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Indice

1 Introduzione...................................................................................................5

2 Il gesto dell'interprete: il caso Glenn Gould..........................................9


2.1 Introduzione..........................................................................................9
2.2 Dal gesto al suono...............................................................................17
2.2.1 Glenn Gould oratore: la polifonia del corpo..........................17
2.2.2 Dalla tecnica all'estetica.........................................................24
2.2.3 Il suono: tra atto interpretativo e mediazione intellettuale.....30
2.3 Gould interpreta Bach.........................................................................37
2.3.1 Johann Sebastian Bach, un artigiano del contrappunto.........37
2.3.2 Variazioni Goldberg................................................................44
2.3.3 Le registrazioni delle Goldberg: dal 1955 al 1981.................56

3 Aria e 30 variazioni...................................................................................63
3.1 Introduzione........................................................................................63
3.2 Dal 1955 al 1981: due registrazioni a confronto.................................66
3.2.1 Verso un'architettura sempre più contrappuntistica................66
3.2.2 Tempi e fraseggio: due incisioni a confronto..........................73
3.3 Le Goldberg Variations e le condotte tipo........................................138

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3.3.1 Le condotte di François Delalande.......................................138
3.3.2 Le condotte nel film di Bruno Monsaingeon.........................145

4 Conclusioni................................................................................................216

Bibliografia...............................................................................................................219

Discografia e Filmografia.........................................................................................225

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1 Introduzione

Che cos'è la musica? Questo interrogativo, ad un tempo semplice ed enigmatico,


dovrebbe permanentemente circolare nella mente di chiunque si occupi
professionalmente della relazione che intercorre tra l'uomo e la musica. Si tratta di
una domanda che deve rifuggire da certa retorica accademica per concentrarsi su ciò
che accade nella testa e nelle membra dell'individuo mentre è in atto un evento
sonoro.
La ricerca dei fondamentali universali della musica appare strettamente
congiunta all'idea di musica così come essa si è andata sviluppando e trasformando
nel corso del tempo. Dalla convinzione che la musica costituisse un unicum
indivisibile si è passati alla consapevolezza di una realtà musicale plurima.
L'articolato dibattito tra gli studi sociali ed il funzionamento della mente umana
si è però allontanato l'obiettivo che lo stesso quesito a monte imponeva, ovvero se, in
qualche modo, potessero essere rintracciati dei tratti generali, degli elementi
distintivi costanti, pertinenti alla materia musicale.
Tra queste tendenze si sono inseriti anche gli studi di François Delalande il
quale ha messo a punto il concetto di condotta musicale osservando ed analizzando le
pratiche musicali. In esse egli ha individuato la ricerca del piacere senso-motorio a
livello gestuale, tattile come pure uditivo; un investimento simbolico dell'oggetto
musicale messo in rapporto con un vissuto o con certi aspetti della cultura; e infine,

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una soddisfazione intellettuale che risulta dal gioco di regole, già analizzato da Jean
Piaget.1
Le riflessioni di Delalande hanno aperto uno scenario denso di spunti e
riflessioni non solo sul versante psico-pedagogico, ma anche sui rapporti che
intercorrono tra la scrittura musicale, l'interpretazione e il gesto. Tale visione ha
trovato terreno fertile nelle incredibili interpretazioni bachiane del pianista canadese
Glenn Gould che, fin dagli esordi della sua carriera, era divenuto famoso non solo
per la straordinaria tecnica pianistica ma anche per l'insolita gestualità.
Lo studio di questa tesi ripercorre tutti gli aspetti che hanno reso celebre il
personaggio e il pianista Glenn Gould e che hanno fatto del suo rapporto con la
musica un caso. Il prematuro abbandono della vita concertistica, la totale immersione
negli studi di registrazione, il bizzarro modo di comportarsi e la maniacale ricerca
della perfezione tecnica e timbrica sono solo alcune caratteristiche che non possono
non essere considerate se si parla della sua visione della musica. I documentari, le
trasmissioni radiofoniche e le incisioni hanno di certo contribuito a diffondere
un'immagine del pianista legata ai mezzi di comunicazione, ma sono anche stati
un'ottima base di osservazione a studiosi come Delalande.
La domanda in apice non vuole sintetizzare in poche righe una discussione che
ha assunto nel corso dei secoli un netto carattere interdisciplinare, ma è di certo un
ottimo punto di riflessione per valutare all'interno del vasto linguaggio musicale
anche degli aspetti ritenuti spesso secondari.
All'interno di questi presupposti si inserisce l'analisi della gestualità del
pianista canadese partendo dal confronto di due importanti incisioni delle Variazioni
Goldberg di Johann Sebastian Bach realizzate a distanza di quasi trent'anni. La
prima, datata 1955, che ha sancito l'esordio della sua carriera, mentre quella del 1981
che l'ha di fatto chiusa.
Ripercorrendo i tratti più salienti del pensiero musicale gouldiano e facendo
particolare riferimento alla visione che egli aveva della musica di Bach, si porrà
l'attenzione sulla composizione formata da un tema al basso contenuto nell'Aria
introduttiva e dalle trenta variazioni ad esso ispirate. Dal solo ascolto si cercherà
1 François Delalande, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare
musica, Editrice Clueb, Bologna, 1993, p. 49.

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quindi di mettere in evidenza le differenza e le similitudini delle due registrazioni
tenendo conto degli aspetti legati al fraseggio, al tempo, al timbro e all'espressione.
Lo studio avrà come obiettivo quello di superare il luogo comune che considera
semplicemente lentissima la versione del 1981 e di dimostrare che oltre al tempo, ci
sono altre divergenze interpretative rilevanti. L'analisi si arricchirà anche di alcune
importanti considerazioni sull'interpretazione dello stesso della celebre pianista e
clavicembalista statunitense Rosalyn Tureck, stimata dal giovane Gould per il suo
modo di suonare la musica di Bach e a lungo dichiarata suo mentore e fonte di
ispirazione. Nel confronto verranno altresì inserite delle valutazioni sulle
numerosissime tracks scartate in sede di registrazione dal Nostro, contenute in
un'edizione inedita della prima incisione.
Da questi presupposti si porrà la lente d'ingrandimento alla versione delle
Goldberg del 1981 per la quale era stato previsto anche il supporto video alla regia
del francese Bruno Monsaingeon, con l'idea di completare la trilogia di documentari
dedicati alle opere di Bach interpretate da Glenn Gould.
In questo caso si applicheranno le già citate riflessioni di Delalande sulla
gestualità sviluppate grazie alle riprese delle Partite di Bach realizzate nel corso dello
stesso anno. Tale osservazione aveva portato alla definizione della gestualità
gouldiana delineando cinque possibili atteggiamenti del pianista nel rapporto con
partitura e interpretazione. Con la pubblicazione del libro Le condotte musicali.
Comportamenti e motivazioni del fare musica, il musicologo aveva descritto i cinque
tipi di condotte che tenevano conto della posizione e inclinazione della schiena, della
sua rotazione o immobilità e dei gesti evocatori e di accompagnamento come le
alzate delle sopracciglia e delle mani in movimento fuori dalla tastiera. La
classificazione aveva inoltre previsto che, per lo stesso genere di repertorio eseguito
nel medesimo periodo si sarebbero potute riscontrare le stesse caratteristiche
arbitrarie.
Questa seconda ricerca avrà infatti come finalità quella di avvalorare le ipotesi
avanzate dal musicologo francese, cercando di trovare anche nelle Variazioni
Goldberg le cinque condotte delalandiane.
Si cercherà inoltre di analizzare le diverse inquadrature utilizzate dal regista

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francese ricercando nella diversa disposizione degli apparecchi e nei loro movimenti,
una relazione con la scrittura musicale.
Gli argomenti che verranno esposti nei capitoli seguenti verteranno intorno agli
aspetti multidisciplinari della musica e nello specifico dell'interpretazione pianistica.
Essi terranno conto non sono dell'evoluzione del pensiero musicale nel caso del
pianista Glenn Gould, ma anche dei gesti produttori e di accompagnamento che di
fatto hanno definito il rapporto tra l'interprete e la sua interpretazione.

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2 Il gesto dell'interprete: il caso Glenn Gould

2.1 Introduzione

Glenn Gould è considerato uno dei più grandi pianisti del XX secolo, e forse di tutti i
tempi, un genio di “ispirazione divina” munito di unicità, coraggio espressivo e
intelligenza musicale, uno degli interpreti classici più ammirati e discussi al mondo.
I più illustri maestri dell'epoca nutrivano per lui profonda ammirazione: lo
statunitense Van Cliburn diceva che avrebbe voluto suonare con lui e gli chiedeva
consigli; Svjatoslav Richter, dopo aver sentito le Variazioni Goldberg a Mosca nel
1957, escluse per sempre quel pezzo dal suo repertorio; Gina Bachauer lo
considerava uno dei quattro migliori musicisti al mondo e Josè Iturbi disse che era il
più straordinario tra i giovani solisti dell'epoca. Tra i suoi ammiratori c'erano anche
innumerevoli strumentisti e cantanti, nonché molti dei più importanti compositori
contemporanei come Samuel Barber, David Diamond e Luckas Foss. Parlando di
Glenn Gould, Aaron Copland disse: «Quando si ascolta il suo Bach, sembra di sentire
suonare proprio Bach». Igor Stravinskij invece si dichiarò sbalordito per la sua
sensibilità musicale. Tutte le orchestre e gran parte dei direttori volevano suonare con
lui: secondo l'austriaco Herbert von Karajan, Glenn Gould aveva creato uno stile che
apriva le porte al futuro; Leonard Bernstein venerava il suo modo di suonare; George

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Szell lo considerava il più grande concertista dopo Busoni e Josef Krips lo definì
«uno dei musicisti più grandi del nostro tempo, se non il più grande di tutti».2 Gould
era così celebre e desiderato in tutto il mondo che venne persino invitato a suonare in
Unione Sovietica in anni considerati più che sospetti dati i rapporti delicati che il
Paese aveva con l'Occidente. Il concerto tenuto a Mosca nel 1957 rimase infatti nella
memoria di tanti anche grazie alla registrazione pubblicata in una raccolta della Sony
dedicata agli eventi live. In Italia invece restò pressoché sconosciuto fino al 1961,
quando, in occasione di un concerto tenuto a Palermo, Karlheinz Stockhausen lo
descrisse come il più straordinario interprete bachiano che avesse mai udito.
Glenn Gould era ed è ancora oggi conosciuto come personaggio dai molti vizi
e stranezze che si raccontano in storie bizzarre ed episodi esileranti. Era un uomo
pieno di paradossi che conduceva una vita felicemente caotica, ma era anche una
specie di eremita che amava trascorrere molte ore al telefono e notti intere a leggere
libri di teologia e di filosofia. Spesso però è stato ricordato e criticato per i suoi
manierismi, per le sue scelte di repertorio poco convenzionali, per il fatto di preferire
e cercare in modo ossessivo pianoforti con una meccanica molto leggera, per lo stile
di vita eccentrico e misterioso e persino per il modo di vestire. Il critico Edward
Rothstein, lo ha definito, con un'immagine scontata, un misto di showman e di prete:
«Gould considerava se stesso con un misto di ironia e di serietà, sicché dava
l'impressione, a volte, di essere una combinazione di showman e di sacerdote
consacrato alla sua arte».3
Come ha dichiarato più volte nelle sue interviste, Gould sperava che le sue
eccentricità personali non impedissero alla gente di cogliere la vera natura del suo
gioco:

Non credo assolutamente di essere un eccentrico. È vero che porto costantemente uno o
due paia di guanti, che a volte mi tolgo le scarpe per suonare e che mi capita, durante un
concerto, di raggiungere un tale stato di esaltazione per cui sembra che suoni il
pianoforte con il naso. Ma non si tratta assolutamente di eccentricità personali – sono
soltanto le conseguenze visibili di un impegno altamente soggettivo. 4

2 Jonathan Cott, Conversazioni con Glenn Gould, Ubulibri, Milano, 1989, p. IX-XII.
3 Glenn Gould. L'ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica, a cura di Tim Page, Adelphi
Edizioni, Milano, 2001, p. 11.
4 Glenn Gould, No, non sono un eccentrico, interviste e montaggio a cura di Bruno Monsaingeon,
EDT, Torino, 1989, p. 9.

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Le critiche negative che gli furono attribuite erano le più disparate e spesso erano
indirizzate al suo stile interpretativo e alla sua tecnica completamente innovatrice,
fondata sul contatto più stretto possibile con la tastiera. In realtà in tutto quello che
Gould diceva e faceva c'era, al di là della sua innegabile vena bizzarra, un lato
profondamente serio.
Tra le tante osservazioni che ricevette, il ritiro dalla vita concertistica all'età di
trentadue anni fu probabilmente la scelta che dovette giustificare di più. Molto è stato
infatti scritto su questa vicenda e numerose ragioni sono state tirate in ballo: dalle
ragioni psicologiche più spicciole, come la misantropia di Gould, passando per
ragioni più basse come l'idea che si trattasse di una scelta obbligata dipendente
dall'ansia da prestazione e dalle tensioni generate durante i suoi recital. Pur
considerando ragionevoli le motivazioni fornite dallo stesso Gould intorno
all'atmosfera negativa della sala da concerto e al suo astio nel rapporto tra esecutore e
ascoltatore, descritto da Enzo Restagno come una sorta di correità circense e una
corrida all'italiana5, sia da tener presente il risultato culturale e filosofico di questo
ritiro, che sta tutto nella presa di posizione radicale nei confronti della riproducibilità
tecnica dell'arte, di cui il musicista si fa certo paladino, non senza dimostrarne le
contraddizioni interne.
Già dai primi anni Sessanta cominciò a limitare la sua presenza ai concerti, a
non fissare impegni e a disdire quelli presi. Questo allontanamento gli permise di
preparare dischi, di partecipare a trasmissioni radiofoniche, di approfondire studi
musicologici e di indicare in maniera precisa le sue scelte interpretative indirizzate a
studiosi e critici. Nella totale solitudine riuscì a mettere in pratica la sua teoria
secondo cui la funzione dei concerti sarebbe presto stata soppiantata dai media
elettronici grazie ai quali era diventato possibile ottenere una chiarezza di analisi
senza precedenti. Kevin Bazzana racconta che la rarefazione degli impegni
concertistici fu in parte dovuta al desiderio di sperimentazione in altri campi come
quello dell'incisione, della trasmissione radiofonica, della scrittura e della
composizione.6 Dopo nove anni di trionfi e di protagonismo sui palcoscenici più

5 Restagno, Ascoltando Glenn Gould, in Glenn Gould, No non sono un eccentrico, cit. p. X.
6 Kevin Bazzana, Mirabilmente singolare. Racconto della vita di Glenn Gould, Edizioni e/o, Roma,
2004, pp. 265-268.

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prestigiosi del mondo, annunciò di punto in bianco la fine della sua attività
concertistica pubblica e la sua intenzione di dedicarsi esclusivamente alle incisioni
discografiche. Tale scelta fu vista come un'eresia dal suo pubblico poiché all'artista
venivano tributati i massimi onori, ai concerti c'era sempre il tutto esaurito e le
recensioni erano colme di elogi. Dopo l'ultimo concerto tenuto a Los Angeles il 10
aprile del 1964, Glenn Gould dichiarò le motivazioni dell'abbandono della scena
concertistica:

Il contatto con il pubblico mi ha dato un senso di potere quando avevo 14, 15, 16 anni.
Consideravo divertente suonare davanti ad un pubblico vivo, eccitato. Davo il meglio di
me. Prima di un'esecuzione mi esercitavo per molti mesi. Ma questo si esaurisce molto
rapidamente. È qualcosa di molto superficiale. E quando si comincia ad esibirsi una sera
si e una no, in terre lontane, il fascino, l'attrattiva, non durano a lungo. A dare concerti si
imbroglia. Non si ricercano repertori nuovi. Esegui vecchi brani che hai già provato sul
tuo pubblico per un altro pubblico ancora, e bari, cerchi di cavartela eseguendo il pezzo
allo stesso modo. Sopraggiunge una incredibile mancanza di immaginazione. Invecchi
molto velocemente. È una vita molto spaventosa.7

Il trentenne pianista aveva una spiegazione chiara: era stanco di quella che lui
chiamava l'irripetibilità dell'esperienza concertistica, l'impossibilità di correggere i
lapsus e le piccole sviste di un'esecuzione dal vivo. Quasi tutti gli artisti creativi,
disse Gould, possono ritoccare e perfezionare le loro creazioni; chi suona dal vivo
invece, deve ricreare la sua opera dal principio tutte le volte che sale sul
palcoscenico. E poi, un artista costretto a eseguire in pubblico sempre le stesse
composizioni cade preda di un tremendo conservatorismo, che finisce per rendergli
difficile, se non impossibile, passare ad altro. 8 Questa visione è confermata da
numerose dichiarazioni dello stesso Gould, tra cui quella contenuta in una delle sue
più note auto-interviste, dove l'intervistato risponde alla domanda del suo alter-ego
sulle ragioni che lo hanno portato a non suonare più:

È verissimo che ho fatto quel passo nella convinzione che, data la situazione attuale
dell'arte, un'immersione totale nei media rappresenta un'evoluzione logica: e sono
sempre di più di quel parere. Ma per quanto allettanti possono essere le equazioni

7 Il racconto è tratto da un'intervista con Bruno Monsaingeon e si trova sul sito


http://nuke.nonsoloaudiofili.com/GlennGouldIlgeniodelpianoforte/tabid/431/language/enUS/Defau
lt.aspx. (ultima visita 25/08/2016).
8 Glenn Gould. L'ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica, cit., p. 6.

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passato-futuro, penso in tutta franchezza che i motori primi di tali convinzioni e delle
cause principali di simili “indirizzi nuovi” vadano normalmente ricercati nel desiderio
non rivoluzionario di eliminare le scomodità e i disagi del presente.9

Ed è proprio per queste ragioni che Gould guarda all'incisione su disco come unico
criterio di espressione della sua arte: questa dimensione infatti non solo gli assicura
una sorta di freudiana “sicurezza nel grembo dello studio di registrazione” 10, nel
quale è possibile far musica in maniera più diretta e personale di quanto non consenta
qualsiasi sala da concerto, ma permette uno straordinario valore aggiunto, che è dato
dalla capacità e dalle risorse della moderna tecnologia di registrazione. Tim Page
ricorda infatti che egli “nutriva una fede incrollabile nella tecnologia. E non importa
che questo atteggiamento nascesse da un disamore per le esecuzioni dal vivo: la
necessità è pur sempre, oltre che madre dell'invenzione, anche parente più stretta
della deduzione”.11
Il pianista canadese fu infatti uno dei primi artisti a trattare il mezzo
discografico come un fine a sé. A tal proposito Bruno Monsaingeon racconta che

Gould divenne noto come “mago del nastro”; non lo era. Le sessioni di registrazione
venivano pubblicizzate come esperimenti di laboratorio in cui si fabbricavano mostri
alla Frankestein unendo dei brandelli di carne; non lo erano. Il procedimento era
semplice a tal punto da essere noioso per un osservatore. Consisteva nella registrazione
di un take completo del movimento (oppure, nel caso di opere più lunghe, di un'ampia
sezione del brano); e nell'ascolto del take per rilevare con attenzione qualsiasi errore
delle dita e/oppure qualche imperfezione nell'equilibrio musicale. Di ritorno al
pianoforte per la registrazione di piccoli passaggi da inserire per correggere gli errori.
“Non è che io compia un numero infinito di takes”, afferma Gould. “Anzi, benché di
solito registro per otto ore alla volta, sono raramente seduto al pianoforte per più di
un'ora. Trascorro il tempo quasi esclusivamente seduto nella cabina ascoltando
ripetutamente i play-back, cercando di decidere esattamente quale inserzione possa
coprire nel modo migliore qualcosa che non è piaciuto nel take principale, o addirittura
nell'inserzione precedente. Lo faccio usando un cronometro digitale che misura il tempo
letteralmente fino al centesimo di secondo. Cerco di usare lo studio come un produttore
di film impiega la sala di proiezione. Espresso in termini cinematografici, insisto per
vedere tutte le sequenze così come vengono riprese.”12

9 Ivi p. 18.
10 La citazione proviene dal film-documentario di Bruno Monsaingeon, Glenn Gould. The Alchimist,
che nel 1975 si aggiudicò il primo premio al Festival cinematografico di Praga.
11 Glenn Gould. L'ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica, cit., p. 9-10.
12 La citazione di Bruno Monsaingeon si trova sul sito
https://sites.google.com/site/michelemariasantoro/mu/glenn-gould-e-la-tecnologia. (ultima visita
25/08/2016).

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Così, attraverso una serie indefinita di incisioni, sovrapposizioni e montaggi, divenne
possibile realizzare esecuzioni sempre più accurate e precise, capaci di appagare
quella tensione verso la perfezione che rappresentava il credo estetico del musicista.
Lo stesso Gould rileva infatti che

la tecnologia ha il potere di creare un'atmosfera di anonimato e di garantire all'artista il


tempo e la libertà di preparare la sua lettura di un'opera al meglio delle proprie capacità.
La tecnologia permette di correggere quelle terribili e degradanti incertezze, così
dannose sul piano umano, che sono una conseguenza dell'esecuzione concertistica. 13

È dunque per questo, scrive Enzo Restagno, che

dopo una lunga esperienza di incisioni discografiche, dopo aver creato dischi celebri, e
aver riflettuto a lungo sulle modalità di questo tipo di operazioni, Gould ritenne di
possedere gli elementi per tracciare una nuova estetica della produzione e dell'ascolto
musicale, e pubblicò sulla rivista “High Fidelity” il saggio La registrazione e le sue
prospettive, nel quale viene affermata la priorità dell'estetica dell'incisione intesa come
possibilità di superamento dei limiti dell'esecuzione contingente. 14

Alla luce di questa concezione l'attività artistica di Gould si sviluppò esclusivamente


attraverso incisioni discografiche, fino alla sua prematura scomparsa, avvenuta nel
1982 all'età di cinquant'anni.
Dopo queste considerazioni Gould non poteva cadere nella trappola
concertistica perché aveva immediatamente compreso il carattere retrospettivo,
superato e perdente di questo rituale, e quello futuribile, incalzante e pieno di
sconfinate virtualità dell'incisione sul disco. Naturalmente non si trattava solo di
scegliere tra due forme di comunicazione, ma di un modo di pensare la musica
destinato a produrre una congenialità superiore a tutte le altre, proprio verso
l'incisione del disco. Ma almeno in un senso Gould aveva ragione e probabilmente
aveva avuto una grande intuizione: «in fin dei conti le persone che si sono godute in

13 Glenn Gould. L'ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica, cit., p. 6. Quasi con le medesime
parole Gould si esprime in Glenn Gould. No, non sono un eccentrico, quando afferma che “la
tecnologia consente di creare un'atmosfera di anonimato e di dare all'artista il tempo e la libertà di
preparare una propria concezione di un'opera al meglio delle sue possibilità, di perfezionare quello
che ha da dire senza preoccuparsi di sciocchezze come la paura o un'eventuale nota stonata” (cit.,
p. 144).
14 Restagno, Ascoltando Glenn Gould, in Glenn Gould. No, non sono un eccentrico, cit. p. XII.

14
casa propria le Sonate di Mozart o i Concerti di Bach sono molto più numerose di
quelle che hanno mai messo piede in una sala da concerto».15 Già all'epoca di Gould i
dischi avevano in gran parte sostituito il concerto dal vivo come mezzo più
accessibile e più economico per conoscere l'opera di un compositore o una sua
particolare interpretazione. Egli immaginava un mondo nuovo in cui la tecnologia
avrebbe consentito all'esecutore e all'ascoltatore di immergersi nella musica in
condizioni di intimità mai sognate prima. Glenn Gould era persuaso che le esecuzioni
migliori fossero quelle che si costruiscono nella sala di registrazione e nel suo caso
era assolutamente vero.
Nel saggio dal titolo Strauss e il futuro elettronico16, pubblicato nel 1964,
Gould individua con chiarezza quasi profetica le potenzialità connesse a ciò che egli
chiama “la cultura elettronica”. Egli sostiene difatti che

la trasmissione elettronica ha già dato origine a un nuovo concetto di responsabilità


creativa pluralistica, che vede il sovrapporsi delle funzioni specifiche del compositore,
dell'esecutore e persino del fruitore. Basta pensare per un attimo al modo in cui i ruoli
del compositore e dell'esecutore, un tempo ben distinti, s'intrecciano ora
automaticamente nella messa a punto di una registrazione elettronica, oppure, per citare
un caso più frequente e meno potenziale, al modo in cui l'ascoltatore, fra le pareti di
casa sua, può ora tradurre in pratica parte dei suoi giudizi tecnici o anche grazie a
comandi più o meno sofisticati del suo impianto stereo. A mio parere non passerà molto
tempo prima che l'ascoltatore dia al proprio ruolo un'impronta più che autorevole, prima
che, tanto per fare un esempio, il compositore avveduto di musica registrata provveda
personalmente al montaggio del nastro (e chissà che questa non diventi la Hausmusik
del futuro...). Mi meraviglierei, anzi, se l'attività dell'ascoltatore, si fermasse qui, dal
momento che l'idea di partecipazione su più livelli al processo creativo è implicita nella
civiltà elettronica.17

Non c'è bisogno di evocare gli attuali scenari della comunicazione interattiva, né di
richiamare le potenzialità dei social network per dimostrare quanto avanti si sia
spinta la sua visione dell'opera d'arte nel contatto con le nuove tecnologie: da un lato,
strumento sempre più sofisticato di creazione estetica; dall'altro veicolo di una
ricezione ampia e condivisa, in grado di fare dell'ascoltatore non più un fruitore
passivo, ma un vero e proprio ri-creatore dell'opera d'arte.
L'osservazione e lo studio dei documenti video, dei documentari e delle interviste di
15 Glenn Gould. L'ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica, cit., p. 9.
16 Gould, Strauss e il futuro elettronico, in L'ala del turbine intelligente, cit., p. 170-181.
17 Ibidem.

15
Glenn Gould prodotti nell'arco di tutta la sua carriera ha permesso di analizzare tutti
gli aspetti delle sue personalissime esecuzioni, della poesia e della sua tecnica
raffinata. La sua figura, analizzabile soprattutto grazie al “materiale” video prodotto,
è stata definita nei suoi aspetti tecnici e nell'insieme di gesti e modi espressivi che
hanno fatto di lui un grande pianista nonché un grande oratore. Per questo motivo
Glenn Gould è considerato un'interprete non solo da ascoltare ma anche da vedere.
Piero Rattalino, in una delle puntate dedicate al pianista canadese Glenn
Gould–Un mito del nostro secolo e andate in onda su RaiTre, racconta che anche
Robert Schumann aveva scritto nel 1840 qualcosa di simile a proposito di Franz
Liszt: «[...] se avesse suonato dietro le quinte sarebbe andata perduta gran parte della
sua poesia».18 Franz Liszt era un pianista che bisognava vedere, così come lo era
Glenn Gould.

18 Dal programma televisivo ideato da Bruno Monsaingeon “Glenn Gould – Un mito del nostro
secolo”, puntata n° 1, Umberto Cantone – RaiTre, giugno 1990.

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2.2 Dal gesto al suono

2.2.1 Glenn Gould oratore: la polifonia del corpo

Tutti i consueti parametri tramite i quali si giudica solitamente un pianista, cioè


capacità timbriche, fraseggio e scioltezza nel muovere le dita, potrebbero essere
ridefiniti parlando di Glenn Gould. A tal proposito gli esempi possibili sono
moltissimi: la curiosa posizione di Gould curvo con il naso quasi appoggiato alla
tastiera, in antitesi ai precetti classici che vogliono si suoni con la schiena ben dritta,
l'eccessiva articolazione e tensione muscolare delle dita con l'intenzione di produrre
un timbro particolare, che i didatti più conservatori definirebbero un “brutto
suono”19, la vera e propria fobia per un uso abbondante del pedale di risonanza anche
in repertori nei quali solitamente si utilizza con generosità o ancora, a proposito di
scelte di repertorio, si ricorderà quanto detestasse Mozart 20 o non fosse interessato al

19 Il didatta e teorico della tecnica pianista, Rudolf Breithaupt, sintetizza efficacemente il principio
fondamentale della tecnica del peso in antitesi alla tecnica digitale. Quest'ultima prescrive
un'innaturale articolazione delle dita con la mano immobile e l'esclusione di qualsiasi apporto del
braccio, da cui conseguono, dispendio di energie, irrigidimento e quello che si può definire un
“brutto suono”. La tecnica naturale prevede l'utilizzo del peso inerziale di tutto il braccio, dalla
spalla alla mano, in modo da preservare uno stato di riposo ed un completo rilassamento
muscolare. L'estetica di Breithaupt si riduce ad una questione di peso: il “bel suono” si ottiene con
il trasferimento e con l'appoggio del peso in ogni sua sfumatura.
20 Gould detestava Mozart perché non tollerava – nell'ambito di quella che Charles Rosen ha definito
la “civiltà della forma-sonata” (Charles Rosen, Le forme sonata, Torino, EDT, 2011)- la

17
repertorio del periodo romantico. Gould preferiva infatti una concezione lineare e
contrappuntistica della musica, aveva una congenialità assoluta per Johann Sebastian
Bach e diffidava, avendone quasi la repulsione, di quei tipi di scrittura che mirano
all'agglomerato di note, agli aloni, alle iridi e alle pedalizzazioni.
Guardando Glenn Gould al pianoforte, la prima idea che salta dall'occhio alla
mente, è l'assoluta unicità del modo di suonare, dai gesti di accompagnamento, alla
mimica facciale, al tipo di postura e al modo sedere al pianoforte. Quando suonava,
non lo faceva con la parte alta del corpo, con le braccia, le spalle e la schiena (come
ad esempio Claudio Arrau), ma quasi mettendosi al bordo del pianoforte. Gould era
seduto a circa 36 centimetri dal suolo, lasciando che il vuoto montasse, come quando
si tira su un peso dal basso mentre con l'aiuto della mano distribuiva il peso e lo
organizzava secondo una gerarchia. Lui stesso ammetteva che la sua posizione al
pianoforte faceva pensare a quella di un gobbo:

Una tecnica del genere ha i suoi vantaggi e i suoi inconvenienti. Da una parte consente
una grande chiarezza di articolazione e ne risulta una sensazione molto più immediata e
meglio definita del suono; dall'altra rende assai più difficile realizzare un suono molto
potente, come in certi fortissimo di Liszt.21

Tutti i biografi e tutti i commentatori parlano della tecnica di Gould soffermandosi in


particolare sulla sua posizione alla tastiera. Oltre al sedile molto basso, Gould teneva
i gomiti sotto la linea dei tasti, avambraccio e mano, quindi “in discesa” dalla tastiera
al gomito e dita ballonzolanti invece che scivolanti sui tasti. Qualsiasi persona
esperta o no di pianoforte potrebbe però notare guardando Gould in una delle sue
registrazioni, che la sua gestualità, apparentemente eccentrica ed a tratti bizzarra, era
studiata minuziosamente ed era inoltre finalizzata alla ricerca di un determinato tipo
di suono o di timbro. Dalla prima osservazione si può quindi vedere che l'idea

subordinazione della melodia nei confronti dell'armonia. Il pianista canadese non sopportava la
sottomissione programmatica della mano sinistra – confinata al ruolo di mero sostegno – rispetto
allo strapotere della mano destra. In un'intervista con Bruno Monsaingeon, Gould afferma: «sono
senza dubbio più a mio agio con la musica induttiva che con la musica deduttiva; in altre parole,
con una musica la cui struttura formale s'identifica con l'evoluzione di un'idea o di un complesso
d'idee tematiche specifiche, piuttosto che con una musica all'interno della quale si forzano i
materiali utilizzati a rientrare nell'ambito di uno schema formale precedentemente stabilito».
21 Glenn Gould, No, non sono un eccentrico, cit., p. 9.

18
musicale e l'espressività erano in funzione del corpo del pianista e dei gesti che
anticipavano o che accompagnavano i suoni prodotti.
Probabilmente anche l'ipocondria di cui soffriva ha potuto dare al musicista
quella sensibilità estrema alla meccanica, quel senso minuzioso dell'articolazione,
quell'affinamento dell'attacco, che lo contraddistinguono. In alcuni momenti alla sua
mano libera sfuggiva un gesto strano, le dita congiunte, poi subito dischiuse, come a
voler lasciare nell'aria una traccia scritta. Lo si può anche vedere con il collo piegato,
il volto disfatto, le labbra protese a baciare il vuoto, in un'espressione sofferta. Glenn
Gould faceva musica con le mani, come ovvio per un pianista, ma anche con il mento
per dare gli attacchi di strumentazioni immaginarie, con le labbra che si aprivano e
chiudevano al ritmo della battuta o marcando a tratti più nettamente il tempo con dei
movimenti oscillatori del busto. Nella sua posizione, seduto su uno sgabello
pieghevole così basso a causa delle gambe segate, dirigeva e canticchiava.

Figura 1. Il ventiduenne Glenn Gould al pianoforte nello studio newyorkese della Columbia Records
durante la registrazione delle Variazioni Goldberg, giugno 1955. (Foto di Dan Weiner, Sony Classical)

19
Figura 2. Replica della sedia utilizzata da Glenn Gould; disegnata da Renè Bouchara.

In un'intervista Jonathan Cott gli chiese se avrebbe cambiato il suo modo di suonare,
considerando che la sua posizione al pianoforte e il fatto che canticchiasse mentre
suonava, suscitavano spesso battute ironiche.

No, se non facessi così, il mio modo di suonare registrerebbe un netto peggioramento. É
una componente indispensabile e, per quanto mi sforzi, non capisco perché uno
dovrebbe preoccuparsene. La mia altra mania, quella di canticchiare, può essere
legittimamente criticata da chi ha tirato fuori 5,98 dollari o giù di lì e dice: “Accidenti,
devo proprio sorbirmi anche tutto questo? Come documento è interessante, ma dal
punto di vista sonoro è irritante”. Beh io la penserei proprio allo stesso modo. […] C'è
un'altra cosa, naturalmente, da tenere presente, e cioè che la caricatura del mio modo di
suonare è quella di uno che con il naso tocca i tasti. Ora, la verità è che questo capita
con un repertorio molto particolare. […] Ho scoperto molto presto che, dal punto di
vista del rapporto con lo strumento, ci sono ovviamente soluzioni che non sono quelle
della scuola prussiana. Il repertorio particolare di cui parlavo è quello che non richiede
di non allargare troppo le mani come Bach o Mozart, ad esempio, o autori precedenti a
Bach. Ma non si può, è semplicemente impossibile suonare Skrjabin in quella posizione,
per la semplice ragione che il lavoro di leva che deve accompagnare l'allargarsi delle
mani costringe necessariamente lontano dal pianoforte e non si può stare così vicini.
Invece si può e si deve suonare Bach in quel modo perché così facendo si ottiene un
suono più raffinato, si riducono al minimo gli aspetti pianistici e si ottiene un controllo
migliore.

20
Figura 3. Glenn Gould nello studio newyorkese della Columbia Records sulla 30 th Street, marzo 1963.
(Foto di Don Hunstein, Sony Classical).

Si potrebbe dunque sostenere che la sua posizione stravagante fosse in realtà dovuta
a ragioni d'ordine musicale, nel tentativo di facilitare, attraverso l'estrema vicinanza,
la precisione e la regolarità delle articolazioni.
Sebbene giustificata, la sua gestualità è stata spesso associata a stereotipi e
comportamenti psicotici. Sembrava che le sue mani appartenessero ai tasti, piuttosto
che al suo corpo, come a volere che non ci fosse più lo strumento tra lui e la musica.
Gould faceva parte dell'essenza del suo pianoforte e ritrovava nei colori, la tastiera
dei propri umori. Una volta, parlando del suo modo di suonare disse che aveva
un'immagine mentale di ogni tasto del pianoforte – non soltanto della sua posizione,
ma anche della sensazione che avrebbe provato a raggiungerlo e a toccarlo. Una
volta giunto a conclusione, questo processo mentale, ovvero colpire il tasto con la
forza desiderata, diventava alquanto semplice. In questo modo il suo concetto di
tecnica includeva entrambe le parti del processo: la preparazione mentale e
l'esecuzione fisica. Una delle sue immagini mentali era quella di produrre suoni non

21
spingendo i tasti ma “tirandoli su” - impossibile fisicamente, ma un'immagine
significativa dal punto di vista psicologico. Un'altra, ereditata dal suo insegnante,
Alberto Guerrero, era quella degli avambracci che si estendevano dietro la schiena,
oltre la colonna vertebrale, evitando così di utilizzare la parte superiore delle braccia
e le spalle.
Tenendo conto di tutti questi aspetti, si può quindi affermare che l'arte del
pianista canadese si identificava nella sua capacità oratoria, nell'espressione del
corpo e nella sua gestualità. Il corpo di Gould partecipava sempre all'esecuzione
oscillando con il busto per esplicitare certi accenti e si serviva del braccio, non
appena libero, per mimare la natura espressiva del suono. Gould sembrava un
direttore d'orchestra il cui movimento della mano era allo stesso tempo mèlos: il
gesto poteva accompagnare il suono oppure poteva prepararlo. In un'intervista a
Bruno Monsaingeon, Gould parla del suo gesticolare e spiega che quel tipo di
movimento gli era d'aiuto per creare dei quadri immaginari:

Devo avere la sensazione che non siano le mie dita a suonare, che queste non siano altro
che semplici estensioni indipendenti che in quell'istante esatto sono in contatto con me.
Ho bisogno di trovare un modo per prendere le distanze da me stesso, pur rimanendo
totalmente coinvolto in ciò che faccio. Nei film su Bach precedenti a quello delle
Goldberg (il terzo della serie) eseguo un certo numero di fughe. Ogni volta dirigo il
tema della fuga con la mano che non è occupata a suonare e dirigo le fughe triple a tre
riprese. Non è vanità, è che non riesco a controllarmi: per impedirmelo bisognerebbe
legarmi la mano dietro la schiena. Senza di questo non saprei come scandire
correttamente la musica. 22

Il movimento del braccio non riguardava solo l'accompagnamento espressivo di certi


incisi melodici ma poteva essere un gesto preparatorio anche violento, esplicativo
rispetto alla musica. Ad esempio, alla fine della Sonata in La bemolle maggiore op.
110 di Ludwing van Beethoven, Gould fa proprio un segno di chiusura da direttore
d'orchestra: toglie il suono come un movimento veloce. In un'altra registrazione, in
questo caso delle 32 Variazioni in Do minore di Beethoven, Gould fa un gesto
violento con le braccia, come se volesse togliere una grande massa di suono.
Siccome in ogni sua azione si rispecchia un intento preciso, si può ipotizzare che

22 Ivi p. 111.

22
l'unione di quel gesto al suono prodotto abbia reso meglio l'idea da lui
precedentemente immaginata. Questa commistione è determinante nella natura
espressiva del nostro interprete che, in periodi della sua vita e per certi compositori,
si è mostrato in movimenti e gesti che si sono poi ripetuti in situazioni espressive
simili.
Questo tipo di gestualità che possiamo definire esplicativa nei confronti della
musica non era solo legata ai movimenti del busto, della braccia e della mani, ma
anche alla mimica facciale.23 Nella gestualità di Gould, nella sua perenne agitazione,
nei suoi eccessi di movimento c'era qualcosa che ricordava i grandi comici del
cinema muto, l'incespicare continuo senza cadere mai, la meccanicità di gesti ripetuti
ossessivamente. Glenn Gould canticchiava e mugugnava mentre suonava 24 e ruotava
il busto, chiudeva gli occhi, apriva la bocca, stringeva le spalle, abbassava il capo
verso la tastiera e suonava le pause con dei movimenti della mano. Nei momenti di
pausa di una mano nella Fuga in Si bemolle minore di Johann Sebastian Bach, ad
esempio, solleva la mano nettamente, con un gesto che sembra suonare la pausa. È
sorprendente notare che le stesse caratteristiche si possono ritrovare già all'età di
vent'anni, al momento ad esempio della registrazione del Concerto n. 1 in Do
maggiore op. 15 di Beethoven nel 1954: la sedia è bassa, l'inclinazione del busto è in
avanti, canta mentre suona e mima le pause scandendo l'ingresso della mano durante
il silenzio.
Nel modo di suonare di Gould c'è qualcosa di misterioso, nel suo pianismo
secco, molto staccato, attraverso cui si fa luce una linea di straordinaria densità e di
prodigiosa continuità. Per legare non ricorre a nulla di esterno al suono, come
l'affondo del pedale o il legato delle dita, ma a valori di intensità prima crescente e

23 I movimenti facciali possono svolgere diverse funzioni durante la comunicazione, a volte con
movimenti minimi come l'inarcarsi del sopracciglio o il dilatarsi delle pupille, altre volte attraverso
configurazioni muscolari più complesse. Lo psicologo statunitense Paul Ekman, pioniere nel
riconoscere le espressioni facciali e le emozioni, presuppone che la funzione prevalente della
mimica facciale sia l'espressione dei sentimenti; Ekman teorizza un'equivalenza tra l'espressione
del volto e l'emozione sottesa.
24 Gould diceva che gli sarebbe piaciuto evitare di registrare la sua voce contemporaneamente alla
musica delle sue dita. Non voleva soffermarsi troppo a riflettere sui significati possibili di quel
canto d'accompagnamento. Diceva che se avesse smesso di cantare non avrebbe più potuto
concentrarsi: «Una distrazione. È una cosa che io stesso detesto, e criticherei un altro musicista che
si abbandonasse a questi eccessi. Quello che so, tuttavia, è che ho bisogno di questa elaborazione
vocale. Se non canto suono peggio».

23
poi decrescente, realizzando frasi dinamiche e non ritmiche. Non lega per contiguità,
ma attraverso la gradazione continua di note tutte staccate. Ciò che lega non sono le
dita, ma il pensiero, l'assenza, il distacco. «L'immagine mentale relativa al tocco del
pianoforte, non c'entra molto con il modo di suonare le note prese singolarmente,
quanto piuttosto con ciò che capita tra le note col rituale messo in atto per passare
dall'una all'altra».25 Gould non ha mai rifiutato il legato, ma per lui doveva restare
un'eccezione, e non la sostanza stessa del suo pianismo. Esattamente come non è
possibile abbandonarsi ad uno stato di emozione continua, perché è necessario un
distacco di fondo per dar risonanza alle nostre passioni, così il legato acquista valore
soltanto nello spazio dello scioglimento.

2.2.2 Dalla tecnica all'estetica

Come ho già accennato nel paragrafo precedente, la posizione di Gould al pianoforte


è stata osservata e criticata da molti poiché non rispecchiava dal modo di sedere a
quello di articolare le dita, i consueti canoni e modi di suonare degli interpreti della
sua generazione.26 Michel Schneider sostiene che la sua posizione stravagante era
dovuta a ragioni d'ordine musicale, nel tentativo di facilitare, attraverso l'estrema
vicinanza, la precisione e la regolarità delle articolazioni. 27 Per quanto riguarda
invece la micromotricità, Gould possedeva una grande indipendenza delle dita, che
poteva articolare in maniera perfettamente indipendente sia a livello che sopra il
tasto. Le dita, non troppo lunghe erano staccate, il palmo era ampio, come le mani di
Chopin. Le sue mani erano adatte a suonare il pianoforte: le sue dita, anche quelle

25 Michel Schneider, Glenn Gould. Piano solo, Einaudi, Torino, 1991, p. 105.
26 Si pensi ad esempio ad Arturo Benedetti Michelangeli che sedeva al pianoforte con una postura
particolarmente “dritta”: la sgabello regolato in modo tale da formare con gli avambracci un
angolo di novanta gradi, la schiena eretta ed il busto praticamente immobile.
27 Ibidem.

24
più deboli, erano particolarmente lunghe, flessibili e forti. 28 Che le dita di Gould
fossero lunghe e robuste, cioè che fossero robusti i suoi muscoli flessori ed estensori,
lo si capisce benissimo. Gould era dotato di una tecnica raffinata e di una perfetta
indipendenza che è stata paragonata solo a quella di Horowitz. I suoi tempi di
reazione nervosa dovevano essere quelli di un centometrista o di un paracadutista e si
percepisce che lavorava molto con il flessore profondo29. Non si conosce però quale
fosse l'estensione della sua mano aperta e quali fossero l'ampiezza del palmo e la
larghezza dell'avambraccio, che viceversa sono gli elementi di valutazione
indispensabili per l'analisi di una tecnica.30

Figura 4. Glenn Gould durante una sessione di registrazione.

28 Le mani erano per Glenn Gould fonte di sofferenza e di ansia. Anche per fare pochi passi, tendeva
a proteggerle per evitare di farsi male. Gould sosteneva che le sue mani erano particolarmente
sensibili all'aria fredda e umida, che avevano problemi di circolazione ed una predisposizione ai
dolori, alla rigidità e ai gonfiori. Kevin Bazzana racconta che spesso si fasciava le mani, le
sfregava e le immergeva nell'acqua. Queste attenzioni, nonché l'uso della paraffina sciolta, erano in
parte nevrotiche. Nei quaderni si trovano annotazioni che riferiscono di dolori frequenti e rigidità
in entrambe le mani e nei polsi.
29 Gould agiva di preferenza con la prima falange del dito.
30 Kevin Bazzana dice che Guerrero era affascinato dalla scienza della tecnica pianistica. Tra gli
insegnamenti del maestro, i suoi allievi ricordano ad esempio che a lezione, mentre suonavano,
dovevano opporre resistenza alla pressione che il maestro esercitava sulle loro spalle e spingere
verso l'alto; lo scopo era quello di sviluppare i muscoli della schiena, invece che dai tricipiti o dalle
spalle, lasciando le braccia e le mani rilassate, e facendo lavorare solamente le dita.

25
L'articolazione delle dita era un aspetto importante della sua tecnica poiché attraverso
il gesto preciso delle dita più o meno articolate dalla prima, seconda o terza falange,
ricercava un determinato effetto timbrico nel fraseggio. Un suono particolare era
creato ad esempio con un dito che toccava il tasto prima di agire e poi agiva andando
verso il coperchio anziché in fuori oppure articolando le dita a livello o sotto il tasto
o, ancora, attaccando il tasto in modo diverso con le due mani, produceva un effetto
particolare grazie alla soluzione tecnica di attacco diversificato. Oltre
all'indipendenza articolatoria, in certi momenti definibile anche articolazione da
giocoliere, Gould possedeva anche una grande abilità di slancio laterale e di scatto,
un'estrema mobilità del polso ed in generale una tecnica molto sviluppata.
Il suono di Gould non aveva nulla di astrale: era netto, definito, aguzzo. Direi,
con una parola abusata e che viene spesso riferita ad uno stile di esecuzione,
brillante.31
Dal punto di vista estetico Gould si ricollega al pensiero trascendentale di
Ferruccio Busoni32 per il quale le intenzioni del compositore devono essere
reinterpretate attraverso il proprio pensiero e la propria interpretazione. Secondo il
grande pianista e teorico, vi sono sostanzialmente due categorie di interpreti: coloro
che usano la letteratura musicale per presentare se stessi e coloro che usano se stessi
per presentare la letteratura. Entrambe hanno diritto di esistere, sia i musicisti che
attraverso la riproduzione della partitura mirano a presentare se stessi, sia quelli che

31 La terminologia musicale non è ricca di parole sue proprie ed è prodiga invece di usi metaforici di
parole rubate da altri campi. Vellutato, perlato, brillante sono termini che richiamano esperienze
della vista, non dell'udito. Il termine metaforico può però rendere in immagine un suono che in
realtà sarebbe definibile soltanto attraverso l'esperienza auditiva o, scientificamente, grazie agli
spettrogrammi delle sue componenti armoniche.
32 Busoni, fenomenale virtuoso, fu il primo pianista della sua generazione a porsi criticamente il
problema dell'interpretazione e a tentare di risolverlo anche concettualmente; per tutta la vita tentò
di affrancare la musica da convenzioni e regole non più rispondenti alla crescente richiesta di
rinnovamento del linguaggio. L'intuizione cardinale di Busoni interprete – eseguire Bach, Mozart,
Beethoven e Chopin, non secondo gli stereotipi consolidati, ma cercando di riagganciarsi alla loro
modernità per farla rivivere – è la stessa che fa da filo conduttore al percorso creativo di Busoni
autore. A proposito dell'interpretazione e del valore della trascrizione egli scrive che «la notazione
è già trascrizione di un'idea astratta, così, l'esecuzione, per quanto libera, è a sua volta una
trascrizione. [...] La notazione è un ingegnoso espediente per fissare un'improvvisazione, sì da
poterla far rivivere in un secondo tempo. […] Quello che il compositore necessariamente perde
dalla sua ispirazione attraverso i segni, l'esecutore deve ricrearlo attraverso la propria intuizione».
Interpretare quindi e non eseguire dunque, per ridare alla musica quella vita e quella scintilla che il
compositore, nel suo tempo, percepiva e che andava perduta nell'attimo stesso della riduzione a
segno; Sergio Sablich, Busoni, EDT, Torino, 1981, p.80.

26
si pongono a servizio della nuova storia in costruzione, cercando di mettere in gioco
la propria personalità solo come strumento di lavoro. Per Busoni, nel rapporto tra
musicista e testo «qualsiasi interpretazione è una ricreazione»33. Già all'inizio del
900' riteneva assurda la pretesa che l'interprete dovesse essere fedelissimo suonando
solo quello che stava scritto come se il solo fatto garantisse di eseguire il pezzo nel
modo che il compositore avrebbe voluto. Per quante note e indicazioni vi siano
infatti in partitura «quel che si produce in un'interpretazione è un'altra cosa».34 Le
condizioni di ascolto, i livelli di rumore, le sale da concerto, le abitudini dei nostri
occhi, sosteneva, non sono più le stesse dell'epoca della composizione; inoltre, per
quanto si faccia, restano sempre vasti margini di opinabilità sulla lettura delle
indicazioni in partitura. Infine, il compito dell'interprete è restituire lo spirito, non
solo la lettera della partitura, facendo percepire cognitivamente ed emotivamente al
pubblico le novità che contengono le composizioni.
Questa posizione, appoggiata anche da musicisti come Rachmaninov, si poneva
in antitesi alle teorie romantiche ed in particolare alla teoria estetica di Schumann, il
cui valore principale era quello di rendere con umiltà ed esattezza il pensiero del
compositore. In Gould prevaleva un dissidio interiore di fondo, un'esigenza morale di
dover ricercare il pensiero del compositore ed esprimere contemporaneamente se
stessi. Non si sentiva vincolato dal testo scritto ed interpretava in maniera personale
le composizioni: ad esempio suonava forte dove era scritto pianissimo. Gould non
esitava a cambiare anche il testo. La testimonianza del compositore canadese Jacques
Hétu sull'interpretazione data da Gould delle sue Variations per pianoforte, può
fornire qualche spiegazione. A proposito di un passaggio in cui Gould aveva
sistematicamente invertito le indicazione, rimpiazzando il fortissimo, crescendo,
triplo forte della partitura con un fortissimo, decrescendo, piano. Hétu dice che il
risultato è «assolutamente logico e musicale, un negativo dell'immagine originale».35
La libertà che era solito prendersi era meglio accolta in Bach e nella musica barocca,
dove le indicazioni del fraseggio e del tempo sono quasi inesistenti 36. Per Gould la

33 Gianmarco Manfrida, La narrazione psicoterapeutica. Invenzione, persuasione e tecniche


retoriche in terapia relazionale, FrancoAngeli, Milano, 2003, p. 49-50.
34 Ibidem.
35 Schneider, Glenn Gould. Piano solo, cit., p. 85
36 A causa della sua meccanica a corde pizzicate, il clavicembalo non era in grado di variare, con la

27
partitura restava comunque uno dei parametri dell'interpretazione anche se la sua
tendenza era quella di trasformare tutto ciò con cui si misurava, attraverso distorsioni
e ricostruzioni ben più profonde di quelle che di solito si concedevano gli interpreti.
Spesso, negli studi di registrazione, arrivava con quattro o cinque modelli possibili,
tutti legittimi, tra i quali sceglieva nel corso dell'esecuzione e in fase di montaggio.
Concepiva la bellezza come un fatto di forbici e colla, montaggio e smontaggio, un
fatto di chirurgia estetica, mentre le apparecchiature tecniche servivano per lui non a
riprodurre l'informazione, ma a falsificarla nel senso dell'arte. Tutto era
interpretazione. A Gould tutto si può rimproverare, salvo leggerezza e incertezza.
Nella sua concezione ritroviamo un'assoluta uniformità degli attacchi e della
diteggiatura e ovvie diversità nel tempo dell'interpretazione da una versione all'altra,
ma mai all'interno di una stessa pagina (assenza totale del rubato).
Per convincersi del fatto che nella musica i problemi tecnici sono in realtà
questioni etiche basterebbe chiedersi, ad esempio, se sia legittimo non tener conto di
un'indicazione precisa del compositore, se si possono aggiungere o sopprimere delle
note, se sia lecito in un'incisione montare sequenze sonore tratte da registrazioni
differenti, cancellare le note false, praticare insomma la “falsificazione creatrice”. Su
tali questioni Gould tagliava corto o dava risposte affermative durante le lunghe
interviste, anche se la sua concezione, a livello più generale, subordinava interamente
la tecnica all'etica.
Ecco alcuni dei suoi principi etici:
 le dita dopo il pensiero, gli aspetti tattili devono restare di gran lunga in
secondo piano rispetto al problema essenziale: «dare un senso alla musica»;
 la musica prima del pianoforte37;
 la musica non è la produzione di corpi sonori, né di stati psicologici, ma la
ricerca di una perfezione spirituale: la musica tende all'incorporeità.38
Tenersi da parte per essere più sensibili al tatto, ecco come si può riassumere
l'estetica di Gould. Egli non toccava il pianoforte per molti giorni prima delle sedute
diversa pressione sui tasti il volume di suono. Era prassi dei compositori dell'epoca quella di non
indicare in partitura i segni di espressione e di dinamica.
37 Gould passava molto tempo a studiare lontano dal pianoforte, proprio perché riteneva che
l'interpretazione nascesse dapprima dalla mente e poi dalla messa in atto sulla tastiera.
38 Schneider, Glenn Gould. Piano solo, cit., p. 96.

28
d'incisione, e diceva: «Il pianoforte non si suona con le dita, ma col cervello […] il
segreto per suonare il pianoforte risiede, almeno parzialmente, nella maniera in cui si
riesce a separarsi dallo strumento».39 Gould si è sempre rifiutato di insegnare le sue
concezioni e non ha lasciato alcun manuale di interpretazione, ma se si volesse
attribuirgliene uno, il suo primo precetto sarebbe quello di dimenticare che si sta
suonando il pianoforte.
La sfida dell'interpretazione gouldiana nasceva da un sapere formale su una
materia enigmatica: far pensare, più che far sentire; dissociare le parti del suo corpo e
dissociarsi dal corpo. Egli rivendicava orgogliosamente questa strana impresa:

Ho bisogno di avere la sensazione che non siano le mie dita che suonano, che esse non
sono nient'altro che semplici appendici indipendenti che si trovano ad essere a contatto
con me in un determinato istante. Ho bisogno di trovare un modo per prendere le
distanze da me stesso, pur rimanendo totalmente coinvolto in ciò che faccio.40

A guardarlo suonare si resta sorpresi dall'immediatezza del suo approccio, come se le


sue dita non toccassero più i tasti ma la musica. Diffidenza nell'ispirazione,
nell'esecuzione di getto, interpretazioni lungamente mediate quasi a garantire loro la
possibilità di un ripensamento.
Non si può dare torto a chi ritiene che la proposta intellettuale del pianista di
Toronto sia improntata alla necessità di stabilire con il pubblico degli ascoltatori e dei
lettori41 un rapporto di garanzia, fondato non sul bisogno narcisistico di esibirsi o di
esprimere un parere strumentale alla propria autoaffermazione, quanto su quello di
costruire insieme una nuova etica dell'ascolto. Lo stesso Kevin Bazzana, il suo
maggior biografo, che pure ha restituito un'immagine forse troppo idilliaca e
idealistica del suo pensiero, per quanto abbia offerto uno strumento unico per
comprendere le contraddizioni dell'uomo, è sicuro nell'affermare che siamo di fronte
a una «concezione dell'arte [che ha] un fondamento morale».42 Moralità tuttavia, che

39 Ibidem.
40 Schneider, Glenn Gould. Piano solo, cit., p. 98.
41 Con l'abbandono della carriera concertistica, Gould cominciò a scrivere sistematicamente articoli,
saggi e composizioni.
42 Bazzana, Mirabilmente singolare. Il racconto della vita di Glenn Gould, cit., p. 106.

29
non può essere ricondotta al solo prototipo dell'artista puritano, cresciuto nel placido
Canada del secondo dopoguerra, ossequioso nei confronti di un'etica liturgica;
piuttosto, essa va indirizzata sull'agire politico di Gould43, che è urgentemente
connesso ai problemi storici dell'epoca, all'intuizione che la musica stia lentamente
perdendo la sua centralità nella vita di tutti e si stia degradando insieme a un
imbarbarimento generale dell'orecchio umano. In tal senso, fra le tante speranze
utopiche della sua avventura da interprete, c'è quella di una ricostruzione dell'autorità
del musicista, dopo che tanto esibizionismo e tanta competizione hanno trasformato
l'intellettuale-pianista in uno degli ormai innumerevoli attori sulla scena del
consumismo.
Difatti la coerenza gouldiana si gioca sul doppio filo del rapporto tra teoria e
pratica e tra forma e contenuto. Gould li ha sempre rigorosamente uniti: ha cioè
verificato, spesso trasformandoli, quei principi teorici di cui si nutriva la sua estetica
attraverso una pratica che ne sapesse veicolare la forza ideale, senza che quest'ultima
rimanesse chiusa all'interno di una prigione dorata. Nel processo di trasformazione
del materiale musicale il suono si arricchisce del lavoro umano. L'oggettivazione
sonora rappresenta, in Gould, quella forma della pratica che influenza tutta la sua
produzione di interprete: è il momento in cui l'immagine mentale si fa carne e si
colloca in una determinazione concreta che la oggettiva, la rende specifica.

2.2.3 Il suono: tra atto interpretativo e mediazione intellettuale

A proposito del suono di Gould, si è parlato di “clavicembalizzazione” del

43 Per estetica politica della musica si intende la capacità che ha avuto Gould di far uscire la figura
dell'artista fuori dai luoghi comuni che deturpano l'immagine del pianista nel consumismo
culturale. Per ulteriori approfondimenti si veda Marco Gatto, Glenn Gould. Politica della musica,
Rosenberg & Sellier, Torino, 2014. Il testo mette il luce le questioni teoriche e politiche del lascito
gouldiano. Gatto delinea il ritratto di un musicista sensibile ad un'idea comunitaria di musica, che
ha saputo anticipare un futuro in cui l'arte può essere goduta e capita con l'attenzione necessaria.

30
pianoforte. Non si può però comprendere il suono pianistico secco, metallico,
essenziale, brillante e nudo, se non lo si riferisce all'estetica che vi sta dietro e alla
sua funzione. Ci si deve ricordare, difatti, che alla base del compito interpretativo,
per Gould, sta una proposta intellettuale mai specialistica o individualistica, ma
piuttosto indirizzata a riportare l'ascoltatore al centro dell'opera. Il suono, vale a dire
ciò che incorpora il messaggio estetico che l'interprete fornisce al destinatario, non
può che avere, dunque un'importanza fondamentale.
Per rendere possibile una comprensione strutturale e adeguata, Gould sceglie
due vie mutuamente scambievoli. Da un lato sceglie la chiarezza espositiva,
mettendo in evidenza il ritmo e l'articolazione del dettaglio strutturale, dall'altro un
suono metallico e materiale, spogliato delle sue determinazioni “romantiche” e più
affine ad un'idea pura della musica. All'apparenza sembrerebbe che la sua finalità sia
quella di allontanarsi sempre di più dal piano della materialità, ma in realtà la
questione è più complessa. Innanzitutto occorre specificare che il suono di Gould
rappresenta una scelta determinata da parametri ben specifici. Ciò che a Gould
interessa è, sul piano sonoro, funzionale allo sfoltimento di tutto ciò che è lontano
dalla sintesi. Pertanto, la sua postura al pianoforte, lo scaricamento dell'energia solo
sulle sue dita, l'uso particolare del peso e della flessione digitale e l'uso accurato del
pedale sono al servizio della nitidezza. L'obiettivo di Gould è di giungere alla
purezza spoglia del suono e per farlo riconosce nella materialità fisica del prodotto
acustico il luogo in cui si realizza il grado massimo di avvicinamento alla struttura
della musica. Il suono è privo di scorie e si identifica nella partitura: accede cioè alla
fisicità materiale che ne rappresenta il senso ultimo. Il lavoro d'interpretazione di
Gould si gioca tutto nella trasmissione di un suono che riesca a tradurre fedelmente
la lettera materiale del testo. Il pianista concepisce il suo agire non semplicemente
come trasmissione del suo singolare messaggio estetico, ma come pratica culturale,
nell'atto di offrire all'ascoltatore un'oggettività.
Per descrivere lo iato che si realizza tra il testo musicale e la sua realizzazione
sonora, Gould ricorre spesso all'espressione di un'immagine per riassumere lo stadio
mentale in cui l'astrazione lavora a costruire quella fisicità sonora pura che
l'ascoltatore troverà poi nell'esecuzione. Questo stadio trova una sua posizione nel

31
percorso interpretativo che corrisponde allo studio della partitura: secondo Gould è
necessario astrarre la forma pura del contenuto manifesto e accedere alla dimensione
strutturale del brano, che viene rivelata da un'analisi profonda.
Successivamente all'immagine mentale, che coincide con l'estrema materialità
del suono, si sovrappone la concretezza dell'elaborazione digitale.

Quando devo suonare il pianoforte ho un'immagine mentale della sonorità che desidero
ottenere e questa, naturalmente, varia molto a seconda del repertorio. Ma il tipo di
sonorità che prediligo è di una sorta che, secondo alcuni, non si confà affatto al
pianoforte. Ricordo che, fin dall'inizio, fin dai miei primi passi al pianoforte, detestavo
ascoltare chi utilizzava abbondantemente il pedale. Lo trovavo orribilmente volgare.
Non me lo ha mai detto nessuno, e non mi è mai stato rimproverato di avere utilizzato
troppo il pedale; sono stato io prestissimo, a scoprire che non amavo il pedale e, a meno
che non sia assolutamente richiesto dalla musica, preferisco non utilizzarlo del tutto. Il
mio ideale sonoro per il pianoforte è che suoni un po' come una specie di clavicembalo
castrato.44

In una ricostruzione sonora effettuata da Bruno Monsaingeon, che gli domanda il


perché dell'estrema diversità stilistica rispetto ad altri pianisti, Gould risponde:

Credo che quando si suona il pianoforte uno degli elementi da sfruttare – cosa che non
si fa abbastanza, anzi ne siamo ben lontani – sia la sua predisposizione all'astrazione. È
uno strumento perfettamente adatto alla riproduzione della musica per virginale, per
clavicembalo e clavicordo, per organo e anche, a volte, per orchestra. È uno strumento
per il quale possono sorprendentemente essere adattate opere di ogni genere anche se
non nate per lui.
Penso non sia un caso che la musica per pianoforte che mi interessa meno sia proprio
quella espressamente pianistica (come Lei sa, Chopin, per esempio, mi entra da un
orecchio e mi esce dall'altro). Faccio un'eccezione per Skrjabin che mi piace
enormemente perché, pur essendo la sua musica estremamente pianistica e pur essendo
stato egli stesso un grande pianista, era costantemente alla ricerca di esperienze
estetiche, che superassero i confini del pianoforte. Credo che sia questa la trappola in
cui rischia di cadere chi scrive per il pianoforte o lo suona: si è presi in trappola dallo
strumento e si dimentica la dimensione astratta che gli è esterna.
[…] Mi è totalmente estranea l'idea bizzarra secondo cui un artista sarebbe un atleta che
si deve mantenere in allenamento fisico costante. L'essenziale è immagazzinare la
musica in qualche zona del cervello, conservarne un'immagine solida e chiara
ripassandola a mente: è in quel momento, quando si è lontani dallo strumento, che
l'immagine diviene più forte. L'unico lavoro realmente fruttuoso, per me, è la lontananza
dallo strumento e il consolidamento dell'immagine mentale.
[…] Imparare un brano musicale non ha per me niente a che vedere con l'elemento
strettamente pianistico, mentre il fatto di passare settimane intere ad analizzare uno

44 Da un'intervista concessa a Dennis Braithwaite contenuta in Glenn Gould. No, non sono un
eccentrico cit., p. 32.

32
spartito mi lascia una sensazione indelebile. Parte del segreto per suonare il pianoforte
sta nel modo in cui ci si riesce a distaccare dallo strumento. Quando suono sembra che
io gesticoli spesso come un direttore d'orchestra: in realtà ciò che serve a crearmi dei
quadri immaginari, come capita ad un violoncellista reticente che bisogna vezzeggiare
per indurlo a produrre un fraseggio migliore.45

Rispondendo alle domande di Braithwaite e Monsaingeon, Gould si esprime a


proposito della creazione di un distacco intellettuale: il momento dell'astrazione è
extralocale rispetto al concreto sonoro, ma ha come suffisso termine di paragone, ai
fini della realizzazione, la sensazione tattile creata dall'esecuzione mentale. La
possibile e parziale autonomia di questa fase fa professare a Gould l'idea di una
sostanziale neutralità e adattabilità del pianoforte come strumento in grado di
esprimere qualsiasi tipo di musica. Sul piano teorico, la lettura mentale della musica
in opposizione alla realizzazione non “filtrata” dei suoni, prefigura un'estetica del
suono differente rispetto a qualsiasi altro discorso generale sull'altra, un'estetica in
cui sussiste un'unità sonora immateriale, leggibile e comprensibile prioritariamente
solo in via astratta, da cui poi si dispiegano le differenti realizzazioni sonore. Il
mezzo dell'immagine mentale viene, in uno stadio successivo, superata dal suono che
la veicola e su cui essa deve adagiarsi per essere comunicata. La materialità della
musica di Gould risiede allora nell'immagine mentale veicolata dal suono, che è la
sua realizzazione concreta. Nel suono si realizza, prima d'essere superato, un
momento di identità, in cui concretizzazione sonora e immagine mentale coincidono.
Solo alla fine di questo processo si ottiene il suono perfettamente realizzato che
diventa rispecchiamento di un intero processo e restituisce all'ascoltatore chiarezza
strutturale e analitica.
Le tappe essenziali della formatività gouldiana dei suoni sono:
a) la creazione dell'immagine mentale, momento astratto e accesso alla pura
materialità fisica del suono;
b) realizzazione concreta e digitale dell'immagine mentale, che viene negata e
accostata alla dimensione tattile, su cui si adagia per prendere forma, sempre
in via teorica;
c) sintesi in cui il momento astratto viene totalmente superato dalla fisicità del
45 Ivi pp. 110-111.

33
suono, che si presenta ora connotato dalla materialità.
Con la terza fase la musica diventa prodotto storico perché attende d'essere realizzata
nell'atto dell'ascolto, entrando nell'arena della storia interpretativa.46
In un'epoca in cui viene certificata, per influenza della società dei consumi, la
fine dell'ascoltatore-critico, la risposta interpretativa di Gould si pone come un
disperato tentativo di ristabilire quel sano rapporto tra esecutore e destinatario.
Recuperando la chiarezza attraverso la scansione ritmica, denudando il suono di quei
veli che non permettono una sua diretta comunicazione, Gould si pone in contrasto
con la “romanticizzazione” o mitizzazione dell'esperienza musicale ed il suo suono
materiale agisce come compensazione fisica del carattere astratto della musica, la cui
risposta sta nel riportare al centro dell'esperienza estetica il fattore umano. Ha
ragione Rattalino quando afferma che nel suono di Gould «si sente persino
fisicamente la tensione muscolare parossistica del dito nel momento in cui si avventa
sul tasto»47, evidenziandone implicitamente la sua concretezza fisica e umana.
Gould mira mentalmente all'essenziale del suono senza operare però una riduzione
delle potenzialità timbriche. La sua è un'esplorazione di possibili altre prospettive,
colta attraverso la riorganizzazione costante del suono. Il suo Bach, così attento alla
scansione ritmica e alla chiarezza delle voci interne, spesso appare all'ascoltatore
privo dell'esprit de finesse che prevarrebbe invece in un interprete “conservatore”
come Andràs Schiff.48 Il suo Beethoven non raggiunge quelle irruenze romantiche e
quella potenza di suono riscontrabili in un Richter, o nella retorica virtuosistica di
Gilels. Il suo Prokof'ev e il suo Skrjabin sono profondamente ideologici e tanto legati
alla sua estetica che non si possono paragonare a quelli di Horowitz, Richter e altri.
Né il suo rigore interpretativo, che si giustifica solo con la sua concezione politica
dell'arte, ha a che vedere con pianisti rispettosi del testo come Maurizio Pollini o

46 Gatto, Glenn Gould. Politica della musica, cit., p. 54.


47 Piero Rattalino, Da Clementi a Pollini: duecento anni con i grandi pianisti, Ricordi, Milano, 1999,
p. 373.
48 A seguito del concerto tenuto all'auditorium “Parco della musica” di Roma il 28 febbraio 2014,
dedicato alle Variazioni Goldberg, il pianista ungherese Stefano Ceccarelli lo definisce il miglior
interprete mondiale di Bach del momento. Dall'esecuzione emergono tratti di personale
innovazione alla tradizione: meno meditativa, con un'agogica sostenuta e scevra da ogni
sovrainterpretazione romantica o positivista. Il suono è gestito magistralmente nelle dinamiche e
nella resa timbrica dell'opera. L'interpretazione bachiana di Schiff è priva di effetti romantici e
guarda senz'altro alla versione magistrale di Gould, di cui però deterge alcuni estri.

34
Alfred Brendel.
Gould ricerca un suono solo apparentemente ridotto all'estrema materialità
acustica: sfrutta la fisicità umana del suo pianismo per rendere chiara la complessità
della struttura musicale e, nello stesso tempo, crea ed esplora nuovi timbri e nuove
sonorità. Il suono di Gould rispecchia la dialettica tra la materialità della lettera
testuale e la sua conversione in oggettività fisica, per mezzo dell'acquisizione
intellettuale ed astratta dell'immagine mentale.
La sua rivelazione interpretativa è di solito associata a quel che meglio
caratterizza l'approccio tattile di Gould alla partitura: vale a dire lo staccato, che a
torto viene spesso descritto come il carattere totalizzante del suo universo esegetico,
e che in realtà è sempre opposto ad una sorta di mezzo legato. Il pianista se ne serve
per meglio evidenziare le voci interne o per evitare l'occultamento di procedimenti
contrappuntistici più nascosti. L'effetto timbrico è quindi il risultato di una
materialità più accentuata.
Alla fisicità del suono egli applica un principio dialettico di negazione nei
confronti della storicità acquisita della partitura e delle sue interpretazioni: Gould
concepisce l'accesso alla pura materialità sonora come svuotamento dei falsi modelli
importati dalla storia interpretativa e dalle mitologie che le sono proprie. Il gesto di
riscrittura che egli persegue in qualsiasi interpretazione acquisisce così un senso
storico, politico ed intimamente critico. Le esecuzioni di Gould rovesciano
dialetticamente la tradizione e impongono la necessità di un momento di
autocoscienza, creando una nuova versione delle cose. In un passo ricostruito da
Monsaingeon, si legge:

Non ho niente contro l'ortodossia in sé, ciononostante ritengo essenziale, quando si fa


una registrazione, contribuire ad una visione nuova delle cose, in sostanza ricreare
l'opera, trasformare l'atto interpretativo in atto creativo. Quando gli interpreti hanno
smesso di essere dei compositori, nel diciottesimo secolo, per la musica è stato un
enorme disastro (ed è questo il suo grande peccato).49

Il suono di Gould è allora un suono per, con e nella storia, intesa come sviluppo
necessario, come processo dei fatti umani. Quando interpreta i brani di un

49 Glenn Gould. No, non sono un eccentrico, cit., p. 115.

35
compositore ai più sconosciuto o quando propone una nuova versione delle Suite
francesi di Bach, non fa che porsi in contrasto con un'idea acquisita di musica.

36
2.3 Gould interpreta Bach

2.3.1 J. S. Bach, un artigiano del contrappunto

Il rapporto Gould-Bach è stato molto discusso dalla critica che ne ha rilevato non
solo la straordinaria novità nel modo di eseguire il compositore barocco, ma gli ha
anche decretato un successo assoluto. Giornalisti e pubblico erano incuriositi della
costante presenza di Bach in gran parte dei suoi concerti e incisioni, tanto da
suscitare spesso domande a riguardo. In una lettera di risposta ad un'ammiratrice
Gould stesso ammetteva in maniera esplicita l'amore viscerale che nutriva per il
sommo Kantor:

Mi chiede se Bach è sempre stato il mio compositore preferito. La domanda è


interessante, ma non di facile risposta. […] Allo stesso tempo, penso che se mi si
chiederebbe di passare il resto della mia vita su un'isola deserta ad ascoltare o a suonare
la musica di un solo compositore, certamente mi verrebbe in mente Bach. Non riesco
davvero a pensare una musica altrettanto onnicomprensiva, che mi colpisca così
profondamente e che, al di là della sua genialità, valga ad esprimere, per usare un
termine piuttosto impreciso, qualcosa più pregno di significato di questo: il senso
dell'umano.50

50 Glenn Gould. Lettere, a cura di John P. L. Roberts e Ghyslaine Guertin, Rosellina Archinto,
Milano, 1993. Lettera datata 22 maggio 1967 ed indirizzata all'ammiratrice Debbie Barker.

37
L'invidiato stile bachiano di Gould non ha però fatto scuola e non solo perché
“imitarlo” avrebbe richiesto una tecnica talmente sopraffina che possiedono sì e no
tre o quattro pianisti al mondo, ma soprattutto perché, per arrivare ad eseguire in tal
maniera la musica di Bach, sarebbe stato necessario passare attraverso un rigoroso
ragionamento sul modo di fare musica.
Kevin Bazzana fa rilevare come Gould abbia affrontato il repertorio bachiano
analizzandolo sotto l'aspetto formale/strutturale. Ma il suo studio non si è limitato a
questo: la straordinaria modernità nell'interpretazione dell'autore barocco è stata
soprattutto nel ripensare la musica del passato utilizzando i parametri culturali del
presente.
Si è spesso discusso ad esempio, a proposito della tecnica digitale e della
forsennata velocità esecutiva di Gould in certe pagine di Bach. La scelta di tempi
esageratamente veloci, ai limiti delle possibilità fisiche dell'esecutore, è stata
individuata, tra le molte ragioni, nel tentativo d'assimilazione timbrica al suono del
clavicembalo, strumento dai tasti più leggeri e quindi potenzialmente adatto a
sostenere maggiori velocità esecutive.51 In un'intervista, Gould inoltre spiega come la
realizzazione del cosiddetto suono secco non passi solo attraverso la scelta di un
pianoforte ben preciso, con una meccanica leggera e una risposta più veloce del
martelletto all'abbassamento del tasto52, quanto la decisione di utilizzare la tecnica
digitale al servizio della chiarezza e di evitare qualsiasi movimento o artificio che
veli il significato reale della partitura.

Ho imparato che suonando Bach il solo modo di dare forma a una frase, a un soggetto o
a un tema, contrariamente a quello che si fa con Chopin, non consiste nell'introdurre
ogni tipo di crescendo e diminuendo, ma nel dare un respiro ritmico. In altri termini:
sono le estremità delle dita che agiscono per produrre qualcosa che assomigli ai suoni
meravigliosamente soffiati e ansimanti degli organi antichi. Senza parlare dell'uso del
pedale, perlopiù chi suona Bach al pianoforte sovraccarica di legature la sua musica ed
esagera il fraseggio dinamico, credendo così di ottenere un effetto espressivo. Io ho
51 In ogni caso, la difficoltà tremenda di un simile stile pianistico sta nel mantenere un tocco dal peso
costantemente uguale, calibrato con certosina esattezza per ciascuna nota: Gould ci riesce con
un'abilità che, talvolta, ha dell'incredibile.
52 Lo Steinway CD 318 aveva lo scappamento chiuso necessario al suono non legato di Bach e quella
sorta di vibrato interno a ogni nota tipico del clavicembalo. Tale era quello dello strumento su cui
Gould incise gran parte dei suoi dischi, divenuto famoso anche grazie al saggio romanzato di K.
Hafner, Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfetto, Torino, Einaudi, 2009, o quella del suo
Chickering casalingo, o dello Yamaha di serie dell'ultimo periodo.

38
cercato di eliminare tutto questo e la mia pratica organistica mi ha certamente aiutato
molto.53

Comunque sia, Gould era perfettamente consapevole del fatto che la scelta di
eseguire la musica per tastiera di Bach sul pianoforte avrebbe richiesto un
supplemento di giustificazioni. Ad una lettera che poneva un'obiezione sul suo Bach
suonato al pianoforte, Gould rispondeva così:

D'altronde quella larghissima percentuale dell'opera di Bach scritta per clavicembalo o


per clavicordo può essere eseguita, penso, sul moderno pianoforte senza eccessiva
perdita di trasparenza o identità storica. Sono convinto che in larga misura sia una
questione d'attitudine dell'esecutore. Se tiene presenti le circostanze esecutive che
influenzarono Bach […] penso non sia improprio considerare il moderno pianoforte
strumento perfettamente adatto all'esecuzione di questa musica.54

In un'altra datata 3 gennaio 1963, Gould si rivolge invece ad un pianista lituano


interessato all'interpretazione bachiana e al quale dichiara la legittimità di eseguire
Bach al pianoforte.

Ho […] un buon numero di teorie sull'interpretazione di Bach al pianoforte, centrate


soprattutto sul fatto che se si usa il pianoforte bisogna cercare di simulare in una certa
misura la disposizione della doppia tastiera del clavicembalo. Sono lontano dal
rigorismo in materia e non credo in ogni caso nello spingere tali teorie all'eccesso; credo
che il principale progresso nell'interpretazione di Bach, sopravvenuto nell'ultima
generazione, sia stato l'aver cercato di raggiungere la necessaria chiarezza e
delineazione del suo linguaggio col sacrificare, in qualche misura, le qualità timbriche
del pianoforte.
Logica conseguente di questa considerazione sarebbe quella di suonare Bach
semplicemente sul clavicembalo, ma non posso fare a meno di pensare che il pianoforte
con la sua ricchezza di sonorità e di possibilità che fornisce per effetto di registri,
basilari alla musica bachiana ma per ragioni puramente meccaniche impossibili a
tradursi sul clavicembalo, è un sostituto perfettamente legittimo e in varia maniera il più
pratico strumento a tastiera per eseguirlo. Devo anche aggiungere che suonare il
pianoforte richiede una buona dose di volontà per rinunciare alla sue qualità ammalianti
e questo mi sembra sia ora sempre più ampiamente accettato dall'attuale generazione di
musicisti.55

Dopo tutte queste spiegazioni, non si deve però confondere l'adesione letterale al
53 Glenn Gould. No, non sono un eccentrico, cit., p. 45.
54 Glenn Gould. Lettere 1956-1982, a cura di Luciana Coppini, Archinto, Milano, 1993. Lettera
datata 25 settembre 1968 ed indirizzata all'ammiratrice Wivelia Hyllner.
55 Ivi p. 62. Lettera datata 3 gennaio 1963 ed indirizzata al pianista lituano Krastins.

39
brano, anche dal punto di vista filologico, con l'interpretazione. Appare ovvio che,
pur volendo restituire all'ascoltatore la struttura di ciò che si esegue, quel che sarà il
prodotto estetico dipenderà delle scelte interpretative del musicista. Questo significa
che il Bach eseguito da Gould sarà pur sempre un Bach profondamente gouldiano.

2.3.1.1 I modelli di Gould: da Schoenberg a Rosalyn Tureck

In linea con la scuola schoenberghiana, Gould considerava Bach come l'origine della
tradizione austro-tedesca e come uno dei primi esponenti dei valori musicali razionali
e moderni. Schoenberg descriveva l'arte di Bach come l'arte di «ottenere tutto da una
sola cosa» e, pensando al compositore barocco, definiva la fuga come «una
composizione con la massima autosufficienza del contenuto». 56 Bach era un modello
di ordine, logica ed integrità strutturale anche per Gould, che ignorava
opportunisticamente tutti quegli aspetti della sua musica che non confermavano
questa visione. Aveva poco da dire su di lui come retorico, luterano, autore di musica
descrittiva, uomo di teatro e interprete; il suo Bach era un architetto, un «artigiano
del contrappunto», un idealista la cui musica non si mescolava con questioni terrene
come la realizzazione strumentale. Con Bach e Schoenberg come modelli, non c'è da
stupirsi che Gould si entusiasmasse per il contrappunto, e in particolare per le sue
forme rigide come il canone e la fuga, che più si prestavano ad essere analizzate
rigorosamente. Nel 1980 disse: «Sono sempre stato attirato dalla musica che per un
verso o per un altro è contrappuntistica, mentre la musica omofonica mi ha sempre
annoiato».57
I principi schoenberghiani di razionalità, ordine, economie e unità
influenzarono decisamente anche il particolare stile pianistico di Gould, qualunque
fosse il tipo di musica. Schoenberg stesso affermava che l'esecutore doveva rendere
esplicite all'ascoltatore le relazioni strutturali e tematiche del pezzo:
56 Bazzana, Mirabilmente singolare. Racconto della vita di Glenn Gould, cit., p.111.
57 Ivi p.112.

40
Il principio più importante in qualsiasi esecuzione musicale deve dunque essere quello
di suonare ciò che il compositore ha scritto in maniera tale da far sentire davvero ogni
nota, e che tutti i suoni, siano essi simultanei o successivi, siano tra loro in una relazione
tale che nessuna parte in nessun momento ne oscuri un'altra ma, al contrario, ognuna
contribuisca a far sì che ogni parte risulti chiaramente distinta dalle altre. 58

Le parole del compositore austriaco potrebbe essere il motto per lo stile pianistico,
puro e analitico di Gould.
In linea con i principi razionali schoenberghiani, Gould rifiutava decisamente
fin da giovane l'approccio romantico a Bach, che associava ad interpreti quali Wanda
Landowska, Edwin Fischer, Pablo Casals e Ernest MacMillan. Pur avendo riportato
in auge la musica bachiana, questi illustri pianisti suonavano usando moltissimo il
rubato, tanto che la loro prospettiva interpretativa sembrava presupporre la possibilità
di saldare il barocco alla sensibilità romantica.
Negli anni Quaranta, quando Gould aveva all'incirca quindici anni, scoprì le
incisioni di Rosalyn Tureck, pianista e clavicembalista statunitense che, a partire
dagli anni Trenta, era stata considerata una specialista nella musica di Johann
Sebastian Bach. Quando debuttò a Toronto nel 1948, ad ascoltarla c'era anche Glenn
Gould, che studiò le sue prime incisioni59, uscite poco dopo. In un momento in cui
stava combattendo con il suo maestro una battaglia su come andava suonato Bach, i
dischi della Tureck lo convinsero per la prima volta che non stava combattendo da
solo. «Nei lontani anni Quaranta, quando ero un ragazzino, lei fu la prima ad
eseguire Bach in quella che mi pareva una maniera sensata».60 In un'intervista con
Jonathan Cott, Gould stesso ammise che la Tureck lo aveva profondamente
influenzato. Considerava il suo modo di suonare di grande integrità, con un senso di
compostezza che aveva a che fare con la dirittura morale nel senso liturgico del
termine: «C'era un senso di pace che non aveva nulla a che vedere con il languore,
ma caso mai con la rettitudine morale nel senso liturgico».61 La Tureck rilevò a
Gould come Bach poteva essere adattato al pianoforte. Il suo stile – articolato con

58 Ivi p.113.
59 Le prime registrazioni bachiane della Tureck includono la Fantasia cromatica e fuga, il Concerto
italiano e il Clavicembalo ben temperato.
60 Bazzana, Mirabilmente singolare. Racconto della vita di Glenn Gould, cit., p.114.
61 Ibidem.

41
chiarezza, con un uso scarso del pedale, una trasparenza contrappuntistica e una
consapevolezza a un tempo analitica e storica – contribuì a rafforzare le idee che
Gould andava sviluppando sul modo di eseguire Bach. Sebbene diverso sotto molti
aspetti, per esempio nel maggior dinamismo e nella preponderanza di tempi veloci, il
Bach suonato da Gould era chiaramente influenzato, anche il alcuni dettagli delle
ornamentazioni, da quello di Tureck.62
Malgrado le sue dichiarazioni, Gould rimase colpito anche da altri celebri
pianisti come Artur Schnabel che considerava alla pari di un'eroe e Vladimir
Horowitz. In un'intervista inedita del 197963 ammise anche di esserne stato
influenzato, seppure per un periodo brevissimo della sua giovinezza. Ma l'influenza
del pianista russo fu più profonda e duratura.

Ad attirarmi fu probabilmente il senso dello spazio che molto spesso permeava le sue
esecuzioni, il modo in cui, a volte in maniera del tutto inaspettata, appariva una voce di
contralto o di tenore di cui non ci si era accorti... Dava all'improvviso un senso
tridimensionale all'esecuzione.64

Con queste parole Gould si riferiva al contrappunto di Horowitz, alla sua incredibile
padronanza di più linee melodiche sovrapposte e delle sonorità. Malgrado tutte le sue
argomentazioni razionali sulla struttura, il suo contrappunto non era coerentemente
analitico e calcolato come quello, per esempio, della Tureck: era invece più
spontaneo, dinamico ed espressivo.

62 In un'intervista del 1985 la Tureck disse che Gould aveva preso molto dal suo modo di suonare:
«Quando ascolto i suoi dischi è come se mi sentissi suonare, perché io ero l'unica al mondo a fare
quegli abbellimenti». Robert Fulford ricorda di aver sentito Gould , più o meno ventenne, esporre i
motivi per cui riteneva la sua interpretazione di una Partita di Bach superiore da quella incisa da
«uno dei massimi interpreti contemporanei di Bach». Cfr. Ivi p.114.
63 Si tratta di un'intervista telefonica avvenuta tra Gould e Glenn Plaskin.
64 Bazzana, Mirabilmente singolare. Racconto della vita di Glenn Gould, cit., p.123.

42
2.3.1.2 L'incorporeità della musica nelle opere di Bach

Glenn Gould incise quasi tutta l'opera per tastiera di Bach con un'adesione così
perfetta allo spartito contrappuntistico, ed una coerenza tale tra l'intenzione ed i
mezzi tecnici, da far sovente credere, seppure erroneamente, che Bach fosse il suo
musicista preferito. Il Bach di Gould possiede l'enigmatica evidenza delle cose che
da noi non si aspettano nulla, e non suppongono in noi desiderio o memoria. La
musica diventa allora non ciò che ascoltiamo, ma ciò che ci ascolta. Le
interpretazioni di Bach eseguite da Gould sono esattamente questo: una musica che
ascoltandoci non ascolta che se stessa. È allora che veniamo raggiunti da quegli
ammassi di note purificate da ogni rapporto di familiarità, da quella luce della frase,
fragile e fredda come quando si prende nella mano la linea del silenzio. La musica di
Gould è, malgrado tutto, più forte di ogni altra cosa, sfuggita da un altro tempo e da
un altro luogo, antica eppure senza età, con un'incredibile capacità di accordarsi con
se stessa.
Il mistero del tocco di Gould deriva dalla qualità, dalla densità della sua
intonazione riconoscibile in ogni istante.65 L'intonazione di Gould ha i connotati
dell'umiltà, di qualche cosa di ormai spoglio, senza vincoli con il mondo. Vuole
conoscere Dio, o la musica, che forse, sono la stessa cosa. E Gould se n'è avvicinato,
forse più di chiunque altro, nella sua ultima registrazione dell'Aria delle Variazioni
Goldberg. Nulla di più nudo, di meno affettato dell'enunciato che Gould ne dà, come
se la musica nascesse in quel momento, senza bisogno di pensarci.
L'intenzione di Gould era di penetrare più a fondo nella solitudine dello
strumento, come se dovesse suonare nudo. Da questo concetto derivò probabilmente
quell'annullamento della funzione ornamentale: gli ornamenti che suonava in Bach
come fossero note di valore melodico e armonico analogo al resto della frase,
65 L'intonazione è difficile da analizzare; in questo caso, è ciò che porta a produrre sonorità differenti
due pianisti che suonano le stesse note, allo stesso volume e sullo stesso pianoforte.

43
enunciandole lentamente, quasi pronunciandole, disarticolate, per riscoprirne la
necessità e l'urgenza. Da qui anche l'assenza di pedale, perché il pedale veste, vela,
mentre egli voleva che il corpo della musica si immergesse nella profondità come il
corpo nella morte, nudo, spogliato dagli artifici, abbandonato all'umiltà della carne.
Gould era alla ricerca di qualcosa di impossibile che, a proposito delle Variazioni
Goldberg, egli stesso definisce «l'incorporeità» della musica. La musica, secondo lui,
era una tensione tra due poli: la complessità algebrica, cioè il movimento del
pensiero verso una maggior distanza, e l'elementarità immutabile nascosta nei suoni.
L'effetto di Gould su Bach trascendeva dalla tastiera e resisteva a tutte le incarnazioni
strumentali. La musica doveva negare lo strumento, provare nei suoi confronti
un'indifferenza simile a quella di Dio nei confronti dei suoi servitori.
La disincarnazione del suono non entra però in contraddizione con la densità
della frase: Gould vuole spogliare la musica della sua carne per farne vedere in piena
luce la sua architettura indifferente ai colori, la bellezza delle sue ossa. È una vecchia
questione che si pongono i pianisti: il suono dev'essere prima di tutto bello o vero?
Alcuni scelgono il suono bello, altri quello vero, altri vogliono che sia bello e vero al
tempo stesso. In Gould è un'altra cosa: un suono che è, e che nessun aggettivo
potrebbe qualificare.

2.3.2 Variazioni Goldberg

2.3.2.1 Nascita della composizione

Le Variazioni Goldberg, uno dei massimi monumenti della letteratura tastieristica,


furono pubblicate nel 1742, quando Bach aveva il titolo di compositore della corte

44
reale di Polonia ed elettorale di Sassionia. Fino ad allora Bach aveva dimostrato poco
interesse per questa forma66, e il fatto che nonostante ciò egli si sia impegnato nella
costruzione di un edificio di grandiosità senza precedenti, non può che suscitare
molta curiosità intorno alle origini dell'opera. Questa curiosità dovrà però rimanere
insoddisfatta poiché tutti i dati ancora esistenti ai tempi di Bach sono stati poi
occultati dai suoi biografi romantici, affascinati da una leggenda che, malgrado la sua
pittoresca inverosimiglianza, è difficile confutare. Il titolo Variazioni Goldberg è
dovuto ad esempio ad un aneddoto raccontato nel 1802 da Nikolaus Forkel, primo
biografo di Johann Sebastian Bach. Secondo Forkel l'Aria con diverse variazioni per
clavicembalo a due manuali (titolo originale dell'opera) sarebbe stata commissionata
dal conte di Dresda, Hermann Carl von Keyserling, ambasciatore di Russia presso la
corte di Sassionia, il quale aveva alle proprie dipendenze come musicista di palazzo
uno dei migliori allievi di Bach, Johann Gottlieb Goldberg. 67 Keyserling, che pare
soffrisse spesso d'insonnia, chiese al maestro di scrivere qualche brano per tastiera
dal carattere riposante che Goldberg potesse suonargli per conciliargli il sonno.68 Se
la cura ebbe qualche effetto, è lecito nutrire qualche dubbio sulla qualità
dell'interpretazione che il giovane Goldberg doveva dare a questa partitura incisiva e
stuzzicante. E anche se non ci facessimo la minima illusione sull'indifferenza da vero
professionista con cui Bach considerava le restrizioni imposte alla sua libertà
artistica, è difficile credere che i Luigi d'oro offertigli da Keyserling siano stati

66 La variazione non è propriamente una forma, bensì un genere, e sebbene siano esistite alcune
tipologie tradizionali di cui si servivano i compositori per dare forma all'insieme, si può affermare
che ogni grande serie di variazioni è strutturata in modo unico e irripetibile.
67 Il giovane talento Johann Cottlieb Goldberg era stata allievo del figlio maggiore di Bach, Wilhelm
Friedemann, ed allievo di Bach nel 1742 e nel 1743.
68 Il musicologo e organista tedesco Johann Nikolaus Forkel scriveva: «In cattiva salute, il Conte
soffriva sovente d'insonnia, e Goldberg che viveva in casa sua doveva distrarlo, in simili occasioni,
durante le ore notturne, suonando per lui in una stanza attigua alla sua. Una volta il Conte disse a
Bach che gli sarebbe molto piaciuto avere da lui alcuni pezzi da far suonare al suo Goldberg, che
fossero insieme delicati e spiritosi, così da poter distrarre le sue notti insonni.[...] Bach concluse
che il miglior modo per accontentare questo desiderio fosse scrivere delle variazioni, un genere
che fino a quel momento non aveva considerato con molto favore per via dell'armonia di base,
sempre uguale. Sotto le sue mani, anche queste variazioni divennero modelli assoluti dell'arte,
come tutte le sue opere di quest'epoca. Il Conte prese da allora a chiamarle, le “sue” variazioni.
Non si stancò mai di ascoltarle e, per lungo tempo, quando gli capitava una notte insonne,
chiamava: “Caro Goldberg, suonami un po' le mie variazioni”. Mai Bach fu ricompensato tanto per
un'opera come in questo caso: il Conte gli diede in dono un calice pieno di 100 Luigi d'oro. «Ma
tale opera d'arte non sarebbe stata pagata adeguatamente nemmeno se il premio fosse stato mille
volte più grande».

45
l'unico motivo del suo interesse per una forma altrimenti sgradita.
Il musicologo tedesco Cristoph Wolff ad esempio, non concorda con il racconto
tramandato da Forkel, innanzitutto perché Bach compose le Variazioni nel 1741 e
furono edite nel 1742 senza alcuna dedica, richiesta dal protocollo settecentesco.
Alcuni critici dubitano inoltre che un ragazzo di quindici anni, quale era Goldberg
nel 1742, possedesse, per quanto prodigioso fosse, la tecnica necessaria per
l'esecuzione di questa composizione.
Gli indizi indicherebbero che le cosiddette Variazioni Goldberg non fossero
nate quindi come lavoro su commissione indipendente, ma che facessero parte fin
dall'inizio del progetto della Clavier-Übung69, di cui costituiscono un grandioso
finale. La mancanza di una dedica a Keyserling appare tuttavia come segno di
un'amicizia tanto stretta, da non richiedere ostentazioni formali.
Eppure l'aneddoto è paradigmatico in quanto, sebbene scarsamente verosimile,
racchiude, se non una veridicità, quantomeno una plausibilità di ordine musicale. È
singolare infatti che la storiella del conte insonne, vuoi per i suoi malanni, vuoi per il
suo umore melanconico, si sposi ad uno dei rari esempi – forse il più grandioso e di
certo il più famoso – di variazioni su basso ostinato lasciateci da Bach. Come scrive
lo stesso Forkel: «Bach pensò che la forma di variazioni sarebbe stata la più
adatta».70 Non sappiamo, ne sapremo mai se si tratta di una sua acuta congettura o
delle sue fonti, oppure se fu lo stesso Bach a decidere quale forma dare ad una
musica concepita in funzione sedativa.
Resta il fatto significativo che il costrutto formale della Variazioni Goldberg
corrisponde in buona sostanza a quello che da tempi immemorabili, accompagna i
momenti della veglia notturna. Momenti per lo più collettivi, dilatati nel tempo, in
cui la musica sostiene danze, canti, cerimonie religiose e riti magici e favorisce
emozione, devozione, meditazione, catarsi ed estasi.71

69 Si tratta del titolo di una raccolta di composizioni per strumento a tastiera di Johann Sebastian
Bach pubblicata in quattro parti.
70 La citazione è riportata nell'articolo di Giordano Montecchi sul sito
http://www.cristinarizzo.it/img/Lovee.pdf. (ultima visita 25/08/2016).
71 Si tratta di un terreno che l'etnomusicologia, l'antropologia e la musicoterapia odierne conoscono
bene. Anche nell'antichità era familiare ai tanti che si occuparono degli effetti della musica sulla
psiche e sull'animo umano.

46
2.3.2.2 Struttura e carattere dell'opera

Come è noto, le Variazioni Goldberg sono una serie di 30 variazioni72, precedute e


concluse dal tema, ossia un'Aria alla francese in tempo ternario, suddivisa in due
parti simmetriche e con ripetizione di ciascuna parte. L'opera è stata concepita come
un'architettura modulare di 32 brani, disposti seguendo schemi matematici e
simmetrie che le conferiscono tanta coesione e continuità da non avere eguali nella
storia della musica. Insieme all'Arte della fuga può essere considerata il vertice delle
sperimentazioni di Bach nella creazione di musica per strumenti a tastiera, sia dal
punto di vista tecnico-esecutivo, sia per lo stile che combina insieme ricerche di alto
livello musicali e matematiche.
Il principio ispiratore della serie di variazioni risiede nella varietà di
successione dei diversi movimenti di danza, tanto è vero che le Goldberg vengono
definite suite di variazioni. Rimane comunque riconoscibile un principio di unità
all'interno del ciclo, costituito dalla suddivisione dell'opera in gruppi di tre
variazioni: prima variazione dal carattere “libero”, seconda variazione dal carattere
virtuosistico e improvvisativo, terza variazione dal carattere contrappuntistico di
stampo canonico. I brani sono connessi tra loro da un principio strutturale di base: le
variazioni sono infatti suddivise in dieci gruppi di tre forme musicali: la forma
“danza”, la forma toccata e un canone. Nei primi nove gruppi l'ultima variazione è un
canone a due voci con un basso all'accompagnamento, che manca solo nel nono ed
ultimo canone. Il decimo gruppo di tre variazioni si conclude invece con un
Quodlibet in cui Bach sovrappone al basso dell'Aria le melodie di due canzoni
popolari.73 La divisione in dieci gruppi, con un ordinamento progressivo dei canoni e

72 Il numero 30 è significativo: 10x3 è il numero della pienezza e della perfezione.


73 Che si tratti di due canzoni popolari non ce lo dice Bach, ma un suo allievo, Johann Christian
Kittel, che ne cita gli incipit, rispettivamente – in tedesco: “Sono così a lungo restato lontano da te,
ritorna, ritorna, ritorna” e “Cavoli e rape mi hanno fatto fuggire. Se mia madre avesse cucinato
della carne sarei restato più a lungo”. Canzoni popolari dice Kittel. “Cavoli e rape” è una

47
con il culmine del Quodlibet, scandisce l'articolazione rigorosamente geometrica
della struttura. Alla divisione per gruppi di tre variazioni s'affianca però nelle
Goldberg un altro tipo di divisione, una divisione in due grandi parti simmetriche. La
sedicesima è una vera e propria Ouverture alla francese (introduzione in movimento
lento, seguita da un fugato), nettamente differenziata rispetto alle altre variazioni.
Nel saggio “L'interpretazione musicale come analisi: le Variazioni Goldberg”,
Gianfranco Vinay spiega che

non si tratta del principio della variazione “ornamentale”, ma di una soluzione


originalissima che deriva piuttosto dal principio della variazione sul basso ostinato.
L'articolazione ciclica della forma è evidenziata inoltre dalla presenza costante, ogni tre
variazioni (3, 6, 9, 12 ecc.) di un canone a tre voci a distanze intervallari crescenti, in
progressione aritmetica dall'unisono alla nona. […] Se il ritorno del basso
continuamente variato e dei canoni ogni tre variazioni affermano un principio di
stabilità conferendo unità e coerenza alla struttura formale dell'opera, il cambiamento
costante di figurazioni, di scrittura e di gesti musicali, afferma invece il principio
d'instabilità e di varietà tipico della forma variazione.74

Anche da una conoscenza appena superficiale salta subito all'occhio la sconcertante


incongruenza tra la grandiosità delle variazioni e la modestia della sarabanda che ne
forma lo spunto. Le variazioni non utilizzano come elemento base la melodia del
tema, che comunque viene continuamente fiorita o ornata, bensì il basso, che è
sempre presente e più o meno riconoscibile anche se viene trasformato nel corso
delle variazioni. Nelle Variazioni Goldberg viene utilizzata come Passacaglia la
Sarabanda tratta dal Quaderno di Anna Magdalena Bach: 75

Bergamasca, o meglio una Pergamasca, emigrata dalla Lombardia alla Germania centrale e
contenuta in un codice della fine del Seicento. L'altra canzone è stata trovata in una pubblicazione
avvenuta a Lipsia nel 1696.
74 Gianfranco Vinay, L'interpretazione musicale come analisi: le Variazioni Goldberg,
«Musica/Realtà» XV/2, Lucca, Lim Editrice, 1995, pp. 35-64.
75 Da un'Aria per variazioni si è soliti esigere almeno uno dei seguenti requisiti: un tema con una
curva melodica che invochi letteralmente l'abbellimento, oppure una base armonica che, ridotta
allo stato fondamentale, appaia, gravida di promesse e atta ad uno sfruttamento intensivo. Del
primo procedimento si conoscono numerosi esempi dal Rinascimento ai nostri giorni, ma la sua
massima fioritura nasce dall'idea rococò del tema con variazioni; del secondo metodo, che,
stimolando l'elaborazione lineare, suggerisce una certa analogia con il basso ostinato della
passacaglia, sono un memorabile esempio le Trentadue variazioni in Do minore di Beethoven.

48
Figura 5. Linea del basso della Sarabanda di Anna Magdalena Bach.

L'unità dell'opera è offerta essenzialmente dal basso, che si ripresenta nel suo schema
iniziale in ciascuna variazione. La linea del basso è riprodotta nelle variazioni, dove
viene elaborata con una flessibilità ritmica sufficiente a soddisfare le contingenze
armoniche di strutture contrappuntistiche tanto diverse quanto possono esserlo un
canone su ogni grado della scala diatonica, due fughette e perfino un Quodlibet76.
Le necessarie alterazioni non attenuano in alcun modo l'attrazione
gravitazionale esercitata dal basso magistralmente proporzionato sulla moltitudine di
figurazioni melodiche che di volta in volta lo abbelliscono. Il basso, nella sua
maestosità, lega le variazioni tra di loro. Esso si estende spensieratamente su un
territorio armonico ampio, ad eccezione delle tre variazioni in modo minore (la
quindicesima, la ventunesima e la venticinquesima), in cui viene subordinato alle
esigenze cromatiche di quella tonalità. Il tema, un soprano docile ma ricco di
abbellimenti, non lascia nulla in eredità alla sua discendenza che viene
completamente dimenticata nel corso delle trenta variazioni. Si tratta insomma di una
piccola Aria autonoma, la cui calma viene interrotta di colpo dall'esplosione della
prima variazione. Una simile aggressività non è certo il comportamento che ci si
aspetta dalle variazioni introduttive, le quali manifestano di solito una fanciullesca
docilità verso il tema che le precede imitandone l'andamento.
Nella seconda variazione troviamo il primo esempio della confluenza di queste
qualità parallele: ecco lo strano miscuglio di mite compostezza e piglio autorevole
che contraddistingue l'io virile delle Variazioni Goldberg. Con la terza variazione

76 Si tratta di una forma ottenuta dalla sovrapposizione di melodie popolari dell'epoca. Letteralmente
il termine indica a piacere. Nell'Italia del Settecento il termine usato comunemente non era
Quodlibet, ma Misticanza.

49
hanno inizio i canoni, che ricorreranno una volta ogni tre brani dell'opera.
Ralph Kirkpatrick ha efficacemente raffigurato le variazioni con una
similitudine architettonica:

Delimitate alle estremità da due pilastri, uno dei quali è formato dall'Aria e dalle prime
due variazioni, l'altro dalle due penultime variazioni e dal Quodlibet, le variazioni sono
raggruppate come elementi di un complesso colonnato; ogni gruppo è composto di un
canone e da un elaborato arabesco a due manuali, racchiudenti a loro volta un'altra
variazione a carattere indipendente.77

Il primo canone (la terza variazione) è all'unisono: la seconda voce ripete esattamente
ciò che ha appena fatto la prima come se ne ripercorresse subito le orme,
camminando ad un metro di distanza. Il secondo canone (la sesta variazione) è alla
seconda, come se la seconda voce rifacesse il percorso della prima ma, oltre che un
metro indietro, anche spostata di un metro a lato. I successivi canoni sono alla terza,
alla quarta ecc., fino alla nona (ventisettesima variazione); ma il canone alla quinta
(quindicesima variazione) è per moto contrario: come se la seconda voce, oltre che
spostata a lato di cinque metri, andasse in direzione opposta a quella della prima.
Nei canoni l'imitazione letterale compare soltanto nelle due voci superiori, mentre la
parte di accompagnamento, presente ovunque tranne che nell'ultimo canone alla
nona, ha quasi sempre piena libertà di trasformare il tema del basso in un
complemento opportunamente acquiescente. A volte ciò si traduce in un dualismo
voluto di preminenza tematica: il caso estremo è quello della diciottesima variazione,
dove le voci del canone si trovano a dover sostenere la parte della passacaglia,
capricciosamente abbandonata dal basso. Un contrappunto meno anomalo si nota
nella risoluzione dei canoni in Sol minore (il quindicesimo e ventunesimo), in cui la
terza voce entra nel complesso tematico del canone, riproponendo il suo segmento in
una versione ricca di figurazioni e dando luogo a un dialogo di bellezza
incomparabile.

77 Glenn Gould. L'ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica, cit., p.59.

50
Figura 6. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 15, bb. 8-13 e 17-20.

Figura 7. J.S. Bach, Variazioni Golberg, Variazione 21, bb. 1-5.

La ricerca contrappuntistica non si incontra soltanto nelle variazioni canoniche: in


parecchie variazioni “a carattere indipendente” minuscole cellule tematiche vengono
sviluppate sino a creare complesse trame lineari. Esempi tipici sono la conclusione
fugale dell'ouverture alla francese (sedicesima), la variazione alla breve

51
(ventiduesima) e la quarta variazione, in cui sotto una brusca rusticità si cela un
elegante labirinto di stretti. In realtà questo oculato labirinto di mezzi volutamente
limitati supplisce in Bach all'identificazione tematica fra le variazioni. Poiché la
melodia dell'Aria, come già detto, si sottrae a qualunque rapporto con il resto
dell'opera, ogni singola variazione consuma voracemente il potenziale della propria
cellula tematica, presentano così un aspetto assolutamente soggettivo dell'idea di
variazione. Quest'integrazione fa si che, con la dubbia eccezione della ventottesima e
della ventinovesima variazione, non vi sia nemmeno un esempio di collaborazione o
di estensione tematica fra due variazioni consecutive.

Figura 8. J.S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 14, bb. 1-3.

Figura 9. J.S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 14, bb. 17-20.

52
Figura 10. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 11, bb. 1-4 e 17-20.

La terza variazione in Sol minore occupa una posizione chiave. Dopo un generoso e
caleidoscopico tableau formato da ventiquattro quadretti che illustrano, con
sfumature meticolosamente calibrate, l'indomabile elasticità di quello che è stato
definito «l'io delle Goldberg»78, ci viene concesso di raccogliere e cristallizzare tutte
quelle impressioni di profondità, delicatezza e virtuosismo, indugiando al tempo
stesso pensosi nella languida atmosfera di una pagina di umore quasi chopiniano.
L'apparizione di questa stanca e malinconica cantilena è un capolavoro di intuito
psicologico.
Con rinnovato vigore irrompono, a questo punto, le variazioni dalla
ventiseiesima alla ventinovesima, seguite da quell'esuberante dimostrazione di
deutsche Freundlichkeit che è il Quodlibet. Quindi, quasi fosse incapace di trattenere
il sorriso compiaciuto davanti ai progressi della sua progenie, ecco la Sarabanda
originale che torna per bearsi nella luce riflessa di un'Aria col da capo.

78 Ivi p.62.

53
Figura 11. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 30, Quodlibet.

Una siffatta conclusione del grande ciclo non ha nulla di casuale e, il ritorno dell'Aria
non è un semplice gesto di benevolo commiato, ma adombra un'idea di perpetuità
che rivela la natura essenzialmente incorporea delle Variazioni Goldberg e
simboleggia il loro rifiuto in quell'impulso generativo. Ed è proprio il riconoscere la
loro sdegnosa indifferenza per il rapporto organico fra la parte e il tutto a farci
sospettare per la prima volta la vera natura del particolarissimo vincolo che le unisce.
L'analisi tecnica ha rivelato che non c'è compatibilità fra l'Aria e la sua progenie e,

54
che il basso vitale, per la sua stessa perfezione lineare e le sue implicazioni
armoniche, blocca la propria crescita e impedisce il consueto sviluppo in forma di
passacaglia verso un punto culminante. Il contenuto tematico dell'Aria rivela
inclinazioni altrettanto esclusive: in ogni variazione l'elaborazione della melodia
obbedisce a regole proprie e non ci sono piattaforme di variazioni successive basate
su principi strutturali simili.
La fondamentale ambizione di quest'opera, per ciò che riguarda la variazione,
non va cercata in una costruzione organica, ma in una comunità di sentimento. In
essa il tema non è terminale ma radicale, le variazioni non percorrono una retta, ma
una circonferenza, un'orbita di cui la passacaglia ricorrente costituisce il punto
focale. In breve, si tratta di una musica che non conosce né inizio né fine, una musica
senza un vero punto culminante e senza una vera risoluzione. Essa ha un'unità che
viene intuita dalla percezione, un'unità che nasce dal mestiere e dalla rigorosità, che è
ammorbidita dalla sicurezza di una maestria consumata e che qui si rivela a noi,
come avviene tanto raramente in arte, nella visione di un disegno inconscio che
esulta su una vetta di potenza creatrice.
Esiste però una coesione d'ordine numerico/matematico tra le variazioni: nel
senso che Bach, cultore esoterico dei rapporti tra arte musicale, retorica e
matematica, inscrisse in filigrana nella sua opera una serie di rapporti numerici ben
precisi. Infatti, la somma dei tempi di battuta per le variazioni è di 90; se ad essa si
aggiunge quella dei tempi di battuta dell'Aria e della sua ripresa finale, si giunge ad
un totale di 96, che diviso per tre (32) corrisponde al numero di battute di ogni
variazione e alla somma totale dei movimenti (le 30 variazioni più l'Aria e la sua
ripresa).

55
2.3.3 Le registrazioni delle Goldberg: dal 1955 al 1981

2.3.3.1 Dal live allo studio

Pur essendo penetrato con profondità nella scienza bachiana, come forse nessun
altro, Gould non è però riuscito a completarne l'incisione integrale dell'opera per
tastiera. Proprio per questa ragione, ha acquistato un peso non indifferente l'unica
partitura su cui Gould è tornato più volte nel corso della sua vita. Il pianista canadese
ha ufficialmente inciso le Variazioni Goldberg in due fasi distinte, e per questo
significative, della sua esistenza: nel 195579 con il suo primo disco in assoluto e nel

79 A seguito di un concerto tenuto a New York l'11 gennaio 1955, l'allora direttore della Columbia,
David Oppenheim, offrì e mandò a Gould un contratto di esclusiva triennale. Tra il 10 e il 16
giugno, poche settimane dopo aver firmato il contratto, Gould trascorse quattro giorni nello studio
della Columbia, una chiesa sconsacrata sulla 30th Street, nel centro di Manhattan, a incidere le
Variazioni. Ben presto la Columbia si rese conto di avere tra le mani non solo un musicista, ma
anche un eccentrico di livello mondiale. Il 25 giugno divulgarono il comunicato stampa che
annunciava l'uscita del primo disco del pianista canadese, un piccolo gioiello di astuzia e di
psicologia della comunicazione: «Era una mite giornata di giugno, ma Gould si presentò con
cappotto, berretto, sciarpa e guanti. “L'equipaggiamento” prevedeva la consueta cartella per la
musica, una montagna di asciugamani, due bottiglioni di acqua minerale, cinque piccole boccette
di pillole (di colori diversi e con prescrizioni diverse) e la sua sedia speciale per pianoforte. […]
Gould era un fenomeno anche alla tastiera, a volte suonava con gli occhi chiusi e la testa gettata
all'indietro. Il pubblico della sala di controllo era incantato, e persino il tecnico dell'aria
condizionata cominciò ad appassionarsi a Bach. Anche quando si riascoltavano le registrazioni
Glenn era continuamente in movimento, dirigeva con fervore, faceva un vero balletto al suono
della musica.» Il testo venne ripreso di continuo dai giornalisti e critici, dando il tono a gran parte
dei servizi e articoli che lo avrebbero accompagnato lungo tutta la sua carriera. Ancora prima che
venne distribuito il disco, si era già sparsa la voce del talento e dell'eccentricità di Gould. L'album
venne distribuito nel gennaio del 1956. Fu uno degli eventi più sensazionali nella storia della
discografia classica, un successo di critica e di pubblico che diede immediatamente fama
internazionale a Gould. Divenne il bestseller della musica classica della Columbia, e uno dei
dischi più venduti in America. I critici proclamarono subito Gould un genio, uno dei più grandi e
promettenti pianisti della sua generazione, se non addirittura il più grande. Cfr. Bazzana,
Mirabilmente singolare. Racconto della vita di Glenn Gould, cit., pp. 176-177.

56
1981, anno precedente alla sua morte avvenuta per un'emorragia cerebrale a soli 50
anni: non poteva esserci miglior chiusura ad anello. Della celebre composizione
esistono inoltre altre incisioni non ufficiali, come quella realizzata il 21 giugno 1954
presso gli studi della CBC (Canadian Broadcasting Corporation) e oggi depositata ad
Ottava80 o la registrazione live del concerto tenuto a Salisburgo nel 1959 contenuta
nella raccolta della Sony, Glenn Gould in Concert. Possiamo dunque parlare di due
versioni “ufficiali” riferendoci alle incisioni in studio del 1955 e del 1981 81 e di una
versione live completa, relativa al concerto di Salisburgo del 1959. La versione live
del concerto di Mosca del 195782 è invece incompleta poiché in quell'occasione
Gould suonò una selezione di variazioni. Ed è altresì disponibile solo parzialmente il
materiale della prima esecuzione assoluta, quella del 1954, che la CBC custodisce
nei propri archivi.
È possibile rilevare immediatamente la notevole differenza d'approccio nelle
versioni registrate da Gould. Nella versione del 1954 ad esempio, l'Aria ha una
durata di 2' 42'', in quella del 1955 invece di 1' 49''. Quel che però colpisce è il
diverso senso dato da Gould: nella versione del '54 si nota, fin dal primo ascolto, una
concessione al rubato, al fine di aggirare la rigida scansione metrica in ¾, che sarà
quasi impossibile trovare nelle registrazioni “ufficiali”. Basta infatti ascoltare l'Aria
eseguita nella versione del '55 per individuare l'assoluta mancanza di ondeggiamenti
ritmici ed espressivi. Nell'esecuzione del 1955 domina la perfezione formale, che non
deve essere turbata da alcuna sovrapposizione interpretativa.

Mi ci sono voluti ben venti takes prima di trovare quel carattere sufficientemente
neutrale che cercavo […]. Ho cercato di cancellare ogni espressione superflua nella mia
interpretazione, e questa è la cosa più difficile da ottenersi. L'istinto naturale
dell'interprete è quello di aggiungere, non di togliere.83

80 Nel cofanetto prodotto dalla Sony, Glenn Gould on Television – Complete CBC Broadcasts 1954-
1977, è contenuta una selezione delle Variazioni Goldberg (Aria e nn. 1, 4 e 5).
81 Si tratta di una doppia registrazione: una registrazione video realizzata dal regista francese Bruno
Monsaingeon e una audio, realizzata dalla Sony simultaneamente alle riprese, ma uscita nel 1982.
82 In occasione di questo concerto Gould esegue una selezione delle variazioni (nn. 1, 18, 9, 24, 10 e
30).
83 Carmelo Di Gennaro, Glenn Gould. L'immaginazione al pianoforte, «Musica/Realtà», 45, Lucca,
Lim Editrice, 1999, p. 78.

57
Considerando la sottomissione di Gould per i mezzi di comunicazione, le differenti
strategie delle citate esecuzioni si rapportano al luogo in cui si trova e al medium per
il quale (o tramite il quale) suona. Alla radio ad esempio, essendo di fatto
un'esecuzione dal vivo, ma mancando d'impatto visivo, Gould privilegia un
approccio all'opera il più mosso possibile, proprio per conquistare fin da subito
l'attenzione dell'ascoltatore. Dal vivo invece solletica l'attenzione degli ascoltatori,
evidenziando in maniera misurata, gli aspetti virtuosistici dell'opera e gli aspetti
visivi del concerto dal vivo. Nella versione in studio invece Gould si concentra
totalmente sugli aspetti architettonici delle Variazioni, dandocene la versione che
ritiene più consona.
Glenn Gould registra nel 1981 un'altra versione delle Goldberg animando la
curiosità della critica. A tal proposito, il giornalista e scrittore americano Otto
Friedrich ci rivela la sostanziale incomprensione delle ragioni che hanno portato
l'artista canadese a registrare ancora una volta il capolavoro bachiano.

Nessuno conosce esattamente cosa indusse Gould ad incidere nuovamente il suo primo
gran trionfo, ossia le Variazioni Goldberg. Forse fu l'idea di girare un film con Bruno
Monsaingeon su quest'opera amatissima. Forse fu la voglia di registrare l'opera con le
nuove tecnologie digitali. Forse fu il desiderio di rivedere la concezione dell'intero
lavoro, ripensando soprattutto la relazione delle parti con il tutto. 84

Furono certamente tutti questi fattori a spingere Gould a ritornare sulle Goldberg,
alle quali teneva così tanto da convincersi ad andare a New York per registrarle,
abbandonando lo studio che la CBS aveva allestito per lui a Toronto.
Lo stimolo più grande fu a mio avviso la possibilità di incidere in
contemporanea l'opera sia su supporto audio, sia su supporto video. Prima di allora
Gould aveva registrato per il disco, la radio o per la televisione.

84 Ivi p.83.

58
2.3.3.2 Un film di Bruno Monsaingeon

Bruno Monsaingeon incominciò le riprese di Glenn Gould Plays Bach nel novembre
del 1979. Per il primo film, The question of Instrument, Gould aveva scelto di
eseguire composizioni di forme diverse come la fuga, la suite e la fantasia. Nel
secondo film, An Art of a Fugue, girato nel 1980, venne invece trattata l'evoluzione
di Bach in quanto maestro della fuga.
I primi due film su Bach erano una coproduzione con la Clasart (il nuovo nome
della Metronom) e la CBC, ma mentre la prima approvò il piano di lavorazione
proposto da Gould, che non gli avrebbe consentito di realizzare più di dieci minuti di
musica compiuta al giorno, la CBC cominciò ad infastidirsi per questo uso generoso
del tempo nello studio. La situazione si aggravò con l'insorgere di problemi tecnici
dello Studio 7 della CBC: Gould e Monsaingeon si trasferirono quindi in un altro
studio di Toronto. Nel diario del 1980 Gould annotava «disastri» e «caos generale»
alla CBC e considerava l'intero programma «una commedia degli orrori». Quando
giunse il momento di girare un'altra puntata di Glenn Gould Plays Bach, la CBC uscì
di scena e a produrla rimase solo la Clasart.
Il terzo e quarto film avrebbero dovuto affrontare la musica da camera e i
concerti, e la serie doveva terminare con un programma sulla forma della variazione,
ma la realizzazione del quinto film fu rinviata. Lo studio della Columbia Records
sulla 30th Street di New York, dove Gould aveva realizzato i suoi primi album per la
Columbia, era prossimo per essere demolito. Il suo viaggio a New York nel giugno
del 1980 gli fece ricordare che «sala fantastica» fosse quella e decise di realizzarvi
un film e un'incisione prima che fosse troppo tardi. In sei sedute tra l'aprile e il
maggio del 1981 riprese il pezzo che per primo gli aveva dato fama internazionale: le
Variazioni Goldberg. La produzione fu complicata dal punto di vista tecnico poiché
mentre la troupe di Monsaingeon girava, gli ingegneri della CBC registravano le

59
sedute per un disco.
Gould era entusiasta del film finito, del modo in cui «la telecamera si sposava
perfettamente con il pianoforte, e l'architettura delle immagini cresce(va) a ogni
variazione». Il film si apre con Gould che nella cabina di controllo introduce la sua
interpretazione con una conversazione fintamente spontanea di parecchi minuti. 85
Gould espone, sotto l'aspetto teorico, la sua nuova concezione delle Goldberg proprio
nel dialogo con Bruno Monsaingeon che precede l'esecuzione in video dell'opera.
Gould si dichiara interessato ad evidenziare la profonda unitarietà di concezione del
pezzo, sottolineando le corrispondenze aritmetiche tra il tema e le variazioni
seguenti. Quel che il pianista cerca di comunicare nella registrazione del 1981 è il
senso non più unicamente “vettoriale” delle Goldberg, bensì una sorta di opera
strutturata in maniera “vettorialmente circolare”. Gould decide di suonare i ritornelli
delle variazioni basate sul principio d'imitazione fra le voci e di quelle in forma
canonica. Il tempo lentissimo staccato da Gould per l'Aria iniziale, in netto contrasto
con alcuni tempi di velocità esasperata, tenderebbe ad una decostruzione dell'opera,
per controbilanciare la quale il pianista rafforzerebbe la spinta dorsale delle
variazioni imitative e canoniche. Vinay nota come

Il risultato della destrutturazione e della ristrutturazione realizzate dall'interpretazione


gouldiana è rafforzato dallo stesso processo tecnologico della produzione del disco che
Gould converte alla sua poetica personale: poiché nella registrazione delle variazioni
egli non segue l'ordine di successione prescritto dalla partitura, il montaggio delle
diverse registrazioni equivale ad una vera e propria regia sonora. 86

Non è un caso se, nella primissima e popolarissima edizione pubblicata in compact


disc, su precisa indicazione di Gould, il tema, la sua ripresa e le trenta variazioni,
siano comprese in un unico track.87

85 Per la realizzazione di tutti i film su Bach, Gould volle scrivere i dialoghi minuziosamente, fino
alla più infima virgola e, invece di memorizzare il testo, si affidò, com'è evidente, a dei cartelli.
Anche Monsaingeon fece lo stesso e come risultato le conversazioni sembrano artificiose e i
tentativi di fare dello spirito sono forzati.
86 Vinay, L'interpretazione musicale come analisi: le Variazioni Goldberg, cit., pp. 35-64.
87 Banalmente, ciò significa impedire all'ascoltatore di saltare da una variazione all'altra a suo
piacimento: si è in qualche modo costretti ad ascoltare l'Aria e le 30 variazioni di seguito.

60
Figura 12. Glenn Gould e Bruno Monsaingeon durante la registrazione dei film Glenn Gould plays
Bach.

Si racconta che Gould fosse molto più pignolo con le incisioni che con la
realizzazione della colonna sonora del film, tanto da tornare in aprile e in maggio in
sala d'incisione a registrare di nuovo delle parti delle Variazioni Goldberg per il
disco.88 Durante la sua ultima estate dedicò molte ore a rifinire l'incisione con l'aiuto
di almeno tre montatori locali, mentre il film era già andato in onda il 2 gennaio 1982
alla televisione francese. La qualità musicale e tecnica a cui Gould aspirava era
molto elevata: di sicuro a spingerlo era anche il desiderio di superare il disco
bestseller che l'aveva reso celebre e che veniva ristampato da ormai oltre un quarto di
secolo. Le sue annotazione private lo mostrano intento a correggere persino i minimi
accenti involontari e i più piccoli errori nell'equilibrio del contrappunto, nonché le

88 Per quanto la Claster e la CBC abbiano condiviso alcuni costi, il film e il disco erano due entità
giuridiche distinte. Anche se documentano sostanzialmente la medesima interpretazione, il
secondo non è esattamente la colonna sonora del primo. Le differenze tra le due esecuzioni non
riguardano solamente la qualità del montaggio, ma anche alcuni dettagli musicali, frasi e
abbellimenti.

61
più fuggevoli figurazioni non perfette. Il disco uscì nel settembre del 1982 e ottenne
subito un'ampia risonanza.

62
3 Aria e 30 Variazioni

3.1 Introduzione

In questo capitolo si metteranno a confronto le diverse registrazioni delle Variazioni


Goldberg che il pianista canadese Glenn Gould ha inciso o confezionato nell'arco
della sua carriera artistica. Oltre alle due importanti registrazioni in studio del 1955 e
1981, esistono altre incisioni della composizione bachiana, relative ai concerti live e
ad alcune registrazioni giovanili rinvenute e pubblicate dalla radio canadese CBC.
La discografia seguente comprende tutte le incisioni delle Variazioni dal 1955
al 1981 per la Columbia, produzione riedita integralmente dalla Sony Classical,
etichetta ora titolare in esclusiva dei diritti delle incisioni di Gould degli ultimi 50
anni, che sta ripubblicando alcune rare registrazioni live uscite precedentemente da
Music & Arts ed altre etichette.

 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria – luogo e data ignoti


- Sony Classical SHV 48402, Sony Classical SLV 48401
 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria con 30 variazioni – CBC (Canadian
Broadcasting Corporation) Radio Studios, 21 giugno 1954

63
- CBC Records, PSCD 2007, Sony 517328 2, Urania SP 4240
 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria con 30 variazioni – New York City,
Columbia 30th Street Studios, 10, 14-16 giugno 1955
- Sony Classical SK 64228, Sony Classical SMK 52594, Sony Classical SM3K
87703, Sony Classical 82876 69835 289
 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria con 30 variazioni – Moskva, Moscow
Conservatory, Small Hall, 12 maggio 1957
- Le Chant du Monde LDC 278.799, Melodiya/Victor VDC-121590
 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria con 30 variazioni – Salzburg,
Mozarteum, 25 agosto 1959
- Memoria 991-007, Memoria Frequenz CMG 1, Music & Arts CD-677,
Palette/Crown PAL1070, Price-Less D15119, Sony Classical SMK 52685, Sony
Classical SMK 53474
 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria con 30 variazioni – Toronto, prob.
Eaton's Studio, 1964
- Sony Classical SHV 48417, Sony Classical SLV 48416
 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria con 30 variazioni – New York City,
Columbia 30th Street Studios, 22-25 aprile, 15, 19 e 29 maggio 1981
- Sony Classical SHV 48424, Sony Classical SLV 48424, Sony Classical SMK
52619, Sony Classical SM3K 87703, Sony Classical SS 37779, Sony Classical
SRGR743, Sony Classical / SME SM52619, Sony Classical SRYR6004, Sony
Classical SRYR6064, Sony Classical SRVM-1103, Sony Classical SVD-4842491

Ai fini del mio primo studio sull'interpretazione gouldiana prenderò in


considerazione le registrazioni “ufficiali” del 1955 e del 1981 delle Variazioni
Goldberg. L'analisi comprenderà un confronto delle due versioni dal punto di vista
interpretativo considerando i tempi d'esecuzione e il fraseggio.

89 Le edizioni Sony Classical SM3K 87703 e Sony Classical 82876 69835 2 contengono anche prove
inedite della seduta d'incisione del 1955.
90 Gould esegue una selezione delle variazioni (nn. 1, 18, 9, 24, 10 e 30).
91 Sony Classical SVD 48424 fa parte del film realizzato da Bruno Monsaingeon, Glenn Gould Plays
Bach.

64
 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria con 30 variazioni – New York City,
Columbia 30th Street Studios, 10, 14-16 giugno 1955
 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria con 30 variazioni – New York City,
Columbia 30th Street Studios, 22-25 aprile, 15, 19 e 29 maggio 1981

Parallelamente prenderò in considerazione anche una registrazione delle Variazioni


della pianista e clavicembalista americana Rosaly Tureck uscita nel 1957. Data la
vicinanza temporale della sua pubblicazione con la prima di Gould e considerando la
profonda ammirazione che il pianista canadese nutriva per la Tureck, metterò in parte
a confronto le tre registrazioni, ponendone in evidenza gli aspetti interpretativi. In un
periodo in cui la musica barocca veniva eseguita raramente, Glenn Gould e Rosaly
Tureck furono due pianisti tra i pochi a cimentarsi nelle opere di Bach originalmente
scritte per clavicembalo.
Nel secondo invece l'attenzione si focalizzerà sulla registrazione del 1981 e sul
film realizzato dal registra francese Bruno Monsaingeon:

 Variazioni Goldberg, BWV 988, Aria con 30 variazioni – New York City,
Columbia 30th Street Studios, 22-25 aprile, 15, 19 e 29 maggio 1981
- Sony Classical SVD 48424

La mia ricerca si concentrerà non solo su un'analisi legata agli aspetti sonori, ma
soprattutto a quelli visivi. Questo paragrafo metterà inoltre in luce gli studi condotti
da François Delalande sulla particolare gestualità di Glenn Gould, in uno dei film di
Bruno Monsaingeon Glenn Gould plays Bach.

65
3.2 Dal 1955 al 1981: due registrazioni a confronto

3.2.1 Verso un'architettura sempre più contrappuntistica

Con l'esclusione di un paio di casi perlopiù insignificanti, possiamo dire che Glenn
Gould non ha mai registrato lo stesso brano per più di una volta: egli non amava
guardare al passato, ma preferiva documentare una sola volta le sue memorabili
interpretazioni. Questo atteggiamento si pone in linea anche con la decisione di
abbandonare la vita concertistica e di dedicarsi esclusivamente, dal 1964 in poi, alle
registrazioni in studio, evitando quindi di proporre di città in città lo stesso repertorio
o gli stessi cavalli di battaglia.92
La doppia incisione delle Variazioni Goldberg di Bach rappresenta quindi
un'eccezione: la versione del 1955, a soli 22 anni, è stata la sua prima incisione 93, una

92 La ripetitività dei brani nel proprio repertorio non significò routine per Backhaus o Arrau o
Horowitz o Michelangeli ad esempio, che poterono tenere gli stessi pezzi per più di cinquant'anni
senza che le loro interpretazioni perdessero di freschezza e di creatività.
93 L'incisione delle Variazioni Goldberg di Gould fu il disco di musica classica più venduto del 1956.
Prima del 1960 vendette quarantamila copie, il che, come notò quell'anno Joseph Roddy sul “New
Yorker”, era «altrettanto sbalorditivo in campo discografico che se un analogo risultato fosse stato
ottenuto nell'editoria da una nuova edizione delle Enneadi di Plotino». Gould vendette più della
colonna sonora del Gioco del pigiama, uno dei maggiori successi della Columbia. Vendette
addirittura più di Louis Armstrong. Alla fine, le Variazioni diventarono l'album di musica classica
per strumento solo più venduto di tutti i tempi, raggiungendo il milione e ottocentomila copie.
Istantaneamente, Gould divenne una star. «A memoria d'uomo, non c'è mai stato un pianista come
lui», scrisse Paul Hume sul “Washington Post”. Le riviste discografiche nominarono le Variazioni

66
vera sorpresa per il mondo della musica classica che lo ha proclamato a star
internazionale; la seconda, quella del 1981 è stata invece la sua ultima incisione in
assoluto.
La critica considera in maniera piuttosto unanime la prima versione delle
Goldberg come una pietra miliare, una registrazione eccezionale dalla quale spicca la
sua tecnica mozzafiato ed una delle più grandi registrazioni mai realizzate di una
composizione per tastiera di Bach, considerata per l'epoca, una scelta insolita per un
pianista. Si tratta di un'esecuzione sorprendente dalla quale spiccano indubbiamente
la scelta di tempi veloci e la rapidità di articolazione, quasi robotica. Pur essendo
ancora giovane, il Gould della prima registrazione dimostra una comprensione della
natura spirituale del lavoro bachiano.
Il secondo disco gode invece di una reputazione più mediata, distesa e
introspettiva, il cui suono sembra rinnovato e tutte le sue qualità evidenziate:
chiarezza, verve ritmica, ardore sobrio e precisione. Realizzata poco prima di morire,
la registrazione del 1981, ha un approccio completamente diverso ed
un'interpretazione molto più consapevole e riflessiva. La seconda registrazione
rappresenta anni di riflessioni e di esecuzioni: i tempi sono più equilibrati e la musica
sembra respirare. Questo significa che l'intenzione di Gould non era quella di
sottolineare, nella seconda versione, la propria abilità, ma quella di Bach.
Nella prima incisione sembra quasi che il tempo e la leggerezza scorrano per
l'intera composizione, mentre nella seconda incisione prevale una sorta di grazia
autunnale, una meravigliosa chiarezza che Gould sembra privilegiare sopra ogni altra
qualità. Entrambe le registrazioni sono considerate dalla critica dei capolavori di
interpretazione e tecnica che mostrano in egual misura la personalità del pianista
canadese. Le Goldberg di Gould sono interpretazioni impareggiabili e irriproducibili
per la straordinaria tecnica digitale e per le prestazioni eccezionali: la delineazione
orizzontale di più linee contrappuntistiche, pur mantenendo il loro intreccio verticale
armonico, il senso ritmico perturbante e l'articolazione altrettanto precisa, che molti
critici hanno paragonato al legato, praticamente impossibile, clavicembalistico. Le
piccole differenze tra le due versioni sono innumerevoli ed il cambio di stile del

Goldberg di Gould disco dell'anno, poi del decennio.

67
pianista è evidente. In alcune variazioni il tempo è assolutamente diverso,
tendenzialmente più lento nella seconda registrazione. Nel 1955 Gould non esegue
nessuna ripetizione dei ritornelli, mentre nel 1981 ripete solo quello della prima parte
nei nove canoni e in altre quattro variazioni, che presentano una struttura formale
contrappuntistica. Diversamente da Gould, nella versione del 1957, la Tureck esegue
tutti i ritornelli dell'opera, sfiorando l'ora e 34 minuti di esecuzione.
Dal punto di vista architettonico, nella versione giovanile opta per
un'uniformità di fondo di ciascuna variazione che gli permetta di sottolineare sia
l'indipendenza del brano dal clima generale della raccolta, sia parallelamente la sua
filiazione diretta dal tema iniziale. Nella versione del '55 scandisce le variazioni in
modo da mantenere un equilibrio architettonico complessivo che però sorprende
continuamente l'ascoltatore. Quasi nulla è prevedibile in questa versione.
L'originalità di Gould consiste nella sua capacità di uscire da uno schema consueto, o
nella sua incapacità di lavorare proficuamente entro uno schema. Non si parla di
tempi lenti o veloci non convenzionali, ma dell'imprevedibilità delle proporzioni.94 Il
carattere che immediatamente colpisce nella versione gouldiana datata 1955 è lo
scarto di velocità tra le diverse variazioni, non riconducibile ad uno schema
ricorrente, e quindi ad una struttura razionale e facilmente individuabile. Per esempio
il tempo dell'Aria oscilla introno al valore medio di 44 di metronomo al quarto, la
velocità della prima variazione intorno a 15495. Il rapporto tra 44 e 154 risulta essere
intermedio fra una velocità della prima variazione di tre volte più alta di quella
dell'Aria (132) ed una velocità di quattro volte più alta (176). Siccome la notazione
proporzionale della musica colta occidentale prende in considerazione solo i rapporti
di uno a due e uno a tre (e i loro multipli), mentre i rapporti di uno a cinque e uno a
sette sono riservati a pochissimi casi e restano difficili da individuare per l'ascoltatore

94 Come si vedrà in seguito, questo aspetto tenderà a scomparire nelle esecuzioni concertistiche che
saranno molto più prevedibili dal punto di vista delle proporzioni. Nella versione di Salisburgo del
1959 ad esempio, le velocità dell'Aria e della prima variazione sono rispettivamente di 44 e 126.
L'ascoltatore corregge inconsciamente il piccolo scarto (126 in luogo di 132) e percepisce nella
prima variazione una velocità di tre volte superiore. In tutta la versione del '59 manca il senso di
sorpresa e di disorientamento. A quanto asserisce Dale Innes, sotto questo aspetto la versione del
1954, registrata durante un'esecuzione alla radio canadese, è più simile a quella del 1959 che a
quella del 1955: «Circa una metà dei tempi in questa registrazione sta in relazione proporzionale
con un unico tactus».
95 I numeri del metronomo si riferiscono ai battiti al minuto primo.

68
medio, ecco che il 154 della prima variazione, rapportato al 44 dell'Aria, appare
irrazionale.96
La versione del 1981 rappresenta invece un tentativo di presentare la
composizione come una singola struttura unificata, e non come un insieme
eterogeneo di trenta pezzi, correlati, ma indipendenti. E ancora più fondamentale è il
fatto che ogni variazione è ritmicamente in un rapporto proporzionale con quella che
la precede e con quella che la succede; ne risulta una continuità nella frequenza delle
pulsazioni che unifica l'intera composizione dal punto di vista del ritmo.

96 Nella versione di Claudio Arrau ad esempio la velocità dell'Aria oscilla intorno al valore di 50
mentre quella della prima variazione intorno a 104. 104 viene percepito come valore doppio
rispetto a 50.

69
Figura 13. Prospetto dello schema ritmico che rende omogenea l'interpretazione del 1981 delle
Variazioni Goldberg, e mostra le relazioni tra la scansione ritmica di variazioni consecutive, così come
le relazioni ritmiche di ciascuna variazione con l'Aria iniziale.

Il pianista canadese opta per alcune scelte davvero interessanti sul piano strutturale,
nonché sul piano numerologico. Esegue difatti solo i ritornelli della prima parte di

70
ciascuna variazione e adopera questa scelta soltanto nelle variazioni canoniche e nel
Quodlibet (var. 30), estendendola alle variazioni 4, 10 e 22 (tutte e tre di carattere
“libero”, a capo dei gruppetti triadici). In particolare Gould utilizza il ritornello per
mettere in evidenza aspetti che non ha evidenziato nella prima manche, quasi sempre
inerenti al basso. Per quale motivo però Gould esegue i ritornelli solo in tre
variazioni tra quelle “libere”? L'aspetto simbolico dei numeri 4 e 10 potrebbe fornire
una spiegazione numerologica o geometrica, un tributo misterico al compositore 97,
ma nell'interpretazione gouldiana questa ipotesi è da escludere in favore di
considerazioni musicali e strutturali. Gould utilizza questa scelta, probabilmente, per
dare una forza segnaletica a quelle variazioni, che non a caso sono tra le tre in cui il
tema del basso (la successione discendente sol, fa diesis, mi, re) viene evidenziato
con più forza per imprimere il marchio della sua denominazione. Nell'esecuzione del
1981 Gould mira ad una maggiore coesione fra le parti, finalizzando le sue scelte alla
ri-creazione di una tonalità organica e conchiusa, strutturalmente impeccabile.
A proposito del rapporto tra melodia e contrappunto, nell'esecuzione del 1955
Gould dà una preminenza alla melodia, restituendoci un'interpretazione che sacrifica
il contrappunto sull'altare della cantabilità. Nella prima incisione delle Goldberg,
Gould non riesce a raggiungere quella compenetrazione di contrappunto e bellezza
estetica che caratterizzano, al contrario l'esecuzione del 1981. Ciò lo si nota, fra i
tanti aspetti, dall'utilizzo degli abbellimenti: finanche virtuosistici nella prima
versione, e spesso sacrificati dalla velocità delle variazioni di mezzo dei gruppetti a
tre, e invece strutturalmente funzionali nell'ultima versione, dove spesso Gould
decide di omettere, modificare o aggiungere numerosi mordenti e gruppetti.
Sul piano agogico e dinamico le due versioni presentano, ancora, numerose
differenze. Dal punto di vista della sonorità, l'ultima incisione sembra più austera
(questo poteva dipendere sia dal nuovo pianoforte 98 sia dalle sue dita), ed è
97 Nella sua recensione al libro di E. Bodky, The interpretation of Bach's Keyboard Works, Harvard
University Press, Cambridge, Mass., 1960, Gould gioca sulla valenza del numero 14, ottenuto
dalla somma dei valori numerici del cognome del compositore (B=2, A=1, C=3, H=8, la cui
somma dà 14). La questione è ripresa anche da G. Payzant, Glenn Gould, Music and Mind,
Toronto, Key Porter, 1984. La scelta del ritornello nelle var. 4, 10, 22 potrebbe essere relativa al
fatto che 4 sono le lettere che compongono il nome Bach, 10 la somma delle lettere che
compongono il nome e il cognome di Glenn Gould; la somma 10+4=14 ha un valore simbolico.
98 Nel 1971, in un viaggio tra Cleveland e Toronto, l'amatissimo Steinway CD 318, che aveva
accompagnato Gould in gran parte delle sue incisioni, cadde subendo un bruttissimo impatto.

71
notevolmente più precisa in termini di fraseggio, equilibrio, sfumature espressive e
ornamentazione. Basti ascoltare intanto l'Aria per comprendere quanto l'esecuzione
del 1981 sia più meditativa e miri ad evidenziare, col beneficio della lentezza, le
strutture della partitura. Anche le variazioni più virtuosistiche presentano un tempo
leggermente più disteso. Una compattezza agogica si accentua pertanto nell'ultima
versione – in modo ovviamente funzionale alla resa totalizzante dell'interpretazione -
mentre la prima sconta alcuni forti sbalzi agogici, rivelando una tecnica digitale
prodigiosa, ma anche occultando spesso procedimenti polifonici importanti. Nella
versione del 81' l'elemento ritmico è inoltre messo maggiormente in risalto, da un
lato, grazie alla distensione agogica, dall'altro, per evidenziare meglio le voci.
Sul piano dinamico, invece, la compattezza sonora della prima registrazione
viene leggermente scompaginata nell'ultima, dove Gould, per sottolineare la presenza
del basso, spesso adopera dei crescendo o addirittura opta per un marcato nell'incipit.

Figura 14. Glenn Gould negli studi della Columbia Records sulla 30th Street a New York nel 1955.

Dopo l'incidente, Gould aveva cominciato a riferirsi al pianoforte come al «defunto e molto
compianto CD 318». Nel tardo 1972, quasi un anno dopo la caduta, Gould diceva ad amici e
colleghi musicisti che il CD 318 era, molto probabilmente, danneggiato al di là di ogni possibile
riparazione, e che aveva cominciato ad accarezzare l'idea di sostituirlo. Il pianoforte venne
restaurato più di una volta, anche da accordatori e tecnici diversi che tentarono di migliorarne il
suono, ma la meccanica non fu più come quella di un tempo. Soltanto nel 1980, durante la
realizzazione del secondo film della serie Glenn Gould plays Bach si decise, sotto consiglio
dell'amico e regista francese Bruno Monsaingeon, a comprare un altro pianoforte, in vista anche
della seconda incisione delle Variazioni Goldberg. Dopo numerose ricerche finalmente trovò in un
modello della Yamaha il pianoforte che era di suo gradimento dal punto di vista della meccanica,
nonché per il suono.

72
3.2.2 Tempi e fraseggio: due incisioni a confronto

È ormai divenuto un luogo comune considerare l'incisione del 1981 lentissima


rispetto a quella del 1955. In effetti la seconda incisione è più lenta della prima, ma
spesso non si tiene conto che il pianista nel 1955 non ha eseguito nessun ritornello,
diversamente dal 1981. Questo contribuisce di certo a falsare la percezione delle
durate delle singole variazioni. A tal proposito uno sguardo comparativo ai tempi
delle due incisioni può essere interessante. Accostando il tempo della prima versione
a quello dell'ultima e considerando il tempo dei ritornelli eseguiti esclusivamente
nella versione del 1981, si può dire che in generale i tempi rispecchiano la differenza
di agogica tra le due versioni. Solo in due casi l'esecuzione del 1955 è più lenta di
quella del 1981 (Variazioni 25 e 28), e in altri quattro casi le esecuzioni presentano
praticamente lo stesso tempo (Variazioni 5, 11, 17 e 26). Nei canoni (Variazioni 3, 6,
9, 12, 15, 18, 21, 24, 27 e 30) e nelle variazioni libere (4, 10 e 22) vanno considerati i
ritornelli della solo prima parte.
Analizzando lo schema riportato di seguito che paragona i tempi delle due
registrazioni, possiamo osservare che l'Aria ad esempio, è eseguita con due tempi
assolutamente diversi, e lo stesso vale per la Variazione 1. Se ascoltiamo la
Variazione 3 invece possiamo notare che Gould suona il primo ritornello nella
versione del 1981, ma la differenza di tempo di 36'' non è del tutto autentica. Per fare
un raffronto fedele bisogna presumere il primo ritornello anche nella versione del
1955 (vedi colonna rit. a sinistra di 1955) e aggiungere 0:26 al tempo della terza
Variazione. In questo modo ci si accorge che la differenza di durata è in realtà di soli
10''. Aggiungendo il tempo di un ipotetico ritornello anche alla quarta Variazione
(0:14), si ottiene una durata complessiva di 0:43 e quindi una differenza di soli 0:07.

73
Al contrario, la Variazione 6 è leggermente più veloce nella registrazione del 1981 e
di questo ci si accorge togliendo il tempo del primo ritornello (colonna rit. a destra di
1981) e confrontando poi le durate rispettive. Sommando il ritornello al tempo
d'esecuzione della dodicesima, la durata arriva a 1:22 invece di 0:56; la differenza tra
le due incisioni risulta quindi di 14'' e non di 42''. Dalla tabella riassuntiva la
differenza di tempo delle due variazioni numero 15 spicca tra tutte: da 2:17 nel 1955
si passa a 5:00 nel 1981. Con l'aggiunta del ritornello ipotizzato della prima parte
(1:04), la differenza di tempo diminuisce sensibilmente (da 2:43 a 1:39) anche se la
velocità della seconda incisione rimane nettamente più lenta. La Variazione 18
presenta, come la Variazione 6, un'inversione di tendenza. Sommando un finto
ritornello all'incisione del 1955 (0:21) si nota infatti che complessivamente la prima è
più lunga di 4''. La Variazioni 21 presenta la stessa caratteristica, anche se in questo
caso la differenza è maggiore: 2:29 nel 1955 e 2:13 nel 1981. La ventiduesima invece
ha uno scarto impercettibile di 2'' e la ventiquattresima avrebbe una durata di 1:24:
18'' contro i 45'' ipotizzati senza la ripetizione. Le Variazioni 27 e 28 divergerebbero
di 9'' e 19'' invece di 31'' e 40'' senza ritornelli.
Dopo un confronto così preciso si può comunque confermare una sensibile
differenza dei tempi d'esecuzione delle due versioni. Aggiungendo alla durata della
registrazione del '55 gli stessi ritornelli eseguiti nelle variazioni del 1981, si giunge
ad un risultato totale presunto di soli 8 minuti inferiore, e non quasi di 13 come
sembra in apparenza. Questi calcoli aiutano di certo a sfatare uno dei tanti miti fioriti
intorno a questa incisione che Gould stesso ha in realtà definito, come l'inizio di un
nuovo percorso artistico.

74
durata
rit. 1955 Brano 1981 rit. diff.
tot. pres.
1:53 Aria 3:05 1:12
0:45 Var. 1 libera 1:10 0:25
0:37 Var. 2 virtuosistica 0:49 0:12
(1:21) (0:26) 0:55 Var. 3 canonica 1:31 con rit. (0:10)
(0:43) (0:14) 0:29 Var. 4 libera 0:50 con rit. (0:07)
0:37 Var. 5 virtuosistica 0:37
0:13
0:34 Var. 6 canonica 0:40 con rit. (-0:07)
(0:27)
1:08 Var. 7 libera 1:16 0:08
0:45 Var. 8 virtuosistica 0:54 0:09
0:38 Var. 9 canonica 0:59 con rit. 0:19
0:43 Var. 10 libera 1:04 con rit. 0:20
0:55 Var. 11 virtuosistica 0:54 (-0:01)
(1:22) (0:26) 0:56 Var. 12 canonica 1:38 con rit. (0:14)
2:11 Var. 13 libera 2:38 0:26
0:59 Var. 14 virtuosistica 1:04 0:05
(3:21) (1:04) 2:17 Var. 15 canonica 5:00 con rit. (1:39)
1:17 Var. 16 libera 1:38 (0:21)
0:53 Var. 17 virtuosistica 0:54 (0:01)
(1:07) (0:21) 0:46 Var. 18 canonica 1:03 con rit. (-0:04)
0:43 Var. 19 libera 1:03 (0:20)
0:48 Var. 20 virtuosistica 0:50 0:02
(2:29) (0:47) 1:42 Var. 21 canonica 2:13 con rit. (-0:16)
(1:01) (0:19) 0:42 Var. 22 libera 1:03 con rit. (0:02)
0:54 Var. 23 virtuosistica 0:58 0:04
(1:24) (0:27) 0:57 Var. 24 canonica 1:42 con rit. (0:18)
6:28 Var. 25 libera 6:03 -0:25
0:52 Var. 26 virtuosistica 0:52
(1:12) (0:22) 0:50 Var. 27 canonica 1:21 con rit. (0:09)
1:11 Var. 28 libera 1:03 0:08
1:00 Var. 29 virtuosistica 1:02 0:02
(1:09) (0:21) 0:48 Var. 30 canonica 1:28 con rit. (0:19)
2:10 Aria (a capo) 3:45 1:35
12:52
(43:10) (4:47) 38:23 51:15
(7:54)

75
L'Aria della prima registrazione si apre con un ritmo maestoso di sarabanda,
diversamente dalla seconda registrazione in cui il tempo è così lento che
probabilmente pochi altri pianisti al mondo riuscirebbero a sostenere.

Figura 15. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Aria, bb. 1-16.

Nella versione del 1955 la linea melodica prevale su quella contrappuntistica, quasi a
voler ricreare una maggiore compattezza sonora tra il tema principale e le variazioni
successive. Da un legato dolce e temperato spiccano tutte le note che sono suonate
con una chiarezza incredibile. Le dinamiche presentano dei piccoli rigonfiamenti ed i
punti culminanti sono più suggeriti che realizzati. Per questo motivo ad esempio il
fa#2 del basso (segnato in rosso) nella seconda battuta non ha bisogno di essere
evidenziato, anche se enarmonicamente appartiene alla scala discendente di sol
maggiore ed è anche la sensibile che, nella battuta successiva scende al mi2 invece di
salire al sol2.
Il tema melodico della prima frase di quattro battute non presenta quindi una
vasta gamma di dinamiche o un'articolazione accentuata ed ogni nota contiene lo
stesso intento di toni e di volumi. Nella seconda frase le note dell'incipit sono

76
maggiormente evidenziate mentre, nella terza frase, il volume ritorna ad abbassarsi
per far risaltare l'arpeggio di battuta 11, eseguito dall'alto (evidenziato in verde). In
un'altra versione dell'Aria, registrata nella stessa occasione, ma scartata da Glenn
Gould, la terza frase del tema, viene invece eseguita con più decisione, rispetto a
quella poi scelta per il disco d'esordio. La prima parte, si chiude con un posticipo
della risoluzione del ritardo a battuta 16, preceduto da un piccolo crescendo che
culmina sulla dominante di battuta 15.

Figura 16. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Aria, bb. 17-32.

Nella seconda parte aumenta d'intensità dinamica ed emotiva che si placa soltanto a
battuta 24, con il secondo ritardo della risoluzione che di fatto modifica la scrittura di
Bach anche se evita la quinta eccedente tesissima. Dopo il ritardando, a battuta 25, il
clima è più disteso nel pianissimo; dopo poche battute però la linea melodica della
mano destra si apre in brevi crescendo e diminuendo, che seguono l'andamento delle

77
note ascendenti e discendenti. Il motivo è accompagnato anche dalla voce di Gould
che scandisce con «ta, ta, ta...».
L'Aria del 1981 ha un carattere più riflessivo che si può notare in tutte le note
e, in generale, in una più ampia gamma di dinamiche. Attraverso il tocco è possibile
percepire il sentimentalismo che è presente in ogni tasto, una sorta di contemplazione
che si può ritrovare anche nella voce e nel canto. Il brano che introduce le variazioni
è eseguito con una tranquillità sbalorditiva, anche se contiene, rispetto alla versione
precedente, una maggiore estensione dinamica ed un contrasto più evidente tra le
parti. Fin dall'inizio, ad esempio, le note dell'accordo di re maggiore nella seconda
battuta, sfumano in un diminuendo molto più accentuato rispetto all'Aria del 1955,
così come è più evidente il crescendo del soprano all'inizio della seconda frase o al
contrario, il diminuendo alla terza. La linea del canto sfuma gradualmente alla fine
della prima parte che si chiude con un ritardando.
Dal punto di vista sonoro e di intenzione, il primo periodo della seconda parte
si avvicina allo stesso della prima registrazione, anche se il diminuendo che lo chiude
è più ampio; esso prepara l'ingresso dell'ultima sezione, eseguita con un tempo
sensibilmente più lento, sempre in pianissimo. Il contrasto è evidente con l'ingresso
del basso (segnato in rosso) da battuta 27 che, accompagnato dal canto molto forte
del pianista, spicca oltre la melodia della mano destra, che ondeggia tra crescendo e
diminuendo. Il rallentando alla fine prepara l'arresto sulla tonica.
Nel 1957 anche l'americana Rosalyn Tureck registra le Variazioni Goldberg di
Johann Sebastian Bach sulla scia del successo del giovane Gould. All'ascolto delle
sue Goldberg è curioso notare come il tempo da lei utilizzato è praticamente lo stesso
di Gould ventisei anni dopo: l'Aria di carattere meditativo della Tureck ha una durata
totale di 6' 03'' alla quale però bisogna sottrarre il tempo dei due ritornelli che
corrisponde rispettivamente a 1' 21'' e 1' 36''. Il risultato è 3' 12'', sette secondi in più
rispetto a quello datato 1981. I ritornelli e la lenta esecuzione di tutti gli abbellimenti
ne appesantiscono però la performance generale che risulta ripetitiva anche nel
fraseggio: le semiminime che caratterizzano gran parte degli incipit delle frasi sono
eseguite sempre in diminuendo, la prima più forte e la seconda molto più piano e, alla
fine di ogni periodo, c'è un decrescendo al pp.

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Nella Variazione 1, di carattere brillante ed animato, i toni fondamentali sono
incredibilmente articolati nella versione del 1981, mentre il ritmo della mano destra
costringe l'enfasi sul secondo tempo, dando luogo ad una sincope da battuta 1 a 7. Il
ritmo sincopato arriva fino a misura 7 e riprende dopo un passaggio a mani incrociate
a battuta 13. Gould si concentra, in questa versione, sulla libertà creativa di ogni
nota, scegliendo di accentuare maggiormente quelle ritmiche, a differenza della
prima versione. Se nella prima registrazione Gould è più brioso, nella seconda
registrazione Gould è più lento, ma allo stesso tempo più aggressivo e meno
spavaldo. Nella seconda forse manca un po' quel fascino dato probabilmente dallo
stacco di tempo inaspettato dell'incisione del 1955, che viene però compensato dalla
straordinaria nitidezza e definizione della mano sinistra.

Figura 17. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 1, bb. 1-7.

Le differenze tra le due versioni sono particolarmente evidenti nella scelta di accenti
(segnati in verde) e di note staccate e legate (in azzurro per la registrazione del 1955
e in blu per quella del 1981) che definiscono ad esempio la linea melodica della
mano destra da battuta 5 a battuta 7: nel 1955 le due semicrome sono legate alla
croma sul secondo quarto della battuta mentre le successive sono tutte staccate; nel
1981 invece la legatura è più lunga e comprende sia le semicrome dell'incipit,

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marcate in entrambe le incisioni, sia le due crome seguenti, lasciando quindi staccate
solo le ultime due. Un altro esempio riguarda anche le battute 25 e 26: le crome della
prima cellula melodica sono legate in entrambe le registrazioni, ma sono eseguite in
un piano improvviso nella prima incisione e in un mezzo forte nella seconda. Nella
battuta successiva invece, durante la seconda ripetizione, una sorta di risposta al
primo inciso, le crome sono staccate o legate diversamente. Nel 1955 le prime tre
crome sono staccate e le ultime due legate (segnate in azzurro) mentre nel 1981, la
prima è staccata, la terza e la quarta sono legate e la quinta e la sesta sono staccate
(segnate in blu). Proseguendo il confronto da battuta 27 si nota che le crome del
basso subiscono l'azione del tempo: nella prima versione sono più legate (in azzurro)
mentre nella seconda (in blu) sono più staccate ed incisive.

Figura 18. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 1, bb. 23-32.

Si può dire che in generale nella registrazione del 1955 ci sono più rigonfiamenti
dinamici rispetto a quella del 1981: ne è un chiaro esempio la sezione da battuta 20 a
battuta 24. Nella prima infatti i crescendo e i diminuendo seguono l'andamento

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ascendente e discendente delle note, diversamente dal secondo Gould che mira
piuttosto a darne un effetto più deciso enfatizzando gli incipit delle frasi o
accentando le note del basso.
Il cofanetto della Sony uscito nel 2005 e intitolato Glenn Gould. The 1955
Goldberg Variations. Birth of a legend, contiene oltre all'incisione integrale del 1955,
anche una selezione di tracks scartate dal pianista canadese durante quella seduta di
registrazioni. Da una di queste si sente la voce di Gould che dice di essere
particolarmente soddisfatto della prima prova, ma di voler comunque registrare
un'altra versione della stessa Variazione. Il materiale scartato della seconda
Variazione è anche molto interessante per comprendere l'importanza nella ricerca
della chiarezza di tutte le note per un perfetto equilibrio. Dopo diverse prove e
tentativi Gould interrompe la registrazione per studiare accuratamente un passaggio
della mano sinistra. Ne riprende poi l'esecuzione a mani unite a battuta 11 cantando
ad alta voce la melodia.
Nella Variazione 2, simile ad un'invenzione a due voci, le crome della mano
sinistra sono legate nella prima parte della misura mentre sono staccate nella seconda
(in azzurro). Dalla registrazione inedita si sente che lo studio di questo passaggio
viene interrotto, per essere poi ripetuto ogni qual volta uno degli ottavi non è
perfettamente uguale agli altri.

81
Figura 19. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 1, bb. 1-16.

Per quanto riguarda il fraseggio, nell'incisione del 1981 la mano sinistra è per gran
parte della variazione staccata (in blu), sia nelle crome che durante alcuni passaggi
delle semicrome come ad esempio a battute 19 e 24.
A differenza della prima versione, la melodia della mano destra è ora messa in
risalto con degli espedienti dinamici: succede ad esempio alla linea del soprano
(evidenziata in verde) che si muove dal sol4 di battuta 5, al mi4 di battuta 6, al la4 e al
sol3 delle due battute successive oppure da battuta 13, alla linea del contralto nelle
semiminime che progressivamente segnano il diminuendo che porta alla fine della
prima sezione.

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Figura 20. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 2, bb. 17-27.

Nella seconda parte il contrappunto delle due voci si intensifica e l'imitazione a tre
voci diventa più intensa. Poiché la struttura della variazione presenta una
suddivisione binaria di precisione matematica, nella seconda parte della variazione
troviamo gli stessi motivi tematici della prima, una fusione del tema “a botta e
risposta” dei contrappunti liberi. Da battuta 21 a 24 Gould evidenzia, più nella prima
che nella seconda incisione, la linea del soprano (segnata in verde) mi4, do4, fa3, mi3
ed i bicordi affidati alla mano destra di battuta 29.
La versione della Tureck di questa Variazione si discosta da entrambe le
incisione gouldiane: il fraseggio della pianista americana è sempre legato e le note
del canto sono in evidenza rispetto alle semicrome.
La terza è il primo di una serie di canoni che appaiono ogni tre variazioni. Si
tratta di un canone all'unisono, ovvero di un tipo di canone in cui la seconda voce
inizia sulla stessa nota della prima. Entrambe le incisione di Gould offrono una
sensazione di speditezza attraverso l'andamento delle terzine. Nella prima parte
spicca il canto alla mano destra, modificato leggermente nella seconda incisione con
l'aggiunta di alcune appoggiature (come ad esempio sul terzo tactus della prima
battuta), molto legato ed espressivo. Esso si trova in contrasto con le note della mano
sinistra che sono articolatissime a partire dalle semicrome della terza battuta,

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richiamando il timbro del fagotto.
La Tureck opta invece per un fraseggio più classico: le crome della mano
sinistra sono legate per le prime due e staccate negli ottavi successivi.
In tutte le variazioni canoniche del 1981 Gould esegue il ritornello della prima
parte. Nel caso della terza Variazione propone la ripetizione con alcuni cambi di
agogica trasmettendo un senso di angoscia. Gould accelera infatti a battute 3 e 6 (in
viola).

Figura 21. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 3, bb. 1-4.

Nella prima performance, velocità e leggerezza portano avanti il discorso musicale,


mentre nella seconda incisione Gould sembra prediligere, sopra tutte le qualità, una
sorta di grazia autunnale e una chiarezza generale. La versione del 1981 è anche più
ricca di contrasti tra le voci: all'inizio della seconda parte Gould pone l'attenzione
sull'ingresso prepotente della mano sinistra e poi alle semicrome della mano destra
dove aggiunge un mordente sulla nota più acuta della misura. Anche le voci interne
sono più in evidenza come a battuta 11 dove spicca la voce al contralto (fa3 ecc.). In
entrambe le incisioni il finale spicca rispetto al resto: la prima volta Gould fa
emergere le semicrome della mano destra con un crescendo molto lungo, la seconda
volta invece le esegue più staccate.
Un aspetto interessante che nasce dal confronto delle due incisione riguarda

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l'utilizzo degli abbellimenti: sono quasi virtuosistici, un po' sacrificati dalla velocità
nella prima versione e invece strutturalmente funzionali nell'ultima, dove spesso
Gould modifica o aggiunge numerosi mordenti e acciaccature. Per esempio, a battuta
9 dopo il primo ritornello del canone all'unisono, Gould esegue un mordente sul si
del decimo ottavo (segnato in rosa), che non si trova nella prima esecuzione, per
evidenziare la voce superiore, che verrà presto affiancata dall'entrata della voce
mediana. Questi accorgimenti gli permettono di bilanciare la spinta contrappuntistica
alla bellezza della melodia e di unire la segnalazione della linea armonica del basso
all'inventività estetica dello sviluppo melismatico.

Figura 22. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 3, bb. 9-10.

La quarta Variazione, di carattere libero e quindi posta a capo del secondo gruppetto
di tre, presenta praticamente la stessa struttura ad ogni battuta. La linea tematica del
basso risalta sulle altre voci. Come già accennato, anche in questa variazione Gould
esegue il ritornello della prima parte nella versione del 1981 un po' in piano, proprio
per sottolineare la linea del basso (evidenziata in rosso).

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Figura 23. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 4, bb. 1-16.

In entrambe le registrazioni, le note del basso sol fa mi re si do si sol sono quasi


marcate ed articolate mentre le altre voci, sempre abbastanza staccate, sembrano
accompagnare la linea principale affidata alla mano sinistra. Evidentemente il
giovane Gould aveva ben chiaro il significato di questa variazione poiché, in sede di
registrazione, la provò tantissime volte prima di scegliere la versione che lo
convinceva di più.
Anche in questo caso le differenze tra le due incisioni riguardano soprattutto gli
aspetti legati all'agogica piuttosto che quelli espressivi e dinamici. La versione del
1981 è leggermente più lenta della prima ma, al di là del basso più o meno marcato,
le note che lo accompagnano sono in entrambe le versioni slegate (nella prima frase
di otto battute di entrambe le sezioni) oppure più appoggiate e legate (nella seconda
frase, sempre di otto battute, di entrambe le sezioni). Anche a battuta 31, le note di
tutte e quattro le voci sono staccate in entrambe le incisioni. Il carattere risulta
incisivo e la volontà di riproporre quello che dovrebbe essere il tema delle variazioni
è molto evidente. Il tempo leggermente più lento della seconda versione conferisce
alla variazione un carattere quasi solenne, una vera e propria enunciazione, in questo
caso del basso. Dal punto di vista dell'agogica la seconda versione si avvicina a
quella della Tureck degli anni 50' anche se nel suo caso il fraseggio è più staccato e
marcato.
Nella quinta variazione, la prima a due voci e a mani incrociate, la linea del

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canto accompagna le semicrome che Gould esegue, ad una velocità incredibile in
entrambe le registrazioni. Diversamente, i sedicesimi della Tureck sono in evidenza
rispetto a crome e semiminime e il tempo è complessivamente più lento: dimezzando
la durata di 1' 55'' per i ritornelli eseguiti in entrambe le sezioni, si ottiene un tempo
di quasi un minuto.
Il tempo utilizzato da entrambi i Gould è così veloce che probabilmente, per
non perdere la pulsazione, Gould batte furiosamente il piede a terra: la Variazione 5
ha infatti una durata totale di soli 37'' in entrambe le incisioni. La velocità non è il
solo aspetto che colpisce l'ascoltatore: come una raffica di vento fresco, la quinta
variazione ha un carattere brillante e vivace. Il canto della mano sinistra compie dei
balzi rapidissimi oltre la mano destra per passare dal registro grave a quello più
acuto.
La differenza tra le due versioni non sta nella scelta del tempo, ma riguarda il
fraseggio: nella versione più recente Gould stacca le prime due crome sul primo e
secondo quarto e lega la semiminima del terzo quarto alla croma della misura
successiva (sia nella prime 7 misure che a battute 9,10 e 17 – segnato in blu), mentre
nella prima versione, tutte le crome e le semiminime affidate alla mano sinistra sono
staccate.

Figura 24. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 5, bb. 1-4.

Per probabili motivi legati all'estrema velocità, vengo omessi alcuni mordenti, ma in
punti diversi nelle due incisioni. A misura 11 ad esempio, viene eseguito il mordente
sul sol3 nella prima, ma non nella seconda versione; il gruppetto sul sol5 a battuta 12
non c'è in nessuna delle due occasioni; il trillo sul fa5 a battuta 17 viene eseguito nel

87
1955 ma non nel 1981; il mordente sul re#5 a battuta 20 c'è nella seconda incisione e
non nella prima; quello sul sol3 viene omesso in entrambe.99

Figura 25, J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 5, bb. 9-12.

Figura 26. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 5, bb. 17-20.

La Variazione 6 è un canone alla seconda, ovvero un canone in cui la seconda voce si


trova ad una distanza di seconda maggiore più in alto rispetto alla prima. Come per
tutte la variazioni in coda ai gruppi di tre, anche per la sesta Gould esegue il
ritornello della prima parte e ne approfitta per marcare le linee di soprano e contralto
a discapito delle semicrome della mano sinistra che sono più leggere rispetto la prima
volta, ma sempre brillanti ed articolate.

99 Gli abbellimenti modificati nelle due versioni sono evidenziati in rosa sulla partitura.

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Figura 27. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 6, bb. 1-5.

La Variazione della prima incisione è molto più cantabile e distesa, una vera e
propria eccezione dato che in generale, i tempi di Gould della prima registrazione
sono generalmente più veloci rispetto alla seconda.
Da battuta 25 a battuta 30 ci sono diversi ritenuti soprattutto in concomitanza
delle semiminime con il punto della linea superiore. Oltre ad essere un po' più forti,
le note di questo tema melodico sono leggermente ritardate. Nella prima versione la
dilatazione del tempo è così marcata che lo stesso Gould prima di rieseguire la
Variazione per la diciassettesima volta, giustifica in sede di registrazione questa
scelta. Egli sostiene che in generale i cambi di tempo compromettono la struttura del
brano, ma che «in questo caso invece ci stanno molto bene».100 Nella seconda
incisione invece il carattere della Variazione è più brillante e allegro sia per la
maggiore velocità, sia per le semicrome staccate della mano sinistra.
La versione del 1981 della sesta Variazione è un chiaro esempio di “pulizia” e
di ricerca mirata del pianista canadese alla perfetta struttura dell'opera, a quella
purezza e chiarezza contrappuntistica che ha caratterizzato il suo modo di suonare e
forse la sua vocazione. Nella seconda incisione infatti i numerosi ritenuti che
avevano enfatizzato ancora di più il carattere cantabile della variazione, sono del
tutte assenti. Le semicrome con il punto delle battute 25-29 (cerchiate in rosso) sono
comunque sottolineate, senza bisogno di ritenuti, da un crescendo prima e da un
diminuendo finale poi.

100 Glenn Gould, The 1955 Goldberg Variations. Birth of a legend, outtackes from the 1955 Golden
Variations recording session, Sony classical.

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Figura 28. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 6, bb. 23-32.

La Variazione 7 presenta uno schema ritmico di note puntate in 6∕ 8 il cui andamento


ricorda un po' quello della Giga della seconda Suite Francese di Johann Sebastian
Bach. Grazie ad un tempo un po' più scorrevole, la prima incisione, presenta un
carattere brioso e leggero, mentre la seconda incisione, un po' più lenta, ricorda
l'andamento solenne della danza siciliana.
Le due versioni divergono anche nell'aggiunta o nell'omissione di alcuni
mordenti che, in relazione all'edizione Urtext, la Tureck invece esegue tutti. In
entrambe le registrazioni Gould non li esegue nella prima misura, nella seconda
incisione, non esegue il mordente sul sol5 a battuta 3, mentre in entrambe aggiunge
un mordente sul do4 (segnati in rosa).

Figura 29. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 7, bb. 1-5.

Nella versione del 1981 Gould aggiunge anche diverse appoggiature in prossimità

90
delle chiusure, come al termine della prima frase, prima del re5 sulla seconda metà di
battuta 4, oppure a battuta 12, prima del la4; omette invece l'appoggiatura sul re5 a
battuta 16, diversamente da quanto fatto nella prima incisione.

Figura 30. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 7 bb. 11-16.

Nella seconda parte, a battuta 20, aggiunge un'altra appoggiatura prima del si4, che
risalta ancora di più per la scelta di eseguire staccate le due note che lo precedono.
Ma in questo caso l'appoggiatura è la conclusione di una frase, la prima della seconda
sezione, che spicca tra tutte le altre della Giga. Gould opta per la stessa appoggiatura
anche a battuta 28, sempre nell'ultima versione, prima del diminuendo e rallentando
finali.

Figura 31. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 7 bb. 17-21.

La seconda sezione si apre con maggior enfasi poiché il pianista canadese da risalto
alle semicrome della seconda metà di battuta 19, che sono staccate e con un tocco
particolarmente brillante. Se nella versione del 1981 è la frase di battute 17-20 a
rappresentare l'apice espressivo della Variazione, nel 1955 invece Gould sottolinea
l'ultima apparizione del tema, da battuta 25, questa volta più chiaro e scandito, e
accentua leggermente le semiminime sul battere di battute 30 e 31. In entrambe le

91
incisioni l'ultima frase della prima sezione è eseguita invece con più dolcezza e in
piano.

Figura 32. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 7, bb. 22-32.

La Variazione successiva è un'altra variazione a due voci particolarmente


virtuosistica, suonata magistralmente e con una padronanza incredibile, in entrambe
le incisione. Nella seconda versione, il tempo leggermente più lento (la differenza è
infatti di soli 9'') gli permette di evidenziare la cellula melodica affidata alla mano
sinistra e caratterizzata da tre semicrome in levare e quattro crome, che si ripete
variata, nel corso di tutto il brano. Nell'incisione del 1981 spicca proprio questa breve
linea tematica (in rosso) composta da semicrome in levare e crome ascendenti o
discendenti che si fa sentire nella prima parte, dall'inizio della variazione a battuta 8
e, nella seconda parte, a battute 17 e 18.

92
Figura 33. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 8, bb.1-8.

Figura 34. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 8, bb. 17-20.

Nella prima incisione, l'attenzione di Gould si pone sull'unità e sull'equilibrio di


entrambe le voci, mentre nella seconda, sull'incisività ritmica. Ma ciò che colpisce
nella seconda incisione è anche l'aspetto dinamico, che risalta più che in altre
variazioni. Dopo le prime otto battute, dalle quali spicca la cellula melodica di
semicrome in levare e crome, le otto successive sono caratterizzate da un piano
improvviso (presente anche nell'altra incisione) e da un breve crescendo che
introduce l'arrivo della stessa cellula tematica accentata che ora è però affidata alla
mano destra.

93
Figura 35. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 8, bb. 13-16.

Nella seconda parte le crome della mano sinistra sono accentate (solo nella seconda
versione) ed entrambe le voci sono eseguite con una dinamica abbastanza forte che
però si esaurisce poco dopo a battuta 19, questa volta, in entrambe le incisioni. Da
battuta 25 alla fine invece, la differenza tra le due registrazioni è ancora più evidente
dal punto di vista dinamico: nel 1955 Gould comincia l'ultimo periodo di otto battute
con un suono raccolto e in piano, che da battuta 27 evolve in un crescendo, per poi
giungere alla fine della Variazione ad un rallentando (segnato in azzurro); nel 1981
invece le dinamiche oscillano di battuta in battuta seguendo l'andamento ascendente
e discendente (segnato in blu) delle note a battute 25 e 26, per poi intensificarsi da
battuta 27 e preparare così l'ultima apparizione della cellula melodica in cui le crome
alla mano sinistra sono nuovamente accentuate per una conclusione con i fiocchi
d'artificio.

Figura 36. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 8, bb. 25-32.

94
La Variazione 9 è un canone alla terza dalla lunghezza abbastanza breve (16
4
battute), con un tempo di ⁄ 4 e con la ripetizione del primo ritornello, come di
consueto, nella seconda incisione dell'opera.

Figura 37. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 9, bb. 1-8.

Le due incisioni hanno all'incirca con lo stesso tempo: aggiungendo infatti alla prima
registrazione ulteriori 18'', corrispondenti al tempo di un ipotetico ritornello anche
nella versione del 1955, la differenza sarebbe di soli tre secondi.
Gli elementi espressivi si assomigliano nei crescendo e nei diminuendo che
seguono l'andamento delle semicrome ascendenti o discendenti. Nell'incisione più
recente, Gould sfrutta il ritornello per eseguire una volta legata ed una più staccata la
prima parte della Variazione per proseguire poi con un andamento brillante e slegato
(segnati in azzurro per la registrazione del 1955 e in blu per quella del 1981).
Rosalyn Tureck sfrutta invece i ritornelli per mettere in evidenza le note del
canto e per esagerare con i diminuendo in chiusura delle frasi.
Nella prima incisione tutta la Variazione ha un carattere cantabile e più
delicato. Nel 1981 invece alcuni elementi melodici vengono maggiormente
sottolineati come ad esempio le voci interne a mis. 4 ( segnati in rosso) oppure gli
incisi melodici del basso sul terzo quarto di battuta 5 (mi3, mi4, re#4, mi4) e come
risposta al soprano sul primo quarto della misura successiva (do5, re5, mi5, fa5),
segnati in verde. Anche l'ingresso della mano sinistra a battuta 13, con il levare, è più

95
incisivo nella seconda registrazione, rompendo la cantabilità della Variazione
(segnato in rosso).
Nella prima versione il giovane Gould sembra molto prudente a sottolineare le
voci, ma in compenso il tipo di suono ricercato è molto chiaro. Ancora una volta
possiamo trovare conferma della sua ricerca quasi maniacale di un timbro
“clavicembalistico” e di una chiarezza generale, nelle numerose tracce scartate in
sede d'incisione dalle quali risulta che ha anche studiato ripetendo più volte alcuni
passaggi della mano sinistra a battuta 1 e a cavallo tra le misure 3 e 4.
Per quanto riguarda gli abbellimenti, anche in questa Variazione apporta delle
modifiche: in entrambe le registrazioni omette il mordente sul secondo quarto di mis.
12, a mis. 15 ne aggiunge uno sul fa al soprano (secondo quarto) e a battuta 16
esegue, solo nel 1981, il mordente sul fa al soprano (tutti evidenziati in rosa).

Figura 38. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 9, bb. 9-16.

La Variazione 10 è una fuga, definita fughetta dallo stesso compositore


probabilmente per mancanza di ulteriori caratteristiche essenziali della fuga con due
sole esposizioni tematiche.

96
Figura 39. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 10 Fughetta.

Come nel caso della quarta Variazione, anche la decima rappresenta un'eccezione per
l'esecuzione del ritornello nel 1981. In questo modo Gould sottolinea il tema delle
Variazioni Goldberg che emerge nell'esposizione del basso (segnato in rosso) e ha
inoltre l'occasione di eseguire la parte iniziale con due fraseggi distinti: la prima volta
è più staccata e forte, la seconda più legata e piano. Gould utilizza quindi il
ritornello come espediente per evidenziare alcuni aspetti. Nel caso della decima
Variazione sceglie di eseguire il basso più legato, quasi a voler evidenziare
maggiormente le voci interne oppure adotta, sul piano dinamico, un marcato
nell'incipit dove espone il soggetto che dalla tonica passa alla dominante (sol al
basso, segnato in arancione – re al tenore, segnato in azzurro).
Un altro momento che Gould sfrutta nella seconda manche è a battuta 10, poco
dopo l'attacco del soprano (a battuta 9 e segnato in violetto) trasportato di una quarta
inferiore a metà del soggetto (battuta 11): nella prima ripetizione, esegue le

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semiminime al soprano staccate (le prime due) e legate (la terza e la quarta), mentre
nella seconda sono tutte legate (segnati in blu). L'ingresso del soggetto al contralto
(evidenziato in verde chiaro), l'unico ad entrare come voce interna, viene comunque
illuminato dal pianista canadese con l'aggiunta di un mordente (segnato in rosa) sul
battere di battuta 13 (presente in entrambe le registrazioni), mentre il soprano espone
un tema composto da un lungo pedale di dominante (evidenziato in verde scuro) che
verrà ripresentato nella seconda sezione.
La seconda sezione presenta una nuova esposizione riutilizzando però lo stesso
materiale tematico della prima. Il soprano (evidenziato in violetto) inizia la sezione
con il soggetto accompagnato dal basso scritto con lo stile al basso continuo (in
rosso), il quale dovrebbe rappresentare un ruolo da protagonista per tutte le otto
battute, ma che viene però rilegato al ruolo di accompagnamento, in entrambe le
versioni abbastanza staccato. L'attenzione del pianista è posta sul soggetto che viene
riproposto al contralto subito dopo (segnato in verde chiaro), da battuta 21, sempre
con l'aggiunta di un mordente al battere (in rosa), ma accompagnato al basso con un
ritmo raddoppiato di velocità (crome). Il soggetto al basso (da battuta 25, segnato in
arancione) è particolarmente evidenziato in entrambe le incisioni, mentre l'ultima
entrata del soggetto al tenore (in azzurro), come all'inizio della prima sezione,
prevede nuovamente ed in entrambe le incisioni, l'aggiunta del mordente sul battere
(segnato in rosa). Anche l'accordo finale in sol maggiore è diverso: le tre note che lo
compongono sono infatti arpeggiate, dal basso verso l'alto, in perfetto stile barocco.
La versione del 1955 pone l'attenzione sulle note del soggetto ed è
complessivamente più distesa rispetto alla seconda, che risulta invece marcata
soprattutto nell'esposizione e con un carattere più solenne.
Dal punto di vista del tempo, Gould esegue la Variazione 11 praticamente alla
stessa velocità nelle due registrazioni, rendendole quindi molto simili anche dal
punto di vista del timbro che nasce dallo stesso tipo di articolazione. Le differenze
sostanziali tra le due incisioni, si possono riscontrare invece nell'omissione o
nell'aggiunta di molti abbellimenti.
La seconda incisione è per questo aspetto interessante: i mordenti che si
trovano sul battere di battute 5, 6 e 7 al contralto e, al soprano a battute 13, 14, 15,

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sono in gran parte eliminati. L'unico eseguito è l'ultimo della serie, a battuta 14: la
scelta di Gould risulta abbastanza strana in quanto, per motivi di simmetria delle due
frasi, sarebbe stato più coerente togliere anche il terzo abbellimento della seconda.
Con l'esecuzione di quell'unico abbellimento, forse voleva porre l'attenzione ad un
momento di particolare tensione sulla dominante che risolve poi sulla tonica per
chiudere la prima parte della variazione.

Figura 40. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 11, bb. 5-8.

Figura 41. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 11, bb. 13-16.

Nella prima incisione Gould non aveva solo eseguito tutti i mordenti, ma in fase di
registrazione, si era anche soffermato molto nello studio di quei passaggi che, gli
sembravano sempre «troppo lenti».101 Nella versione ufficiale infatti si sente
chiaramente il battito del piede che aiuta il pianista nella scansione ritmica,
soprattutto nella prima parte della variazione.
Rispetto alla prima incisione, quella del 1981 presenta, dal punto di vista
espressivo, una maggior incisività nella seconda parte che si apre con un suono più

101 Ibidem.

99
forte ed una maggiore enfasi che culmina con l'accentazione della note al basso a
cavallo di battute 20-21, 21-22 e 22-23 (cerchiate in verde scuro).

Figura 42. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 11, bb. 17-24.

Diversamente, la prima incisione è più delicata ed armoniosa, anche nell'utilizzo dei


crescendo e diminuendo che seguono perfettamente l'andamento delle scale e degli
arpeggi di cui è principalmente formata la variazione. Preceduta da un piccolo
ritenuto, la venticinquesima misura apre l'ultima esposizione delle due voci,
leggermente sotto-tempo e con una dinamica più piano. Nella versione del 1981
invece, quest'ultima parte è ancora carica di tensione. Gould marca le semiminime
discendenti affidate alla mano sinistra, come aveva anche fatto nella frase precedente
(battute 20-23) e chiude la Variazione a due voci con un diminuendo e un ritardando,
questa volta presenti in entrambe.
La Variazione 12 è un canone alla quarta ovvero un canone in cui la melodia e
la sua ripetizione, dette antecedente (in azzurro) e conseguente (in arancione), si
trovano a distanza di una quarta discendente (sol – re, cerchiati in rosso).

100
Figura 43. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 12, bb. 1-7.

Decisamente più veloce, la prima incisione di questa variazione contrappuntistica si


distingue per la brillantezza sonora e per la chiarezza ritmica, sottolineata
dall'incessante battito del piede del pianista che accompagna quasi tutta la
registrazione. Dalla seconda registrazione spicca invece tra tutti, l'elemento timbrico
che, nel caso delle semiminime al basso (cerchiate in verde) è articolato ed accentato
in modo tale da produrre un tipo di suono che si avvicina a quello del clavicembalo.
Molto diverso il suono della Tureck, legato e meno marcato nei bassi.
Come di consueto, Gould sfrutta anche in questa occasione il ritornello per
apportare delle modifiche espressive e sonore: la seconda ripetizione è eseguita con
una dinamica più piano e, la melodia ed il basso, sono più legati rispetto alla prima
ripetizione.
Sempre nella versione più recente, Gould aggiunge un mordente (cerchiato in
rosa) alla fine della melodia conseguente a misura 5, probabilmente per motivi di
simmetria con la melodia antecedente che già prevedeva un mordente sulla sensibile.
Nella seconda parte la melodia antecedente e quella conseguente sono invertite
e la sonorità torna ad essere più forte.

101
Figura 44. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 12, bb. 17-19.

Anche nella versione del 1955 il basso, quasi accentato, si fa sentire all'inizio della
seconda sezione in cui le linee canoniche annunciate nell'esposizione, si sono
modificate ed intrecciate a tal punto da essere poco riconoscibili. In entrambe le
incisioni Gould esegue le scale ascendenti e discendenti di battute 25-27 in
crescendo e diminuendo (segnati in viola). A battuta 27, l'ultimo crescendo apre la
frase finale che termina con un ritardando, in entrambe le incisioni.

Figura 45. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 12, bb. 23-28.

La tredicesima Variazione è un'ottima base d'ascolto per capire il livello di


maturazione di Gould nei confronti di quest'opera: egli non ha solo perfezionato gli
aspetti tecnici legati all'articolazione delle dita, mirata ad ottenere un particolare

102
timbro, ma naturalmente anche gli elementi espressivi e di fraseggio, di note legate e
staccate che, combinate in modi diversi nelle due versioni, hanno dato vita a due
interpretazioni completamente differenti.
Ascoltando soltanto la prima misura della Variazione 13 è possibile percepire la
sostanziale differenza tra le due incisioni della Sony. Il tempo, come ormai di
consueto, è molto moderato nella registrazione del 1981 ed è invece più sostenuto
nella prima, anche se in questa versione il pianista si concede molti più rubati
all'interno del fraseggio che è perlopiù legato (segnato in azzurro) e quindi
complessivamente cantabile, dolce e delicato. Molto diverso è invece il fraseggio
della seconda incisione (evidenziato in blu) nel quale Gould alterna legature a note
corte, sia nel canto che nell'accompagnamento.

103
Figura 46. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 13, bb. 1-17.

104
Figura 47. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 13, bb. 18-32.

Anche le note al basso della seconda versione sono molto variate nel corso del brano:
ad esempio la minima con la semicroma in levare (evidenziata in verde a battute 1-4)
è staccata le prime quattro volte e successivamente è legata alla nota da due quarti.
Lo stesso accade anche alle crome affidate alla mano sinistra che sono a tratti legate
e a tratti staccate. Sembra che l'intento del pianista canadese si quello di porre

105
l'attenzione, nella versione del 1981, su ogni singola nota (anche con l'aggiunta di
mordenti come ad esempio a battute 8 e 16, evidenziati in rosa), mentre, nella
versione del 1955, sulla frase intera prediligendo quindi un fraseggio legato e
uniforme piuttosto che un effetto “spezzato” dato dalle legature più brevi, dalle note
staccate, o anche dall'effetto arpeggiato di alcuni bicordi come ad esempio quello di
battuta 24 (cerchiato in verde).
Nella seconda parte le linee melodiche del primo Gould sono legate come nella
prima, mentre nella seconda incisione il fraseggio è ancora variato tra legature e note
staccate. Le note dell'incipit sono più corte (segnate con dei puntini blu a battute 17 e
18) e, in alcuni passaggi, le note affidate alla mano sinistra sono più sonore. Sia nella
prima che nella seconda registrazione, le note della mano sinistra di battute 25 e 26
sono eseguite in crescendo (segnato in viola), che, nella versione del 1981,
rappresenta il punto di maggior sonorità della variazione. Le linee melodiche affidate
alla mano sinistra emergono da questa registrazione, tanto da sovrastare in alcuni
momenti, la linea melodica della destra come ad esempio a misure 21 e 22
(crescendo segnati in viola). Nelle ultime quattro battute riprende invece il suo posto
la melodia della destra: i gruppi di biscrome sono a tratti eseguiti più legati ed a tratti
più staccati mentre, prima della tonica, a battuta 31, la prima biscroma di ogni
gruppo di otto è staccata come da partitura e, sull'ultimo quarto della battuta, è anche
accentata (la cerchiato in verde).
La Variazione del 1955, che nel cofanetto della Sony Birth of a Legend è divisa
in due tracks (track 13 prima parte e track 14 seconda parte), è più veloce ma ha
anche più rubati che sono presenti quasi all'inizio di ogni battuta, e, nella seconda
parte, anche all'interno delle misure. Gould non si limita ad alcune esitazioni nel
tempo, ma anche a ritardandi e ad accelerandi (frecce viola) che danno un senso di
andamento all'interno del fraseggio cantabile e legato. La melodia, nell'incipit delle
due sezioni, cambia dal punto di vista sonoro (nella seconda parte è più piano
rispetto alla prima) e, a differenza della seconda versione, non si lascia mai
“superare” sonoricamente dal basso. A battuta 21 ad esempio la mano destra è più
forte della sinistra; nel 1981 è il contrario.
Anche dal punto di vista degli abbellimenti è possibile riscontrare delle

106
differenze tra le due incisioni: nella registrazione del 1981 Gould inserisce un
mordente sull'ultima biscroma di battuta 8 e sull'accordo di dominante di battuta 16,
mentre nella registrazione del 1955 omette il mordente di battuta 5 ed il gruppetto di
battuta 12 (sol5). Nella seconda parte della variazione il giovane Gould omette invece
gli abbellimenti di battute 20 e 24. In entrambe le versioni invece Gould cambia il
mordente a battuta 12 con un trillo.102
La versione di questa Variazione della Tureck sorprende invece per il tempo
più sostenuto rispetto alle registrazioni gouldiane e per la varietà nell'utilizzo di note
staccate e legate.
La quattordicesima Variazione, di carattere brillante, presenta molti trilli e parti
ornamentali che sono eseguiti da Gould con una padronanza ed una chiarezza
incredibili in entrambe le incisioni. Seppur con un tempo leggermente più lento,
questa Variazione si avvicina nell'interpretazione ad entrambi i pianisti: anche la
proposta della Tureck spicca per limpidezza e scorrevolezza.

Figura 48. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 14, bb. 1-10.

102 Gli abbellimenti modificati da Gould sono segnati in rosa sulla partitura.

107
La velocità d'esecuzione, che oscilla circa dai 120 battiti alla semiminima della prima
incisione ai 100 battiti alla semiminima della seconda incisione, dimostra una
straordinaria capacità tecnica e virtuosistica, richieste della variazione stessa.
La Variazione 14 si apre, in entrambe le registrazioni, con un accento sul sol al
basso ma eseguito con la mano destra (evidenziato in verde), riproposto con una
minor intensità sonora anche sul re3 questa volta senza mordente, all'inizio della
seconda sezione (sempre in verde). Dopo il primo trillo a battute 3 e 4, le due
incisioni prendono però strade diverse: la breve linea melodica formata da tre crome,
due semicrome e una croma (mi re do# re mi fa), riproposta anche nella seconda
sezione sempre al soprano (fa la re# mi fa si), è eseguita con un legato nella prima
incisione, mentre nella seconda è nella prima parte staccata (crome) e nella seconda
legata (semicrome e croma). Dopo il secondo trillo, da battuta 5 a battuta 8, le crome
continuano ad essere legate nella versione del 1955 e perlopiù staccate in quella del
1981 ad eccezione di due punti: sono infatti legate le crome che formano un
intervallo di sesta discendente (mi sol) al soprano e di terza discende al tenore a
battuta 8 (si sol).103
Nelle battute 9, 10, 11 e 12, la serie di mordenti alternati tra le due mani,
segnati in partitura come biscrome e semicrome, sono eseguiti in entrambe le
registrazioni, sia in forte che naturalmente a tempo. Solo chi possiede un virtuosismo
fuori dal comune è in grado di suonare un passaggio come questo ad una velocità
elevata e anche con una così grande sonorità.104
Le battute successive (13 e 14) presentano una differenza di articolazione nelle
crome della mano sinistra, che incrocia sopra la destra: nella prima versione gli ottavi
sono staccati, mentre nella seconda sono anche accentati.
Dal punto di vista strutturale, la seconda sezione è una copia della prima anche
se cambiano gli intervalli che separano le linee melodiche simili. La distanza tra la
prima nota al basso e la seconda al soprano con il trillo è di un'ottava a battuta 1 e di
una settima a battuta 17. Confrontando anche le battute 5, 6, 7 e 8 con le battute 21,

103 Per l'incisione del 1981, i segni di legato e staccato sono segnati sulla partitura in blu, mentre per
quella del 1955 in azzurro.
104 Dal punto di vista fisico, e nello specifico, della micromotricità dell'articolazione dita, è
necessario utilizzare due forze contrastanti, ovvero una rapida articolazione “verticale” per dare
sonorità ed uno slancio “orizzontale” per la velocità.

108
22, 23 e 24 si nota una somiglianza nella scrittura ritmica, ma un'inversione nella
parti: nella seconda sezione è la mano sinistra ad avere le crome che sono più legate
rispetto alla prima parte nell'incisione del 1955 e tutte staccate nell'incisione del
1981. Anche la sezione virtuosistica di battute 25-28, scritta da Bach in un registro
più grave rispetto alla prima sezione, è suonata con una minor sonorità nella prima
incisione e sempre in forte nella seconda. Le battute 29 e 30, seguono il tipo di
interpretazione di battuta 21: nella prima registrazione le crome sono più appoggiate
e legate (come quelle affidate alla linea del basso) mentre nella seconda sono staccate
(segante in azzurro per la versione del 1955 e in blu per quella del 1981).

Figura 49. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 14, bb. 17-24.

La Variazione 15 è un canone alla quinta in senso contrario, con la risposta del tema
a sua volta invertita (evidenziati in azzurro ed arancione). Ancora una volta molto
distanti nella scelta del tempo, le due versioni presentano numerose differenze anche
nel fraseggio. Nella variazione del '55 le legature segnate in partitura che uniscono a
due a due le semicrome delle voci canoniche, sono eseguite senza respiro dando
comunque l'idea di un fraseggio più legato e Andante, come quello dell'ammirata
pianista americana. La registrazione del 1981 è molto più variegata e presenta brevi
legature, note staccate e note slegate, anche tra la prima ripetizione ed il ritornello. In
questa parte ripetuta, a battuta 2, le note al tenore (fa#, mi e fa) sono molto più
staccate rispetto alla prima ripetizione (in verde). Lo stesso accade anche a battuta 5:

109
nella prima ripetizione le biscrome sono legate e la semicroma staccata (sol3, fa#3,
sol3), nella seconda ripetizione invece le due biscrome e la semicroma sono staccate.
Durante il ritornello sono molto più staccate anche le semicrome e le crome affidate
alla mano sinistra da battuta 8, in cui l'accordo di sol maggiore arpeggiato, chiude la
prima sezione.

Figura 50. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 15, bb. 1-10.

Anche la seconda parte di questa Variazione presenta molti aspetti interessanti dal
punto di vista del fraseggio, complessivamente più legato e disteso nella prima
versione e più variegato nella successiva, ma anche dal punto di vista della ricerca
timbrica: in entrambe le incisioni le voci che si intrecciano tra soprano, contralto
(evidenziate in arancione) e basso, dove si trovano gli incisi melodici del canone (in
azzurro a battuta 17), si distinguono tra loro per diversità timbriche. Nella prima
incisione le voci hanno timbri diversi ma quasi sempre la stessa intensità sonora,
tranne a battute 24-25 dove emerge la voce al basso. Nella seconda alcuni incisi
tematici sono più evidenziati dal punto di vista sonoro, come succede ad esempio alle

110
note del basso di battute 19 e 20 (segnate in verde) che emergono rispetto alle voci
superiori per poi diminuire d'intensità (diminuendo segnato in viola) prima
dell'apparizione della voce principale a misura 24.

Figura 51. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 15, bb. 17-26.

Nella parte conclusiva di entrambe le registrazioni spicca la melodia alla voce


superiore, più distesa e pacata, superata dal contralto sul re al battere di battuta 29
(evidenziato in verde), e, solo nella versione del 1981, dalla mano sinistra, che,
staccata, distoglie dall'attenzione posta al canto (segnato in blu).
In chiusura Gould rallenta molto, soprattutto nella registrazione più recente.

111
Figura 52. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 15, bb. 27-32.

La Variazione 16 è, come suggerisce il titolo stesso, un ouverture alla francese con


un preludio piuttosto lento ed un ritmo puntato con un seguito contrappuntistico in ⅜.
La divisione tra preludio e la parte contrappuntistica si trova a metà del brano, dopo
la sedicesima misura.

Figura 53. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 16, bb. 1-5 – Preludio.

112
Figura 54. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 16, bb. 16-28 – parte contrappuntistica.

Come ormai di consueto le due versioni divergono negli aspetti legati al tempo che,
nella prima incisione è più sostenuto, mentre nella seconda è più lento, con una
differenza complessiva di 21 secondi tra le due versioni. Molto simile è invece il
fraseggio, eseguito con una sonorità abbastanza forte, soprattutto all'inizio e alla fine
della Variazione dove troviamo, per la prima volta due accordi pieni di sol maggiore,
la tonalità d'impianto dell'opera (evidenziati in verde), suonati in forte per enfatizzare
la Variazione stessa che si trova al centro dell'opera.105

Figura 55. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 16, bb. 36-48.

105 Rosalyn Tureck esegue l'accordo di sol maggiore arpeggiato si all'inizio che alla fine della
Variazione.

113
I gruppetti che si trovano nella parte finale della sezione contrappuntistica sono
modificati nelle due registrazioni: Gould omette nella versione del 1981 il gruppetto
sul sol4 al contralto di battuta 38 e nella versione del 1955, i gruppetti a battute 39 e
40 sul sol2 e la2 al basso (tutti segnalati in rosa).
Eseguite praticamente alla stessa velocità, le due versioni della diciassettesima
Variazione, divergono principalmente dal tipo di articolazione: nel 1955 il giovane
Gould esegue le semicrome che compongono gran parte della Variazione, con un tipo
di articolazione che rende il fraseggio abbastanza legato, mentre nel 1981 esegue le
semicrome con uno scatto diverso del dito, rendendole più brillanti.106 Oltre a questo
aspetto legato alla tecnica del pianista, è possibile riscontrare anche differenze nel
utilizzo delle dinamiche, nell'aggiunta e nell'omissione di abbellimenti e
nell'accentuazione di alcune idee melodiche.
La variazione datata 1955 si apre con un mezzo piano che, a battuta 9 (segnato
in azzurro) cresce rapidamente d'intensità. In quella datata 1981, il primo picco
d'intensità sonora si trova già a battuta 7 (segnato in blu) e poi anche a battuta 9,
anticipato in questo caso da un diminuendo (segnato in viola). Le successive 8
battute che formano il seconda periodo della prima parte della Variazione, sono, in
entrambe le registrazioni, eseguite con una sonorità più forte rispetto al primo; nella
prima versione non è previsto il mordente sul mi5 (evidenziato in rosa a mis. 12) ma
sono aggiunti, questa volta in entrambe le versioni, i due mordenti tra le semicrome
della mano destra di battuta 14 (segnati in rosa).

106 Per questo tipo di effetto solitamente si utilizza una rapida articolazione dell'ultima falange del
dito.

114
Figura 56. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 17, bb. 7-16.

Nella seconda parte, le due versioni presentano delle differenze nella prima frase di 4
battute (da mis. 17 a 20): la variazione del 1955 ha un fraseggio piuttosto uniforme
nel mezzo piano, mentre quella del 1981, presenta per ogni battuta un diminuendo. A
misura 20 Gould evidenzia, sempre nella registrazione del 1981, due note: il si2 e il
re#4 (segnati in verde), omettendo il gruppetto sul re#4. La seconda frase (battute 21-
24) presenta lo stesso rigonfiamento nella dinamica: Gould cresce nella prima parte e
diminuisce verso la fine della frase. La terza frase comincia con un'intensità minore e
poi cresce di volume a misura 27, quando le semicrome al soprano raggiungono il
do6, la nota più alta del brano. Nell'ultima Gould mantiene la stessa sonorità fino alla
fine, nel 1955, mentre nella seconda registrazione evidenzia molto le linee melodiche
del contralto a battute 29 e 30 (segnate in verde). Alla fine, le ultime 4 semicrome
sono stacca, in entrambe le incisioni.

115
Figura 57. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 17, bb. 17-32.

La Variazione 18 è un canone alla sesta, ovvero un canone in cui la prima voce


(evidenziata in azzurro) e la sua risposta (evidenziata in arancione) si trovano ad un
intervallo di sesta ascendente (segnato in rosso). Le otto frasi formate da quattro
battute che compongono questa variazione sono molto simili sia nella struttura che
nell'interpretazione delle due incisioni della Sony.

116
Figura 58. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 18, bb. 1-32.

Le piccole differenze che si possono riscontrare riguardano principalmente la messa


in luce della melodia antecedente, della melodia conseguente o della voce affidata
alla mano sinistra, eseguita per lo più con le note staccate. Nella registrazione del
1955 è proprio quest'ultima ad essere sottolineata più spesso, mentre in quella del

117
1981 è la voce interna a prevalere sulle altre, soprattutto durante il ritornello della
prima sezione. In entrambe le versioni invece, gli incisi melodici di battute 12-13,
13-14 e, nella seconda parte di battute 28-29 e 29-30 (segnati in verde) sono
differenti: nella prima registrazione la semiminima è staccata, nella seconda invece è
legata alla minima con il punto. Anche l'ingresso delle due voci principali (segnato in
rosso) è sempre messo in risalto in entrambe le incisioni, soprattutto a battuta 21
(segnato in verde). A misura 12 Gould aggiunge un mordente nell'incisione più
recente, mentre in quella datata 1955 esegue soltanto quello segnato in partitura a
battuta 5. La prima registrazione diverge ancora dalla seconda, nella scelta di suonare
la sesta frase (battute 21-24) con la voce interna più legata rispetto alle altre.
Le due versioni della diciannovesima Variazione si discostano nuovamente per
gli aspetti legati al tempo, per gli elementi espressivi di note staccate e legate e per la
messe in evidenza delle voci. Per il modo in cui Gould riesce a differenziare
timbricamente le diverse voci della Variazione, possiamo definirla un'invenzione a
tre voci. La melodia (segnata in arancione) e le due voci di accompagnamento,
ovvero la linea formata dalle crome (in azzurro) e quella composta da semicrome (in
verde chiaro), sono evidenziate in due modi: le tre voci hanno la stessa intensità
sonora ma si distinguono dal timbro oppure una o due voci hanno una dinamica più
forte.
Nella prima sezione della versione del 1981 viene messa in luce la linea di
crome staccate affidata alla mano sinistra, seguita poi, a livello di intensità sonora,
dalla melodia al soprano e infine dalle semicrome al contralto. Ascoltando invece la
registrazione del 1955, decisamente più veloce della seconda, la melodia al soprano
emerge dalla prima frase, seguita dalle semicrome al contralto e poi dal basso,
sempre staccato. Il giovane Gould esegue anche la seconda frase esaltando la voce al
soprano, che questa volta è però formata delle semicrome di accompagnamento, e
non più dal canto. Ne1la versione successiva continua invece con l'intensificazione
delle note al basso che sono staccate anche nelle semicrome di battute 7 e 8. La terza
frase, da misura 9, presenta nuovamente un'inversione della voci: la melodia resta al
soprano, mentre le crome che prima erano al basso passano alla voce del contralto e
le semicrome che prima erano al contralto e poi al soprano, passano sulla linea del

118
tenore. Questa volta le tre voci presentano la stessa intensità sonora ma si
distinguono nel tipo di timbro e di articolazione: le semicrome richiamano il suono di
un fagotto, che per la prima volta è simile anche a quello della Tureck, e le due voci
superiori si incrociano tra loro in un dialogo tra note legate e staccate. 107 Nelle ultime
otto battute Gould II mette in risalto le voci superiori creando una nuova melodia
(note cerchiate in verde da battuta 9 a battuta 12). La prima parte si chiude con le
semicrome al tenore che nella versione del 1955 sono eseguite legate nella prima
parte e staccate nella seconda (in azzurro) mentre, nella versione del 1981, sono
invece tutte staccate (in blu).

Figura 59. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 19, bb. 1-16.

Anche nella seconda parte le tre linee melodiche si invertono: la linea del canto (in
arancione) si presenta al contralto nella prima frase e al soprano nella seconda,
mentre le semicrome ricoprono prima la voce superiore e poi quella intermedia.
Coerentemente con l'interpretazione data alla prima sezione della registrazione del
1955, anche nelle prime due frasi della seconda parte risalta la voce della melodia (in
107 Si tratta delle crome sul terzo ottavo di battute 9, 10, 12 e 13, segnate con un puntino azzurro in
partitura poiché nella versione del 1955, sono staccate.

119
arancione) che prima era affidata al soprano e le semicrome che si trovano al
contralto e che proseguono sulla stessa linee interna.
Nella seconda registrazione il pianista pone invece l'attenzione sul dialogo tra
le due voci più basse nella prima frase, mentre la seconda è eseguita in piano. Il
secondo ed ultimo periodo di otto battute si accende, già dalle crome in levare
cerchiate in verde, in entrambe le incisioni. La prima voce ha però un tempo più
lento, soprattutto al momento dell'ultimo ingresso della melodia al tenore di battuta
29, messo in risalto rispetto alle altre due voci. Dalla seconda incisione emerge
invece la voce del tenore che, eseguita con un'intensità maggiore, mette in luce le
semicrome che per la prima volta sono legate. A battuta 29 troviamo un diminuendo
(in viola) che anticipa l'arrivo dell'ultima frase dalla quale spicca, anche in questo
caso, la melodia (evidenziata in arancione).

Figura 60. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 19, bb. 17-32.

La Variazione 20, di tipo virtuosistico, presenta molti punti da suonare a mani


incrociate. Le due versioni hanno praticamente alla stessa velocità, anche se per un
diverso tocco la seconda sembra più lenta: Gould esegue sia le crome che le

120
semicrome appoggiate e con un'intensità sonora maggiore (in blu). La prima sembra
invece molto più veloce poiché egli suona tutte le note più staccate e con una
dinamica più piano (in azzurro).

Figura 61. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 20, bb. 1-6.

La seconda parte si distingue dal punto di vista delle dinamiche: la prima frase è
molto forte nella versione del 1981, mentre nella precedente è più piano; a battute 25
e 26 invece Gould ha lo stesso intento nelle due incisioni, ovvero quello di eseguire
la prima misura più forte e la seconda con un piano improvviso (segnato in viola).

Figura 62. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 20, bb. 24-26.

Le ultime sei battute (da mis. 27 a 32) invece sono riprodotte, in entrambe le
incisioni, con molta energia. Dal punto di vista degli abbellimenti non ci sono
modifiche significative come nelle variazioni precedenti, eccezion fatta per quelli di

121
battute 9, 10 e 11 (segnati in rosa) che, nella versione del 1981, sono eseguiti con un
tempo molto lento.
La versione di Rosalyn Tureck, un po' più lenta ma ugualmente dinamica e
brillante, colpisce nuovamente per l'utilizzo dei colori, che, nei ritornelli, si
avvicinano al pp come ad esempio a battute 11-12.

Figura 63. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 20, bb. 9-11.

La Variazione 21, la seconda in tonalità minore, è un canone alla settima, ovvero un


canone in cui le due voci principali si trovano ad un intervallo di settima (si3 e la4
cerchiati in rosso). Anche la ventunesima, così come la sesta e diciottesima,
rappresenta un'eccezione per quanto riguarda la scelta di andamento. Gould infatti
esegue questa Variazione ad un tempo più veloce nella seconda incisione, mentre, per
tutte le altre del secondo disco sceglie un tempo più lento. Sommando un ipotetico
ritornello alla durata della variazione del 1955 e confrontando il tempo di quella
eseguita nel 1981, la differenza tra le due variazioni è di circa sedici secondi.
Le due versioni non divergono solo dalla scelta del tempo, ma anche dagli
aspetti legati all'agogica. Gould “trattiene” la velocità, soprattutto al momento
dell'ingresso delle voci, ma non solo.108 Ascoltandole entrambe si può infatti notare
che il rubato è presente anche prima del diminuendo a battuta 8. Nell'incisione del
1955 ad esempio, intensifica il ritenuto soprattutto nella parte conclusiva della

108 I ritenuti sono evidenziati in azzurro per l'incisione del 1955 e in blu per quella del 1981.

122
Variazione (da battuta 12 a battuta 16). Nell'incisione del 1981 è invece evidente il
ritenuto utilizzato all'inizio della variazione, tra il sol al basso e l'ingresso della voce
al tenore (segnato in blu).
La seconda incisione differisce dalla prima anche dal punto di vista delle
dinamiche. Gould usa una vasta gamma di colori nell'incisione del 1981: oltre ad
eseguire il ritornello della prima parte in piano, stacca la seconda parte, accentuando
il basso, questa volta sulla dominante, e proseguendo poi con una dinamica molto più
forte rispetto all'incisione del 1955. Gould sottolinea anche le voci che, come nella
costruzione di un corale, abbelliscono la melodia antecedente e conseguente. A
misura 3 ad esempio emerge la melodia superiore composta da crome (segnata in
arancione) e a misura 5, questa volta in entrambe le registrazioni, la voce interna al
contralto (in arancione).

Figura 64. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 21, bb. 1-8.

123
Figura 65. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 21, bb. 9-16.

Il mi al soprano di battuta 4 (segnato in verde) è sottolineato in due modi diversi:


nella prima versione Gould “trattiene” il tempo ed intensifica la sonorità prima della
croma, mentre nella versione più recente, oltre al ritenuto ed al crescendo, posticipa
l'esecuzione del mi5 rispetto alla semiminima al tenore. Questo tipo di esecuzione,
che possiamo definire come una specie di arpeggio, è utilizzata più volte da Gould
nelle variazioni più lente per enfatizzare alcuni momenti di forte intensità emotiva109.
Diversamente dalla prima esecuzione, ma anche rispetto a tutte le altre
variazioni, alla fine della ventunesima, Gould attacca subito con la Variazione
successiva.
La Variazione 22 ha lo stesso andamento nelle due incisioni, anche se la
seconda risulta più lunga a causa del ritornello eseguito nella prima parte per
sottolineare ancora una volta il basso dell'Aria (evidenziato in rosso). In entrambe le
incisioni infatti il basso viene molto marcato nella prima parte mentre nella versione
del 1981 il ritornello mette anche in luce, al momento delle crome, la linea melodica
che dal tenore passa al contralto e poi al soprano (da battuta 1 a battuta 6, evidenziato

109 Gould esegue arpeggiate anche le crome sul terzo quarto di battuta 9 (re4 si3) e a battuta 12 le
crome al contralto e soprano sulla seconda metà del secondo quarto.

124
in arancione).

Figura 66. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 22, bb. 1-16.

Le due versioni di questa Variazione alla breve che segue formalmente la struttura di
un canone, divergono principalmente nella scelta espressiva di eseguire le note delle
linee melodiche con un fraseggio legato o staccato. Nella prima versione, quella del
1955, la prima parte della Variazione è staccata o semi-legata, sia nelle crome (sul
secondo quarto della battuta) che, in alcuni casi, nelle semiminime che seguono gli
ottavi. La seconda parte invece ha un fraseggio più uniforme e un'intensità dinamica
che si avvicina al piano. Nella registrazione del 1981 invece, tutta la Variazione
presenta un fraseggio legato ad eccezione di alcuni punti in cui le crome sono semi-
legate (ad esempio sul finale a battuta 32).
Anche dalla registrazione della Tureck spicca il tipo di fraseggio, tutto molto
staccato e leggero: esso assomiglia quindi alla prima versione di Gould.
Per quanto riguarda invece gli aspetti legati alle dinamiche, Gould esegue la
prima parte con una dinamica forte la prima volta, mentre la seconda in piano
seguendo la prassi barocca. A differenza della prima incisione, suona invece la

125
seconda parte della Variazione con una sonorità maggiore. L'aspetto che colpisce
forse di più di questa seconda incisione è l'esecuzione di alcune note, corte invece
che tenute, come scritto in partitura. É il caso ad esempio del la al soprano di battuta
10 e di battuta 17 o del bicordo sol5- si5 di battuta 21 (cerchiati in verde).

Figura 67. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 22, bb. 17-21.

La Variazione 23 è energica e piena di virtuosismi ed è eseguita nelle due


registrazioni, praticamente con lo stesso andamento. Molto simili anche dal punto di
vista del fraseggio e delle dinamiche, le due versioni si differenziano negli accenti
che in generale e soprattutto nella seconda versione, sono molto più marcati. Nella
prima incisione, a battuta 1, Gould dà un accento all'inizio della scala discendente di
semicrome (si5) mentre, nella seconda, dà due accenti: uno sul si5 e l'altro sul mi5
(evidenziati in blu e azzurro, rispettivamente per l'incisione del 1981 e del 1955).
Nella registrazione del 1981 sono inoltre molto più evidenti rispetto a quella del 1955
gli accenti dati alle crome di battuta 23 al tenore (sol do la si) e quelli sui batteri di
battute 25 e 26 al basso (do e si-sol). Mentre nell'incisione del 1955 è molto più forte
la tonica (sol2-sol3) sul battere di battuta 32 (segnato in azzurro).

126
Figura 68. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 23, bb. 1-6.

Dal punto di vista delle dinamiche l'intera variazione a mani incrociate ha, in
entrambe le incisioni, una sonorità che oscilla tra il mezzo forte, nei momenti di scale
ascendenti e discendenti, e il forte, nei punti in cui si alternano mordenti a veloci
scale di biscrome. Nella parte conclusiva, da battuta 27 a battuta 32, in entrambe le
registrazioni, Gould segue l'andamento ascendente e discendente delle note che sono
eseguite in diminuendo, poi in crescendo e in fine ancora in diminuendo.

Figura 69. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 23, bb. 26-32.

127
La Variazione 24 è un canone all'ottava, in cui le voci antecedente e conseguente si
trovano ad un intervallo di ottava (segnato in rosso) e sono perciò caratterizzate dalla
stessa linea melodica che nell'esposizione parte prima alla voce del contralto/soprano
e poi a battuta 3, al tenore/contralto (evidenziate rispettivamente in azzurro e
arancione).

Figura 70. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 24, bb. 1-6.

Gould esegue la ventiquattresima Variazione con un tempo molto più lento nella
seconda registrazione, enfatizzando l'andamento di danza in tempo ternario110. La
doppia ripetizione della prima parte gli permette inoltre di apportare un cambio
nell'espressività della frase che, la prima volta è staccato, mentre la seconda legato.
Da questo punto di vista, rispetto alla seconda registrazione, la prima, presenta un
fraseggio a tratti staccato e accentato.
La seconda parte segue l'espressività della prima in entrambe le incisioni, ma si
distanzia nella scelta dinamica del finale: nella versione del 1955 ci sono degli
accenti sul pedale di dominante a battuta 30 (in azzurro) ed in generale il suono è
piuttosto forte fino alla fine; la versione del 1981, si chiude in diminuendo (in blu).
Anche in questa Variazione Gould apporta delle modifiche dal punto di vista
110 Rosalyn Tureck ha un tempo d'esecuzione ancora più lento nella sua versione del 1957: togliendo
il tempo dei due ritornelli infatti raggiunge una durata di 2'04'', mentre la versione “lenta” di Gould
era comunque inferiore siccome si aggirava intorno al minuto e mezzo.

128
degli abbellimenti: aggiunge un mordente a battuta 26 (segnato in rosa) e, nella
versione del 1981, omette quello sul si4.

Figura 71. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 24, bb. 26-32.

La Variazione 25, da eseguire con un tempo Adagio secondo le indicazioni di Bach, è


da molti considerata tra le più intense dell'intera opera. Dalla bellezza un po' cupa a
causa della tonalità minore, la Variazione sembra contraddirsi nelle due versioni.
Paragonandole nel corso dell'intervista per la CBC, Gould stesso ammette di trovare
la versione del 1955 troppo pianistica, definendola «un notturno di Chopin». Sostiene
inoltre che gran parte di quell'incisione gli «sembrava troppo veloce per essere
piacevole»111.
A me sembra che il giovane Gould sia stato suggestionato nella prima incisione
più che da un notturno di Chopin dalla poetica di Wagner; nella seconda sembra
invece che la musica parli da se, siccome l'interprete non prende una direzione decisa
e palese, suonando in modo pulito.
La prima versione di questa Variazione è più lenta di venticinque secondi
rispetto alla seconda che ha una durata complessiva di sei minuti circa. Ancora una
volta Gould ci sorprende utilizzando una vasta gamma di timbri e dinamiche nelle
diverse voci e linee melodiche. Per sottolineare alcune cellule melodiche di basso e

111 Gatto, Glenn Gould. Politica della musica, cit., p. 78.

129
tenore, Gould adopera dei crescendo nella prima incisione (mis. 1-4, evidenziato in
azzurro) o addirittura opta per un marcato nella registrazione del 1981 (mis. 13-14,
cerchiato in blu).
Nella seconda incisione, invece del crescendo utilizzato per le note affidate alla
mano sinistra, sottolinea i bicordi facendo un respiro tra uno e l'altro (segnato in blu).

Figura 72. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 25, bb. 1-6.

Spesso toglie o aggiunge delle appoggiature prima delle crome che si trovano sul
secondo tactus della battuta e che fanno parte della melodia superiore: non esegue ad
esempio l'appoggiatura sul re5 a battuta 5 e ne aggiunge una, questa volta nella
seconda incisione, sul re bemolle a battuta 26 (entrambe in rosa). Al termine di una
frase in diminuendo, la successiva si apre con un crescendo che coinvolge le note
della voce al basso o al tenore (mis. 8 e 20) oppure con un rallentando (mis. 24).
In crescendo, in entrambe le incisioni anche se con maggior enfasi nella prima,
la frase conclusiva, caratterizzata da scale ascendenti e discendenti di biscrome, che
per la prima volta dall'inizio della Variazione hanno una direzione più chiara112.
La variazione successiva è in notevole contrasto con la natura introspettiva e
appassionata espressa nella precedente. La Variazione 26 è argento vivo,
un'esplosione di arabeschi e con un carattere gioioso.

112 Il termine Adagio vuol dire infatti “che va”.

130
Figura 73. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 26, bb. 1-5.

La velocità di esecuzione, identica nelle due incisioni, non permette a Gould di


eseguire i mordenti di battute 10 e 11, che sono invece presenti nella più lenta
versione della Tureck. Il pianista canadese non omette invece, dove aver prontamente
rallentato, il mordente sull'ultima nota di battuta 16 nella registrazione del 1981.
La seconda sezione è eseguita con un'intensità dinamica minore nella prima
incisione dalla quale, a battuta 24, parte un crescendo fino alla fine. Nella seconda
incisione invece mantiene la sonorità più o meno inalterata rispetto alla prima parte
della Variazione.
La Variazione 27 è l'ultimo canone dell'opera le cui voci (evidenziate in
arancione e in azzurro) si trovano a distanza di una nona (segnata in rosso) e senza la
presenza di un basso. La Variazione del 1955, eseguita con un tempo più veloce
rispetto alla seconda versione, presenta dei lievi accenti sull'incipit di ogni battuta, al
momento dell'ingresso delle scalette di semicrome (segnati in azzurro). Nella
Variazione del 1981 Gould invece sottolinea maggiormente le crome che, come le
semicrome, si alternano tra le due mani di battuta in battuta. Egli sfrutta il ritornello
non solo per rieseguire la prima parte con una dinamica in piano, ma anche per dare
una diversa espressività agli ottavi: la prima volta sono marcati e appoggiati, la
seconda volta sono meno marcati e staccati (segnati con degli accenti e punti blu)
avvicinandosi alla versione della clavicembalista americana che però è
complessivamente più asciutta e con un suono debole.

131
Figura 74. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 27, bb. 1-8.

La seconda parte della Variazione si apre con una dinamica più forte nell'incisione
del 1981 che viene mantenuta costante fino alla fine e, in piano nel 1955,
proseguendo poi con dei crescendo e diminuendo che seguono l'andamento delle
scale o l'armonia. Nella versione del 1981 Gould sottolinea la comparsa delle ultime
quattro crome (battute 26-27) con un marcato e termina con un rallentando, in
entrambe le incisioni.
La Variazione 28 è segnata da trilli veloci (evidenziati in azzurro)
accompagnati da una melodia superiore (in arancione), da una al basso (in verde
chiaro) e da arpeggi di semicrome che la interrompono in tre punti, alla fine della
prima sezione, all'inizio e alla fine della seconda.
Le due versioni, eseguite ad una velocità molto simile (la prima è leggermente
più veloce), divergono per le note del canto e del basso staccate, semi-legate o legate.

132
Figura 75. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 28, bb. 1-4.

Nella prima registrazione, la linea melodica superiore è legata nella prima parte,
mentre nella seconda, è staccata. Anche da battuta 9, nella versione del 1981, dopo
l'accordo di sol maggiore arpeggiato dal basso, le semicrome sono staccate mentre
nella precedente, sono semi-legate. L'ultimo periodo della prima parte (da battuta 13
a 16) è simile nelle due incisioni: entrambe le linee melodiche sono più lunghe ed
appoggiate.
La seconda parte diverge nuovamente nel tipo di fraseggio: nel 1981 arpeggi e
melodia sono staccati, nel 1955 sono legati. Da battuta 26 le due versioni si trovano
nuovamente in accordo: il canto di crome affidato alla mano destra è legato per due
battute, ma da misura 27, quando passa alla mano sinistra, è nuovamente staccato.
Nella prima registrazione il giovane Gould mantiene un fraseggio legato fino alla
fine.
La Variazione 29 ha, rispetto alla brillantezza della variazione precedente, un
tono grandioso e importante dato dagli accordi, alternati con veloci passaggi e scale.
Gould dà un'aria di risoluzione alla Variazione marcando, in entrambe le incisioni, le
crome che si trovano a distanza di un'ottava al basso, sul battere delle battute con gli
accordi sincopati.

133
Figura 76. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 29, bb. 1-6.

Anche la seconda parte che presenta gli stessi incisi tematici ha, in entrambe le
versioni molta enfasi e forza sonora. Nella versione del 1955 gli accordi a battute 21
e 22 sono legati, ma le crome che li precedono al basso sono eseguite con un leggero
ritenuto. Nella versione successiva invece gli accordi sono staccati ed il basso è a
tempo.
L'ultima Variazione, non è di tipo canonico, ma è un Quodlibet, ovvero una
fusione di melodie popolari. Il giovane Gould, tra una prova e l'altra, spiega ai tecnici
presenti in studio la struttura della Variazione definendola una combinazione di
canzoni tedesche. La Variazione 30, ripetuta due volte nella prima parte della
seconda incisione pur non essendo un canone, è eseguita con un tempo più lento
nella versione del 1981. Aggiungendo infatti la durata di un ipotetico ritornello alla
prima incisione, la differenza di durata delle due Variazioni sarebbe comunque di
quasi 20 secondi.
Soprattutto nella seconda registrazione, Gould sottolinea molto le diverse
melodie che caratterizzano questa Variazione: dopo l'esposizione della melodia nella
prime due battute che, dal tenore passa al contralto (segnata in arancione), evidenzia
la seconda linea melodica che si trova alla voce superiore (mis. 3-4, in azzurro) e poi
quella al tenore che parte dal levare di battuta 5 (evidenziata in verde). La prima
parte della variazione è simile, dal punto di vista dell'intensità sonora (forte e
marcato) nella registrazione del 1955 e nella prima ripetizione di quella del 1981. La

134
seconda ripetizione della seconda incisione presenta invece un carattere più
tranquillo, meno incisivo e più legato.

Figura 77. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 30, bb. 1-6.

Per quanto concerne la seconda incisione, la seconda parte continua come la prima
ad alternare le varie voci: la prima ad emergere rispetto alle altre è quella al soprano
(in arancione) e poi, da battuta 13, quella al tenore/contralto. Nella versione meno
recente invece, l'esecuzione delle linee melodiche nella seconda parte incomincia con
una dinamica più piano, poi in crescendo, appoggiando le semiminime al contralto (a
battuta 11) e alla fine (da mis. 15) in rallentando.
L'Aria da capo a fine rafforza la bellezza inafferrabile e sfuggente delle
Variazioni Goldberg. Pur essendo scritta come ripetizione dell'Aria iniziale, presenta
sfumature diverse sia nelle due versioni sia nelle ripetizioni iniziale e finale delle due
registrazioni, a partire ad esempio dalla scelta del tempo, più lento e con un carattere
più assorto in entrambi i casi.
Nella prima versione, l'Aria in conclusione all'opera rispecchia molto l'Aria in
apice, sia nelle scelte dinamiche che di espressione e si sente nella sua ripetizione
qualche cosa che sta arrivando alla fine con le stesse note, ma ora concluse. La
seconda versione presenta invece, dal punto di vista del fraseggio, delle scelte più
decise nella gamma di colori: i crescendo e diminuendo portano la linea del canto a

135
colori molto diversi tra loro. Questa volta il basso è posto in secondo piano rispetto
alla linea melodica del canto che è eseguita con molto sentimento ed espressione.
Sembra che Gould voglia risaltare ciò che in qualche modo è stato ascoltato durante
le ultime cinque variazioni. Il canto del II Gould è nostalgico e rassegnato, frenato e
raccolto.
Nella prima parte colpisce la scelta di eseguire l'accordo di sol maggiore di
battuta 11 arpeggiato dal basso, come di consueto, nel 1981 e dall'alto nella
registrazione del 1955. Nella seconda invece si sente molto la voce interna (mis. 19)
che per la prima volta prevale sul canto che deteneva anche nella seconda parte il
primato sonoro ed espressivo (Gould esegue ad esempio le biscrome della scala
ascendente di battuta 17, staccate). Dopo il diminuendo a battuta 24, le note
dell'ultimo periodo sono chiare e scandite, come le lettere di una parola. Nella prima
versione la melodia prevale sul basso, mentre nella seconda incisione, la melodia si
incontra con la linea del tenore che accompagna le semicrome fino all'ultimo sol, che
chiude l'opera, questa volta, senza appoggiatura.

136
3.3 The Goldberg Variations e le condotte tipo

3.3.1 Le condotte di François Delalande

A partire dagli studi di François Delalande applicati al caso gouldiano nel


documentario realizzato da Bruno Monsaingeon Glenn Gould plays Bach – An art of
the Fugue113, il secondo della collana dedicata alle musiche del compositore barocco,
ricercherò anche nel terzo episodio della serie Glenn Gould plays Bach - The
Goldberg Variations114, i cinque tipi gestuali individuati dal musicologo francese
definiti con il termine di condotta, ovvero come un insieme di comportamenti
elementari coordinati, i cui aspetti motori affettivi e cognitivi sono resi coerenti dalla
motivazione e sono coordinati tra loro in funzione di una finalità.115
Si vedrà anche, nel caso delle Variazioni Goldberg di Bach, che a volte i “gesti
d'accompagnamento” rilevano delle condotte estetiche dell'interprete nei confronti
della partitura, che possono non essere manifestate dalla realizzazione sonora; in tali
casi l'esame della gestualità si rivela come uno strumento utile per comprendere
come un esecutore ha letto una certa partitura e non come ha prodotto un certo
113 Glenn Gould plays Bach. The Goldberg Variations, di Bruno Monsaingeon, Sony Classical SVD
48424, prodotto negli 30th Street Studio della Columbia a New York, aprile-maggio 1981.
114 Ibidem.
115 Delalande, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica, cit., p.
9.

137
oggetto sonoro.
Ma che valore hanno le azioni che precedono, accompagnano o seguono
l'esecuzione? La gestualità del direttore di coro o in misura minore la mano sinistra
di Glenn Gould che sembra dirigere un'orchestra, rappresentano l'essenza o la
superficie della musica? Il gesto è al centro dell'immaginazione musicale?
Certamente si può mimare il movimento della frase con la mano, ma, viceversa, la
frase non è l'incarnazione sonora di un movimento ideale?
Molto spesso l'unico interesse teorico ed analitico che si è avuto attorno allo
studio dell'esecuzione musicale è stato quello di cercare di distinguere tra “buone” e
“cattive” interpretazioni di un testo musicale. Delalande mostra invece che è
possibile formulare un altro problema: quale relazione si viene a creare tra un
esecutore, la partitura da lui letta e l'oggetto musicale che viene prodotto? Bisogna
innanzitutto distinguere un'attività “funzionale” (gesto come realizzazione di
un'azione già stabilita) dalla condotta senso-motoria. 116 Tale distinzione fa sorgere
un'altra domanda: il gesto mediante il quale l'esecutore produce un suono è più
vicino ad un'attività “funzionale” o ad una condotta senso-motoria?

3.3.1.1 Simbolizzazione del gesto: tra atto motorio e affettivo

Fare musica è prima di tutto un atto motorio che, per effetto della sua funzione
sociale di scambio, si arricchisce di una dimensione simbolica e si conforma a delle
regole. Ad esempio, tirare con una mano l'archetto di un violino per produrre il suono
e utilizzare l'altra per dare al suono un profilo melodico, è un atto motorio. La
produzione motoria e la ricezione sensoriale sono così strettamente intrecciate da
richiedere l'uso più preciso dell'aggettivo “senso-motorio”.

116 Nella musica ad esempio, la qualità del suono non è indifferente, ma è il risultato di un gesto
produttore controllato consapevolmente, che padroneggia tale qualità. L'esercizio del controllo
senso-motorio entra quindi nel campo delle finalità: tendere l'archetto e sentire il suono è già una
prima dimensione dell'atto musicale: la sua dimensione senso-motoria.

138
I gesti produttori di suono si caricano di un potere evocativo che nel pensiero
musicale è dato dal simbolismo del movimento. Tirare l'archetto non è soltanto
produrre suono, ma anche produrre senso. C'è un'ambivalenza, saggiamente coltivata
nell'esecuzione strumentale, tra il gesto produttore (il movimento reale del braccio) e
il movimento immaginario evocato. In questo modo si spiega la simbolizzazione
dell'atto motorio.
Delalande riprende le parole dello psicologo e pedagogista Jean Piaget per
spiegare come la simbolizzazione del gesto strumentale per “assimilazione
generatrice” sia il processo base di cui dispone l'interprete per creare senso: tutti gli
accenti, i rallentamenti, i ritenuti ecc. che sono di natura gestuale, sono spogliati del
loro carattere circostanziale e sono generalizzati fino a rappresentare degli
atteggiamenti psicologici, nei quali il motorio e l'affettivo si ricongiungono. 117 Dietro
un attacco potente riconosceremo perciò la potenza, dietro un tocco delicato, la
delicatezza e dietro un gesto dolce, la dolcezza. L'atto motorio di un interprete,
identificato grazie a degli indici sonori, dà vita al gesto evocato che è portatore di
connotazioni emotive: l'interprete occupa quindi una posizione centrale tra i gesti di
produzione e quelli evocativi.118 La pianista francese Marie-Françoise Bucquet ad
esempio, esprime questo disagio notando che il pianista, al contrario del cantante o
del direttore d'orchestra, è condannato al gesto produttore poiché gli è proibito
mimare, con un movimento della mano il gesto evocato.

117 Delalande, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica, cit., p.
70.
118 Nella teoria di Delalande il simbolismo del gesto si stabilisce tra due poli: i “gesti produttori”
sono i gesti necessari per produrre il suono come ad esempio soffiare, premere un tasto o strofinare
un arco sulla corda; i “gesti evocatori” o di movimento evocato, indicano ad esempio come una
melodia che sale e scende può evocare un ondeggiamento senza che l'interprete debba ondeggiare
per suonarla. Fare uscire la propria voce, poggiare le mani sulla tastiera e anche impugnare il
proprio strumento sono gesti che si possono ritenere puramente funzionali, ma che già ne evocano
altri. In questo modo essi creano senso, tanto è vero che il funzionamento normale della musica è
di stabilire una circolazione costante, e così una continuità, tra questi poli estremi, il gesto
produttore più materiale e il gesto evocato, puramente immaginario. Delalande riduce i numerosi
gesti evocativi in tre categorie: all'ascolto di un suono di origine strumentale, il gesto produttore è
generalizzato ed è così che l'interprete ha il potere di dare un carattere alla sua esecuzione; lo
stesso profilo sonoro può essere contemporaneamente associato dall'ascoltatore ad un altro gesto o
movimento immaginario che si riferisce alla sua esperienza senso-motoria fatta di esperienze tra
forme sonore e gesti; il disegno melodico o ritmico, se scritto su una partitura può evocare un altro
gesto o movimento rispetto a quello che l'interprete materializza sotto forma di accenti, ritenuti e
altro.

139
Figura 78. La mano della cantante accompagna ed enfatizza l'espressività dell'interpretazione.

Il caso del pianista canadese Glenn Gould dimostra invece come i gesti
d'accompagnamento si manifestino sempre nell'attività motoria di un interprete. Una
posizione molto in avanti sulla tastiera, la testa fuori dalle spalle, le sopracciglia
spesso sollevate, l'esecuzione staccata e piano, corrisponde ad esempio ad un
carattere “delicato”; una rotazione lenta e regolare del busto, un'esecuzione legata,
corrisponde alla sensazione che la musica scorra come un “flusso” continuo; un
movimento di flessione alternata del busto corrisponde ad una sensibilità più
“vibrante” e una posizione rigida, la testa rientrata nelle spalle e la nuca contratta
corrisponde ad un'espressione di “vigore”.
Gli aggettivi indicati possono esprimere sia un senso affettivo che un senso
motorio, descrivendo un tipo di accompagnamento gestuale. Nella realtà psicologica
della condotta dell'interprete, il “vigore” o la “delicatezza” sono di fatto di ordine
motorio e affettivo. La rappresentazione dello stato di furore ad esempio e la postura
fisica corrispondente sono indissociabili: l'interprete utilizza consciamente e
volontariamente questo legame per padroneggiarne il carattere espressivo. Si tratta
dunque di una “coordinazione psicologica”, la cui denominazione è “l'unità della
condotta”.

140
Accanto alla funzionalità, un'altra componente fondamentale delle condotte è la
coordinazione. Identificare tale componente nelle attività umane significa pensare, ad
esempio, che, quando un violoncellista, compiendo determinati gesti che portano a
realizzare un “attacco vigoroso”, simultaneamente respira con un certo affanno, ha
una postura che ricorda quella di chi sta per saltare, sente il proprio corpo “pronto a
balzare” e si sente caricato da uno stato d'animo di furore; tutti questi aspetti, siano
essi motori, affettivi o cognitivi, non sono indipendenti l'uno dall'altro, ma sono
appunto coordinati dalla finalità unica che li motiva. In questo caso tale finalità può
essere esplicitata con espressioni quali “far finta di essere furiosi”, “assumere un
carattere furioso”, “realizzare uno schema espressivo furioso” o “avere una condotta
furiosa”.

Figura 79. L'espressione di vigore del violoncellista esalta il gesto furioso nell'attacco.

Un'importante conseguenza di questa concezione è che, se vogliamo individuare le


motivazioni che spingono un interprete ad eseguire un certo passaggio musicale in un

141
certo modo, possiamo considerare come indizi utili non solo l'oggetto sonoro
prodotto e le eventuali testimonianze che l'interprete ci può dare, ma anche i “gesti
d'accompagnamento” che egli compie insieme ai “gesti produttori” che determinano
le caratteristiche del suono.

3.3.1.2 Estetica e poietica nella teoria di Delalande

Anche nello studio del fatto musicale, Delalande distingue fondamentalmente due
tendenze che sono state seguite finora in campo musicologico. La prima tendenza è
stata quella di analizzare un brano musicale senza mettere in relazione gli aspetti
dell'oggetto che vengono esplicitati, né con l'atto di produzione di tale oggetto, né
con un eventuale atto di ricezione; rispetto a tali atti questa analisi risulta essere
“neutra”119 Siccome la mia intenzione è quella di studiare le relazioni tra gli oggetti
musicali e gli atti umani ad essi legati, questo tipo di analisi sarà inutile. Le mie
indagini, che prendono spunto dalle teorie di Delalande, si inseriranno piuttosto nella
seconda tendenza da lui definita, ovvero in un filone costituito dalle analisi che
cercano di individuare in un oggetto musicale gli elementi funzionali al ruolo che
questo gioca nei confronti di un'interpretazione musicale.
Più precisamente Delalande si pone due tipi di domande:
 quali aspetti di un certo oggetto sono il risultato del fatto che il suo produttore
ha praticato una certa condotta poietica?
 quali caratteristiche di un dato oggetto sono utilizzabili da un suo fruitore per
praticare una certa condotta estetica?
119 Jean-Jacques Nattiez definisce la semiologia musicale come una teoria che tratta delle
conseguenze pratiche, metodologiche ed epistemologiche di un'opera musicale, il cui essere è
contemporaneamente la sua genesi, la sua organizzazione e la sua percezione. L'opera musicale
non è costituita soltanto da ciò che si chiama testo, o da un insieme di strutture (che Nattiez
preferisce chiamare configurazioni), ma anche dai processi che lo hanno generato (gli atti
compositivi) e da quelli che l'opera determina (gli atti interpretativi e percettivi). A queste tre
grandi istanze che definiscono la modalità d'esistenza del “fatto musicale”, si dà il nome di livello
poietico, neutro (o immanente) ed estetico. Per maggiori approfondimenti si veda Jean-Jacques
Nattiez, Musicologia generale e semiologia, EDT, Torino, 1989.

142
Se negli atti mediante i quali Gould ha prodotto la sua esecuzione delle Variazioni
Goldberg, si possono vedere all'opera diverse condotte, riconducibili a diverse
motivazioni, allora certi aspetti dell'oggetto prodotto da tali atti possono essere
considerati il risultato di una di tali condotte e altri aspetti il risultato di un'altra
condotta.
Se consideriamo l'interpretazione come una condotta, ci può essere utile
considerare questo schema:120

Figura 80. Schematizzazione dell'interpretazione di un brano di Johann Sebastian Bach e della sua
ricezione.

Il rettangolo di sinistra rappresenta la partitura, che è il risultato di un atto di


“produzione” P1 da parte di Bach; a questo oggetto O 1 si applica un altro atto, un atto
di “ricezione” R1, da parte di Gould, atto che consiste nel leggere la partitura.
L'interprete però produce, a partire dal primo, un secondo oggetto, un film nel nostro
caso, rispetto al quale l'ascoltatore/osservatore applicherà a sua volta un atto di
“ricezione”.
A partire da questo schema possiamo fare tre considerazioni:
1) Come si vede, Gould si trova tra due oggetti e la sua condotta appare divisa in
due operazioni, una “estetica”, volta verso la ricezione, e l'altra “poietica”,
volta verso la produzione.
2) Va poi notato che l'analisi effettuata da Gould, come ogni analisi, manifesta
un punto di vista, vale a dire, determinate scelte.
3) La musica mette in gioco da una parte degli oggetti, dall'altra delle condotte.

120 Delalande, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica, cit., p.
92.

143
3.3.2 Le condotte nel film di Bruno Monsaingeon

3.3.2.1 Tipi gestuali nell'interpretazione di Glenn Gould

La condotta di Gould mescola il piano cognitivo e quello motorio: ad esempio, se


egli “visualizza” un'immagine prima di mimare con la mano sinistra un profilo
melodico, vuol dire che ha già effettuato un'analisi intellettuale. È altresì verosimile
che questo gesto aiuti Gould, anche solo parzialmente a precisare il movimento
implicito e a prenderne coscienza: il gesto risulta dunque uno strumento d'analisi. Al
piano cognitivo e a quello motorio si aggiunge però un atteggiamento affettivo, dal
che risulta che la condotta dell'interprete non è riducibile ad una sola di queste tre
dimensioni.
Le condotte gouldiane si distinguono le une dalle altre per il movimento del
busto e la relazione tra le posizioni della testa, delle spalle e del busto, con l'aggiunta
occasionale di altri tratti tipici che possiamo definire, con un termine di Delalande,
del “vocabolario gestuale” di Gould: i movimenti della mano sinistra, certi
movimenti bruschi delle spalle o dei gomiti e differenti modi di alzare o di aggrottare
le sopracciglia. Si tratta di particolari configurazioni di certe posizioni, di certi
movimenti e di una certa mimica che Delalande definisce “configurazioni gestuali
tipiche” o, più semplicemente “tipi gestuali”.
Dall'interpretazione della prima fuga tratta da L'Arte della fuga121, Delalande
mette in luce cinque “tipi gestuali”, dalle caratteristiche arbitrarie:
1. tipo “raccolto”: il busto è immobile ed in avanti, la testa è abbassata, mentre

121 Glenn Gould plays Bach. An art of the Fugue, di Bruno Monsaingeon.

144
il mento tocca quasi il petto. A volte alza le sopracciglia in corrispondenza
delle pulsazioni e muove la mano sinistra, se libera, con un movimento alto-
basso e con il palmo rivolto verso il basso.

2. tipo “vibrante”: il busto alterna momenti nei quali si piega e momenti nei
quali si raddrizza, piegandosi a metà della schiena, mentre la parte bassa della
schiena rimane fissa. La testa e a volte la mano sinistra, accompagnano
questo movimento alto-basso. Anche le sopracciglia accompagnano ogni
tanto i motivi melodici e, se la mano sinistra è libera, li accompagna con un
movimento non misurato che combina spostamenti alto-basso, avanti-
indietro, rotazioni e “vibrazioni”.

3. tipo “fluente”: il busto oscilla avanti e indietro o ruota, con un'articolazione

145
nella parte bassa della schiena e senza flessioni del centro della schiena. A
volte le sopracciglia si alzano in corrispondenza delle pulsazioni.

4. tipo “delicato”: il busto è immobile, molto in avanti, il naso sopra la tastiera,


la testa fuori dalle spalle. Spesso alza le sopracciglia, le tiene alzate più a
lungo e corruga orizzontalmente la fronte.

146
5. tipo “vigoroso”: il busto è immobile, diritto o leggermente in avanti, la testa
è incassata nelle spalle, la nuca contratta e le spalle in avanti. A volte aggrotta
le sopracciglia, corruga la fronte verticalmente, muove bruscamente le spalle
verso l'alto o i gomiti verso l'esterno e ruota la testa a scatti.

Queste cinque tipologie gestuali hanno due caratteristiche comuni, ovvero riportano
due esempi di gesti evocatori: la posizione del busto e la mimica facciale. Dal punto
di vista fisico, la diversa inclinazione del busto incide sul volume di suono e sul
timbro prodotti nonché sul carattere espressivo evocando a seconda del movimento
lento e fluido o rigido e nervoso, sensazioni corrispondenti. Lo spostamento del peso
che coinvolge anche il capo e gli arti è mosso dal diverso angolo attraverso cui le
braccia esercitano una certa pressione sui tasti. La mimica facciale rientra
esclusivamente nella categoria di gesti espressivi che accompagnano determinati
motivi melodici. Questi gesti nascono dal suono che viene prodotto, esistono in
funzione di esso, non ne sono la causa. I movimenti delle sopracciglia hanno a che
fare con espressioni mimiche più generali rispetto all'esecuzione strumentale di
Gould.
Delalande considera quattro tipi gestuali di sopracciglia:
 alzate brevi in corrispondenza di pulsazioni (tipo “raccolto” e “fluente”)
 alzate che accompagnano i motivi melodici (tipo “vibrante”)
 alzate prolungate (tipo “delicato”)

147
 aggrottamenti (tipo “vigoroso”)122
Sarà possibile individuare tali gesti evocatori e d'accompagnamento anche nello
studio delle sequenze delle Variazioni Goldberg perché si tratta di un brano
appartenente allo stesso autore analizzato dal musicologo francese e poiché la
seconda registrazione della composizione è avvenuta nello medesimo periodo. Si
presuppone quindi che Gould si sia servito dello stesso tipo di gestualità per
registrare i tre DVD dal titolo Glenn Gould plays Bach, materiale interpretativo che
costituisce una base d'osservazione empirica alla nostra problematica che il regista
mostra però con una sensibilità musicale particolarmente attenta al gesto.
L'analisi che seguirà sarà incentrata sulla ricerca dei tipi gestuali descritti in
precedenza partendo dal presupposto che, per motivi di inquadratura, di primi piani
sul viso o sulle mani, non sarà possibile osservare per intero la figura del pianista.
Inoltre verranno distinti i “casi puri” che illustrano i cinque tipi precedentemente
descritti e i “casi impuri”, caratterizzati da una gestualità mista, in modo tale da
prendere in considerazione delle sequenze tipiche.

3.3.2.2 Tipi gestuali nelle Variazioni Goldberg

Le ricerche di Delalande hanno già evidenziato i tipi di relazioni che intercorrono da


una parte tra il gesto e la scrittura, e dall'altra, tra il gesto e la realizzazione sonora.
Nella gestualità del pianista canadese si riconoscerà infatti una segmentazione del
brano in ciascun movimento messo in relazione con un cambiamento nella partitura o
con un'articolazione della forma. A tal proposito Delalande identifica delle leggi
statistiche secondo le quali una certa caratteristica della scrittura dovrebbe indurre il
più della volte ad un certo tipo gestuale.123
122 A condurre Delalande a questa classificazione è stata l'osservazione del movimento corporeo di
Glenn Gould nella prima fuga contenuta ne L'arte della Fuga.
123 Delalande riscontra nella Partita IV di Bach che ad un'esecuzione in registro acuto (quando tutte e
due le mani sono scritte in chiave di Sol) e quando la scrittura favorisce l'autonomia di ogni nota,
Gould accompagna quasi sempre un gesto del tipo “delicato”; a delle frasi melodiche brevi

148
Nel suo scritto, Delalande fa anche riferimento alla relazione indiretta tra il
musicista e lo spartito (il pianista dovrà passare dall'analisi del compositore) e tra
gesto ed esecuzione pianistica, il cui rapporto sarà invece più evidente anche
limitandosi a caratterizzarlo in base all'ascolto e considerando l'articolazione (legato
o staccato) e la dinamica (piano, mezzo-forte, forte).124 Egli conclude sostenendo che
il gesto di Gould e le relazioni ad esso correlate sono quindi rivelatrici di un punto di
vista sull'opera e di una precisa scelta interpretativa.125
L'analisi della gestualità gouldiana prenderà come punto di partenza i concetti
appena espressi: l'osservazione del film-documentario di Monsaingeon avrà come
obiettivo quello di scoprire tra i cinque tipi gestuali quale corrisponde ad ogni
variazione o sezione di essa e di descrivere quanto più possibile la relazione che
intercorre con l'interpretazione del pianista.

La telecamera fissa inquadra il nuovo pianoforte camuffato da Steinway 126 e


l'inseparabile sedia dalle gambe segate; in sottofondo scorre l'Aria registrata nel
1955, mentre la voce fuori campo del regista francese racconta brevemente la storia
del celebre Glenn Gould. Dopo qualche minuto compare il pianista canadese nella
cabina di registrazione, intento a discutere con il tecnico riguardo una delle ultime
tracks registrate; segue il dialogo con l'amico regista. La musica prende subito
spazio: l'inquadratura quasi frontale si sposta lentamente verso lo studio, lo zoom
stringe sul pianoforte dal quale si intravede il capo dell'interprete chino sulla tastiera,

(dell'ordine di uno o due secondi) traduce spesso una flessione di tipo “vibrante”; e a delle frasi
melodiche lunghe (soprattutto nel registro grave e per gradi congiunti) determini in generale un
movimento di dondolio o di rotazione del busto di tipo “fluente”.
124 Anche in questo caso Delalande constata facilmente che i tipi gestuali “raccolto”, “vibrante” e
“fluente” corrispondono ad un'esecuzione in legato e piano o mezzo-forte; il tipo “delicato” ad
uno staccato fine (piuttosto piano), ed il tipo “vigoroso” ad un'esecuzione decisamente forte. Una
sommaria analisi statistica della Partita IV evidenzia infatti che nell'interpretazione di Gould il tipo
“raccolto” compare due volte su due dove il fraseggio è legato e piano; il tipo “vibrante” undici
volte su dodici nel legato, piano o mezzo-forte; il tipo “fluente” dieci volte su dieci quando la frase
è in legato, piano o mezzo-forte; il tipo “delicato” nove volte su nove in momenti di staccato; e il
tipo “vigoroso” dodici volte su dodici dove il fraseggio indica una dinamica forte o mezzo-forte.
125 Delalande, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica, cit., p.
102.
126 Dopo l'incidente che aveva causato un'irreparabile danno alla cassa armonica dello Steinwey,
Gould decise di acquistare uno Yamaha dalla meccanica altrettanto leggera. In sede di
registrazione tolse però il coperchio verticale che separa i tasti dai martelletti in modo tale da
nasconderne la scritta frontale.

149
con il naso che sembra sfiorarla. La posizione assunta nella prima frase della nuova
Aria sembra corrispondere alla condotta di tipo “raccolto”, la quarta nell'ordine di
Delalande: il busto immobile molto in avanti, la testa fuori e il suono delicato in
piano. La medesima situazione dell'incipit si ritrova anche alla fine della prima parte,
a battuta 25, nel finale o in altri momenti in cui la dinamica si avvicina al pp come a
battuta 10.

1. 2.

3.

Figura 81. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Aria, b. 10.

Quando la dinamica tende verso un crescendo della melodia o del basso, il tipo
“raccolto” lascia spazio a quello “fluente”: in questi momenti il busto accompagna
le linee melodiche e si muove con dei movimenti rotatori o in avanti e indietro
mentre le sopracciglia seguono dolcemente le pulsazioni.

150
1. 2.

3.

Figura 82. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Aria, b. 5.

È curioso notare che Gould ha le gambe accavallate fino a quando non ha bisogno di
utilizzare il pedale di risonanza in corrispondenza della seconda semiminima di
battuta 9: soltanto allora appoggia il piede destro scalzo per la prima volta.
Grazie ad un improvviso spostamento della telecamera a battuta 17 che
coincide con l'inizio della seconda sezione, è possibile osservare da un'altra
angolatura la posizione di Gould nella condotta di terzo tipo, ovvero quella
“fluente”. La nuova prospettiva, laterale da destra, si muove da lontano verso
l'interprete, permettendoci di osservare il busto che ora non è più tutto in avanti come
nel caso “raccolto”, ma ruota con un raggio via via più ampio all'aumentare
dell'intensità sonora. Alla fine delle frasi che presentano un rallentando (a batt. 16 e
24) il raggio di rotazione si accorcia e il busto si avvicina alla tastiera.

151
1. 2.

3.

Figura 83. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Aria, bb. 17-19.

152
1. 2.

3.

Figura 84. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Aria, b. 24.

L'Aria si chiude con una progressiva diminuzione della rotazione del busto,
tendenzialmente spostata verso sinistra probabilmente per dare più appoggio alla
linea melodica del basso mentre la telecamera è fissa da battuta 23.
Nel rapporto con la scrittura è possibile riscontrare delle relazioni tra gli ampi
movimenti rotatori del busto associati a brevi cenni laterali del capo in punti in cui le
note si trovano nel registro più acuto (batt. 7) e al contrario, movimenti lenti della
parte bassa del busto quando il registro tocca note del registro più grave (batt. 28).
La Variazione 1 si apre con un'inquadratura fissa in primo piano da destra sulle
mani del pianista che da battuta 11 si allarga lentamente fino alla fine della prima
parte permettendoci di vedere anche parte del viso. Tale vicinanza ci da la possibilità
di vedere più da vicino il tipo di articolazione utilizzata: le dita sono attaccate ai tasti
e si muovo con uno scatto a partire dalla seconda falange, oppure sono più attive

153
nell'articolazione della prima, staccandosi dal tasto con un movimento verso l'interno
che produce un suono staccato e accentato.

Figura 85. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 1, bb. 5.

Figura 86. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 1, bb. 5-7.

154
Figura 87. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 1, bb. 9.

Figura 88. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 1, bb. 9-11.127

Nella seconda parte la telecamera si allontana dalla tastiera per riprendere dalla
stessa angolatura l'interprete: il busto visibile per intero da battuta 23 è immobile e le
dita sono sempre articolate. Il tronco è dritto quando la dinamica oscilla tra il mezzo-
forte e il forte, mentre un po' in avanti se la chiusura della frase suggerisce un
diminuendo.
127 I due esempi riportati mostrano come Gould utilizzi due diversi tipi di articolazione per
differenziare le semicrome dalle crome che, prima per la mano destra e poi per la sinistra, sono più
staccate e a tratti accentate. La cornice rossa indica i punti in cui le crome presentano
un'articolazione della prima falange.

155
1. 2.

3.

Figura 89. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 1, bb. 23-24.

La prospettiva della seconda Variazione ci permette di associare alle brevi frasi


melodiche staccate della prima parte il quarto tipo di condotta, quello “delicato”: il
capo è chino sulla tastiera e il busto è fermo nella parte bassa; quando il fraseggio si
fa più legato (da batt. 17) il busto si piega e si raddrizza nella metà superiore e la
condotta cambia nel tipo “fluente”. Le immagini sono prese da un altro punto di
vista, sempre dal lato destro, ma leggermente più indietro e dal basso.

156
1. 2.

3.

Figura 90. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 2, bb. 2-3.

Nella seconda parte la telecamera si muove lasciandoci intravedere anche la sedia e


parte del pianoforte, ma da battuta 18 lo zoom stringe nuovamente sulle mani in
primo piano.

157
1. 2.

3. 4.

5.

Figura 91. Zoom della telecamera laterale destra da battuta 18 alla fine della variazione.

La vicinanza della telecamera durante l'esecuzione della terza Variazione non ci fa


vedere per intero il tronco dell'interprete poiché è spesso rivolta in primo piano sul
viso (prime battute della prima parte e per tutta la seconda) e sulle mani (ritornello).
Dai movimenti delle spalle che si intravedono grazie ad un leggero zoom da battuta 4

158
e durante il ritornello, si intuisce che il busto, piuttosto vicino alla tastiera, non è
completamente immobile nella parte superiore. Esso infatti oscilla a destra e a
sinistra ed è accompagnato oltre che dal canto anche da brevi movimenti delle
sopracciglia che seguono l'andamento melodico di entrambe le mani.

1. 2.

3. 4.

Figura 92. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 3, bb. 11-14.

159
Figura 93. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 3, bb. 11-14.128

Poiché libera all'inizio della seconda parte, la mano destra fa un rapido movimento
verticale distaccandosi dalla tastiera nel momento della pausa, come uno slancio che
prepara l'ingresso del canto superiore.

1. 2.

Figura 94. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 3, b. 9.

La quarta Variazione, con il tema dell'Aria al basso, è la prima ad essere tutta


eseguita in una dinamica piuttosto forte. La postura di Gould è senza dubbio di tipo

128 Le immagini in sequenza, prese a distanza di un secondo, mostrano i diversi movimenti di


sopracciglia, fronte e bocca di Gould che seguono l'andamento della linea melodica affidata alla
mano destra (evidenziata in rosso). La seconda in particolare si riferisce all'inizio di mis. 13
quando l'ottava di mi è eseguita arpeggiata.

160
“vigoroso”: la schiena è immobile e un po' in avanti e a volte alza le spalle.

1. 2.

Figura 95. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 4, bb.11-12.129

La telecamera fissa cambia punto di osservazione in coincidenza alle sezioni e al


ritornello: la prima volta riprende le mani in primo piano da sinistra, durante il
ritornello si sposta sulla prospettiva laterale da destra e nella seconda parte torna in
primo piano sulle mani da sinistra. Quando si trova vicino alla tastiera ci permette di
osservare le dita che sono articolate con una spinta verso il tasto per dare corpo e
intensità sonora, mentre i polsi sono sempre piuttosto bassi.

129 I due fotogrammi si riferiscono alle battute indicate durante il ritornello, eseguito più piano
rispetto alla prima ripetizione per esaltare la linea del basso. È possibile ipotizzare per la prima
ripetizione, la cui inquadratura ci costringere a vedere esclusivamente le mani del pianista, che le
spalle dello stesso si siano alzate ulteriormente nel medesimo passaggio, eseguito con un suono più
deciso.

161
1. 2.

Figura 96. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 4, bb. 6-8.

La telecamera si pone a servizio della velocità nella quinta Variazione: le


inquadrature sembrano fatte apposta per focalizzare l'attenzione di chi guarda sulla
velocità di movimento delle dita che spesso cambiano registro e posizione
incrociando le mani. Si tratta nello specifico di tre netti spostamenti: il primo fisso
dall'alto a sinistra per tutta la prima parte, il secondo da sinistra sulle mani ed il terzo,
da battuta 25 nuovamente dall'alto a sinistra.

162
1. 2.

3.

Figura 97. Le due inquadrature della Variazione 5: dall'alto quasi frontale da sinistra e laterale in
primo piano sulle mani sempre da sinistra.

Il tempo è talmente rapido che Gould è costretto ad una posizione statica della
schiena e delle spalle come nel tipo “vigoroso”.

163
1. 2.

3.

Figura 98. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 5, b. 2.

Si potrebbe classificare anche la sesta Variazione nel quinto gruppo, ovvero nel tipo
“vigoroso” che Delalande aveva però ipotizzato solo per una dinamica forte. Per
quanto riguarda le Goldberg invece, si tratta già del secondo caso in cui Gould
mantiene il busto praticamente immobile durante tutta l'esecuzione dalla quale risalta
la velocità piuttosto che la dinamica.130 L'interprete si limiti ad alzare le spalle e ad
avvicinare il visto alle mani come ad esempio all'inizio del brano in cui la telecamera
si muove dal primo piano sulle mani da destra fino a riprendere il busto (battute 1-5).

130 Per motivi di inquadratura devo supporre che per coerenza anche all'inizio della seconda parte a
battuta 18, quando la dinamica si fa più piano, il busto si mantenga nella stessa posizione.

164
1. 2.

3.

Figura 99. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 6, bb. 4-5.

Al momento della settima Variazione, al tempo di Giga, la scrittura suggerisce


un'andatura più tranquilla che si traduce in un tocco più delicato dell'interprete.
Anche la sua postura cambia: il busto curvo e protratto in avanti, i movimenti rotatori
della parte bassa della schiena, le sopracciglia che accompagnano le pulsazioni sono
tutte caratteristiche che rientrano nel terzo tipo di condotta delalandiana, quella
“fluente”.

165
1. 2.

3. 4.

Figura 100. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 7, bb. 11-14.

Figura 101. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 7, bb. 11-14.131

La velocità piuttosto moderata lascia spazio al regista per creare effetti diversi:
131 I quattro frammenti presi a distanza di un secondo l'uno dall'altro, mostrano il raggio d'azione del
busto, specialmente nella sua parte bassa. Il tronco del pianista tende ad avvicinarsi alla tastiera ad
intervalli regolari, seguendo l'andamento agogico del brano, in prossimità della seconda metà della
battuta. In rapporto alla scrittura questo momento coincide con un crescendo o diminuendo. Le
frecce in su indicando un avvicinamento alla tastiera, mentre quella in giù un allontanamento.

166
l'inquadratura si sposta dal primo piano sul viso da destra, alla ripresa dall'alto da
sinistra (da battuta 6) con un progressivo stringimento, al primo piano sul viso
frontale nella seconda parte e infine alla classica visione laterale da destra (da battuta
25) che si è soliti vedere anche nelle sale da concerto.

1. 2.

3. 4.

Figura 102. Le immagini 1,2 e 4 raffigurano tre momenti diversi della ripresa laterale da destra; la
figura 3 invece il primo piano frontale di una telecamera posizionata sulla coda del pianoforte.

La velocissima ed energica Variazione numero otto ci riporta rapidamente ad una


posizione “vigorosa”: dalle immagini riprese grazie a due tipi di inquadratura si
osserva infatti che il busto in avanti rimane fermo per tutta la durata del brano, quasi
bloccato; le spalle sono alte e le sopracciglia si alzano a lungo in alcuni momenti, in
altri invece brevemente, seguendo la scrittura musicale.

167
1. 2.

3.

Figura 103. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 8, bb. 1-4.

168
1. 2.

3. 4.

Figura 104. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 8, bb. 10-13.132

Le due telecamere sono posizionate lateralmente sui lati destro e sinistro e si


alternano nell'arco della variazione per un totale di 6 volte. La prima inquadratura
riprende l'interprete nella sua figura intera da destra da un punto di vista più lontano
rispetto ai precedenti; al piano improvviso di battuta 9 si sposta sul lato opposto dal
quale si vede solo parte del busto e all'inizio della seconda parte torna sulla prima che
però lascia spazio alla laterale sinistra durante il cambio di dinamica a battuta 19. A
misure 23 e 25 (in presenza di un piano improvviso) le due prospettive si alternano
nuovamente.

132 Le due prospettive ci permettono di osservare da lontano prima e da vicino poi la postura di
Gould nella condotta di tipo “vigoroso”.

169
1. 2.

Figura 105. Le due immagini ritraggono le inquadrature fisse che si alternano nel corso della veloce
Variazione 8.

La telecamera posta nuovamente sul lato destro, riprende l'interprete per intero nella
prima e nelle seconda parte della Variazione 9. Durante il ritornello invece si sposta
sul lato sinistro filmando le mani del pianista prima (battute 1-4) e il viso poi (fino a
battuta 8).

1. 2.

Figura 106. I due fotogrammi ritraggono due momenti in primo piano sulle mani e sul viso nella prima
parte della Variazione 9.

Il Canone alla Terza è dominato da una condotta di tipo “delicato” in quanto la


posizione del musicista si trova molto inclinata verso la tastiera, il busto, nella sua
parte alta è curvo in avanti e immobile e il mento quasi tocca il petto.

170
1. 2.

3. 4.

Figura 107. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 9, bb. 4-5.

Il tipo di inquadratura durante il ritornello non ci permette di fare un'analisi precisa


degli eventuali cambiamenti, ma i movimenti che si intravedono delle spalle ci fanno
comunque intuire che il busto di Gould oscilli di più rispetto alla prima ripetizione.
Possiamo trovarne relazione nel cambiamento di fraseggio che ora è più legato
mentre il suono sembra essere il risultato di un tocco meno articolato.

171
1. 2.

3. 4.

Figura 108. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 9, bb. 4-5.133

Nei momenti in cui la telecamera lo permette potremmo classificare la decima


Variazione nel tipo di condotta “vibrante” non solo per le flessioni del busto nella
parte alta o per il fraseggio staccato, ma anche per l'accompagnamento e direzione
della mano sinistra durante le prime quattro battute della Fughetta. Diversamente dai
casi fin qui analizzati, il tipo “vibrante” si trova in una variazione la cui dinamica
oscilla tra il mf ed il f e non tra il p e mf come di consueto. Anche i movimenti della
testa a scatti ci orientano verso una condotta diversa, quella “vigorosa” ad esempio.
Probabilmente ci troviamo di fronte ad una combinazione di forme, uno dei
cosiddetti “casi impuri”: quella “vibrante” per la direzione della mano sinistra e per i
piegamenti della schiena e quella “vigorosa” per la dinamica utilizzata e per le

133 I quattro fotogrammi con il visto di Gould in primo piano si riferiscono alle battute indicate
durante il ritornello.

172
scosse della testa durante gli incipit dei temi che si trovano al basso o al tenore.

Figura 109. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 10, bb. 1-8.

Figura 110. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 10, bb. 25-32.134

1. 2.

Figura 111. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 10, bb. 1-3.135

134 I temi evidenziati in rosso segnano i momenti in cui Gould muove la testa a scatti.
135 La mano sinistra di Gould dirige le prime battute della Variazione in entrambe le ripetizioni della
prima parte. Durante il ritornello l'inquadratura è più ampia e cattura il pianista nella sua figura
intera.

173
I movimenti della telecamera si spostano dalla prospettiva laterale a sinistra in primo
piano sulle mani (prima e seconda parte) a quella da destra fissa che prende la figura
intera di Gould nel corso di tutto il ritornello.

1. 2.

3.

Figura 112. Le immagini 1 e 2 si riferiscono alla prospettiva da sinistra in primo piano (prima e
seconda parte) mentre l'immagine 3 riprende il pianista nella sua figura intera dalla prospettiva laterale
destra.

La Variazione numero undici non ci permette, per il tipo di inquadratura, di vedere


l'interprete se non dalla prospettiva delle mani che sono riprese sia dal lato destro che
da quello sinistro dal basso. La telecamera riprende in primo piano da destra nella
prima parte mentre dal basso a sinistra nella seconda. Le dita perfettamente curve
ondeggiano sui tasti accarezzandoli: il risultato è un suono rotondo, ma allo stesso
tempo brillante.

174
1. 2.

Figura 113. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 10.

I due fotogrammi ritraggono le mani del pianista nelle due inquadrature proposte dal
regista. In entrambe la mano destra compie un movimento rotatorio, quasi un salto
dentro la tastiera. Poco dopo l'atterraggio, il dito si stacca subito dal tasto “in
uscita”136 accorciando di fatto l'ultima nota della linea melodica dalla durata di 5∕ 16.

Figura 114. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 11, bb. 1-4.

136 Si parla di entrata ed uscita dal tasto in riferimento ad un movimento della mano: si dice “in
uscita” quando, con l'aiuto del polso che si inarca verso l'alto, le dita si staccano dal tasto in su
producendo un suono più piano del precedente; si parla di “entrata” invece quando il gesto è
opposto cioè quando va verso il basso e produce un suono più forte.

175
Figura 115. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 11, bb. 9-12.137

Per la prima volta da battuta 28 alla fine l'inquadratura si caratterizza della


sovrapposizione delle due prospettive utilizzate in precedenza.

1. 2.

Figura 116. Sovrapposizione di immagini alla fine dell'undicesima Variazione.

La dodicesima è un altro esempio di Variazione che presenta un cambio di condotta


durante il ritornello che, anche questa volta, è eseguito più legato e piano. Dal tipo
“vigoroso” si passa momentaneamente a quello “fluente” che, con un movimento
della parte alta del tronco accompagna le semicrome legate ascendenti e discendenti.

137 Le frecce rosse indicano il momento in cui la mano compie il movimento rotatorio in uscita.

176
1. 2.

3.

Figura 117. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 12, b. 7-9.

177
1. 2.

3. 4.

Figura 118. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 12, bb. 2-4.138

Entrambe le prospettive raffigurate nelle figure 117 e 118 sono prese dal lato destro,
ma da due diverse angolazioni, una perpendicolare alla tastiera e l'altra leggermente
più indietro. Ambedue presentano nel corso della Variazione un effetto di
allontanamento che si muove dal primo piano al mezzo busto o alla figura intera.

138 I quattro momenti immortalati attraverso una ripresa dalle spalle, tentano di mostrare il
movimento della schiena protratta in avanti. L'immagine precedente invece raffigura Gould
immobile nella prima parte (ritornello escluso) e nella seconda parte della Variazione.

178
1. 2.

3. 4.

Figura 119. I quattro fotogrammi descrivono la zoomata della telecamera che si allarga lentamente da
battuta 1 a battuta 11 della Variazione 12.

179
1. 2.

3. 4.

Figura 120. I quattro fotogrammi descrivono la zoomata della telecamera che si allarga lentamente da
battuta 1 a battuta 14 durante il ritornello della Variazione 12.

La tredicesima Variazione dal carattere cantabile è caratterizzata da uno staccato fine


e si inserisce nel quarto tipo di condotta, quello “delicato”: la schiena è immobile e
quasi sulla tastiera, mentre la testa è fuori dalle spalle, sempre in avanti, spesso
inclinata da un lato. Nei momenti in cui una delle voci è evidenziata, il busto si
muove lateralmente e la testa si alza come ad esempio a battute 9, 10 e 11 dove la
mano sinistra marca le crome che si trovano nella seconda metà della misura.

180
Figura 121. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 13, bb. 7-12.139

1. 2.

3.

Figura 122. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 13, bb. 9.

139 In rosso sono segnate le crome eseguite con una dinamica più forte rispetto alla linea melodica
della mano destra. Quando Gould le marca, ruota leggermente la schiena verso sinistra.

181
Quando il crescendo segue invece la linea ascendente delle note, la schiena rimane
ferma, ma si alzano leggermente i gomiti.

Figura 123. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 13, bb. 4-6.140

1. 2.

3.

Figura 124. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 13, bb. 1-2.

140 Gould alza il gomito sinistro quando esegue le crome ascendenti in crescendo, evidenziate in
rosso.

182
Anche i crescendo nella seconda parte del brano si caratterizzano dall'alzata del
gomito sinistro, come succede ad esempio a battute 21-22. A battute 25-26 invece il
crescendo è più ampio e al gomito si accompagna anche una rotazione del busto in
senso orario. A misura 28 Gould scuote la testa a scatti mentre alla fine del brano,
con il diminuendo e rallentando sposta il busto tutto verso sinistra.

1. 2.

3.

Figura 125. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 13, b. 32.

La telecamera zooma sulle mani alla fine della prima parte e sul viso all'inizio della
seconda mentre per il resto della Variazione si può osservare per intero l'interprete al
pianoforte anche quando ci troviamo in presenza di una sovrapposizione di
immagini, una sfocata in primo piano e l'altra più nitida. La battuta 9 è caratterizzata
dall'inquadratura in primo piano sul viso (più in rilievo) e sulle mani, mentre da
battuta 25 a battuta 27 dal primo piano sul viso (più sfocato) e da una ripresa da

183
lontano.

1. 2.

Figura 126. Le due immagini raffigurano le sovrapposizioni di inquadrature di battute 9 e 25.

La Variazione che segue è invece di tipo “vigoroso”: il suono forte ed energico, la


rapidità d'esecuzione e la testa incassata nelle spalle non lasciano dubbi. In alcuni
momenti però, quando il fraseggio si fa più piano il busto di Gould si inarca nella
parte bassa, il mento si avvicina al petto e le sopracciglia si alzano.

1. 2.

Figura 127. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 14, b. 1 e b. 5.141

141 I due fotogrammi ritraggono Gould lateralmente in due posizioni distinte della condotta indicata.
La prima immagine si riferisce alla condotta di tipo “vigoroso” con la schiena immobile dritta in
un momento in cui il suono d'esecuzione è forte; nella seconda invece la schiena è immobile ma
curva ed il suono più piano.

184
Data la simmetria nella scrittura, anche nella seconda parte della quattordicesima
Variazione ci imbattiamo nella stessa situazione gestuale. Seppur da una diversa
angolazione a causa dell'inquadratura in primo piano sulle mani, è comunque
possibile vedere il volto del pianista che si avvicina alla tastiera a misura 21 quando
il suono diminuisce, come in corrispondenza di battuta 5.

1. 2.

3.

Figura 128. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 14, bb. 20-21.

Si può affermare che le due riprese di questa Variazione sono in stretta relazione con
la scrittura. Le inquadrature laterali da destra e sinistra si alternano costantemente:
prima quella da destra a mezzo busto, poi da battuta 9, con un cambio nella scrittura,
da sinistra in primo piano sulle mani e a battuta 13 nuovamente da destra. La seconda
sezione presenta la sequenza inversa invece: prima in primo piano da sinistra, poi a

185
destra e da battuta 29 nuovamente da sinistra.142
Il Canone alla Quinta ci fornisce un'altra interessate base d'osservazione e di
confronto tra la scrittura e l'interpretazione. Da una parte il tempo (molto) Andante
ed il suono delicato in piano e dall'altra il movimento rotatorio della schiena quando
il fraseggio è legato e, quando si fa più staccato nel ritornello, una posizione più
statica con il busto in avanti e il volto vicino alla tastiera. Ancora una volta non
possiamo che confermare le ipotesi statistiche avanzate dal musicologo francese e
confermare che, a parità di scrittura, agogica, e dinamica, con un cambiamento del
fraseggio da legato a più staccato, c'è un'evoluzione anche nella gestualità. Nel caso
della quindicesima Variazione da una condotta di tipo “fluente” si passa ad una di
tipo “delicato”.

1. 2.

3. 4.

Figura 129. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 15, bb. 10-12.

142 La partitura presenta due tipi di scrittura: gruppetti di tre note veloci (tipo mordenti) e quartine di
semicrome disposti in maniera inversa nelle due sezioni.

186
1. 2.

3. 4.

Figura 130. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 15, bb. 10-12.143

Tra le caratteristiche delle condotte di terzo e quarto tipo Delalande non aveva
inserito il movimento d'accompagnamento della mano sinistra che però ritroviamo a
battuta 8, quando, siccome libera, la mano si muove vibrando verso l'alto. Gould
compie il cosiddetto gesto da direttore d'orchestra anche durante il ritornello della
prima sezione: la prima volta la mano si sposta a sinistra con il palmo rivolto verso il
basso e, con una rotazione di 90°, si sposta tremando in alto verso destra; la seconda
volta il movimento della mano parte da un punto più basso sotto la tastiera per poi
alzarsi vibrando con il palmo rivolto sempre verso destra.

143 I fotogrammi si riferiscono alle medesime battute della variazione, eseguite come prima volta e
durante il ritornello.

187
1. 2.

3. 4.

5. 6.

Figura 131. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 15, b. 8.144

Dopo una prima inquadratura sulla mani, da battuta 19, si può vedere Gould ripreso
dal busto in su che ruota la schiena in senso orario ad ogni semiminima, il che

144 Le immagini mostrano il gesto d'accompagnamento della mano sinistra durante la pausa a battuta
8, ripreso da due diverse angolazioni: la prima da sinistra durante la prima esecuzione della
sezione (figure 1-2), la seconda da destra durante la seconda ripetizione (figure 3-6).

188
significa che compie due giri del busto ogni battuta. Il movimento rotatorio segue
l'andamento delle semicrome ed è più accentuato in presenza dei trentaduesimi a mis.
19 e 20; a battute 23-25 la rotazione del busto si fa più distesa a causa di un
diminuendo mentre dalla seguente, uno scatto della mano sinistra prepara una nuova
intensificazione del suono che porta naturalmente anche ad un'enfatizzazione nel
movimento rotatorio della schiena. La Variazione rallenta e diminuisce fino alla fine
nel tempo e nel gesto.

1. 2.

3. 4.

Figura 132. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 15, bb. 21.

Tra i numerosi spostamenti delle telecamera, il più interessante si trova a battuta 25


quando, per un cambiamento nell'armonia, l'inquadratura si sposta dalla laterale
sinistra (Figura 132) al primo piano sul viso da destra che si allarga al mezzo busto
fino a battuta 28.

189
1. 2.

Figura 133. Le due immagini si riferiscono allo zoom della telecamera dal primo piano di battuta 25 al
mezzo busto di battuta 28.

L'Ouverture si caratterizza ancora una volta dalla condotta di quinto tipo, non solo
per il fraseggio tutto forte e per l'immobilità della schiena, ma soprattutto per le
alzate delle spalle verso l'alto, per la spinta dei gomiti verso l'esterno e per le veloci
vibrazioni della testa. L'accordo di sol maggiore in apertura è preceduto da uno
slancio della mano destra che lo prepara: a rendere l'inizio della sedicesima
Variazione così energico è sicuramente la combinazione di gesto preparatorio della
mano destra e accordo forte quasi sforzato della mano sinistra. L'inquadratura
alquanto curiosa ci fa vedere il movimento del braccio destro dalla prospettiva destra,
mentre l'attacco dell'accordo ad opera della mano sinistra da quella laterale a sinistra.

190
1. 2.

3. 4.

Figura 134. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 16, b.1.

Le riprese ferme riprendono il viso e le mani in primo piano da due diverse


angolazioni della prospettiva laterale destra: alla fine della prima sezione si vede il
viso (mis. 13) mentre per gran parte della seconda parte, le mani. A battuta 31
l'immagine si allarga invece al mezzo busto, inquadrato da destra.
La mano destra accompagna anche l'accordo finale di sol maggiore, questa
volta però con un movimento più vibrato e lungo, mentre il suono viene prolungato
grazie al pedale di risonanza.

191
1. 2.

3.

Figura 135. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 16, b. 47.145

Le due inquadrature che riprendono Gould dall'alto (tutta la prima sezione e da


battuta 28) ed in primo piano sulle mani (seconda sezione) non permettono di
osservare i movimenti di spalle e busto per intero nella Variazione 17. Dalle prime
immagini si capisce comunque che la figura del nostro pianista è abbastanza ferma e
che la schiena non è protratta in avanti sulla tastiera. Ogni tanto scuote la testa o la
muove a scatti durante gli apici dei crescendo che caratterizzano principalmente la
seconda parte della Variazione. Se consideriamo anche l'andamento piuttosto spedito
e la dinamica generale che oscilla intorno al mezzo-forte, possiamo ipotizzare di
trovarci tra la condotta di quarto e quinto tipo.

145 È curioso notare che mentre la mano sale e vibra verso l'alto, con il palmo rivoto verso l'interno,
le labbra si chiudono e si stringono sempre più.

192
1. 2.

3.

Figura 136. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 17, bb. 1-4.

Anche le riprese della Variazione successiva non sono favorevoli alla nostra analisi
poiché sono spesso rivolte al viso in primo piano.

1. 2.

Figura 137. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 17, b. 6 (prima e durante il ritornello).

193
Quando si allargano a mezzo busto (seconda parte) possiamo però notare che la
figura è protratta in avanti con il capo molto vicino ai tasti nei momenti in cui il
fraseggio è quasi staccato e che compie dei brevi movimenti rotatori della parte
bassa della schiena e in avanti e indietro quando siamo in presenza dei crescendo o
quando il fraseggio si fa più legato (ritornello). Dato il carattere tranquillo e le
dinamiche in piano potrebbe quindi trattarsi del tipo “fluente” quando il fraseggio è
legato e del tipo “delicato” quando è staccato.
Nella Variazione 19 invece la telecamera inquadra Gould di profilo lasciandoci
intravedere sia le mani che parte del busto che si vede immobile e chino sulla
tastiera.

1. 2.

3. 4.

Figura 138. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 18, bb. 1-4.

Durante le prime otto battute (primo piano sulla tastiera) quando il suono è delicato,

194
le note sono staccate e la dinamica si aggira intorno al piano, si vede il volto di
Gould molto in avanti e ruotato verso sinistra in una posizione pressoché immobile
del tipo “delicato”. Quando da battuta 9 il canto al soprano si arricchisce di note
lunghe ed appoggiate, il suono comincia ad oscillare tra crescendo e diminuendo che
sono accompagnati dalla rotazione del busto. Lo stesso accade anche all'inizio della
seconda parte (primo piano quasi frontale del viso) quando il canto si sposta dal
registro più acuto a quello centrale.

1. 2.

3. 4.

Figura 139. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 19, bb. 17-20.

Dal quarto tipo si passa dunque al terzo, ovvero alla condotta “fluente” che prevede
appunto la rotazione del busto nel fraseggio legato e in piano. Nelle ultime quattro
battute della Variazione (inquadratura a mezzo busto da destra), il fraseggio torna
staccato e la condotta “delicata”.

195
Per la Variazione 20 non ci sono dubbi: velocità, dinamica in forte e grande
pathos ci portano con sicurezza verso la condotta di quinto tipo, quella “vigorosa”.

1. 2.

3. 4.

Figura 140. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 20, bb. 1-4.

In concomitanza delle semicrome discendenti in levare delle prime otto battute


(cerchiate in verde) Gould aggrotta le sopracciglia e corruga la fronte.

196
Figura 141. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 20, bb. 1-6.

Da battuta 9, quando nella partitura si presenta un cambio nella scrittura,


l'inquadratura si sposta dalla prospettiva dall'alto a quella laterale.
Quando il fraseggio si fa improvvisamente più piano, come a battuta 26, Gould
allunga il capo verso la tastiera e alza le sopracciglia per tutta la durata della misura.
Anche la prospettiva dell'immagine cambia leggermente in prossimità della stessa
misura: si passa da quella quasi frontale dell'inizio della seconda sezione a quella
laterale destra a mezzo busto.

197
1. 2.

3.

Figura 142. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 20, bb. 25-26.

Il tempo maestoso e la dinamica in forte danno luogo ad un'atmosfera di grande


intensità che apre il canone che segue la ventesima Variazione. La tensione emotiva è
così alta che Gould, oltre a ruotare la schiena energicamente, scuote anche la testa in
prossimità di tutti i ritenuti che caratterizzano la prima parte.
Anche la telecamera si muove e cambia di posizione in momenti particolari
come durante il ritornello non appena la dinamica si fa più piano o a battuta 7 per
valorizzare il tema melodico della mano destra.

198
Figura 143. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 21, bb. 1-8146.

Il carattere deciso si attenua durante il ritornello della prima parte: la rotazione si fa


meno nervosa e la testa non si muove più a scatti, ma accompagna dolcemente il
busto. Da un tipo di condotta mista, definita da Delalande “caso impuro” 147 per la
coopresenza del terzo e quarto tipo (“vigoroso” e “fluente”) si passa al “caso puro”
durante la ripetizione, ovvero al tipo “fluente”.
Anche la seconda parte è caratterizzata dal terzo tipo, che però si mescola
nuovamente al tipo “vigoroso” al momento del rallentando finale, quando Gould
scuote a lungo il capo.
Per il tipo di inquadratura in primo piano su mani e viso, non è possibile vedere
la figura per intero del nostro pianista all'inizio della Variazione 22. A tratti però si
notano il busto in movimento avanti e indietro, la testa a scatti e un tipo di
articolazione “vibrante” della dita della mano sinistra alla quale è affidato il tema
dell'Aria. Durante il ritornello le riprese lasciano un'ampia visione dell'insieme grazie

146 I ritenuti sono segnati con delle frecce viola.


147 Si tratta di un “caso impuro” poiché la testa a scatti è una delle caratteristiche del tipo “vigoroso”,
mentre la rotazione del busto del tipo “fluente”. Inoltre il quinto tipo si riscontra solitamente in
casi in cui la dinamica è in forte.

199
anche ad una sovrapposizione di inquadrature da destra e da sinistra: il clima più
sereno e disteso e la rotazione accennata del busto ci portano verso la condotta
“fluente”.
Anche nella seconda parte la telecamera, che si stringe fino a battuta 26, ci
permette di osservare e di riscontrare con facilità i tratti della condotta di riferimento:
il busto è piuttosto dritto e ogni tanto si muove nella parte alta, le spalle si alzano, la
testa si muove a scatti. Probabilmente ci troviamo nuovamente in presenza di una
mescolanza di condotte.

1. 2.

3.

Figura 144. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 22, b. 28.

Le immagini in primo piano sulle mani durante gran parte della Variazione 23 non
permettono un'analisi completa. Solo in alcuni momenti della seconda parte, che
nella scrittura e nel carattere virtuosistico è molto simile alla prima, la telecamera si

200
allontana dalla tastiera per riprende l'interprete da dietro: la schiena non ruota e le
spalle si muovono verso l'alto per agevolare gli incroci delle mani e gli spostamenti
delle braccia verso le estremità.

1. 2.

Figura 145. Le due immagini raffigurano i due tipi di riprese della Variazione 23.

La prima parte della Variazione 24 è ancora caratterizzata da un cambio di condotta


tra la prima ripetizione che ha un fraseggio più staccato, ed il ritornello che è invece
più legato: dal tipo “delicato” (busto in avanti immobile) si passa al tipo “fluente”
(rotazione della schiena). In rapporto a questo cambio nel fraseggio si aggiunge come
di consueto anche quello dell'inquadratura che si sposta dalla figura intera ripresa
lateralmente da destra al primo piano sul viso, con un lento zoom fino a battuta 13.

1. 2.

Figura 146. Le due immagini descrivono lo zoom di battute 1- 13 durante il ritornello.

201
1. 2.

3. 4.

Figura 147. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 24, bb. 1-4.148

148 I quattro fotogrammi si riferiscono alla prime quattro battute della Variazione e ritraggono Gould
in una posizione immobile e china sulla tastiera e con la testa fuori dalle spalle. A confermare che
si tratta della condotta di quarto tipo è il tipo di fraseggio che, durante la prima ripetizione,
presenta uno staccato fine.

202
1. 2.

3. 4.

Figura 148. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 24, bb. 10-13.149

La lentissima Variazione numero 25 è caratterizzata da posture e gesti diversi che


possiamo indirizzare a due condotte, “vibrante” e “fluente”: il busto si piega e ruota
seguendo l'andamento delle linee melodiche, la schiena è protratta in avanti, il volto
sembra sfiorare i tasti, ma soprattutto entrambe le mani quando libere nei momenti di
pausa accompagnano con dei gesti alto/basso o laterale vibrando. Ad un primo
sguardo il fraseggio legato e disteso ci porta a considerare i primi tre tipi, ma dopo
un'attenta osservazione possiamo escludere il tipo “raccolto” che prevede
l'immobilità del busto.

149 Le immagini selezionate durante il ritornello a battute 10-13 riprendono Gould intento a ruotare il
busto mentre il fraseggio legato conferma il tipo di condotta di terzo tipo.

203
1. 2.

3. 4.

Figura 149. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 25, bb. 1-16.

Le quattro immagini si riferiscono a diversi momenti di pausa di entrambe le mani


nella prima parte della Variazione. Il tipo di movimento cambia seguendo la scrittura:
la figura n. 1 riprende Gould all'inizio della prima battuta mentre alza la mano destra
con il palmo rivolto verso il basso per preparare il bicordo iniziale; la n. 2 è presa a
metà della stessa quando la mano sinistra accompagna la linea al soprano con un
movimento vibrato e con il palmo rivolto verso destra; la terza riguarda invece un
momento a cavallo di battute 4 e 5, quando la mano destra si alza con il palmo verso
il basso per seguire il crescendo delle note al basso e al tenore; a battuta 8 la scrittura
è simile a quella di battuta 4, ma le due voci più gravi tendono verso un diminuendo
mentre la mano libera si muove con un movimento alto/basso e con il palmo rivolto
in tutte le direzioni conferendo alla chiusura un senso di andamento e direzione
(figura n. 4).

204
La seconda parte della Variazione è molto simile alla prima: l'interprete
accompagna le linee melodiche ruotando la schiena e dirigendo con la mano libera in
prossimità delle pause.

1. 2.

3.

Figura 150. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 25, b. 20.150

Anche nel finale l'utilizzo del braccio come gesto evocatore è significativo: a battuta
32 Gould inverte le mani rispetto alla scrittura per muovere la sinistra ondeggiando
prima dal basso verso l'alto e vibrando poi la mano verso l'alto con il palmo rivolto a
se.

150 Le immagini relative a battuta 20 sono significative non solo dal punto di vista dell'utilizzo della
mano destra come se fosse il braccio di un direttore d'orchestra, ma colpiscono per l'incredibile
tensione ed espressività del volto dell'interprete. Il gesto vibrante del braccio si carica di emozione
nei tratti del viso e dalle labbra strette che trapelano una sensazione di sforzo.

205
Figura 151. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 25, bb. 31-32.

1. 2.

3. 4.

Figura 152. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 25, b. 32.

La telecamera si pone a servizio della scrittura come per le Variazioni 14 e 20


spostandosi in diverse posizioni: a battuta 4 si passa dall'inquadratura laterale destra
ad una sovrapposizione con un'immagine laterale da sinistra per sottolineare le voci
discendenti; a battuta 5 la ripresa del canto favorisce una ripresa laterale da destra a

206
figura intera; a battuta 13, per sottolineare la voce interna, si passa invece ad un
primo piano sul viso; a battuta 14 torna l'immagine a figura intera; la seconda parte si
apre invece su un primo piano mani/viso da destra; da battuta 18 l'immagine si
allarga per poi fermarsi a battuta 20; a battuta 24 ancora il primo piano da sinistra; a
battuta 25 la figura intera da destra e dalla 29 a mezzo busto senza zoom; a battuta 30
infine un progressivo allargamento. Con undici cambi, la venticinquesima Variazione
è quella che ne presenta di più.
L'inquadratura in primo piano segue il movimento delle mani (da sinistra prima
e da destra poi) e non ci consente di analizzare dal punto di vista della gestualità il
tipo di condotta della Variazione 26.

1. 2.

Figura 153. Le due immagini riprendono le diverse prospettive in primo piano sulle mani.

È però possibile azzardare un'ipotesi in base alle variazioni precedenti che


presentavano lo stesso carattere virtuosistico e una scrittura simile: per favorire un
totale controllo e per sostenere l'altissima velocità Gould mantiene sempre la schiena
ferma e non troppo inclinata in avanti.
Il carattere brillante e il fraseggio piuttosto staccato del Canone alla Nona
portano il nostro pianista a tenere una postura del quarto tipo: quando la telecamera
lo permette si può notare infatti che il busto è immobile e molto in avanti mentre la
testa è fuori dalle spalle.

207
1. 2.

3. 4.

Figura 154. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 27, b. 12 (prima e durante il ritornello).

Anche in questo caso la telecamera segue i movimenti delle mani nella prima parte
fino a battuta 6 quando l'inquadratura si apre a mezzo busto (da sinistra – Figura 154,
1-2). Durante il ritornello invece si sposta a destra per riprendere l'interprete da
lontano (Figura 154, 3-4) e nella seconda parte torna invece sulle mani questa volta
immortalate da destra.
La ventottesima Variazione energica e molto veloce porta invece a pensare ad
una condotta “vigorosa”. Le ipotesi sono confermate dalla posizione che l'interprete
tiene al pianoforte: la schiena immobile, gli scatti della testa e le alzate delle spalle.
Quando i trilli lasciano spazio alla semicrome Gould accenna anche a dei movimenti
più lunghi delle sopracciglia che accompagnano il canto delle crome.
La telecamera è in stretta relazione con i cambi nella scrittura: quando si è in
presenza dei trilli riprende da sinistra verso il basso (mis. 1-8, 13-16, 21-23, 27-30) e

208
quando la scrittura presenta le quartine di semicrome arpeggiate da sinistra verso
l'alto (mis. 9-12, 17-20); da battuta 24 a 26 e dalla 31 la telecamera è orientata invece
dal lato destro.

1. 2.

3.

Figura 155. I tre fotogrammi riprendono Gould nelle inquadrature descritte.

Anche per la Variazione numero 29 non è possibile avere un'immagine d'insieme


esauriente dati i numerosi spostamenti della cinepresa sulle mani. Quando la
telecamera si rivolge frontalmente al pianista si vede però che la schiena non ruota,
ma si muove esclusivamente in funzione della scrittura: l'attenzione si focalizza sul
rapidissimo movimento delle dita.
Le due diverse inquadrature accompagnano i movimenti del pianista e sono
legati ai cambiamenti in partitura: le due riprese laterali da sinistra si alternano tra
l'inciso in ottava della mano sinistra e gli accordi.

209
1. 2.

Figura 156. Le immagini raffigurano le mani del pianista mentre esegue l'ottava spezzata al basso e
con una prospettiva dall'alto, gli accordi alternati.

1. 2.

3.

Figura 157. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 29, b. 17-19.

210
La dinamica in forte e gli elementi legati alla postura tendenzialmente immobile ci
portano ancora verso la condotta di quinto tipo.
La Variazione 30 è preceduta da un ampio gesto della mano destra che da
slancio ed energia al Quodlibet.

1. 2.

3.

Figura 158. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 30, b. 1.

Come nel caso di una precedente variazione (la ventunesima) anche qui ci troviamo
di fronte ad una coopresenza di condotte. Ad eccezione della prima parte (ritornello
escluso), il resto della Variazione è caratterizzato dalla condotta di tipo “fluente”.
Nella parte iniziale invece l'andatura moderata e il fraseggio legato tendono nei
movimenti rotatori verso il terzo tipo, mentre la dinamica in forte porta ad una
maggior enfasi che si traduce negli scatti del capo, tipici della condotta “vigorosa”.
Gould scuote la testa anche in prossimità del finale, quando, con il dilatarsi del

211
tempo e con il crescendo, aumenta la solennità che porta all'accordo di sol maggiore.
Dal punto di vista delle inquadrature invece, il caso della trentesima Variazione
è particolare in quanto gli spostamenti delle telecamere sono, almeno nella prima
parte, soggetti alle due melodie che caratterizzano il Quodlibet. A battuta 5, l'ingresso
della melodia, muove l'immagine da destra a sinistra.
Dopo l'ascolto dell'Aria conclusiva al momento della prima analisi comparativa
avevo definito il canto del II Gould «nostalgico e rassegnato, frenato e raccolto». Al
termine di questo secondo studio tale definizione non mi sembra più esplicativa. Il
tipo “raccolto” che dopo questo ascolto così approfondito, poteva essere individuato
anche senza il supporto video, non poteva che chiudere le Variazioni Goldberg. Il
primo tipo lascia a tratti spazio alla condotta “fluente” come ad esempio nella
seconda parte, per seguire l'andamento delle semicrome affidate alla mano destra
(mis. 27-29)151. Il rallentando finale frena però il movimento circolare che, reduce di
una forza centripeta, si spegne sul bordo della tastiera.

Figura 159. J. S. Bach, Variazioni Goldberg, Variazione 30, b. 1.

151 In altri momenti non è possibile capire il tipo di condotta poiché per gran parte della seconda
sezione la telecamera riprende i microfoni della sala di registrazione.

212
Una volta riconosciuta l'esistenza in Gould dei cinque tipi gestuali anche nelle
Variazioni Goldberg, ci si potrebbe inquietare nel vedere la sua tavolozza espressiva
ridotta solamente a cinque figurazioni. Rimane dunque da illustrare in modo succinto
grazie a quali modalità di combinazione i colori di base dell'espressività gouldiana
possono arrivare a generare la varietà.
a) La modalità più frequente è la successione dei “casi puri” con delle
transizioni da un caso all'altro molto chiare. Va inoltre precisato che si può
osservare in ciascun tipo una gradazione. Così, nel movimento “fluente”, la
rotazione è uno stato più definito; allo stesso modo, certi gesti occasionali,
come delle scosse improvvise delle spalle o della testa, possono essere
considerati come delle marche di parossismo del “vigore”.
b) Più raramente, i tipi si mescolano: ad una postura e ad un movimento
caratteristici di un tipo sono associati una mimica ed un'esecuzione pianistica
che si trovano abitualmente in un altro tipo gestuale. Per esempio, nel bel
mezzo di un movimento “fluente” corrispondente a delle frasi continue, delle
note eseguite staccate inducono, solo per poche battute, una mimica
“delicata” senza irrompere la rotazione del busto.
c) Infine, certe sequenze appaiono, a un primo sguardo, come una lunga
transizione continua tra due tipi come ad esempio tra il tipo “vigoroso” e
quello “delicato”.
La relazione tra gesto, scrittura ed esecuzione pianistica può essere caratterizzata, in
base all'ascolto, considerando solo l'articolazione (legato o staccato), la dinamica
(piano, mezzo-forte e forte) e il tempo (lento, moderato o veloce). Anche nel caso
delle Goldberg ed in linea quindi con le ipotesi avanzate da François Delalande,
possiamo constatare che i primi tre tipi gestuali corrispondono ad un'esecuzione in
legato, piano o mezzo-forte e con un tempo lento o moderato, il quarto ad uno
staccato, in piano o mezzo-forte e con un tempo sia lento che veloce, ed il quinto ad
un'esecuzione decisamente forte e nella maggior parte dei casi anche veloce.
Nel nostro caso il tipo “raccolto” compare nell'Aria nella sua parte iniziale e
finale fintanto che il fraseggio, oltre ad essere legato e con un tempo molto lento, non
presenta dei rigonfiamenti dinamici; il tipo “vibrante” si presenta una sola volta ma

213
comunque in un fraseggio legato, con la dinamica in piano ed il tempo lento; il tipo
“fluente” si trova in tutte le variazioni che presentano un fraseggio legato, con una
dinamica che va dal piano al mezzo-forte ovvero dieci volte; il tipo “delicato” c'è in
tutte le variazioni con un fraseggio staccato (undici volte) e si affianca spesso al
terzo tipo, soprattutto quando grazie al ritornello c'è un cambiamento nel fraseggio.
Solo in un caso invece (Variazione 10) affianca il quinto tipo. Il tipo “vigoroso” è
presente dieci volte su dieci nelle esecuzioni in forte e con un tempo veloce o
moderato. Quando l'andamento è più lento invece il tipo “vigoroso” si mescola a
quello “fluente” dando luogo ad un cosiddetto “caso impuro”.
Tra il gesto “produttore”, quello della mano che tocca il tasto, ed il gesto
“d'accompagnamento”, del busto, della testa e del volto, si profila quindi uno stretto
legame. Gould stesso dice esplicitamente che questo “fenomeno” va ricondotto ad
una necessità motoria e psicologica. La posizione vicino alla tastiera lo aiuta a
realizzare il suo staccato particolarmente fine e regolare. Al contrario, è poco
verosimile che il movimento rotatorio del busto sia di qualche utilità motoria per
ottenere un suono legato. È da credere piuttosto che qualcosa come “il sentire il
flusso continuo della durata” venga ad essere tradotto contemporaneamente dal
legato e dal movimento del corpo.

214
215
4 Conclusioni

Nel vasto mondo dell'interpretazione ed espressione musicale è importante


considerare più linguaggi per averne quindi una visione multidisciplinare. Nella
fattispecie è rilevante, all'interno del rapporto tra musicista e ascoltatore, tener conto
anche di altri aspetti legati alla comunicazione come ad esempio i gesti e la mimica.
La conferma di questa tesi sta proprio nelle immagini del pianista canadese
Glenn Gould che, per questo studio, ha fornito una straordinaria base di
osservazione. Come si è visto, le sue scelte artistiche e di vita hanno predisposto
un'abbondanza delle fonti primarie e permesso quindi un accurato sguardo alle sue
interpretazioni che sono custodite su supporti diversi come il cd, dvd e altro
materiale audio e radiofonico disponibile in rete.
Nello specifico di questo lavoro, si sono messi in evidenza gli aspetti
sopracitati nelle due celebri incisioni delle Variazioni Golderg di Johann Sebastian
Bach, attraverso un percorso biografico imprescindibile nella spiegazione di certe
scelte musicali del pianista canadese. Ripercorrendo le tappe fondamentali del suo
pensiero musicale e della sua carriera si sono definite le basi per una corretta e
soprattutto completa osservazione delle opere bachiane.
A questo punto si sono sviluppate due analisi dell'opera del compositore
barocco: la prima voleva essere un confronto tra le registrazioni su supporto audio
del 1955 e del 1981; la seconda invece uno studio sulla registrazione del 1981 con il
contributo delle ricerche di François Delalande.

216
L'analisi comparativa ha messo in luce differenze e similitudini stravolgendo di
fatto le generali impressioni che davano per lentissima la seconda versione e non
prendevano in considerazione altri aspetti rilevanti come il fraseggio e le diversità
timbriche. Si è perciò dimostrato che le due incisioni non divergono solo per il
tempo, la cui percezione può essere deviata dai ritornelli presenti in certe variazioni
datate 1981, ma anche per le scelte dinamiche e per il fraseggio staccato o legato. Si
è riscontrato infatti che molto spesso, a parità di agogica, la variazione aveva subito
più che altro un cambiamento nell'esaltazione di certe voci evidenziate grazie a
timbri o dinamiche differenti oppure nell'alternanza di note legate o staccate
soprattutto durante i ritornelli. In linea con le usanze dell'epoca infatti, nei ritornelli
delle variazioni canoniche Gould ha sempre optato per un cambio nella dinamica (la
seconda ripetizione in piano) o nel fraseggio (solitamente più staccato nel ritornello).
Il confronto con l'incisione del 1957 della stessa composizione ad opera della
statunitense Rosalyn Tureck e l'ascolto delle tracks scartate da Gould in sede di
registrazione nel 1955 ne hanno ulteriormente arricchito il confronto.
L'osservazione del film-documentario di Bruno Monsaingeon ha invece
dimostrato le ipotesi già avanzate da Delalande, per le quali sarebbe stato possibile
applicare i suoi studi sulla gestualità di Gould anche ad altri brani di Bach purché
appartenenti allo stesso periodo della registrazione delle Partite. L'analisi delle
Variazioni Goldberg registrate nel 1981 ha infatti portato a risultati simili di quelli
ottenuti dal musicologo francese, riscontrando la maggioranza di “casi puri” ed
alcuni “casi impuri”.
I diversi tipi di inquadrature non hanno sempre permesso una visione completa
della figura del pianista (come nel caso delle Variazioni 1, 3, 11 e 26) prediligendo il
primo piano sulle mani. Diversamente, l'analisi dei fotogrammi tratti dalle riprese
laterali, ha lasciato ampio margine nell'identificazione del tipo “raccolto”,
“vibrante”, “delicato”, “fluente” e “vigoroso” o della coopresenza di due.
Il risultato generale ha portato quindi alle stesse conclusioni delineate da
Delalande come ad esempio la conferma che il quarto tipo si trova sempre durante
un fraseggio legato e il terzo in quello staccato oppure che il tipo “vigoroso”
riguarda un fraseggio perlopiù veloce ed in forte, mentre quello “raccolto” lento e in

217
piano.
Lo sguardo più accurato rivolto agli aspetti di regia e di montaggio ha invece
portato a considerazioni importanti nel rapporto tra la telecamera e la scrittura
musicale. Si è infatti visto che nel corso di tutto il documentario le riprese variavano
nella prospettiva (laterale, frontale e dall'alto), nell'angolazione (perpendicolare alla
tastiera, da dietro e da davanti) e nella vicinanza (zoom) ed erano in stretto legame
con l'architettura dell'opera bachiana. L'Aria e le trenta variazioni presentavano
sempre un cambio di inquadratura all'inizio delle due sezioni e del ritornello e in
alcune variazioni in cui la scrittura stessa (Var. 14, 20, 28, 29), le dinamiche (Var. 8)
e certi incisi melodici (Var. 25) ne suggerivano un cambio. Le variazioni eseguite ad
un tempo piuttosto veloce (Var. 5, 8, 14, 20, 23, 26, 28 e 29) erano caratterizzate da
cambi repentini delle inquadrature senza l'uso dello zoom, mentre quelle con un
tempo moderato o lento erano più variegate nell'utilizzo delle diverse tecniche come
lo zoom e le sovrapposizioni di immagini.
Lo sguardo di Monsaingeon ha anche creato una controparte visiva in grado di
esaltare gli aspetti della gestualità nella struttura musicale. La regia è stata segnata da
un'accuratezza delle inquadrature e dalla ricerca dell'ambiente per rendere il più
significativo possibile il connubio tra musica ed immagini, senza renderle mai
preponderanti, ma al servizio dell'interpretazione.

218
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