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RIASSUNTO AUDIENCE READER

Prefazione

Cosa vuol dire studiare le audience oggi? Sono molti i contributi teorici che si sono succeduti nel tempo, favorendo talvolta
l’audience a discapito del testo (usi e gratificazioni), o facendo sparire l’audience a favore del testo (determinismo
testuale), o privilegiando il contesto (svolta etnografica), senza però collocare la relazione testo-lettore in una teoria
dell’azione sociale più ampia. L’idea è quella di rielaborare teoricamente l’esperienza connessa all’essere audience. La
retorica che ha prevalso per molti anni negli studi sulle audience, ha continuato a indugiare sulla sottolineatura di un tratto,
sull’apposizione di etichette, allo scopo di descrivere un prototipo di audience dotato di elementi in grado di tracciarne
un’identità più o meno coerente e quindi essenzialmente statica, rispetto a determinati contesti mediali. In altre parole una
lettura tendente alla categorizzazione. Più efficace e convincente è invece l’idea di audience diffusa, soprattutto nel suo
riferirsi alla dimensione continuativa dell’esperienza di essere audience, alla sua diffusione e al suo incremento nelle
pratiche quotidiane, una audience che esercita il proprio progetto identitario all’interno del contesto mediale, culturale e
sociale in cui si trova e dal quale attende, richiede o rifiuta legittimazione. L’audience non può e non deve essere definita,
anche perché non è una classe sociale, una razza o un genere. Non possiamo fornire una definizione categorica perché le
categorie si basano sulle similarità, mentre l’audience è più vicina ad una moltitudine di differenze, dove tanti soggetti si
raccontano come membri ogni volta in modo diverso e per prodotti diversi. Le esperienze delle audience si generano e si
evolvono, ma non scompaiono e non sempre richiedono un senso unitario, che tuttavia emerge dallo sguardo attento del
ricercatore. L’errore dunque risiede nel voler spiegare singole pratiche di consumo cercando di individuare una lettura
univoca e consolidata. È ragionevole ed auspicabile il punto di vista della Livingstone quando dichiara che l’accademia non
è così impegnata come dovrebbe essere, perché se è criticabile la necessità dell’industria dei media di ricondurre il valore
dell’audience a realtà misurabile e oggettivabile, altrettanto biasimabili sono i metodi della ricerca accademica, che
continua a contrapporre nuovi metodi e nuovi pubblici una volta che li ritiene superati. Bisogna pertanto fare focus fra le
diverse relazioni che intercorrono tra le persone, in quanto mediate sia da contesti culturali e storici, sia da specifiche
forme tecnologiche. Audience quindi che vivono la loro esperienza di essere audience nel senso di molteplici relazioni. Il
reader viene introdotto dal saggio di Sonia Livingstone, una delle voci più attive e critiche nel panorama degli Audience
Studies contemporanei. Il volume prosegue poi con la presentazione di tre contributi “classici” della tradizione dei Cultural
Studies che rappresentano un fondamentale momento di inquadramento teorico e metodologico delle teorie sui pubblici. il
saggio di David Morley fornisce una sintesi critica dei presupposti teorici e della pratica metodologica della celebre ricerca
The Nationwide Audience, in cui la sperimentazione sul campo delle teorie di Hall e Parkin ha offerto numerosi spunti di
riflessione sulle opportunità di mappare culturalmente le audience, non solo a partire dalle strutture di classe, ma in
relazione al ventaglio di strategie di decodifica e competenze messe in campo a partire dall’appartenenza a formazioni
sociali e dalla frequentazione con i codici e i discorsi in uso all’interno delle stesse. L’attenzione che Morley pone alla
complicità iscritta nel testo e per nulla scontata, che dovrà essere cercata e costruita tra i discorsi dell’emittente e quelli
delle audience, presenta molteplici interessanti spunti per riposizionare la riflessione teorica ed empirica sulla relazione
media-audience oggi, alla luce dell’aumentata incertezza connessa alle dinamiche di consumo. Ancora più provocatorio
nello sforzo di decostruzione dell’audience e per certi aspetti più intenso nell’evidenziarne l’attività, il saggio di John Fiske. I
suoi “momenti di televisione” disapprovano con fermezza la fine del pubblico e del testo come categorie oggettive e isolate
fra loro, radicalizzando il pensiero di Hall e dello stesso Morley sul rapporto testo-lettore. Lo sforzo teorico di
disarticolazione dell’audience, più ancora di quello del testo, si concentra sui momenti di fruizione in cui un testo e un
soggetto in potenza si incontrano e connettono tra loro attraverso un processo di articolazione tra i vari significati, che il
soggetto trova nel testo, e la loro attualizzazione/appropriazione, organizzata dentro gli spazi dell’intertestualità
dell’esperienza sociale. È questa articolazione che attribuisce piacere al consumo e che caratterizza un testo come
realmente popolare. Le conclusioni del saggio di Janice Radway “Reading the romance” ha invece un duplice obiettivo: da
un lato spiegare il “contestualismo radicale” enfatizzato dal metodo etnografico e dall’attenzione al momento del
consumo, offrendo un punto di vista stimolante che ricolloca, accanto alle pratiche interpretative più strettamente
connesse al modello encoding-decoding dei primi Cultural Studies, la pratica di lettura come operazione culturale (di
resistenza ideologica alle strutture patriarcali) a prescindere dal risultato che verrà prodotto. Inoltre, in questa duplice
attività dell’audience, la Radway evidenzia il punto di contatto tra Cultural Studies e Women’s Studies, dando spazio alla
lettura femminista del consumo culturale in termini di piacere, ma soprattutto applicando il concetto di articolazione di
Fiske al consumo femminile, rafforzando la posizione delle donne come audience competenti. Dall’altro, sottolineare il
concetto di audience come comunità, attraverso il progressivo costituirsi di comunità locali tra le lettrici, di connessioni
sempre più intense con i testi popolari, ma in quanto femminista, ribadisce l’occasione mancata della ribellione, imputabile
sicuramente all’atto di consumo individuale, ma soprattutto all’inconsapevolezza di essere audience anche oltre la pratica
di consumo (come propone Fiske e come afferma il concetto di audience diffusa). Attraverso il contributo di Henry Jenkins
poi si intende rileggere il rapporto media-audience dalla parte dell’audience, superando l’approccio che vede una
contrapposizione netta tra esperienza reale e mediata, perché questa forse è ancora una lettura propria dell’accademia,
piuttosto che di soggetti che vivono senza soluzione di continuità la realtà esperita direttamente e quella mediata. Lo studio
sul fandom gioca un ruolo fondamentale in questa riflessione, ribaltando la posizione di Thompson, che interpreta il
fenomeno di riferirsi ai media per la costruzione di identità in termini di carico gravoso di responsabilità, tanto più pesante
per soggetti come i fan, che Thompson colloca all’estremità di un ideale continuum nell’investimento individuale
dell’esperienza mediale. Bisogna invece rivalutare il concetto di relazionalità e l’esame attento e minuzioso delle pratiche
che la garantiscono all’interno delle comunità di audience. I fan sono infatti audience in relazione: in primis con i testi
mediali di cui si appropriano, sottraendoli tatticamente agli autori, in seguito con gli autori, con i quali lottano per
rivendicare il possesso delle rappresentazioni mediali; con gli altri fan, con i quali si accordano per la normalizzazione della
propria condizione di “senza gusto” e con i quali danno vita a comunità interpretative che legittimano il loro sentirsi parte
del fandom, la loro esperienza di essere audience. E infine con l’economia, in quanto costruiscono una propria economia,
sotterranea, clandestina, alimentata dal “lavoro nero” per la produzione di testi propri. La produttività testuale, insieme a
quella semiotica ed enunciativa soprattutto, costituiscono per Fiske le attività principali dei fan. La natura relazionale delle
audience è visibile nella natura dialogo-dipendente di questi soggetti, che vivono del piacere della condivisione di testi e
significati, come le fanzine, la filk music, i video amatoriali, quali tracce tangibili del loro lavoro intimo di ricostruzione. Una
produttività e creatività artistica che si muovono, secondo regole e canoni estetici condivisi, specularmente
all’accumulazione di capitale culturale. Tali attività dei fan, ci racconta Matt Hills, vengono oggi straordinariamente favorite
dalle nuove tecnologie. La stessa produttività enunciativa postulata da Fiske come principale fonte del piacere e possibile
solo nell’interazione faccia a faccia, trova la sua realtà aumentata nella comunicazione mediata in rete, nei forum, nelle
chat, dove parlare significa costruire comunità di immaginazione, in cui i membri risultano profondamente legati da
interessi e dall’ esperienza mediale di essere audience. Un percorso quindi che mira a rimodulare l’asse dell’attività
dell’audience, piuttosto che a stabilizzare la sua definizione di audience attiva e che riposiziona questa attività dalle pratiche
di resistenza ideologica osannate dall’accademia, alle pratiche del fandom, che solo dopo il prezioso contributo di Jenkins
hanno cominciato a ottenere il dovuto spazio e attenzione.

Capitolo 1 – Come cambiano le audience? Quali sfide per la ricerca sull’audience nell’era di internet? Sonia Livingstone

Dopo mezzo secolo di ricerca sull’audience televisiva sappiamo che non solo è il contesto sociale del fruitore a influenzare
la natura del coinvolgimento verso che ciò che viene mostrato, ma che gli utenti sono sempre più attivi e selettivi, incentrati
su loro stessi, produttori e allo stesso tempo ricettori dei testi nel modellare la propria cultura mediale. Sappiamo inoltre
come l’industria dei media plasma e costringe l’ambiente materiale e simbolico delle audience, perché la divisione tra
produttori e fruitori e lo squilibrio di potere tra loro è il soggetto fondamentale della ricerca sui media. Scelta, selezione,
gusto, fandom, intertestualità, interattività, sono solo alcuni dei termini chiave dell’audience research nell’ambiente dei
nuovi media. Dal momento che le audience lavorano per dare un senso ai contenuti mediali, prima, durante e dopo la
fruizione, sono esse stesse eterogenee nelle loro interpretazioni e spesso resistenti ad accettare i significanti dominanti. Tali
interpretazioni divergono in relazione alla condizione socio-economica, al genere, al sesso, alla provenienza etc.
Nell’ambiente dei nuovi media, le persone sono sempre più affascinate dai contenuti piuttosto che dalle forme e dai canali,
ragion per cui vediamo crescere il fenomeno del fandom, man mano che l’audience si diversifica e si frammenta,
certamente favorito dall’interconnessione tra i diversi media e la loro progressiva intertestualità. Tuttavia questo non
esclude l’importanza della forma. Negli studi sulla televisione il concetto di genere ci ha offerto una chiave di lettura
sull’interazione tra testo e lettore, sul modo in cui un lettore si orienta, genera ipotesi e si immedesima. Sul modo in cui le
convenzioni culturali danno forma alle esperienze mediali individuali e come le attività individuali creative e selettive dei
singoli autori e lettori generano o modificano le convenzioni culturali. I testi dei nuovi media ci pongono nuove sfide: sono
spesso multimodali, ipertestuali ed effimeri, fanno emergere nuovi generi. Da un punto di vista metodologico sono le tre
le sfide ad aver guidato la ricerca:

1- Il gap tra ciò che le persone dicono di fare e ciò che realmente fanno
2- La relazione tra il testo e il lettore (cioè il modo in cui un processo interpretativo si relaziona con una diversità di
media, generi e forme).
3- Il problema delle conseguenze o effetti (perché i significati ricevuti dalla televisione sono importanti nella vita
quotidiana)

Oltre a questo la ricerca sull’audience ha avuto problemi di tipo socio-demografico, circa la distribuzione delle pratiche in
diversi tipi di popolazione. Metodologicamente la ricerca sull’audience si interessa di esperienze private e dei suoi
significati piuttosto che di esperienze pubbliche di tutta la società. Nella ricerca sull’uso di internet, la pratica di fruizione è
spesso molto privata e si svolge nelle proprie camere. Questo ha reso ancora più invasiva la presenza del ricercatore, che
un tempo osservava le famiglie in sala da pranzo. L’uso di internet è spesso trasgressivo se pensiamo alla pornografia, alle
conversazioni private etc, che rendono problematiche le interviste e le osservazioni. Inoltre, la relazione interpretativa tra
testo e lettore online solleva sia problemi teorici che pratici. Non è possibile ad esempio distinguere facilmente tra canali,
forme e generi essendo pochi gli studi testuali. A ciò bisogna aggiungere che online, gli utenti sono sia produttori che
recettori di contenuti e svolgono compiti su più piattaforme e applicazioni. Infine il problema delle conseguenze-effetti. I
ricercatori si sono chiesti se l’uso di internet sia dannoso per bambini e adolescenti, se l’esposizione involontaria alla
pornografia può produrre danni a lungo termine, se giocare con videogames violenti rende i bambini più aggressivi e se
l’immersione in una cultura consumistica produca una generazione più materialista. Tutte domande alle quali, come
abbiamo imparato dalla ricerca sugli effetti della televisione, è impossibile rispondere sull’onda di una tendenza del
momento. La storia delle audience ci suggerisce che le relazioni tra ricezione e consumo sono contingenti (occasionali,
casuali). Ne consegue che l’invisibilità sia un problema nuovo (del XX secolo) che separa l’uso dei media come beni e la
ricezione dei media come testi. In passato uso e ricezione erano più connessi; il modo in cui la gente si comportava prima,
durante e dopo uno spettacolo rivelava il loro coinvolgimento simbolico, emotivo e cognitivo, ma nell’era digitale uso e
ricezione sono disconnessi e in particolare le attività interpretative, via via privatizzate e interiorizzate, sono inaccessibili
agli osservatori e generano interpretazioni pregiudiziali che risentono della classe e del genere. Tuttavia che nell’ambiente
dei nuovi media, la ricezione si può ancora estrapolare a partire dall’analisi dell’uso, perché le audience sono sollecitate e
obbligate a partecipare, cliccando sui link di un ipertesto, creando propri siti web, scrivendo in una chat. Pertanto per
quanto sia sfidante a livello metodologico scoprire cosa i partecipanti pensano e sentono nel momento di fruizione con i
nuovi media, è stimolante pensare che senza una partecipazione delle persone, né i testi né la ricezione occuperanno il
primo posto.

Capitolo 2 – Trasformazioni culturali: politiche di resistenza – David Morley

Matterlat ha evidenziato che di rado sono state studiate forme di resistenza popolare e ribellione alle culture dominanti.
Sebbene il pubblico sia stato sempre considerato consumatore passivo di contenuti, è altrettanto vero che l’audience non
deve leggere il messaggio all’interno del codice culturale di chi lo ha trasmesso. Le conseguenze di un messaggio
interpretato in modi diversi rispetto alle intenzioni di chi lo ha inviato, potrebbero essere radicali. Matterlat segnala che
qualsiasi nozione di egemonia ideologica deve essere usata con cautela, suggerendo di abbandonare l’idea che
l’imperialismo invada settori differenti della società in modo uniforme, in favore di un’analisi di un particolare ambiente che
ne favorisce o resiste la penetrazione. Tuttavia esiste una disgiunzione potenziale tra i codici dell’emittente e quelli del
ricevente del messaggio all’interno del circuito di comunicazione di massa. Il problema della non-complementarietà dei
codici è indissolubilmente legata alla questione del dominio culturale e della resistenza. In un progetto di ricerca su
Nationwide, un celebre programma di attualità trasmesso dalla BBC, è stato preso in considerazione il problema del grado
di complementarietà tra i codici del programma e i codici interpretativi delle audience appartenenti a vari gruppi socio-
culturali, con l’obiettivo di esplorare il grado di libertà della decodifica all’interno dei limiti stabiliti dal codice dominante,
nel quale il messaggio è stato inizialmente codificato. Inoltre c’è un aspetto complementare a questo problema, che
riguarda il range di strategie di decodifica e competenze dell’audience. Un’analisi dell’ideologia non può poggiare
semplicemente sullo studio del momento produttivo, né esclusivamente sul testo e il testo non può essere isolato dalle
condizioni storiche di produzione e consumo che gli appartengono. Il significato del testo deve quindi essere interpretato in
relazione ai tipi di discorsi (conoscenze, pregiudizi, resistenze) che incontra in particolari circostanze e che il lettore porta
con sé. Il fattore determinante nell’incontro tra audience e testo sarà il range di possibili discorsi di cui l’audience dispone.
Individui di diverse posizioni sociali tenderanno quindi a frequentare e disporre di diversi codici e subculture. Così facendo,
la posizione sociale fissa parametri alla gamma di letture possibili, regolando l’accesso a differenti codici. L’audience non va
considerata come una massa di individui indifferenziata, ma come composta da una serie di gruppi subculturali, i cui
membri condivideranno un orientamento culturale che li porterà a decodificare i messaggi in modo particolare. In questa
prospettiva le prime relazioni da analizzare sono quelle tra i codici culturali e linguistici e i modelli di classe, razza e sesso. Le
letture individuali dei membri saranno inquadrate da pratiche e forme culturali condivise e saranno determinate dalle
rispettive posizioni sociali. Secondo Parkin, esistono tre posizioni che colui che decodifica potrebbe occupare in relazione al
messaggio codificato:

1- Codice dominante o egemonico: coloro che decodificano riconducono il significato completamente all’interno del
framework interpretativo che il messaggio stesso propone.
2- Posizione negoziata: coloro che decodificano prendono il significato estensivamente così come è stato codificato,
ma collegando il messaggio ad un contesto concreto, situato o contingente che rispecchia i loro interessi e le loro
posizioni, per poi modificare parzialmente il significato.
3- Posizione oppositiva o contro-egemonica: coloro che decodificano riconoscono il modo in cui il messaggio è stato
contestualmente codificato, ma attivano un quadro interpretativo alternativo, al di fuori del framework dominante,
imponendo una decodifica oppositiva.
La ricerca Nationwide fu elaborata per fornire un’analisi della forma discorsiva del programma e in seguito per accertare
quali parti del programma venivano decodificate dall’audience in linea con il codice dominante, negoziato o oppositivo.
Furono mostrati a 29 gruppi, suddivisi tra le 5 e le 10 persone, di diversi contesti socio-culturali e livelli di istruzione due
filmati del programma Nationwide. Il metodo consisteva nell’accedere a una situazione in cui i gruppi già esistevano come
entità sociale. La visione delle videocassette e le successive interviste erano organizzate per inserirsi nel loro contesto,
stabilito istituzionalmente. Dopo la visione seguiva una discussione di circa 40 minuti registrata e in seguito trascritta per
fornire i dati dell’analisi. Si utilizzava il metodo dell’intervista “focalizzata”, sviluppata da Merton e Kendall (1946), con
un’iniziale incoraggiamento non direttivo, immaginato per creare una sorta di vocabolario di lavoro e per favorire un ordine
di priorità con il quale i gruppi affrontavano le questioni. Lo scopo era individuare la natura del “sistema-lessico-
referenziale” dei gruppi e di esaminare come questi sistemi si relazionassero con quelli utilizzati dai broadcasters. Le
domande furono ideate per verificare se:

- le audience usassero le stesse parole impiegate dai broadcasters nel discutere i temi del programma,
- Le audience collocassero gli argomenti nello stesso ordine di priorità proposto dal programma e
- Ci fossero argomenti non discussi dai broadcasters ma menzionati dai gruppi

La decisione di lavorare su interviste di gruppo piuttosto che individuali sono state dettate dal desiderio di esplorare la
misura in cui le letture individuali sono modellate dai gruppi socio-culturali all’interno dei quali i singoli sono posizionati. Si
è proceduto a lavorare sui dati grezzi dei discorsi invece di provare a ricondurli a categorie prestabilite e questo ha
permesso di fare focus sulla relazione tra forme di discorso tipico dell’emittente e quelle utilizzate dal ricevente. Sebbene il
progetto prendesse in considerazione le decodifiche fatte da diversi gruppi è stato scelto un campione di 3 gruppi che
condividevano un contesto ambientale simile.

1- Il primo gruppo era costituito da giovani apprendisti meccanici e metalmeccanici


2- Il secondo da gruppi di funzionari dei sindacati e di commessi di negozio
3- Il terzo da giovani studenti neri adulti

Di questi 3, il primo gruppo inglobava in modo più fedele il codice dominante del programma poiché i ragazzi usavano una
forma di discorso populista (dannati politici sono tutti uguali…). Tale situazione sembra in controtendenza con la posizione
evidenziata da Parkin poiché in questo caso abbiamo gruppi appartenenti alla classe operaia che cinicamente si dichiarano
distanti dal programma a livello generale, ma che accettano e riproducono le sue formulazioni ideologiche su specifiche
problematiche. I gruppi coinvolti nei discorsi sul sindacalismo producevano versioni differentemente modulate di decodifica
negoziata e oppositiva a seconda della loro posizione sociale, livello di istruzione e dei loro discorsi politici. C’è una
profonda differenza tra coloro che non appartenevano ad associazioni sindacali e gli attivisti dei sindacati stessi, che
producevano letture molto più negoziate ed oppositive di Nationwide. La struttura della decodifica non è riconducibile alla
posizione di classe ma è il risultato di un coinvolgimento e di un posizionamento diversi nelle formazioni discorsive. C’erano
inoltre differenze significative tra le letture completamente oppositive proposte dai commessi messe in relazione con
quelle negoziate-oppositive dei funzionari e questo a causa dell’enorme distanza che li separa dalla pressione a cui sono
sottoposti i funzionari, i quali abbracciano una versione dominante/populista del codice negoziato e sposano una posizione
labourista di destra. Sono regolari spettatori del programma e approvano sia il modo in cui il programma affronta le
questioni, sia la posizione ideologica. Ad un livello più astratto e generale, i soggetti accettano il tema individualistico del
programma e la costruzione che questi fa di una comunità nazionale indifferenziata, che vive un momento di forti criticità
economiche. Ad un livello più concreto e locale, quello delle problematiche economiche dei sindacati, i soggetti assumono
un atteggiamento più critico e i tempi specifici sono decodificati secondo un codice più oppositivo. Sono i commessi che
producono la decodifica più oppositiva del programma. Rifiutano il tentativo di costruire un “noi” nazionale. Infine, gli
studenti di colore, difficilmente hanno trovato connessioni con il programma perché non si riconoscono nel quadro
culturale proposto. Sono talmente estranei ai contenuti che non sono capaci, o rifiutano di confrontarsi con il programma,
poiché non adatto a loro, ma a loro avviso a persone più adulte, appartenenti alla borghesia e con altri interessi. Inoltre
rifiutano le descrizioni che il programma propone delle loro vite, non identificandosi in nessun discorso relativo alle famiglie
inglesi contemporanee. Il risultato fondamentale di questo progetto è che la posizione sociale non è collegata con la
decodifica direttamente e in modo aproblematico. Emerge che tutti e 3 i gruppi condividono una comune appartenenza di
classe, ma le loro decodifiche di un programma prendono direzioni diverse a partire dai discorsi e dalle istituzioni in cui
vivono. Bisogna comprendere il processo attraverso il quale la molteplicità dei discorsi in gioco in ogni formazione sociale si
interseca con il processo di decodifica del materiale dei media. L’obiettivo è conferire varietà alle decodifiche proposte da
Parkin, in ognuna delle quali si possono evidenziare sfumature. Per comprendere i significati di queste risposte abbiamo
bisogno di una mappa che mostri come i vari significati sociali di un messaggio siano prodotti attraverso l’interazione dei
codici inscritti nel testo con i codici attualizzati dai differenti segmenti dell’audience.
Capitolo 3 Momenti di televisione: né il testo, né l’audience – John Fiske

Il modello più comune di televisione e della sua audience è stato in passato descritto come un gruppo di persone adagiate
sul divano con snack alla mano di fronte all’apparecchio televisivo. Da un lato il testo proiettato sullo schermo e dall’altro
milioni di persone che guardano che rappresentano l’audience. Molte teorie si sono quindi basate su questo modello che
Fiske invece vuole scardinare completamente in quanto produce una categorizzazione semplicistica degli spettatori
nell’audience e dello schermo nel testo. Secondo Fiske l’audience non è riconducibile ad una categoria sociale come la
classe, la razza o il genere. Ciascuno scivola continuamente dentro e fuori di essa e questo non permette qualunque
tentativo di definirne i confini. Allo stesso modo, quando ne fanno parte, le persone tendono a costituirsi come audience in
modi e momenti differenti. Analogamente, il programma televisivo non è un tutto omogeneo, organico, finito e concluso
che trasmette lo stesso messaggio nello stesso modo a tutte le audience. Ciò che l’apparecchio trasmette sono una
moltitudine di significanti audio-visivi che potenzialmente attivano significati e piaceri. Questa potenzialità è la sua
testualità e viene attualizzata diversamente nella varietà dei momenti di visione. La testualità si realizza nella creazione di
senso e nella produzione di piacere e centrale in questo processo è l’innegabile intertestualità della nostra cultura. Tutto
questo si manifesta solo quando le persone portano le proprie differenti storie all’interno del processo di visione. Né testo,
né audience dunque, ma solo processi di visione, ovvero varietà di attività culturali che avvengono davanti allo schermo .
Guardare la televisione è un processo di costruzione di significati e piaceri determinato da 2 set di forze parallele e
interdipendenti. Le persone creano la propria cultura anche se all’interno di condizioni che non dipendono direttamente da
loro. Le 2 forze che intervengono nella determinazione sono:

1- Il sociale, che agisce sulla soggettività dello spettatore


2- Il testuale, che agisce sulla testualità della televisione

E la loro corrispondenza è così stretta che i 2 aspetti si fondono ad ogni punto di contatto. Gli spettatori che abitano questo
spazio determinato sono soggetti creati dalle società tardo capitalistiche caratterizzate dall’eterogeneità. Fiske utilizza la
metafora spaziale della soggettività nomade per affermare che qualunque spettatore forma un certo numero di alleanze
mutevoli all’interno di questa eterogeneità, perciò può essere in diversi momenti un soggetto che guarda ( viewing subject),
costituito socialmente, che può occupare spazi differenti all’interno di un territorio determinato e generare alleanze sociali
a seconda dei diversi momenti di visione, adatte allo specifico momento di costruzione del significato e di raggiungimento
del piacere dell’esperienza televisiva. Dunque l’esperienza sociale è come un testo: può essere significativa solo quando un
soggetto sociale porta le proprie competenze discorsive a relazionarsi con essa. L’esperienza sociale è come
l’intertestualità: è un potenziale di interconnessioni tra elementi che può combinarsi in innumerevoli modi. Il senso che
traiamo dalle nostre relazioni sociali è in parte sotto il nostro controllo e trarre senso dall’esperienza sociale,
necessariamente implica il dare senso a noi stessi all’interno di quella esperienza. Trarre significato dall’esperienza sociale è
un processo quasi identico al trarre significato da un testo. Ciò che la televisione trasmette non sono programma ma
un’esperienza semiotica caratterizzata dall’apertura e dalla polisemia. La televisione non è una scatola chiusa di significati
preconfezionati o un kit di significati fai da te. Piuttosto offre la libertà e il potere di evadere, modificare o sfidare limitazioni
e controlli. Tutti i testi sono polisemici ma la polisemia è un tratto caratterizzante la testualità televisiva.

Continua da pag 31 di audience reader.


Capitolo 4

Capitolo 6 Audience diffusa tra spettacolo, narcisismo, immaginazione collettiva di Nick Abercrombie e Brian Longhurst.

Spettacolo

Il mondo oggigiorno viene trattato sempre di più come qualcosa a cui si assiste (Chaney, 1993). Il mondo quindi si
costituisce come un evento, come una performance; gli oggetti e le persone che fanno parte del mondo sono fatti per
mettere in scena performance per coloro che li guardano o osservano intensamente. A partire dal XVII secolo fino alla metà
del XIX, nella letteratura della storia della percezione del paesaggio in Europa, possiamo rintracciare questo fenomeno. Il
paesaggio non è più un oggetto neutro della natura, ma piuttosto uno spettacolo o un evento. Leggere il paesaggio come
plasmato, percepito e rappresentato in termini di spettacolo è un esempio specifico di una più generale riflessione sul fatto
che il mondo viene trattato come una composizione di oggetti e di eventi.

Urry (1990) ad esempio, intende il turismo moderno come uno spettacolo da guardare, inclusivo e di vario genere. Questa
attenzione allo spettacolo è ben esemplificata nel fare fotografie, una pratica esclusivamente caratteristica del turismo
moderno. Grazie alla macchina fotografica i turisti considerano tutto ciò che li circonda come una serie di spettacoli. La vita
contemporanea è una questione di spettacolo e lo scopo della vita moderna è quello di vedere e essere visti, obiettivo che
è arrivato a dominare le attività ricreative di tutti i tipi, anche il lavoro e la vita domestica. Rimane da chiedersi fino a che
punto la costruzione del mondo come spettacolo sia moderna. Lo sguardo spettacolare non è più circoscritto a particolari
eventi, ma diventa un aspetto pervasivo della vita quotidiana. Ciò vuol dire saper riconoscere, tra le altre cose, l’importante
ruolo della mercificazione nella creazione di una società spettacolare.

Debord (1994), identifica un secondo aspetto che rende le società moderne spettacolari. La società contemporanea
trasforma il mondo in spettacolo, perché organizzata secondo regole del capitalismo, che ha mercificato qualunque cosa e
ha colonizzato oltremodo la vita quotidiana.

Clark (1984) puntualizza che questa colonizzazione punta a una massiccia estensione interna del mercato capitalistico,
l’invasione della vita privata, dello svago e dell’espressione personale. La società contemporanea è una società
consumistica. Si potrebbe descrivere lo sguardo delle moderne società come uno sguardo possessivo, che afferra e registra
tutto interiormente, che ingloba il mondo dello spettacolo; se si vuole comprendere come funziona la società spettacolare,
bisogna capire come funzionano le forme di possesso e di proprietà e come queste debbano dipendere da una
comprensione dei meccanismi di produzione capitalistici. Debord (1994): gli oggetti e gli eventi del mondo acquistano una
specie di vita conferita loro dalla possibilità del possesso. Nelle società capitalistiche si era verificata una trasformazione
nell’esperienza umana, dall’essere all’avere, nelle società tardo-capitalistiche avere è diventato apparire. La trasformazione
del mondo in un apparato di immagini resta intimamente collegata allo sviluppo della forma merce. Sempre Debord
sottolinea che la natura della società spettacolare viene trasformata nel momento in cui si sviluppa il capitalismo. Due stadi:
nella prima fase lo spettacolo è concentrato, quando la forma merce diventa ancora più estesa, lo spettacolo diventa
diffuso. Ovunque e frammentato, lo spettacolo si diffonde in ogni luogo e inserito nella vita quotidiana, proprio come
l’audience diffusa. Il processo dello spettacolo è strettamente connesso ad un altro processo considerato caratteristico
delle società moderne, ovvero il processo di estetizzazione della vita quotidiana. In primo luogo, le società moderne sono
dominate dallo stile, la preoccupazione maggiore riguarda l’apparenza delle cose e la loro coerenza stilistica con le altre.
Questa preoccupazione estetica è ovunque. Per assecondarla, le merci devono possedere un’elevata componente di
design. Così come la vita di tutti i giorni diviene più estetizzata, allo stesso modo l’arte diviene sempre più simile alla vita
quotidiana. In questo senso, anche l’arte e la vita di tutti i giorni si avvicinano l’una all’altra. Featherstone (1991) evidenza
tre sensi di questo meccanismo: in primo luogo il confine tra cultura alta e cultura popolare potrebbe divenire labile,
attraverso la perdita dell’aurea conferita all’arte. L’arte può essere scoperta nelle pratiche e nella cultura della vita
ordinaria. In secondo luogo va considerato l’assunto per cui l’arte può essere ovunque ovvero qualunque cosa. Infine, la
vita può essere trasformata in un’opera d’arte; l’idea è che attraverso gli abiti, le opinioni, l’arredamento, i gusti e il
comportamento, l’artista dimostra una sensibilità estetica coerente e consistente. Baudrillard sostiene che le immagini
finiscono con l’avere una vita propria, indipendente dagli oggetti dei quali sono immagini; il consumatore è bombardato da
rappresentazioni private. La proliferazione di immagini assume molte e svariate forme, in questo processo i media giocano
un ruolo cruciale se non addirittura il ruolo cruciale. In sintesi, l’estetizzazione della vita quotidiana incoraggia l’uso diffuso
dello spettacolo; scopo della rappresentazione è calamitare l’attenzione. Più il mondo diventa estetizzato, più diventa
impregnato di immagini, più diventa un oggetto culturale e più diventerà qualcosa che invita ad essere guardato.

Narcisismo

Lo spettacolo non riesce a creare audience diffusa senza lo sviluppo simultaneo della società narcisista. Quest’ultima
include l’idea che le persone si comportino come se fossero guardate. Il valore utilizzato per sostenere e chiarire il concetto
di audience diffusa si basa sull’immagine dello specchio, implicita dell’innamoramento di Narciso per il suo riflesso. Questa
condizione consiste fondamentalmente in un’incapacità di distinguere il sé dal mondo; il sé, nella società moderna è “senza
confini”. Sia Lasch sia Sennet scavano nella letteratura psicoanalitica, la loro immagine del narcisismo è piuttosto una
deviazione patologica, una distorsione del sé. Il narcisismo dovrebbe essere visto più come una condizione culturale, molto
diffusa, piuttosto che un disturbo della personalità. In secondo luogo entrambi osservano che il narcisismo non dovrebbe
essere confuso con l’amore per se stesso. È altrettanto probabile che si manifesti come odio per se stesso. Importante è
che il sé è centrale ed è centrale per un’audience – audience diffusa – reale o immaginata. Nessun confine tra il sé e il
mondo delle persone e perciò quello che resta al di fuori del sé è meramente un riflesso del sé. Altra considerazione è il
fatto che il sé sia centrale, non significa che tutto il resto venga cancellato. Al contrario, viene richiesta un’audience attiva
composta dagli altri sé individuali, sebbene sia un’audience il cui scopo è quello di riflettere la centralità del sé. Un altro
aspetto riguarda la connessione tra il narcisismo e la performance. Il narcisismo coinvolge una performance immaginata di
fronte agli altri, che costituiscono un’audience focalizzata sul sé narcisista. Nelle arti performative, la distanza tra gli attori e
le audience si sta assottigliando sempre di più, con il risultato che l’audience è condotta sempre più all’interno della
performance. Le società moderne hanno un senso del sé come attore. Una performance adeguata richiede attenzione per
l’aspetto esteriore e il management dell’apparenza; richiede un interesse dedicato ai vestiti, profumi, acconciatura. È
l’immagine che conta! Il narcisismo non può essere trattato come un fenomeno isolato, strettamente connesso con ciò che
è stato chiamato progetto del sé. Quest’ultimo è una categoria più generale rispetto al narcisismo. L’essenza del progetto
del sé poggia sull’idea della riflessività; Giddens sostiene che questa riflessività sia una condizione della modernità che
definisce l’azione umana. La riflessività della vita sociale moderna consiste nel fatto che le pratiche sociali vengono
costantemente esaminate e riformate alla luce dei nuovi dati acquisiti in merito a queste stesse pratiche. Il progetto
riflessivo del sé viene definito come il processo in cui l’identità è costituita dall’ordine riflessivo delle narrazioni del sé.
Giddens è chiaro sul fatto che parte della costruzione dell’identità personale si basa sulla messa in ordine sistematica del
corpo; più in generale possiamo affermare che la riflessività e il nostro senso più specifico del concetto di narcisismo sono
molto collegati tra loro. Le persone mettono in atto performance per un’audience immaginata, per rendere il mondo
sociale uno spettacolo, le persone devono essere viste come oggetti di spettacolo. Quest’ultimo e il narcisismo sono
realmente i due lati della stessa medaglia; sono le conseguenze della diffusione della performance al di fuori dei suoi ambiti
originariamente relativamente ristretti.

Immaginazione

Un mondo di spettacolo, narcisismo e performance richiede il potere dell’immaginazione. L’audience diffusa richiede una
mole considerevole di risorse immaginative. La simple audience e la mass audience richiedono alle persone di usare la loro
immaginazione; l’audience diffusa va oltre questo processo esercitare la loro immaginazione più a fondo. Una
considerazione che Campbell fa nel suo libro The romantic ethic and the spirit of modern consumerism è quella di spiegare il
carattere particolare della società consumistica contemporanea. Per Campbell, le persone nelle moderne società possono
regolare con successo la natura e l’intensità dell’esperienza emozionale, tramite l’uso competente della facoltà
dell’immaginazione. È molto più facile immaginare stati emozionali e raggiungere il piacere. Il sogno ad occhi aperti
rappresenta una speculazione su quello che il futuro può riservare, ma è una speculazione piacevole, separata dalla
fantasia perché contiene elementi possibili e realistici. Gli individui moderni possono sognare un evento futuro, magari un
matrimonio, nel quale i loro vestiti nuovi sono perfetti. Contrariamente a Campbell, le fantasie e i sogni ad occhi aperti non
sono facilmente separabili ma sono collocati agli estremi opposti di attività immaginative. La maggior parte dei sogni ad
occhi aperti delle persone consiste in una commistione di fantasia e realtà; altra distinzione è quella tra la fantasia e i sogni
ad occhi aperti da un lato, e le trasformazioni del sé che ne possono derivare dall’altro. L’importanza dell’immaginazione e
del sognare risiede, per Campbell, nella loro relazione con aspirazioni, desideri e, in definitiva, con il consumo. Il sognare ad
occhi aperti porta a desiderare, cosa che, a sua volta, si conclude con un atto di consumo; questa connessione è però
instabile a dispetto della possibilità di realizzare sogni, la maggior parte di essi non può essere realizzata compiutamente, il
che conduce a un altro momento di sogno e al consumo immediatamente successivo. Se l’immaginazione è un’abilità
generale degli esseri umani, il sogno ad occhi aperti è, quindi, una specifica forma moderna di essa. Le connessioni tra
immaginazione, sogno ad occhi aperti, narcisismo e performance sono illustrate nella relazione di Ewen (1988) sulle
attitudini dei suoi studenti in relazione allo stile, ricavate dall’aver chiesto loro di scrivere un saggio su «cosa vuol dire lo
stile per me». A livello generale hanno accostato lo stile ai vestiti, gusto e opinioni, come forma di espressione. L’adozione
di uno stile costituisce una serie di performance.

I media e l’immaginazione

Le performance quotidiane che costituiscono una società spettacolare e narcisistica sono organizzate frequentemente
intorno alle immagini che provengono dai media sullo stile, la personalità, l’abbigliamento. La società estetizzata è in parte
una società impregnata di media e questi ultimi hanno costruito il proprio percorso all’interno della vita quotidiana a un
livello senza precedenti. Le persone usano nella vita quotidiana quello che i media forniscono loro. Appadurai (1993): la
parola mediascape richiama non soltanto il senso di onnipresenza, ma anche l’idea che le persone siano immerse nei
media. Il punto di partenza di Appadurai è il ruolo dell’immaginazione. I mediascape forniscono alla popolazione mondiale
repertori ampi e complessi di immagini e racconti, da questi elementi le audience costruiscono trame di vita immaginarie,
proprie o di altri in posto lontani la distinzione tra realtà e finzione diviene così opaca. Si potrebbe notare che, per varie
ragioni, i mass media moderni possono fornire, in maniera più efficace, all’immaginazione materiale grezzo rispetto alle
forme comunicative tipiche della simple audience, quali ad esempio il teatro. Horton e Wohl ( 1956) parlano di un nuovo
tipo di relazione chiamata para-sociale, nella quale si instaura un legame d’intimità tra medium e performer e inoltre tra il
medium e i membri dell’audience. All’interno dei mediascape molti elementi sono trascurati o abbandonati, non tutti gli
articoli vengono recepiti come carburante per l’immaginazione. Hermes (1995), non tutti i prodotti mediali acquistano
significato per l’audience. Queste dunque sono impegnate ad estrapolare dalla corrente infinita dei media, serie di elementi
diversi, a partire dai quali costruire mondi immaginari che le soddisfano. L’uso di particolari risorse mediali per
l’immaginazione non è un processo casuale, le persone costruiranno mondi immaginari particolari basandosi comunque su
esperienze precedenti e sulle loro vite effettive. I media possono alimentare l’immaginazione in modi diversi a differenti
livelli. Il cinema offre una riserva di sogni ad occhi aperti pronti per l’uso, l’esperienza cinematografica è descritta come
fuga. Forse, le soluzioni narrative dei film potrebbero persino aiutare i membri dell’audience a risolvere i conflitti delle loro
vite. L’uso delle parola fuga rimane però fuorviante, per essere precisi i media non forniscono tanto le risorse per fuggire
dal mondo terreno, quanto piuttosto alcuni dei materiali per abitarlo. La televisione assorbe molto più tempo di tutte le
altre attività di svago, ed è destinata ad essere un’importante risorsa per i sogni ad occhi aperti. Paradossalmente, mentre il
cinema, la pubblicità e le riviste forniscono potenti immagini visuali, molto più piacevoli e rilevanti per le audience, la
televisione dipende dal discorso per raggiungere i suoi effetti. Come medium consiste in un discorso illustrato visivamente.
Essendo concepita per l’ambiente domestico, la televisione si rivolge in modo diretto alle audience; la televisione
promuove la parola. I discorsi televisivi possono avere forme diverse poiché possono realizzarsi tra persone diverse e in
ambienti diversi. Liebes e Katz (1993) distinguono le forme referenziali da quelle critiche; per quanto riguarda le prime la
televisione rimanda alla vita quotidiana che può entrare in conflito con quella critica. Il discorso critico verterà su come è
prodotto il programma, sulla recitazione ecc ecc. Nei discorsi referenziali le audience usano la televisione come risorsa
immaginativa. Le audience usano le loro esperienze per illuminare il loro guardare e parlare della tv, ma anche in modo
opposto, usano le situazioni e le scelte intuitive apprese in TV nella loro vita quotidiana. I media forniscono una risorsa per
vedere il mondo in modo spettacolare; creano il mondo come spettacolo. Il circuito spettacolo-narcisismo è una sala di
specchi che presume una performance riflessiva. Alcuni teorici sostengono che le società contemporanee sono così sature
dei media che diventa impossibile vedere il mondo esterno, se non attraverso il filtro dei media. In realtà, la prova del
modo in cui le audience inquadrano i programmi televisivi indica che le persone gestiscono molto facilmente le transizioni
dalla realtà della televisione alla realtà della vita quotidiana.

L’audience come comunità

Tutti i soggetti sono membri di un’audience per le performance degli altri, la relazione tra i membri dell’audience ha
sempre più importanza. Nei sogni ad occhi aperti c’è la presenza di altri che però sono significativi; per concettualizzare la
relazione tra le persone che formano parte di questa presenza immaginaria è descriverle come una comunità. L’audience
diffusa diventa una comunità immaginata. Questa espressione è stata coniata da Anderson (1991) interessato alla natura
dello stato-nazione e al fatto che questo potesse essere definito comunità, anche se immaginata. Il senso di comunità
all’interno della nazione non si fonda sulle relazioni personali come una normale comunità. Uno dei meriti della
formulazione di Anderson è che l’idea di comunità non è più localizzata spazialmente. L’idea di Cohen (1985) è molto simile,
la comunità deve essere considerata di appartenenza, essa è una categoria di significato o meglio ancora una categoria di
immaginazione. Il significato delle comunità è racchiuso in quello che le persone pensano delle loro relazioni con altri; un
punto critico rispetto a questo processo di immaginazione è l’idea di confine tra una comunità immaginata e un’altra.
«Comunità» è essenzialmente un concetto relazionale, la sensazione di appartenenza è costruita tanto dalla non
appartenenza a qualche entità immaginata, quanto appartenendo proprio a una di queste. I confini possono essere fisici o
legali ma probabilmente sono simbolici, determinati dai significati che le persone conferiscono ai percorsi di interazione
sociale che intraprendono. Per Anderson e Cohen la comunità immaginata ha alcuni luoghi spaziali e temporali. I membri
della comunità sono organizzati in modo spaziale (nazione, luogo) e sono considerati ampiamente coesistenti. L’audience
diffusa, intesa come comunità immaginata viene liberata dalle restrizioni di spazio e tempo; i membri dell’audience diffusa
possono essere immaginati in ogni momento temporale, ma soprattutto in ogni luogo spaziale. La comunità immaginata
come audience diffusa non è un fenomeno unitario; il modo migliore per concepire la struttura della comunità è pensarla
come una serie di anelli concentrici intorno all’individuo, che si estendono nello spazio e nel tempo. Schütz sottolinea che il
centro del mondo vitale di ciascuno è l’individuo, al di fuori di questa area c’è il mondo dei contemporanei, che
condividono una collocazione temporale ma, non necessariamente, spaziale e che non sono esperiti immediatamente. Per
collegare l’idea di una comunità immaginata al processo attraverso il quale le persone utilizzano i media per dare senso al
mondo, è concepire la zona intima di Schütz come una comunità discorsiva.

PostScript: le competenze mediali Le società moderne danno così tanto per scontato i media che è facile dimenticare che la
loro appropriazione includa l’acquisizione di vari tipi di abilità. Ad esempio, l’impiego di una così ampia teoria del film, si
concretizza perché in realtà il film è molto più complesso di quello che sembra; la questione elementare da punto di vista
dell’inquadratura. Questa si alterna dal punto di vista di una persona a un altro  l’audience dà un senso a tutto questo.
Devono esserci abilità tecniche, per la televisione riguardano la recitazione e la produzione di valori, e nel momento in cui
le audience rivelano queste abilità durante le conversazioni su un programma televisivo stanno utilizzando un codice
critico. Esistono poi le abilità analitiche che equivalgono all’analisi del testo televisivo dall’interno ed includono le
conoscenze di genere. I discorsi delle audience che usano queste abilità saranno prevalentemente critici, ma potrebbero
anche utilizzare codifiche referenziali. Abbiamo anche abilità interpretative che includono l’interpretazione dei testi
televisivi a partire da dove il testo non c’è. I discorsi dell’audience, sono prevalentemente referenziali.

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

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