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Elisa Hampe, 5M
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L’arte tra Schopenhauer e Nietzsche: punti di contatto e di rottura

Il discorso sull’arte si pone per molti versi come passo obbligatorio del filosofare: tante cose

sono state scritte, tanti significati e letture attribuiti. Nello specifico, però, vorrei proporre

un’analisi sul pensiero che a riguardo espongono due personalità dalle visioni opposte, ben

rappresentanti le due metà dell’Ottocento: Arthur Schopenhauer (1788-1860), dalle chiare

influenze kantiane e Romantiche (parliamo degli anni del Werther di Goethe, degli scritti sul

dolore e il male di vivere), e Frederich Nietzsche (1844-1900), che muove invece dalla lettura

proprio del primo filosofo citato, ma che apre il cammino verso il nuovo secolo, che ispira

D’Annunzio nelle sue celebrazioni della vita e della giovinezza. Intendo nelle prossime righe

esporre punti di contatto e di rottura tra un pensiero improntato alla negazione di sé e della vita,

e tra uno che promuove l’esaltazione vitalistica e la riaffermazione della dignità dell’esistenza

materiale.

Per parlare di Schopenhauer è bene tenere a mente la netta distinzione (ripresa dal modello

kantiano) che il filosofo compie tra mondo fenomenico e noumenico, quest’ultimo identificato,

però, in accordo più con la filosofia orientale che non col modello tedesco, nella volontà intrinseca

in ogni cosa. È in questa che Schopenhauer individua il motore del mondo, nonché la sua

essenza. Anche l’uomo agisce in accordo con la volontà, in particolare con la volontà di volere, un

bisogno vuoto e fine a se stesso, causa di ogni sofferenza. Soluzione al dolore, alla volontà, diventa

dunque il suo opposto, la non volontà, raggiungibile appieno solamente attraverso l’ascesi. Eppure,

la via per l’ascesi si dimostra inattuabile, in quanto esige la rinuncia a ogni tipo di volere,

impossibile per chiunque. Fortunatamente, Schopenhauer offre altre due vie per arrivare, se non

a una vera e propria liberazione, almeno a un conforto al dolore dell’esistenza. Si tratta della

morale e dell’arte, ed è della seconda che andremo ora a interessarci.

Evidente si dimostra di nuovo l’influsso di Kant nel concepimento da parte di Schopenhauer

dell’arte come contemplazione disinteressata delle idee, così come lo è l’influenza della filosofia

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platonica. L’arte, rivolgendosi alle idee, si rivolge dunque a forme metafisiche, universali, eterne.

Si pone dunque in dialogo con qualcosa che trascende tempo e spazio, così come il mondo

fenomenico. Quando l’individuo fa esperienza dell’arte, trova un mezzo per mettersi in contatto

col noumeno, per sottrarsi ai vincoli della realtà del fenomeno. Le sue esperienze, le sue

sofferenze, diventano dunque universali, e l’uomo riesce a elevarsene, ottenendo un

momentaneo sollievo dal dolore.

Schopenhauer individua una gerarchia tra le arti, ponendo sul gradino più basso quelle più

legate alla fisicità e alla rappresentazione, come architettura e pittura, e invece dando maggiore

rilievo a quelle che si muovono su concetti astratti, come la poesia, oppure la musica, che è

valutata dal filosofo come la più potente e universale di tutte le arti. Già nell’importanza

attribuita alla musica cominciamo a trovare un primo elemento di comunanza con la filosofia

nietzschiana, ma è sulla tragedia che si apre il confronto più interessante tra i due filosofi.

Schopenhauer vede nella tragedia l’autorappresentazione del dramma della vita, perché

riesce a mostrare di questa i lati più terribili: il dolore, l’angoscia, la sconfitta. La tragedia

rappresenta un’unica volontà, di cui le manifestazioni interne si combattono a vicenda, proprio

come accade nel mondo. A emergere nell’uomo che entra in contatto con la tragedia è la

consapevolezza di un’impossibilità del trionfo del bene, e una conseguente rinuncia alla felicità e

alle speranze.

Anche Nietzsche dedica parte della sua filosofia alla tragedia, specialmente nella sua opera La

nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo (1872), in cui risulta evidente

la sua formazione filologica. È qui che il filosofo individua i due principi di dionisiaco e

apollineo, ovvero rispettivamente del caos e del tentativo di sublimare il caos in forma. Per

Nietzsche, la perfetta unione tra i due elementi è rappresentata, ancora una volta, dalla tragedia

greca: il dramma è davvero efficace quando, attraverso la forma dell’apollineo, è possibile

rappresentare tutto il caos e la sofferenza di un eroe dionisiaco. Per Nietzsche, nella civiltà

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moderna vi è stato un decadimento della tragedia: a partire dalla filosofia socratica, l’apollineo è

sempre stato spinto a prevalere sul dionisiaco, soffocando così le pulsioni della vita. È qui che si

profila il maggiore punto di rottura tra la filosofia di Schopenhauer e quella di Nietzsche, che

paiono in contrasto esattamente come gli stessi apollineo e dionisiaco. Schopenhauer, per

eliminare il dolore, incoraggia a un completo soffocamento della volontà, delle pulsioni, adotta il

modello orientale della meditazione e dell’ascesi, dell’abnegazione del corpo e dei suoi bisogni,

in un completo prevalere del principio apollineo. Nietzsche, al contrario, propone una

rivalutazione delle pulsioni, della fisicità, e non intende annullare il dolore, bensì riconoscerlo

come parte integrante della vita, accettando con entusiasmo il principio dionisiaco e

promuovendo la ricerca di un equilibrio con l’apollineo.

Nietzsche vede il mondo come una lotta tragica tra opposti, che solamente l’arte può

comprendere davvero, e da ciò deriva la natura metafisica di quest’ultima. Alla decadenza del

dionisiaco nella civiltà moderna, il filosofo contrappone il sogno di una rinascita della cultura

tragica incentrata sull’arte, in particolare sulla musica.

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