiana
Per alcuni studiosi pensare alla mente attraverso l’ottica dualista o monista, non fa alcuna differenza, poiché
la questione non è ontologica, ma semantica. L’aggettivo “mentale” codifica una certa classe di usi
linguistici e non si riferisce a parti del mondo, ma a come noi ne parliamo.
Per altri invece, la mente è un insieme di processi naturali che hanno una precisa collocazione nello spazio
(SNC) e nel tempo; tuttavia, questa visione porta serie difficoltà nello spiegare il pensiero e la coscienza.
I teorici del MME sono un’ala deviazionista: negano sia che la menta sia fuori dal mondo (immaterialismo
cartesiano), quanto che essa sia (sempre) solo nel cervello (neurocentrismo materialista). La loro
posizione potrebbe essere quella del naturalismo contemporaneo: la mente è parte del mondo fisico
(“resto del mondo”) e il rapporto con il mondo è una relazione tra parti della realtà naturale.
Oggi questa posizione è divenuta dominante dopo aver scalzato il secolare dualismo cartesiano; quest’ultimo
paradigma ha creato diversi problemi, ma due sono gli aspetti da non scartare:
- L’essenza della mente umana è la coscienza: l’esperienza soggettiva che si attribuisce al mondo; la
mia mente è imperscrutabile dall’esterno e soltanto io posso esperire gli stati mentali (internismo)
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Alcuni autori successivi però hanno affermato che in realtà questo spazio interiore è conoscibile attraverso la
società, il linguaggio e lo spirito oggettivo:
- Wittgenstein → E‘ mentale tutto ciò che utilizza il linguaggio e siccome esso non può essere
privato, il “cogito” porta alla conclusione che conosciamo meglio la mente piuttosto che il corpo
- Marx e Engels → Il linguaggio è la coscienza effettiva, pratica, sussistente pure per gli altri uomini
e, di conseguenza, è l’unica coscienza che esiste anche per noi stessi. La coscienza è un prodotto
sociale.
Queste due posizioni vedono la mente come sottratta e isolata dal mondo materiale e sociale i cui contenuti
sono accessibili al solo soggetto.
Lo strumento principe del dubbio cartesiano è l’ipotesi del genio maligno: un’entità altamente astuta che,
tramite delle illusioni oniriche, mostra all’individuo il mondo esterno.
Le illusioni oniriche non colpiscono solo il mondo esterno, ma anche il corpo dell’individuo e questo
provoca la messa in discussione della scienza aristotelica in quanto troppo empirica. Per Aristotele, l’anima
era l’insieme di facoltà che guida noi organismi biologici, ma non solo.
La posizione aristotelica è l’unione tra funzionalismo e il rilievo dell’essere biologico: essere “animati”
significa possedere certe capacità biologiche (nutritive, percettive) a cui si aggiungono quelle intellettive. La
distinzione tra animali e uomini risiede nell'anima intellettiva; per Aristotele, la razionalità/intelletto è la
massima espressione delle facoltà mentali (oltre ad esserne la condizione necessaria), mentre per Cartesio,
sostenitore della distinzione sostanzialistica tra anima e corpo, la caratteristica essenziale del mentale è la
coscienza.
Secondo Cartesio, l’Io non è il nostro corpo, bensì il nostro pensiero (Cogito ergo sum): è possibile dubitare
del nostro corpo in quanto oggetto esterno, ma è inconfutabile l’idea del pensiero (pensare al pensiero stesso,
implica che esso esista). Con questa concezione, la sostanza pensante non segue più la tripartizione
dell’anima aristotelica (vegetativa, sensitiva e intellettiva), ma è caratterizzata da sensazioni, immaginazione
e intelletto.
Se il corpo non esiste, allora come è possibile sentire? Se in Aristotele il sentire era l’elicitazione degli organi
di senso, in Cartesio, sentire significa avere esperienza di sensazioni. L’accento viene quindi messo sulle
esperienze soggettive.
Es. Quando ho una sensazione di caldo, anche se il fuoco che ne credo l’origine e il corpo in cui
l’avverto non esistono (sono ingannato) resta il fatto che l’esperienza sussiste.
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Il pensiero non è solo il luogo della rappresentazione del mondo, ma è anche il luogo in cui il mondo ci
appare. Nella coscienza cartesiana non c’è solo la riflessione intellettuale, ma anche percezioni, emozioni,
credenze, desideri e volizioni.
Nella scienza cognitiva, la mente è interna e distinta dal resto del mondo, ma è indagabile oggettivamente e
osservabile (neuroimmagini). Il MME vede la mente come veicolata sia da processi interni sia da supporti
esterni al corpo.
Le scienze cognitive “classiche” si basavano sulla metafora del computer (i processi cognitivi sono
computazioni e operazioni su simboli mentali) e sull’idea di contenuto mentale (capacità di stati mentali di
riferirsi al mondo "esterno") spiegabile attraverso rappresentazioni interne. Le rappresentazioni mentali
sono utilizzate per spiegare il comportamento umano in termini di cause mentali interne e osservabili.
L’idea cartesiana di esterno e interno rimane, ma la distinzione cognitivista è naturalistica, ovvero che non
divide il reale in due sostanze (res cogitans e res extensa). La mente è collegata al mondo tramite input
percettivi e output comportamentali; questa concezione di mente è nota come funzionalismo
computazionale: mente come elaboratore di informazioni (la mente è “nella testa” delle persone).
Il funzionalismo vede gli stati mentali (credenze, desideri, …) come stati funzionali che descrivono
causalmente i processi mentali; essi permettono l’elaborazione di input e output. Il funzionalismo
computazionale vede la mente come a-biologica: non importa quale materia la compone, ma è importante
che questa permetta di fare certi processi funzionali (VEDI CUORE DI DENNETT).
Il funzionalismo non riprende l’idea cartesiana dell’esperienza cosciente e soggettiva: l’esperienza è una
proprietà aggiuntiva alla mente e, soprattutto, la maggior parte dei processi di elaborazione cognitiva sono
inconsci (processi sub-personali). Ciò che conta nell’elaborazione è il flusso causale, non tanto il suo
essere “interna” all’agente.
Se quindi non è importante che la mente sia interna, allora si possono muovere critiche sul internismo
cerebrale. La scienza cognitiva “post-classica” vede l'importanza della mente embodied e della mente
embedded (i processi mentali sono incorporati e immersi nell’ambiente fisico e sociale).
- Percorso “verticale” → dalla mente al corpo; il veicolo concreto delle computazioni è saliente, i
processi mentali e i modelli computazionali non possono non coincidere con certe basi
neurobiologiche, la distinzione hardware e software è impropria perché queste sono fortemente
intrecciate e complesse
- Percorso “orizzontale” → dalla mente al mondo esterno; gli esseri umani hanno imparato a
delegare i propri compiti cognitivi a elementi extracerebrali e ambientali
Vengono quindi messi in discussione l’internismo cerebrale e l’idea di sequenza lineare input-
elaborazione-output.
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- La mente umana deve essere concepita come un sistema di elaborazione dell’informazione? E‘ un
sistema di meccanismi interni all’organismo o è un sistema dinamico aperto al contributo
ambientale?
- La mente, tramite l’evoluzione, è diventata uno strumento adattivo per l'uomo, per cui, fino a quanto
ci possiamo spingere a studiare la mente come un calcolatore? Si possono studiare i processi di
pensiero senza che essi siano incarnati in un organismo (metafora software-hardware)?
I modelli della mente embodied, embedded e l’approccio computazionale non spiegano il “marchio del
cognitivo” perché trascurano la centralità dell’organismo vivente
“La nostra migliore scienza cognitiva abbraccia un pacchetto integrato di capacità cognitive legate
all’organismo, che utilizza anche le risorse ambientali”, Robert Rupert
Se si vuole spiegare il “marchio del cognitivo” senza impiegare le prospettive funzionaliste e cartesiane,
allora è necessario riprendere la tripartizione dell’anima aristotelica. Il nostro stomaco è anche chiamato
second brain poiché al suo interno esistono milioni di neuroni; questo rende lo stomaco un processo
cognitivo e stringerebbe l’occhio all’anima nutritiva di Aristotele, tuttavia, possiamo essere certi che questo
“secondo cervello” pensi?
L’estensione verticale e orizzontale dei processi cognitivi non permette di discernere quali siano i processi
fisiologici e quelli cognitivi. Abbandonando il pensiero cartesiano, è venuto a mancare anche un principio di
individuazione del mentale, tuttavia, se si riprendessero le intuizioni cartesiani, dovremmo abbandonare
diverse intuizioni quali i processi sub-personali.
La possibilità di estendere la propria mente, oltre a porre il problema di tracciare un confine tra i processi
mentali squisitamente interni e quelli estensibili, ha ricadute anche nel tema dell’identità personale e nel
conflitto tra le due visioni antropologiche del cognitivismo e del neuroscientificismo: la prima vede gli
esseri umani come entità le cui caratteristiche essenziali dipendono dalla natura dei cervelli (“uomo
neuronale”), mentre la seconda insiste sulla dimensione culturale e sociale degli artefatti quali oggetti che
potenziano enormemente le prestazioni dei cervelli biologici. L’icona dell’antropologia basata sulle
neuroscienze è il cyborg, una creatura organica e cibernetica che abita un mondo in cui il pensiero permea lo
spazio fisico e virtuale.
Entrambe le antropologie criticano la mente come spazio interno cosciente e, come Cartesio rivoluzionò la
cognizione nel passato, oggi la scienza cognitiva potrebbe vivere una nuova rivoluzione. Reintrodurre la
mente nel mondo - questa volta partendo dal cervello e non da una sostanza immateriale - porterebbe a
ridisegnare gli scenari di una scienza naturale del mentale.
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1. Dalla scienza cognitiva classica alla nuova scienza cognitiva
“Il problema dell’autonomia della vita mentale non dipende dalla questione della materia e dello spirito.
Non avrebbe importanza se fossimo fatti di emmenthal” Putnam, 1973
La nascita della SCC coincide con il Symposium on Information Theory al Massachusett Institute of
Technology (1956); in essa troviamo i progressi dell'informatica (vedi Alan Turing) e l’abbandono del
paradigma comportamentista (vedi black box).
Vista la fragilità della concezione di mente come elaboratore simbolico e del primato della coscienza in
quanto guida del pensiero, il passo successivo è la separazione tra intenzionalità e coscienza: se per
Cartesio la coscienza è il marchio del mentale, per il computazionalismo la coscienza deve essere spiegata
successivamente all’intenzionalità (nel senso filosofico).
Prendere come punto di partenza l’intenzionalità significa che l’essenza della spiegazione psicologica è la
comprensione del comportamento di un agente sulla base dei contenuti interni alla sua mente, ovvero al
sistema cognitivo con cui si rappresenta il mondo.
Una volta separata l’intenzionalità e la coscienza, è possibile scomporre i fenomeni di alto livello in funzioni
più semplici; queste non sono descritte dal linguaggio della mente personale (credenze e desideri), ma da
processi sub-personali inconsci, idea armonica con il naturalismo darwiniano di Dennett.
“E’ possibile che mettendo insieme un numero sufficiente di homunculi insulsi si ottenga una persona reale,
dotata di coscienza e con un’autentica mente?”
Dennett, 1996
Secondo Dennett, sono questi homunculi che permettono alla cognizione di emergere: scomporre i processi
complessi nei componenti di base significa privilegiare il punto di vista sub-personale; questi homunculi
sono individuati per la funzione nella cognizione e non per la materia di cui sono composti.
Le teorie del livello sub-personale sono autonome sia dal livello neurobiologico sia da quello
fenomenologico; la coscienza deve quindi essere spiegata a partire da ciò che coscienza non è. L’ “inconscio
cognitivo” è la capacità di elaborare rappresentazioni, ovvero strutture di informazioni fisicamente presenti
nel cervello che hanno un ruolo causale-funzionale nella genesi del comportamento.
La teoria rappresentazionale della mente assume che l’umano “agisce nella testa” prima di
agire all’esterno (VEDI CREATURE POPPERIANE DI DENNETT). E‘ difficile per il
senso comune accettare il pensiero come un calcolo sulle rappresentazioni perché viene visto
come estremamente meccanico e automatico, ma soprattutto perché è impensabile che un
calcolo sintattico possa produrre un significato (rappresentazione).
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ES. Macchina di Turing
La macchina di Turing è una macchina composta da un nastro illimitato - nelle due direzioni,
mondo esterno e memoria della macchina - suddiviso in caselle in cui sono stampati dei
simboli.
La macchina ha una testina che esamina una casella alla volta ed esegue operazioni
seguendo regole condizionali “se A allora B”. A un dato input, la macchina risponde con un
output che può essere cancella, fermati, scrivi, spostati indietro o in avanti.
L’efficacia causale dell’input è dovuta ai suoi aspetti sintattici e non semantici. Per
paragonare questo al calcolo al pensiero è necessario focalizzarsi sul concetto di regole e
inferenza
(b) Piove
(a) Se p, allora q
(b) p
(c) q
Le elaborazioni mentali sono guidate da regole che valgono indipendentemente dai contenuti
ed è proprio questa formalizzazione che permette di collegare la semantica 5 alla sintassi6
- Tesi della modularità della mente → La mente è organizzata in aree funzionali dedicate a
particolari abilità; un processo modulare è legato ad una funzione specifica, risponde
automaticamente a un dato stimolo e viene processato indipendentemente dal resto del sistema
La modularità della mente permette di spiegare i processi personali in termini di quelli sub-
personali. Se la SCC spiega il comportamento attraverso relazioni di causa ed effetto, allora
anche le credenze e i desideri dovranno essere individuati sul loro ruolo causale nella genesi
del comportamento
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- Orizzontale → Un fenomeno mentale è spiegabile sulla base di un suo antecedente
(es. credere che X sia un ottimo candidato è giustificato dalla serie di credenze sulle
sue competenze, capacità, standard etici, …)
Es. Se il dolore fosse il risultato di determinati processi cerebrali, ecco che gli
animali non proverebbero dolore.
Ne “L’argomento della realizzabilità multipla”, Hilary Putnam afferma che ciò che conta
in un pensiero è il contenuto che esprime, non la materia del sistema che lo intrattiene. In
questo modo si è sancita l’autonomia dell’indagine psicologica dalla ricerca
neuroscientifica
- Individualismo metodologico → Lo studio della mente può avvenire anche astraendo dal corpo e
dall’ambiente (vincolo individualistico)
Questa tesi si basa sull’idea cardine che per studiare i fenomeni cognitivi/mentali è
sufficiente conoscere le proprietà sintattico-formali delle rappresentazioni in quanto
proprietà fisicamente intrinseche negli individui.
Ogni stato computazionale deve avere necessariamente una realizzazione fisica, altrimenti
“Qualsiasi differenza tra organismi che non si manifesti nello stato fisico interno deve
essere ignorata da una teoria psicologica”, Stich, 1983
Il legame tra cognitivo e base materiale non è d'identità (vista la realizzazione multipla),
bensì di sopravvenienza: se due entità, stati, processi o eventi sono assolutamente identici
sul piano fisico, allora lo saranno anche su quello psicologico; l’internismo della SCC è
esplicato asserendo che gli stati cognitivi sopravvengono sugli stati funzionali interni.
“Le teorie computazionali caratterizzano la mente come sistema chiuso, il cui funzionamento è indipendente
dall’ambiente. L’accusa è quella di caratterizzare la cognizione in modo solipsistico 7 o individualistico”
Alfredo Paternoster, 2005
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L’obiettivo del MME è di dimostrare che si può aderire ad un modello funzionalistico computazionale
aderendo al punto di vista esternista. L'estrernismo è la posizione filosofica per cui un elemento esterno ha
un ruolo costitutivo in un processo e l’ipotesi della mente estesa afferma che il veicolo degli stati cognitivi
può essere esterno rispetto al corpo dell’agente.
Le critiche al SCC vanno oltre l’internismo e interessano l’approccio “simbolico” del funzionalismo
computazionale: questo si è rivelato critico quando il sistema cognitivo doveva resistere a piccole variazioni
tra lo stato previsto dal progettista e quello effettivamente riscontrato.
Saranno i modelli connessionisti a porre rimedio a questa vulnerabilità; infatti, questo approccio permetteva
la progettazione di meccanismi in grado di interagire in tempo reale con un ambiente imprevedibile e
sviluppare un comportamento adattivo al di fuori della sequenza input-elaborazione-output.
Paul Thagard (1996) presenta il passaggio dal SCC a quella post-classica sotto forma di sfide:
- Sfida dell’emozione → Le ricerche neurobiologiche hanno sottolineato il ruolo delle emozioni nei
processi cognitivi, nonostante queste non siano affrontabili dai modelli computazionali
- Sfida della coscienza → Il funzionalismo non analizza la dimensione soggettiva della coscienza
- Sfida del “mondo” → Il modello classico pone una separazione tra mente e mondo, quest’ultimo
“vissuto” tramite rappresentazioni. Alcuni studi però hanno mostrato la natura incorporata dei
processi cognitivi, ovvero la loro dipendenza dall’esistenza di strutture corporee a cui la
computazione rappresentazionale delega una parte cospicua dei propri compiti
- Sfida dei sistemi dinamici → La mente dovrebbe essere concepita come un sistema dinamico non
lineare per cui l’evoluzione nelle “transizioni di fase” portano a nuove forme stabili di
organizzazione
La critica generale che si può muovere al SCC riguarda la plausibilità biologica e psicologica dei modelli
funzionalisti: l’intelligenza artificiale classica si preoccupava solo del risultato del compito cognitivo e non
dei vincoli architettonici.
La SCC non può coesistere con i fenomeni di embodiment e embeddedness; tuttavia, il funzionalismo
computazionale può essere mantenuto, soprattutto nel MME.
- Classico → Vengono predilette le caratteristiche di alto livello e si concentra sui caratteri più
propriamente umani (linguaggio, razionalità, pensiero)
- Post-classico → Preferisce partire dal basso e concentrarsi prima sulle abilità basilari condivise con
altri animali
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Si delineano quindi due percorsi per la comprensione dell’intelligenza
Il grillo femmina riconosce il canto del grillo maschio e vi si avvicina attraverso il meccanismo di
fonotassi
In realtà i grilli risolvono tutto ciò in maniera più fluida: attraverso un sistema di recettori, il grillo
fimmina si dirige dalla parte in cui sente il suono più forte grazie alla previa attivazione di un
interneurone
La natura non procede per pianificazioni ed elaborazioni centrali, ma piuttosto tenta di sfruttare le
caratteristiche dell’ambiente circostante incarnando il principio di economia.
Col proseguire della ricerca, si è osservata l’importanza degli approcci ecologici che riescono a raggiungere i
medesimi obiettivi risparmiando sulle risorse computazionali. L’esempio del grillo ha permesso la rinuncia
al “sandwich cognitivo”: la ricerca di soluzioni più fluide passa per l’abbattimento della rigida distinzione
tra i diversi livelli di percezione-elaborazione-azione.
Nonostante la strategia top-down non sempre paghi, nemmeno l’approccio bottom-up spiega il pensiero
razionale, il linguaggio e il ragionamento: gli agenti incarnati e situati non possono fare a meno di
appoggiarsi a un pensiero più complesso e astratto fatto di computazioni su simboli.
La peculiarità del MME è di prendere sul serio e attribuire un ruolo cognitivo anche alla complessità del
mondo culturale e sociale fatto di rappresentazioni pubbliche e private che consentono di elevarsi alle vette
del pensiero razionale.
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Questa ipotesi è sostenuta da indagini svolte in diversi campi.
- Le psicologhe dello sviluppo Thelen e Smith hanno mostrato come la conoscenza acquisita
dai bambini nel corso della crescita sia legata al rapporto motorio con il mondo: un bambino
che impara a percorrere un piano inclinato a carponi, quando imparerà a camminare,
perderà questa capacità e dovrà re-imparare questa competenza
- Kirsh ha studiato l’uso intelligente dello spazio nello svolgimento dei compiti quotidiani
come estensione dello spazio di elaborazione mentale (es. quando cuciniamo, cerchiamo di
raggruppare gli ingredienti per una ricetta). Kirsch e Maglio parlano di azioni epistemiche:
azioni che, pur interferendo col mondo, sono più simili a estensioni di processi di pensiero
(“pensare agendo”)
- In studi di robotica situata, il cui padre è Rodney Brooks, le creature artificiali sono
strutturate con un'architettura a strati (architettura di sussunzione) per cui ognuno è
indipendente e autonomo, ma insieme permettono comportamenti “complessi”
Es. i mobots di Brooks sono capaci di locomozione tramite l’interazione di strati che
si inibiscono o si attivano l’un l’altro
L’idea di base è che non è necessario avere una pianificazione centrale, ma è necessario
scomporre il comportamento in meccanismi basilari. Brooks sostiene che i nostri processi
conoscitivi non hanno natura rappresentazionale, poiché è computazionalmente dispendioso,
ma piuttosto sono una continua estrazione di informazioni dall’ambiente; la posizione anti-
rappresentazionale però è debole di fronte al linguaggio e alla memoria, funzioni
puramente umane in cui è necessaria una pianificazione centrale.
- Un altro tentativo di spiegazione è stato fornito dalla teoria dei sistemi dinamici:
concependo l’esistenza di un unico sistema, agente-ambiente, e eleggendo alcune variabili
parametriche utili alla descrizione del sistema, è possibile riconoscere degli stati del sistema
(il cui insieme è costituito dallo spazio degli stati).
Lo spazio degli stati è organizzato secondo una topologia geometrica in cui vi sono dei punti
particolari, detti attrattori, in cui il sistema tende a stabilizzarsi. Lo scopo della teoria
dinamicista è quello di prevedere il futuro del sistema basandosi sullo sfruttamento nella
nozione di abbinamento (capire che due variabili covariano in modo continuo
influenzandosi reciprocamente) e di cambiamento in tempo reale.
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“Nonostante tutto sia un sistema dinamico, è necessario capire se la spiegazione
descrittivo-predittiva, piuttosto che ricostruttiva, sia appropriata alla scienza cognitiva”
Paternoster, 2005
- Riconoscimento del ruolo dell’ambiente esterno nei processi cognitivi, attraverso l’analisi
dell’uso di impalcature esterne (external scaffolding) e di artefatti cognitivi
1.5 Conclusioni
La SCC ha proposto la visione del pensiero come computazioni su rappresentazioni e, adottando una
visione funzionalista degli stati mentali, si è disinteressata alla base materiale delle attività cognitive. Si è
avvicinata ad una spiegazione meccanicistica, rappresentazionale e computazionale basata sulla
scomposizione funzionale, sulla localizzazione delle sottofunzioni e sulla simulazione.
La scienza cognitiva post-classica introduce i temi della corporeità e della natura situata della cognizione,
proponendone una visione incarnata nel corpo e nell’ambiente. Diversi sono gli approcci alla critica della
cognizione classica:
In entrambe le correnti si possono distinguere caratteri comuni della cognizione. Secondo i teorici della
cognizione situata, essa è:
Riconoscere i meriti della nuova scienza cognitiva non significa che tutte le sue istanze siano dimostrate: la
componente corporea della cognizione è sicuramente importante, ma non esaurisce il bisogno di ricorrere a
rappresentazioni astratte
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- Stampo funzionalista → E‘ giusto estendere la mente all’ambiente poiché gli artefatti tecnologici e
culturali operano un potenziamento cognitivo (particolarmente legata al contributo di Clark)
Di Francesco e Piredda si soffermano più sul primo approccio per due ragioni:
- Gli autori credono che non si può rinunciare all’ipotesi della natura computazionale e
rappresentazionale delle operazioni mentali
- L’anima funzionalista valorizza al meglio il giusto peso del finora trascurato mondo sociale e
culturale
Per difendere la loro tesi, Clark e Chalmers esaminano le possibilità di cognizione estesa, mente estesa e
soggettività estesa.
Il punto di partenza sono i processi cognitivi non concettuali, le attività di problem solving.
a) Il giocatore immagina una rotazione mentale delle figure per decidere le mosse da compiere
b) Il giocatore utilizza traslazioni e rotazioni sullo schermo interagendo con uno strumento
esterno
c) Il giocatore effettua le rotazioni attraverso un impianto neurale “alla stessa velocità del
computer”
Tutte queste tesi sono equivalenti dal punto di vista cognitivo, ma utilizzano in modo diverso le risorse a
disposizione:
L’ipotesi per cui le barriere corporee sono sopravvalutate può essere difesa dal ruolo epistemico di carta e
penna nel caso di moltiplicazioni complesse, sulle strategie del gioco Scarabeo, dell’utilizzo di linguaggio,
libri, diagrammi e cultura,
L’idea è quella di azioni epistemiche (Kirsh e Maglio), ovvero di modificazioni del mondo allo scopo di
ottenere un vantaggio cognitivo
ES. La scelta delle parole nello Scarabeo può essere spiegata come il risultato di un lungo e
complesso processo cognitivo, ma tutto ciò può essere semplificato dicendo che il riordinamento
delle tessere sul leggio non fa parte dell’azione, ma del pensiero.
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Il riordinamento è un'azione epistemica meglio percepita nella sua unitarietà, piuttosto che scomposta in una
sequenza di azioni a sé stanti. Il concetto di azione epistemica porta a distinguere le azioni pragmatiche 8 dalle
azioni epistemiche, tuttavia non è raro che le risorse esterne e interne collaborino alla creazione di sistemi
abbinati (coupled) finalizzati alla soluzione di problemi cognitivi.
L’abbinamento è ciò che caratterizza il legame tra organismo e risorsa esterna: esso va inteso come
l’influenza reciproca e diretta di entrambe le parti con lo scopo di guidare il comportamento. In questo caso,
organismo e risorse esterne costituiscono un unico sistema.
Un’altro argomento a favore del MME potrebbe essere individuabile nella natura evoluzionistica:
l’evoluzione ha fatto sì che l’uomo sviluppasse la capacità di sfruttare le risorse esterne per diminuire il
carico di memoria. L’artefatto fondamentale” è il linguaggio: appoggiandoci sul mondo e sugli altri,
riusciamo a potenziare le nostre capacità di problem solving; in quest’ottica, il linguaggio non rispecchia gli
stati mentali interiori, ma è uno strumento di complemento.
Come riusciamo a distinguere quando i processi esterni sono un aiuto alla cognizione e quando sono il
veicolo di essa? La soluzione (approssimativa) che Clark e Chalmers propongono è quella del principio di
parità: se, nell’affrontare un compito, il mondo funziona come un processo cognitivo, allora esse è parte del
processo cognitivo.
- Non risponde alla domanda sul marchio del cognitivo; esso afferma che la collocazione intracranica
non è necessaria per godere del titolo di “cognitivo”
- Per essere considerati cognitivi, non importa che i processi esterni siano simili a quelli interni dal
punto di vista funzionale, ma è importante che contribuiscano alla realizzazione di un compito che -
se fosse svolto “nella testa” - sarebbe cognitivo
- Se è il ruolo funzionale che caratterizza uno stato cognitivo, allora il cervello non è l’unico supporto
disponibile
Questa proposta di estensione è implausibile a chi tende a legare mente e coscienza; tuttavia, il superamento
di mente e coscienza è un fatto assimilato dalla scienza cognitiva. Più delicata è la questione del rapporto
diretto che l’elaborazione cognitiva basata sul cervello sembra avere con la nostra coscienza, assente in caso
di artefatti cognitivi.
Più credito danno Clark e Chalmers danno all’obiezione alla portabilità: ciò che caratterizza i processi
cognitivi in senso stretto è la loro portabilità, garantita da un pacchetto di risorse disponibile per risolvere
compiti cognitivi indipendentemente dall’ambiente circostante.
Nonostante si creda che la “mente nuda” sia l’unico deposito del bagaglio cognitivo, Clark e Chalmers non
escludono lo status di cognitivo a tutte quegli impianti di potenziamento cognitivo che permettano
l’abbinamento
Da un lato Clark e Chalmers riconoscono che un’estensione troppo contingente 9 della cognizione appare
controintuitiva; tuttavia, è tollerata in scenari in cui essa è concepibile. Il punto di equilibrio è
l’abbinamento affidabile: affinché dei sistemi abbinati siano rilevanti per la cognizione, essi devono essere
affidabili, ovvero sempre disponibili nel momento del bisogno (es. le tabelline hanno un abbinamento
affidabile, ma non le calcolatrici)
14
I criteri per decidere quando una connessione con un veicolo esterno è sufficientemente affidabile sono stati
definiti dall’esperimento mentale di Otto e Inga.
- Inga → E‘ interessata ad una mostra al MOMA di New York e, dopo aver ricordato l’indirizzo del
museo pensando, si recherà alla mostra. La credenza sull’indirizzo del museo ha guidato le azioni
di Inga.
Inga crede che l’indirizzo del MOMA fosse quello anche prima di recuperare l’informazione della
memoria, sebbene in quel momento tale informazione non fosse occorrente, presente o attiva nella
sua mente: le credenze disposizionali sono quelle credenze accessibili o disponibili anche che se
non attivate in un preciso istante.
Nonostante la localizzazione delle credenze sull’indirizzo siano diverse (strutture cerebrali vs. taccuino), i
due casi sono analoghi poiché, applicando il principio di parità, la ricerca sul taccuino, se fosse
internalizzato, sarebbe considerato un processo cognitivo.
L’esempio di Otto ha permesso di dimostrare come una credenza può essere parzialmente costituita da
caratteristiche dell’ambiente affinché guida nel modo corretto il processo cognitivo.
Se in prima battuta si potrebbe dire che, se il taccuino di Otto fosse chiuso, l’informazione sarebbe perduta,
in realtà, sia in Otto che in Inga, l’informazione è presente in modo affidabile, corroborando la base
funzionalista della strategia di Clark e Chalmers e il MME
Quando spieghiamo le azioni di Inga non abbiamo bisogno di attribuirle credenze sulla sua memoria
biologica, ci bastano il suo desiderio occorrente e la sua credenza non occorrente. Il MME non porta a
riflettere tanto sull’uso comune di credenze e desideri (come nell’approccio cartesiano e internista), ma
piuttosto su come dovrebbe essere usate per ottenere spiegazioni del comportamento umano
Nonostante Inga abbia accesso ai suoi ricordi direttamente tramite introspezione, mentre Otto deve
reperirli percependo simboli scritti su un taccuino, il flusso di informazione tra i processi interni è
analogo a prescindere della fenomenologia associata alla percezione visiva o al richiamo di
coscienza di un ricordo; il flusso causale è simile
Si potrebbe pensare che l’accesso diretto alla mente fenomenologica possa influenzare lo statuto
epistemico di un contenuto: “io non dubito di essere l’autore dei miei ricordi, ma potrei dubitare
dell’autenticità di una nota sul mio taccuino”.
10 In repliche successive, il morbo viene sostituito con lievi deficit mnemonici in quanto un malato di Alzheimer non
si ricorderebbe nemmeno di consultare il taccuino
15
Inoltre, si potrebbe pensare che la modalità di accesso possa influenzare la qualità di accesso dei
propri ricordi: mentre le informazioni di Inga corrono su una banda ampia e le informazioni di Otto
sono limitate alla percezione sensoriale, l’affidabilità delle informazioni rimane invariata.
Si potrebbe criticare la portabilità del taccuino di Otto in quanto non sempre può essere con lui (es.
in doccia), tuttavia anche Inga può avere dei momenti di dissociazione con la memoria (es. durante il
sonno).
[La portabilità non sarà più un problema quando verranno installati dispositivi neurali che
potenzieranno le nostre prestazioni cognitive o mnemoniche]
- Quali sono i criteri per discriminare le risorse che abbiamo a disposizione nella nostra vita e
quelle che fanno parte del nostro equipaggiamento cognitivo?
Si può parlare di credenze disposizionali estese quando sono rispettate le seguenti condizioni:
L’insieme di questi tre criteri individua quei contenuti di credenza che possono essere attribuiti
potenzialmente o virtualmente, tuttavia questo genera un problema nella disposizionalità del
MME
- Occorrenza → Bisogna aver almeno interagito una volta nel passato con il contenuto della
credenza
- Il criterio dell’accettazione nel passato sembra reintrodurre un privilegio internistico per cui
è genuino solo quello che è accettato coscientemente.
- Ciò che si applica alle credenze estese non si applica alle credenze interne: la formazione
delle credenze “ordinarie” non richiede l’intervento della coscienza, violando il quarto
criterio
La riflessione sul quarto criterio farà emergere la questione degli stati coscienti estesi.
16
- Otto non prenderebbe una decisione senza consultarlo
- L’informazione sul taccuino è direttamente disponibile
- Le informazioni del taccuino, una volta reperite, sono automaticamente accettate
- L’informazione sul taccuino è stata coscientemente accettata in qualche momento del passato
I sostenitori dell’approccio dinamicista, enattivista e sensomotorio affermano che per una migliore
comprensione della mente è necessario considerare la coscienza come un processo unitario che coinvolge
il cervello e il mondo.
Secondo gli esponenti della tradizione enattivista e dinamicista, è necessario collocare la coscienza del
mondo
“Il luogo della coscienza è la vita dinamica dell’intera persona o dell’intero animale immersi nel loro
ambiente”, Alva Noë
Nell’approccio enattivo11 Il cervello ha lo scopo di “facilitare” questa interazione dinamica; gli obiettivi
polemici di questo esternismo radicale sono il rappresentazionalismo e la centralità del cervello nella
cognizione.
Noë, per rifiutare la centralità del cervello, cita spesso l’esempio del testo Fondamenti delle neuroscienze e
del comportamento (Erik Kandel et al.):
“Il cervello non elabora una replica del mondo esterno [...], ma costruisce una rappresentazione interna
degli eventi fisici”
Il cervello non genera la coscienza in modo autonomo: come gli strumenti musicali non fanno musica e
non generano suoni da soli, essi permettono alla persona di fare musica. L’esternismo della coscienza si
oppone sia a chi pensa che il cervello abbia una rappresentazione dettagliata del mondo sia a chi, come
Dennett, sostiene la natura illusoria dell’esperienza cosciente
“Il mondo non è una costruzione del cervello [...] esso esiste e la mente cosciente rappresenta una forma di
attiva sintonia con il mondo” Noë
Separare coscienza e mondo sarebbe “come considerare separatamente il polo nord e il polo sud del campo
magnetico” (Manzotti e Tagliasco, 2008)
La mente cosciente dovrebbe essere considerata come un enorme insieme di processi che si sviluppano nel
tempo e nello spazio, che hanno inizio nell’ambiente esterno e che terminano nelle strutture cerebrali
del soggetto di esperienza.
11 Le strutture cognitive della mente emergerebbero dalle dinamiche senso-motorie ricorrenti fra l’agente incarnato (embodied) e
inserito in un ambiente naturale (embedded), le quali permettono all’azione di essere guidata percettivamente
17
- Filosofico → Criticano il residuo di cartesianesimo implicito nell’internismo cerebrale
- Empirici → Esperimenti di Paul Bach-y-Rita sulla sostituzione visuotattile
Questi ultimi esperimenti dimostrano come l’informazione visiva può essere tradotta in
stimoli tattili in modo da permettere ai soggetti non vedenti di “giudicare correttamente la
grandezza, la forma e il numero di oggetti posti dall’altra parte della stanza”
“Ciò che determina il carattere della nostra esperienza - ovvero quel che rende la nostra
esperienza quel tipo di esperienza - è la relazione dinamica che intratteniamo con gli
oggetti [...] nel caso di sostituzione visuotattile, questa relazione dipende dalla selettività
naturale ai cambiamenti nelle nostre relazioni con le cose”
Questi esperimenti e quello condotto al MIT sui furetti12 suggeriscono alla plasticità neurale,
tuttavia sarebbe più controversa una evidenza in favore della coscienza estesa.
Qui entrano in gioco delle importanti distinzioni filosofiche. Ned Block, recensendo Action in Perception
(Noë, 2004), sottolinea la distinzione tra una tesi costitutiva e una causale: una volta ammessa la
differenza tra la tesi che le contingenze sensomotorie a cui si appellano gli enattivi “hanno effetto”
sull’esperienza da quella secondo cui “costituiscono” l’esperienza, gli argomenti di Noë perdono mordente.
La distinzione tra costituzione e causalità, racchiusa nel termine “fallacia della costitutività” sarà strumento
di critica per il MME
Se prendiamo in esame stati mentali disposizionali non occorrenti (taccuino di Otto), identificarne il
ruolo causale equivale a fornire le condizioni di identità (e quindi determinarne la natura). Con la
coscienza, invece, è tutt’altro scontato il ruolo causale per essere sufficiente a render conto della
fenomenologia associata
Questa è la morale del problema dei qualia: una volta chiarito il ruolo causale dell'esperienza fenomenica
del rosso o del dolore, allora dovremo spiegare perché li esperiamo così, dotati di quella particolare qualità
(rossezza o dolorosità).
Quello che rende attraente il MME è la possibilità di una spiegazione unitaria e integrata della dinamica
cognitiva che superi le barriere corporee; tuttavia, questa spiegazione non si può applicare alla coscienza.
Siccome manca una teoria condivisa sulle basi fisiche della coscienza fenomenica, Hurley ha definito che
siamo di fronte a due intuizioni conflittuali
“Se abbiamo una comprensione così scarsa delle qualità fenomeniche, perché siamo così fiduciosi che la
spiegazione deve essere internistica?” Hurley
12 A dei furetti neonati venivano collegati gli occhi alle aree uditive dei loro cervelli in modo da vedere "utilizzando il
loro cervello acustico”
18
Chalmers ipotizza che, vista la complessità dei fenomeni coscienti, l’ipotesi “centrata sul cervello” sia
preferibile:
“Le basi fisiche dell coscienza richiedono accesso diretto all’informazione su una banda estremamente
ampia” Chalmers nella prefazione a Supersizing the Mind (Clark, 2008)
Qualsiasi cosa produca coscienza fenomenica, per il funzionalista dovrà avere una potenza computazionale e
un’ampiezza di banda che al momento solo le connessioni neurali intracraniche possono garantire. Questa
riflessione potrà essere diversa in un futuro in cui impianti extracranici saranno estensione della coscienza.
ES:
Una vecchia coppia che si conosce tanto a fondo da completare l’uno i pensieri dell’altra
L’estensione in questo caso è possibile grazie al nostro essere creature linguistiche che, tramite il linguaggio,
riescono a comunicare i propri pensieri. Senza linguaggio saremmo creature cartesiane legate a risorse
interne.
Se ammettiamo la mente estesa, perché non ammettere un io esteso? Se accettando le credenze disposizionali
siamo riusciti a oltrepassare la sfera della coscienza, estendendole riusciremo ad arrivare ad un io esteso?
La discussione del soggetto esteso solleva una questione naturale: se il pensiero e l’intelligenza possono
“abitare” il mondo culturale e sociale, quale sarà la nuova antropologia?
3. Nati cyborg
3.1 Dall’uomo neuronale al cyborg
“[...] Noi diverremo cyborg non nel combinare carne e metallo, ma nel senso più profondo di essere
simbioti umano-tecnologici: sistemi che pensano, le cui menti e i cui io sono distribuiti tra cervello biologico
e circuiteria non biologica”
Queste sono le parole di aperture di Clark nel saggio Natural-Born Cyborg (2003). Secondo l’autore,
l’estensione tecnologica della mente e del soggetto è il naturale completamento delle nostre potenzialità: noi
umani saremmo cyborg per natura
19
Secondo Cartesio, umano è colui che segue il Cogito ergo sum, ovvero coloro caratterizzati dalle
proprietà tipiche della mente personale quali il dubbio, l’intenzione, il desiderio, l’immaginazione e
il sentire.
Se all’inizio il rapporto tra biologia e cultura era la variabilità della sovrascrittura culturale su una base
biologica comune e inerte, l'impatto di scienza e neuroscienza cognitiva hanno fatto emergere le
prospettive neurocentrica ed estesa.
Insistere sulle basi neurobiologiche dei nostri comportamenti sociali rafforza la tendenza a introdurre
considerazioni evoluzionistiche nella spiegazione del mondo culturale e questo comporta ad una maggiore
attenzione alle basi genetiche del comportamento.
La tendenza a focalizzarsi sulle basi neurali sembra essere talmente in costante crescita nel naturalismo
moderno tanto da introdurre il concetto di neurocultura (Frazzetto e Anker, 2009): impatto collettivo dello
straordinario sviluppo delle neuroscienze. Questa nuova antropologia porta l’essere umano ad affermare “io
sono il mio cervello”
“La nostra vita mentale - e la nostra identità personale - può essere spiegata dal comportamento di una
miriade di cellule nervose” Francis Crick, 1994
Le basi neurobiologiche del pensiero e dell’azione sono sempre più alla portata della ricerca scientifica che si
estende dalla cognizione individuale alla cognizione sociale. Lo studio delle capacità meta-
rappresentazionali13 si accompagna allo sviluppo della neuroeconomia, neuropolitica, …
“Se la personhood è la qualità o condizione di essere una persona individuale, brainhood può indicare la
qualità o condizione di essere un cervello”, Vidal (2009)
Nonostante nella cultura moderna si sia affermata l’idea che il cervello è la sede dell’io e della
rappresentazione di Sé, gli autori vorrebbero disquisire su questa credenza, ma si soffermano sul rapporto tra
MME e neurocentrismo.
I paladini del MME capiscono l’importanza delle neuroscienze tuttavia rifiutano l’identificazione ontologica
ed epistemologica di mentale e cerebrale: essi associano la corporeità biologica (embodiment) e
l’immersione nell’ambiente fisico e sociale (embeddedness) alla cognizione sociale e individuale.
Il riferimento al cyborg permette di sottolineare come la più rapida evoluzione biologica ha permesso
all’evoluzione culturale di creare supporti e impalcature destinate al potenziamento delle capacità cognitive
biologiche.
Dal linguaggio scritto e orale alle tecnologie contemporanee informatiche, l’estensione della cognizione
all’ambiente ha governato lo sviluppo dei natural-born cyborg - ovvero esseri umani artificiali per natura.
13 Capacità di rappresentarsi i propri e altrui processi di pensiero, fondamentali per la genesi dell’io e l’interpretazione
dei nostri simili
20
3.2 Tecnologie della mente
Rispetto alle teorie della estensione della mente legate al embodiment ed embeddedness in cui la mente
rimane ad un livello biologico, nel modello cyborg di Clark è centrale l’utilizzazione di artefatti cognitivi
esterni come veicoli del pensiero; il dualismo in questo caso non è tra cervello e mondo, ma quello tra
biologia e cultura.
In Natural-Born Cyborgs, Clak afferma che la caratteristica distintiva dell’intelligenza umana è il saper
entrare in profonde e complesse relazioni con strumenti e supporti non biologici. Questi strumenti non
sono da considerare esterni, ma come parte integrante dell’apparato computazionale.
La possibilità di modificare il nostro corpo con protesi tecnologiche, la presenza costante nella nostra vita di
smartphone, [...] hanno trasformato radicalmente la nostra nozione di noi stessi trascendendo le limitazioni
biologiche.
L’unico limite per il MME è il SNC poiché ha un ruolo essenziale nella realizzazione degli assemblaggi
ibridi; il cervello non è più un limite in quanto si è dimostrato che sue modifiche possono ristrutturare il suo
funzionamento. La dimostrazione proviene dal mondo della Brain-Computer Interface (BCI) e delle protesi
cerebrali, ovvero dispositivi elettronici in grado di sostituire o integrare funzioni del SN danneggiate;
possono essere vista anche come un potenziamento se applicate in soggetti sani.
Esistono diversi esempi di protesi cerebrali sensoriali (es. impianti cocleari), motorie o cognitive - queste
mirano a sostituire/integrare funzioni della memoria (es. recupero di ricordi, memorizzazione di
informazioni, …):
- In un numero di “Nature” del 2006, veniva presentato un apparecchio in grado di restituire a soggetti
paralizzati la possibilità di agire sull’ambiente grazie ad un'interfaccia diretta tra cervello e
computer: tramite una rete di elettrodi nella corteccia motoria, il soggetto poteva leggere e-mail
oppure muovere un braccio robotico
“Il segnale di quanto le neuroprotesi siano andate avanti è dato dal fatto che la maggior parte delle
difficoltà sono ora sfide ingegneristiche e non più problemi di principio”, John Donoghue
Questo dispositivo permette anche ai pazienti “locked in” (= stato della malattia avanzato che non
permette il movimento degli occhi) di comunicare attraverso impulsi cerebrali per compiere gesti
quotidiani (es. accendere/spegnere la luce, formulare parole, …)
- Gli impianti cocleare sono dispositivi che permettono il recupero delle capacità uditive nelle
persone con gravi problemi di sordità. La parte esterna è dotata di un microfono che trasforma i
suoni in segnali digitali e vengono inviati ad una bobina interna che a sua volta li invia a un
ricevitore che li trasduce in segnali elettrici inviandoli al nervo cocleare.
Gli impianti cerebrali possono non rappresentare un sostegno decisivo alla tesi di MME; tuttavia, rendono
ancor più sfumato il confine corpo-mondo e biologia-tecnologia. Sarebbe un errore legare il destino del
MME all’avvento di un futuro post-umano in quanto non si sta andando oltre la nostra umanità ma lo
21
sviluppo tecnologico sta rendendo evidente un processo antico e connaturato; siamo in presenza di una
nuova versione di un vecchio software.
Per essere cyborg non servono appendici tecnologiche, ma basta parlare l’italiano o usare carta e matita per
calcolare; queste sono protesi cognitive per estendere la capacità della mente
“La mente umana non può essere vista come confinata nell’involucro biologico [...], infatti grazie
all’avvento dei testi e dei PC, la mente è sempre meno nella testa”
Clark, 2003
Il cervello umano è capace di pensiero astratto e intelligente solo perché è supportato da dispositivi culturali
che permettono di superare i vincoli biologici. Tra i passaggi che hanno segnato la co-evoluzione tra le
risorse cognitive interne e il mondo esterno sempre più intelligente individuiamo: linguaggio orale, capacità
di calcolo, scrittura, stampa e la rivoluzione digitale.
Se si considera gli esseri umani come cyborg naturali, ciò mette in discussione l’idea che le scienze umane
studino quell’uomo che diviene per cultura, in contrapposizione a ciò che egli è per natura. I confini tra
natura e artificiale sono nulli se si discute sulla natura umana.
Fino a che punto questa prospettiva è in grado di soppiantare il modello dell’uomo neuronale, secondo cui la
chiave della nostra specificità è nella struttura biologica del cervello, sede e origine di ragione e intelletto? Il
conflitto tra cyborg e uomo neuronali si gioca sulla definizione di fenomeno mentale e l’interpretazione
dei dati empirici; il punto di partenza per comprendere l’idea di cyborg naturale è il linguaggio.
E‘ noto che il linguaggio abbia un ruolo essenziale nella cognizione tanto che Lev Vygotskij ha sottolineato
l’importanza dell’acquisizione della lingua per guidare il bambino al raggiungimento di comportamenti
complessi.
Il possesso di un linguaggio pubblico si configura non solo “come mezzo di rappresentazione del mondo e di
espressione dei propri pensieri, ma anche come strumento per effettuare cambiamenti ambientali”.
Grazie al linguaggio, l’intelligenza umana modifica il mondo e il mondo così modificato cambia a sua volta
l’intelligenza.
22
Questo permetta a un agente guidato da forme di apprendimento delegate al sistema
sensomotorio di muoversi verso crescenti livelli di astrazione.
In questa prospettiva il ruolo del linguaggio come artefatto culturale assume una centralità
nel modellare il pensiero sconosciuta al modello interno
3. Strumento che innesca dinamiche cognitive di secondo livello come l’auto-progettazione e l’auto-
modificazione di sé stessi
“Noi possiamo riflettere su ogni aspetto del proprio pensare e possiamo individuare le strategie cognitive
per modificare o alterare aspetti della nostra psicologia”, Clark
L’uso del linguaggio ci rende abitatori di quello spazio delle ragioni che porta a introdurre vincoli normativi
al pensiero, sconosciuti al livello biologico. Sulla base di questi vincoli noi operiamo una imponente
riprogettazione e ri-edificazione di noi stessi. La caratteristica essenziale dell’umano è la capacità di
autocreazione.
La dinamica cognitiva di secondo livello consiste nel processo per cui le nostre auto-rappresentazioni
aprono le strade all’auto-progettazione etica, culturale, spirituale di noi stessi. Questo ci allontana dal mondo
naturali.
Certamente noi abbiamo credenze, desideri e atteggiamenti, tuttavia noi siamo consapevoli di averi e
abbiamo la possibilità di incrementarli, modificarli, sostituirli attraverso l’adesione di certi modelli sociali
che comportano un potenziamento cognitivo. Noi possiamo progettare ambienti che favoriscano il pensiero,
l’educazione e l’addestramento; questo è ciò che permette il passaggio dall’uomo neuronale all’uomo
cyborg.
Tuttavia, il ruolo del linguaggio nel potenziamento cognitivo non equivale all’adesione ad una lettura
esternista della mente, infatti è possibile continuare a ritenere il cervello come unico veicolo della
cognizione. Secondo Sterelny (2003) grazie alla plasticità neuronale e alle routine di apprendimento, è
possibile riconfigurare il nostro cervello biologico. Dennett (1991) segue il pensiero di Sterelny, ma
aggiunge che le menti umane sono un prodotto dell’evoluzione culturale trasmesso ai cervelli grazie
all’interazione sociale.
Questa concezione neurocentrica fa emergere una visione della cognizione molto simile al MME per due
punti:
- La mente umana viene considerata come un software creato nel corso dell’evoluzione culturale
23
- E‘ centrale l’idea di un soggetto che porta a termine i propri compiti cognitivi delegando parte del
carico computazionale all’ambiente
A differenza del MME, Dennett distingue ancora lo strumento esterno e il suo utilizzatore, pur comunque
oltrepassando i limiti del cervello animale.
- Il linguaggio non riorganizza il cervello, ma coopera in un sistema integrato con esso (rimanendo
immutato) dando vita a circuiti cognitivi ibridi adatti all’attività di problem solving
Il confronto tra questi due modelli è al centro del Supersizing the mind, Embodiment, action and cognitive
extension (Clark, 2008), volume che abbandona la metafora del cyborg per difendere le argomentazioni
esterniste dalle varie critiche e proporre una riflessione sul rapporto tra le nostre menti potenziate
(supersized).
Clark critica l’idea che la mente sia confinata nell’organismo, ma non che quest’ultimo abbia un ruolo
centrale nella cognizione. Conseguentemente, egli propone due modelli della mente:
La difesa del MME non passa per un rifiuto completo del primo modello, anzi, Clark propone un modello
pluralistico di spiegazione che sappia selezionare, a seconda del problema che si ha di fronte, la prospettiva
più adeguata.
Secondo il MMC, la mente è sempre qualcosa di interno all’organismo e realizzata a livello neuronale.
Supportata dal naturalismo contemporaneo e dalla neuro-cultura, il MMC è una tesi molto forte in quanto
stabilisce un legame inscindibile tra processi psicologici e attività neurale. Per il MMC, la mente è un
fenomeno essenzialmente neuronale
Studiare i fenomeni mentali attraverso le neuroscienze è una condizione necessaria o una condizione
sufficiente? Sembra che attraverso la neurocultura e l’antropologia del brainhood si sia diffusa l’idea che il
livello fondamentale di spiegazione dei fenomeni mentali sia quello cerebrale con conseguente
identificazione ontologica ed epistemologica di mentale e cerebrale
24
Nonostante il neuro-fondazionalismo permetta la massima potenzialità dell’uomo neuronale, tuttavia questa
prospettiva può essere criticata da un punto di vista:
- Ontologico → E’ complicato ridurre gli eventi mentali a eventi fisici poiché intenzionalità,
coscienza, soggettività, azione e razionalità sono elementi la cui collocazione ontologica sarebbe
difficile in un modello riduzionistico
Se accettiamo il MME, allora la storia neurale non può essere tutta la storia della mente umana in quanto il
ruolo di corpo, ambiente fisico e sociale - nella sua dimensione di mondo forgiato dall’intelligenza umana
per l’intelligenza umana - diventa altrettanto rilevante di quello delle strutture neurali.
Nel saggio, Clark non vuole ridimensionare eccessivamente il ruolo del cervello e delle risorse neurali nella
produzione dei successi cognitivi umani, tuttavia desidera che le strutture interne non godano di uno status
superiore a quelle esterne.
In questo contesto, il cervello è un dispositivo di controllo ecologico che raggiunge i propri scopi utilizzando
al meglio tutte le possibili opportunità offerte dall’ambiente corporeo e fisico dell’agente
ES: i robot ASIMO (Advanced Step in Innovative Mobility) hanno una peggiore locomozione dei
bambini giocattolo perché si affidano a una “dinamica passiva” ovvero la capacità di sfruttare, senza
sforzi attivi di controllo, le caratteristiche cinematiche e organizzative del proprio apparato fisico
Il modello della MME prende le distanze sia dalla neurocultura sia dalla visione dell’essere umano come
“uomo neuronale”
La componente biologica e quella culturale concorrono nella struttura dell’io: inizialmente l’io si manifesta a
partire dal nucleo biologico, dove i processi cerebrali e le interazioni ecologiche hanno un ruolo
preponderante; successivamente l’io nucleare, attraverso la memoria autobiografica, il linguaggio e
l’interazione sociale, viene potenziato ed esteso al mondo pubblico dove hanno salienza le estensioni e i
potenziamenti cognitivi.
Quello che cade è il neuro-fondazionalismo, ovvero l’idea di dinamica cognitiva fondata unicamente sul
cervello. A prescindere che si prenda la lettura esternista radicale di Clark o l’interpretazione più moderata di
Dennett, da entrambe le letture segue che pensiero e razionalità sono parti essenziale della nostra natura
umana e l’uomo neuronale non può incarnare questi caratteri visto il confine di spiegazione al SNC
25
Robert Wilson ha introdotto l’idea di esternismo tassonomico; l’esterna non ha bisogno di negare che gli
stati mentali siano causalmente determinati da ciò che avviene nel cervello, tutta deve focalizzarsi capire che
"ciò che giace al di là della testa è rilevante per la tassonomia 14 psicologica”
“Quello che sta nella testa non determina metafisicamente che genere psicologico è istanziato da un
individuo”. Queste osservazioni possono adattarsi all’esternismo epistemologico (ponendo quindi l'accento
sulla spiegazione): la dinamica causale che produce la cognizione umana coinvolge in modo rilevante
dinamiche extracraniche tanto da rendere minore la spiegazione confinata all’SNC. Quello dei generi naturali
psicologici (ovvero i confini della natura e le “leggi” della psicologia”) è un tema delicato per il MME.
Mentre è ragionevole che l’indagine biologica individui regolarità naturali attraverso lo studio del SN, come
si valuterebbe i processi cognitivi transcranici? Il funzionalismo sorregge il MME, tuttavia non può né
esaurire tutto ciò che è rilevante dire sulla mente né descrivere il soggetto in soli termini funzionali.
L’emergere di una mente personale, caratterizzata dal possesso di stati mentali descrivibili con gli strumenti
concettuali della psicologia intenzionale, sembra essere un fenomeno essenziale nella genesi del tipo di
soggetto psicologico che noi siamo.
La definizione di cyborg riconosce la profonda dipendenza del nostro pensiero dalla cultura e dall’ambiente
intelligente, tuttavia ha diverse questioni:
- Potenzialmente si allontanerebbe troppo dal nucleo biologico da cui prende le mosse la nostra
soggettività. FIno a che punto possiamo aggiungere protesi tecnologiche al nostro cyborg, prima che
smetta di essere umano?
Il punto di non ritorno nei nostri rapporti con l’ipotetico cyborg post-umano potrebbe essere la proiettabilità
della psicologia intenzione del senso comune nella spiegazione delle sue azioni e dei suoi pensieri; se non
fossimo in grado di attribuire scopi, intenzioni e ragioni, il cyborg apparirebbe come un alieno.
Restando ancorati all’idea di esternismo tassonomico ed epistemologico, se è vero che l’individuazione dei
generi naturali psicologici richiede di andare oltre le risorse intracraniche, allora l’uomo neuronale non può
essere la spiegazione
- Natura del legame tra fenomeni interni ed esterni → Esiste una stretta connessione causale tra
fenomeni intracranici ed extracranici, talvolta suggerendo l’abbinamento tra essi.
L’obiezione dalla critica sarà quella della “fallacia della costitutività: i processi esterni che
influenzano causalmente l’elaborazione interna non sono veri veicoli della cognizione. Un conto è
dire che A causa B e un’altra che A fa parte di B.
- Principio di parità → I processi esterni sono tanto importanti come quelli interni
26
La critica si muove mettendo in dubbio la concreta applicabilità del MME, infatti sembra che questi
due processi siano “pari” soltanto superficialmente.
- Lettura dei dati empirici → I dati empirici rafforzano l’idea di una mente estesa
Contrariamente, la critica mostra come questi siano più compatibili alla ricerca psicologica la quale
interpreta la cognizione come incarnata e situata, piuttosto che estesa oltre l’organismo biologico
- Mancanza del “marchio del cognitivo → i sostenitori del MME non stabiliscono che cosa
caratterizza un processo cognitivo; tuttavia, affermano con forza che questi siano estensibili.
Gli argomenti a favore del MME saranno proposti nel volume The Bound of Cognition (Adams e Aizawa) e
sono cinque:
- Argomento del sistema esteso → Sulla base delle interazioni causali non concludiamo direttamente
che la cognizione si estende, ma che i due sistemi connessi causalmente facciano parte di un sistema
integrato. Qui l’inferenza implicita di una natura cognitiva della componente esterna
- Argomento della similarità → I processi esterni, simili in tutti gli aspetti ai processi cognitivi
interni, sono cognitivi.
- Argomento evoluzionistico → La selezione naturale spiega che se le risorse cognitive interne sono
state selezionate per interagire con aspetti del mondo esterni, allora questi possono essere considerati
come parte dell’apparato cognitivo
Questi argomenti hanno valori e interessi disuguali, perciò, potrebbe apparire un conflitto tra questi (es. 3 e
4).
I primi tre punti possono essere facimente ritrovati in Clark e Chalmers, ma in generale dalla maggioranza
dei commentatori (sia simpatetici sia ostili), tuttavia vi sono altre posizioni interessanti
- Robert Rupert → Anche lui conferma il punto di vista computazionale e si sofferma sul rapporto
tra organismo e risorse esterne
Potrebbe essere interessante anche un quinto argomento, quello della rilevanza esplicativa del MME: i
processi causali hanno un ruolo essenziale nella spiegazione dei processi cognitivi e Robert Wilson fa una
distinzione tra tesi base su:
27
- Cognizione attiva → Le tesi sono quelle dell’approccio gibsoniano, sensomotorio e incarnato (cap.
2), e hanno l’intento di mostrare che la cognizione estesa sia il modo reale e biologicamente fondato
in cui funziona la maggior parte dei processi cognitivi
- Fantasia del cyborg → Nel modello cyborg predominano gli esperimenti mentali e l’enfasi sul
potenziamento tecnologico della mente
Il legame tra questi due ultimi argomenti è dato dall’idea di integrazione: non sono le strutture ambientali
che producono la cognizione, ma è l'integrazione causale con quelle interne. In questo mondo, l’integrazione
causale può essere “ontogenetica o filogenetica, individuale o collettiva, culturale o biologica”
Inoltre, Wilson aggiunge una proposta sul ruolo delle relazioni sociali per l'estensione della mente: le
relazioni interpersonali danno vita a rituali, comportamenti condivisi e varie pratiche sociali che preparano il
terreno per l’estensione culturale della mente
Gli autori diffidano dell’idea di abbinamento a sostegno del MME che si basa sulla distinzione tra contenuti
intrinsecamente dotati di intenzionalità (stati mentali) e contenuti dotati di intenzionalità derivata.
L’intenzionalità è considerata la caratteristica specifica del mentale a partire dalle riflessioni di Brentano
(1874).
- Intenzionalità intrinseca (o originaria) → Tipica degli stati mentali poiché il loro contenuto non
deriva da nessuna convenzione linguistica o sociale
- Intenzionalità derivata → Tipica della scrittura poiché le parole hanno origine da convenzioni
linguistiche e sociali
Nel dibattito sul MME, Adams e Aizawa utilizzano la fallacia della costitutività per definire il criterio del
cognitivo: i processi cognitivi intracranici hanno rappresentazioni con contenuto intrinseco, mentre quelli
esterni lo hanno derivato; con questa definizione, gli autori dimostrano che i contenuti derivati sono privi del
marchio del cognitivo.
Questa obiezione farebbe fallire l’assimilazione tra lo stato cognitivo di Otto e quello di Inga:
“I simboli sul taccuino di Otto hanno solo contenuto derivato, mentre la memoria di Inga possiede
solo contenuto intrinseco; la diretta conseguenza è che gli appunti di Otto non costituiscono
credenze o ricordi”
- Non esiste una teoria condivisa sulla differenza tra contenuto originario e derivato
28
- L’approccio funzionalista non ha interesse nel locus dei processi causali, ma soltanto che i
processi cognitivi (interni ed esterni) siano causali: un ruolo causale non cambia se è interno
o esterno o se è veicolato biologicamente o elettronicamente
Clark risponde alla critica dicendo che la distinzione tra contenuto originario e derivato è inutile;
infatti, basti concepire forme di contenuto intrinseco extracranico immaginando creature artificiali
che si evolvono in interazione con l’ambiente
Secondo Adams e Aizawa, i simboli tracciati sul taccuino di Otto, non avendo significato intrinseco,
non possono essere descritti come base di un processo cognitivo autonomo; tuttavia, questo non
impedisce che essi possano essere parte costitutiva di un sistema integrato di processi cognitivi
In risposta, il MME si impegna a dimostrare che un sistema cognitivo può avvalersi di veicoli
esterni, non che tali veicoli debbano farlo in modo autonomo e predeterminato. Il contenuto potrebbe
emergere dall’attività del sistema nel suo complesso e non di una sua parte
“Clark non è impegnato a sostenere la tesi che le parti di un processo cognitivo devono esse stesse
eseguire un processo cognitivo”, Shapiro, 2011
Adams e Aizawa successivamente precisano che non è detto che tutto il contenuto coinvolto in un
processo cognitivo debba essere di questo tipo, tuttavia questo porta un indebolimento alla loro
posizione
- Differenza tra i processi fisici che avvengono nel cervello e quelli relativi ai supporti esterni
Anche questo argomento appare fragile poiché in un contesto funzionale ciò che conta è la
realizzazione, non il realizzatore. Tuttavia questa è la base della fallacia della costitutività: essa
consiste nel confondere legami causali con relazioni costitutive, ovvero nel derivare
indebitamente una conclusione sulla natura (non confinata al neurale) della mente a partire
dall’osservazione di rapporti causali tra cervello e ambiente.
La fallacia della costitutività però non colpisce il MME poiché Clark e Chalmers non si accontentano
di qualsiasi connessioni causale, ma sono necessari quattro criteri affinché una risorsa esterna possa
essere un veicolo cognitivo:
1) La risorsa esterna deve essere disponibile rapidamente e invocata in modo non occasionale
2) Le informazioni recuperate devono essere prese per buone più o meno automaticamente
3) Le informazioni conservate nella risorsa devono essere facilmente accessibili quando
occorrono
4) Le informazioni devono essere state coscientemente accolte nel passato
La giustificazione di questi criteri può essere problematica, tuttavia la loro presenza mostra che il
MME non incorre in modo immediato nella fallacia della costitutività.
29
Per il MME è necessario che il sistema abbinato abbia un grado sufficiente di integrazione tale da
condurre a un’auto-articolazione dell’elaborazione dell’informazione. Per fare ciò è necessario che
questi soddisfi alcune caratteristiche:
“La differenza tra i legami forgiati da nervi e tendini, da cavi di fibra ottica e da onde radio è
rilevante solo in quanto hanno conseguenze nella scansione temporale, il flusso e la densità dello
scambio di informazioni [...] Se lo scambio è sufficientemente ricco, fluido, bidirezionale, veloce e
affidabile, allora lo strumento traspare e diventa parte effettiva dell’utente.” Clark, 2003
Questo passo mostra chiaramente che non tutte le relazioni causali sono sufficienti a innescare
l’integrazione cognitiva, sia a livello interno sia esterno.
Per il MME non assistiamo a una sequenza lineare di pensieri ben compiuti trascritti sul
foglio, piuttosto siamo di fronte a un processo pieno di retroazioni e in cui la carta
rappresenta un medium che offre un contributo essenziale al dispiegarsi del processo
riflessivo, permettendo la nascita di forme di pensiero. Quello che conta non è il legame
causale con l’uso di carte e matita, ma il tipo di attività a cui l’interazione dinamica con carta
e matita concorre
“Il punto non è semplicemente che il cervello non può svolgere un'attività cognitiva senza
l’assistenza di carta e matita. Il cervello ha bisogno di molte cose per funzionare bene:
sangue, ormoni, ossigeno, … A distinguere le parole scritte da fattori come quest’ultimi è il
fatto che il cervello le produce allo scopo di ampliare la propria abilità”, Shapiro, 2011
Il gesto sembra avere un ruolo nel facilitare l’accesso lessicale; questo spiega il motivo per
cui si gesticola anche quando gli interlocutori non sono in contatto visivo (es. al telefono).
Secondo Clark, i gesti possono essere considerati costituenti della base materiale del
pensiero e non semplici elementi che vi contribuiscono.
La differenza è ovvia: preso un sistema cognitivo (essere umano), non tutte le attività da esso svolte
saranno per questo cognitive (digestione). Analogamente, Adams e Aizawa , anche concedendo che
Otto il suo taccuino formino un sistema cognitivo, il taccuino non fa parte del processo cognitivo di
Otto.
30
Tuttavia, il MME non implica che pezzi dell’ambiente considerati in isolamente siano di per sé
agenti cognitivi; come il taccuino di Otto separato da Otto non è un veicolo autonomo di
elaborazione cognitiva, la stessa cosa accade con i neuroni presi in isolamento.
Taccuini, gesti, [...] possono concorrere a un processo cognitivo solo se rispettando le condizioni di
pag. 43.
ES: immaginando una protesi elettronica esterna al cervello che serva per supportare una funzione
cerebrale danneggiata, essa avrà una componente dinamica e potrà eseguire computazioni.
Ciò che rende cognitiva la protesi non è il fatto di compiere computazioni in toto, ma piuttosto di
contribuire al processo cognitivo tramite integrazione
Principio di parità → “Se, relativamente a un compito, una parte del mondo funziona come un
processo che non avremmo esitazione a considerare parte del processo cognitivo se si realizzasse
nella testa, allora quella parte del mondo (in quella occasione) è parte del processo cognitivo (Clark e
Chalmers, 1998)
Per stabilire se qualcosa è cognitivo basta avere una conoscenza intuitiva o implicita di quei processi che
chiameremmo cognitivi in situazioni non problematiche e poi valutare se tra questi e quelli esista un’analogia
funzionale
ES: Nel caso di Otto e Inga è sufficiente presupporre che la memoria sia un processo cognitivo e poi
confrontare quella “estesa al taccuino” di Otto e quella biologica di Inga
In The Extended Mind, Clark sottolinea come non sia fornito un criterio esplicativo del cognitivo, ma che ci
si basa su un funzionalismo di senso comune (commonsense functionalism) che all’accorda all’agente
umano un’implicita conoscenza dei ruoli causali attribuibili ai tradizionali stati mentali (es. credenze).
Non si tratta di definire funzionalisticamente la psicologia intenzionale di senso comune, ma di chiedersi che
cosa realizza i ruoli funzionali. Nel caso di Otto, ciò che conta è che “l’informazione recuperata tramite il
taccuino guidi il ragionamento e il comportamento nello stesso modo dell’informazione recuperata grazie
alla memoria biologica”.
Coloro che hanno criticato il principio di parità (Adams e Aizawa, Rupert, Dartnall) è perché hanno
interpretato la parità in termini somiglianza16, in realtà se così fosse la nozione di somiglianza sarebbe
relativa e opinabile.
“Ritengo che le porzioni esterne degli stati (o processi) di “memoria” esterni differiscono così tanto dalle
memorie interne (il processo del ricordo) che dovrebbero essere trattati come generi distinti”, Rupert, 2004
31
Analogamente, Dartnall insiste sulla natura attiva della memoria biologica in confronto a quella statica nel
taccuino di Otto.
- L’insistenza sulla somiglianza potrebbe condurre all’idea fuorviante che il MME descriva la
semplice esternalizzazione di processi interni
- Il principio di parità ha lo scopo di unire processi cognitivi interni ed esterni; questo è un errore
poiché il MME sostiene che i veicoli esterni non siano autonomi nell’elaborazione cognitiva
Inoltre, non è importante descrivere un’analogia funzionale stretta se si presuppone che dietro il principio di
parità vi è il commonsense functionalism. L’estensione cognitiva si ha quando il processo veicolato dal
supporto esterno soddisfa uno dei ruoli individuati dalla psicologia del senso comune.
Così dicendo si ammette che il processo di recupero delle informazioni di Otto e Inga sia differente,
nonostante le informazioni guidino in entrambi i casi il ragionamento e il comportamento di entrambi gli
individui. Questo però è uno scivolone per il MME poiché se il funzionalismo richiesto dal MME è solo
quello implicito nel principio di parità, allora emergono due preoccupazioni:
- Rischio di un’eccessiva estensione dei confini del cognitivo → Clark e Chalmers hanno affrontato
questo quesito introducendo i quattro criteri per un veicolo esterno di essere altrettanto cognitivo
“A differenza dei processi intracranici, è improbabile che quelli extracranici diano vita a regolarità
scientificamente interessanti”
Adams e Aizawa fanno riferimento ai ricordi per sottolineare la specificità biologica e contrapporla
ai molteplici strumenti che aiutano il ricordo (es. album fotografici, agende, …)
Quest’ultimo esempio ci permette di sottolineare l’eterogeneità degli strumenti utili alla cognizione
estesa e questo però comporta un rischio per gli internisti: anche i processi mentali interni sono
differenziati e si basano su una pluralità di meccanismi operanti a livelli svariati (molecole, neuroni,
sinapsi). Questo non ci impedisce di trattarli nell’ambito di una disciplina scientifica unitaria, la
neuroscienza cognitiva; le neuroscienze cognitive sembrano decisamente più integrate in quanto
l’elemento unificante è l’attività cerebrale
Una volta assunta la centralità dell’organismo biologico nel “selezionare e sfruttare” le risorse cognitive
esterne, rimane da valutare il loro statuto ontologico ed epistemologico. L’internismo neurobiologico può
essere giustificato dalla cognizione incarnata e situata; tuttavia, bisogna trovare argomenti per difendere
l’omogeneità esplicativa di fronte all’eterogeneità del funzionamento cerebrale.
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“Il modello più appropriato per le scienze cognitive è pluralistico in due sensi: da un lato, i fenomeni
mentali richiedono una molteplicità di livelli esplicativi (top-down e bottom-up), dall’altro la natura olistica
di alcuni compiti cognitivi suggerisce uno stile di spiegazione dinamicista che integri la spiegazione
meccanicistica”
Se quindi è opportuno che una scienza della cognizione ritagli la natura seguendo le sue giunture naturali,
l’individuazione - e addirittura l’esistenza - di esse è oggetto di discussione. Per alcuni la cognizione è
strettamente legata alla materia biologica e al possesso di un codice genetico, mentre Clark difende l’idea di
una scienza generale che studi “i sistemi di controllo sensibili all’informazione di un essere capace di
ragionamento, sentimento ed esperienza del mondo
Tra le potenziali interazioni uomo-computer, le protesi cognitive elettroniche sono le più affascinanti:
Quando le protesi cognitive elettroniche effettivamente potranno integrare, supportare o sostituire l’attività
neurale, le giunture naturali travalicheranno i confini biologici aprendo la strada a riflessioni antropologiche
sul concetto di natura umana.
Al neurocentrismo Clark ha già risposto17, tuttavia, per quanto riguarda il marchio del cognitivo, egli sostiene
che vi sono dei dati empirici che dimostrino l’aumento di performance se si considera un approccio esteso
alla cognizione.
Il richiamo all’efficacia metodologica però può essere utilizzato contro il MME, infatti Robert Rupert nel
suo volume Cognitive Systems and The Extended Mind, afferma che i dati empirici possono avere un'altra
lettura. L’approccio funzionalista della mente porta ad un problema di confini cognitivi per cui un approccio
troppo liberale potrebbe collocarli in fenomeni che non sono tali (es. digestione).
- Propugnando la centralità dell’organismo come locus del cognitivo (i processi realmente cognitivi
sono quelli interni all’organismo)
Secondo Rupert, la mente non è un semplice software, ma piuttosto un processo che emerge
dall’attività di un sistema cervello-corpo-ambiente. Questa visione incarnata riconosce l’utilità
delle risorse esterne, ma nega l’estensione letterale della cognizione.
17 Vedi vaghezza della nozione di contenuto intrinseco, difesa del principio di parità, affermazione di un campo di
indagine che travalica i confini tra biologico e artificiale
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Conseguentemente, Rupert contrappone due tesi opposte:
Secondo Rupert la ICE rischia di mettere a repentaglio la psicologia cognitiva: adottando un criterio
identificativo dei sistemi basato sull’analisi di flussi causali, questo porta a “sistemi abbinati a vita
breve”.
La diffidenza di Rupert nei confronti del MME è legata alla difficoltà di delimitare il campo del
cognitivo:
Le architetture integrate a cui Rupert si riferisce sono quelle interne all’organismo come la
memoria, la visione e l'acquisizione del linguaggio.
- I fenomeni empirici a cui si appella il MME possono essere inseriti in una scienza cognitiva
incarnata e situata, ma non estesa
La strategia di Rupert considera come componente causale e non costitutiva il contributo dei veicoli
esterni, ammettendo l’esistenza di un impulso causale esterno dei processi, senza fare ricorso a
nozioni controverse come quella di contenuto intrinseco
Rupert propone un internismo classico modificato che interpreta i processi cognitivi come processi
di elaborazione dell’informazione da parte di un soggetto incorporato e immerso nell’ambiente.
La scelta tra una lettura internista o esternista dipende dalla superiorità esplicativa di un modello rispetto
all’altro. Questo porta al distacco dalla nozione di contenuto ed esperimenti mentali. Ciò che accade è uno
slittamento dalla metafisica all'epistemologia, fatto che già accade nell’anima enattivista, sensomotoria e
dinamicista dell’esternismo.
Rupert introduce quindi un argomento metateorico: se i nostri migliori esempi di scienza cognitiva
presuppongono una metodologia internista che cerca i processi cognitivi all’interno dell’organismo, allora è
ragionevole assumere che i processi siano interni e/o vadano cercati all’interno dell’organismo.
L’argomento metateorico del successo esplicativo presuppone che i sostenitori del MME siano obbligati a
sostenere che i dati empirici provino l’esistenza della cognizione esterna; tuttavia, Clark insiste sui meriti
euristici del MME.
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Secondo Clark, il dato empirico dimostra che esiste un nuovo modo di pensare alla mente umana che
rinunci al tradizionale internismo e permetta di cogliere fenomeni che altrimenti passerebbero inosservati. E‘
un errore decidere a priori che il sistema da indagare nell’ambito della ricerca cognitiva debba essere
sviluppato all’interno dell’organismo; perciò, è importante introdurre la possibilità di sistemi ibridi.
Quello che Clark e i difensori del MME tentano di sostenere è che esistono generalizzazioni interessanti oltre
il livello organico che possono essere osservabili solo se il ricercatore adotta il punto di vista esternista.
Il linguaggio non è soltanto un medium di comunicazione, bensì ha un ruolo più sottile che porta alla
riconfigurazione di alcuni compiti in modo da renderli più abbordabili per i nostri cervelli. L’idea di
linguaggio come veicolo del pensiero non è nuova nel panorama filosofico in quanto è già stata riflettuta da
Ludwig Wittgenstein e Daniel Dennett.
Il riferimento al linguaggio nel dibattito sul MME è articolato in due tipologie argomentative:
- Rilevanza dei legami causali → Consiste nell’interazione degli organismi umani con strumenti che
ricorrono a elementi linguistici (es. scrittura, calcolatrici, …) su un piano sincronico19. Questo porta
alla costruzione di un sistema cognitivo che eccede dall’organismo biologico e non fa distinzione tra
risorse interne ed esterne.
La declinazione causale del linguaggio sembra portare alla configurazione di processi cognitivi in
senso stretto, tuttavia non necessariamente a stati mentali estesi: Rupert, come già osservato
precedentemente, accetta le interazioni ambientali spiegandole in una cornice incarnata e situata, ma
che rifiuti l'estensione degli stati mentali e cognitivi.
Rupert critica l’idea che il linguaggio sia l’elemento cruciale per difendere le tesi esterniste (language-based
inference), infatti, secondo lui, l’inferenza basata sul linguaggio in difesa del MME può assumere forme
differenti:
18 In linguistica, diacronia indica lo studio e la valutazione dei fatti linguistici considerati secondo il loro divenire nel
tempo
19 in linguistica, lo studio e la valutazione dei fatti linguistici considerati in un dato momento, astraendo dalla loro
evoluzione nel tempo
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In questo primo caso, si fa riferimento all’abitudine di depositare i contenuti dei nostri pensieri
nell’ambiente, in memorie e diari. L’idea di base è che, una volta “scaricati”, l’organismo non
trattiene più tali pensieri, perciò, le porzioni di ambiente che li conservano farebbero parte della
realizzazione degli stati mentali e dovrebbero essere considerate veicoli del bagaglio cognitivo
individuale.
Poiché un pensiero è ovunque esso si realizzi, e una mente è in parte là dove sono i suoi pensieri,
potremmo concludere che la mente del soggetto è estesa alla materia esterna che veicola i contenuti
del suo pensiero. Nonostante questo ragionamento fili, la sua difficoltà è che esso non conduca
necessariamente ad una lettura esternista; un approccio situato funzionerebbe altrettanto bene.
Quando un soggetto usa una lista per aiutarsi nei propri compiti, può delegare agli elementi della
lista il compito di stimolare la giusta rappresentazione: leggere “latte” può produrre nel pensiero
il “desiderio del latte”
Nel capitolo precedente, si è associato a Dennett una lettura simile del processo di
internalizzazione (favorito dalla plasticità neurale) con valenza diacronica, ovvero venia
mostrato come le strutture esterne influenzano e ristrutturano nel tempo le capacità
cognitive.
Da un punto di vista empirico, questa lettura va all’obiezione per cui, quando leggiamo un
testo, noi non tratteniamo una copia fedele nella nostra testa, tuttavia formiamo delle
rappresentazioni mentali in memoria
La posizione di Rupert rischia di riportare in auge la screditata immagine della sequenza lineare
input-elaborazione-output.21
In questo secondo caso invece si fa riferimento alla capacità dei veicoli esterni di attivare e guidare il
flusso delle rappresentazioni interne. Qui Rupert attribuisce a Clark tre tipologie di argomento:
20 Un rischio di questa posizione è che essa conduca alla fusione tra le menti di differenti soggetti
21 In questo caso, il ricordo del processo di lettura sarebbe la memorizzazione non della rappresentazione interna, ma
della dinamica causale complessa messa in atto nel processo esteso
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OBIEZIONE → Le rappresentazioni verbali nella nostra mente non porta a considerare i
loro antecedenti causali come parte del sistema cognitivo
- Ruolo delle risorse nel controllo attivo di un compito → ES: quando si segue una lista
dettagliata, essa diventa una memoria di lavoro esterna
OBIEZIONE → Questa lettura esternista può essere contrapposta ad una situata: la presunta
memoria esterna, per avere effetto sull'organismo, deve essere rappresentata internamente
Di fronte a ciò, il sostenitore del MME ribatterebbe che se si isolassero tutte le esperienze di
pensiero dal contesto di interazione, il processo che ne emerge non potrebbe essere chiamato
cognitivo
Secondo Di Francesco e Piredda, sul piano esplicativo e costitutivo, la contestualizzazione appare essenziale
per capire e descrivere la dinamica cognitiva estesa.
L’idea di linguaggio come chiave di volta difensiva al MME in realtà si è rivelata inconcludente poiché si è
dimostrato che tali fenomeni siano più vicini ad una cornice incarnata e situata.
Uno dei meriti del MME è di aver mostrato come le impalcature linguistiche abbiano un ruolo essenziale nel
“ricavare menti simili alle nostre dal flusso biologico” e di averlo fatto in un contesto naturalistico, che
supera la tradizionale dicotomia tra indagine scientifica e riflessioni umanistiche.
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travalicano i confini tra cervello, corpo e mondo permette di cogliere generalizzazioni interessanti, che
offrono spiegazioni migliori della dinamica cognitiva.
Il funzionalismo di Clark (e Chalmers) non è senza limiti; infatti, non basta una mera connessione causale a
rendere qualcosa parte di un sistema cognitivo; con i confini mobili e negoziabili dell’esternismo, è
necessario introdurre criteri ulteriori.
Nell’esempio di Otto, i vincoli che garantiscono un abbinamento affidabile con i supporti esterni sono quelli
della disponibilità costante, della facilità di accesso, dell’automatica accettazione e (più discutibili) della
presenza nella mente cosciente dell’agente del contenuto veicolato dal supporto esterno.
I primi tre criteri sono tipicamente realizzati dalle strutture biologiche e ciò rafforzerebbe la posizione di
Rupert per cui è rilevante l’integrazione tra i processi cognitivi all’interno dell’organismo; tuttavia,
l’appello alla dimensione organica non è in grado di discriminare il cognitivo.
L’intuitività dei criteri di Clark e Chalmers consiste nell’essere strettamente legati all’idea di mentale;
tuttavia, sembra che questa provenga dall’esterno del MME, fondandosi su una mente interna, personale,
biologica e non potenziata.
La disponibilità costante dei supporti esterni ha lo scopo di escludere le connessioni causali occasionali e
contingenti, tuttavia, successivamente viene introdotta l’idea di abbinamento affidabile (non
necessariamente portatile) per poter parlare di sistemi cognitivamente rilevanti. L’affidabilità però ha a che
fare con l'utilità e non con la natura cognitiva del processo.
Su questo punto, Clark si sofferma cercando di spiegare come per MME non tutto può essere parte della
mente estesa: non basta aver comperato l’Enciclopedia Britannica per attribuirsi una conoscenza sterminata
dello scibile umano
Secondo Di Francesco e Piredda, la giustificazione dei criteri del cognitivo proposti dal MME sembra
provenire al di fuori della prospettiva funzionalista (es. commonsense functionalism come implicito
background di MME). In particolare, questo funzionalismo rimanda all’idea di “mente personale”
caratterizzata dal possesso di stati mentali descrivibili attraverso gli strumenti della psicologia intenzionale di
senso comune.
Perché il MME si arresterebbe ai confini della mente personale? Una possibile giustificazione è l’utilità
biologica dei criteri: la facilità di accesso alla risorsa esterna sembra mimare l’immediatezza con la quale la
mente biologica recupera dati pertinenti. L’accettazione automatica di contenuto richiama due caratteri
essenziali della nostra mente: l’incoreggibilità dell’evidenza e l’indiscutibilità con la quale i nostri
mentali ci appaiono nostri22.
Senza il richiamo di questi vincoli, il MME può condurre ad una estensione talmente radicale da minacciarne
la sensatezza stessa. Secondo Sprevak, il funzionalismo necessario al MME dovrebbe essere più radicale di
quello proposto da Clark e Chalmers e incompatibile con i sopracitati tra criteri. Tuttavia, senza questi criteri,
si assisterebbe a una massiccia estensione della mente.
- La radicalità del funzionalismo implicito in MME non dimostra che esso sia “quasi certamente
falso”. Un suo difensore potrebbe dire che è molto lontano dal senso comune e che quest’ultimo
spesso sia “falso”
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- La limitazione all’estensione della mente non avviene soltanto grazie ai quattro criteri, ma
sottolineando la centralità dei sistemi caratterizzati da densità e complessità del flusso causale nel
rendere ragione dell’abbinamento tra risorse interne ed esterne
“Non dovremmo permettere alla distinzione tra la mia mente e la tua di collassare solo perché ci troviamo a
chiacchierare sull’autobus”
E‘ ovvio che questo non dovrebbe accadere, ma la domanda, dal punto di vista del MME, è se si possa fare.
Secondo Diego Marconi questo non sarebbe possibile e lo dimostra con l’argomento delle ragazze pigre:
- Emma → Detesta il latino, ma il suo ricco padre gli regala un traduttore automatico sempre
disponibile, molto rapido, totalmente affidabile e soprattutto la sua correttezza non è mai messa in
dubbio. Secondo il MME, il traduttore sarebbe un veicolo esterno dell’attività cognitiva di Emma,
ma questo è possibile grazie al principio di parità per cui:
- Anna → Anche lei detesta il latino, ma suo padre è un perfetto latinista. Ogni volta che Anna ha
bisogno, suo padre - che lavora da casa, è sempre disponibile, molto rapido, totalmente affidabile e
ha piena fiducia da parte della figlia delle sue versioni - le fornisce la versione di latino.
Anna usa la mente del padre nello stesso modo in cui Emma usa il traduttore perciò, secondo il MME,
entrambi sono un veicolo genuino di stati cognitivi. Marconi però solleva due questioni cruciali:
Così facendo, Marconi dimostra una contraddizione: il MME afferma che sia Anna a tradurre, ma il suo
professore, dopo aver scoperto che è stata aiutata dal padre, ritiene che invece l’autore della versione sia
quest’ultimo.
Se ci concentriamo solo sulla traduzione, sembrerebbe naturale che ci sia solo la mente di Anna che si
estende fino a incorporare alcune attività cognitive del padre, tuttavia il padre di Anna ha molti altri processi
cognitivi (es. sarebbe voluto andare a pescare). L’esempio dimostra come le menti sono sempre due anche
se talvolta si assiste ad una fusione temporanea tra le due menti.
Questa conclusione sarebbe problematica per cui un’alternativa sarebbe di isolare i singoli processi cognitivi
affermando che tali elaborazioni possono coinvolgere ora risorse intracraniche ora risorse extracraniche.
Questa scelta non migliora di certo le cose, infatti si andrebbe incontro alla rinuncia all’utilizzo del
concetto di mente, una tesi che andrebbe oltre al MME. A questo punto il tema dell’estensione si è
trasformato in quello del proprietario della mente.
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causalmente integrati e in gran parte localizzati nel suo cervello - incorpora una parte dei processi cerebrali
paterni.
Tuttavia, la localizzazione cerebrale della mente va in contrasto con la non rilevanza che un certo processo
sia nel cervello o da un dispositivo esterno. Il superamento dei confini tra mente, corpo e ambiente ha dato
vita all’idea di essere umano come cyborg.
Questa lettura lascia scettico Marconi poiché, a suo pensiero, per rendere conto della reale dinamica
cognitiva ed evitare scenari di fusione mentali, è necessario riconoscere la “mente” come concetto
sostanzialmente biologico. Marconi si pone idealmente a fianco di Rupert - che crede nell’idea di
integrazione - e di Adams e Aizawa -che criticano i confini della realtà mentale.
L'integrazione tra organismo e ambiente non sarebbe tanto espressione di un unico sistema, quanto il
risultato dell’interazione tra due sistemi. Questa è la critica rivolta al MME: l’integrazione realizzata
biologicamente permette di spiegare l’unità e la continuità della nostra mente dell'associazione alla presenza
di un io “proprietario” degli stati mentali
La risposta di Clark è quella per cui l’esistenza di generalizzazioni interessanti non va decisa da un punto di
vista filosofico, ma da un punto di vista empirico. Dopo aver difeso l’estensione dei processi cognitivi e
mentali, Clark e Chalmers prendono in esame l’eventualità dell’estensione del soggetto.
“È possibile che i miei stati mentali siano parzialmente costituiti dai pensieri di un’altra persona?”
Sebbene le ragioni per l’annessione alla propria mente di parti delle menti altrui appaiano fragili, sembra
possibile l’estensione dell’Io; accettando l’idea di stati mentali disposizionali non occorrenti, l’io eccede dai
confini della coscienza.
“La mente è un teatro dove le diverse rappresentazioni passano e ripassano, scivolano e si mescolano in
una infinita varietà di atteggiamenti e situazioni. Non c'è né una semplicità in un dato tempo, né identità in
tempi differenti”, David Hume
Hume sottolinea come l’apparente determinatezza dei confini dell’io non sia qualcosa di intrinseco i processi
cognitivi, ma provenga da altre fonti, soprattutto sociali
“Nel nostro cervello c’è un’aggregazione di circuiti cerebrali che, grazie a svariate abitudini indotte dalla
cultura e dall'autoesplorazione individuale, lavorano insieme alla produzione più o meno ordinata di una
macchina joyceana [...] questa software del cervello crea un comandante virtuale dell’equipaggio” Daniel
Dennett
Riprendendo l'idea humeana dell’io, Dennett afferma che l’io non è il pilota interiore che governa il corpo
poiché non ne fa parte e non è necessario per la sua sussistenza. Ai fini biologici e sociali è vantaggioso
postulare un centro unitario di esperienza e di decisione nonostante questo centro non esista (nemmeno nel
cervello).
L’immagine dell’io di Dennett si rifà al modello del “pandemonio” per ci non esiste un “boss” interiore che
coordina l’attività cognitiva, ma piuttosto che l’alternarsi di “coalizioni sgomitano in un pandemonio per
avere accesso al messaggio di cui tutte vogliono far parte”. La mente cosciente va concepita come una
macchina virtuale implementata nel cervello. Questo modello riconosce la centralità del cervello nella
genesi della mente e dell’io: l’implementazione della coscienza avviene sì grazie all’interazione tra
organismo e società, ma il meccanismo che la realizza è il SNC.
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Dennett configura un ponte tra i modelli organicisti e situati della cognizione - incentrati sulla relazione tra
agente cognitivo e ambiente - e il MME - insistente sul ruolo delle tecnologie nelle strutture umane.
Nonostante egli parli di estensione della mente, questa differisce da quella del MME:
La cognizione umana va studiata come tale a prescindere dalla sua ontologia: che essa sia un sistema
esteso o un insieme di operazioni cerebrali, essa funzionerà sempre per vie causali.
Questa è una solida alternativa al modello di Clark, tuttavia questi prende le distanze da Dennett
sulla riorganizzazione cerebrale causata dal linguaggio. Nonostante ciò, entrambi condividono la
dimensione ontologica dell’io e questo porta all’idea di Io come meno definito rispetto a quanto
suggerito dal senso comune.
Se l’Io e la soggettività fossero delle nozioni scientificamente centrali per una teoria naturalistica della
mente, il MME sarebbe fortemente ridimensionato alla sola teca cranica; fortunatamente per il MME, io e
soggettività appaiono fenomeni marginali per lo studio della cognizione.
“L’io è una coalizione frettolosamente costituita di elementi biologici e non biologici, i cui membri variano
e sfumano a seconda del tempo e dei contesti.”
Ammettendo ciò, Clark deve fronteggiare numerosi problemi: che cosa tiene insieme tale coalizione? Che
cosa rende una data coalizione, in un dato momento me? chi è l’agente a cui attribuire azioni prodotte
dalla coalizione?
Più si distribuiscono nell’ambiente i processi cognitivi e più è difficile trovare una risposta; inoltre, una
eccessiva dissoluzione allontana sempre di più l’agenticità del soggetto delle proprie azioni.
Una proposta di un sostenitore del MME potrebbe orbitare intorno a queste due ipotesi:
- La soggettività è una costruzione sociale per cui identità e continuità sono convenzionali
“L’idea di io, agente e responsabilità morale sono tutte nozioni forensi: esse sono concetti la cui
applicazione è più abitudinaria e di convenienza pratica piuttosto che per necessità metafisica”
Una teoria forense del soggetto, abbinata al MME, diventa molto radicale in quanto si avrebbe una
combinazione tra una teoria forense dell’io e una teoria forense della mente. Questo è il crocevia
teoria in cui la teoria del soggetto incontra il problema del marchio del cognitivo.
Per evitare l’estensione arbitraria dell’io, Clark pone dei vincoli alle relazioni causali, tra cui il
requisito essenziale della trasparenza: quando un supporto esterno di un processo cognitivo diviene
parte del sistema cognitivo dell’utilizzatore. Questo esprime la parità tra le risorse interne ed esterne.
Ciò che ci rende ciò che siamo non è l’uso dell’io e del cervello, ma unicamente le operazioni
cerebrali; per MME, è la fluidità e la densità dello scambio di informazioni che crea il sistema
esteso.
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In questo senso, la differenza tra “opaco” e trasparente” appare più rilevante della distinzione tra interno ed
esterno. La distinzione del "mentale" non è topografica (dentro o fuori), ma è relativa all’uso e al modo in cui
l’informazioni si rende disponibile all’agente.
Pochi negherebbero che se impianteremo nel cervello un dispositivo elettrico in grado di funzionare da input
per la nostra mente, questi verrebbe considerato come un un veicolo degli stati mentali di livello personali
tanto quanto i dispositivi biologici di livello sub-personale.
La concezione moderna della mente appare legata all’idea di coscienza24, infatti il linguaggio mentalistico si
muove a livello personale, grazie all’attribuzione di credenze, desideri, intenzioni, … Il superamento della
centralità della coscienza è un punto fermo della scienza cognitiva e non è raro che venga lasciato spazio a
stati inconsci e non occorrenti. Tuttavia, il rapporto tra il livello personale e i processi sub-personali rimane
un tema aperto.
José Bermudez definisce questo il problema dell’interfaccia: il problema di rendere conto della relazione
tra le spiegazioni basate sulla psicologia di senso comune e quelle proposte dalla scienza e dalla
neuroscienza cognitiva. Dennett distingue tre livelli esplicativi:
- Mente funzionale → Il mentale è descrivibile attraverso ruoli causali; ponte tra livello personale e
quello dei realizzatori fisici
- Mente rappresentazionale → Il linguaggio è ciò che collega la realtà personale e quella sub-
personale
Il libro non approfondisce sulla soluzione di questo problema in quanto vuole solo mostrare la necessità di
conciliare la visione della psicologia di senso comune con le indagini scientifiche in cui intenzionalità,
razionalità e soggettività sono assenti e sostituiti da meccanismi in senso lato causali.
Inoltre, è rilevante la questione definitoria: la nostra idea di mentale inizia dalla psicologia di senso
comune; tuttavia, ha la tendenza di estendersi all’ambiente provocando la dissoluzione delle intuizioni
originarie (perdute tra neuroni e chip di silicio).
42
Se non si vuole giungere ad una conciliazione dei due livelli, allora anche il modello più radicale del MME è
valido: il soggetto esteso viene visto come un’autobiografia fittizia scritta da agenti non personali, mentre la
psicologia di senso comune è un saggio di narrativa immaginario.
Quando il MME caratterizza una forma di elaborazione cognitiva esterna come “mentale”, suggerisce una
omogeneità con i processi che normalmente chiamiamo tali. Questa omogeneità è ottenibile tramite due
passaggi:
Si potrebbero chiamare “mentali” molte forme di elaborazione dell’informazione che sono inaccessibili alla
coscienza; tuttavia, è necessaria anche una forma di relazione con l’elaborazione cosciente. Questa richiesta
può essere avanzata con vari gradi di radicalità.
- Galen Strawson → Aderendo al cartesianesimo naturalizzato, abbina la fede nel materialismo con
l’idea che i soli criteri distintivamente mentali sono quelli dell’esperienza conscia
- John Searle → Pur riconoscendo stati mentali inconsci, secondo lui è centrale la coscienza nella
definizione di mente. Il motivo è che non sarebbe concepibile l’inconscio se non come qualcosa di
potenzialmente cosciente. Inoltre, egli sottolinea che è impossibile separare l’intenzionalità e la
coscienza e lo dimostra con il seguente confronto:
Se si confrontasse “lo stato delle guaine mieliniche degli assoni del SNC” e la credenza che
a Parigi ci sia la Torre Eifel - considerata in un istante in cui non ci pensiamo - si
osserverebbe che entrambi sono stati inconsci, ma con la differenza che il primo non potrà
mai diventare cosciente.
- Antonio Damasio → Nonostante alcune regioni cerebrali non siano implicate nella creazione delle
mente, altre invece ne costituiscono un livello basilare indispensabile. Quello che Damasio vuole
dire è che già all’interno del cervello si potrebbe delineare confini tra mentale e non mentale
- Daniel Dennett
“Un SNA non è una mente, ma un meccanismo di controllo simile all’anima nutritiva di una
pianta, la cui funzione è quella di conservare l’integrità fondamentale del sistema vivente
[...] tuttavia, più osserviamo nei dettagli il loro modo di operare e più lo troviamo simile a
vere menti”
43
Tra questi gruppi di cellule, Dennett include anche gli artefatti umani (es. termostati) in
quanto costituiscono dei “sistemi intenzionali” che individuiamo adottando l’atteggiamento
intenzionale.
L’esito più coerente è che l’esistenza delle mente fotografa un certo atteggiamento
interpretativo utile ai fini pragmatici; questo porta ad una soluzione del marchio del
cognitivo senza operare una drastica separazione tra livelli
- Elaborazione sub-personale → Produce contenuti direttamente accessibili alla mente personale del
soggetto che possano diventare base della rappresentazione di sé e dell’intenzionalità intenzionale
(es. ricordare l’indirizzo di un museo)
Questa distinzione fornisce una nuova interpretazione al caso di Otto e Inga che ora può essere letto in
termini di riconoscimento del ruolo della mente cosciente-personale nella delimitazione del mentale.
I primi tre criteri di Clark e Chalmers (vedi pag 24) sono “problematici” poiché non caratterizzano il normale
uso dei taccuini da parte delle persone. Se Otto non fosse il protagonista di un esperimento mentale, potrebbe
chiedersi: “è il mio taccuino?”,” sono le mie note?”.
Il taccuino non è un formato direttamente accessibile alla mente personale di Otto, a differenza di quanto
avviene con il ricordo "biologico” di Inga (elaborazione sub-personale). Queste ultime producono input che:
- Sono interni nella mente personale poiché sono connessi entro uno stato cosciente complessivo
- Sono dati al soggetto in modo immediato, non inferenziale e immune da errori di autoattribuzione.
- Offrono ulteriori input al sistema inferenziale consapevole del soggetto (fornendo accesso allo
“spazio delle ragioni”
Clark e Chalmers discutono l’obiezione della differenza di fenomenologia tra Otto e Inga: Mentre Otto
percepisce il taccuino, Inga ha accesso diretto ai propri ricordi. Quello che però gli autori vogliono dire è
“Perché la natura fenomenologica associata dovrebbe fare differenza sullo status di una credenza?
Nonostante sia vero che le credenze non occorrenti e il processo cognitivo sub-personale di recupero dei
ricordi non facciano parte della mente cosciente del soggetto, l’esito di quest’ultimo invece lo è e anche in
modo diretto e trasparente. Ciò che ricordiamo è parte della nostra mente cosciente-personale.
Ammettendo che tutti i processi di elaborazione cognitiva stiano sullo stesso piano, è normale chiamare
“mentali” solo quelli che hanno una relazione diretta con la mente personale.
25 Parlare di intenzionalità derivata è improprio, dato che per Dennett, tutta l’intenzionalità è tale (non esiste
intenzionalità intrinseca)
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Per Evans, l’informazione percettiva non concettuale diviene esperienza cosciente quando funziona
come input in un sistema razionale.
OBIEZIONE → Questo rapporto tra processi sub-personali e contenuti accessibili alla mente
personale è plausibile per i contenuti percettivi (es. immagini mnemoniche), ma non a contenuti di
atteggiamento proposizionale poiché la mente cosciente acquisisce contenuti messi a disposizione
dall’elaborazione sub-personale
Una strada alternativa sarebbe quella di difendere l’idea che noi abbiamo accesso ai nostri contenuti
mentali, ma confabuliamo sulle loro cause - quando giustifico una scelta sulla base di una credenza
erronea, c’è un’esperienza mentale falsamente interpretata (es. io so di preferire un certo collant, ma
attribuisco erroneamente la preferenza al tessuto)
Inoltre, “se invece di avere accesso diretto a giudizi e decisioni, il soggetto interpreta il proprio
comportamento attribuendosi stati mentali “, si potrebbe riformulare la connessione diretta tra
processi sub-personali e mente personale, riferendola a contenuti precostituiti da processi sub-
personali che ne determinano i contenuti fenomenologico-rappresentazionali
Nel caso i cui alla mente personale non risultasse compatibile ai modelli critici riguardo la
conoscenza del sé, sarebbe aperta la soluzione di Searle per cui sarebbero mentale solo quei processi
coscienti o accessibili alla coscienza
Tornando ai contenuti del taccuino di Otto, la fonte di resistenza a chiamarli mentali può essere l’assenza di
un legame diretto tra annotazioni, mente personale ed esperienza cosciente; le informazioni sul taccuino non
rappresentano input potenziali della mente personale di Otto.
La relazione tra i contenuti mentali di Otto e la percezione del taccuino è causale e non motivazionale: non
spiega i comportamenti di Otto come azioni di un soggetto; se Otto scrivesse sul taccuino cose incompatibili,
non si creerebbe un conflitto interiore (es. se leggesse “ieri ho scalato l’Everest”, ma non ci crede, non si
contraddice).
Il riferimento alla mente personale vuole recuperare ed estendere le caratteristiche di portabilità, accessibilità
e integrazione tipiche dei sistemi biologici, tuttavia, come si osservato dalle proposte di Rupert, Searle,
Damasio e Dennett, anche i criteri biologici non sono in grado di individuare un preciso marchio del
cognitivo
Una volta esclusa la strada funzionalista e quella biologica, la giustificazione dei quattro criteri proposti da
Clark e Chalmers non può che provenire dal rapporto con i caratteri della mente personale. Se
confrontiamo i criteri con alcune caratteristiche fenomenologiche e concettuali della mente personale, si
noterebbe che essi finiscono per mimare l’immediatezza con cui gli stati mentali di cui abbiamo esperienza
ci appaiono nostri.
In conclusione: se vogliamo utilizzare i vincoli proposti per evitare un’estensione radicale della mente e
una dissoluzione dell’idea di soggetto dobbiamo assumere la centralità della mente personale
- Criteri funzionalisti radicali → Accettano ogni tipo di connessione causale associabile ad un’idea
pretorica o metaforica del cognitivo
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- Criteri funzionalisti moderati → Vincolano le connessioni al soddisfacimento di criteri più
stringenti (es. ruolo funzionale biologico, rapporto con la mente personale, …)
- Criteri biologici moderati → Centrati sull’organismo, ma che fanno riferimento anche alla capacità
del SN di produrre contenuti non derivati, stati di coscienza fenomenica ecc.
I criteri biologici sono remunerativi e promettenti sul piano scientifico, ma non è convincente il modo in cui
si oppongono in termini metafisici a quelli funzionali. Sul piano scientifico non si possono escludere che
esistano generalizzazioni extracraniche degne di studio e inoltre i confini effettivi sono poco chiari in merito
alla distinzione tra cognitivo e non cognitivo.
I criteri funzionalisti radicali sono quelli forse più coerenti con lo spirito rivoluzionario dell MME poiché
mettono una vera e propria dissoluzione della nozione di mente, priva di sostanza ontologica e rifletterte di
abitudini linguistiche di utilità pragmatica. I criteri funzionalisti moderati meglio valorizzano le
potenzialità del MME, ma appaiono instabili e non autosufficienti, adottando dei vincoli all’estensione delle
mente esterni all’orizzonte funzionalista (organismo biologico, mente personale)
Se associamo al MME la richiesta che i processi cognitivi esterni siano dotati di accesso trasparente alla
mente personale, otteniamo un assenso condizionato all’idea di mente estesa, ma con una precisazione
cruciale: quella che è richiesta è una trasparenza letterale e non metaforica.
In questa lettura di “trasparente”, un contenuto cognitivo è tale quando può essere acquisito dalla mente
personale del soggetto in modo diretto. Clark, nel contesto di MME, considera trasparenti anche contenuti
veicolati da supporti (esterni) privi di accesso diretto alla mente personale, passando quindi da una
trasparenza letterale ad una trasparenza metaforica.
ES: Quando usiamo un cellulare o leggiamo un libro, ignoriamo il modo in cui l’informazione viene
veicolata nonostante questi supporti esterni sono sempre presenti e visibili, tuttavia lo stesso non può
dirsi di ippocampo o amigdala per due motivi:
- L’azione dei veicoli biologici dell’attività sub-personale è preclusa al mio scrutinio mentale
La contrapposizione tra Clark e Rupert nell’esempio visto a pag. 54 in basso non esclude forme di
trasparenza letterale nell’uso di veicoli esterni. Sebbene Rupert sostiene che il processo può essere spezzato
in centinaia di eventi neurobiologici interni causalmente connessi con eventi esterni, questo spezzettamento:
46
- Non è vissuto come tale dal soggetto
- I singoli processi non forniscono input alla mente personale
- Rendono lo stesso processo cognitivo invisibile (il testo scritto, le annotazioni, … sarebbe
descrivibili in sé come cognitivi?)
In contesti reali la trasparenza letterale sembra difficile da dimostrare, ma l’utilizzo di protesi cognitive
nell’interazione cervello-computer potrebbe fornire esempi di estensione nonostante rimanga aperta
l’alternativa costituzione-causalità nell’interpretazione dei dati.
ES: Il ruolo dei gesti come sostituto delle rappresentazioni interne fornisce esempi di estensione
ecologica, ma rimane da stabilire se questi siano esempi di cognizione estesa, oppure di cognizione
incorporata e situata.
I fenomeni di trasparenza metaforica non hanno un impatto diretto con la questione metafisica
dell’estensione della mente, ma hanno un ruolo importante nel dibattito epistemologico: da un lato
prendere in considerazione sistemi estesi ci aiuta a comprendere meglio le dinamiche del pensiero umano,
dall’altro riconoscere la rilevanza della progettazione di ambienti intelligenti mette in luce tratti
sostanziali della cultura umana, la cui esistenza giustifica la nozione di cyborg e più in generale di
intersezione tra biologico e culturale.
Le prove in favore di MME appaiono indiziare e si prestano all’ulteriore difficoltà legata alla nozione di
soggetto esteso. Accettare una forma robusta di esternismo comporta la delicata questione del proprietario,
tuttavia se non si volesse aderire a una teoria eliminativista dell’io, occorre tracciare con molta attenzione i
limiti delle estensioni ammissibili. In questo quadro, la proposta di considerare la relazione diretta con la
mente personale come punto di estensione, potrebbe ampliarsi anche all’io e alla persona umana.
Secondo le tesi neo-fenomenologiche di Gallagher e Zahavi (pag 63), la struttura dell'esperienza è cruciale,
tuttavia non si parla di esperienza di un ego incorporeo cartesiano, ma di una incarnata e radicata nel mondo.
Negli esseri umani la prospettiva esperienziale acquista caratteri sensibili al modo specifico in cui sono
immersi nel mondo
“L’io si manifesta inizialmente attraverso processi biologici e interazioni ecologiche [...] Successivamente,
attraverso la memoria autobiografica, il linguaggio e l’interazione sociale culturalmente mediata, l’io
nucleare viene potenziato ed esteso al mondo pubblico e sociale. La dinamica di io nucleare e io esteso può
essere declinata a seconda del peso specifico attribuito a ciascun ingrediente della nostra ricetta
(Percezione e linguaggio? Biologia e cultura?)”, Di Francesco e Marraffa
Per il sostenitore del MME è difficile ipotizzare una coscienza estesa, ma resta da spiegare come
l’esperienza si rapporta al mondo; è possibile riconoscere che la millenaria co-evoluzione tra umanità e
ambiente sociale/tecnologico ha prodotto non solo una straordinaria integrazione tra utilizzatori e strumenti,
ma anche un nuovo tipo di soggetto: un io il cui nucleo fenomenologico anima il cyborg, un io che scarica i
propri compiti cognitivi in un ambiente intelligente costruito a quello scopo e nello stesso è plasmato da tale
ambiente.
Questo io ha una mente aperta e coesa col resto del mondo di cui è parte, ma non si confonde e non si
disperde nel mondo.
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Epilogo
1. Il futuro della mente estesa
Il MME è il più radicale tentativo di ridefinizione del concetto di mente dai tempi di Cartesio. Questi si
propone come un nuovo modo di disegnare i confini del reale e ri-definire l’ontologia: una volta estesa la
mente al di là del corpo, il problema nel tracciare i confini sarà tanto fisico quanto concettuale.
La spiegazione di MME ha come punto di partenza il rapporto tra funzionalismo ed estensione della
mente: i fenomeni mentali sono prodotti di processi causali indirizzati alla produzione di comportamenti
intelligenti. Purtroppo, il MME si limita ad affermare che noi individuiamo tale comportamento in modo
intuitivo e lo spieghiamo attribuendone l’origine a cause mentali attraverso la psicologia di senso comune -
letta come un funzionalismo a trama grossa.
Il MME afferma che i processi mentali hanno normalmente luogo nel nostro SNC, ma possono coinvolgere
parti del mondo esterno. Non tutte le connessioni causali producono l’estensione della mente, ma quelle che
danno vita a una particolare auto-strutturazione del flusso di informazione tra interno ed esterno.
Tutti gli esseri dotati di un SN sufficientemente sviluppato da coordinare la complessa attività causale
composta da circolarità e retroazioni tra cervello, corpo e mondo, possono possedere menti estese, ma il caso
degli esseri umani è speciale per il ruolo attribuito agli artefatti cognitivi: ruolo che contempla sia un
potenziamento cognitivo sia una progettazione dell’ambiente medesimo e l’auto-progettazione di se stessi.
Sul piano critico, l’intreccio di indagine filosofica e scientifica è un tratto caratteristico del dibattito sulla
mente estesa ed è esemplificato dalla discussione sulla fallacia della costitutività. Il punto di partenza è
concettuale: un conto è affermare che un processo esterno costituisce un processo mentale e un conto è dire
che svolge un ruolo causale essenziale pur senza esserne parte.
Essere parte di un tutto è una relazione ontologica e ha a che fare con la natura di un fenomeno; essere causa
è una relazione essenziale quando siamo interessati alla spiegazione di qualcosa. Questa analisi concettuale
deve fare i conti con ulteriori questioni empiriche che non permettono una risposta univoca: nel testo sono
stati messi a confronto l’ICI e l’ICE per dimostrare tale impasse teorico. Anche la contrapposizione tra
Clark e Dennett circa il modo in cui l’ambiente esterno contribuisce ai nostri compiti cognitivi offre un
esempio di letture alternative degli stessi fenomeni.
Commentando sulle proprie tesi esposte in Supersizing the Mind [SSM], Clark scrive:
“Sono convinto che non ci sarà una soluzione empirica diretta alle questioni relative all’estensione
cognitiva. Sono anche convinto che la prospettiva che vede alcuni processi cognitivi come distribuiti
circolarmente tra cervello, corpo e mondo continuerà a essere produttiva [...] Ciò che il prossimo futuro ci
riserva, è una migliore comprensione del cervello all’interno di questi cicli e relazioni circolari”
La discussione sulla mente estesa non va concepita come incentrata su una specifica teoria dei fenomeni
mentali, quanto piuttosto su un’immagine generale del mentale di un programma di ricerca scientifico.
In questo senso esso andrebbe giudicato per la sua fecondità concettuale ed empirica.
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L’esistenza di relazioni tra organismo e ambiente caratterizzate da uno scambio di informazioni “ricco,
fluido, bidirezionale, veloce e affidabile” che permette alla risorsa ambientale di “funzionare come una parte
effettiva dell’utente” mette in luce la necessità di ampliare il nostro orizzonte, se vogliamo una spiegazione
completa delle dinamiche cognitive coinvolte. Questo esternismo epistemologico si lega naturalmente
all’esternismo tassonomico26, ma non lo implica.
La questione dei generi naturali psicologici è delicata, ma l’idea di regolarità cognitive estese può essere
interpretata in modo diversi:
- Nella Brain-Computer Interface si approda all’ipotesi di una Teoria Generale dell’Intelligenza che
avrebbe come oggetto gli ipotetici principi che governano l’elaborazione dell’informazione comuni a
ogni tipo di agente cognitivo (distinguere l'elaborazione cognitiva da quella non cognitiva)
Di fronte alla diffidenza circa l’intuizione, la replica di Clark è che ogni teoria più strutturata in merito non
potrebbe che partire dalla pre-comprensione intuitiva. Questo da un lato non esclude strategie per trovare un
equilibrio riflessivo tra il funzionalismo intuitivo di partenza e quello esteso. Dall’altro, la riflessione sul
marchio del cognitivo si interseca con il problema degli esiti controintuitivi della lettura radicale di MME.
Come abbiamo visto il funzionalismo ampio di MME rischia di estendersi oltre ogni limite e le strategie per
limitarne l’estensione appaiono pericolosamente ad hoc. Per arrestare la diffusione illimitata del mentale nel
mondo si fa riferimento alla nozione di mente personale che può essere vista come l’evoluzione della
psicologia di senso comune, ma si differenza in quanto cerca di sviluppare le intuizioni “cartesiane” sulla
natura del soggetto - non quelle dualistiche, ma quelle che pongono soggettività razionalità come tratti
costitutivi del soggetto e della mente.
Non si tratta di rinunciare alla produttività del funzionalismo, ma di integrarlo con una pre-comprensione
filosofica di ciò che ha senso chiamare mentale. Sganciare il mentale dalle idee di soggettività, intenzionalità
e razionalità senza di fatto eliminarlo non è possibile, quindi dobbiamo esser pronti alla scelta tra:
26 “Quello che sta nella testa non determina metafisicamente che genere psicologico è istanziato da un individuo
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Il modello del Cyborg è compatibile con il neurocentrismo, tuttavia sottolinea come bisogna tenere in
considerazione il mondo di artefatti e supporti cognitivi sviluppati durante tutta l’evoluzione culturale.
Essere umani è una faccenda complessa che è possibile raccontate da una pluralità di prospettive, tra cui il
MME: in cui supporti ed estensioni cognitive sono qualcosa di più che meri strumenti: essi hanno un
rapporto intimo ed essenziale con la nostra natura.
L’esempio più evidente è il linguaggio: senza negare le basi biologiche e i vincoli della biologia posti alle
nostre potenzialità linguistiche, non vi è dubbio di un uso sociale della nostra facoltà linguistica che va oltre
il livello comunicativo
Rielaborare, criticare e condividere sono attività pubbliche e guidate dalle regole comunitarie che presiedono
alla manutenzione dello spazio delle ragioni e la mente è l’organo fisico di questo spazio; l’esito è quello di
una forma radicale di auto-progettazione di noi stessi che si ottiene modificando il nostro ambiente per far sì
che esso ci modifichi a sua volta.
Queste conclusioni dipendono dalla sola lettura epistemologica e non dalla più impegnativa tesi ontologica
dell’estensione letterale dei veicoli della cognizione. Quello che conta per le conseguenze antropologiche
non è tanto la tematica ontologica quanto il fatto che il MME suggerisce con forza che l’ambiente culturale e
tecnologico ha un ruolo causale essenziale per renderci ciò che siamo. Questa è la differenza tra il MME e
gli altri approcci incarnati e situati: l’uomo del MME è homo faber e lo è per esser sapiens nella sua
modalità specifica.
Il rapporto causale strettissimo con l’ambiente sociale/culturale antropizzato e tecnologico aumenta di gran
lunga le nostre potenzialità biologiche. Il MME riconosce la centralità del cervello nell’elaborazione
cognitiva e lancia alle neuroscienze una sfida: studiare quali sono le capacità funzionali del cervello umano
che gli permettono di creare e interagire con gli artefatti cognitivi; tuttavia, concepire tout court la mente
come processo biologico intracranico farebbe perdere di vista aspetti importanti di noi stessi.
La specificità della mente umana rende la contrapposizione natura/cultura sfumata, discutibile e, si potrebbe
aggiungere, per noi esseri umani è naturale essere artificiali in quanto la nostra natura biologica richiede
un completamento culturale.
Questo stato di cose ha rilevanti conseguenze nell’etica pubblica: le neuroscienze potrebbe fornire elementi
per preservare la salute della mente, lottare contro l’invecchiamento, riconoscere le basi neurobiologiche
delle emozioni, tuttavia se esse venissero applicate in campo giuridico, si entrerebbe in un campo sensibile
Adottando il punto di vista estetista, se i supporti e gli artefatti cognitivi sono così importanti per noi, allora
un danno all’ambiente potrebbe essere paragonabile a un danno cerebrale. Levy, con esplicito riferimento al
MME propone l’adozione di un principio di parità etico per cui le alterazioni dei supporti esterni alla
cognizione andrebbero considerate come eticamente assimilabili alle alterazioni cerebrali.
ES: Se Inga migliorasse le proprie prestazioni cognitive con l’aiuto di stimolanti, mentre Otto
sostituisce il suo taccuino con uno smartphone, le due situazioni sarebbero assimilate e valutate
analogamente sul piano etico
Se MME è vero, noi da sempre interveniamo “artificialmente” per modificare le nostre prestazioni
cognitive , quindi il punto non è decidere se è lecito intervenire sul cervello, ma se e come farlo in specifiche
situazioni: sostituire lo smartphone di Otto è più facile che guarire l'ippocampo di Inga, cosa che potrebbe
suggerire che un danno al primo non è assimilabile a uno al secondo.
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Una estensione cognitiva radicale però avrebbe conseguenze disastrose sul piano etico-antropologico: con
essa non verrebbe a definirsi una nuova “persona umana”, ma si arriverebbe a una dissoluzione del concetto
stesso di umanità.
La diffidenza verso la filosofia in poltrona è condivisibile nella misura in cui si vuole criticare l’idea che sia
possibile costruire una teoria della mente senza confrontarsi con la ricerca scientifica.
Un ricercatore che dovesse scegliere tra ICI e ICE, dovrebbe farlo sulla base di ragioni filosofiche, empiriche
e pragmatiche, tuttavia nulla impedisce l’uso dell’analisi concettuale.
La ricostruzione dell’indagine filosofica ed empirica su cui si basa il MME ha mostrato come alcuni snodi
chiave riguardano analisi concettuali: relazioni costitutive/causali, intenzionalità originaria/derivata,
definizione del marchio cognitivo, principio di parità, …
Tutto ciò sembra sostenere che l’analisi concettuale debba restare nella scienza cognitiva. Se questo è vero,
anche la costruzione di una psicologia teorica esternista richiede un dosato melange di analisi concettuale e
ricognizione empirica; ciò non significa che nella psicologia teorica non sia possibile offrire ragioni di
preferenza verso una proposta e l’altra, ma non bisogna cadere in una lettura positivistica o frettolosa
semplificazione. Occorre invece tenere conto della specificità di quella forma di negoziazione concettuale
che è la filosofia, soprattutto quella riguardante lo studio della mente.
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