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Federico Fellini (Rimini, 

20 gennaio 1920 – Roma, 31 ottobre 1993)

È uno dei maggiori registi della storia del cinema, che nell'arco di quarant'anni - da Luci del varietà del 1950 a La voce
della Luna del 1990 - ha "ritratto" una piccola folla di personaggi memorabili. Si definiva "un artigiano che non ha niente
da dire, ma sa come dirlo". Grazie a Rossellini collabora alle sceneggiature di Roma città aperta e Paisà, film che aprono,
assieme alle opere di De Sica e Visconti, la stagione del Neorealismo. In Paisà Fellini ricopre anche il ruolo di assistente
sul set.

Lo sceicco bianco è il suo primo film ed è del 1952. Un film delizioso con Alberto Sordi. Una coppia di sposini siciliani
viene a Roma in viaggio di nozze. Lei è invasata di un divo dei fotoromanzi. Lui conta di fare una buona impressione allo
zio, grazie alla cui influenza spera di fare carriera; a questo scopo ha organizzato una serie di visite, fra cui un'udienza
papale. Wanda invece, spera che a Roma potrà fare la conoscenza con l'eroe del suo fotoromanzo preferito, lo "sceicco
bianco". Sistemati in albergo, Wanda si allontana di nascosto verso la casa di produzione. Lì viene ricevuta dalla
soggettista, che le dà indicazioni su come seguire la compagnia per le riprese: senza pensarci troppo Wanda accetta e
segue il gruppo. Sul posto incontra finalmente l'attore Fernando Rivoli, lo "sceicco", che accetta di conoscerla e le
propone una gita in barca. Si allontana con lei dalla riva, ma la donna, pur infatuata, è troppo ligia ai suoi principi. Anche
il mito dello "sceicco" crolla bruscamente, quando Wanda scopre che Fernando è sposato, e al ritorno sul luogo delle
riprese assiste a una scenata di gelosia fra lui e la moglie. Nel frattempo Ivan, all'oscuro di tutto, si preoccupa di evitare
uno scandalo con la famiglia: riesce a convincerli che Wanda è ammalata e si allontana con loro.

La sera, avendo trovato una lettera che lo "sceicco" aveva inviato a Wanda, Ivan capisce che la moglie si è allontanata
per lui e teme una fuga, che lo screditerebbe. Ivan si reca perciò al commissariato e accetta di fornire le generalità della
scomparsa; poi, girovagando di notte disperato, incontra due simpatiche prostitute, la romana Cabiria e la veneta
Assunta, con cui si intrattiene innocentemente. L'indomani si ripresenta il problema di giustificare l'assenza, che è anzi
reso più grave dal fatto che lo zio è riuscito a rinviare l'udienza papale, ma si aspetta finalmente di conoscere la nipote;
in precedenza questa, aveva ingenuamente tentato il suicidio gettandosi nel Tevere e, notata da un "fiumarolo", aveva
passato la notte in ospedale. Ivan, grazie a una segnalazione della polizia, riesce a raggiungere l'ospedale: le spiegazioni
sono rimandate a dopo, in quanto la prima cosa da fare è raggiungere gli zii per l'udienza papale. Wanda è disperata e
non sa se è ancora degna del perdono di Ivan: ma i due sembrano riconciliati. Un elemento è la critica della cultura di
massa impersonata dal fotoromanzo che rendeva gli ignoranti ancora più ignoranti. Lo vediamo nella volgarità del divo.
Fellini nel corso dei decenni porterà avanti questa critica. Negli anni ‘70 farà una critica serrata a Berlusconi perché
aveva introdotto le televisioni private. Ripresa dal basso, riprende la botticella di Paisà. Già in questo film abbiamo tutto
Fellini. 

Le notti di Cabiria è un film del 1957, uno dei migliori della collaborazione tra Fellini e la moglie Giulietta Masina, e
ottenne, tra gli altri riconoscimenti, l'Oscar al miglior film straniero nel 1958. ll nome "Cabiria" viene dall'omonimo
colossal italiano del 1914 di Giovanni Pastrone, a sua volta tratto da un romanzo di Emilio Salgari, Cartagine in fiamme.

Trama: Maria Ceccarelli è una prostituta di Acilia che si fa chiamare "Cabiria". Un giorno, mentre passeggia con il suo
compagno Giorgio, viene da lui gettata nel fiume per rubarle la borsetta. Salvata, torna a casa, ancora incredula e una
collega, Wanda, le apre gli occhi sulla sua relazione, portandola a distruggere tutte le cose dell'uomo. Il giorno seguente
le sue colleghe decidono di andare al santuario della Madonna del Divino Amore. Qui Cabiria si lascia trasportare dalla
devozione dei fedeli e chiede la grazia di poter cambiare vita. Tuttavia non succede niente. Più tardi va a uno spettacolo
di varietà, dove un illusionista la chiama sul palco assieme ad altri giovani. Cabiria è portata a credere di essere a un
appuntamento con un uomo invisibile, "Oscar". Alla fine dell'incantesimo Cabiria si risveglia delusa. Tuttavia all'uscita
viene fermata da un uomo, essendo lì per caso e chiamandosi proprio Oscar. Sebbene Cabiria sia scettica, i due iniziano
a frequentarsi e lei inizia a fantasticare sulla svolta nella sua vita. Lui le chiede di sposarla, lei accetta, vende la sua
casetta, ritira i suoi risparmi e va in gita sul Lago di Albano col futuro sposo. Quel giorno però lui è distante: la donna
capisce che si tratta di una truffa, e che come accaduto col suo ultimo amore lui vorrebbe spingerla giù dalla scogliera.
Gli consegna dunque la borsetta, chiedendogli però di ucciderla. L'uomo scappa e lei si ritrova sola. Si avvia verso la
strada, dove viene circondata da un gruppo di allegri festaioli, che riescono a farla sorridere.

Fellini scelse di salvare la ragazza, mentre Pasolini, con il quale si era consultato, voleva ucciderla. Questo perché
vuole sottolineare la speranza che si legge nel suo famoso primo piano dove lei piange e sorride. Uno dei più bei primi
piani degli anni 50.
La strada è un film del 1954 che diede notorietà internazionale al regista, nel 1957 vinse l'Oscar al miglior film in lingua
straniera.

Trama: Gelsomina (Magnani) è una ragazza fragile e ingenua che vive in condizioni di estrema povertà. Un giorno in
paese arriva Zampanò, un rozzo saltimbanco che per guadagnarsi da vivere porta in giro i suoi spettacoli. L'uomo aveva
già preso con sé Rosa, sorella di Gelsomina che però era morta; su richiesta dell'uomo la madre vende anche la seconda
figlia per guadagnare una minima somma di denaro. Gelsomina segue così Zampanò, che le insegna a suonare
la tromba. Spesso l'uomo la lascia per andare a sperperare in vino e donne i pochi soldi guadagnati, e altrettanto spesso
lei scappa, finendo per tornare sempre da lui. Gelsomina incontra un giovane acrobata, definito il "Matto", dal carattere
più sereno di quello di Zampanò.

I tre finiscono per lavorare insieme, dove il Matto inizia a prendere bonariamente in giro Zampanò: questo dà il via a una
rissa, in seguito alla quale Zampanò viene messo in carcere. Gelsomina avrebbe l'opportunità di lasciare il suo padrone
ma si trova dilaniata dal dubbio di non contare nulla; il Matto le insegna allora che tutte le cose di questo mondo hanno
una loro importanza e la persuade a tornare da Zampanò per tentare di intenerire il suo carattere burbero. Zampanò
viene rilasciato e i due ripartono, trovandosi in un convento dove le suore si rendono conto degli abusi che l'uomo
esercita sulla ragazza; le propongono di rimanere con loro ma lei rifiuta nuovamente. Qualche giorno dopo, i due
rincontrano il Matto, e Zampanò, ancora furioso lo colpisce con diversi pugni e lo ammazza. Il saltimbanco è costretto a
gettare il corpo da un ponte sotto gli occhi sconvolti di Gelsomina; lei non vuole che lui le si avvicini, e nei brevi sprazzi di
lucidità racconta al suo padrone come gli sia rimasta accanto grazie all'intercessione del Matto. Zampanò decide di
abbandonarla lungo una strada deserta per continuare da solo a vagabondare. Molti anni dopo Zampanò si è unito a un
altro circo. Mentre è in pausa in una città, sente una ragazza canticchiare la canzone di Gelsomina: scopre così che la
ragazza era arrivata in quella città, e nei rari momenti di lucidità suonava la canzone; successivamente era morta.
Sconvolto dalla notizia, Zampanò si ubriaca e provoca un'altra rissa coi nuovi colleghi, che lo scacciano.

Nel finale vediamo Zampanò angosciato e distrutto. È in riva al mare, in abito da sera, entra in acqua, si bagna. È
molto tormentato e alla fine scoppia in un pianto disperato stringendo i pugni nella sabbia, perché ha perso l’unica
persona che poteva recepire quello che c’era dentro di lui.

La dolce vita è un film del 1960, Considerato uno dei capolavori di Fellini e tra i più celebri della storia del cinema.
Marcello è un giornalista che scrive per un rotocalco articoli mondani, in cui figurano persone ed eventi noti
nell'ambiente di Via Veneto. L'attività professionale lo ha portato ad adottare un sistema di vita molto simile a quello dei
suoi personaggi. Così egli passa con indifferenza da una relazione all'altra mentre convive con Emma. L'arrivo di Sylvie,
celebre attrice americana (Anita Ekberg), gli fornisce occasione di nuove esperienze sentimentali. Per dovere
professionale Marcello si occupa di una falsa apparizione della Madonna, inventata da due bambini dietro istigazione
dei genitori. Partecipa ad una festa organizzata da alcuni membri della nobiltà che gli dà modo di accertare il basso
livello morale di quell'ambiente. Marcello è amico di Steiner, un intellettuale che riunisce nel suo salotto artisti e
letterati. La felice vita familiare dell'amico lo impressiona al punto che accarezza l'idea di sposare Emma. Ma qualche
tempo dopo apprende che Steiner si è ucciso, dopo aver soppresso i suoi due bambini. Per superare l'orrore Marcello, si
getta, senza alcun ritegno, nel turbine della vita mondana. Dopo un'orgia, che ha lasciato in tutti tedio e disgusto,
Marcello incontra per caso sulla spiaggia una giovinetta dallo sguardo innocente, e cerca invano di capire quanto ella gli
dice; un canale li divide, perciò segue i suoi squallidi amici.

La seconda metà dell’attività di Fellini non è importante come la prima. Alcuni film sono davvero poco ispirati. 
 8 e mezzo è una vetta insuperata e insuperabile del 1963. È un film che segna il passaggio dal fuori (Italietta
degli anni 50) al dentro, parlando di come un artista vede quella realtà italiana. Parla della crisi di un regista
(Mastroianni). Rappresentava la sua realtà, il Fellini bloccato.
 In Giulietta degli spiriti del 1965 descrive la crisi della moglie del regista (ed è effettivamente sua moglie,
Giulietta Masina). C’è anche l’amante (che era l’amante quasi ufficiale di Fellini, Sandra Milo). È una situazione molto
interessante. Giulietta crede nei medium (da qui il titolo del film) e pensa di risolvere i suoi problemi in questo modo.
Fellini invece era Junghiano. È il primo film a colori di Fellini. I film che seguono sono spettacolari, grandi produzioni.
 Abbiamo ad esempio Satyricon del 1969. Descrive la Roma della decadenza latina con riferimento alla Roma
attuale. Ci sono tutte le manie e le fissazioni di Fellini in questo incrocio tra passato e presente.
 Abbiamo poi Roma del 1972, un ritratto brioso e visionario di Roma, attraverso i ricordi di un giovane
provinciale che arriva in città poco prima della seconda guerra mondiale, proprio come Fellini, ed è ricostruita la Roma
degli anni Trenta in modo straordinario.
Roma come realtà composita, inesauribile e contraddittoria, qui rappresentata mediante una serie di quadri e
personaggi eterogenei, dal défilé di abiti ecclesiastici alla ricostruzione delle case chiuse, dagli scontri con la polizia
all'ingorgo notturno sul Grande Raccordo Anulare; mentre lo stile passa dal lirismo alla satira, senza soluzione di
continuità. Roma come un Inferno che però ci è caro. Scena in cui un'archeologa si dispera su un affresco che sparisce,
lasciando solo la pietra. Il film è molto affascinante.
 Amarcord del 1973 (significa “io mi ricordo” in romagnolo, è diventato un neologismo della lingua italiana, con il
significato di rievocazione in chiave nostalgica). Scritto con Tonino Guerra. Ricostruzione molto pittoresca (ricordiamo
che i film sono a colori). La vicenda narra la vita nell'antico borgo di Rimini, nei primi anni Trenta. Un anno esatto di
storia, dove si assiste ai miti, ai valori e al quotidiano attraverso gli abitanti della provinciale cittadina: la provocante
parrucchiera Gradisca, la lussuriosa Volpina, una tabaccaia formosa, un ampolloso avvocato dalla facile retorica, il matto
Giudizio e un motociclista esibizionista. Tutti interagiscono col folklore delle feste paesane, le adunate del "sabato
fascista", attendono al chiaro di luna il passaggio del transatlantico Rex e la famosa gara automobilistica delle Mille
Miglia. Ma i veri protagonisti sono i sogni ad occhi aperti dei giovani del paese, presi da una prepotente esplosione
sessuale. Tra questi emerge Titta, che cresce subendo condizionamenti sia fuori che dentro le mura domestiche. La sua
famiglia è composta dal padre Aurelio, perennemente in discordia con la moglie Miranda, lo zio Lallo, che vegeta alle
spalle dei parenti, lo zio Teo, ricoverato in manicomio e il nonno che scoppia di salute e non si fa mancare delle libertà
con la domestica.
 Il Casanova del 1976 invece è un film strano. Casanova era un don Giovanni. Fellini ne ricostruisce la vita. Il film
è molto freddo. Il prof lo definisce “film della morte”, riprendendo le critiche che erano state mosse sia a D’Annunzio
che a Visconti. Ci descrive un aspetto della vita di Casanova quando lui è prossimo alla morte e ricorda il suo passato e
tutti i rapporti d’amore che aveva avuto. Ma il rapporto che lui ricorda è con un automa (un robot femmina) e la scena
del loro rapporto sessuale è molto bella secondo il prof. Il rapporto è molto appagante per Casanova perché ormai nella
sua personalità è subentrata la freddezza, l’impossibilità di avere un rapporto umano. Alla fine della sua vita si rende
conto di essere stato sempre solo. Il film termina con gli occhi di Casanova e il suo ansimo, quasi un ricordo di quello che
si esprime durante il rapporto sessuale. È però il respiro di un uomo che respira a fatica. Abbiamo i suoi occhi e poi
Venezia. Sulla piazzetta si vede una scena di lui che balla con l’automa (un ricordo). 
 Prova d’orchestra del 1978 è un piccolo film brillantissimo. Un’orchestra lavora in una sala. Ogni orchestrale
parla del proprio strumento. Ognuno degli strumenti ha una sua personalità psicologica. I musicisti però si azzuffano
perché ognuno vuole primeggiare, finché non arriva il direttore d’orchestra che capiamo dall’accento essere tedesco.
Sale sul podio. Fuori c’è una palla d’acciaio che sta per demolire tutto. Il direttore con la bacchetta impone il silenzio.
Parla in tedesco e inizia il concerto e tutti iniziano a suonare. Il messaggio è che se c’è un’anarchia nel popolo, arriverà
qualcuno a comandare→ metafora del fascismo e del nazismo. 
La città delle donne del 1980 è il suo film più brutto. La prova della sua mancanza d’ispirazione. Un uomo si ritrova in
una campagna popolata dalle donne che hanno creato una sorta di loro Repubblica. Marcello Snàporaz è un uomo
maturo ed incauto il quale, durante un tragitto in treno, ha un fugace flirt con una misteriosa signora, che decide di
seguire, scendendo alla fermata di un'irreale stazione in mezzo alla campagna. Seguendo la sconosciuta, si ritrova nel
bel mezzo di un congresso di femministe che parlano per formule preconfezionate, su temi e rivendicazioni scontate
che, tuttavia, il protagonista non riesce a comprendere. L'atteggiamento ostile suggerisce a Marcello una fuga
precipitosa e, aiutato da una delle femministe riesce a uscire dall'albergo. Rimasto a piedi, riceve un passaggio da un
gruppo di strane ragazze; cercando quindi di scappare da loro, arriva al castello di Katzone, un maturo santone
dell'eros che custodisce gelosamente un'ordinata collezione di testimonianze delle sue conquiste, dove è possibile
ascoltare le voci delle donne ritratte nei momenti di intimità. La notte stessa Marcello scopre sotto il letto della camera
dove alloggiava un passaggio segreto che lo conduce a uno strano lungo scivolo (sul quale assiste a visioni delle donne
della sua infanzia) che finisce in una gabbia. Fatto prigioniero viene condotto in un'aula di tribunale dove viene
condannato dalle femministe e dove assisterà al proprio pubblico linciaggio uscendone però "vincitore”. Si risveglia sul
treno, davanti alla moglie Elena: tutto farebbe pensare a un brutto sogno, ma Marcello nota che i suoi occhiali sono
rotti, proprio come nel sogno. Ancora più incomprensibile è per Marcello il fatto che, poco dopo, si siedano accanto a lui
tre donne personaggi del suo sogno. Ma il suo volto, inizialmente preoccupato, subito cambia e volgendosi alla moglie
esprime un compiaciuto atteggiamento di serena indifferenza.
 E la nave va del 1983, è un film mediocre. Parla di una nave poco prima della Prima guerra mondiale che deve
portare i resti di una grande cantante lirica e li deve gettare in mare vicino l’isola greca in cui era nata. Dei serbi fanno un
attentato e gli austriaci cannoneggiano la zona e anche questa nave che viene colpita e affondata. È un anticipo di quello
che sarà la guerra mondiale poco successiva. 
 Ginger e Fred del 1986 è un bel film. Mastroianni è Fred e Ginger è Giulietta Masina. Sono due ex ballerini di
tip tap che imitavano la famosa coppia americana di Fred Astaire e Ginger Rogers.
L’idea del film: c’è un palazzo (come una specie di Mediaset dell’epoca) in cui fanno degli spettacoli di piccoli artisti per
produrre un ciclo di pubblicità continua e ogni tanto c’è qualche numero in cui intervengono Ginger e Fred. È un film
contro la televisione privata. Ricordiamo che il suo primo film fu una critica ai fotoromanzi. 
 Intervista del 1987 momento simbolico in cui i tecnici e i macchinisti di Federico si mettono sotto un telone per
coprirsi dalla pioggia. Arrivano gli indiani che invece delle lance hanno le antenne della televisione→ il cinema viene
ammazzato dalla televisione.
 La voce della Luna del 1990 è un film in cui ci sono due personaggi interpretati da Benigni e Paolo Villaggio.
Vagano in un’Italia di provincia. Benigni alla fine va in campagna e c’è un pozzo (ricordiamo il detto “prendi la luna nel
pozzo” che viene dalla leggenda che si potesse prendere la luna con il secchio). La luna però non si esprime più perché le
antenne della tv interferiscono. Addirittura la luna è caduta sulla terra. Ricorda la scena della Madonna della Dolce Vita.
È importante in questo film lo sdoppiamento di personaggi. Fellini ha sempre creduto che l’identità fosse scissa in due.
Appoggiava questa idea all’elemento circense dei clown divisi in clown bianco (il più fantasioso) e clown cesare (il più
razionale). Le due entità all'interno di ogni essere umano. Anche le cosiddette coppie di amici attori sono sempre
strutturate così. Uno più fantasioso e uno più razionale. Si manifesta in questo film come si era espresso in I clowns.
Fellini qui va Parigi a cercare tracce della grande tradizione circense. Qui trova i discendenti dei grandi circhi che erano
per lo più italiani. Un film molto affascinante con cui ricostruisce gli spettacoli dei clowns. Da piccolo Fellini amava il
circo quindi è come se ritornasse alla sua infanzia. È quindi una discesa in se stesso. Uno dei due clown muore e l’altro
rimane solo, suona la tromba e si allontana dal circo in una scena molto commovente. Come a simboleggiare che
quando moriremo una delle due parti della nostra essenza rimarrà sola. 

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