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IL PROBLEMA DELLA SOVRANITÀ FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA

Introduzione
Il discorso sulla sovranità è un importante elemento di continuità con l’epoca del diritto comune.
In senso lato, il concetto di sovranità è inteso come potere di ultima istanza in una qualsiasi comunità
politica. Questa accezione non è utilizzata tanto per definire il lato fattuale, chi di fatto esercita il potere,
ma è un’accezione giuridico-politica utilizzato nella tradizione giuridica per discutere del potere in termini
giuridici. Capire quali sono le prerogative di questo potere di ultima istanza, provare a definire l’essenza
della sovranità, e in particolare fin dove arrivano questi poteri e prerogative, significa fondamentalmente
discutere i limiti della sovranità.

La maiestas o summa potestas nella tradizione giuridica medievale


Alle origini della riflessione medievale intorno al potere e alla legittimità del potere ci sono alcuni passi
fondamentali del Corpus iuris civilis. Si tratta, da un lato, di due passi del giurista Ulpiano, riportati nel
Digesto:
D. 1, 3, 31 (30) e D. 1, 4, 1.

D. 1, 3, 31 (30) testo: Princeps legibus solutus est […].


Traduzione: Il principe è sciolto dalle leggi […].
Commento: qui troviamo per la prima volta il termine solutus, da cui deriva l’espressione sovranità
assoluta: un potere senza limiti, sciolto dal dovere di rispettare le leggi.

D. 1, 4, 1 testo: Quod principi placuit, legis habet vigorem: utpote cum lege regia, quae de imperio eius
lata est, populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem conferat. […]
Traduzione: ciò che è gradito (vuole) il principe, ha il valore di legge; poiché con la legge regia, che è stata
promulgata sul suo potere regale, il popolo conferisce a lui e in lui tutto il suo potere e ogni sua potestà. […]
Commento: il popolo si è spogliato del proprio potere e lo ha completamente trasferito al sovrano: il patto
originario è configurato come una donazione, l’ha conferito senza chiedere nulla in cambio
(limiti/condizioni), perché è comunque necessario che ci sia una persona che prenda le decisioni per il
benessere della comunità.

Dall’altro lato troviamo una costituzione imperiale, pubblicata nel 429 d.C. dagli imperatori Teodosio e
Valentiniano, poi inserita nel Codice giustinianeo.
 
C. 1, 14 (17), 4 testo: Digna vox maiestate regnantis legibus alligatum se principem profiteri: adeo de
auctoritate iuris nostra pendet auctoritas. et re vera maius imperio est submittere legibus principatum. et
oraculo praesentis edicti quod nobis licere non patimur indicamus. […]
Traduzione: È espressione degna della maestà del regnante che il principe si professi vincolato alle leggi. A
tal punto dall’autorità del diritto dipende la nostra stessa autorità. E in realtà è cosa più grande del potere
sottomettere il principato alle leggi. Con l’oracolo del presente editto facciamo sapere a tutti quello che non
vogliamo sia lecito a noi. […]
Commento: la l. digna vox diventa per la dottrina giuridica medievale la norma fondamentale che limita il
potere, il punto d’appoggio di quello che possiamo chiamare una sorta di costituzionalismo medievale.
Questa costituzione non afferma un vincolo giuridico al rispetto delle leggi da parte di chi governa, quanto
piuttosto un obbligo morale: è degno del principe rispettare le leggi, ma egli non è giuridicamente vincolato
e in caso di violazione il principe non può essere sanzionato. Piuttosto, il principe ha il dovere morale di
auto-vincolarsi alle leggi: l’unica sanzione che può venire in rilievo è solo di ordine morale, non c’è
un’autorità che possa intervenire e destituire il principe che non rispetta le leggi. Nel medioevo un obbligo
morale era comunque molto importante.
La legittimazione e il fondamento del potere del principe stanno nel rispetto del diritto. Il potere di fatto è
qualcosa che vale poco in confronto al potere legittimo. L’autorità di chi governa dipende in gran parte dal
rispetto del diritto.

Lex digna vox: rubrica e glosse rubrica: Princeps debet vivere secundum leges; quia ex lege eius pendet
autoritas. Bald. Vel sic, De debito honestatis princeps legibus est subiectus. Et paribus licet indicare, non
imperare. Hoc dicit Salic.
Il principe deve vivere secondo le leggi: poiché dalla legge dipende la sua autorità. Bal. [Baldo degli Ubaldi].
O così: circa il debito dell’onestà il principe è soggetto alle leggi. E ai pari è lecito indicare, non comandare.
Salic. [Bartolomeo da Saliceto]
Glossa “de autoritate” (h): haec est ratio primi dicti, et quod dicit iuris, s[cilicet]legis regiae, quae est de
imperio transferendo de populo in principem: ut institu. De iure natur. § sed et quod princi. et i[nfra] de
vete. iure enuc. l. I § hoc etiam.
Questa è la ragione di quanto detto sopra e si riferisce al diritto, in particolare alla legge regia, che trasferiva
il potere dal popolo al principe, come si dice anche in Inst. 1, 2, D. 1, 4, 1, e altrove.
Glossa “principatum sub[mittere]” (a): quam leges principatui sive imperio. quasi dicat maior est honor, et
maior est convenientia, cum imperium sit de fortuna. unde dicitur, Si fortuna volet, fies de rhetore consul. Si
volet haec eadem, fies de consule rhetor. At leges sunt divino nutu perlatae […].
Piuttosto che [sottomettere] le leggi al principato o al potere. [In questa costituzione è] come se si dicesse
che [per il principe, dichiararsi vincolato alle leggi] è un onore [ancora] maggiore, ed è ancora più
conveniente [che proclamarsi legibus solutus], perché il potere dipende dalla fortuna. Per questo si dice
che, se la fortuna vorrà, da oratore diventerai console; se lei medesima lo vorrà, da console diventerai
[tornerai ad essere un semplice] oratore. Le leggi invece sono stabilite da Dio […] e quindi sono immutabili.
Glossa “indicamus” (d): s[cilicet] successori nostro, et non dicit praecipimus, quia par in parem non habet
imperium: […].
Cioè al nostro successore, e non dice prescriviamo / ordiniamo, perché non si ha un potere sui propri pari.

La dottrina giuridica medievale: la concezione bifronte di sovranità


La concezione della sovranità medievale, nelle sue molte varianti, testimonia un costante tentativo di
armonizzazione di queste due opposte concezioni del potere. Ne nasce una concezione della sovranità dalla
doppia natura, divisa fra due istanze supreme, un’istanza assolutistica da un lato, un’istanza legalitaria
dall’altro, entrambe coesistenti nella figura del principe:
- L’istanza assolutistica porta a riconoscere al princeps una potestas absoluta, ma solo come una
figura astratta di potere, confinata in una dimensione del tutto straordinaria ed eccezionale;
- L’esercizio ordinario del potere si ispira invece a esigenze legalitarie (di limitazione del potere), che
configurano la maiestas come una potestas ordinaria et ordinata, un potere che, nella sua
dimensione ordinaria e quotidiana, dev’essere esercitato nel rispetto delle leggi (di Dio e della
natura, ma anche civili).

Sovranità e Stato moderno


Durante l’età moderna negli stati monarchici si avvia un processo di accentramento non solo della
produzione del diritto, che è di produzione del monarca, ma anche sul piano dell’amministrazione della
giustizia, che viene riorganizzata nella sua gerarchia. Infatti, pur rimanendo molte corti locali, si afferma
l’idea che si può proporre appello di fronte ai tribunali regi.
Il giurista di età moderna si trova sempre più spesso di fronte alla situazione di dover giudicare
l’applicazione della legge del sovrano. Si forma una gerarchia delle fonti, al cui vertice si pone in modo
chiaro e netto la legge del sovrano. Un dato evidente è la promulgazione dei codici: è una rivoluzione che
pone fine all’età comune. L’idea di poter racchiudere tutto il diritto di un codice, però, si realizza solo
all’inizio dell’età contemporanea, non nell’età moderna, perché implica un cambiamento di prospettiva che
è ancora in fieri durante l’età moderna e si conclude nell’età contemporanea. In questo senso, si nega che
si possa parlare di Stato moderno nel corso dell’età moderna, perché resta importante il ruolo di una serie
di forze tradizionali che impediscono il pieno compimento dell’accentramento.

In senso stretto, nel suo significato moderno, il termine sovranità appare, alla fine del Cinquecento, assieme
a quello di Stato, per indicare in tutta la sua pienezza il potere statuale, unico ed esclusivo soggetto della
politica. Esso è il concetto politico-giuridico che consente allo Stato moderno, con la sua interna logica
assolutistica, di affermarsi sull’organizzazione medievale del potere, basata da un lato sui ceti e sugli stati e
dall’altro sulle due grandi coordinate universalistiche del Papato e dell’Impero: questo avviene secondo
un’esigenza di unificazione e di concentrazione del potere, per realizzare in una sola istanza il monopolio
della forza in un determinato territorio e sopra una determinata popolazione, per realizzare nello Stato la
massima unità e coesione politica. Il termine sovranità diventa il necessario punto di riferimento per teorie
politiche e giuridiche spesso assai diverse, a seconda delle differenti situazioni storiche, la base per
costruzioni statuali spesso assai diverse, a seconda della maggiore o minore resistenza dell’eredità
medievale, ma costante è il tentativo di conciliare il potere di fatto con quello di diritto.

Sul piano interno, il fine ultimo dell’azione di governo è l’eliminazione di ogni guerra privata, dalle faide alle
lotte civili, vale a dire il mantenimento della pace interna e dell’ordine pubblico. Sul piano esterno, invece,
spettano al sovrano la decisione e la gestione della guerra e della pace. Tutto ciò presuppone un sistema di
Stati, che non hanno più alcun giudice al di sopra di sé (il Papa o l’Imperatore), e che regolano i loro
rapporti con la guerra, anche se questa viene poi sempre più disciplinata e razionalizzata attraverso
l’elaborazione pattizia di un diritto internazionale o, meglio, di un diritto pubblico europeo.
In questo modo, il sovrano sul piano esterno si trova in una situazione di eguaglianza con gli altri sovrani,
mentre sul piano interno si trova in una posizione di assoluta supremazia, perché ha sotto di sé i sudditi,
tenuti all’obbedienza.

Bodin e il moderno concetto di sovranità


Il moderno concetto di sovranità nasce con Jean Bodin, che ne dà per la prima volta una definizione
compiuta nella sua République (1576). La République si apre con la definizione di Stato: “Lo Stato è il
governo giusto che si esercita con potere sovrano su diverse famiglie e su tutto ciò che esse hanno in
comune fra loro” (Rép., I, 1). Subito dopo Bodin dà la sua definizione di sovranità (Rép., I, 8): “Per sovranità
si intende quel potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato”. Il punto più alto della sovranità, la
sua prerogativa somma, sta nel potere di dare la legge, ovvero nel “potere di fare e di abrogare le leggi”,
infatti la definizione bodiniana della legge è: “La legge è il comando di chi ha il potere sovrano” (Rép. I, 8).
Bodin inaugura una concezione imperativistica / volontaristica della legge, che si contrappone alla
concezione pattizia della legge propria della tradizione giuridica precedente (ripresa nella prima età
moderna dal pensiero politico calvinista e dai monarcomachi).

La nota essenziale della sovranità diventa proprio il potere di derogare al diritto ordinario. Il campo in cui
la sovranità può liberamente e assolutamente esplicarsi è quello della legge civile (il sovrano ha la facoltà di
derogare tanto alle leggi dei suoi predecessori quanto a quelle da lui stesso emanate). Nella dottrina
bodiniana restano ancora alcuni limiti al potere sovrano:
- Limiti di carattere etico-religioso (le “leggi di Dio e della natura”);
- Le leggi fondamentali del regno;
- I freni rispetto ad un uso arbitrario del potere costituiti dai magistrati intermedi da un lato e dai
corpi e i ceti, ancora riconosciuti nello Stato bodiniano, dall’altro.
Bodin nega la possibilità di una auto-obbligazione, quindi nega l’idea che il potere possa essere davvero
considerato vincolato alle leggi, anche nella sua dimensione ordinaria, mentre resta l’istanza assolutistica.
Chi ha un potere a tempo determinato è soggetto a una serie di condizionamenti per cui non gode di un
potere libero. Il potere è assoluto solo se si prospetta come perpetuo per la vita della persona che lo
detiene.

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