Prof. Russo
2018/19
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SOMMARIO
Analisi Macroeconomica 5
Funzioni di Politica Economica 11
Stabilizzazione Macroeconomica 16
Funzioni di Politica Economica: casistica. 24
Approccio moderno e limiti all’azione dei Policy makers. 26
Informazioni 26
Aspettative razionali 29
Credibilità 32
Incoerenza temporale 33
Moral hazard 34
Limiti alla benevolenza 37
Politica fiscale 40
Accumulazione del debito pubblico 44
Insostenibilità del debito pubblico 48
Teorie di accumulazione del debito pubblico 53
Teorie sull’effetto della politica fiscale 56
Modello di Mundell Fleming 64
Critica Neoclassica 67
Equivalenza Ricardiana 68
Estremizzazioni delle posizioni basate sulle aspettative 73
Politica Monetaria 79
Obiettivi delle Banche Centrali 86
Modello Neokeynesiano 95
Dimostrazione del modello Barrow-Gordon 102
Canali di trasmissione della Politica Monetaria 104
Politiche monetarie non convenzionali 110
Politica del tasso di cambio 115
Teorie di determinazione del tasso di cambio 119
Aree monetarie ottimali 126
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Crisi Valutarie 131
La crisi finanziaria del 2007 (pt.1) 136
La crisi finanziaria del 2007 (pt.2) 143
Politica dell’occupazione 148
Modello neoclassico del mercato del lavoro 153
Classificazione della disoccupazione 154
Modello wage-setting price-setting 156
Modello di matching 161
Politiche della domanda di lavoro (pt.1) 168
Politiche della domanda di lavoro (pt.2) 170
Politiche della crescita 175
Politiche della crescita – Modelli esogeni 182
Politiche della crescita – Modelli endogeni 190
Politiche della crescita – New growth theory 199
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Lezione 1 18/09/18
ANALISI MACROECONOMICA
Anzitutto, occorre fare una distinzione fondamentale nell’approccio all’economia:
Questo approccio nasce nel momento in cui muta la concezione dei “policy makers”.
In passato, quest’ultimi erano intesi quali soggetti perfettamente benevolenti: le loro
scelte coincidevano con il benessere della collettività. È stato solo successivamente
che si è compreso come gli incentivi siano in grado di discostare la funzione di utilità
dei policy makers dalla funzione di utilità sociale.
1
«Ogni individuo […] mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti
altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni.» Ricchezza delle nazioni, Adam Smith.
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Ma chi sono, effettivamente, i policy makers? Cosa fanno?
Nell’ambito normativo, occorre compiere una distinzione tra gli obiettivi perseguiti e
gli strumenti utilizzati; come si diceva in precedenza, gli strumenti possono essere
molteplici e produrre effetti diversi. Ecco perché è necessario valutare l’opportunità
di ciascuno di essi, al fine di individuare il migliore.
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Si tratta di barriere volte a garantire la qualità anche se, con esse, si corre il rischio di creare scarsa competitività e
causare un rialzo dei prezzi, con conseguente perdita di benessere del consumatore.
3
L’intervento può essere minimo o, al contrario, molto esteso. In Italia, una volta, esisteva anche il Ministero a
partecipazioni statali.
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Obiettivi:
- Occupazione
- Inflazione
- Riduzione del debito pubblico
- …
Strumenti:
- Tasso di interesse
- Tassazione
- Spesa pubblica
- Variazioni di credito
- …
Inflazione
Tasso di
disoccupazione
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L’aumento del tasso di interesse porta un minor numero di imprenditore a richiedere
un prestito per poi investire. Se gli investimenti si riducono, si riduce la domanda
aggregata, l’output e, quindi, l’inflazione: si raggiunge, così, l’obiettivo.
D’altro canto, però, l’aumento del tasso di interesse, data la riduzione dell’output,
conduce anche ad un aumento del livello di disoccupazione.
In conclusione, ad ogni strumento sono sempre connessi vantaggi e svantaggi, ecco
perché diviene difficile l’individuazione della politica ottimale.
Produttività
Occupazione
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Lezione 2 20/09/18
Considerata la serie storica di una variabile macroeconomica (ad esempio, del PIL),
essa può essere decomposta in due pezzi:
FLUTTUAZIONI
TREND
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La funzione allocativa poggia su interventi di politica economica riguardanti la
tendenza di lungo periodo: una politica che migliore l’efficienza allocativa è una
politica che migliora il trend di lungo periodo. Al contrario, le politiche di
stabilizzazione mirano alla riduzione delle fluttuazioni rispetto al trend di lungo
periodo.
Ora, affrontiamo la questione relativa alla decomposizione da un punto di vista
formale. Consideriamo la seguente funzione di produzione:
𝑌𝑡 = 𝐹𝑡 (𝐾𝑡 , 𝑁𝑡 )
Breve periodo.
̅𝑡 .
Dato il breve periodo, consideriamo il capitale fisso: 𝐾
̅𝑡 = (1 − 𝜇̅ 𝑡 )𝐿̅𝑡
𝑁
𝐿̅𝑡 : Forza lavoro → quante persone potrebbero lavorare;
𝜇̅ 𝑡 : Tasso di disoccupazione di equilibrio (o di piena occupazione) → Tutte le persone
che vogliono lavorare, lavorano. Dunque, il tasso di disoccupazione d’equilibrio è
dato dalla somma dei disoccupati volontari e frizionali. I disoccupati frizionali si
trovano tra un impiego e l’altro, momentaneamente disoccupati ma già in cerca di un
nuovo lavoro. Vi è, infatti, un tempo necessario per trovare una nuova occupazione.
𝑁̅𝑡 : Livello di occupazione potenziale → Data nel breve periodo la struttura e il
funzionamento del mercato del lavoro, non è possibile occupare più persone del
suddetto livello. Nel lungo periodo, il livello è, chiaramente, endogeno poiché può
sempre mutare il modo in cui funziona il mercato del lavoro.
A questo punto, possiamo definire l’output potenziale ovvero quanto è possibile
produrre nell’economia, dato il funzionamento del mercato del lavoro e il livello di
capitale:
𝑌̅𝑡 = 𝐹𝑡 (𝐾
̅𝑡 ; 𝑁
̅𝑡 )
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A partire dall’output potenziale, si definisce l’output gap:
𝑌𝑡 − 𝑌̅𝑡
𝑂𝑢𝑡𝑝𝑢𝑡 𝐺𝑎𝑝 =
𝑌̅𝑡
L’output gap è la differenza percentuale tra la produzione attuale e la produzione
potenziale. Gli interventi di stabilizzazione mirano a ridurre l’output gap mentre gli
interventi allocativi migliorano l’output potenziale.
L’output gap può essere positivo o negativo:
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Lezione 3 25/09/18
STABILIZZAZIONE MACROECONOMICA
Come è possibile giustificare l’intervento pubblico volto alla stabilizzazione
macroeconomica? Rigidità nominali.
Per comprenderlo, occorre tornare all’idea keynesiana originaria circa l’opportunità
delle politiche di stabilizzazione. Gli elementi teorici sono sostanzialmente due:
Supponendo che non vi sia capitale, le decisioni sul livello conveniente di produzione
𝜔
per l’impresa dipendono esclusivamente dal salario reale ( ), unico costo
𝑃
dell’impresa. Se i salari nominali (𝜔) sono rigidi (non si aggiustano all’aumentare dei
prezzi), un aumento del livello dei prezzi (𝑃) determina una riduzione del salario
reale ovvero dell’unico costo sostenuto dall’impresa in base al quale, come si è detto,
si decide il livello di produzione. In definitiva, diviene più conveniente produrre e,
dunque, l’impresa produce di più.
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Keynes parla, a tal proposito, di “animal spirits” per identificare un complesso di emozioni istintive che guidano il
comportamento umano ed imprenditoriale. Keynes fu il primo a comprendere l’importanza, nelle decisioni economiche,
degli aspetti umorali della mente umana.
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Perché i salari nominali sono rigidi e non si aggiustano istantaneamente?
Keynes considerava questa rigidità come un dato di fatto. Tuttavia, analisi successive
hanno fornito diverse motivazioni, molte delle quali hanno a che fare con i salari
multiperiodali. Di fatti, i contratti di lavoro sono firmati per periodi temporali medio
lunghi e, spesso, accade che i salari vengano fissati per l’intero periodo del contratto.
Supponiamo che, oggi, un’impresa assuma nuova forza lavoro con un contratto di
cinque anni che stabilisce un salario predeterminato per il medesimo periodo.
Supponiamo, poi, che l’anno successivo alle assunzioni, si verifichi una recessione
dovuta ad un’ondata di pessimismo. Tecnicamente, l’impresa avrebbe due possibilità
per cercare di ripristinare l’equilibrio: aggiustare i prezzi o aggiustare le quantità.
Aggiustare dal lato dei prezzi equivarrebbe a ridurre i salari nominali in maniera tale
da poter ridurre i prezzi e produrre esattamente la stessa quantità antecedente la
recessione. Tuttavia, questa possibilità è preclusa all’impresa data la rigidità dei
salari. Non resta quindi che ricorrere all’aggiustamento delle quantità: l’impresa non
riduce i prezzi ma la quantità offerta. L’aggiustamento delle quantità rappresenta la
peculiarità dell’analisi keynesiana.
P
S
𝐷1
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Una deviazione dal livello naturale di produzione ed occupazione, anche per brevi periodi, può condurre a
conseguenze molto gravi. Basti pensare al fenomeno dell’isteresi della disoccupazione (del quale si parlerà più avanti):
più una persona è disoccupata, più diventa difficile trovare un’occupazione; più tende, quindi, a restare disoccupata.
Ecco perché, in queste circostanze, è consentito e giustificato l’intervento statale.
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L’intervento keynesiano classico, in questa circostanza, è dato da una politica della
domanda aggregata: politica monetaria o fiscale espansiva.
Supponiamo ora che prezzi e salari siano perfettamente flessibili. Idea neoclassica:
l’economia opera in corrispondenza del tasso naturale di disoccupazione, dunque
produce sempre al suo livello potenziale. In questo caso, se si verifica uno shock
negativo della domanda, l’aggiustamento non avviene dal lato della quantità ma dei
prezzi: si abbassano i salari e, quindi, i prezzi e l’economia resta al suo livello
naturale. Stavolta, quindi, non sono giustificati interventi pubblici ai fini della
stabilizzazione. Di fatti, se i prezzi sono flessibili, variazioni delle domanda
aggregata, e cioè politiche espansive, non hanno effetti reali ma solo nominali. In
altre parole l’unico effetto che si genera è un aumento dei prezzi unito,
conseguentemente, ad un aumento dell’inflazione. Dunque, le politiche keynesiane di
espansione sono opportune solo in un contesto rigido e non anche flessibile.
𝐷1
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Valutazione delle politiche economiche rispetto alle tre funzioni.
• Funzione allocativa.
Si utilizza il criterio dell’utilitarismo: per valutare gli effetti allocativi, si guarda alle
utilità individuali. Si valuta, cioè, l’effetto degli interventi allocativi sulle utilità degli
individui. Le utilità individuali, però, devono essere aggregate in due dimensioni:
- Dimensione spaziale: occorre aggregare tutte le utilità individuali in un’unica
utilità collettiva.
- Dimensione temporale: occorre aggregare le utilità presenti e future.
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A tal proposito entrerebbe in gioco una forma di solidarietà intergenerazionale.
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miglioramento di utilità nel lungo periodo perché l’apertura del commercio con
l’estero, crea maggiori opportunità.
È un criterio molto diverso da quello paretiano. Di fatti, è possibile che una politica
peggiori notevolmente la situazione di un individuo ma migliori notevolmente la
situazione di un altro soggetto.
Criterio di Rauls: la funzione di utilità sociale coincide con l’utilità più bassa. La
società si identifica nella persona che si trova nella situazione peggiore.
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La funzione di utilità sociale è anche detta funzione benthamiana da Jeremy Bentham, uno dei primissimi esponenti
dell’utilitarismo.
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occorre decidere se utilizzare il tasso di sconto e, in caso affermativo, fissare il tasso.
Poi, occorre scegliere uno tra i numerosi criteri di aggregazione spaziale. Ciascun
economista potrebbe compiere scelte differenti nel determinare la funzione di utilità
sociale e differenti funzioni di utilità sociale conducono a differenti valutazioni delle
politiche economiche.
“If you put two economists in a room, you get two opinions, unless one of them is
Lord Keynes, in which case you get three opinions.”
- Winston Churchill
• Funzione di stabilizzazione.
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Generalmente, per valutare gli effetti delle politiche di stabilizzazione, si
utilizzano le cosiddette “loss function” (funzioni di perdita):
• Funzione di redistribuzione.
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Lezione 4 26/09/18
1. Effetti di stabilizzazione:
Assumendo prezzi rigidi nel breve periodo, si verifica un aumento della domanda
aggregata e del reddito.
2. Effetti allocativi:
Se vi è una minore tassazione sul reddito (reddito da lavoro), è più conveniente
lavorare per cui aumenta l’offerta di lavoro.
3. Effetti redistributivi:
Vi è un aumento della disuguaglianza: aumenta il reddito di chi lavora; al contrario i
disoccupati avranno un reddito più basso.
1. Effetti di stabilizzazione:
Anche in questo caso, si verifica un aumento della domanda aggregata e del reddito.
2. Effetti allocativi:
Si riduce l’offerta di lavoro. L’aumento dei social transfers, infatti, può generare la
cosiddetta “trappola degli incentivi”: in presenza di un sussidio particolarmente
generoso nonché illimitato da un punto di vista temporale, gli individui accetteranno
solo lavori con un salario sufficientemente più elevato rispetto al sussidio. Questo,
però, conduce ad un’inefficienza dinamica poiché i lavoratori, non lavorando,
perdono le proprie abilità e diventano sempre meno occupabili per il futuro. Si parla,
a tal proposito, di isteresi della disoccupazione: più una persona resta disoccupata,
più difficile diventa trovare lavoro; e ciò non solo per una perdita di competenze ma
anche per il cosiddetto effetto segnale: la lunga disoccupazione viene, ovviamente,
percepita negativamente dal mercato del lavoro. Un datore di lavoro non può sapere
se il disoccupato è improduttivo o, semplicemente, è stato sfortunato nel non trovare
un’occupazione. Nel dubbio, difficilmente lo assumerà.
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3. Effetti redistributivi:
Vi è, chiaramente, una riduzione della disuguaglianza poiché aumenta il reddito di
chi ha reddito zero.
• Riduzione inflazione
1. Effetti di stabilizzazione:
Se l’inflazione supera il livello obiettivo, una sua riduzione determina, per
definizione, effetti di stabilizzazione nell’economia.
2. Effetti allocativi:
L’effetto allocativo è ridotto. Un’inflazione elevata è associata ad una variabilità
elevata della stessa ed una forte variabilità genera incertezza, sfavorendo gli
investimenti.
3. Effetti redistributivi:
Se l’inflazione aumenta, si riduce il reddito reale delle persone. Al contrario, una
riduzione dell’inflazione porta ad un aumento del reddito reale. A trarre guadagni da
una maggiore inflazione sono anche i debitori: l’inflazione riduce il valore reale del
debito. Chi detiene portafogli diversificati di attività finanziarie, sarà più protetto
rispetto all’inflazione.
1. Effetti allocativi:
Si ha un aumento della produttività. Nel momento in cui ci si apre ai mercati esteri, ci
si espone alla relativa concorrenza. Di conseguenza, nel mercato restano solo le
imprese più tecnologiche, sostituendosi a quelle tradizionali che, incapaci di
fronteggiare la concorrenza, falliscono.
2. Effetti redistributivi:
A subire l’apertura del commercio con l’estero sono principalmente gli unskills
worker ovvero i primi lavoratori ad essere espulsi dal mercato a causa della maggiore
concorrenza. L’effetto redistributivo, dunque, è a favore di lavoratori con elevate
competenze, che operano in settori ad alta produttività. Si genera, così, un aumento
del divario salariale tra lavoratori privi di competenze particolari e lavoratori
altamente qualificati in settori tecnologici ad alta produttività.
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APPROCCIO MODERNO E LIMITI ALL’AZIONE DEI POLICY
MAKERS.
Nel corso del tempo, è mutata la concezione del “policy maker”, passando da un
approccio tradizionale ad un approccio moderno.
• Informazioni
• Aspettative razionali
• Credibilità
• Limiti alla benevolenza
INFORMAZIONI
Informazione incompleta
Informazione asimmetrica
Model uncertainty
Rischio
o Informazione asimmetrica.
o Model uncertainty
o Rischio
I gas serra generano il surriscaldamento globale e ciò può avere conseguenze globali
molto negative. Supponiamo, però, che non vi siano informazioni incontrovertibili
circa il rapporto di causa-effetto tra i gas serra e il surriscaldamento. In questo caso,
diviene difficile capire cosa fare. Ridurre le emissioni significa ridurre la produzione
e causare una recessione per cui, in mancanza di certezze, potrebbe essere opportuno
applicare il principio precauzionale e attendere. Il problema è che, laddove vi sia
effettivamente una forte relazione causale, attendere equivarrebbe a perdere tempo
utile per l’attuazione di una politica di risanamento, senza contare che più si aspetta,
più i costi per poterla attuare aumentano.
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Questo accade anche perché molti modelli, per convenienza analitica, si basano su distribuzioni normali le quali,
tipicamente, attribuiscono bassissime probabilità ad eventi estremi. Bisognerebbe utilizzare distribuzioni statistiche che
attribuiscano maggiori probabilità a rischi estremi.
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È esattamente ciò che è accaduto con la crisi finanziaria del 2007.
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Lezione 5 02/10/18
ASPETTATIVE RAZIONALI
𝑒
𝑌𝑡,𝑡+1 : valore atteso dell’output gap (Y) nel periodo t+1, formulato al tempo t.
𝑒
𝑌𝑡,𝑡+1 = 𝐸[𝑌𝑡+1 ⁄ɸ𝑡 : Aspettative razionali
𝑒
𝑌𝑡,𝑡+1 = 𝐹(𝑌𝑡 , 𝑌𝑡−1, … , 𝑌𝑡−𝑛 , 𝑋𝑡 , 𝑋𝑡−1 , … , 𝑋𝑡−𝑛 ): Aspettative adattive
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conoscere l’errore di previsione, egli avrebbe usato quelle stesse informazioni nella
formulazione della propria aspettativa.
𝑒
𝑌𝑡+1 − 𝑌𝑡,𝑡+1 : Forecast error
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Non è necessario che conoscano realmente e perfettamente il funzionamento dell’economia ma devono comportarsi
come se lo conoscessero.
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aspettative inflazionistiche future dei sindacati. In questo contesto si inserisce anche
la critica di Lucas.
Critica di Lucas.
In generale per fare una valutazione degli effetti di una politica economica si prende
un modello e si stima il modello di riferimento, cioè i parametri in base dei dati a
disposizione per poi farsi una domanda di questo tipo: “Supponiamo che la banca
centrale cambi il tasso d’interesse dell’ 1%, di quanto cambierà la disoccupazione e
l’inflazione, in base al modello considerato?”. Secondo la critica di Lucas questo tipo
di ragionamento è sbagliato, soprattutto per variazioni sostanziali di politica
economica come ad esempio cambi di regime. Questo perché utilizzare un modello
stimato con dati passati vuol dire assumere che l’intervento di politica economica non
cambi il modo in cui l’economia funziona. E’ possibile che i parametri del modello
siano invarianti rispetto alla scelta del policy maker. E’ possibile che rispetto a
variazioni sostanziali di politica economica, i parametri stessi del modello che si
utilizzano per la valutazione cambino. Allora se cambiano i parametri stessi, vuol dire
che la valutazione è sbagliata. Quindi, il funzionamento dell’economia non è
invariante rispetto a scelte di politica economiche. Ad esempio, consideriamo una
riduzione del tasso d’interesse della banca centrale al fine di stimolare gli
investimenti. Possiamo usare un modello macroeconomica molto sofisticato e
valutare cosa succederà se la banca adopera questa politica. Per piccole variazioni
degli strumenti di politica economica la valutazione con il modello basato su dati
passati si può fare. E’ ragionevole assumere che se la riduzione del tasso è molto
piccola, la struttura dell’economia non cambi drasticamente. Per grandi variazioni del
tasso d’interesse il modo in cui funziona l’economia ora è piuttosto diverso rispetto a
prima. Dunque usare il modello considerando piccole variazioni del tasso è scorretto
se si intende utilizzare lo stesso modello per valutare l’azione di politica economica
consistente in una grande variazione del tasso d’interesse. Questo perché il
funzionamento delle economie è diverso nei due casi sopra indicati.
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• CREDIBILITÀ
Supponiamo che la banca centrale annunci una politica per ridurre l’inflazione.
Dunque si annuncia un aumento del tasso d’interesse.
Gli annunci influenzano le aspettative. Gli individui incorporano l’annuncio nella
misura in cui credono all’annuncio stesso. Se gli individui credono alla disinflazione
futura, oggi cominceranno a chiedere riduzioni salariali per cui i prezzi non
cresceranno. Gli effetti della politica sono evidenti da subito; è quindi possibile che ci
sia disinflazione già solo per effetto dell’annuncio. Inoltre non si è indotta nessuna
recessione: si è raggiunto l’obiettivo a costo zero. La comunicazione gioca un ruolo
importante proprio per il concetto della razionalità. Tuttavia, ci sono ragioni per
credere che le banche centrali non faranno mai quello che hanno annunciato.
Ipotizziamo che la Banca centrale abbia due obiettivi: mantenere l’inflazione stabile e
mantenere l’output gap a zero. La politica monetaria non ha effetti solo
sull’inflazione ma, nel breve periodo, se i prezzi sono rigidi, ha anche effetti reali.
Ora, la Banca centrale trovandosi di fronte ad una situazione di inflazione elevata,
annuncia una disinflazione sul futuro. Gli agenti credono perfettamente a questo
annuncio per cui si raggiunge immediatamente la disinflazione per effetto del solo
annuncio. A questo punto, avendo già raggiunto l’obiettivo disinflazionistico ed
essendo cambiato il modo in cui funziona l’economia, per la BC è conveniente
ridurre il tasso d’interesse in modo tale da raggiungere anche il suo secondo
obiettivo: la riduzione dell’output gap. È chiaro, però, che questo collide con la
politica economica annunciata inizialmente. Di conseguenza, quando la banca si
troverà ad implementare la stessa politica in anni successivi, non verrà più preso sul
serio e, per operare una politica di disinflazione, dovrà realmente indurre una
recessione.
Più una banca centrale è credibile, più la politica da essa adottata è incisiva ed
economica (costerà meno perché non ci sarà bisogno di indurre una recessione ma
l’obiettivo sarà raggiunto a costo zero). Questa è una conseguenza delle aspettative
razionali. Le aspettative sono parte del modo in cui l’economia funziona e la capacità
di influenzarle è una delle abilità che le autorità di politica economica devono
sviluppare. La credibilità si ottiene con la reputazione (facendo ciò che si annuncia)
e con l’indipendenza → Scindendo l’obiettivo dell’inflazione stabile, in capo alla
Banca centrale, dall’obiettivo dell’output gap, in capo ai politici eletti, e rendendo la
BC indipendente da quest’ultimi, la BC non avrà la tentazione di fare qualcosa di
diverso da quanto annunciato. Per questo motivo, essa deve essere indipendente e
garante della stabilità monetaria.
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• INCOERENZA TEMPORALE. (time inconsistency)
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Lezione 6 03/10/18
MORAL HAZARD.
Ad esempio, facendo partecipare la banca ai costi del salvataggio così come previsto
dalla norma del bail in: parte della ricapitalizzazione avviene a spese degli
stakeholders bancari (azionisti, obbligazionisti, depositanti). Questo genera,
chiaramente, un incentivo ad essere più prudenti.
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Esempio 1: Russia 1997.
Supponiamo che lo Stato annunci ex-ante che non vi sarà alcun risarcimento in caso
di terremoto. Nonostante ciò, è probabile che quando questo si verificherà, lo Stato
deciderà di fare ex-post qualcosa di diverso da ciò che aveva annunciato; egli, molto
probabilmente, dovrà ricostruire le case andate distrutte poiché i costi sociali, in caso
contrario, sarebbero troppo elevati.
Supponiamo che il governo voglia aumentare gli investimenti, motivo per cui
annuncia ex-ante una detassazione di capitale, così da invogliare le imprese ad
investire. Una volta acquistati nuovi macchinari da parte dell’imprese, si ottiene
l’effetto sperato: un aumento degli investimenti. A questo punto, il Governo potrebbe
decidere di cambiare rotta e adottare la politica ottimale ex-post: tassare il capitale.
L’aspettativa di un simile comportamento opportunistico da parte del Governo, però,
può determinare l’inefficacia dell’incentivo concesso: in altre parole, le imprese, non
fidandosi dell’annuncio, non approfittano della detassazione.
La radice del problema di incoerenza risiede nella discrezionalità dei policy makers:
un’autorità economica può cambiare il proprio atteggiamento in qualsiasi momento.
La soluzione, dunque, potrebbe essere quella di acquisire una reputazione ovvero
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diventare credibile, escludendo comportamenti discrezionali. La discrezionalità può
essere limitata mediante l’imposizione di regole fisse: ad esempio, imponendo alle
banche centrali un obiettivo fisso in termini di inflazione. Ciò può aumentare la
credibilità della banca, riducendo i costi di disinflazione. Se si limita la
discrezionalità, si elimina il problema dell’incoerenza temporale. Lo stesso discorso
può essere fatto per quanto concerne il moral hazard: è necessario limitare la
discrezionalità dei policy makers. La stessa bail in rappresenta una limitazione alla
discrezionalità dello Stato nelle operazioni di salvataggio bancario.
Quanto detto finora apre un dibattito fondamentale: discrezionalità o regole
fisse?
Quest’ultime, come visto, sono utili per risolvere problemi di moral hazard o time
inconsistency. D’altra parte, però, esse limitano la possibilità di azione dei policy
makers in presenza di eventi negativi ed inaspettati. La discrezionalità, invece,
favorisce la velocità di azione in caso di circostanze eccezionali.
Strumento: 𝑋1 , 𝑋2
𝑌1 = 𝐺[𝑋1 , 𝐸 (𝑋2 )] → Il target nel primo periodo dipende da ciò che fanno le autorità
di politica economica nel primo periodo e dalle aspettative degli agenti circa il
comportamento delle medesime autorità nel secondo periodo.
𝑌2 = 𝐺(𝑋1 , 𝑋2 ) → Il target nel secondo periodo dipende da ciò che hanno fatto le
autorità nel primo periodo e da ciò che stanno facendo nel secondo periodo.
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solo il target di primo periodo (𝑌1 ) ma anche cosa annunciare relativamente
all’obiettivo futuro (𝑌2 ).
𝜕𝑈 𝜕𝑈 𝜕𝑌2 𝜕𝑈 𝜕𝑌1
F.O.C: + + =0
𝜕𝑋2 𝜕𝑌2 𝜕𝑋2 𝜕𝑌1 𝜕𝑋2
Ci sono solo due casi in cui ciò che è ottimale fare ex post coincide con ciò che è
ottimale fare ex ante per cui le due funzioni di utilità coincidono:
𝜕𝑈
1. = 0 → Il che equivale a dire che l’obiettivo nel primo periodo non
𝜕𝑌1
influenza in alcun modo la funzione di utilità del policy maker. Ovviamente,
una cosa del genere non ha nessun senso, basti pensare che 𝑌1 è, per
definizione, un obiettivo del policy maker.
𝜕𝑌1
2. = 0 → Il che vorrebbe dire che l’aspettativa su ciò che il policy maker farà
𝜕𝑋2
in futuro non influenza in alcun modo gli agenti oggi ma se ci sono aspettative
razionali, ciò non può essere vero. L’aspettativa circa quello che farà l’autorità
di politica economica in futuro influenza le decisioni che vengono prese oggi.
Se ci sono aspettative razionali, in generale, c’è sempre una differenza tra la
politica ottimale implementata ex post e la politica ottimale ex ante.
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Ad esempio, offrendo denaro. Essi offrono soldi per finanziare campagne
elettorali e, in generale, il funzionamento di un partito politico. In questo
modo, acquisiscono la loro influenza poiché i policy makers saranno indirizzati
a soddisfare, anzitutto, i gruppi che li hanno finanziati piuttosto che la
collettività. Un altro esempio tipico è dato dalle revolving doors (porte
scorrevoli): regolamentazione di monopoli naturali. Accade spesso che i
dipendenti degli uffici di regolamentazione vengano assunti dalle imprese
regolamentate.
Ancora, altro esempio: Istituzioni finanziarie o anche banche d’affari possono
offrire posizioni rilevanti a persone che ricoprono posizioni di governo (ad
esempio, al ministro dell’economia) per quando il loro mandato sarà scaduto.
Ciò, ovviamente, consente alle suddette istituzioni di acquisire una certa
influenza.
2. Ai politici interessa non solo il benessere sociale ma anche il proprio
benessere. Solitamente vengono prese decisioni che massimizzano la
probabilità di essere rieletti. Ad esempio, si aumentano i sussidi, si
diminuiscono le tasse subito prima delle elezioni o, ancora, si ridistribuiscono
le risorse: tutto questo al fine di acquisire maggiori consensi, sebbene, nel
lungo periodo, politiche del genere non faranno che incrementare il deficit.
3. Esistono partiti di destra e di sinistra. Se c’è coalizione tra diversi partiti, è
possibile che venga implementata la politica sorretta dalla minoranza piuttosto
che dalla maggioranza. Ciò avviene quando la minoranza è la componente che
permette di formare la coalizione, motivo per cui ha il potere di dettare le
proprie regole.
Un ulteriore esempio delle distorsioni che possono essere generate dal sistema
democratico è dato dal teorema dell’elettore mediano. Supponiamo che,
prima delle elezioni, vi siano due partiti A e B con differenti opinioni circa la
tassazione: il partito A sostiene una tassazione nulla (niente imu) mentre il
partito B sostiene la tassazione sulla prima casa al 50%. Supponiamo che la
distribuzione delle preferenze degli elettori sia uniforme per cui il numero di
persone che ha un interesse per le tasse basse è identico al numero di persone
che preferiscono, invece, tasse elevate.
25%
A: 0% B: 50%
38
Se i due partiti restano nelle loro posizioni estreme, il partito A guadagnerà i
consensi degli elettori a lui più vicini ovvero coloro che sostengono tasse
inferiori al 25%; lo stesso avverrà per il partito B che guadagnerà tutti i
consensi di coloro che sostengono tasse superiori al 25%.
Tuttavia, per il partito A, è conveniente spostarsi verso destra al fine di
ottenere maggiori consensi. Ad esempio, prevedendo tasse non più allo 0% ma
al 5%, sarà in grado di ottenere il 5% in più di consensi. Ma lo stesso farà,
ovviamente, anche il partito B. Se entrambi i partiti si spostano verso il centro
per guadagnare consensi, alla fine, finiranno entrambi esattamente al centro.
➔ Teorema dell’elettore mediano: entrambi i partiti hanno interesse a
proporre la piattaforma elettorale che corrisponde alle preferenze
dell’elettore mediano.
39
Lezione 7 04/10/18
POLITICA FISCALE
La politica fiscale attiene alla tassazione e alla spesa pubblica. Si tratta, dunque, di
decidere quanto prelevare dal pubblico, come allocare le somme ottenute dalla
tassazione ma, anche, di gestire l’eventuale debito pubblico derivante dalle
operazioni di politica fiscale. Come detto, le operazioni sono essenzialmente due:
tassazione e spesa pubblica, prelievo ed impiego. Il punto è che, in ciascun esercizio,
i due elementi potrebbero non coincidere. In particolare, si ha un surplus di bilancio
laddove le entrate (derivanti dalle tasse) superino gli impieghi (in spesa pubblica). Si
parla, invece, di deficit di bilancio nel caso in cui le uscite siano superiori alle entrate
in un determinato esercizio.
40
comunque un effetto positivo: per l’appunto, la riduzione del debito. Ciò
costituisce un ulteriore incentivo per il politico eletto a fare pressione sulla BC per
la realizzazione di politiche espansive, suscettibili di aumentare l’inflazione e,
così, di ridurre il valore del debito.
Tutto ciò chiarisce l’importanza di avere una BC indipendente.
I deficit accumulati nel tempo costituiscono il debito pubblico dello Stato. Più
quest’ultimo si indebita, più aumenta il rischio di default e, quindi, i tassi di interesse
da pagare sui prestiti e, quindi, ancora, il debito pubblico, generando la cosiddetta
“spirale del debito pubblico”.
1. Rolling over: emissione di nuovi titoli per ripagare quelli in scadenza. Il rolling
over viene compiuto continuamente dagli Stati poiché vi sono, continuamente,
titoli in scadenza che costringono gli Stati a rivolgersi al mercato per rinnovare i
prestiti. Ovviamente, i prestiti saranno rinnovati alle condizioni vigenti al
momento di emissione dei nuovi titoli (ad esempio, le condizioni potrebbero
cambiare laddove muti il rischio di default del Paese).
2. Nuove tassazione: imporre nuove tasse.
Esistono diverse misure del deficit. Un concetto molto importante è quello di deficit
primario (anche detto saldo primario) nel quale si escludono le uscite dettate dal
41
pagamento di interessi sul debito pubblico. Il deficit primario è importante perché ci
dà un’idea dell’orientamento corrente della politica fiscale poiché gli interessi che si
pagano dipendono da scelte passate. Altra misura interessante per valutare
l’andamento della politica fiscale è il deficit strutturale ovvero il deficit corretto per
il ciclo economico. Perché è necessario correggere il deficit in relazione al ciclo
economico? Consideriamo, ad esempio, la recessione: si riduce la produzione e,
quindi, i redditi; se vi è un’aliquota fissa di tassazione sui redditi, si riducono le
entrate fiscali. D’altra parte, vi è un aumento della disoccupazione, dei sussidi e, in
generale, delle spese sociali. Questi processi rappresentano stabilizzatori automatici
e fanno si che, indipendentemente dalle scelte di politica economica, vi sia un deficit
più elevato in recessione o, al contrario, più basso in una fase di espansione. Quindi,
correggere il deficit dall’andamento ciclico vuol dire avere una visione più chiara di
ciò che il Governo ha deciso di fare, cioè di quello che non dipende dalla posizione
del ciclo economico ma dalle scelte discrezionali del Governo.
Come si corregge il deficit per il ciclo economico?
𝑠 ∗ = 𝑠 − 𝜀(𝑦 − 𝑦̅)
Con:
𝑠 ∗: saldo strutturale
𝑠: saldi totale
𝜀: correzione
(𝑦 − 𝑦̅): output gap
*Dimostrazione*
42
43
Lezione 8 09/10/2018
𝑏𝑡 = (1 + 𝑅𝑡 − 𝑔𝑡 )𝑏𝑡−1 + 𝑑𝑡
Il debito pubblico dipende dal debito dell’anno precedente in funzione del tasso di
interesse reale e del tasso di crescita e dal deficit corrente. N.B. La funzione è scritta
in termini reali: 𝑏𝑡 rappresenta il rapporto debito/Pil al tempo t così come 𝑏𝑡−1
rappresenta il rapporto debito Pil al tempo t-1.
Lo Stato si ritiene insolvente quando non è in grado di far fronte ai propri debiti, o
meglio quando decide di non far fronte ai propri debiti. L’insolvenza sovrana, infatti,
si differenzia da quella privata: se quest’ultima si concretizza nell’impossibilità
effettiva di pagare i debiti, lo stesso non si può dire per lo Stato che, in teoria, è
sempre in grado di pagare i debiti poiché, in qualsiasi momento, può rivolgersi al
mercato. Proprio per questo, appare più corretto parlare di decisione dello Stato di
non pagare. Il debito pubblico si definisce, invece, insostenibile quando si ritiene
che, a breve, lo Stato sarà insolvente.
Ci sono due modi per cercare di rendere il debito sostenibile:
Doom Loop (o diabolik loop): relazione tra rischio bancario e rischio sovrano
(rischio di credito del Paese). L’idea è che molte banche commerciali sono esposte al
debito pubblico del Paese in cui operano il che, per l’appunto, determina il doom
loop. Se lo Stato dichiara default, le banche che hanno nel proprio portafoglio titoli
dello Stato, hanno delle perdite e ciò può generare una crisi bancaria. La crisi
bancaria, a sua volta, può generare una crisi del debito pubblico. Di fatti, il garante
della stabilità delle banche è proprio lo Stato. Se le banche hanno una crisi di
liquidità, si presume che lo Stato intervenga con operazioni di salvataggio,
aumentando, così, il proprio debito → ecco che la crisi bancaria si traduce in aumento
del rischio sovrano sicché gli investitori acquisteranno solo a prezzi più bassi e
interessi più elevati.11
Per questo si parla di doom loop: più cresce il rischio di insolvenza delle banche, più
crescono i tassi d’interesse pagati dal Paese; più crescono i tassi d’interesse pagati dal
Paese, più i titoli del debito pubblico si deprezzano (il prezzo di un titolo determina
l’interesse. Ad esempio se si acquista un titolo che sarà restituito dopo 10 anni, la
differenza tra il prezzo d’acquisto e il valore di rimborso diviso per il periodo è il
tasso d’interesse che si ottiene. Dunque, più basso è il prezzo, più alto è il tasso
d’interesse); se i titoli si deprezzano, le banche devono registrare una perdita,
aumentando il rischio bancario che, a sua volta, fa aumentare il rischio sovrano.
Limitare gli acquisti delle banche ai soli titoli pochi rischiosi non sembrerebbe essere
una soluzione poiché, nel momento in cui le agenzie attribuiscono un rating basso ai
titoli sovrani, le banche non possono più acquistarli. Così, crescono i tassi di interesse
ed aumenta il rischio bancario.
Una soluzione proposta è data dai cosiddetti European safe bond: operazione di
cartolarizzazione del debito. Come avviene la cartolarizzazione? Si prende un pull di
11
È esattamente questo meccanismo che ha fatto si che la crisi finanziaria del 2007 divenisse una crisi di bilancio per
molti Paesi Europei.
46
Paesi, rischiosi e non, con i relativi bonds; i bonds sono messi in un unico fondo dal
quale, poi, si emettono nuovi titoli. Gli ESB da un lato, consentono ai Paesi di
finanziarsi ad un tasso di interesse più basso perché essi sono emessi da Paesi
rischiosi ma anche non rischiosi per cui verranno emesse tranche senior, con rating
alto e poco rischiose, e tranche junior, con rating basso e molto rischiose. D’altra
parte, gli ESB danno più sicurezza a chi li acquista perchè il rischio è condiviso da
più Paesi per cui il titolo non sarebbe minimamente rimborsato solo se tutti i Paesi
dichiarassero default. Ad esempio, se un titolo è per il 50% italiano e per il 50%
spagnolo e l’Italia dichiara default, verrà comunque rimborsata la metà spagnola.
Il rischio degli ESB, quindi, è dato dall’insieme dei rischi-Paese.
Credit default swap (CDS): sono titoli che pagano in caso di default. Ad
esempio, se si acquista un CDS sul debito italiano e l’Italia va in default, il titolo
paga. L’idea è che unitamente ad un titolo si acquisti anche il CDS per cui essi si
configurano come una forma di assicurazione sul default. Ovviamente, in caso di
default, la necessità di pagare anche i CDS peggiora il diabolik loop.
La cosa realmente interessante è che i CDS possono essere acquistati anche “naked”
ovvero senza un titolo di riferimento. Chiaramente, in questo modo, si trasformano da
assicurazione a scommessa sul default di uno Stato. Guardare al prezzo a cui vengono
scambiati questi titoli sul mercato, è un modo per comprendere come il mercato
percepisce il rischio di fallimento di uno Stato.
47
Lezione 9 10/10/18
48
2. Debito estero: quando si parla di debito estero si intendono tutte quelle
passività dovute ad entità (siano essi singoli investitori, o società, o istituti
bancari) al di fuori del territorio nazionale.
Il problema del pagamento si pone specialmente per il debito estero poiché non esiste
un’istituzione internazionale che faccia enforcement sui debiti sovrani ovvero che
faccia rispettare i contratti di credito. Si ritorna, quindi, al punto di partenza: perché
lo Stato ripaga i suoi debiti esteri?
I due approcci non sono molto diversi; sono, in realtà, spiegazioni complementari tra
loro. La spiegazione del perché lo Stato ripaghi i propri debiti è, sicuramente, un mix
dei due approcci.
49
Perché lo Stato ripaga i suoi debiti domestici?
N.B. Lo Stato può anche obbligare le persone a finanziarlo, imponendo come unico o
principale strumento finanziario i titoli del debito pubblico (repressione finanziaria).
Si è fatta una distinzione tra debito interno e debito estero. Un’altra distinzione
importante riguarda, invece, la scadenza del debito: molti Stati si indebitano a breve
scadenza (short-term) poiché è più facile acquisire una reputazione rispetto a debiti a
lunga scadenza (long-term). Inoltre i debiti a breve scadenza incentivano una politica
fiscale prudente perché lo Stato si trova continuamente a rinnovare i prestiti (roll-
over) ovvero esposto al giudizio dei mercati. La politica prudente, infatti, riduce il
costo dell’indebitamento e favorisce una buona reputazione.
50
Modello di sostenibilità del debito pubblico.
𝑏𝑡 = (1 + 𝑅𝑡 − 𝑔𝑡 )𝑏𝑡−1 + 𝑑𝑡
Possiamo, quindi, determinare il deficit massimo che può essere accumulato, oggi,
dallo Stato per mantenere costante il rapporto deficit/Pil:
𝑑 = (𝑔 − 𝑅 )𝑏 → In termini reali.
𝑑 = (𝑛 − 𝑖)𝑏 → 𝑑 + 𝑖𝑏 ≅ 𝑛𝑏 → In termini nominali.
Una spesa in deficit più elevata aumenterebbe il debito rendendolo meno sostenibile.
Vi è anche un modo alternativo per definire la sostenibilità del debito pubblico:
pareggio di bilancio in un certo periodo futuro. Si tratta, quindi, di una definizione
intertemporale: il valore atteso delle entrate del governo deve essere tale da coprire il
debito attuale più il valore atteso di tutte le spese future. Questa definizione ci
permette di calcolare quella che Blanchard definisce aliquota fiscale sostenibile la
quale consente, quindi, di valutare la sostenibilità delle politiche fiscali.
𝑑𝑏
= (𝑅 − 𝑔)𝑏 + 𝑑 → derivata del debito rispetto al tempo: come cambia il debito
𝑑𝑡
nel tempo.
𝑡
𝑏𝑡 = 𝑏0 𝑒 (𝑅−𝑔)𝑡 + ∫0 𝑑𝑠 𝑒 (𝑅−𝑔)(𝑡−𝑠) 𝑑𝑠
51
𝑡
𝑏𝑡 = 𝑏0 𝑒 (𝑅−𝑔)𝑡 + 𝑒 (𝑅−𝑔)𝑡 ∫0 𝑑𝑠 𝑒 −(𝑅−𝑔)𝑠 𝑑𝑠
lim 𝑏𝑡 𝑒 −(𝑅−𝑔)𝑡 = 0
𝑡→∞
𝑡
𝑏0 = − ∫ 𝑑𝑠 𝑒 −(𝑅−𝑔)𝑑𝑠
0
Ora, supponiamo che 𝑑 = 𝑥 − 𝜏 (dove 𝑥: spesa pubblica e 𝜏: tassazione):
𝑡 𝑡
−(𝑅−𝑔)𝑠
𝑏0 + ∫ 𝑥𝑠 𝑒 𝑑𝑠 = ∫ 𝜏𝑒 −(𝑅−𝑔)𝑠 𝑑𝑠
0 0
52
Lezione 10 16/10/2018
TEORIE DI ACCUMULAZIONE
DEL DEBITO PUBBLICO.
Perché esistono i debiti pubblici? E, soprattutto, come nasce la loro accumulazione
sistematica?
53
• Effetto segnale: questa teoria è basata sull’asimmetria informativa. Gli elettori
non possono conoscere realmente la qualità dei politici eletti né osservare
l’effettivo livello del debito. Dunque, i politici possono utilizzare strategicamente
questa asimmetria per mandare un segnale di qualità. Ad esempio, una politica
fiscale basata su una riduzione delle tasse e un aumento della spesa pubblica, può
essere percepita quale segnale di alta qualità della dirigenza politica. La teoria si
basa, chiaramente, su un semplice ma fondamentale punto: l’impossibilità per il
pubblico di osservare l’andamento di determinate variabili macroeconomiche.
Tuttavia, una simile ipotesi appare, oggi, pressoché irrealistica, dato la facilità
d’accesso alle informazioni.
• Person – Suenson, Strategic role of debt: Supponiamo che al Governo esistano
soltanto due partiti che si alternano tra loro: un partito liberale, favorevole
all’aumento della spesa pubblica e un partito conservatore, non favorevole a tali
manovre. Supponiamo, inoltre, che il partito conservatore sia a capo del Governo
ma si aspetti di non essere rieletto; guidato dalle sue aspettative circa l’elezione
futura del partito liberale, esso può decidere di aumentare il debito per ridurre la
discrezionalità del partito successivo sulle manovre di politica fiscale nei Governi
successivi: il partito liberale, infatti, avrà un minore margine di scelta, non
potendo, in teoria, aumentare ulteriormente la spesa pubblica. Tuttavia, è
probabile che il partito liberale, per questioni elettorali ed ideologiche, aumenti
comunque la spesa pubblica, generando debito. Alla fine, tutti i partiti hanno
interesse ad accumulare debito per ridurre le possibilità di scelta del partito
successivo ed è esattamente questa logica, secondo la teroia di Person e Suenson,
che conduce ad un accumulo sistematico del debito pubblico. C’è anche una
variante della suddetta teoria di Alesina e Tabellini.
o Alesina –Tabellini: C’è alternanza tra partiti che, in questo caso,
rappresentano diverse fasce della popolazione. Ad esempio, supponiamo che
vi sia un partito favorevole alle spese di polizia e un altro favorevole alle spesa
per l’istruzione e la sanità. In questo caso, non abbiamo partiti che si
differenziano circa la scelta di spendere o meno, ma partiti che si differenziano
circa le modalità di spesa. Quindi, se c’è un partito favorevole alla costruzione
di caserme perché vuole limitare le manovre possibili al governo successivo,
inizierà a promuovere spese per la prima voce, aumentando il debito e
riducendo la possibilità futura di investire nella costruzione di ospedali.
Ancora una volta, se tutti i partiti ragionano così, si accumulerà
sistematicamente debito.
• Delayed stabilization (guerre d’attrito): Si tratta di un’iterazione strategica tra
partiti; più che spiegare le ragioni di accumulazione del debito, la delayed
54
stabilization spiega le ragioni per cui il debito pubblico non viene ridotto.
Supponiamo che vi sia in carica un Governo di coalizione e che il debito pubblico
sia particolarmente elevato: chi governa sa che è necessario ridurre il debito ma sa
anche che il costo politico ad esso annesso è molto elevato poiché aumentare le
tasse o ridurre la spesa pubblica per sanare parte del debito potrebbe condurre ad
una perdita di consensi e, dunque, alla mancata rielezione. Così, secondo il
principio della guerra d’attrito, si aspetta che sia il governo di domani ad
aumentare le tasse. Addirittura se al governo si ha una colazione come supposto, è
molto probabile che questa non voglia condurre in nessun modo una politica di
stabilizzazione del debito. Si parla di guerra d’attrito perché, prima o poi, qualche
partito dovrà cedere.12 Non a caso, secondo l’evidenza empirica, ad avere i deficit
maggiori sono i Paesi con governi di coalizione e governi eletti con sistemi
elettorali proporzionali.
12
Si pensi a ciò che è accaduto in Italia col governo tecnico Monti: nessuno era intenzionato ad assumersi direttamente e
politicamente la responsabilità della stabilizzazione del debito. Così è stata chiamata un figura esterna che se ne
assumesse l’onere ovvero la responsabilità individuale.
55
TEORIE SULL’EFFETTO DELLA POLITICA FISCALE
Se il governo decide di fare una politica fiscale espansiva, quali sono gli effetti di
tale politica? Partiamo dalla ragione stessa per cui, oggi, si studia la politica fiscale
espansiva quale strumento di stabilizzazione macroeconomica: la Teoria del
moltiplicatore di Keynes.
𝐶 = 𝑎𝑌 + 𝑏
𝑌 = 𝐶 + 𝐼̅ + 𝐺
𝐺 ↑ 1€ → 𝑌 ↑ 1€ → 𝐶 ↑ 𝑎€ → 𝑌 ↑ 𝑎€ → 𝐶 ↑ 𝑎2 € …
56
𝑎 < 1 poiché l’idea keynesiana è che non si spenda tutto l’aumento di reddito e se
𝑎 < 1 la sequenza, ad un certo punto, convergerà perché gli aumenti di consumo
successivi sono sempre più piccoli.
Conclusione di Keynes: è opportuno fare spesa pubblica aggiuntiva perché ciò, nel
lungo periodo, aumenta il reddito grazie all’effetto del moltiplicatore.
Ci sono, però, degli elementi che suggeriscono che il moltiplicatore sia, in realtà,
molto più basso di quanto previsto da Keynes:
Tassazione: il reddito viene tassato. Questo significa che una parte dell’aumento di
reddito viene assorbita come maggiore tassazione. Quello che conta non è il reddito
totale ma il reddito “after tax” per cui il moltiplicatore diventa (più piccolo):
𝐶 = 𝑎(1 − 𝑡)𝑌 + 𝑏
Importazioni: non tutto ciò che viene consumato, viene anche prodotto nel territorio
nazionale. Una parte dell’aumento del reddito si traduce nell’aumento del consumo di
beni importati che generano un aumento del reddito estero e non nazionale13:
𝐶 = [𝑎 (1 − 𝑡) − 𝑚]𝑌 + 𝑏
IS: 𝑌 = 𝐶 (𝑌 − 𝑇) + 𝐼 (𝑌, 𝑅 ) + 𝐺
𝑀
LM: = 𝑌𝐿(𝑖)
𝑃
[dove 𝑅 = 𝑖 − 𝜋 𝑒 ]
Supponiamo che vi sia un aumento della spesa pubblica o una riduzione delle tasse:
in entrambi i casi, si ha un aumento del reddito il che genera un aumento dei
consumi. Graficamente, la curva IS si sposta verso destra: aumenta il reddito per
qualsiasi livello del tasso di interesse.
13
Come si possono massimizzare gli effetti espansivi della manovra fiscale? Si potrebbero vincolare le spese.
57
L’aumento dei consumi
determina anche un aumento
LM
della domanda di moneta. Di
conseguenza, data l’offerta
esogena di moneta da parte
i’
della BC, il tasso di interesse
i
deve aumentare per ripristinare
l’equilibrio nel mercato della
IS’ moneta (modello di scelta di
IS portafoglio: l’individuo sceglie
se tenere moneta in forma
Y Y’
liquida o investirla ad un certo
tasso di interesse). Quindi aumenta il tasso di interesse nominale e,
conseguentemente, il tasso di interesse reale. Veniamo, allora, all’effetto
spiazzamento. L’andamento degli investimenti dipende positivamente dall’aumento
del reddito ma negativamente dall’aumento del tasso di interesse reale. Il modello
assume che l’incidenza del tasso di interesse sia maggiore per cui, alla fine, gli
investimenti si riducono. Effetto di spiazzamento: la spesa pubblica aggiuntiva
diminuisce la spesa privata per investimenti a causa dell’effetto indotto sul tasso di
interesse nominale, e quindi reale, che aumenta.
Possiamo rappresentare la
domanda aggregata anche in
AS
un modello prezzo-qualità, il
modello AS-AD.
𝑃 = (1 + 𝜇 )𝜔 → Equazione
i’ per la determinazione dei
i prezzi.
𝜔
AD’ = 𝐹(𝑢, 𝑧) → Equazione per
𝑃𝑒
AD
la determinazione dei salari
Y* nominali e reali.
58
𝐿−𝑁 𝑌
𝑢= = 1 − (𝑐𝑜𝑛 𝑌 = 𝑁) → Tasso di disoccupazione.
𝐿 𝐿
Modello AS-AD: punto di incontro tra offerta aggregata (AS) e domanda aggregata
(AD).
𝑌
𝑃 = 𝑃𝑒 (1 + 𝜇 ) ∓ (1 − , 𝑧) → AS: esprime l’equilibrio nel mercato del lavoro.
𝐿
𝑀
𝑌 = 𝑌 ( , 𝐺, 𝑇) → AD: esprime l’equilibrio nel mercato dei beni e nel mercato
𝑃
finanziario.
59
Lezione 11 17/10/18
Definiamo 𝜀 il tasso di cambio reale: ovvero il prezzo dei beni nazionali in termini
di beni esteri.
𝐸𝑃
𝜀= ∗
𝑃
Dove:
𝑃: prezzo dei beni nazionali.
𝑃 ∗: prezzo dei beni esteri.
Un apprezzamento reale equivale ad un aumento del tasso di cambio reale. Esso può
dipendere da un apprezzamento nominale o da un aumento del prezzo dei beni
nazionali rispetto al prezzo dei beni esteri; in quest’ultimo caso, diviene più
conveniente importare. Al contrario, un deprezzamento reale equivale ad una
riduzione del tasso di cambio reale.
A questo punto, possiamo definire l’equazione della domanda aggregata in
un’economia aperta:
𝐼𝑀𝑃(𝑌, 𝜀)
𝑌 = 𝐶 (𝑌 − 𝑇) + 𝐼 (𝑌, 𝑅 ) + 𝐺 + 𝐸𝑋(𝑌 ∗ , 𝜀) −
𝜀
N.B Le importazioni vanno valutate in termini di beni nazionali; dunque, occorre
dividerle per il tasso di cambio reale affinché siano confrontabili alle altre quantità.
60
Le esportazioni dipendono:
Le importazioni dipendono:
𝜀 ↓ → Tre effetti:
𝐼𝑀𝑃
↑ Primo impatto: aumenta il prezzo delle importazioni e il saldo della bilancia
𝜀
commerciale peggiora.
𝐼𝑀𝑃 ↓ 𝐸𝑋 ↑ Medio periodo: gli individui orientano le loro scelte e il saldo migliora.
𝑁𝑋 = 𝐸𝑋 − 𝐼𝑀𝑃 = 𝑌 − 𝐶 − 𝐼 − 𝐺
𝑁𝑋 = 𝐸𝑋 − 𝐼𝑀𝑃 = 𝑆 − 𝐼
Deficit di current account: 𝐸𝑋 < 𝐼𝑀𝑃 e 𝑆 < 𝐼: il Paese esporta meno di quanto
importa. Ai flussi commerciali devono corrispondere flussi finanziari. Se c’è un
deficit di current account vuol dire che il Paese sta accumulando un debito nei
confronti del resto del mondo perché le risorse interne non sono sufficienti a
finanziare gli impieghi; dunque, c’è un afflusso di risorse finanziare dall’estero che
finanzia il deficit.
Surplus di current account: 𝐸𝑋 > 𝐼𝑀𝑃 e 𝑆 > 𝐼: il Paese esporta più di quanto
importa. C’è un flusso verso l’estero di risorse finanziarie.
~~~~~
UIRP (uncovered interest rate parity): condizione di non arbitraggio sui mercati
finanziari. Supponiamo che ci siano due Paesi e due attività finanziarie: un’attività
domestica con tasso 𝑖𝑡 e un’attività estera, perfettamente uguale, che paga il tasso di
interesse 𝑖𝑡∗ . Qual è la relazione tra i due tassi di interesse se c’è perfetta mobilità di
capitali, ovvero se una persona residente nel Paese domestico può liberamente
acquistare attività all’estero e viceversa? La UIRP:
(1 + 𝑖𝑡∗ )𝐸𝑡
(1 + 𝑖𝑡 ) = 𝑒
𝐸𝑡+1
62
Esempio: Se ho un euro, posso decidere di investirlo in un’attività finanziaria
domestica guadagnando, dopo un anno, (1 + 𝑖𝑡 ) oppure in un’attività estera. In
quest’ultimo caso, però, devo, anzitutto, convertire gli euro in dollari per poter
investire. Dopo un anno, guadagnerò (1 + 𝑖𝑡∗) e dovrò convertire nuovamente i
dollari in euro.
Quindi 𝑖𝑡 può essere più alto di 𝑖𝑡∗ solo quando ci si aspetta un deprezzamento della
valuta nazionale. In caso opposto, mi aspetto un apprezzamento: se i titoli denominati
in euro rendono meno di quelli denominati in dollari, mi aspetto che l’euro in futuro
valga di più dei dollari.
63
MODELLO DI MUNDELL FLEMING
Effetti della politica fiscale in economia aperta
Assunzioni: prezzi rigidi nel breve periodo ma aggiustamento nel lungo periodo.
Dunque, gli effetti reali della politica fiscale ci saranno nel breve ma non nel lungo
periodo.
i i
LM
IS’
IS
𝑌̅ Y 𝐸̅ E’ E
AS’
P
AS
AD’
AD
𝑌̅ Y’ Y
Assumiamo che le aspettative sul tasso di cambio siano fisse per cui la UIRP si
configura come una relazione tra tasso di interesse interno e tasso di cambio. A parità
di altre condizioni, se non c’è arbitraggio, deve trattarsi di una relazione positiva per
cui tassi di interesse più elevati si traducono in tassi di cambio più elevati.
64
Partiamo da una posizione d’equilibrio in cui l’economia opera al suo livello
potenziale cui corrisponde il tasso di cambio di equilibrio. Politica fiscale espansiva:
aumento della spesa pubblica. Che succede?
Dunque, una politica fiscale espansiva, in questo modello, genera: un aumento del
reddito, una riduzione degli investimenti e una riduzione delle esportazioni nette.
Nel lungo periodo, l’economia opera secondo il modello neoclassico: i prezzi sono
flessibili e gli aumenti di domanda aggregata si traducono solo in aumenti dei prezzi.
Il reddito determinato dalla politica fiscale è più alto del suo livello potenziale. I
prezzi sono più alti di quelli attesi.
𝑌 ′ > 𝑌̅ → 𝑃 > 𝑃𝑒
I lavoratori, trovandosi con un salario reale più basso, negozieranno aumenti salariali
che si tradurranno, ancora, in aumenti di prezzi. Un aumento dei prezzi interni
equivale ad un apprezzamento reale. Quindi, alla fine, l’economia ritorna a produrre
al suo livello potenziale ma con un livello di prezzi elevato e con un deficit della
bilancia commerciale notevole.
Politica fiscale restrittiva: ci sarà un livello di produzione più basso del livello
potenziale; si riduce il tasso di interesse determinando un aumento degli investimenti.
C’è, inoltre, un deprezzamento che determina un miglioramento della bilancia
commerciale. I prezzi si riducono e quindi investimenti ulteriormente più alti nonché
un ulteriore aumento del saldo della bilancia commerciale. Nel lungo periodo,
14
Si parla a tal proposito del cosiddetto “deficit gemelli” poiché questa politica fiscale non solo rappresenta una spesa
in deficit per i conti dello Stato ma, come visto, genera anche un deficit della bilancia commerciale.
65
dunque, ci avviciniamo ad una situazione neoclassica perché i prezzi si aggiustano e
non ci sono effetti reali della politica fiscale, ma ci sono effetti nominali → Infatti,
anche se alla fine il livello della domanda aggregata è lo stesso, essa assume una
diversa composizione.
LM’
i i
LM
IS’
IS
𝑌̅ Y’ Y E
Impianto concettuale: se i prezzi sono rigidi allora le politiche fiscali hanno effetti
espansivi. Le politiche fiscali non hanno effetti espansivi se i prezzi non sono rigidi.
CRITICA NEOCLASSICA.
Una politica fiscale espansiva in recessione ha effetti reali?
Secondo Keynes, si. Al contrario, la critica neoclassica sostiene che politiche fiscali
espansive non abbiano effetti espansivi: spendere in deficit oggi significa solo
accumulare debito e aumentare la probabilità che il paese entri in crisi domani.
La critica neoclassica si basa su tre elementi:
67
Lezione 12 18/10/18
EQUIVALENZA RICARDIANA
Le politiche fiscali sono realmente efficaci?
Ipotesi di validità:
1. Aspettative razionali: gli individui sono forward looking: a fronte di una
politica fiscale espansiva oggi, in grado di aumentare il debito dello Stato, essi
si attendono una politica fiscale restrittiva in futuro, volta al pagamento del
debito.
2. Spesa pubblica non produttiva: se così non fosse, il risparmio privato
sarebbe un’ipotesi non coerente. La suddetta ipotesi appare collegata
all’impostazione Keynesiana secondo cui non è realmente importante per cosa
si spende, l’importante è che la spesa pubblica si traduca in reddito aggiuntivo
per alcuni individui; individui che poi spendono i loro aumenti di reddito,
attivando l’effetto del moltiplicatore. In questo caso, l’idea è che se la spesa
pubblica è produttiva, la necessità di risparmiare per i consumatori è meno
evidente per cui viene meno l’assunzione di base dell’equivalenza Ricardiana.
Di fatti, se c’è un investimento produttivo che produce reddito, questo reddito
aggiuntivo può essere utilizzato per pagare il debito aggiuntivo accumulato,
oggi, per finanziare lo stesso investimento. Quindi, la spesa pubblica non può
essere produttiva.
3. Mercati finanziari completi e perfetti: non esistono vincoli di liquidità per il
consumatore, ovvero può sempre prendere a prestito quando vuole. In
particolare, il tasso d’interesse a cui prendere a prestito l’individuo deve essere
uguale al tasso d’interesse a cui prendere a prestito il governo.
4. Orizzonte infinito: gli individui che oggi ricevono gli effetti positivi di una
politica fiscale espansiva sono gli stessi che, poi, dovranno pagare le tasse in
futuro. In altre parole, affinché sia valida l’equivalenza Ricardiana, è
necessario che il debito venga ripagato dalla generazione attuale che, dunque,
68
risparmia nell’aspettativa di futuri incrementi fiscali. L’equivalenza Ricardiana
non varrebbe se si ipotizzasse che a pagare siano le generazione future, nel
senso che non varrebbe l’ipotesi di aspettative razionali → Contributo di
Barrow: Secondo Barrow non è necessario che a ripagare il debito siano
esattamente gli stessi individui di oggi; è sufficiente che la funzione di utilità
dell’individuo di oggi comprenda anche il benessere ovvero l’utilità degli
individui futuri (figli e nipoti) alla luce di una solidarietà intergenerazionale.
MODELLO INTERTEMPORALE.
L’individuo ha un reddito nel primo periodo che può essere consumo oggi o
risparmiato mediante un trasferimento delle risorse finanziarie al periodo futuro:
𝜔1 = 𝑐1 + 𝑠1
1 𝛽(1+𝑅) 𝑐2
=𝜆= → = 𝛽(1 + 𝑅) → Equazione di Eulero: descrive il consumo
𝑐1 𝑐2 𝑐1
intertemporale ottimo rispetto a due parametri: 𝛽 e R.
𝛽(1 + 𝑅)𝑐1 𝜔2 1 𝜔2
𝑐1 + = 𝜔1 + → 𝑐1 = [ 𝜔1 + ]
(1 + 𝑅) (1 + 𝑅) 1+𝛽 1+𝑅
1. Consideriamo, anzitutto, l’ipotesi in cui lo Stato non possa indebitarsi per cui deve
necessariamente finanziarsi mediante tassazione.
𝐺1 = 𝑇1 , 𝐺2 = 𝑇2
15
Reddito permanente di Friedman; ciclo vitale di Modigliani.
70
Consumo del primo periodo:
𝑐1 = 𝜔1 − 𝑇1 − 𝑠1
𝑐2 = 𝜔2 − 𝑇2 + (1 + 𝑅)𝑠1
Vincolo di bilancio → il valore attuale del consumo deve essere uguale al valore
attuale del reddito meno le tasse:
𝑐2 𝜔2 − 𝑇2
𝑐1 + = 𝜔1 − 𝑇1 +
1+𝑅 1+𝑅
Ma la spesa pubblica è interamente coperta dalla tassazione quindi:
𝑐2 𝜔2 − 𝐺2
𝑐1 + = 𝜔1 − 𝐺1 +
1+𝑅 1+𝑅
𝐺1 = 𝑇1 + 𝐵1
Le tasse nel secondo periodo devono coprire non solo la spesa pubblica ma anche
gli interessi sul debito pubblico accumulato. Definendo 𝑅̃ il tasso di interesse sui
titoli del debito pubblico:
𝐺2 𝑇2
𝐺1 + = 𝑇1 +
1 + 𝑅̃ 1 + 𝑅̃
Supponiamo che il tasso di interesse a cui prendono a prestito gli agenti sia uguale
al tasso di interesse a cui prende a prestito il Governo (ipotesi di mercati finanziari
completi e perfetti) per cui:
𝑅 = 𝑅̃
71
Quindi:
𝐺2 𝑇2
𝐺1 + = 𝑇1 +
1+𝑅 1+𝑅
1 𝜔2 −𝑇2 1 𝜔2 𝑇2
1. 𝑐1 = [ 𝜔1 − 𝑇1 + ]= [𝜔1 + − (𝑇1 + )]
1+𝛽 1+𝑅 1+𝛽 1+𝑅 1+𝑅
1 𝜔2 𝑇2
2. 𝑐1 = [ 𝜔1 + − (𝑇1 + )]
1+𝛽 1+𝑅 1+𝑅
Osservazione: il reddito permanente non cambia. Il valore attuale delle tasse deve
essere uguale al valore attuale della spesa pubblica per cui, alla fine, il prelievo
fiscale nei due casi sarà lo stesso così come il reddito permanente. In un’ottica
intertemporale, al reddito preventivo va sottratto il valore attuale delle tasse; e il
valore delle tasse è uguale al valore attuale della spesa con o senza indebitamento.
Questo significa che finanziare o meno la spesa pubblica in deficit non fa differenza
per il consumatore poiché il consumo intertemporale sarà lo stesso → Equivalenza
Ricardiana.
Alla luce del del modello intertemporale appena fatto, ragioniamo nuovamente sulle
ipotesi di validità e sulla loro importanza ai fini della dimostrazione dell’equivalenza
Ricardiana:
Aspettative razionali: ipotesi di base senza la quale non avremmo potuto scrivere
neanche la funzione di ottimizzazione intertemporale del consumatore.
Spesa pubblica non produttiva: in questo modello la spesa pubblica è soltanto una
perdita poiché non entra nella funzione di utilità individuale, non fa nulla per il
consumatore e non aumenta il suo reddito. Scrivendo un modello in cui la spesa è in
grado di generare aumenti di reddito, probabilmente, le cose sarebbero diverse
Mercati finanziari completi e perfetti: se i due tassi di interesse non sono uguali, il
reddito permanente sarà diverso per cui è possibile che ci siano delle differenze.
Gettito
fiscale
Aliquota
Se l’aliquota aumenta non è detto che il gettito fiscale aumenti. Se l’aliquota è molto
elevata è possibile che all’aumentare dell’aliquota si riduca la base imponibile. E’
possibile che una riduzione dell’aliquota fiscale faccia aumentare il gettito per due
motivi:
1. È possibile che tasse sul reddito più basse inducano una maggiore offerta di
lavoro, aumentando l’output e quindi il gettito fiscale.
73
2. Riducendo l’aliquota si riduce anche l’evasione fiscale: considerando che la
ragione per cui si evade sono tasse troppo elevate, di fronte a tasse più basse,
più persone pagheranno e, dunque, il gettito aumenterà.
Starving the beast: la riduzione delle tasse potrebbe, inoltre, generare effetti positivi
dovuti al fatto che minori entrate per lo Stato riducono le possibilità di fare spesa
pubblica in deficit in futuro, riducendo conseguentemente le distorsioni dovute al
debito pubblico. Questo impianto teorico, tuttavia, non ha evidenze empiriche.
74
della spesa pubblica. La conclusione è che più si danno segnali forti, più si
influenzano le aspettative per cui più la spesa pubblica viene ridotta più si
avranno effetti espansivi. La vera austerità espansiva è quella enorme, piccole
riduzioni della spesa non sono in grado di orientare le aspettative circa una
riduzione delle tasse future.
Nonostante queste critiche alla teoria delle aspettative sulle politiche fiscali, vi sono
delle idee circa la stabilizzazione del debito che oggi non sono più controverse: in
particolare, se si deve implementare una politica fiscale restrittiva, è meglio ridurre la
spesa pubblica piuttosto che aumentare le tasse perché il governo così facendo dà un
segnale di voler ridurre il debito e genera aspettative circa una minore necessità di
aumentare le tasse in futuro. E’ necessario però considerare che non tutte le politiche
fiscali restrittive basate sulla riduzione della spesa pubblica sono efficaci.
Innanzitutto, è importante che le riduzioni di spesa pubblica siano permanenti
perché orientano meglio le aspettative. E’ importante, inoltre, che il Governo risulti
credibile nella riduzione della spesa pubblica. A tal proposito, tagliare voci più
sensibili dal punto di vista politico (ad esempio, un taglio del pubblico impiego,
riducendo il numero di dipendenti pubblici) conferisce una maggiore credibilità al
governo e dà un segnale forte di voler ridurre il debito. Questo tipo di politica ha
infatti effetti positivi proprio perché si tratta di voci molto sensibili alla politica del
governo.
Una soluzione alternativa è quella di avere una regola di politica fiscale fissa. A tal
proposito, si parla della cosiddetta Golden Rule di finanza pubblica, ovvero una
regola che impone il pareggio di bilancio a meno che non ci siano recessioni molte
importanti.
75
Dunque, è o meno possibile evitare che, data una politica fiscale espansiva, ci siano
effetti anti-Keynesiani? Lo Stato come può evitare che aumenti della spesa pubblica
si traducano in aspettative circa un aumento futuro delle tasse? In generale, è
possibile dare alla politica fiscale un vero effetto di stabilizzazione?
Lo Stato può:
Il Patto di Stabilità e Crescita o Fiscal Compact segue la stessa logica. I Paesi europei
quando hanno deciso di entrare in un’unione monetaria si sono imposti regole fisse
sulla fiscalità. Questo perché le crisi di debito pubblico di un Paese facente parte
dell’Unione possono generare crisi bancarie di un altro Paese dell’Unione se questo
ha molti titoli del debito pubblico del Paese in crisi.
• Recessione
• Spese per investimenti produttivi da finanziare.
Infatti, quasi sempre le spese per investimenti devono essere scorporate dalla spesa
pubblica utilizzata per calcolare il deficit. In recessione, invece, si riducono le entrate
fiscali e aumentano, ad esempio, i sussidi di Welfare. Automaticamente, anche se si
parte da una situazione di pareggio di bilancio, in presenza di una recessione, il Paese
va in deficit. Una Golden Rule che impone solo il pareggio di bilancio, impone ai
Paesi di fare politiche fiscali pro-cicliche perché riducendo le entrate in recessione il
deficit aumenta e quindi, secondo la regola, in questo caso bisognerà implementare
politiche fiscali restrittive. Ma ciò può avere un ulteriore effetto recessivo. Ecco
perché è necessario prevedere delle eccezioni. In particolare, l’eccezione prevista per
gli investimenti produttivi permette di migliorare la capacità di pagare il debito
poiché essi generano crescita aggiuntiva.
77
effetto reale di aumenti della crescita perché sono molto probabile effetti anti –
Keynesiani. Secondo alcuni invece presenta alcuni vincoli e problemi:
Comitato esterno che decide la politica fiscale. Dato che queste regole presentano
una serie di problematiche, si può creare un organismo che ha il compito di stabilire il
budget in ogni periodo ovvero un organismo indipendente che decide quanto deve
essere alto il deficit. Si lascia decidere a questo organismo quanto spendere e per cosa
spendere. In altre parole, si crea un organismo che decide la politica fiscale.
78
Lezione 15 25/10/18
POLITICA MONETARIA
Cos’è la moneta?16
16
Mezzo di scambio ed unità di conto legalmente accettata.
17
Si pensi, ad esempio, ai bitcoins. Essi rappresentano un mezzo di scambio; il problema è che generano un’eccessiva
volatilità del prezzo, suscettibile di creare inefficienze nel sistema degli scambi. Per questo obiettivo fondamentale della
BC è la stabilità dei prezzi, cioè, per l’appunto, mantenere un’inflazione bassa.
79
Banca Centrale Americana. La FED americana agisce mediante operazioni di
mercato aperto: acquista e vende titoli del debito pubblico americano dalle banche
per immettere e ritirare, rispettivamente, moneta. Le banche possiedono depositi
presso la FED e si prestano denaro tra loro al FED founds rate; l’orientamento della
politica monetaria viene valutato in base a questo tasso, il quale è influenzato dalle
operazioni di mercato aperto della Banca centrale → Quando la FED acquista titoli
dalle banche commerciali, genera un incremento della domanda dei titoli per cui il
prezzo dei titoli sale mentre il rendimento cala. Dunque, il tasso d’interesse
diminuisce. Le banche si prestano denaro tra loro ad un tasso più basso.
La FED ha un tasso obiettivo e acquista e vende titoli affinché il tasso a cui le banche
commerciali scambiano liquidità sia uguale al suo tasso obiettivo.
Banca Centrale Europea. Gli strumenti di politica monetaria utilizzati dalla BCE
sono molteplici. Anzitutto, la Banca Europea non effettua operazioni di mercato
aperto ma usa i REPO (prestito garantito alle banche). Per finanziarsi presso la BCE,
le banche commerciali devono depositare titoli a garanzia che il prestito verrà
restituito a scadenza. A scadenza, la BCE rivende il titolo alla banca commerciale.
Esistono due tipi di REPO:
80
• LTRO: prestiti a scadenza mensile - 3 mesi. Fornitura di liquidità al sistema a
scadenza più lunga ma il criterio di finanziamento è lo stesso dei MRO.
BANCA
100 € BANCA A
CENTRALE
Imprenditore +100 €
Venditore +100 €
2% R.O.
BANCA B +100 €
Imprenditore B
+98% …
81
LENDING
Tre tassi di
REFI riferimento
della BCE.
BORROWING
82
Relazione tra tassi d’interesse a breve e lunga scadenza.
La capacità della banca centrale di influenzare le decisioni private dipende anche e
soprattutto da questa relazione. La BC, normalmente, presta alle banche a breve
scadenza ma tipicamente gli imprenditori e i consumatori prendono a prestito a
scadenze molto più lunghe e, a tal proposito, il tasso che interessa realmente è
l’EURIBOR. Un’espansione della moneta in circolazione si traduce in maggiori
investimenti se un più basso tasso d’interesse a breve scadenza si riflette anche in un
più basso tasso d’interesse a lunga scadenza. In che misura la decisione di espansione
si traduce in un aumento dei mutui e degli investimenti dipende da quanto una
riduzione del REFI si riflette in una riduzione dell’EONIA e, quindi, dell’EURIBOR.
Lo strumento interpretativo utilizzato per studiare la suddetta relazione è la Yield
Curve (struttura a termine dei tassi di interesse).
Le due quantità devono essere uguali al netto di un premio per il rischio indicizzato
alla scadenza. Il premio per il rischio deriva dal differente rischio delle attività.
Dunque la relazione di non arbitraggio è:
Se il rendimento del titolo a due anni è più alto, tutti lo acquistano; il prezzo aumenta
e il rendimento diminuisce fino ad eguagliarsi al rendimento dato dai titoli ad un
anno.
Generalizzando la relazione:
(1 + 𝑖𝑡𝑛 )𝑛 = (1 + 𝑝𝑛 )(1 + 𝑖𝑡1)(1 + 𝑒𝑡 𝑖𝑡+1
1
)
(1 + 𝑖𝑡1 ) = (1 + 𝑒𝑡 𝑖𝑡+1
1 )
→ 𝑖𝑡1 = 𝑒𝑡 𝑖𝑡+1
1
Ne deriva:
83
Come evince dalla relazione, se vi sono aspettative circa un tasso d’interesse
costante, ciò che conta e fa la differenza è il premio per il rischio: il tasso di interesse
a due anni è più alto del tasso ad un anno perché tenere fermo un investimento per un
periodo più lungo è più rischioso e, quindi, genera un rendimento più elevato. Ciò
evince chiaramente anche dalla Yield Curve che mostra la relazione tra scadenze e
tassi di interesse:
i Fig. 1
1 2 Scadenza
Fig. 2
i
1 2 3 4 Scadenza
84
Ma la Yield Curve può anche avere una pendenza negativa. Ciò avviene quando vi
sono aspettative circa una politica monetaria particolarmente espansiva in futuro tali
addirittura da compensare il rischio di liquidità. Si parla a tal proposito di Yield
curve rovesciata.
Fig. 3
i
Scadenza
In definitiva, osservare l’andamento della Yield Curve serve a capire quali sono le
aspettative circa l’andamento delle politiche monetarie in futuro.
85
Lezione 16 30/10/18
86
moral hazard può essere collegata alle agenzie di regolamentazione bancaria.
Ci sono delle agenzie che impongono delle regole di comportamenti prudenti
alle banche per evitare che queste si assumano eccessivo rischio.
L’imposizione riguarda coefficienti patrimoniali: i prestiti di lunga durata
devono essere una certa proporzione del capitale proprio. Questa proporzione
dipende da quanto è rischioso il credito. Questa regolamentazione viene
definita microprudenziale: ha come target la singola banca e prevede
l’applicazione dei coefficienti a questa. Il problema della regolamentazione che
impone che ci sia un capitale proprio a garanzia degli impieghi riguarda
l’attivo patrimoniale: questo viene valutato al valore di mercato. In recessione,
le banche sono obbligate a fare gli aggiustamenti. Se si riduce il valore
dell’attivo patrimoniale delle banche, queste devono ridurre gli impieghi o la
rischiosità. Ma ridurre gli impieghi significa non fare più prestiti e questo può
determinare un effetto peggiore o anche una crisi sul mercato interbancario.
Anche in questo caso, il ruolo di garante della stabilità finanziaria è in
contraddizione con sé stesso. Si può, allora, fare una regolamentazione
macroprudenziale: evitare che ci siano problemi pro ciclici attraverso la
previsione di coefficienti più piccoli in recessione.
L’altro soggetto della stabilità finanziaria è lo Stato: può usare soldi pubblici
per ricapitalizzare le banche. È opportuno aiutare le banche ma crea problemi
di moral hazard. Il costo per lo Stato è deficit oppure aumento delle tasse. È
possibile evitare problemi di moral hazard attraverso la bank recovery and
resolution directive: questa direttiva europea ha introdotto la norma sul bail
in→ Se la banca sta per fallire gli stakeholders devono sostenere un costo per la
crisi. Allora l’intervento dello Stato è giustificato.
Esistono altri meccanismi per ricapitalizzare le banche in crisi. Il meccanismo
della “Bridge Bank” prevede, per banche che hanno molte attività in
sofferenza, la creazione di un’entità dove vengono trasferiti attivi e passivi
delle banca in sofferenza; l’entità così creata vende il possibile per poi
realizzare la risoluzione della banca. Il meccanismo della “Bad Bank” prevede
la creazione di entità dove vengono trasferite solo le attività in sofferenza. Il
suo ruolo è quello di ripulire l’attivo delle banche. La bad bank emette
obbligazioni per acquistare queste attività in sofferenza. Poi le vende, rimborsa
gli obbligazionisti e cessa di esistere. Le obbligazioni però sono di difficile
sottoscrizione perché comunque sono obbligazioni molto rischiose. Per questo
motivo queste obbligazioni hanno garanzia statale: lo Stato non interviene
direttamente ma garantisce obbligazioni emesse dalla bad bank che ha
acquistato titoli in sofferenza dalla banca in crisi. Comunque si tratta di un
87
intervento pubblico. Il problema del moral hazard non è però ancora risolto. In
un’ottica di diversificazione del rischio si possono emettere obbligazioni senior
garantite o junior non garantite. Chi è più propenso al rischio acquisterà le
prime. Si può limitare le garanzie concesse al valore di mercato delle attività in
sofferenza. Si limita l’esposizione dello Stato. Ma il problema è proprio il
valore di mercato di queste attività. Il mercato per queste attività non c’era
quindi questo meccanismo non ha senso. Allora si può limitare le garanzie
statali al valore di mercato di attività con rischio simile (credit default swaps).
• Stabilità dell’output: le espansioni monetarie hanno anche effetti reali? Nel
breve periodo aumenta l’output mentre nel lungo genera inflazione.
Normalmente l’abbassamento del tasso d’interesse ha effetti reali, ma questo
effetto è molto breve e non si ha immediatamente. In recessione ci sono due
opzioni: si possono usare sia strumenti di politica fiscale sia strumenti di
politica monetaria.
𝑖𝑡 = Ř + 𝜋𝑡 + 𝛼𝜋(𝜋𝑡 − 𝜋) + 𝛼𝑦(𝑦𝑡 − 𝑦)
(𝑦𝑡 − 𝑦) è l’output gap. Ř è il tasso d’interesse naturale reale, cioè il tasso a cui
corrisponde un sentiero di crescita bilanciata (ovvero inflazione uguale a quella
obiettivo e output gap zero). Su questo sentiero, Ř è il tasso che massimizza il
consumo all’interno dell’economia.
Con la Taylor Rule si possono stimare i coefficienti 𝛼. Considerando solo 𝛼𝑦(𝑦𝑡 −
𝑦), se 𝛼 = 0 siamo di fronte ad una BC che non vuole stabilizzare l’output ma ha
come unico obiettivo quello di stabilizzare i prezzi. Questo coefficiente, però, deve
essere sempre positivo: se l’inflazione è più alta dell’obiettivo, la BC deve fare una
politica monetaria restrittiva; se l’output gap è maggiore di quello obiettivo, la BC
deve fare lo stesso. Questa regola permette di capire come si comportano le banche
centrali. Non è detto però che se questo coefficiente è maggiore di zero allora uno
degli obiettivi della BC è la stabilizzazione dell’output gap. L’output gap positivo
può segnalare un aumento dei prezzi in futuro. Quindi il fatto che la BC risponda
all’output gap corrisponde alle aspettative inflazionistiche in futuro, essendo
l’aumento dell’output gap correlato con l’aumento dei prezzi e dunque
dell’inflazione.
La Taylor Rule può essere usata in altri modi: una volta stimata, si può confrontare il
tasso d’interesse che sta praticando la BC con il tasso d’interesse che risulta dalla
Taylor Rule stimata. In particolare, se il tasso d’interesse praticato dalla BC è più alto
rispetto a quello stimato, la BC sta praticando una politica monetaria più restrittiva
rispetto a quella che sarebbe coerente con la regola.
89
Lezione 17 31/10/18
𝑃𝑌 = 𝑀𝑉
L’idea alla base della relazione è che la moneta nient’altro è che unità di conto. La
teoria esprime la neutralità della moneta: non ci sono effetti reale; l’output è
determinato da altri fattori. Tuttavia, la neutralità si esplica nel lungo periodo poiché
essa necessita di un periodo di aggiustamento dei prezzi (al variare della moneta) data
la loro rigidità.
Nel lungo periodo, quindi, vi è l’aggiustamento dei prezzi per cui l’inflazione è si
configura quale fenomeno monetario. Nel breve periodo, date le rigidità nominali, è
possibile che vi siano effetti reali.
I prezzi rigidi sono alla base del modello di domanda e offerta aggregata. In
definitiva, una variazione monetaria può avere effetti reali ma si tratta solo di
90
variazioni temporanee dell’output che, nel lungo periodo, ritorna al suo livello
iniziale.
Curva di Phillips: esiste un trade – off tra disoccupazione e inflazione? Può la BC,
mediante un aumento della moneta in circolazione e, quindi, dei prezzi, ridurre la
disoccupazione?
Studi empirici condotti da Phillips nel Regno Unito, nel corso degli anni 50-60,
hanno portato ad individuare una relazione negativa tra inflazione e disoccupazione.
Il salario è determinato dalla contrattazione che dipende dalla struttura del mercato
del lavoro, ovvero dalla disoccupazione. Le imprese fissano il prezzo come un mark-
up sul costo marginale. L’unico costo marginale è il salario che pagano ai lavoratori.
91
Il livello dei prezzi attesi influenza la negoziazione salariare. Più alta è la
disoccupazione più bassi sono i prezzi più bassi sono i salari. Con la formulazione si
cerca di passare da una relazione dell’offerta aggregata a una relazione con
l’inflazione.
Teoria di Friedman
𝜋𝑡𝑒 = 𝜗𝜋𝑡−1
Se 𝜗 = 1 → 𝜋𝑡𝑒 = 𝜋𝑡−1 per cui gli individui si aspettano che l’inflazione sia costante;
dunque, la curva di Phillips diventa:
𝜋𝑡 − 𝜋𝑡−1 = (𝜇 + 𝑧) − 𝛼𝑢𝑡
𝜇+𝑧
Se 𝜋𝑡 = 𝜋𝑡−1 → 𝑢𝑁 = → NAIRU
𝛼
Lezione 18 06/11/18
94
MODELLO NEOKEYNESIANO
Analizzeremo la parte più moderna del dibattito relativo agli effetti reali della politica
monetaria, esponendo e spiegando il modello neokeynesiano, così definito proprio
poiché presenta elementi keynesiani. In particolare, esso presenta delle rigidità
nominali: i prezzi non si aggiustano istantaneamente.
È una curva di Phillips perché ci mostra una relazione tra output ed inflazione:
𝑥𝑡 → output gap; differenza, quindi, tra output e livello naturale [𝑥𝑡 = 𝑦𝑡 − 𝑦̅];
𝜇𝑡 → shock esogeno al livello dei prezzi (ad esempio, aumento del prezzo del
petrolio); per questo, è anche detto cost push shock.
t t+1 t+2
Se so che potrò cambiare i prezzi soltanto in t+2 (e non anche al tempo t+1), in t
fisso un prezzo che tenga conto anche di quello che mi aspetto accadrà in t+1.
95
• Curva IS (lato della domanda):
- 𝜋𝑡 = 0
- 𝑥𝑡 = 0
96
1 1
min = 𝐸𝑡 ∑∞ 2 2 2 ∞ 2 2
𝑗=0 𝛽(𝛼𝑥𝑡+𝑗 + 𝜋𝑡+𝑗 ) = [𝛼𝑥𝑡 + 𝜋𝑡 + ∑𝑗=1 𝛽(𝛼𝑥𝑡+𝑗 + 𝜋𝑡+𝑗 )]
𝑖𝑡 2 2
𝐿𝑡 𝑗=0 𝐸𝑡
Scriviamo la lagrangiana:
1
𝐿 = (𝛼𝑥𝑡2 + 𝜋𝑡2 ) + 𝐸𝑡 + 𝛾(𝜆𝑥𝑡 − 𝜋𝑡 + 𝑓𝑡 )
2
Con:
𝛾 = moltiplicatore;
𝑓𝑡 = 𝛽𝐸𝑡 (𝜋𝑡+1) + 𝜇𝑡 ;
Occorre osservare che, per il momento, non stiamo risolvendo per 𝑖𝑡 . Cerchiamo,
prima, di capire qual è la relazione ottima tra 𝜋𝑡 e 𝑥𝑡 . Dopodiché, cercheremo di
capire qual è il tasso 𝑖𝑡 che rende vera la relazione. Dunque, stiamo scomponendo il
problema in due parti: non consideriamo subito entrambi i vincoli (NKPC ed IS).
Prima, minimizziamo la funzione rispetto al vincolo NKPC; dopo, determinata la
relazione ottimale, utilizziamo il vincolo IS per capire quale tasso 𝑖𝑡 realizza la
relazione.
𝜕𝐿
2𝑎 condizione: = 0 → 𝜋𝑡 = 𝛾
𝜕𝜋𝑡
𝜆
𝑥𝑡 = − 𝜋𝑡 → Relazione ottima tra 𝜋𝑡 e 𝑥𝑡 . Quindi, se la BC si prefigge di
𝛼
minimizzare 𝜋𝑡 e 𝑥𝑡 , deve scegliere 𝑖𝑡 in modo che sia vera la suddetta relazione. Ad
esempio, se 𝜋𝑡 è elevata, occorre ↓ 𝑥𝑡 . Per far ciò, si induce una recessione: si
conduce una politica monetaria restrittiva che porta all’aumento di 𝑖𝑡 .
97
adotti la politica monetaria ottimale. Per farlo, andiamo a considerare la 3𝑎
condizione di 1° ordine del nostro problema: il vincolo della neokeynesiana.
Dunque, torniamo alla NKPC e sostituiamo la relazione ottimale:
𝜆
NKPC: 𝜋𝑡 = 𝜆𝑥𝑡 + 𝛽𝐸𝑡 (𝜋𝑡+1) + 𝜇𝑡 ; R.Ott.: 𝑥𝑡 = − 𝜋𝑡 ;
𝛼
𝜆2 𝜆2
𝜋𝑡 = − 𝜋𝑡 + 𝛽𝐸𝑡 (𝜋𝑡+1) + 𝜇𝑡 → (1 + ) 𝜋𝑡 = 𝛽𝐸𝑡 (𝜋𝑡+1) + 𝜇𝑡
𝛼 𝛼
∞ ∞
1 𝛽 𝑗 1 𝛽 𝑗 𝑗
𝜋𝑡 = ∑ ( 𝐹) 𝜇𝑡 → 𝜋𝑡 = ∑ ( ) 𝐹 𝜇𝑡
𝐴 𝐴 𝐴 𝐴
𝑗=0 𝑗=0
98
Utilizziamo nuovamente il forward operator 𝐹𝑛 𝑥𝑡 = 𝐸𝑡 𝑥𝑡+𝑛 per ottenere:
∞
1 𝛽 𝑗
𝜋𝑡 = ∑ ( ) 𝐸𝑡 𝜇𝑡+𝑗
𝐴 𝐴
𝑗=0
Dove:
o 𝜌 è il coefficiente
𝜇
o 𝜀𝑡 è il cosiddetto “white noice” (rumore bianco): qualcosa che abbia aspettativa
nulla. È il termine di errore del processo che, in teoria, mi aspetto uguale a 0.
Ora, generalizzando:
𝜇𝑡 = 𝜌 𝑛 𝜇𝑡−𝑛 (+ una certa somma di shock 𝜀 a media nulla che, proprio per questo,
non consideriamo).
𝐸𝑡 (𝜇𝑡+𝑗 ) = 𝜌 𝑗 𝜇𝑡 per cui, ad esempio per j=1: 𝐸𝑡 (𝜇𝑡+1) = 𝜌𝜇𝑡 . Il valore atteso al
tempo t di 𝜇𝑡+1 dipende dal valore di 𝜇 al tempo t.
99
La parentesi relativa all’autoregressione ci ha permesso di giungere ad una relazione
𝐸𝑡 (𝜇𝑡+𝑗 ) = 𝜌 𝑗 𝜇𝑡 che possiamo sostituire nella nostra equazione relativa a 𝜋𝑡 :
∞ ∞
1 𝛽 𝑗 𝑗 1 𝛽𝜌 𝑗 1 1
𝜋𝑡 = ∑ ( ) 𝜌 𝜇𝑡 → 𝜋𝑡 = ∑ ( ) 𝜇𝑡 → 𝜋𝑡 = 𝜇 →
𝐴 𝐴 𝐴 𝐴 𝐴1− 𝛽𝜌 𝑡
𝑗=0 𝑗=0
𝐴
1 𝜆2
𝜋𝑡 = 𝜇𝑡 → Ricordiamo che 𝐴 = 1 + , sostituendo si può facilmente ottenere:
𝐴−𝛽𝜌 𝛼
𝛼
𝜋𝑡 = 𝜇
𝜆2 + (1 − 𝛽𝜌)𝛼 𝑡
𝜆
Ricordando la relazione ottima 𝑥𝑡 = − 𝜋𝑡 , si ottiene:
𝛼
𝜆
𝑥𝑡 = − 𝜇𝑡
𝜆2 + (1 − 𝛽𝜌)𝛼
Quindi abbiamo risolto il problema di ottimo giungendo alla relazione ottimale tra 𝜋𝑡
e 𝑥𝑡 ed indagato come questi rispondono a shock esogeni. Passiamo, ora, alla seconda
parte del problema (che considera il vincolo IS): le espressioni così ottenute vengono
sostituite nella curva IS per determinare il tasso 𝑖𝑡 che la BC dovrà applicare per
conseguire i propri obiettivi. Risolviamo la IS per 𝑖𝑡 :
𝐸𝑡 𝑥𝑡+1 𝑔𝑡 𝑥𝑡
𝑥𝑡 = −𝑦(𝑖𝑡 − 𝐸𝑡 𝜋𝑡+1) + 𝐸𝑡 𝑥𝑡+1 + 𝑔𝑡 → 𝑖𝑡 = 𝐸𝑡 𝜋𝑡+1 + + −
𝑦 𝑦 𝑦
1
𝑖 = 𝛿𝜇𝑡 + 𝑔𝑡 → Tasso di interesse ottimale: come rispondere a shock esogeni.
𝜑
100
1 1
𝑖𝑡 = 𝛿𝜇𝑡 + 𝑔𝑡 → 𝑖𝑡 = 𝛾𝑡 𝐸𝑡 𝜋𝑡+1 + 𝑔𝑡
𝜑 𝜑
VALUTAZIONI.
Sia in caso di shock di domanda che di offerta, la BC risponde con un aumento del
tasso di interesse. Tuttavia, la risposta in caso di shock della domanda sarà molto più
aggressiva. Utilizziamo il modello AS/AD per capire:
Fig. 1 Fig.2
AS
AS
AS’
AD’
AD
AD
𝛾𝜋 > 1: la BC, per conseguire i suoi obiettivi, deve rispondere in modo aggressivo
(aumentando molto il tasso) in presenza di aspettative inflazionistiche.
101
DIMOSTRAZIONE RISULTATO BARROW-GORDON.
Supponiamo che ci sia una BC opportunista che cerca di raggiungere un livello di
output superiore a quello naturale, fissando, quindi, quale obiettivo un’output gap
maggiore di zero. La funzione di perdita diventa:
1 ∝
min 𝐸𝑡 [ ∑𝑗=0 𝛽 2𝛼 (𝑥𝑡+1 − 𝑘 )2 + 𝜋𝑡+1
2
] con 𝑘 > 0 , 𝑥𝑡 = 𝑘 → nuovo obiettivo
𝑖𝑡 2
➔ (𝑥𝑡+1 − 𝑘 )2 = 𝑥̃
𝜆2
➔ 𝜋𝑡 = − 𝜋𝑡 + 𝛽𝐸𝑡 𝜋𝑡+1 + 𝜇𝑡 + 𝜆𝑘
𝛼
𝜆2
➔ (1 + ) 𝜋𝑡 = 𝛽𝐹𝜋𝑡 + 𝜇𝑡 + 𝜆𝑘
𝛼
𝜇𝑡 𝜆𝑘
➔ 𝜋𝑡 = + ;
𝐴−𝛽𝐹 𝐴−𝛽𝐹
imponendo 𝛽 = 1:
𝜆 1
➔ 𝜋𝑡 = 𝜋𝑡𝑘 + ( 1 )𝑘
𝐴 1−𝐴𝐹
𝜆 1 𝜆 1 𝑗 𝜆 1 𝜆
➔ ( 1 ) 𝑘 = ∑∝
𝑗=0 ( ) 𝐹𝑘 = 1 𝑘= 𝑘
𝐴 1−𝐴𝐹 𝐴 𝐴 𝐴 1− 𝐴−1
𝐴
Quindi:
𝜆
𝜋𝑡 = 𝜋𝑡𝑘 + 𝑘
𝐴−1
102
𝜆2
Risolvendo per 𝐴 = 1 + , otteniamo:
𝛼
𝛼
𝜋𝑡 = 𝜋𝑡𝑘 + 𝑘 → INFLATION BIAS: espandere l’economia al di sopra del livello
𝜆
naturale, genera un’inflazione più elevata.
𝜆
𝑥𝑡𝑘 = − 𝜋𝑡𝑘 = 𝑥𝑡 → nessun effetto reale derivante dall’espansione, solo prezzi più
𝛼
elevati.
103
Lezione 19 07/11/18
• Mutui a tasso fisso: un eventuale riduzione del tasso di interesse non influenza
in alcun modo le tasse del mutuo → non si genera alcun effetto ricchezza.
• Mutui a tasso variabile: la riduzione del tasso di interesse determina, a sua
volta, una riduzione delle tasse del mutuo → effetto ricchezza positivo:
aumento del reddito e, dunque, dei consumi.
In conclusione, quindi, nelle economie caratterizzate da mutui a tasso variabile, ci
saranno effetti ricchezza che porteranno ad un ulteriore aumento dei consumi,
rendendo più rapida la trasmissione della politica monetaria (più effetti reali).
104
decide di condurre una politica restrittiva, aumentando il tasso di interesse, i prezzi
asset si riducono, generando un effetto ricchezza; vi è, poi, un effetto sugli
investimenti che può essere visto come effetto ricchezza negativo poiché, se i prezzi
si riducono, è meno conveniente investire. Al contrario, una politica espansiva rende
più conveniente investire, generando un effetto ricchezza individuale e, quindi, un
effetto espansivo. È chiara la logica alla base dell’asset price channel: variazioni di
politica monetaria determinano → variazioni dei prezzi asset il che genera → effetti
ricchezza (positivi o negativi).
Alla luce di quanto detto sull’asset price, sorge spontanea una domanda: la BC
deve monitorare i prezzi delle azioni?
Una politica monetaria espansiva è un modo per alzare i prezzi delle azioni però, se
condotta in modo eccessivo, per troppo tempo, può generare una bolla speculativa:
tutti acquistano un bene poiché si aspettano di poterlo rivendere ad un prezzo più alto
in futuro → le aspettative fanno crescere, effettivamente, i prezzi → i prezzi
crescono, consolidando le aspettative e raggiungendo livelli incredibilmente levati,
fino a quando non ci si rende conto che non esistono reali basi per prezzi così elevati:
tutti iniziano a vendere, i prezzi crollano e la bolla speculativa scoppia. Quanto
esposto è, esattamente, ciò di cui è stato accusato Greenspan, direttore generale della
FED americana ai tempi della crisi finanziaria del 2007, additato come causa della
stessa crisi per aver condotto politiche monetarie troppo espansive con tassi troppo
bassi per troppo tempo, mantenendo i prezzi delle azioni artificialmente elevati e
alimentando la bolla speculativa. Greenspan, tuttavia, risponde alla critica sostenendo
come il ruolo della BC non sia quello di monitorare i prezzi delle azioni, correggendo
le proprie politiche espansive in caso di eccessivi rialzi. La risposta di Greenspan si
basa su una semplice assunzione: teoria dell’efficienza dei mercati. Se si parte dal
presupposto che i mercati siano efficienti, un aumento dei prezzi rifletterà i
fondamentali del mercato alla luce delle informazioni disponibili (ad esempio,
informazioni relative ad una maggiore redditività delle imprese). Il corollario della
suddetta teoria è che le bolle speculative non esistano per cui aumenti di prezzi
riflettono sempre i fondamentali. Greenspan credeva nell’efficienza dei mercati ma,
in realtà, pur discostandoci da questa teoria e, quindi, ammettendo l’esistenza di bolle
speculative, occorre evidenziare l’impossibilità per una banca di distinguere rialzi
dovuti ai fondamentali da rialzi dovuti a bolle speculative e, dunque, la difficoltà
d’intervento della BC: se l’aumento dei prezzi non dipende dall’esistenza di bolle,
intervenire significa limitare l’espansione dell’economia.
105
C’è poi il credit channel che, differentemente dall’interest rate channel, ha a che
fare con l’offerta di credito (lato banche). Variazioni del tasso di interesse incidono
anche sull’offerta di credito delle banche agli imprenditori. Ci sono due ragioni per
cui ciò avviene:
106
riduce la domanda ma anche l’offerta di credito. Ad amplificare l’effetto
dell’acceleratore finanziario, c’è il fatto che il balance sheet effect non riguarda
soltanto il bilancio delle imprese ma anche delle banche: la riduzione del tasso
e l’aumento dei prezzi determinano anche una riduzione dell’attivo delle
banche che, per restare nei coefficienti di regolamentazione, dovranno ridurre
gli impieghi e, cioè, ancora una volta, l’offerta di credito.
In passato, molti vedevano l’offerta di credito da parte delle banche come una
semplice funzione crescente del tasso di interesse, ignorando tutto quanto detto finora
e, in particolare, ignorando il problema dell’adverse selection. Stiglitz e Weiss sono i
primi a prendere atto dell’esistenza di questa problematica nel mercato del credito:
Il problema della selezione avversa fa sì che la curva di offerta del credito cresca al
crescere del tasso di interesse solo fino ad un certo punto (i*) dopodiché inizia a
decrescere. Ciò dipende da quanto detto in precedenza: più il tasso aumenta, più i
creditori “buoni”, caratterizzati da un rischio più basso, smetteranno di chiedere a
prestito → aumenterà, quindi, la rischiosità media cui si espone la banca, rendendo
conveniente per la stessa restringere l’offerta di credito. In questo contesto, si può
anche verificare una situazione di credit crunch: il mercato sparisce perché la banca
non è più disposta ad offrire credito. Se la banca chiede ed ottiene più garanzie, il
mercato può ripristinarsi. Tuttavia, occorre considerare che se la BC aumenta il tasso,
le garanzie degli imprenditori si riducono (balance sheet effect); d’altra parte, come
visto, le banche riducono la loro offerta di credito; tutto questo impedisce agli
imprenditori di finanziarsi → credit crunch.
Una soluzione possibile al credit crunch è la ricapitalizzazione bancaria mediante
spesa pubblica affinché le banche possano nuovamente fornire prestiti e si riattivi il
credit channel. La ricapitalizzazione, però, genera il rischio della moral hazard per cui
107
occorre bilanciare il suddetto rischio con l’esigenza di riattivare il canale di
trasmissione.
Infine, c’è il canale esterno: il canale che passa attraverso il tasso di cambio. A tal
proposito, ricordiamo la uncovered interest rate parity (condizione di arbitraggio che
eguaglia i rendimenti attesi degli asset di due diversi Paesi):
1 + 𝑖 = 𝑠(1 + 𝑖 ∗)⁄𝑠 𝑎
Supponiamo che la BC annunci una riduzione, per un anno, dell’1% del tasso di
interesse, dopodiché tornerà al livello precedente; supponiamo, inoltre, che ci sia un
aggiustamento lento delle quantità.
Cosa succede al tasso di cambio? Di quanto si riduce?
108
𝛥𝑠 𝑎 indica l’apprezzamento atteso che è pari, in questo caso, all’1% (in seguito
all’annuncio della BC per cui, dopo un anno, vi sarà un aumento di i dell’1% che lo
riporterà al suo livello). Dato l’apprezzamento atteso, il tasso di cambio oggi si riduce
dell’1% affinché continui a valere la condizione di arbitraggio.
Supponiamo che la riduzione duri non uno ma due anni. In questo caso, c’è un
apprezzamento atteso, oggi, del 2% compensato da un deprezzamento dello stesso
valore (affinché 𝛥𝑠 𝑎 = 0). In realtà, il tasso di interesse aumenta dell’1% all’anno
per due anni e così anche l’apprezzamento effettivo → overshoot: il tasso di cambio
(s) è molto più volatile del tasso di interesse (i); le variazioni di “s” sono più grandi di
quelle di “i” per via delle aspettative. Quanto detto è confermato dalla UIP che può
essere espressa in funzione di “s”:
E in generale:
Il tasso di cambio oggi dipende dal tasso di cambio atteso tra un certo numero di
periodi e dal valore atteso di tutti gli scostamenti del tasso di interesse domestico da
quello estero. La relazione ci mostra come “s” non dipenda solo dal differenziale tra i
tassi di i attuali ma anche da tutti i differenziali futuri → quindi i tassi di cambio
riflettono le aspettative circa l’andamento della politica monetaria futura.
Esempio: supponiamo che in un Paese con sovranità monetaria siano pubblicati dati
circa una riduzione dell’occupazione; la riduzione dell’occupazione → riduzione
dell’output → output negativo → recessione; di fronte ad una possibile recessione ci
si aspetta che la BC attui una politica monetaria espansiva → riduzione di i →
deprezzamento del tasso di cambio.
109
Lezione 20 08/11/18
POLITICHE MONETARIE
NON CONVENZIONALI
È evidente che la recessione possa bloccare i canali di trasmissione: cosa può fare la
BC in questa situazione?
Può realizzare delle politiche monetarie non convenzionali anche definite ZIRP (zero
interest rate policy) → politiche monetarie in corrispondenza di un tasso di interesse
nominale vicino o uguale a zero.
110
• Una delle possibili soluzioni, connessa al ruolo della BC quale prestatore di
ultima istanza, è la cosiddetta helicopter money: distribuzione monetaria
mediante accredito sui c/c delle persone. Si tratta, quindi, di una particolare
forma di espansione monetaria che bypassa il credit channel, fornendo
direttamente il denaro agli utenti finali senza passare per l’intermediazione
bancaria.
• Vi sono, poi, delle politiche non convenzionali adottate dalla BC con lo scopo
preciso di evitare che le banche commerciali prendano a prestito a tasso zero
per poi depositare presso la stessa BC. A tal scopo, è possibile fissare un tasso
di interesse negativo sui depositi per incentivare le banche al prestito. Altra
soluzione è quella dei prestiti vincolati: le banche sono obbligate ad utilizzare
i fondi ricevuti pena la restituzione degli stessi (target loans). Si tratta, anche in
questo caso, di incentivi e non di soluzioni strutturali: banche con un attivo
deteriorato e prospettive di peggioramento della recessione, potrebbero
decidere di non ricorrere ai prestiti vincolati.
Cos’ha fatto la BCE negli ultimi dieci anni con tassi di interesse quasi a zero?
Ha realizzato diversi programmi, tutti inquadrabili nelle quantitative easing:
✓ Long term refinincing operations: estendere i prestiti, non più a tre mesi ma a
tre anni, per influenzare i tassi di interesse a tre anni (al ribasso).
✓ Targeted longer-term refinincing operations: prestito alle banche con un
vincolo → le banche devono, a loro volta, prestare pena restituzione.
✓ Asset purchase programmes: programmi che si distinguono in base ai titoli
acquistati. Ad esempio, covered bond purchase programme o, ancora, asset-
backed securities purchase programme.
113
✓ Outright monetary transaction: operazioni di monetizzazione → acquisto di
titoli del debito pubblico.
✓ Emergency liquidity assistance: fornitura straordinaria di liquidità alle
istituzioni finanziarie in crisi.
114
Lezione 21 13/11/18
115
favoriscono il commercio internazionale ma più questo migliora, più vi è
necessità di valuta a scopi transattivi e ciò mette in dubbio la parità centrale.
• Dal 1973-74 in poi: Venuto meno il gold Exchange standard, si instaura un
regime flessibile. Tuttavia, i Paesi Europei danno vita ad un accordo locale ove
fissano il tasso tra loro. Nel ’79, in particolare, viene creato l’European
monetary system: un accordo con cambi non perfettamente fissi; c’era la parità
centrale ma c’era anche la possibilità di discostarsi dal tasso entro una
determinata banda di oscillazione (2%, ad eccezione dell’Italia alla quale era
consentita una speciale fluttuazione del 6%).
Anche questo sistema, però, entra in crisi con l’apertura dei mercati dei capitali
tra Paesi. L’apertura, infatti, determina rapidi e ingenti flussi speculativi che
rendono difficoltoso il controllo dei tassi di cambio. I Paesi, accortisi di ciò,
hanno iniziato a dare vita ad accordi sempre più stringenti fino ad arrivare
all’Euro.
La prima scelta che i Paesi devono fare concerne, dunque, la convertibilità. Avere
una moneta non convertibile è una scelta poco comune poiché determina una
chiusura con solo scambi autorizzati, caso per caso. Generalmente, la moneta è
convertibile. La moneta, inoltre, può essere convertibile per le sole operazioni di
current account: importazioni ed esportazioni e remunerazione dei fattori produttivi.
Una forma di maggiore libertà, invece, prevede la convertibilità anche per operazioni
di financial account: flussi finanziari → perfetta mobilità dei capitali (ad esempio, è
possibile chiedere prestito ad una banca estera). In realtà, in nessun Paese vi è una
perfetta mobilità dei capitali, al 100%, un minimo di controllo c’è sempre (ad
esempio, vi sono Paesi che vietano l’acquisto di determinate attività finanziarie). Il
principale beneficio della mobilità finanziaria (motivo per cui il FMI l’ha ritenuta
buona pratica macroeconomica) è la diversificazione, ovvero l’espansione delle
possibilità di investimento e di finanziamento (un investimento interno, ad esempio,
può essere finanziato anche laddove le risorse interne siano insufficienti) il che può
condurre ad una crescita maggiore nel lungo periodo. Un ulteriore vantaggio della
diversificazione è, ovviamente, anche la riduzione del rischio.
L’apertura dei mercati, però, genera anche dei problemi, motivo per cui è stata
criticata da molti, tra cui Stiglitz. In particolare, ci si apre alla possibilità di forti flussi
speculativi che determinano, a loro volta, forti fluttuazioni del tasso di cambio,
generando incertezza e rischiando di essere deleteri per un’economia in sviluppo.
Inoltre, è stato anche messo in dubbio che la mobilità finanziaria offra la possibilità di
finanziare più investimenti → Feldstein-Horioka puzzle: il risparmio e
116
l’investimento interno sono altamente e positivamente correlati tra loro; i Paesi con
investimenti maggiori sono anche quelli con un risparmio maggiore per cui questi
grandi finanziamenti esteri di investimenti interni non sembrerebbero esistere. La
spiegazione di ciò risiede nel cosiddetto “home-buys”: a parità di rendimento di due
attività finanziarie, si preferisce quella nazionale; il discorso si estende a tutti i beni e
servizi nazionali. Le ragioni di questa preferenza possono essere molteplici come, ad
esempio, una maggiore conoscenza del mercato nazionale. Inoltre, eventuali squilibri
tra risparmio ed investimento interno non possono persistere per un lungo tempo: una
situazione di risparmio basso ed investimento elevato equivale ad un forte debito
verso l’estero e ciò può creare degli squilibri nella politica monetaria.
Ulteriore differenza in materia di regime fisso può, poi, essere fatta tra tassi di
cambio fissi con un solo valore e tassi di cambio fissi che presentano una banda
117
di oscillazione. Infine, vi è il crowling peg: un meccanismo in cui il tasso di
cambio, pur essendo fisso, muta progressivamente a seguito di un
aggiornamento automatico della parità centrale in risposta all’inflazione.
N.B.
118
Lezione 22 14/11/18
TEORIE DI DETERMINAZIONE
DEL TASSO DI CAMBIO
1. Purchasing power parity: parità del potere d’acquisto, anche detta legge del
prezzo unico. Supponiamo che ci siano due categorie di beni: beni commerciabili
e beni non commerciabili, in assenza di vincoli al commercio internazionale e al
netto del tasso di cambio, il prezzo dei beni commerciabili deve essere uguale in
tutti i Paesi. La parità può essere:
- Assoluta: i prezzi sono assolutamente uguali.
119
- Relativa: i prezzi differiscono di un fattore dovuto a ragioni istituzionali
(come l’esistenza di un dazio di importazione) ma il differenziale di prezzo è
costante.
120
produttivo nei Pvs è inscindibile da un apprezzamento reale. L’unica soluzione
sarebbe continuare a tenere salari bassi mediante una politica recessiva.
Vincolo di bilancio:
𝑐2𝑒 + 𝑁2 𝑐2𝑛 𝑦2𝑒 + 𝑁2 𝑦2𝑛
𝑐1𝑒 + 𝑁1 𝑐1𝑛 + 𝑒 𝑛
= 𝑦1 + 𝑁1 𝑦1 +
1+𝑅 1+𝑅
=Y
Lagrangiana:
121
Abbiamo cinque condizioni: il consumo dei beni commerciabili nei periodi 1 e 2, il
consumo dei beni non commerciabili nei periodi 1 e 2 e, infine, il vincolo di bilancio.
𝜕𝐿 𝛽(1−𝛾) 𝜆
𝑒 = 0
𝜕𝑐2 𝑐2𝑒
−
(1+𝑅)
=0
𝜕𝐿 𝛽𝛾 𝜆𝑁2
𝑛 = 0
𝜕𝑐2 𝑛 −
𝑐2 (1+𝑅)
=0
122
Consumo del bene commerciabile e del bene non commerciabile nel
primo periodo:
𝜕𝐿 (1−𝛾)
=0 =𝜆
𝜕𝑐1𝑒 𝑐1𝑒
𝜕𝐿 𝛾
=0 =𝜆
𝜕𝑐1𝑛 𝑐1𝑛 𝑁1
𝛾
• 𝑁1 𝑐1𝑛 = 𝑐1𝑒 dalla 3° relazione
(1−𝛾)
𝛾 1 1 𝛾
• 𝑐1𝑒 + 𝑐1𝑒 + (1+𝑅) 𝛽 (1 + 𝑅 )𝑐1𝑒 + (1+𝑅) 𝛽 (1 + 𝑅 ) (1−𝛾) 𝑐1𝑒 = 𝑌
(1−𝛾)
𝛾 𝛾
• 𝑐1𝑒 (1 + +𝛽+𝛽 )=𝑌
1−𝛾 1−𝛾
𝛾
• 𝑐1𝑒 [(1 + 𝛽 ) (1 + )] = 𝑌
1−𝛾
1−𝛾
• 𝑐1𝑒 = 𝑌
1+𝛽
123
• VALUTAZIONI FINALI
𝛽 (1 + 𝑅 ) = 1
𝑐1𝑒 = 𝑐2𝑒
𝑦1𝑒 < 𝑦2𝑒
Nel primo periodo, il consumatore consuma più di quanto produce per cui “prende a
prestito” ovvero importa, generando, così, un deficit di current account. Nel secondo
periodo, il deficit viene compensato con un surplus di current account poiché si
consuma meno di quanto si produce (esportazioni). L’osservazione di questi dati
consente ai responsabili di politica economica di comprendere che lo squilibrio di
current account è, in realtà, fisiologico: esso deriva da una semplice anticipazione ad
oggi di una migliore situazione futura per cui non vi è necessità di intervento →
benign neglect (negligenza benevola).
𝛽 (1 + 𝑅 ) = 1
𝑐1𝑛 = 𝑐2𝑛
𝑦1𝑛 < 𝑦2𝑛
In questo caso, i beni non possono essere importati o esportati. Quindi, date le
assunzioni e, in particolare, le aspettative circa il livello di produzione, ci sarà un
aggiustamento dei prezzi tale che 𝑁1 aumenta e 𝑁2 diminuisce. Ma un aumento di 𝑁1
determina un aumento di 𝑐1𝑒 il che, a parità di produzione, ci riconduce al problema
precedente → deficit di current account successivamente compensato → non c’è
necessità di intervento.
124
Equazione che determina l’andamento del tasso di cambio reale:
1−𝛾
𝑠𝑡 𝑃𝑡 (𝑃𝑡𝑒 )𝛾 (𝑃𝑡𝑛 )1−𝛾 𝑃𝑡𝑒 (𝑃𝑡𝑛 (𝑃𝑡𝑒 )1−𝛾 ) 𝑁𝑡
𝑄𝑡 = ∗ = 𝑠𝑡 𝑒∗ 𝛾 𝑛∗ 1−𝛾 = 𝑠𝑡 𝑒∗ 𝑛∗ 𝑒∗ 1−𝛾 = ( ∗ )
𝑃𝑡 (𝑃𝑡 ) (𝑃𝑡 ) 𝑃𝑡 (𝑃𝑡 (𝑃𝑡 ) ) 𝑁𝑡
Conclusivamente: occorre o meno intervenire con una politica del tasso cambio?
La risposta non è chiara poiché apprezzamenti reali possono essere manifestazione
di problemi nel mercato del cambio o di una perdita di competitività ma possono
anche essere del tutto fisiologici.
125
Lezione 23 15/11/2018
AREE MONETARIE
OTTIMALI
Un’area monetaria è una forma estrema di regimi di cambi fissi e prevede l’adozione
di una moneta unica. La politica monetaria viene decisa congiuntamente dai Paesi
dell’unione monetaria.
127
il basso; in questo caso, l’aggiustamento passa necessariamente attraverso un
aumento della disoccupazione.
128
Se due paesi adottano una moneta unica, la probabilità di shock asimmetrici
aumenta?
Si, poiché la moneta unica facilita gli scambi e scambi più facili incentivano la
specializzazione settoriale (si possono facilmente sfruttare economie di scala). Se un
Paese è meno efficiente ovvero sopporta costi elevati per la produzione di un bene,
può abbandonarlo e importarlo dall’estero, focalizzando, invece, l’attenzione sulla
produzione di un altro bene (in cui il Paese appare particolarmente efficiente).
Dunque, sarebbe più facile per un paese avere una moneta propria e svalutarla in caso
di recessione. Questo però presuppone che la svalutazione non abbia costi; in realtà
non è così.
130
Lezione 24 21/11/2018
CRISI VALUTARIE
Le crisi valutarie sono molto più frequenti nei paesi che adottano regimi di cambi
fissi. Questi regimi, infatti, sono molto più esposti ad attacchi speculativi. Come si
spiega ciò? Ci sono tre diversi modelli che tentano di spiegare il perché delle crisi
valutarie nei regimi di cambio fissi.
I prezzi in Messico sono più elevati rispetto agli Stati Uniti (P > P*) perché, come
detto, vi è un’inflazione elevata. Data la relazione, questo determina un
apprezzamento reale del tasso di cambio: acquistare i beni domestici diventa più
costoso per cui → vi è un aumento delle importazioni dall’estero a dispetto delle
esportazioni che, invece, si riducono (IM>EX). Ovviamente, ciò determina un
peggioramento della bilancia commerciale e, in particolare, un deficit di current
account. Va, poi, detto che per importare è necessaria valuta estera quindi l’aumento
delle importazioni genera, a sua volta, un aumento della domanda domestica di
dollari. In questo contesto, se la BC non intervenisse (e, quindi, se il mercato del
tasso di cambio fosse flessibile) la moneta messicana si deprezzerebbe in risposta alle
tante vendite di pesos in cambio di dollari. La BC messicana deve, allora, intervenire
acquistando pesos mediante la vendita delle proprie riserve in dollari. In questo
modo, infatti, la BC farà aumentare la domanda di valuta messicana, evitandone il
deprezzamento. È chiaro che il tasso di cambio può essere difeso e mantenuto fisso se
e solo se la BC ha a disposizione un ammontare sufficiente di riserve in valuta estera.
D’altronde, fissare il tasso di cambio significa anche e soprattutto impegnarsi a
mantenerlo tale, intervenendo laddove necessario. Nel momento in cui la BC non ha
più riserve di valuta estera a disposizione, non può più intervenire e il tasso fisso non
può più essere mantenuto tale. La prima conseguenza è un deprezzamento massiccio
131
della moneta messicana. Se le persone si aspettano che la BC stia per terminare le
riserve e dichiarare il tasso fluttuante, iniziano a vendere la propria valuta domestica
secondo una logica molto vicina alla cosiddetta “corsa agli sportelli”. Ciò determina,
per l’appunto, un grande deprezzamento della moneta e una riduzione sempre più
veloce delle riserve di valuta estera possedute dalla Banca Centrale. In questo
contesto è anche possibile assistere ad attacchi speculativi da parte di individui che
cercano di lucrare sulle aspettative di riduzione del prezzo della valuta.
Sono modelli basati sulle aspettative: l’aspettativa di una svalutazione genera, di per
sé, la svalutazione (stesso meccanismo del modello Barro-Gordon). Se ci sono
aspettative inflazionistiche, l’inflazione sarà più elevata già oggi in virtù della
contrattazione salariale. L’aumento dei prezzi genera un deficit di current account e
una recessione interna. La risposta della BC alla recessione è una politica monetaria
espansiva ovvero immissione di nuova moneta in circolazione con conseguente
svalutazione. Dunque, le stesse aspettative hanno generato l’inflazione e, poi,
condotto alla svalutazione → modello di crisi auto realizzativa: la crisi è il
risultato delle aspettative.
Quanto detto finora può essere ugualmente affermato mediante l’osservazione del
tasso d’interesse interno:
(1+𝑖∗𝑡 )𝐸𝑡
Uncovered interest parity: (1 + 𝑖𝑡 ) = 𝑒
𝐸𝑡+1
Crisi bancarie e crisi valutarie sono correlate: crisi bancarie possono generare crisi
valutarie e viceversa.
134
135
Lezione 25 22/11/2018
CRISI DEL 2007: L’origine della crisi finanziaria del 2007 deve essere ricercata nel
mercato dei mutui immobiliari statunitensi e, in particolare, nel mercato dei mutui
subprime ovvero mutui concessi a soggetti con elevato rischio di insolvenza.
L’aspetto interessante è che, in realtà, i mutui subprime rappresentavano solo una
piccolissima parte dell’intero mercato dei mutui americani; eppure la crisi di una
piccola parte del mercato di un solo Paese è stata in grado di generare una crisi
globale. Come è stato possibile? E, soprattutto, perché le banche hanno concesso
mutui a debitori subprime?
Partiamo dal presupposto che in un sistema creditizio ben funzionante, i mutui
dovrebbero essere concessi in base alla capacità del debitore di ripagare il mutuo con
i propri redditi futuri. Nel momento in cui il debitore non gode di questa credibilità, si
ricerca una garanzia secondaria ovvero il collateral. Il collateral è un bene reale (o
136
finanziario) concesso in garanzia del puntuale pagamento di un debito: se il debitore
non paga, il creditore può rivalersi sul bene. Un debitore si definisce subprime
quando il credito viene concesso dalla banca esclusivamente o prevalentemente in
base al collateral il che è, esattamente, ciò che è accaduto durante la great
moderation. In questo periodo, molte persone intenzionate ad acquistare una casa e
sprovviste della credibilità necessaria, chiedevano prestito alle banche, fornendo
come collateral la stessa casa che intendevano acquistare: laddove il debitore non
avesse pagato, la banca avrebbe sempre potuto rivalersi sulla casa. È stata
esattamente questa logica a spingere le banche a concedere mutui a tutti, anche al
100% del prezzo della casa. Per esse erano convenienti anche i mutui al 100% poiché
la great moderation viveva un forte aumento dei prezzi delle case; e gli aumenti dei
prezzi delle case significavano un aumento del collateral ovvero del valore del bene
che veniva loro fornito in garanzia.
Il problema nacque nel momento in cui i prezzi delle case iniziarono a scendere e la
bolla immobiliare scoppiò. “Bolla immobiliare” perché i prezzi erano saliti a livelli
eccessivamente elevati: non solo essi non erano più in linea con i fondamentali del
mercato ma comprare una casa era diventato praticamente impossibile per qualsiasi
famiglia media americana. Ciò determinò, quindi, un’inversione di tendenza: le
persone smisero di acquistare case i cui prezzi, di conseguenza, iniziarono a scendere.
I mutui al 100% diventarono un cattivo affare per le banche, le quali, in particolare, si
trovarono ad affrontare il problema dei mutui underwater: supponiamo che una
famiglia avesse un mutuo per centomila euro, ipotecato al 100%; supponiamo, poi,
che in seguito al pagamento di un anno di rate, il valore della casa scendesse a
ottantamila euro → la famiglia, sostanzialmente, si ritrovava con un mutuo di
centomila euro per una casa che ne valeva soltanto ottantamila. È esattamente ciò che
accadde con lo scoppio della bolla immobiliare. Ovviamente, in una situazione del
genere, tutte le famiglie iniziarono a dichiarare default sul mutuo, consegnando, di
fatto, la casa alla banca; le rate già pagate venivano semplicemente considerate come
delle rate d’affitto. Questa è la ragione per cui, generalmente, non si concede mai un
mutuo al 100% del prezzo: per evitare che le persone dichiarino default sul mutuo
con cotanta facilità. Ad ogni modo, una volta dichiarato default, alle banche non restò
che cercare di vendere le case. Ma collocare, contemporaneamente, tutte le case sul
mercato non fece che incentivare il crollo dei prezzi delle stesse. In altre parole, le
banche iniziarono ad avere delle perdite generate dal mancato recupero credito.
Iniziò, così, la crisi che coinvolse non solo le banche che avevano concesso i mutui
ma anche tante altre istituzioni finanziarie: le banche, infatti, non mantenevano in
137
portafoglio i mutui; una volta estesi, li cartolarizzavano e li vendevano → così,
numerose istituzioni finanziarie entrarono in crisi per aver acquistato titoli derivati
che avevano come asset sottostante i mutui subprime.
I titoli subprime erano, peraltro, titoli molto complessi ed era difficile valutarne il
rischio. Proprio per l’incapacità di valutare il rischio di questi titoli e, quindi, degli
altrui portafogli, le banche iniziarono ad interrompere i loro prestiti reciproci. In altre
parole, ci fu un blocco del mercato interbancario dovuto all’incapacità di misurare il
rischio di controparte: nessuna banca intendeva prestare denaro a chi avesse concesso
mutui subprime o acquistato titoli subprime ma il punto era proprio l’impossibilità di
capire chi effettivamente l’avesse fatto.
La crisi bancaria determinò, così, l’insolvenza di numerose istituzioni finanziarie;
insolvenza dettata non solo dall’acquisto dei titoli subprime ma anche dal fatto che i
medesimi acquisti erano avvenuti facendo leverage (il che amplificò le perdite). Solo
alcune di queste istituzioni furono, però, salvate mediante ricapitalizzazione con soldi
pubblici (bailout). La Lehman Brothers fu lasciata fallire.
A partire da questo fallimento, il mercato interbancario collassò completamente. Le
banche cercarono, allora, di finanziarsi mediante la vendita degli asset che avevano
ancora mercato. Tutte le banche cercarono di vendere i pochi asset “buoni” posseduti
per fare cassa → ciò, ovviamente, portò ad una riduzione dei prezzi degli asset. Così,
la crisi bancaria si trasformò in una crisi dell’intero mercato azionario con
conseguenze negative generalizzate. Gli americani, avendo molti dei loro portafogli
investiti in mercati azionari, subirono un forte shock di reddito. In generale, per gli
imprenditori divenne impossibile ottenere credito → il che portò ad una riduzione
degli investimenti. Analogamente, divenne più difficile avere credito anche per i
consumatori → per cui si ridussero gli acquisti di beni durevoli, si ridusse la domanda
e, con essa, il PIL. La crisi coinvolse, così, l’intera economia reale.
Ma come avvenne il contagio internazionale?
I canali di trasmissione della crisi furono molteplici. Anzitutto, un canale finanziario:
molte istituzioni finanziarie erano esposte ai titoli tossici basati su mutui subprime;
non solo istituzioni americane ma anche europee (tutti avevano acquistati i titoli
perché avevano rating elevati ed erano, fino al crollo dei prezzi, un buon affare).
Ma ci furono anche altri canali di contagio. Ad esempio, la vendita massiccia degli
“asset buoni” da parte di banche e istituzioni americane determinò un crollo di prezzi
degli asset che coinvolse, inevitabilmente, anche gli altri paesi. Ancora, la crisi
determinò una riduzione del consumo americano, delle importazioni e, quindi, della
domanda degli altri Paesi. Ci fu, poi, un “sudden stop” di capitali, ovvero una brusca
interruzione dei flussi di capitali tra Paesi. Molte banche americane avevano
138
sussidiare in Pvs. Con la crisi, si interruppe il flusso di credito da parte delle banche
americane verso le sussidiarie che, quindi, incontrarono grandi difficoltà nel
finanziarsi.
Molti sostengono che Bill Clinton sia stata una delle cause scatenanti della crisi del
2007, data la sua pressione politica per l’estensione dei mutui a categorie
svantaggiate che non godevano della credibilità necessaria per accedere al mercato
dei mutui. Fannie Mae e Freddie Mac sono due istituzioni finanziarie che, al tempo,
utilizzavano i soldi pubblici per acquistare titoli cartolarizzati dalle banche. La
pressione politica di Clinton consisteva nel concedere più soldi a queste due
istituzioni di modo che esse potessero acquistare più titoli. Più titoli venivano
acquistati, più le banche avevano soldi per estendere altri mutui. Terminati i clienti
prime, i mutui sarebbero stati concessi anche ai clienti subprime (comprese le
categorie svantaggiate - tanto, dopo l’estensione dei mutui subprime, quest’ultimi
venivano cartolarizzati in titoli acquistati, per l’appunto, da Fannie Mae e Freddie
Mac).
Come anticipato, però, l’estensione dei mutui non era dettata esclusivamente dalla
massimizzazione dei profitti short-term ma anche dalla possibilità per le banche di
redistribuire il rischio dei mutui mediante cartolarizzazione. La cartolarizzazione di
mutui e prestiti consentiva di creare nuovi strumenti finanziari (ABS, MBS, CDO,
CMO) basati sui flussi di pagamento di un pacchetto di mutui. In altre parole, si
creavano titoli aventi come sottostante flussi di pagamento di mutui diversi (alcuni
subprime, altri no) in modo tale da diluire il rischio dei subprime (ad esempio, si
prendevano dieci mutui prime, uno subprime e si creava un nuovo titolo). I titoli così
140
creati (ABS o CMO), erano poi divisi in tranche senior e junior, ciascuna vendibile
singolarmente. I primi flussi di pagamento derivanti da mutui venivano utilizzati per
pagare le tranche senior le quali, pertanto, erano più sicure rispetto alle tranche
junior, pagate successivamente.
Era, inoltre, possibile che una tranche senior di una CMO fosse unita ad un’altra
CMO (ovvero ad un altro titolo). Operazioni di questo genere non facevano che
complicare ancor di più i titoli: era difficile capire quale fosse l’asset di riferimento
nonché il rischio connesso al titolo. In realtà, le banche agivano in questo modo di
proposito, per mascherare i titoli rischiosi. Di fatti, le agenzie di rating non avevano
idea di cosa stessero valutando. Tuttavia, prima del 2007, fintanto le cose andavano
bene e i prezzi delle case salivano, i titoli si vendevano facilmente sul mercato e i
flussi di pagamento arrivavano tanto dai mutui prime quanto dai subprime. Le
agenzie, allora, non sapendo cosa e come valutare, prendevano semplicemente atto di
queste circostanze ed attribuivano rating elevati ai titoli. Questo fino a quando le
banche non iniziarono a subire perdite: a quel punto, si resero conto di essere troppo
esposte a titoli di cui non capivano nulla e, soprattutto, immaginarono che anche le
altre banche si trovassero nella stessa situazione → da qui, la sfiducia nella
controparte e il blocco del mercato interbancario. D’altronde le continue operazioni
di cartolarizzazione e impacchettamento dei titoli avevano fatto sì che un’istituzione
finanziaria si trovasse ad acquistare titoli basati su mutui subprime senza neppure
esserne cosciente: i rischi erano correlati → Tutti, in un modo o nell’altro, erano
esposti allo stesso rischio che, una volta verificato, avrebbe generato i suoi effetti
negativi nei confronti di tutti → crisi globale.
Nel momento in cui le banche adottano il meccanismo di cui si è, finora, parlato
(estensione del mutuo → cartolarizzazione → vendita), esse perdono l’incentivo a
fare monitoring del rischio perché il suddetto rischio non è più insito nel portafoglio
bancario. Senza operazioni di monitoring, il rischio aumenta e si diffonde. C’è, in
tutto questo, un problema di moral hazard: le banche estendono eccessivamente i
mutui perché consapevoli che, in caso di default, non saranno loro a subirne le
conseguenze.
141
𝐷
Dove indica quanto si prende a prestito rispetto al capitale proprio (leverage).
𝐾
Ad esempio, se si investe capitale proprio per 100 euro e il tasso di interesse
dell’investimento (k) è pari al 3% → si guadagna il 3% della somma investita. Ma se
si investono 100 euro presi a prestito ad un tasso di interesse (i) dell’1% → si
guadagnerà solo il 2% (k-i). La leva finanziaria permette, quindi, di investire di più
ed aumentare i profitti. D’altro canto, però, se l’investimento smette di pagare, non
solo si ha una perdita dovuta al mancato rendimento dell’impiego ma si ha
un’ulteriore perdita dovuta alla necessità di restituire le somme prese a prestito → le
perdite si amplificano.
C’è anche un problema connesso a K. In una situazione in cui i prezzi delle azioni
scendono, molti crediti sono non performing e, dunque, il valore dell’attivo delle
banche diminuisce, la leverage, ovvero il capitale presto a prestito rispetto al capitale
proprio, aumenta; esponendosi maggiormente al prestito, il rischio delle banche
aumenta. Dunque, per mantenere lo stesso profilo di rischio, le banche devono fare
deleveraging: ridurre gli impieghi. Si introducono, così, dei movimenti prociclici.
Soprattutto se ci sono dei coefficienti di regolamentazione massimi per il leverage, le
banche sono obbligate a fare deleveraging in recessione il che aggrava ancora di più
la crisi. La situazione è, quindi, complicata: da un lato fare leverage amplifica le
perdite il che rende sensato imporre dei coefficienti massimi; d’altro lato, però, la
regolamentazione impone un aggiustamento prociclico, obbligando le banche a
ridurre gli impieghi in recessione e, quindi, amplificando quest’ultima.
142
Lezione 26 27/11/18
Finora sono stati analizzati gli aspetti microeconomici della crisi finanziaria
(estensione dei mutui, cartolarizzazione, acquisti col leverage e fairvalue accounting).
Cerchiamo, ora, di indagare gli aspetti macroeconomici.
Nel 2001, con lo scoppio della “bolla di Internet”, prese piede negli Stati Uniti
d’America la crisi della new economy. Il Nasdaq, ovvero l’indice dei principali titoli
tecnologici della borsa americana, era iniziato a crescere a partire dal 1999 in un
crescendo strepitoso durato fino alla primavera del 2000: a questo punto, però,
l’incanto si spezza e il Nasdaq inizia a precipitare. È così che si apre negli States un
periodo di grande recessione in risposta al quale la FED decide di attuare una forte
politica espansiva: i tassi di interesse scendono a livelli esageratamente bassi e
vengono mantenuti tali anche nel momento in cui il Paese inizia ad uscire dalla
recessione. Tassi di interesse bassi, ovviamente, inducono a prendere a prestito,
incentivando, quindi, acquisti con leverage e bolla speculativa. Proprio per questo,
molti hanno ritenuto Greenspan, allora presidente della FED, causa della crisi
finanziaria sostenendo che egli avesse mantenuto tassi di interesse troppo bassi per
troppo tempo, preoccupandosi solo del rischio di deflazione e non anche di
alimentare, in questo modo, una bolla speculativa. Greenspan, tuttavia, si difese
sostenendo che non vi erano ragioni per aumentare i tassi di interesse. Questo per
diversi motivi:
Occorre, però, evidenziare che non tutti identificavano Greenspan quale causa dei
tassi di interesse troppo bassi. Vi è, di fatti, un altro gruppo di spiegazioni;
spiegazioni basate sui cosiddetti “global imbalances” → i tassi d’interesse bassi sono
l’effetto di squilibri globali e, in particolare, di uno squilibrio: il deficit di current
account americano finanziato costantemente da altri Paesi. Si tratta, dunque, di un
afflusso di capitali negli Stati Uniti che ha mantenuto il tasso di interesse
eccessivamente basso.
• Teoria asset shortage: Molti Paesi, specialmente PVS, erano sprovvisti di sistemi
finanziari sufficientemente sviluppati per cui avevano carenza di titoli finanziari in
grado di incontrare le preferenze di tutti gli investitori interni; da ciò, nasceva
l’esigenza di rivolgersi ad un Paese estero per reperire titoli poco rischiosi in cui
investire. Il Paese estero cui rivolgersi era dato, per l’appunto, dagli Stati Uniti,
tipicamente percepiti come il Paese più sicuro.
144
Altra ragione che spingeva le BC estere ad accumulare riserve di valuta americana
era la volontà di sottrarsi al FMI: le riserve venivano utilizzate in caso di crisi,
eliminando, quindi, la necessità di chiedere prestiti al FMI. Chiedere prestiti al
FMI, infatti, equivaleva a rinunciare alla propria politica monetaria, date le rigide
condizioni legate alla concessione dei prestiti.
Va detto che anche questa spiegazione è, in realtà, stata criticata. Anzitutto perché,
se gli acquisti rientravano in una specifica strategia delle BC, viene da chiedersi
perché essi siano sempre avvenuti in modo lento e progressivo. Senza contare, poi,
che i titoli presentavano prezzi elevati e rendimenti bassi il che rendeva questa
strategia estremamente onerosa.
È chiaro a questo punto come la crisi finanziaria si sia trasformata per molti Paesi in
una crisi del debito sovrano. Le motivazioni principali sono tre:
o Per effetto degli stabilizzatori automatici.
o Per l’attuazione di politiche fiscali espansive correttive.
o Per operazioni di ricapitalizzazione bancaria.
146
Problemi ulteriori generati dalla crisi.
Spinta protezionistica: è possibile che, in seguito alla crisi, si cerchi una ripresa
della domanda interna imponendo costi all’esterno (ad esempio riducendo il
commercio con l’estero o tenendo artificialmente basso il valore del tasso di cambio).
Così, molti Paesi hanno deciso di chiudersi agli scambi con l’estero nonché alle
migrazioni dei lavoratori (Elezione Trump).
147
Lezione 27 28/11/18
Martina Mele
POLITICA DELL’OCCUPAZIONE
Attivi
𝐷𝑖𝑠𝑜𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎𝑡𝑖
• Tasso di disoccupazione =
𝑇𝑜𝑡.𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖
𝑂𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎𝑡𝑖
• Tasso di occupazione =
𝑇𝑜𝑡.𝑝𝑜𝑝𝑜𝑙𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑒𝑡à 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑎
𝑇𝑜𝑡.𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖
• Tasso di attività =
𝑇𝑜𝑡.𝑝𝑜𝑝𝑜𝑙𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑒𝑡à 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑎
148
Analizziamo, anzitutto, le dinamiche del tasso di disoccupazione. Per farlo,
supponiamo che il tasso di disoccupazione si riduca;
Inattivi
ciò non dipende, necessariamente, da una riduzione
del numero di disoccupati e, quindi, da una
transizione disoccupati→ occupati; può dipendere
anche da una transizione disoccupati→ inattivi:
persone in cerca di lavoro, smettono di cercare
Occupati Disoccupati un’occupazione. Viceversa, gli occupati possono
perdere il lavoro (→disoccupati) e, addirittura,
smettere di cercarlo (→ inattivi). In particolare,
quest’ultima circostanza si verifica in fasi recessive poiché il peggioramento della
situazione economica può scoraggiare i disoccupati che, quindi, smettono di cercare
lavoro. Infine, gli inattivi possono iniziare a cercare lavoro (→disoccupati). Ciò
avviene, invece, in una fase di espansione poiché, di fronte al miglioramento della
situazione macroeconomica, gli individui ripongono maggiore fiducia nella ricerca
lavorativa. È anche possibile, sebben più raro, che una persona inattiva inizi
direttamente a lavorare (→occupato).
Ulteriore circostanza che può verificarsi è l’isteresi: disoccupati che restano tali per
un lungo tempo. O, analogamente, la trappola dell’inattività: più si è inattivi, più vi è
il rischio di permanere nell’inattività. Infine, è anche possibile che un occupato
mantenga la propria occupazione nel tempo.
Ad ogni transazione è associata
una probabilità.
Probabilità che gli occupati al tempo t,
restino tali anche al tempo t+1. La matrice
delle probabilità fornisce un’idea dei flussi
Occupati t+1 che avvengono nel mercato del lavoro.
Occupati
T 90 %
Altro aspetto fondamentale relativamente ai mercati del lavoro è che essi sono, in
genere, molto segmentati: cioè ci sono mercati molto specifici (per specifiche
occupazioni, competenze o caratteristiche personali) per cui avrebbe molto più senso
osservare tassi di disoccupazione specifici (o per specifiche figure professionali o per
caratteristiche personali). Ad esempio, tasso di disoccupazione maschi-femmine, per
fasce d’età o, ancora, per settori industriali.
L’aspetto più importante è la gestione della riallocazione dei lavoratori dai settori in
declino a quelli in espansione: più la riallocazione è facile, meno vi sarà
disoccupazione. Proprio per questo, la sfida nell’economia è avere istituzioni che
riescano a realizzare la riallocazione in tempi rapidi e in modo efficiente.
150
Differenza mercato del lavoro americano ed europeo.
Vacancies
Unemploy
151
Modelli di matching nel mercato del lavoro: l’incontro tra l’impresa che cerca
nuovi lavoratori e gli individui che cercano lavoro (coprire una vacanacies). La curva
è decrescente: se ci sono molte vacancies, ci saranno meno disoccupati. A tal
proposito, si dice che “il mercato è largo”. Viceversa, il mercato sarà stretto.
1. Sebbene la recessione, il
B funzionamento del mercato del lavoro non
cambia: le imprese assumono meno, i
A
disoccupati aumentano e, dunque, ci si
sposta in B ma non ci sono variazioni
circa la modalità di funzionamento del
mercato (la curva può essere vista come
misura di efficienza del mercato).
2. Il funzionamento peggiora: supponiamo che la recessione dipenda da una
carenza di domanda di automobili prodotte solo in una regione del Paese
(shock localizzato della domanda). Questo può determinare un peggioramento
del processo di matching, perché?
Scarsa mobilità dei lavoratori: imprese che cercano lavoratori ma non si
trovano nell’area interessata dallo shock; lavoratori espulsi dal settore e
divenuti disoccupati a causa dallo shock ma non sono disposti a spostarsi →
impossibilità di matching → peggioramento → la curva si sposta verso l’alto.
152
MODELLO NEOCLASSICO DEL MERCATO DEL LAVORO
Salario
Disoccupazione
creata S
W’
Forza Lavoro
Tot. Forza
lavoro
La disoccupazione si crea laddove il salario presente sul mercato sia più elevato del
salario di equilibrio (w’>w*). Ciò accade quando l’offerta di lavoro (da parte dei
lavoratori) è superiore alla domanda di lavoro.
L’offerta di lavoro è funzione crescente del salario: gli individui sono disposti a
lavorare di più con un salario più elevato. Per comprenderne la ragione, si pensi ad un
modello di scelta intertemporale tra lavoro e tempo libero: lavorare di più consente di
guadagnare e consumare di più ma, d’altra parte, determina anche una perdita di
utilità derivante da una riduzione del tempo libero a disposizione; quindi, aumenti del
salario compensano la sostituzione del tempo libero con lavoro.
Al contrario, la domanda di lavoro da parte delle imprese è una funzione decrescente
dei salari: più sono costosi i lavoratori, meno le imprese tenderanno ad assumere.
Quindi, di fronte ad un salario più elevato rispetto a quello d’equilibrio, si determina
un divario tra l’offerta e la domanda di lavoro: quel divario rappresenta, esattamente,
la disoccupazione creatasi.
153
Posto che un salario più elevato crea disoccupazione, sorge un’altra domanda:
perché il salario è più elevato? Individuiamo tre possibilità:
In definitiva, è possibile che salari più elevati siano il risultato di una contrattazione
tra imprese e sindacati.
Disoccupazione di
Disoccupazione
piena occupazione
Disoccupazione Disoccupazione classica
d’equilibrio keynesiana
155
Lezione 28 29/11/18
MODELLO WAGE-SETTING
PRICE-SETTING
PS:
𝑃 − 𝑤 𝑎 = 𝛽0 − 𝛽1𝜇
𝑤 𝑎 rappresenta il salario atteso. Quindi, supponendo che vi siano solo costi legati alla
forza lavoro, 𝑃 − 𝑤 𝑎 rappresenta il mark-up atteso delle imprese ed è funzione
decrescente del livello di disoccupazione: se la disoccupazione è elevata, il margine si
riduce. Ciò avviene in recessione quando la domanda aggregata è bassa e le imprese,
per continuare a stare sul mercato, riducono i prezzi e, di conseguenza, il loro
margine di guadagno. Al contrario, in una fase espansiva dell’economia, le imprese
possono permettersi un più ampio margine.
WS:
𝑤 − 𝑃𝑎 = 𝛾0 − 𝛾1 𝜇
𝑃 = 𝑃𝑎
𝑤 = 𝑤𝑎
Da cui:
𝑃 − 𝑤 = 𝛽0 − 𝛽1 𝜇
𝛽0 + 𝛾0 Disoccupaz.
𝑤 − 𝑃 = 𝛾0 − 𝛾1 𝜇 𝛽0 − 𝛽1 𝜇 ∗ = −𝛾0 + 𝛾1 𝜇 ∗ 𝜇∗ =
𝛽1 +𝛾1 di equilibrio
𝑤⁄ PS
𝑃
PS’
WS
𝜇∗ 𝜇′ 𝜇
𝑃 − 𝑤 𝑎 = 𝛽0 − 𝛽1 𝜇
𝑤 − 𝑃𝑎 = 𝛾0 − 𝛾1 𝜇
𝑃 − 𝑤 + 𝑤 − 𝑤 𝑎 = 𝛽0 − 𝛽1 𝜇 𝑃 − 𝑤 = 𝛽0 − 𝛽1 𝜇 − (𝑤 − 𝑤 𝑎 )
𝑤 − 𝑃 + 𝑃 − 𝑃𝑎 = 𝛾0 − 𝛾1 𝜇 𝑤 − 𝑃 = 𝛾0 − 𝛾1 𝜇 − (𝑃 − 𝑃𝑎 )
Da cui:
𝛽0 − 𝛽1𝜇 − (𝑤 − 𝑤 𝑎 ) = −𝛾0 + 𝛾1 𝜇 + (𝑃 − 𝑃𝑎 )
158
Ai fini della discussione del modello, assumiamo, per semplicità, 𝑤 − 𝑤 𝑎 = 𝑃 − 𝑃𝑎
→ P e w si muovono in modo proporzionale: variazioni di prezzo e variazioni di
salario sono correlate, si muovono insieme. Ne deriva:
2(𝑃−𝑃𝑎 ) 1 𝛽1 +𝛾1
𝜇 = 𝜇∗ − 𝜇 − 𝜇 ∗ = − (𝑃 − 𝑃𝑎 ) con 𝜗 =
𝛽1 +𝛾1 𝜗 2
∆𝑃𝑎 = 𝛷(𝐿)∆𝑃 → Φ(L) è il lag operator: le variazioni attese dei prezzi dipendono
dalle variazioni di prezzo che si sono verificate in passato.
↑ ∆𝛾 → ↑ 𝛽0 → ↑ (𝑃 − 𝑤 𝑎 ) → ↓ 𝜇.
160
Lezione 29 05/12/18
MODELLI DI MATCHING
È una classe di modelli utilizzata moltissimo non solo per descrivere l’equilibrio del
mercato del lavoro ma anche per altri mercati. In un modello di matching, il prezzo
non è determinato dall’incrocio tra domanda e offerta (come avviene normalmente
nel modello marshalliano) ma anche da fattori più sofisticati quale la contrattazione
salariale tra lavoratori ed imprese.
Primo elemento fondamentale del modello è la funzione di matching che può essere
intesa quale funzione di produzione poiché indica la creazione di nuovi posti di
lavoro. Gli input della funzione sono le vacancies (posti di lavoro resi disponibili
dalle imprese) e i disoccupati:
M(V,U)
161
(lato imprese)
Nel decidere se aprire o meno una nuova vacancy, l’impresa cerca di massimizzare il
suo profitto atteso per cui osserva il surplus che otterrebbe dalla copertura della
vacancy rispetto alla situazione di non copertura. Tuttavia, occorrere costruire un
vero e proprio programma di massimizzazione che consideri anche il fatto che una
vacancy, una volta aperta, potrebbe richiedere tempo prima di essere coperta
(probabilità di coprire la vacancy); senza contare che, anche una volta trovato il
nuovo lavoratore, come si è detto, quest’ultimo potrebbe separarsi dall’impresa dopo
un certo periodo (tasso di separazione).
𝑀(𝑉,𝑈) 𝑉 𝑈 𝑈
= 𝑀 ( , ) = 𝑀 (1, ) → probabilità di coprire la vacancy ovvero di
𝑉 𝑉 𝑉 𝑉
trovare un lavoratore. Questa stessa probabilità può anche essere scritta come
funzione decrescente della labor market tightness. Innanzitutto, la
labor market tightness indica quanto è largo o stretto il mercato ed è:
𝑉
𝜗= .
𝑈
162
Alla luce di quanto detto, non stupisce che la probabilità di coprire la vacancy sia
funzione decrescente della labor market tightness:
𝑚(𝜗) < 0
(lato lavoratori)
𝑴𝒆 − 𝑴𝒅 → Surplus del lavoratore: ciò che guadagna essendo occupato meno ciò
che avrebbe guadagnato se fosse stato disoccupato.
163
In questo modello il salario viene determinato dalla contrattazione tra lavoratori ed
imprese. In particolare, si assume un nash bargaining tra lavoratori ed imprese:
quest’ultimi, cioè, si dividono il surplus derivante dalla creazione di un nuovo
matching.
𝜸
𝒘 = 𝐀𝐫𝐠 𝐦𝐚𝐱 (𝑴𝒆 − 𝑴𝒅 ) (𝝅𝒆 − 𝝅𝒖 )𝟏−𝜸 con 𝛾= potere contrattuale dei
𝒘
lavoratori.
L’equilibrio è dato dal punto di incontro tra i posti di lavoro distrutti e posti di lavoro
creati.
w
Curva dei
salari
Curva di domanda
del lavoro
Comportamento delle imprese: se i salari sono bassi, per le imprese è più conveniente
assumere nuovi lavoratori; dunque, più bassi saranno i salari, più le imprese
apriranno nuove vacancies e più 𝜗, il rapporto tra vacancies e disoccupati, sarà
elevato. → curva di domanda del lavoro decrescente.
𝑈 𝑈 1 𝑠
𝜇= = = =
𝑈+𝑁 𝑈𝜗𝑚(𝜗) 𝜗𝑚(𝜗) 𝑠 + 𝜗𝑚(𝜗)
𝑈+ 1+
𝑠 𝑠
Il tasso di disoccupazione 𝜇 è funzione decrescente di 𝜗: se 𝜗 aumenta, la probabilità
di trovare lavoro aumenta per cui 𝜇 diminuisce.
STATICA COMPARATA
165
2. Aumento dei sussidi di disoccupazione:
166
4. Migliore funzionamento delle agenzie di collocamento:
w S’ Se le agenzie di collocamento
funzionano meglio, vengono creati più
S posti di lavoro (più matching) →
aumenta la probabilità di trovare lavoro
per i disoccupati ma anche la probabilità
di trovare lavoratori per le imprese.
D’
Dunque, da un lato, il lavoratore trova
D più facilmente un’occupazione per cui
aumenta il suo potere contrattuale e con
esso i salari (la curva dei salari S si sposa
verso l’alto in S’). D’altra parte,
𝜗 l’impresa ha maggiore probabilità di
trovare lavoratori per cui è più propensa
a ricercarli ovvero ad aprire vacancy (la
curva di domanda di lavoro D si sposta
anch’essa verso l’alto in D’). In
conseguenza di questi movimenti, i salari
sicuramente aumentano; non è invece
chiaro l’effetto su 𝜗 e, dunque, sulla
disoccupazione poiché esso dipende
dalla struttura del mercato.
167
POLITICHE DELLA DOMANDA DI LAVORO
(Volte a ridurre la disoccupazione)
169
Lezione 30 06/12/18
Costi di licenziamento
170
cambiamenti ed innovazioni. Le imprese innovative assumono forza lavoro giovane
con competenze altamente specifiche in settori innovativi e si caratterizzano sempre
più per un’elevata produttività, scalzando, in questo modo, le imprese tradizionali
caratterizzate, invece, da una forza lavoro di età mediamente più elevata e con
competenze in settori tradizionali, scarsamente innovativi. Il risultato di questo
processo è un aumento della produttività aggregata: le imprese innovative
guadagnano quote di mercato sulle imprese tradizionali proprio perché esse, come
detto, godono di una produttività maggiore.
171
Un esempio di politica in grado di rendere l’economia più dinamica è la sostituzione
del controllo giuridico sulla legittimità dei licenziamenti con un’indennità: posto che
il giudice è competente a valutare la legittimità dei licenziamenti economici,
l’impresa può sottrarsi al controllo pagando un’apposita indennità per il
licenziamento. L’impresa, quindi, non deve più chiedere il “consenso” per il
licenziamento, è sufficiente che essa paghi un costo. Ciò rende l’economia più
dinamica. Di fatti, in un sistema in cui è presente un controllo giuridico, il costo del
licenziamento per l’impresa è incerto; l’impresa potrebbe anche non poter licenziare.
Dunque, in un sistema di questo genere, fissare un costo, certo per legge, significa
ridurre i costi di licenziamento poiché elimina l’incertezza per le imprese, facilita i
licenziamenti e, con essi, le assunzioni.
Sussidi di disoccupazione.
Il sussidio è un sostegno al reddito di persone prive di occupazione. Per capire come
deve essere strutturato un sussidio, occorre considerare tre dimensioni:
Reddito di cittadinanza.
173
TAR, il che, inutile dire, genera enorme incertezza. L’alternativa sarebbe tipizzare
alcune ipotesi ovvero compiere una lista delle offerte di lavoro ritenute “congrue”.
Ma, in realtà, anche in questo caso, non si eliminerebbe l’incertezza della sanzione; e
se la sanzione è incerta, il reddito di cittadinanza diviene un sussidio indeterminato il
cui rischio tipico, come si è precedentemente visto, è la persistenza della
disoccupazione.
Cassa integrazione.
Innanzitutto, la cassa integrazione prevede che i lavoratori ricevano denaro nel caso
in cui essi vengano licenziati dalla loro azienda a causa di forti shock negativi della
domanda. Qual è il problema di un trasferimento monetario di questo genere?
174
Lezione 31 11/12/18
175
nazionale. Queste circostanze rendono il PIL una misura imprecisa così come,
anche, le attività illegali le quali per legge non possono essere dichiarate.
• Utilizzo di risorse naturali: Nei processi produttivi, vengono utilizzate delle
risorse scarse in natura. Tuttavia, nella contabilità nazionale, si considera
esclusivamente il risultato del processo produttivo e non anche la riduzione
delle risorse naturali a disposizione. Aumenti del PIL, quindi, possono anche
indicare una diminuzione delle suddette risorse e, conseguentemente, minori
possibilità di crescita in futuro (sviluppo sostenibile).
Alla luce di quanto detto, è stato anche proposto un indicatore alternativo al PIL:
human devolopment index (indice dello sviluppo umano) costruito tenendo presente
tutti gli elementi problematici appena esposti.
[Decrescita felice: Posta la parzialità del PIL, l’idea della “decrescita felice” è che
ad una riduzione del PIL possa, addirittura, corrispondere un aumento del benessere
della popolazione. Occorre tener presente, però, che, nel lungo periodo, un
miglioramento del benessere della popolazione senza crescita è impossibile.]
Rapporto crescita-disuguaglianza.
1. Effetto della crescita sulla disuguaglianza: contributo classico → Kuznes
curve.
Disug.
La relazione tra disuguaglianza e PIL è data da
una curva ad U. Il modello di riferimento alla
base della Kuznes curve è la transazione da
un’economia rurale ad un’economia
manifatturiera: una società in cui le attività
economiche sono basate sull’agricoltura è una
società essenzialmente ugualitaria poiché le
Pil tecnologie di produzione sono le stesse.
La disuguaglianza aumenta nel momento in cui c’è una transazione verso
un’economia manifatturiera caratterizzata da innovazioni tecnologiche: gli operai del
settore riescono ad appropriarsi di maggiori rendite rispetto agli agricoltori poiché
impiegati nel settore a produttività più elevata. Tuttavia, quando le tecnologie si
diffondono per cui vi è una transazione completa verso il settore manifatturiero, con
pochissimi impiegati nel settore agricolo, le disuguaglianza si riducono nuovamente.
176
Contributi moderni → Modelli Schumpeteriani → Distruzione creatrice: settori
tradizionali in declino, settori innovativi in espansione → riallocazione del
potere di mercato così come della forza lavoro.
Convergenza.
Ci sono due idee di convergenza:
• Beta convergenza: i Paesi più poveri crescono più rapidamente dei Paesi più
ricchi. Questa convergenza può anche essere intesa come relazione tra
disuguaglianza tra Paesi e crescita.
La ragione principale per cui il Paese più povero cresce più rapidamente risiede
nell’imitazione tecnologica: esso può crescere imitando le innovazioni
tecnologiche create e attuate dai Paesi più ricchi che hanno già vissuto la
crescita. La crescita più rapida, però, può anche essere una conseguenza dei
foreign direct investment: un Paese più avanzato può decidere di aprire una
filiale in un Paese più povero, trasferendo, così, mediante un investimento
diretto, la tecnologia all’estero.
Empiricamente, però, non vi sono grandi argomentazioni che dimostrino la
beta-convergenza; affinché essa sia valida, occorre premere su altre
caratteristiche individuali dei Paesi → in altre parole, la beta convergenza
esiste solo all’interno di gruppi ristretti di Paesi con caratteristiche omogenee
(convergence club); ad esempio paesi che hanno infrastrutture, istituzioni o,
ancora, livelli di istruzione simili.
178
• Sigma convergenza: Diminuzione della varianza della distribuzione del PIL in
un gruppo di Paesi → Immaginando di scrivere la distribuzione statistica del
PIL di un gruppo di Paesi e di calcolarne la varianza, la sigma convergence
indica una riduzione della suddetta varianza a seguito della quale si ha una
distribuzione più concentrata e livelli di PIL dei Paesi più simili tra loro.
Vi sono modelli di crescita che hanno come conseguenza questa riduzione:
Paesi poveri che raggiungono i livelli di PIL dei Paesi più ricchi.
La differenza tra beta e sigma convergence è data, esclusivamente, dal modo in cui si
misura il ravvicinamento tra Paesi; ovvero il modo in cui si analizza il processo di
raggiungimento che va dai Paesi più poveri a quelli più ricchi: nella beta-convergence
questo processo si misura mediante i differenziali dei tassi di crescita; nella sigma-
convergence, invece, come riduzione della varianza della distribuzione del PIL.
𝑌𝑡 = 𝐹(𝐾𝑡 , 𝑁𝑡 , 𝐴𝑡 )
179
Focalizziamo l’attenzione sulla TFP, cercando di scrivere la relazione in termini di
variazione nel tempo:
𝐾̇𝑡 𝑁̇𝑡
: tasso di crescita del capital mentre; : tasso di crescita della forza lavoro.
𝐾𝑡 𝑁𝑡
181
Lezione 32 12/12/18
𝑌𝑡 = min (𝐴𝑡 𝐾𝑡 , 𝐿𝑡 𝐵𝑡 )
182
Funzione di produzione:
(1−𝛼)
𝑌𝑡 = 𝐴𝑡 𝐾𝑡𝛼 𝐿𝑡
𝐿̇𝑡
=𝑛
𝐿𝑡
- Variazione percentuale del capitale → Processo di accumulazione del capitale →
per capire come avviene l’accumulo, occorre partire, anzitutto, dal risparmio:
𝑆𝑡̇ = 𝜎𝑌𝑡
Nel modello di Solow, il risparmio è esogeno: si risparmia una quota fissa (𝜎) di
quanto si produce. Il modello descrive un’economia chiusa ove c’è solo consumo
o risparmio per cui il consumo sarà dato da ciò che non si risparmia:
𝐶𝑡 = (1 − 𝜎)𝑌𝑡 .
In un’economia chiusa il risparmio è uguale all’investimento, dunque:
183
𝐼𝑡 = 𝜎𝑌𝑡
𝐾̇𝑡 = −𝛿𝐾𝑡 + 𝐼𝑡
𝐼𝑡
𝑘̇𝑡 = −𝛿𝑘𝑡 + − 𝑘𝑡 𝑛 → variazione percentuale del capitale procapite
𝐿𝑡
184
𝑦𝑡 = 𝑘𝑡𝛼
𝛼
𝑘̇𝑡 = 𝜎𝑘𝑡 − (𝛿 + 𝑛)𝑘𝑡
n (𝛿 + 𝑛)𝑘𝑡
Rappresentazione
Grafica:
k
k*
Dati i rendimenti marginali decrescenti, esisterà uno stato stazionario oltre il quale il
capitale procapite smette di accumularsi per cui la sua variazione è pari a zero: 𝑘̇𝑡 =
1
𝛼 (𝛿+𝑛)𝛼−1
0→ 𝜎 𝑘𝑡 = (𝛿 + 𝑛)𝑘𝑡 → 𝑘𝑡∗ = : capitale procapite stazionario.
𝜎
Il capitale procapite cresce fino a quando non si raggiunge lo stato stazionario; a quel
punto, smette di crescere e si ancora al livello 𝑘𝑡∗ per cui il capitale 𝐾𝑡 cresce allo
stesso tasso di crescita della forza lavoro 𝐿𝑡 .
185
Dunque, l’investimento procapite, in stato stazionario, è esattamente quello che serve
a rimpiazzare il capitale distrutto per deprezzamento e a dotare la nuova forza lavoro
di capitale. Esso, quindi, è la somma di due fattori:
𝑖𝑡 = 𝑛𝑘𝑡 + 𝛿𝑘𝑡
𝛿𝑘𝑡 rappresenta il capitale distrutto mentre 𝑛𝑘𝑡 rappresenta la crescita della forza
lavoro; entrambe devono essere compensate da 𝑖𝑡 .
n B
Ora, aggiungiamo una nuova assunzione al modello di Solow; supponiamo che vi sia
progresso tecnologico:
𝐴̇𝑡
=𝑔
𝐴𝑡
Definiamo, inoltre, 𝑘𝑡 , non più come capitale pro capite, ma come capitale per unità
di lavoro effettivo:
186
𝐾𝑡
𝑘𝑡 =
𝐴 𝑡 𝐿𝑡
In definitiva, si può dire che il modello di Solow non spiega realmente la crescita ma,
piuttosto, la descrive poiché esso dipende interamente da due fattori esogeni: crescita
della forza lavoro e miglioramento tecnologico. Dunque, anche questo modello, così
come il modello Harrod-Domar, appare insufficiente sebbene fornisca un’importante
implicazione di politica economica (l’aumento del risparmio ha soltanto effetti di
breve periodo). Esso si limita a descrivere la crescita, non ad indagarne le ragioni.
187
Supponiamo che il livello di consumo debba essere ottimale → per cui cerchiamo di
risolvere 𝜎 come il livello che massimizza il consumo di lungo periodo (in stato
stazionario):
1
(𝛿+𝑛)𝛼−1
Ricordiamo che: 𝑦𝑡 = 𝑘𝑡𝛼 e 𝑘𝑡∗ = (capitale procapite in stato stazionario).
𝜎
𝛼
(𝛿+𝑛)𝛼−1
Noi stiamo considerando il consumo di stato stazionario per cui: 𝑦𝑡 = . Da
𝜎
ciò:
𝛼 𝛼
𝜎̂ = 𝐴𝑟𝑔𝑚𝑎𝑥 {(1 − 𝜎)𝜎 −𝛼−1(𝑛 + 𝛿)𝛼−1}
𝑘𝑡 𝛼−1
𝑀𝑃𝐾 = 𝛼𝑘𝑡𝛼−1 𝐿1−𝛼
𝑡 = 𝛼( ) = 𝛼𝑘𝑡𝛼−1
𝐿𝑡
1
(𝛿+𝑛)𝛼−1
Ricordiamo che 𝑘𝑡∗ = (il denominatore è 𝛼 e non più 𝜎 poiché abbiamo
𝛼
endogenizzato livello di consumo che è, in questo caso, ottimale: 𝜎̂ = 𝛼). Quindi:
1 𝛼−1
(𝛿 + 𝑛)𝛼−1
𝑀𝑃𝐾 = 𝛼𝑘𝑡𝛼−1 = 𝛼[ ] = 𝛿+𝑛
𝛼
Assumiamo ora che vi sia concorrenza perfetta per cui prodotto marginale = costo
marginale.
Ne deriva:
188
𝑛 = 𝑅 → Golden rule della crescita: la crescita ottimale si ha quando il tasso di
interesse reale eguaglia il tasso di crescita della popolazione.
𝑀𝑃𝐾 = 𝑛 + 𝛿 + 𝑔
𝑛+𝑔 = 𝑅
N.B. La convergenza è una conseguenza del modello di Solow (Paesi poveri crescono
più velocemente dei Paesi ricchi). Perché? Rendimenti marginali crescenti: i Paesi
più poveri accumulano più rapidamente perché il rendimento è più alto. In un
importante contributo classico, Mankiw-Romer e Weil hanno osservato come, nel
modello di Solow, non vi sia convergenza per cui esso sembrerebbe non descrivere
bene il processo di crescita; tuttavia, gli stessi hanno sottolineato che, estendendo il
modello di Solow anche al capitale umano (accanto a lavoro e capitale fisico),
diviene possibile osservare e descrivere anche il processo di convergenza.
189
Lezione 33 13/12/18
• Modello di Romer
• Modello di Barro e Sala-i-Martin
• Modello di Aghion e Howitt
190
Occorre, tuttavia, sottolineare che la singola impresa decide quanto capitale
accumulare in base al proprio prodotto marginale e non in base al prodotto del
capitale a livello aggregato (che è, ovviamente, più elevato rispetto a quello della
singola impresa). In altre parole, l’impresa considera se stessa e non anche gli effetti
benefici del proprio accumulo sul resto dell’economia per cui, in mancanza di
incentivi, essa accumulerà troppo poco capitale. Da ciò cresce l’importanza della
politica economica il cui compito è quello di allineare l’incentivo individuale
all’incentivo pubblico: essa deve, in altri termini, incentivare l’accumulazione di
capitale poiché altrimenti le imprese ne accumulerebbero troppo poco.
I rendimenti del capitale sono costanti quindi, ancora una volta, il modello della
crescita è endogeno: la crescita è sostenuta di per sé, non vi sono più rendimenti
decrescenti del capitale. (È esattamente la stessa logica alla base del modello di
Romer; tuttavia, in questo caso, anziché assumere esternalità positive dovute
all’accumulazione di capitale, assumiamo che la crescita generi, di per sé, maggiori
risorse le quali aumentano la produttività grazie ad una maggiore spesa pubblica).
Ora, assumendo concorrenza perfetta, in equilibrio, la produttività marginale del
capitale deve essere uguale al costo marginale del capitale (𝑀𝑃𝐾 = 𝑐 𝑘 ).
Calcoliamo MPK (derivata della funzione di produzione rispetto al capitale al netto
delle tasse):
𝜕𝑌 (1−𝛼)
1−𝛼
(1−𝛼)
1−𝛼
𝑀𝑃𝐾 = (1 − 𝜏) = (1 − 𝜏)𝐴𝑡 𝜏 𝛼 = (1 − 𝜏)𝐴𝑡 𝜏 𝛼
𝜕𝑘
Ricordiamo che 𝑐 𝑘 = 𝑅 + 𝛿. Quindi la condizione di equilibrio è:
1−𝛼
(1 − 𝜏)𝐴(1−𝛼)
𝑡 𝜏 𝛼 =𝑅+𝛿
𝑘𝑡+1 = (1 − 𝑔)𝑘𝑡 + 𝐼𝑡
𝐼𝑡 = 𝑆𝑡
192
In queste circostanze, g è anche il tasso di crescita del consumo e del capitale
(sentiero di crescita bilanciata). Per cui:
𝑐𝑡+1 1+𝑅
=1+𝑔 → 1+𝑔=
𝑐𝑡 1+𝜌
In termini approssimativi:
𝑔≅𝑅−𝜌
𝜏∗ 𝜏
193
1−𝛼 1−𝛼 1−𝛼 1 1−𝛼
𝜏 = ( 1 − 𝜏 )( ) → 𝜏 [1 + ]= → 𝜏[ ] =
𝛼 𝛼 𝛼 𝛼 𝛼
Modelli Schumpeteriani: Ancora una volta, si tratta di modelli endogeni per cui
incrementi della produttività derivano da fattori interni, in particolare fattori
194
d’ispirazione schumpeteriana: l’economia cresce grazie a guadagni di produttività e i
guadagni di produttività, a loro volta, derivano dal processo innovativo attuato dalle
imprese. Un’impresa che innova, si appropria delle rendite derivanti dal processo
innovativo; ciò incentiva la stessa ad innovare. Dunque, il progresso tecnico è una
conseguenza del processo innovativo delle imprese e dipende fortemente dal fatto che
le imprese possano appropriarsi delle rendite derivanti dalle stesse innovazioni.
𝐿 = 𝑋+𝑁
• 𝐿: Forza lavoro totale che può essere impiegata direttamente nella produzione
o, al contrario, in R&D (research and development).
• 𝑁: Quota di lavoratori impegnati nella ricerca.
• 𝑋: Quota di lavoratori impegnati direttamente nella produzione.
𝑌 = 𝐴𝑋𝛼 (𝛼 < 1)
𝜋(𝛾) = 𝛾𝐴𝑋𝛼 − 𝜔𝑋
Il salario 𝜔, uguale per lavoratori impegnati nella produzione e ricercatori, può essere
scritto anche in termini di profitto atteso dell’innovazione:
195
𝜔 = 𝜆 𝜋(𝛾)
1−𝛼
𝜋 ∗(𝛾) = 𝑋 ∗𝜔 → profitto ottimo in corrispondenza della scelta ottima di
𝛼
lavoratori impegnati nella produzione.
Ricordiamo che:
1−𝛼
𝜔 = 𝜆𝜋(𝛾) → 𝜔=𝜆 𝑥 ∗𝜔
𝛼
1 𝛼
𝑥∗ = → livello ottimo di lavoratori impegnati nella produzione
𝜆 1−𝛼
1 𝛼
𝑁∗ = 𝐿 − → livello ottimo di lavoratori impegnati nel processo
𝜆 1−𝛼
innovativo18
𝑔 = 𝜆 (𝛾 − 1)𝑁
18
L’allocazione ottimale di X e N dipende esclusivamente dalla probabilità che si verifichi l’innovazione 𝜆 e
non anche dalla produttività aggiuntiva 𝛾.
196
Conclusioni di politica economica derivanti dal modello:
• Il processo di innovazione si realizza con le imprese che innovano e si
appropriano delle rendite derivanti dalle innovazioni. Occorre, quindi,
incoraggiare le imprese ad innovare, anche se si pone al riguardo un problema
di incoerenza temporale: la politica ottimale ex-ante è diversa dalla politica
ottimale ex-post. Si pensi, ad esempio, al sistema dei brevetti.
Ex-ante: è ottimale dire alle imprese che, in caso di innovazioni, esse avranno
il massimo vantaggio possibile derivante dall’innovazione. Ad esempio,
estendendo il periodo in cui il brevetto garantisce monopolio e, dunque, il
periodo in cui nessun’altro potrà usufruire della nuova tecnologia. La
completa appropriabilità delle rendite derivanti dall’innovazione, spinge le
imprese verso l’innovazione e determina, quindi, maggiori innovazioni.
Ex-post: Una volta che le innovazioni sono state realizzate, però, è ottimale
diffondere la conoscenza in modo tale da creare vantaggi per tutti.
L’appropriabilità completa delle rendite, infatti, crea un monopolio per
l’innovatore e determina una perdita di benessere per i consumatori costretti a
pagare prezzi più alti. Ex-post, quindi, sarebbe ottimale revocare il brevetto al
fine di diffondere i benefici dell’innovazione. Ma se l’impresa si aspetta la
revoca del brevetto, non innoverà per cui ci saranno meno innovazioni e una
minore crescita di lungo periodo.
• Se gli incrementi di produttività e, dunque, la crescita derivano dal processo
innovativo, occorre favorire le imprese innovative e non rallentare il processo
di “distruzione creatrice” schumpeteriano: in quest’ottica alcune politiche volte
ad aiutare e sostenere imprese in declino, qual è, ad esempio, la politica della
cassa integrazione, non hanno senso poiché si limitano a ritardare l’uscita dal
mercato delle suddette imprese, rallentando il processo innovativo.
New growth theory: Le nuove teorie della crescita, diversamente dalle altre, non
si limitano a considerare la funzione di produttività aggregata; esse considerano
elementi aggiuntivi suscettibili di influenzare la crescita di lungo periodo.
Ragioniamo, ad esempio, su due possibili elementi: il ruolo del commercio
internazionale e dei fattori geografici.
197
Innanzitutto, per istinto di sopravvivenza: l’apertura dei mercati internazionali
alimenta fortemente la concorrenza e la concorrenza, a sua volta, spinge le
imprese ad innovare per rimanere competitive.
Inoltre, l’apertura dei mercati determina un aumento delle rendite derivanti
dalle innovazioni. Di fatti, una volta che l’impresa riesce a realizzare
un’innovazione, venderà in un mercato molto più ampio.
Un ulteriore meccanismo derivante dall’apertura dei mercati che favorisce la
crescita è il trasferimento delle tecnologie da un Paese all’altro.
Infine, occorre ricordare le economie di scala: la possibilità di vendere in più
mercati favorisce, infatti, il raggiungimento di economie di scala, aumenta
l’efficienza produttiva e determina, così, una maggiore crescita di lungo
periodo.
198
Lezione 34 18/12/18
Le nuove teorie della crescita, diversamente dalle altre, non si limitano a considerare
la funzione di produttività aggregata; esse considerano elementi aggiuntivi suscettibili
di influenzare la crescita di lungo periodo.
Burocrazia → corruzione (red tape): Taluni burocrati hanno il potere di negare una
licenza o rallentare processi amministrativi. Dunque, essi potrebbero approfittarsene,
estorcendo denaro in cambio dell’avvio della procedura burocratica.
Non è detto che vi sia una tipologia di istituzioni universalmente associata ad una
crescita maggiore. Tutto dipende dal livello di sviluppo del paese: vi sono istituzioni
non adatte a Paesi tecnologicamente avanzati che, invece, funzionano bene in Paesi
200
distanti dalla frontiera tecnologica. Ciò dipende dal fatto che i Paesi
tecnologicamente arretrati crescono attraverso l’imitazione dei Paesi più avanzati
mentre quest’ultimi possono crescere solo mediante l’innovazione. Dunque essi
beneficiano di istituzioni diverse: Paesi più distanti dalla frontiera devono godere di
istituzioni che facilitino l’imitazione, ad esempio favorendo il trasferimento
tecnologico o, ancora, riducendo la protezione dei brevetti; nei Paesi alla frontiera,
invece, le istituzioni devono favorire le innovazioni mediante la detassazione degli
investimenti in ricerca e sviluppo o, ancora, incrementando la protezione della
proprietà intellettuale. In definitiva, le istituzioni sono proporzionali al livello di
sviluppo dei Paesi.
Interessante anche il ruolo dell’istruzione rispetto a questa teoria. In Paesi distanti
dalla frontiera, appare più opportuno incentivare l’istruzione di base (scuola
elementare, media e superiore). Al contrario, in Paesi alla frontiera, è meglio investire
in istruzione universitaria e post universitaria.
201
massimizzare i profitti e più orientato a massimizzare l’occupazione data la capacità
di quest’ultima di attirare consensi.
Il ruolo dei mercati finanziari: qual è l’influenza dei mercati finanziari sulla
crescita di lungo periodo? E quali sono i canali attraverso cui esercitano
quest’influenza?
202
• Deregolamentazione dei mercati finanziari: una maggiore regolamentazione
aumenta i costi operativi di finanziamento che deve sopportare una banca. Ci sarà,
quindi, un spread più elevato tra il costo a cui si finanzia la banca e il costo a cui
essa finanzia gli imprenditori. Lo spread più elevato determina, a sua volta, un più
elevato costo di finanziamento per cui vi sarà una minore domanda di fondi e di
investimenti; conseguentemente, una minore accumulazione di capitale e, infine,
una minore crescita di lungo periodo.
Dunque, deregolamentare significa ridurre i costi operativi per la banca, favorire
l’accesso al credito e la crescita (tipica argomentazione Washington consensus).
D’altro canto, però, va detto che un’eccessiva deregolamentazione aumenta il
rischio sistemico; ciò genera una maggiore volatilità macroeconomica e può
portare ad una riduzione degli investimenti e della crescita di lungo periodo.
In definitiva, non è del tutto chiaro se la deregolamentazione sia o meno
opportuna.
203
Rapporto politiche di breve e lungo periodo.
Ci sono delle interazioni fondamentali tra politiche di breve periodo, volte alla
riduzione di fluttuazioni cicliche, e politiche di lungo periodo, volte ad
incentivare il trend di crescita del GDP e di altre importanti variabili. Di fatti, per
quanto le suddette politiche siano slegate tra loro, le decisioni di breve periodo
sono in grado di influenzare la crescita di lungo periodo. Perché?
Conclusivamente, la teoria della crescita è stata e continua ad essere tuttora uno dei
campi maggiormente caratterizzati da ricerca e sperimentazione. Vi sono disparate e
molteplici teorie circa i fattori in grado di influenzare la crescita di lungo periodo. Il
problema di tutta questa letteratura sta nella sua difficile identificazione empirica; in
altre parole, determinare il rapporto di causa-effetto tra i suddetti fattori e la crescita è
praticamente impossibile. Consideriamo il ruolo delle istituzioni di cui si è
precedentemente parlato: sono le istituzioni che determinano la crescita o è la crescita
che determina istituzioni migliori? Sono i Paesi ricchi che, in quanto tali, hanno dato
vita a delle istituzioni migliori o, al contrario, sono quest’ultime che, già esistenti,
hanno creato ricchezza per il Paese? Non è facile dare una risposta; non è facile
stabilire gli effetti di fattori determinanti la crescita quali, per l’appunto, le istituzioni.
204
Si pensi, ad esempio, alla Cina. Essa sta crescendo moltissimo seppur caratterizzata
da un sistema democraticamente carente. Molti si aspettano che, prima o poi, il
processo di crescita determini l’affermarsi di una classe media che reclamerà un
sistema maggiormente democratico. In questo caso, quindi, sarebbe la crescita a
determinare istituzioni migliori e non il contrario: come detto, il rapporto di causa-
effetto non è del tutto chiaro.
N.B. Letture consigliate: gli effetti delle politiche del mercato del lavoro sulla
crescita; effetti di fattori storici e geografici sulla crescita.
205