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Introduzione
Il discorso sulla sovranità è un importante elemento di continuità con l’epoca del diritto comune.
In senso lato, il concetto di sovranità è inteso come potere di ultima istanza in una qualsiasi comunità
politica. Questa accezione non è utilizzata tanto per definire il lato fattuale, chi di fatto esercita il potere,
ma è un’accezione giuridico-politica utilizzato nella tradizione giuridica per discutere del potere in termini
giuridici. Capire quali sono le prerogative di questo potere di ultima istanza, provare a definire l’essenza
della sovranità, e in particolare fin dove arrivano questi poteri e prerogative, significa fondamentalmente
discutere i limiti della sovranità.
D. 1, 4, 1 testo: Quod principi placuit, legis habet vigorem: utpote cum lege regia, quae de imperio eius
lata est, populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem conferat. […]
Traduzione: ciò che è gradito (vuole) il principe, ha il valore di legge; poiché con la legge regia, che è stata
promulgata sul suo potere regale, il popolo conferisce a lui e in lui tutto il suo potere e ogni sua potestà. […]
Commento: il popolo si è spogliato del proprio potere e lo ha completamente trasferito al sovrano: il patto
originario è configurato come una donazione, l’ha conferito senza chiedere nulla in cambio
(limiti/condizioni), perché è comunque necessario che ci sia una persona che prenda le decisioni per il
benessere della comunità.
Dall’altro lato troviamo una costituzione imperiale, pubblicata nel 429 d.C. dagli imperatori Teodosio e
Valentiniano, poi inserita nel Codice giustinianeo.
C. 1, 14 (17), 4 testo: Digna vox maiestate regnantis legibus alligatum se principem profiteri: adeo de
auctoritate iuris nostra pendet auctoritas. et re vera maius imperio est submittere legibus principatum. et
oraculo praesentis edicti quod nobis licere non patimur indicamus. […]
Traduzione: È espressione degna della maestà del regnante che il principe si professi vincolato alle leggi. A
tal punto dall’autorità del diritto dipende la nostra stessa autorità. E in realtà è cosa più grande del potere
sottomettere il principato alle leggi. Con l’oracolo del presente editto facciamo sapere a tutti quello che non
vogliamo sia lecito a noi. […]
Commento: la l. digna vox diventa per la dottrina giuridica medievale la norma fondamentale che limita il
potere, il punto d’appoggio di quello che possiamo chiamare una sorta di costituzionalismo medievale.
Questa costituzione non afferma un vincolo giuridico al rispetto delle leggi da parte di chi governa, quanto
piuttosto un obbligo morale: è degno del principe rispettare le leggi, ma egli non è giuridicamente vincolato
e in caso di violazione il principe non può essere sanzionato. Piuttosto, il principe ha il dovere morale di
auto-vincolarsi alle leggi: l’unica sanzione che può venire in rilievo è solo di ordine morale, non c’è
un’autorità che possa intervenire e destituire il principe che non rispetta le leggi. Nel medioevo un obbligo
morale era comunque molto importante.
La legittimazione e il fondamento del potere del principe stanno nel rispetto del diritto. Il potere di fatto è
qualcosa che vale poco in confronto al potere legittimo. L’autorità di chi governa dipende in gran parte dal
rispetto del diritto.
Lex digna vox: rubrica e glosse rubrica: Princeps debet vivere secundum leges; quia ex lege eius pendet
autoritas. Bald. Vel sic, De debito honestatis princeps legibus est subiectus. Et paribus licet indicare, non
imperare. Hoc dicit Salic.
Il principe deve vivere secondo le leggi: poiché dalla legge dipende la sua autorità. Bal. [Baldo degli Ubaldi].
O così: circa il debito dell’onestà il principe è soggetto alle leggi. E ai pari è lecito indicare, non comandare.
Salic. [Bartolomeo da Saliceto]
Glossa “de autoritate” (h): haec est ratio primi dicti, et quod dicit iuris, s[cilicet]legis regiae, quae est de
imperio transferendo de populo in principem: ut institu. De iure natur. § sed et quod princi. et i[nfra] de
vete. iure enuc. l. I § hoc etiam.
Questa è la ragione di quanto detto sopra e si riferisce al diritto, in particolare alla legge regia, che trasferiva
il potere dal popolo al principe, come si dice anche in Inst. 1, 2, D. 1, 4, 1, e altrove.
Glossa “principatum sub[mittere]” (a): quam leges principatui sive imperio. quasi dicat maior est honor, et
maior est convenientia, cum imperium sit de fortuna. unde dicitur, Si fortuna volet, fies de rhetore consul. Si
volet haec eadem, fies de consule rhetor. At leges sunt divino nutu perlatae […].
Piuttosto che [sottomettere] le leggi al principato o al potere. [In questa costituzione è] come se si dicesse
che [per il principe, dichiararsi vincolato alle leggi] è un onore [ancora] maggiore, ed è ancora più
conveniente [che proclamarsi legibus solutus], perché il potere dipende dalla fortuna. Per questo si dice
che, se la fortuna vorrà, da oratore diventerai console; se lei medesima lo vorrà, da console diventerai
[tornerai ad essere un semplice] oratore. Le leggi invece sono stabilite da Dio […] e quindi sono immutabili.
Glossa “indicamus” (d): s[cilicet] successori nostro, et non dicit praecipimus, quia par in parem non habet
imperium: […].
Cioè al nostro successore, e non dice prescriviamo / ordiniamo, perché non si ha un potere sui propri pari.
In senso stretto, nel suo significato moderno, il termine sovranità appare, alla fine del Cinquecento, assieme
a quello di Stato, per indicare in tutta la sua pienezza il potere statuale, unico ed esclusivo soggetto della
politica. Esso è il concetto politico-giuridico che consente allo Stato moderno, con la sua interna logica
assolutistica, di affermarsi sull’organizzazione medievale del potere, basata da un lato sui ceti e sugli stati e
dall’altro sulle due grandi coordinate universalistiche del Papato e dell’Impero: questo avviene secondo
un’esigenza di unificazione e di concentrazione del potere, per realizzare in una sola istanza il monopolio
della forza in un determinato territorio e sopra una determinata popolazione, per realizzare nello Stato la
massima unità e coesione politica. Il termine sovranità diventa il necessario punto di riferimento per teorie
politiche e giuridiche spesso assai diverse, a seconda delle differenti situazioni storiche, la base per
costruzioni statuali spesso assai diverse, a seconda della maggiore o minore resistenza dell’eredità
medievale, ma costante è il tentativo di conciliare il potere di fatto con quello di diritto.
Sul piano interno, il fine ultimo dell’azione di governo è l’eliminazione di ogni guerra privata, dalle faide alle
lotte civili, vale a dire il mantenimento della pace interna e dell’ordine pubblico. Sul piano esterno, invece,
spettano al sovrano la decisione e la gestione della guerra e della pace. Tutto ciò presuppone un sistema di
Stati, che non hanno più alcun giudice al di sopra di sé (il Papa o l’Imperatore), e che regolano i loro
rapporti con la guerra, anche se questa viene poi sempre più disciplinata e razionalizzata attraverso
l’elaborazione pattizia di un diritto internazionale o, meglio, di un diritto pubblico europeo.
In questo modo, il sovrano sul piano esterno si trova in una situazione di eguaglianza con gli altri sovrani,
mentre sul piano interno si trova in una posizione di assoluta supremazia, perché ha sotto di sé i sudditi,
tenuti all’obbedienza.
La nota essenziale della sovranità diventa proprio il potere di derogare al diritto ordinario. Il campo in cui
la sovranità può liberamente e assolutamente esplicarsi è quello della legge civile (il sovrano ha la facoltà di
derogare tanto alle leggi dei suoi predecessori quanto a quelle da lui stesso emanate). Nella dottrina
bodiniana restano ancora alcuni limiti al potere sovrano:
- Limiti di carattere etico-religioso (le “leggi di Dio e della natura”);
- Le leggi fondamentali del regno;
- I freni rispetto ad un uso arbitrario del potere costituiti dai magistrati intermedi da un lato e dai
corpi e i ceti, ancora riconosciuti nello Stato bodiniano, dall’altro.
Bodin nega la possibilità di una auto-obbligazione, quindi nega l’idea che il potere possa essere davvero
considerato vincolato alle leggi, anche nella sua dimensione ordinaria, mentre resta l’istanza assolutistica.
Chi ha un potere a tempo determinato è soggetto a una serie di condizionamenti per cui non gode di un
potere libero. Il potere è assoluto solo se si prospetta come perpetuo per la vita della persona che lo
detiene.