INTEGRAZIONE VERTICALE
Consiste in un processo di internalizzazione di tutte le fasi di un processo produttivo necessario per la
produzione di un prodotto finito, anche attraverso l’acquisizione di aziende che dispongono di know-how e
nuove competenze per ridurre i costi di produzione, effettuare economie di scala e rispondere più rapidamente
alle nuove opportunità di mercato.
INTEGRAZIONE ORIZZONTALE
Consiste nell’espansione dell’attività di impresa a prodotti, servizi, tecnologie produttive, politiche di mercato,
processi, fasi di lavorazione e know-how che sono diversi ma complementari alla filiera tecnologica-produttiva in
cui l’impresa opera. In questo modo l’azienda amplia la propria base clienti e riduce la concorrenza.
Unificazione dell’Italia
L’Italia era ben lontana dall’avere un sistema economico omogeneo e integrato. Presentava:
Alla vigilia dell’unificazione, Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto disponevano del 30% della
popolazione e del 75% del Reddito Nazionale della Penisola.
Le stesse regioni disponevano del 50% del patrimonio bovino e di produzione lorda pro-capite superiore
del 30% rispetto alle regioni meridionali.
Il 90% della produzione serica e il 67% di quella laniera del paese erano concentrati nella regioni
settentrionali.
Nel decennio del 1850, i cotonifici dell’Alto Milanese e del Piemonte superavano i 350 mila fusi
complessivi, contro i 70 mila della sola Campania.
La produzione di ferro greggio e lavorato nel Mezzogiorno era inferiore di dieci volte rispetto a quella
settentrionale.
Florida agricoltura di tipo intensivo nella pianura e nella collina piemontese e lombarda: si era sviluppata
già negli anni della Restaurazione una dinamica degli investimenti e di migliorie con rendimenti elevati.
Diffusione della coltivazione del gelso a cui era connesso il baco da seta, che costituiva uno straordinario
collante delle economie contadine, commerciali e manifatturiere. Le «gallette», come erano chiamati i
bozzoli, permettevano una integrazione cospicua del reddito agricolo.
Altre colture specializzate: barbabietola, vite, riso erano diffuse grazie a un sistema di proprietà
fondiaria variegato, imperniato su possedimenti di piccola e media dimensione, sulla colonìa (nella
fascia collinare), grande affittanza e bracciantato (nella pianura irrigua).
Nei filatoi e torcitoi (fase intermedia della filatura) dei distretti prealpini si profilava una prima
educazione della manodopera ai ritmi di fabbrica.
La seta, greggia o filata, trainava le esportazioni: rappresentava il 45% dell’export del Regno Sardo e il
50% di quello della Lombardia.
produzioni orientate principalmente all’esportazione. Gli olii pugliesi e calabresi erano esportati anche
per scopi industriali (35 mila tonnellate su 70 mila di tutto l’export), in saponifici e manifatture di lana e
cotone di Francia e Inghilterra.
Grandi esportazioni di zolfo dalla Sicilia e di ferro dell’Elba. Durante il periodo pre-unitario, lo
sfruttamento dello zolfo era soggetto a monopolio.
A inizio Ottocento, i filandieri e altri imprenditori del settore tessile (serico, cotoniero e laniero)
riuscirono a incrementare il volume delle loro attività grazie alle crescenti esportazioni e all’innovazione
tecnica, contribuendo a un’accumulazione finanziaria senza precedenti.
Alcuni imprenditori, come i Gavazzi di Lecco, grazie anche a relazioni matrimoniali con i Badoni, arrivano
a investire nei settori della lavorazione del ferro (province di Lecco e della Brianza) e bancario e
creditizio.
Analoga sorte tocca ad alcune famiglie del comasco, come Rubini e Scalini.
A partire dal primo quarto dell’Ottocento, il Lago Maggiore e l’area bergamasca costituirono meta
privilegiata di imprenditori stranieri come i Krumm, Zuppinger, Schoch, Amman e Mylius, in grado di
implementare industrie sul territorio dotate di importanti know-how.
Negli stessi anni, l’alsaziano Georges Henry Falck giunse sul Lago di Como come consulente delle
famiglie Rubini, Scaloni e Badoni, dando vita nel fiorente distretto metalmeccanico lariano a una propria
attività imprenditoriale, perseguita poi dal figlio Enrico e dal nipote Giorgio Enrico.
specializzata.
per la filatura meccanica a tessitura manuale, anch’esso sostenuto dal Governo borbonico (con
l’affidamento di lavoro coatto). Il Cotonificio Egg si sviluppò rapidamente anche grazie all’uso di impianti
moderni (mule-jenny e telai Jacquard), contando nel decennio del 1840 anche su 2.000 operai. Era uno
dei pochi in grado di reggere il confronto con i cotonifici dell’Alto Milanese