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ANATOMIA PATOLOGICA

TUMORI MELANOCITARI (lesioni pigmentate)


Sono lesioni causate dalla proliferazione di melanociti basali, cellule localizzate a livello della membrana
basale dell’epidermide e delle mucose. Normalmente troviamo un melanocita ogni dieci cheratinociti
basali, mentre nel caso dei tumori questa proporzione viene alterata. I melanociti sono cellule che
contengono dei corpuscoli ovali di colore scuro detti melanosomi, al cui interno avviene la produzione di
melanina mediante ossidazione della tirosina (ad opera dell’enzima tirosinasi). Una volta maturi i
melanosomi vengono ceduti ai cheratinociti oppure rilasciati nel derma sottostante, dove vengono
fagocitati dai macrofagi che li accumulano nei lisosomi. I lisosomi contenenti un alto numero di melanosomi
vengono detti melanosomi composti, anche se si tratta di una terminologia vecchia e non molto accurata.
I melanociti sono cellule derivanti dalla cresta neurale e il loro aspetto, dopo essere stati fissati in formalina
e inclusi in paraffina, è quello di cellule con ampio citoplasma chiaro, otticamente vuoto, con grande nucleo
a cromatina dispersa. Presentano i caratteristici prolungamenti dendritici, deputati al trasporto e
all’esocitosi dei granuli di melanina – questi dendriti diventano visibili solo con tecniche di impregnazione
argentica o con evidenziazione immunoistochimica dei prodotti intermedi della sintesi di melanina.

Con la colorazione EE non è possibile distinguere i melanociti dai cheratinociti basali; l’identificazione si fa
con immunoistochimica, usando ad esempio la proteina S100, che è un marker della linea melanocitaria.

LESIONI IPERPIGMENTATE (non neoplastiche?)

Efelidi: sono macule pigmentate, a margini netti, di dimensioni < 5 mm localizzate soprattutto a livello di
volto, braccia e spalle – sedi fotoesposte . Il termine macula indica una lesione non rilevata sul piano
cutaneo; le efelidi hanno un colore bruno e sono generalmente multiple. Le efelidi possono diventare più
scure con l’esposizione ai raggi UV solari (andamento ciclico estate-inverno) e in genere compaiono in età
giovanile, più spesso su soggetti con fototipo basso. Possono presentarsi anche in seguito a ustioni causate
dall’esposizione solare.

Microscopicamente (anche se le efelidi non si biopsano quasi mai) si osserva una pigmentazione dello
strato basale, ma il numero di melanociti è normale o solo lievemente aumentato – non c’è quindi una
netta proliferazione di queste cellule, cosa che ci permette di porre DD certa con il nevo melanocitico,
anche quando clinicamente le due lesioni sono molto simili. La presenza delle efelidi quindi non è dovuta a
iperplasia dei melanociti ma a un loro iperfunzionamento, mentre la struttura dell’epidermide rimane
normale.

Macule melanotiche (melanosi benigne): anche queste sono macule pigmentate ma hanno dimensioni
variabili (2-20 mm) e si vedono a livello delle mucose di cavo orale, labbra, pene e vulva. Possono essere
singole o multiple; la DD stavolta deve essere posta con:
- Nevi melanocitici
- Melanoma in situ
- Melanoacantoma
- Tatuaggi da amalgama (se a livello del cavo orale), che sono pigmenti esogeni
- Lesioni vascolari, che però sono più bluastri di colore
- Lesioni traumatiche

Spesso le melanosi vengono asportate e biopsate, soprattutto se si localizzano a livello del cavo orale. Le
melanosi genitali sono invece una diagnosi impegnativa perché il ginecologo non ha molta dimestichezza in
ambito dermatologico e viceversa il dermatologo non effettua la visita ginecologica in modo routinario. Per
questo le melanosi genitali restano spesso sconosciute anche se sono abbastanza frequenti – in ogni caso
non è un problema perché sono completamente innocue.
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Microscopicamente si ha un aumento della pigmentazione melaninica nei cheratinociti dello strato basale,
con acantosi dell’epitelio – cioè aumento dello spessore – ma numero normale o lievemente aumentato di
melanociti, che appaiono molto prominenti fino allo strato più superficiale. Il numero normale di melanociti
è importante per porre DD con il melanoma, in cui invece essi sono aumentati. Possono essere presenti i
melanofagi, cioè dei macrofagi che hanno fagocitato pigmento melaninico, nel derma superficiale.

Melanoacantoma: microscopicamente si hanno dei melanociti dendritici molto prominenti e deve essere
posta DD con il melanoma in situ. Si tratta di una lesione benigna in cui si riscontra acantosi dell’epidermide
associata appunto alla proliferazione dei melanociti, i quali vengono a localizzarsi a tutto spessore
nell’epitelio. Il numero di melanociti è quindi aumentato!

Queste prime tre lesioni (efelidi, macule melanotiche e melanoacantoma) possono essere asportate, ma non
perché abbiano un rischio di degenerazione maligna: si asportano perché somigliano molto a lesioni
maligne e quindi necessitano di indagini più approfondite per porre la corretta diagnosi. Infatti solo l’esame
microscopico ci dà la certezza di lesione benigna.

A questo punto si passa invece alle lesioni neviche, la cui storia naturale inizia con la lentiggine semplice e
prosegue con i nevi giunzionali, composti e infine dermici, che possono andare incontro a involuzione e
senescenza fino anche a scomparire. Le lesioni neviche, o nevi, sono lesioni costituite appunto da cellule
neviche che sarebbero melanociti con modificazioni morfo-funzionali. Ricordiamo che i melanociti sono
cellule dendritiche, aspetto fondamentale per la loro attività: il melanocita produce melanina e la cede ai
cheratinociti circostanti proprio grazie ai dendriti – alla biopsia i melanociti appaiono più chiari rispetto alle
altre cellule circostanti perché gli hanno ceduto il pigmento.

Quando i melanociti proliferano hanno a disposizione poco spazio per cui tendono a formare degli
ammassi: ogni aggregato viene detto teca. Siccome non hanno spazio, i melanociti della teca perdono i
dendriti e quindi non sono più in grado di cedere pigmento  assumono un aspetto iperpigmentato.

Lentiggini semplici e giovanili: sono macule pigmentate di pochi millimetri, con bordi netti, non rilevate,
pressoché ubiquitarie. Microscopicamente si osserva una iperpigmentazione dello strato basale, cui si
associa un aumento significativo del numero di melanociti – essi però rimangono come cellule uniche,
separate, senza formare aggregati e quindi teche (si parla di “proliferazione lineare”). Si osserva anche
acantosi, con allungamento regolare delle creste epidermiche e infiltrato di melanofagi.

Entrano quindi in DD con i nevi melanocitici giunzionali: la differenza è che nel nevo giunzionale ci devono
essere almeno quattro melanociti aggregati a formare una teca, mentre nelle lentiggini semplici i melanociti
non costituiscono aggregati: sono ancora cellule singole. Tutto questo si distingue solo all’esame
istopatologico, dato che clinicamente le due lesioni possono essere facilmente confuse.

Attenzione a non confondere le lentiggini semplici con la lentigo solare (che è un precursore della cheratosi
seborroica e si vede soprattutto nell’anziano) e nemmeno con le efelidi, che vengono chiamate lentiggini
nel linguaggio comune ma non lo sono. La lentiggine si differenzia dall’efelide perché:
- Ha localizzazione ubiquitaria, mentre le efelidi si trovano nelle sedi fotoesposte
- Può essere singola, mentre le efelidi sono sempre lesioni multiple

Le lentiggini possono essere osservate anche in contesti sindromici come la sindrome di Carney: è una
malattia a trasmissione AD in cui oltre alle lentiggini i pazienti presentano nevi blu associati a mixomi
(cuore, cute, mammella) ed endocrinopatie (acromegalia, Cushing ACTH-indipendente da displasia
surrenalica bilaterale, tumori della tiroide e del testicolo).

Lentiggini solari o senili: si sviluppano in soggetti di età medio-avanzata su zone di cute esposte alla luce
solare (la sede più tipica è rappresentata dal dorso delle mani).

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Microscopicamente si osservano le creste epidermiche che appaiono molto allungate e globose, con
aspetto “a clava”, con iperpigmentazione dello strato basale e lieve aumento del numero di melanociti. Si
osservano anche dei melanofagi nel derma papillare. La lentigo solare rientra in realtà nelle lesioni
epiteliale, in quanto è precursore della cheratosi seborroica – trattata in seguito.

Nevo lentigginoso (nevo incipiens): rappresenta l’evoluzione della lentiggine semplice verso il nevo
giunzionale e si manifesta come una lesione pigmentata di pochi millimetri, non supera i 5-6 mm, che
insorge in pazienti adulti verso i 20-40 anni. La pigmentazione è omogenea ma variabile da tonalità più
chiare a tonalità più scure. Microscopicamente si osserva l’allungamento delle creste epidermiche
(iperplasia lentigginosa) associato ad un aumento significativo del numero dei melanociti, che si localizzano
proprio a livello delle creste epidermiche. Il numero di melanociti supera il normale rapporto di 10:1 con i
cheratinociti; inoltre formano degli aggregati di 3-4 cellule, le famose teche, che sono localizzabili al centro
della lesione. I melanociti al microscopio si presentano con un alone vuoto peri-nucleare.
NB: le dimensioni delle lesioni pigmentate sono importantissime perché quando troviamo una lesione di diametro > 1
cm siamo praticamente certi che sia un melanoma, a meno che non si tratti di una lesione congenita. Esistono
comunque lesioni maligne anche di dimensioni < 1 cm.

Quando al microscopio si rilevano teche di melanociti a livello della giunzione dermo-epidermica (creste),
quindi, non si parla più di lentiggine ma di nevo lentigginoso melanocitico – attenzione a distinguere i nevi
melanocitici dai nevi epidermici!
Il nevo lentigginoso può anche essere chiamato “nevo melanocitico giunzionale incipiente”: se infatti
aumenta il numero di melanociti in proliferazione si passa al nevo melanocitico giunzionale vero e proprio,
dove il termine giunzionale fa ovviamente riferimento alla giunzione dermo-epidermica.

Classificazione istologica WHO dei tumori melanocitici

 Melanoma maligno
 Tumori melanocitici benigni
o [Macule melanotiche, lentiggine semplice, nevo lentigginoso] – non neoplastiche?
o Lesioni melanocitiche dermiche – melanocitosi dermiche
 Macchia mongolica
 Nevo di Ota
 Nevo di Ito
 Nevo blu
o Nevi melanocitici
 Congeniti
 Acquisiti, rappresentano il 98% di tutti i nevi
 Nevo di Spitz
 Nevo di Reed
 Nevo con alone, di Sutton
o Lesioni melanocitiche atipiche
 Nevo displastico di Clark
 Nevi in sedi anatomiche speciali
 Nevo displastico lentigginoso dell’anziano
Le melanocitosi dermiche sono lesioni composte da melanociti dendritici che mantengono la capacità di
produrre melanina, anche quando si trovano nelle porzioni profonde del derma, per cui sono lesioni
pigmentate con colorazione bluastra (effetto Tyndall). I nevi melanocitici comuni invece sono costituiti da
cellule neviche, cioè melanociti dendritici che hanno perso i loro dendriti e con essi anche la capacità di
produrre pigmento.

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Melanocitosi dermiche: in questo caso la proliferazione melanocitaria è esclusivamente dermica, senza
coinvolgere l’epidermide. Si riscontrano dei melanociti allungati, non particolarmente atipici, con
morfologia ancora dendritica e iperpigmentati a livello del derma. Esistono diverse forme di melanocitosi
dermiche:

1) Macchia mongolica: si trova in soggetti di etnia asiatica o ispanica e si presenta come una macula
grigio-bluastra con margini irregolari, in zona lombo-sacrale. Microscopicamente si vedono i melanociti
sparsi nella metà inferiore del derma reticolare, perché non sono stati in grado di raggiungere
l’epidermide. È una forma congenita, che in genere regredisce entro i 4 anni di età.
2) Nevo di Ota (nevo fosco-ceruleo oftalmo-mascellare): è una lesione pigmentata presente in genere fin
dalla nascita, che segue le branche del trigemino quindi colpisce la zona peri-oculare, la cute del volto e
il cavo orale. Istologicamente si notano i soliti melanociti sparsi nel terzo superficiale del derma; la
colorazione della lesione è sempre grigio-bluastra. Questa lesione è generalmente unilaterale e si vede
soprattutto nelle donne di etnia asiatica.
3) Nevo di Ito (nevo fosco-ceruleo acromio-deltoideo): colpisce la regione deltoidea e acromiale e
istologicamente è uguale al nevo di Ota.
4) Nevo blu: rispetto alle lesioni precedenti è dotato di una maggiore cellularità; si tratta di una lesione
papulare molto frequente che si presenta caratteristicamente di colore blu, causato dall’effetto Tyndall
– infatti il pigmento si viene a localizzare sempre più in profondità, con i melanociti che proliferano
esclusivamente a livello del derma. Esistono diverse varianti del nevo blu:
 Comune: risulta dalla proliferazione di melanociti nel derma e si trova ubiquitariamente, anche se è
più comune sul dorso delle mani (acrale)
 Cellulato: i melanociti sono fusati e si dispongono in fasci, raggiungendo il derma reticolare e
l’ipoderma. Hanno dimensioni centimetriche e si localizzano a livello lombo-sacrale.
 Epitelioide, più raro
 Composto, più raro

Genetica: i nevi blu, analogamente al melanoma uveale e al nevo uveale, presentano le mutazioni GNA11 e
GNAQ. Nella classificazione molecolare infatti si distinguono i tumori melanocitari derivanti da melanociti
che hanno rapporti con l’epitelio dai tumori derivanti da melanociti che invece non hanno rapporti con
l’epitelio – in questo secondo gruppo si riuniscono sia le melanocitosi dermiche sia il melanoma uveale.
Vediamo meglio l’elenco dei tumori melanocitari derivanti da melanociti non associati all’epitelio:
- A livello oculare  nevo uveale (benigno), melanoma uveale (maligno) associati a GNAQ e GNA11
- A livello cutaneo:
o Nevo blu (benigno), nevo blu atipico (intermedio) e melanoma che simula nevo blu (maligno),
sempre con mutazioni GNAQ e GNA11
o Nevi congeniti (benigni), melanoma su nevo congenito (maligno) associati a mutazioni di NRAS
- Organi interni  melanocitoma e melanoma, associati a mutazioni di GNAQ e GNA11

In generale ricordiamo la regola per cui più il pigmento è profondo nel derma e più appare di colore blu a livello
cutaneo. Questo è dovuto all’effetto Tyndall: dato che il derma è un mezzo torbido, riescono a passare attraverso di
esso solo le radiazioni della lunghezza d’onda del blu, per un fenomeno di scattering.

NEVI MELANOCITICI – ne esistono moltissime varianti, ma non è necessario conoscerli tutti perché si
andrebbe in ambito specialistico. Alcuni si definiscono con l’eponimo di chi lo ha scoperto (es. Spitz o Reed),
altri invece in base alle caratteristiche morfologiche.

Una cosa importante da sapere è che negli ultimi anni, grazie alla genetica, si sono identificate nell’ambito
di alcune famiglie di nevi delle forme con comportamento intermedio tra nevo e melanoma. Questi
vengono definiti “tumori melanocitici atipici” e per loro sono state identificate delle mutazioni genetiche a

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metà tra nevi benigni e melanoma – tutto questo ci spiega un po’ la complessità della patologia
melanocitaria, sia da un punto di vista morfologico microscopico sia genetico.
Per noi tutto questo non ha implicazioni: dobbiamo semplicemente ricordare che esistono queste forme
intermedie, sia morfologicamente sia, soprattutto, geneticamente: si determina così una sorta di
continuum biologico, senza separazione netta tra benigno e maligno. Il problema viene fuori in clinica,
quando dobbiamo decidere come trattare queste lesioni intermedie e che tipo di follow up eseguire: infatti
il comportamento di queste forme, ad oggi, è ancora ampiamente sconosciuto.

Più semplicemente i nevi melanocitici possono essere classificati in congeniti e acquisiti. I nevi congeniti
sono trattati a parte, mentre i nevi acquisiti possono essere a loro volta suddivisi in:
- Nevi giunzionali: hanno solitamente un aspetto piano, quindi sono macule non rilevate che hanno tutto
sommato lo stesso aspetto delle lentiggini giovanili. Le teche di melanociti si trovano a livello della
giunzione dermo-epidermica, all’apice delle creste che sono regolari e non fuse tra loro. Non si
riscontra iperplasia lentigginosa né pagetoidismo – quest’ultimo tipico del melanoma.
- Nevi composti: qui l’aspetto macroscopico inizia a diventare più esofitico, nodulare/cupoliforme
oppure addirittura polipoide/moriforme. I melanociti proliferano sia a livello della giunzione dermo-
epidermica sia a livello del derma.
- Nevi dermici: le teche si trovano a livello del derma, sono più frequenti.

Macroscopicamente si tratta in genere di lesioni di dimensioni < 1 cm, piane oppure cupoliformi, nodulari o
anche polipoidi. I nevi piani si presentano come delle macule non rilevate e sono quasi sempre nevi
giunzionali (cioè in cui le teche melanocitarie si localizzano alla giunzione dermo-epidermica). I nevi
nodulari invece sono generalmente dermici oppure composti. Nell’adulto la forma più frequente è il nevo
dermico.
I nevi sono lesioni che compaiono in genere nell’infanzia/adolescenza e poi vanno incontro a regressione –
si nasce e si muore senza nevi acquisiti. Ci dobbiamo invece preoccupare di nevi insorti in età adulta, ma
soprattutto di eventuali modificazioni delle caratteristiche della lesione (margini, dimensioni, colore…)
perché potrebbe trattarsi di un melanoma, anche se solo nel 20% dei casi i melanomi insorgono su nevo.

I nevi melanocitici subiscono un processo di maturazione cellulare: più i melanociti si approfondano nel
derma e più diventano piccoli, potendo anche perdere il pigmento diventando amelanotici e simili a
fibroblasti (neurotizzazione: diventano simili a cellule nervose periferiche, con profilo ondulato e allungato).
Questo viene interpretato come espressione della differenziazione terminale in senso nervoso, facilmente
comprensibile se si considera la derivazione dalle creste neurali. La maturazione è un fenomeno importante
perché quando al microscopio va posta DD tra nevo melanocitico e melanoma si deve sempre ricercarla, in
quanto essa è sempre assente in caso di melanoma – le sue cellule sono uguali in superficie e in profondità.

Dalla superficie verso la profondità si riscontrano tre tipi di cellule:


A. Superficiali, con abbondante citoplasma e nuclei grandi
B. Citoplasma e nucleo sempre più piccoli
C. Profonde, con scarso citoplasma e forma fusata – assomigliano a cellule di Schwann

Oltre ai nevi acquisiti comuni ce ne sono altri che hanno delle caratteristiche bizzarre, delle atipie
fenotipiche che comunque NON correlano con la malignità. Vediamo alcune varianti:

Nevo senescente: è una lesione nodulare cupoliforme che si vede sul volto dei pazienti anziani.
Microscopicamente è tremendo, presenta un marcato pleomorfismo cellulare con molte atipie che possono
rendere difficile la diagnosi differenziale con il melanoma. Con un accurato studio morfologico ci si rende
conto che si tratta solo di atipie da senescenza, che non hanno significato biologico maligno.

Nevo deep penetrating (plessiforme fusocellulare): si ha una componente che penetra in profondità
nell’ipoderma, con cellularità molto particolare. Il profilo è quello di una V, con melanociti che si
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approfondano nel derma come una piramide rovesciata. Si tratta di una lesione molto intensamente
pigmentata che si vede in genere nei giovani, nella zona testa-collo ma anche sul tronco e sulla parte
prossimale degli arti.

È possibile ritrovare un numero di mitosi > 2 mm 2, atipie cellulari e pleomorfismo: in questo caso è più
corretto parlare di nevo deep penetrating atipico – secondo alcuni sarebbe opportuno effettuare una
biopsia del linfonodo sentinella, perché ci può essere potenziale evolutivo; infatti si tratta di una forma
intermedia tra nevo benigno e melanoma.

Nevo con alone (di Sutton): si verifica nell’infanzia a livello del dorso ed è una lesione pigmentata con
intorno un alone di depigmentazione – le mamme vanno nel panico. Con il tempo si ha la completa
regressione della lesione: questo è il risultato di una risposta immunitaria da parte di linfociti CD8+, visibili
al microscopio, che si distribuiscono intorno al nevo e lo distruggono completamente. I linfociti in questione
vengono detti TIL (Tumor Infiltrating Lymphocytes) e sono accompagnati anche da granulociti: questo
infiltrato è segno che si è attivata l’immunità, la quale generalmente porta alla distruzione del tumore
stesso.

La diagnosi in genere è agevole sia per la clinica sia per l’istologia. Se si verifica nel bambino non è maligna,
se invece si vede un alone biancastro nell’adulto su una lesione di grandi dimensioni (tipo 1 cm) dobbiamo
preoccuparci: potrebbe trattarsi di un melanoma, che generalmente ha un alone di forma irregolare e
asimmetrica – contrariamente al nevo di Sutton.
Oltre che con il melanoma va posta anche DD con il nervo di Meyerson: si tratta sostanzialmente di un nevo
benigno irritato, con infiammazione e edema intracellulare che causa come sintomo il prurito. Il nevo di
Meyerson presenta spongiosi eosinofila, ovvero edema intracellulare con infiltrato infiammatorio
eosinofilo. Generalmente si localizza in zone soggette a traumatismi, tipo sotto al reggiseno.

Nevo a cellule balloniformi: clinicamente è indistinguibile da un nevo comune, ma istologicamente ci sono


cellule rigonfie, con citoplasma chiaro e nucleo centrale ipercromatico (> 50%).

Nevo recidivante: generalmente i nevi ben asportati non recidivano, perché se lo fanno ci devono
insospettire. Talvolta però capita di fare una asportazione incompleta del nevo, che poi recidiva sulla
cicatrice lasciata dal chirurgo. In questo caso il nevo può presentare atipie e dare problemi di DD con il
melanoma. Quindi in caso di ripigmentazione su cicatrice da pregressa escissione ci dobbiamo preoccupare:
potrebbe trattarsi di un melanoma, oppure di un nevo recidivante escisso in modo incompleto. Quindi
importantissimo: qualsiasi lesione togliamo deve essere sempre mandato in laboratorio per l’esame
istologico, visto che potrebbe essere una lesione maligna.

In generale le lesioni melanocitarie andrebbero escisse con margini liberi, quindi in modo completo; se però
si sta rimuovendo un nevo da zone critiche come il volto, è possibile che il dermatologo scelga un approccio
più conservativo, quindi uno “shave”. I patologi non amano questa cosa perché poi la lesione si può
studiare in modo solo parziale, cosa che causa delle difficoltà interpretative; inoltre, se poi la lesione è un
melanoma per il paziente è un casino.

Nevo di Spitz (dal nome di Sophia Spitz che per prima lo individuò ): fa parte di una famiglia in cui esso
rappresenta la forma benigna, poi abbiamo una forma intermedia (nevo di Spitz atipico) e una forma
francamente maligna (melanoma spitzoide). Questa famiglia di lesioni è caratterizzata da fusioni chinasiche
(es. ALK), quindi potenzialmente targettabili con farmaci specifici che sono ancora in sperimentazione.

Il nevo di Spitz si presenta soprattutto in soggetti pediatrici o in giovani donne, a livello degli arti; si
manifesta come una lesione papulare o maculare di colore rosa-rosso (non è ipercromatico).
Istologicamente si tratta di una lesione molto particolare, caratterizzata da melanociti epitelioidi fusati
organizzati in teche, con atipie. Si riscontra anche iperplasia dell’epidermide e ortocheratosi – cioè
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aumento dello spessore dello strato corneo. Si possono individuare i cosiddetti “corpi di Kamino”, cioè dei
cheratinociti degenerati che formano masse eosinofile.

Clinicamente va posta DD con angiomi, granulomi piogenici o verruche. Siccome siamo in ambito
generalmente pediatrico, proporre una biopsia del linfonodo sentinella non è consigliato come primo
approccio: si preferisce fare delle indagini genetiche, per cui solo se si tratta di melanoma si andrà a
guardare il linfonodo sentinella – se è un tumore di Spitz atipico dipende, alcuni sostengono che va fatta la
biopsia mentre altri sostengono di no. Infatti questa forma è dotata di bassa malignità, nel 50% dei casi è
effettivamente positivo il linfonodo sentinella ma di fatto i pazienti sono sempre ancora vivi dopo 20 anni,
quindi la questione è ancora controversa.
Nevo di Spitz benigno – è una lesione piccola (< 6 mm) che insorge in età pediatrica-giovanile e si manifesta come una
papula rosea a livello del volto/arti/tronco. È una lesione simmetrica con superficie liscia di colore roseo, rosso o come
la cute normale.

Nevo di Spitz atipico – la diagnosi per differenziarlo dal melanoma spitzoide si effettua con l’esame istologico. Si tratta
di lesioni clusterizzate eruttive, quindi multiple, su una base color caffellatte. A distanza di mesi compare una piccola
lesione, ma è solamente cicatriziale. Se vedo lesioni papulo-nodulari di dimensioni > 10 mm si deve fare l’escissione.
Se la lesione si manifesta in età post-puberale è probabile che sia un melanoma.

Melanoma spitzoide – lesione > 10 mm che può insorgere a qualsiasi età e in qualsiasi sede. Il colore è variegato, i
bordi sono irregolari e ci sono più di 6 mitosi per 2 mm 2. La crescita è solida, cellulare, con poco stroma.

Nevo di Reed (fusocellulare pigmentato): è una lesione ipercromatica, nerastra, di pochi mm. Il pigmento è
presente sia nell’epidermide (in melanociti fusati) sia dentro i macrofagi, che quindi diventano melanofagi.
La colorazione nera è data proprio dal fatto che il pigmento si localizza non solo nei melanociti, ma anche
nei cheratinociti e nel derma, all’interno dei melanofagi. Siccome è di colore nero entra sempre in DD con il
melanoma, motivo per cui deve essere sempre asportato e analizzato istologicamente. Prima di questo si
ricorre come al solito al dermatoscopio, ma poi la lesione viene asportata.
Si vede generalmente nelle giovani donne a livello della radice della coscia.

Nevi melanocitici congeniti: sono forme rare con dimensioni molto variabili, in genere > 1 cm ma in genere
non più grandi di 4 cm. Solitamente contengono anche annessi piliferi. I nevi congeniti si classificano in base
alle loro dimensioni in:
- Piccoli se < 1,5 cm: rappresentano il 90% dei casi
- Grandi se 1,5-20 cm
- Giganti se > 20 cm, spesso sono distribuiti secondo i dermatomeri e non hanno limiti ben definiti.
Possono coinvolgere tutto il torace o tutto un arto, infatti vengono anche chiamati “nevi a indumento”
o “nevi a canottiera”.
Ovviamente date queste dimensioni non vale più la regola “in caso di lesioni > 0,5 cm pensare al melanoma”!

Microscopicamente non è possibile distinguere i grandi dai piccoli, infatti si osserva solamente un
frammento microscopico di lesione. Ci si può però basare sulla profondità, distinguendo
microscopicamente:
- Superficiali, che generalmente sono piccoli. Il termine superficiale indica che infiltrano fino al derma
reticolare, che comunque è un livello molto più profondo rispetto a quello raggiunto dai nevi acquisiti,
che al massimo arrivano al derma papillare.
- Profondi, che generalmente sono grandi e si spingono fino all’ipoderma.

I nevi congeniti possono rappresentare ovviamente un problema estetico, in particolare quelli giganti; oltre
a questo purtroppo essi aumentano anche il rischio di melanoma, del 2-5% per quelli giganti. Se compare
un nodulo nel contesto di un nevo congenito dobbiamo sempre fare la biopsia!

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Nei casi di nevi piccoli o medi la stima del rischio è più difficile perché il melanoma, quando si accresce,
tende a distruggere la componente nevica quindi non si sa mai se i resti di nevo che troviamo sono
congeniti o no.
Per quanto riguarda i nevi melanociti acquisiti, non si sa ancora quale sia con precisione il rischio relativo di
evolvere in melanoma: si sa per certo però che tale rischio è legato al numero di nevi presenti nel paziente.

Lesioni melanocitiche atipiche: sono lesioni pigmentate asimmetriche, con pigmentazione variabile.
Comprendono il nevo displastico di Clark, il nevo in sedi anatomiche speciali e il nevo displastico
lentigginoso dell’anziano, ma ci soffermeremo soprattutto sul nevo displastico che è importantissimo da
conoscere. La terminologia può essere confondente, in quanto alcuni lo chiamano nevo di Clark, altri nevo
atipico, e altri come anche noi lo chiamiamo nevo melanocitico composto con disordine architetturale e
atipia citologica – questa denominazione è la NIH 1992 (National Institute of Health). Il termie displastico
sarebbe in realtà da evitare, in quanto rimanda a un connotato di pre-malignità: invece sembra che il nevo
di Clark non sia in grado di evolvere in melanoma, piuttosto è una lesione che può indicare un aumento del
rischio di melanoma.

Un nevo displastico si presenta come una lesione grande almeno 4 mm di colore marrone chiaro/nocciola,
con pigmentazione non omogenea e bordi irregolari. Per questi motivi si tratta di lesioni che simulano
facilmente il melanoma. Si tratta di lesioni molto frequenti: la forma sporadica si trova nel 50% della
popolazione generale.

A livello degli estremi della lesione ci sono delle “spalle” melanocitiche, cioè una componente melanocitaria
giunzionale che si estende lateralmente oltre alla componente dermica. Questo conferisce alla lesione un
aspetto “a uovo fritto”, per cui al centro è composto e rilevato mentre alla periferia è giunzionale e quindi
non rilevato.
Ritroviamo anche iperplasia delle creste epidermiche (iperplasia melanocitaria lentigginosa) e una certa
atipia citologica, randomica e non continua. Ci sarebbe anche un grading dell’atipia, ma non vi è
concordanza tra i diversi anatomopatologi. Intorno alle teche di melanociti si ha fibroplasia concentrica e
lamellare, mentre è scarso l’infiltrato linfocitario peri-giunzionale. Ricapitolando abbiamo 5 criteri:

1. Aspetto a uovo fritto per la presenza di una componente composta centrale e una giunzionale
periferica
2. Iperplasia delle creste epidermiche
3. Atipia random non continua
4. Fibroplasia concentrica lamellare
5. Scarso infiltrato infiammatorio

Si tratta di una lesione sicuramente benigna, quindi un nevo, ma presenta una certa atipia sia clinica sia
morfologica. Il nevo displastico si può presentare in caso di “sindrome del nevo displastico”, quindi in
pazienti che hanno molti nevi, oppure in pazienti che hanno una storia familiare di melanoma: ovviamente
in questo caso il paziente avrà un rischio aumentato, perché il nevo displastico potrà evolvere
successivamente in melanoma. Esiste comunque anche una forma sporadica, in pazienti che non hanno
rischio aumentato di sviluppare melanoma.
Il rischio è comunque dibattuto, in quanto l’80% dei melanomi sorge de novo e solo il 20% in associazione o
come evoluzione di un nevo; in questo senso è molto importante valutare il contesto clinico.
La singola lesione di per sé, quindi, NON è una condizione di rischio; se però si presenta in un paziente con
numerosi nevi o storia familiare di melanoma, allora quella lesione sarà una condizione di rischio oltre che a
un simulatore di melanoma – per questi motivi deve essere asportato chirurgicamente e analizzato.

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Quando Clark descrisse per la prima volta il nevo displastico lo vide in pazienti con sindrome del nevo displastico, cioè
che presentavano tanti nevi. Col tempo si è scoperto che i nevi displastici possono comparire anche in forma
sporadica, cosa che si verifica nel 50% della popolazione caucasica.

Vediamo infine un caso particolare, in cui i nevi melanocitici acquisiti comuni si localizzano in sedi
anatomiche specifiche per cui assumono un aspetto citologico displastico, che potrebbe creare confusione
con lesioni maligne. Le sedi di cui stiamo parlando sono: ano-genitale, areola mammaria, piega inguinale,
ascella, ombelico, sedi acrali, regione sub-ungueale. Non è noto quale sia la causa di queste presentazioni
atipiche, ma per la mammella e per la piega inguinale si sospettano cause ormonali.

MELANOMA
[Ricorda che i fattori predittivi ci danno informazioni sulla risposta del paziente a una data terapia, e sostanzialmente
si tratta di parametri di biologia molecolare legati spesso a mutazioni genetiche. Invece i fattori prognostici ci danno
informazioni sulla sopravvivenza del paziente, sul tasso di recidive e sulla possibilità di avere metastasi – il più
importante è la stadiazione secondo TNM.]

Il melanoma è importantissimo perché da solo rappresenta il 5% di tutte le neoplasie e oltre il 10% delle
neoplasie cutanee. La sua incidenza è variabile e si basa soprattutto su due fattori: latitudine e
caratteristiche etniche. La massima incidenza si ha infatti a Queensland, in Australia, nella popolazione
bianca non autoctona. Sempre riguardo all’incidenza, si è registrato un aumento in entrambi i sessi,
soprattutto nelle donne e soprattutto oltre i 65 anni di età. Questo perché tra i principali fattori di rischio
troviamo l’esposizione alla luce solare, che induce un danno ad alta intensità in un breve lasso di tempo.

Come consigli da dare ai pazienti abbiamo sicuramente una visita dermatologica di controllo con
mappatura dei nei, effettuata con il dermatoscopio, una volta all’anno; poi si dovrebbero evitare le
lampade, che sono molto nocive soprattutto se fatte prima di andare al mare. Anche le ustioni solari
rappresentano un fattore di rischio, soprattutto quelle avute nel periodo dell’adolescenza.

Correlazione tra nevi e melanoma: la frequenza di melanomi insorti del novo è dell’80% mentre solo il 20%
insorgono associati a nevi – nel senso che l’anatomopatologo trova dei residui nevici nel melanoma. Questo
20% probabilmente è una sottostima, perché si potrebbe pensare che nella loro crescita le cellule maligne
vadano a sostituire la componente nevica benigna. Questo è comunque un dato significativo: vuol dire che
non è il nevo di per sé a degenerare, ma è il melanoma che appare come tale fin dall’inizio, sia su cute sana
sia su cute fotodanneggiata.

Classificazione (WHO 2018): in passato la classificazione utilizzata si basava su un criterio morfologico, ma


oggi si è capito che non era adeguata perché da un lato non riusciva a comprendere la straordinaria
variabilità cito-architetturale del melanoma e dell’altro lato la stadiazione non correlava con il quadro
clinico effettivo.
Per questo è stata elaborata una nuova classificazione in cui si fa una sostanziale distinzione tra:
 Melanomi derivanti da melanociti associati all’epitelio – c’è una importante correlazione con l’età e
con l’esposizione del soggetto alle radiazioni solari UV.
 Melanomi derivanti da melanociti non associati all’epitelio – qui non c’è correlazione né con l’età né
con l’esposizione ai raggi UV

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Questo approccio ci porta a considerare due classi di melanomi in modo dicotomico:
- Melanomi insorti su cute sottoposta al sole in modo intermittente (colpisce quindi tronco e arti)
- Melanomi insorti su cute esposta alla luce in modo cronico e continuo (colpisce il volto).

Questa nuova classificazione ha basi molecolari e si basa sull’analisi di tre parametri:


1. Tipo di danno UV
2. Tessuto di origine della lesione
3. Tipo di aberrazioni genetiche presenti

Infatti se in passato la classificazione era solamente morfologica oggi si è capito che i melanomi si
differenziano soprattutto da un punto di vista genetico. La nuova classificazione nasce quindi dal concetto
di pathway divergente, per cui ci sono melanomi che insorgono per danno solare cronico, altri per danno
solare intermittente e altri che non hanno rapporti con le radiazioni UV.

 LOW CSD melanoma, cioè melanoma insorto su un danno solare cronico di basso livello (low chronic
solar damage). Si tratta quindi di lesioni insorte su cute esposta al sole in modo intermittente ed è la
forma più frequente di melanoma. In passato veniva chiamato melanoma a diffusione superficiale.
 Lesioni in parte benigne e in parte intermedie: melanocitoma
 HIGH CSD/lentigo maligna melanoma: insorge su cute esposta cronicamente al sole, quindi con danno
solare di alto livello (high chronic solar damage) e colpisce tipicamente i pazienti anziani a livello del
volto.
 Melanoma desmoplastico
 Melanoma acrale: in passato si parlava di melanoma acrale-lentigginoso, ma oggi sappiamo che non
per forza è presente un pattern lentigginoso e quindi si chiamano solo acrali.
 Melanomi mucosali: infatti, sebbene più raramente, i melanomi possono insorgere anche sulle mucose,
ad esempio nel tratto GI  a livello del retto si possono manifestare come delle banali emorroidi e
possono rimanere sconosciuti fino a che non si ottiene il dato istologico. I melanomi possono
localizzarsi anche a livello vulvo-vaginale, nel cavo orale e nel distretto nasale-sinusale. Questi
melanomi ovviamente non sono correlati al danno della luce solare, per cui la patogenesi è ancora oggi
ignota.
 Melanoma su nevo congenito, infatti sappiamo che i nevi congeniti soprattutto quelli di grandi
dimensioni rappresentano un fattore di rischio
 Melanoma su nevo blu: in passato si parlava di melanocitosi dermica, si tratta di una lesione che
presenta un profilo genetico completamente diverso dalle altre forme ed è caratterizzata da cellule
dendritiche allungate molto caratteristiche.
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 Melanoma spitzoide
 Melanoma oculare: uveale oppure congiuntivale, da non confondere
 Melanoma nodulare: in passato era un gruppo ben definito perché si pensava che avesse un profilo
genetico ben caratteristico e peculiare, ma oggi si pensa piuttosto che esso rappresenti la forma
avanzata di melanomi di altre categorie, caratterizzato da una crescita accelerata che gli conferisce la
forma nodulare. Si tratterebbe quindi dell’evoluzione da un melanoma a diffusione superficiale oppure
di tipo lentigo maligna o acrale.

È importante capire quindi il principio che guida questa nuova classificazione, cioè la correlazione con il
danno solare. Questo danno solare può essere visualizzato al microscopio come una modificazione a livello
delle fibre elastiche del derma, che assumono un aspetto di degenerazione elastofila con conformazione
“spaghetti-like”.

Biologia molecolare: abbiamo detto che nella classificazione odierna ci si basa molto sulla presenza nella
neoplasia di mutazioni oncogene primarie, in particolare a carico di BRAF, NRAS, C-KIT e GNAQ. In genere si
tratta di mutazioni mutualmente esclusive che si sviluppano già precocemente nelle fasi di iniziazione.
Come abbiamo già detto va fatta una importante distinzione:

 Melanomi che insorgono su cute esposta al sole in modo intermittente: sono più frequenti nei pazienti
giovani che hanno molti nevi, in genere su tronco e arti: è ampiamente riscontrabile una mutazione
specifica a carico di BRAF, in particolare la V600E
 Melanomi insorti su cute esposta cronicamente (quindi zona testa-collo): insorgono in pazienti più
anziani con pochi nevi e solitamente non sono BRAF-mutati. Nel caso, comunque prediligono la
mutazione di BRAF V600K.

L’importanza di conoscere queste due mutazioni sta nel fatto che si tratta di un fattore predittivo: oggi
abbiamo infatti dei nuovi farmaci a bersaglio molecolare (target therapy) che sono proprio dei BRAF-
inibitori  il paziente ha una chance di sopravvivenza. La mutazione V600E ha come effetto quello di
attivare la via delle MAP-chinasi, con conseguente stimolo alla proliferazione cellulare, che viene bloccato
efficacemente dal BRAF-inibitore.
Il più importante inibitore di BRAF è dabrafenib; esso si somministra ad un paziente con setting metastatico
in presenza della mutazione V600E. Esistono dei dati, ancora preliminari, per cui funzionerebbe anche con
altre mutazioni sempre a carico di BRAF. Generalmente al paziente si offre una terapia di combinazione tra
BRAF-inibitore e MEK-inibitori (trametinib, cobimetinib).

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Se trovo la mutazione di BRAF quindi posso utilizzare la target therapy, altrimenti posso partire con
l’immunoterapia. Molto interessante è invece la mutazione di KIT, che si trova soprattutto nei melanomi
acrali e mucosali: anche qui ci sono risvolti terapeutici.
Per quanto riguarda il numero di mutazioni, si osserva un picco massimo nel caso del melanoma
desmoplastico che è una variante rara, visibile in soggetti anziani a livello della testa-collo.

Melanoma su cute senza CDS: pazienti giovani con molti nei, zona del torace e arti. In queste forme la
mutazione di BRAF è presente nel 50-55% nella forma V600E, cosa di grande importanza per il discorso dei
farmaci bersaglio. Microscopicamente questi “BRAFomi” sono spesso a diffusione superficiale ed è possibile
individuare nel preparato cellule con alone chiaro – ovvero melanociti maligni che stanno migrando verso
l’alto, secondo il fenomeno del pagetoidismo. Non è presente elastosi solare perché la cute non è stata
cronicamente danneggiata.
La mutazione di NRAS, che generalmente si esclude a vicenda con la BRAF, ha una frequenza del 15-20% in
questo tipo di melanoma: se genotipizzando trovo un BRAF wild-type è quindi necessario valutare lo stato
di NRAS. La mutazione di KIT invece non supera l’1%. Inoltre ricordiamo che spesso questi melanomi spesso
hanno un numero aumentato di copie del cromosoma 7 e la perdita del cromosoma 10.

Melanoma su cute con CDS: pazienti anziani con pochi nevi, in zona testa-collo. Qui la mutazione di BRAF è
meno frequente e quando è presente si trova la mutazione V600K e non V600E. La V600K è comunque una
mutazione molto rara (1%). Per contro troviamo invece la mutazione NRAS più spesso e anche di KIT. Nel
30% dei casi è riconoscibile una mutazione inattivante di NF1 (il gene della neurofibromatosi): NF1 è un
regolatore negativo nei confronti di NRAS, per cui alla fine il risultato è il solito.
Siccome la cute è stata danneggiata dalle radiazioni UV troveremo anche mutazioni da esse indotte ( ciclina
D, p53). Si noterà anche una notevole elastosi solare con aspetto “spaghetti-like”, dato dalla degenerazione
delle fibre collagene che non si riconoscono più bene, si vede solo una massa bluastra.

Le mutazioni di NRAS sono importanti da conoscere sempre per il discorso della terapia, in base al concetto
della medicina personalizzata: sarebbe ideale caratterizzare geneticamente il paziente al meglio possibile,
per potergli offrire la terapia più opportuna. Nello specifico, quando è presente una mutazione di NRAS il
paziente può essere trattato con MEK-inibitori (trametinib), anche se alcuni studi indicano una scarsa
efficacia a fronte di una alta tossicità. Peraltro la mutazione di NRAS è interessante anche perché spesso nei

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pazienti che rispondono bene ai BRAF-inibitori insorge poi una resistenza, e uno dei meccanismi di
resistenza individuati è proprio la mutazione di NRAS.

Melanoma desmoplastico: è una lesione a margini distinti che può essere pigmentata ma anche
amelanotica, in genere ha una consistenza dura perché nel tumore è presente anche reazione
desmoplastica quindi fibrosi. La diagnosi clinica può essere complessa; il melanoma desmoplastico spesso
presenta un forte neurotropismo. Si associa caratteristicamente a una cute danneggiata dai raggi UV, per
cui ha molte analogie con la forma di melanoma vista sopra: c’è una bassissima frequenza di mutazioni di
BRAF (4,8%). Abbiamo poi NRAS all’1,6%, mentre NF1 è presente nel 54% dei casi e p53 nel 50% dei casi.

Alcuni studi recenti indicano che il melanoma desmoplastico risponde bene a immunoterapia con anti-PD1.
Il melanoma desmoplastico è molto difficile da diagnosticare anche perché morfologicamente è
caratterizzato da elementi fusati che possono simulare i fibroblasti – necessari studi approfonditi anche di
immunoistochimica.

Melanoma congiuntivale: da non confondere con il melanoma uveale, né tantomeno con quello cutaneo
palpebrale. Si comporta come i melanomi che insorgono su cute non esposta cronicamente ai raggi UV, per
cui avremo BRAF nel 40% dei casi e NRAS nel 20% dei casi.

Melanoma uveale: l’uvea è la tonaca media dell’occhio dei vertebrati e si distingue in coroide, corpo ciliare
e iride. Presenta soprattutto mutazioni di GNAQ e GNA11, che sono mutualmente esclusive e si hanno
nell’80% dei casi, mentre NRAS e BRAF sono praticamente inesistenti. In caso di melanoma uveale, dopo
l’indagine genetica, è anche opportuno eseguire la FISH in quanto è importante da un punto di vista
prognostico studiare la monosomia del cromosoma 3 (indice prognostico sfavorevole), e anche mutazioni
dei cromosomi 6 e 8.
Le mutazioni di GNAQ e GNA11 si ritrovano anche nei cosiddetti nevi blu e purtroppo non sono targettabili,
quindi nemmeno rilevanti da un punto di vista terapeutico.

Melanoma acrale e mucosale: i melanomi acrali sono quelli che insorgono su cute glabra e condividono le
caratteristiche genetiche dei melanomi mucosali (che insorgono a livello anale e GI, orale e nelle fosse
nasali). Quello che salta agli occhi è la frequenza di mutazioni di KIT del 25%, mentre nell’insieme di tutti i
melanomi questa mutazione è rara e non supera l’1%. Questo significa che in caso di melanoma acrale o
mucosale diventa importantissimo richiedere la ricerca di KIT, dato che ci permette di utilizzare in terapia il
farmaco bersaglio imatinib. La mutazione di BRAF scende al 10-15%, NRAS pure al 15-20% (ma in alcune
sedi, come quella vaginale, si arriva anche al 42%).
Inoltre va detto che i melanomi acrali spesso hanno amplificazioni geniche, tra cui sono importanti quelle
della ciclina D.

I melanomi mucosali possono ovviamente colpire anche i genitali femminili (e più di rado quelli maschili),
ma sono meno frequenti rispetto alle mucose intestinale e anale – in queste sedi il melanoma può essere
scambiato inizialmente per emorroidi oppure per un banale polipo. Quando si pone diagnosi di melanoma
anale è molto probabile che sia un tumore primitivo, mentre se diagnostichiamo lesioni multiple del tratto
GI superiore è più probabile che si tratti di metastasi di un altro melanoma occulto.

Melanoma da primitivo ignoto: è possibile trovare pazienti con metastasi multiple sottocutanee o
linfonodali ma in assenza di melanoma primitivo. Il primo approccio del dermatologo deve essere quello di
valutare con attenzione cute e mucose del paziente, ma ricordiamo che come i nevi anche i melanomi
possono andare incontro a regressione completa  sulla pelle rimane un esito di acromia, ma il sistema
immunitario può essere riuscito a far regredire completamente la lesione neoplastica. Comunque bisogna
essere assolutamente certi di non aver trovato il melanoma primitivo prima di porre una diagnosi simile.
Il genotipo di questi melanomi ricorda quello dei melanomi senza CDS, quindi un 50% di mutazioni di BRAF
V600E, mutazioni di NRAS nel 20% e raramente di KIT.
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Detto tutto ciò, va detto che è stata elaborata una classificazione da parte del Cancer Genomic Network che
distingue da un punto di vista genomico quattro tipologie di melanoma:

 Melanomi BRAF mutati, generalmente pazienti giovani che hanno anche amplificazioni di MIFT
 Melanomi RAS mutati, che per la maggior parte sono NRAS mutati dato che le mutazioni di KRAS e
HRAS nel melanoma sono trascurabili
 Melanomi NF1 mutati, come il desmoplastico e il melanoma dell’anziano
 Melanomi triple-wild-type, che non sono mutati né in BRAF né in NRAS né in NF1, possono avere
numero aumentati di copie di cromosomi e vari riarrangiamenti

Indipendentemente da questa classificazione sappiamo che almeno nel 50% dei casi i melanomi possono
mostrare una signature immune, nel senso che possono essere associati ad un ricco infiltrato linfocitario
 questi sono i cosiddetti “hot tumors”. Ciò ha un importantissimo impatto sulla sopravvivenza del
paziente: se ci sono molti linfociti la sopravvivenza sarà migliore indipendentemente dalla classificazione
molecolare. Questo perché tali pazienti sono ottimi candidati per l’immunoterapia (sistema PD1), sia in caso
di metastasi sia come chemioterapia adiuvante.
In tutto questo l’anatomopatologo ha un ruolo cruciale: data l’importanza dell’indagine genetica è importante fornire
al biologo campioni con sole cellule tumorali, perché altrimenti c’è il rischio di “perdere” la mutazione nel contesto di
cellule non tumorali, come linfociti o cellule neviche.
Quando chiedere il BRAF testing? In caso di stadio IIIC oppure IV, quindi metastatico. Il test lo deve chiedere il medico
di famiglia oppure l’oncologo o il patologo.

Un altro problema è quello dell’eterogeneità genetica del tumore (sia inter-tumorale sia intra-tumorale):
alcuni studi effettuati con microsezioni laser hanno dimostrato che all’interno del tumore si possono avere
cellule con una mutazione e cellule magari adiacenti che invece non ce l’hanno, perché sono
sostanzialmente cloni cellulari differenti. Si pone quindi il problema se fare un unico test su un singolo
campione tissutale possa consentirci davvero di identificare tutti i pazienti portatori di una data mutazione
e quindi magari candidabili a una data terapia. L’eterogeneità dei melanomi è un dato di fatto, la
discrepanza può arrivare anche al 20% e non dipende dalla sensibilità delle metodiche utilizzate ma proprio
dal tumore di per sé.
Cosa si fa allora? Se un paziente ha un melanoma diffuso metastatico e il test genetico ci dice che è BRAF
wild-type può essere opportuno effettuare l’analisi anche delle metastasi sottocutanee, facilmente
accessibili, perché potrebbe essere possibile trattare il paziente.

Uno dei metodi con cui si sta cercando di superare il problema dell’eterogeneità tumorale è l’utilizzo della
biopsia liquida, che andrebbe a ricercare la mutazione nei miRNA prodotti dal tumore e presenti in circolo,
ma anche dei ctDNA che indicano la presenza di determinate mutazioni.
Un’altra prospettiva per il futuro è quella di poter somministrare la target therapy non solo in caso di
metastasi ma anche come approccio adiuvante.

Metodiche per la ricerca delle mutazioni: innanzitutto va detto che esistono metodiche a bassa sensibilità e
metodiche ad alta sensibilità, ad esempio il sequenziamento secondo metodo Sanger ha una sensibilità più
bassa rispetto al pirosequenziamento o ad altre metodiche RT. È stato dimostrato che è molto importante
effettuare un arricchimento della popolazione tumorale, cioè praticamente se il patologo circoscrive l’area
tumorale isolandola dalle cellule non tumorali, in modo da ottenere una sensibilità analitica maggiore,
indipendente dalla metodica stessa.

Quindi prima di mandare un tessuto alla ricerca delle mutazioni è fondamentale circoscrivere l’area
tumorale e cercare di non inviare all’indagine tessuto che non sia tumorale. Questo perché altrimenti si
rischia di non riconoscere la mutazione, che viene ad essere troppo scarsamente rappresentata. Siccome il
campione che va all’analisi molecolare viene fatto dal patologo, capiamo come egli abbia un ruolo
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fondamentale per programmare la terapia personalizzata di ogni paziente: al regola vuole che all’interno
del campione ci sia almeno l’80% (secondo le sbobine nuove il 50%) di cellule tumorali, altrimenti si
rischiano falsi negativi. tuttavia, laddove la quota di cellule sia scarsamente rappresentata è fondamentale
utilizzare una metodica di analisi dotata di alta sensibilità, come la PCR RT.

NB: in caso di melanoma insorto su nevo preesistente è necessario rimuovere le cellule neviche sane, in
quanto anche loro presentano la mutazione di BRAF (che è già mutato durante l’ontogenesi melanocitaria)
per cui potrebbe dare falsi positivi.
La SIAPEC IAP (Società Italiana di Anatomia Patologia e Citodiagnostica) ha compilato delle raccomandazioni sul
referto anatomopatologico: esso dovrebbe indicare con precisione il materiale utilizzato, la percentuale di cellule
tumorali presenti, la metodica diagnostica usata e le mutazioni riscontrate.

Ma su che base si sceglie la metodica da utilizzare per individuare una mutazione di BRAF? La cosa
fondamentale è capire come è costituito il campione. Se esso è costituito da molte cellule tumorali, pochi
linfociti e poche cellule normali e poca necrosi si può utilizzare un sequenziamento diretto (che tutto
sommato non è molto sensibile); se invece le cellule tumorali sono poche dobbiamo utilizzare metodiche
più sensibili come la PCR RT – real time.

Tra le metodiche più utilizzate abbiamo il sequenziamento secondo Sanger, la PCR RT ma anche
l’immunoistochimica: infatti oggi abbiamo un ottimo anticorpo chiamato VE1, che ci permette di
riconoscere la mutazione BRAF V600E. Il problema di questo VE1 è che riconosce solo la V600E e non le
altre possibili mutazioni – sebbene esse siano rare – e poi c’è il fatto che serve comunque l’indagine
molecolare di conferma prima di iniziare la terapia. Il vantaggio dell’immunoistochimica invece è quello di
salvare tessuto, infatti sono sufficienti sezioni di soli 5 micron  potenzialità enormi per i tumori con poco
tessuto disponibile! Inoltre è una metodica poco costosa e molto rapida.

Ci sono metodiche che indagano solo una specifica mutazione mentre altre metodiche ci permettono di
analizzare un pannello di mutazioni, cosa che conferisce un vantaggio per l’oncologo e per il clinico.

Markers immunoistochimici: ci sono alcuni marcatori che hanno un ruolo importante nella discriminazione
tra lesioni melanocitarie e lesioni invece della linea epiteliale (carcinomi). I markers melanocitari sono:
 S100, che ha una elevata sensibilità
 HMB45, molto specifico ma poco sensibile
 MART1

I markers epiteliali invece sono definiti da un ampio spettro di citocheratine (cocktail AE1-AE3). Altri
possibili markers immunoistochimici sono:
 Vimentina, che non è troppo utile in quanto marca sia la linea mesenchimale sia carcinomi poco
differenziati sia melanomi
 CD314, un marker dei vasi
 Desmina, un marker muscolare
 Ki-67 o MIB1 come sappiamo si utilizza moltissimo per valutare la proliferazione cellulare
FISH melanoma: l’assetto cromosomico tra nevi e melanomi è molto diverso. Nei melanomi si ha un grande numero di
perdite e di guadagni cromosomici che vengono ben evidenziati dalla metodica CGH array, molto costosa, tramite la
quale si è visto che le anomalie si hanno soprattutto sui cromosomi 6 e 11. I ricercatori hanno quindi sviluppato un
sistema di sonda a quattro colori che individui quattro specifici loci secondo il sistema FISH (le sequenze sono RREB,
MYB, CNND1 e CEP6). Questa FISH nel caso del melanoma ha una sensibilità dell’86% e una specificità del 95%.

Ogni sonda ha un colore (rosso, giallo, verde, azzurro) e si contano i segnali cromatici rilevati: ogni cellula sana
dovrebbe avere due segnali di ogni colore, mentre un pattern abnorme presenterà segnali mancanti oppure segnali in
più. Una volta rilevati i segnali si inseriscono i dati in un file Excel che alla fine ci dà un risultato per dire se i valori di

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cut off sono stati superati. Se otteniamo una FISH negativa per melanoma è anche possibile aggiungerci una quinta
sonda (9p21), che porta la sensibilità al 94% e la specificità al 98%.

Un’altra cosa che si può utilizzare è il gene MYC posto sul cromosoma 8: i melanomi che presentano un aumento delle
copie di MYC sono particolarmente aggressivi, nodulari e melanotici. La FISH avrà quindi un valore prognostico più che
diagnostico.

Prognosi: dipende da quanto le cellule crescono nel derma, infatti nel melanoma in situ la popolazione
neoplastica è confinata nell’epidermide mentre nel melanoma invasivo si approfonda nel derma. La
prognosi nei due casi sarà diversa perché a livello del derma si trovano strutture vascolari e linfatiche che
rendono possibile la diffusione tumorale a distanza. Va detto che i melanomi inizialmente prediligono la
diffusione per via linfatica e solo successivamente sfruttano anche quella ematica.

Stadiazione: si fa riferimento alla TNM, prodotta dall’AJCC. La stadiazione rappresenta il più importante
fattore prognostico e prevede i soliti parametri T, N ed M. attenzione: nel caso del melanoma non contano
le dimensioni del tumore in senso di estensione superficiale, ma conta la profondità che le cellule tumorali
raggiungono! Infatti già a questo proposito abbiamo visto come cambia la prognosi tra tumore in situ e
tumore invasivo: una volta che il melanoma è diventato invasivo – e quindi ha superato la solita membrana
basale – si può stratificare il parametro T basandosi sullo spessore della lesione e sulla presenza o meno di
ulcerazione.
 Parametro T
o TX
o T0
o Tis – melanoma in situ
o T1 – dimensioni < 1 mm
 A se < 0,8 mm senza ulcerazione. In questo caso è sufficiente eseguire un allargamento, quindi ampliare la
resezione oltre la cicatrice per bonificare l’area. Più la lesione è profonda e più si deve ampliare.
 B se 0,8-11 mm senza ulcerazioni, oppure qualsiasi < 1 mm con ulcerazione. In questo caso si deve fare sia
l’allargamento della resezione sia la biopsia del linfonodo sentinella.
o T2 – dimensioni tra 1 e 2 mm: si indirizza verso la biopsia del linfonodo sentinella
 A senza ulcerazioni
 B con ulcerazioni
o T3 – dimensioni tra 2 e 4 mm
 A con ulcerazioni
 B senza ulcerazioni
o T4 – dimensioni > 4 mm
 A con ulcerazioni
 B senza ulcerazioni
 Parametro N
o NX
o N0
o N1 – metastasi ad un linfonodo oppure metastasi in transit/microsatelliti senza linfonodi
o N2 – metastasi a 2-3 linfonodi oppure ad un linfonodo + metastasi in transit/microsatelliti
o N3 – metastasi a più di 3 linfonodi oppure a più di un linfonodo + in transit/microsatelliti
 Parametro M
o M0
o M1
 A – metastasi a cute, sottocute o linfonodi a distanza
 B – metastasi al polmone
 C – metastasi ad altri visceri
 D – metastasi al SNC

Metastasi in transit = nodularità situate nello spazio compreso tra tumore primitivo e linfonodo regionale
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Microsatelliti = nodularità situate a distanza ridotta rispetto al tumore primitivo

Per quanto riguarda il linfonodo sentinella, una sua positività in passato era indicazione per la
linfadenectomia; oggi invece non si fa perché si è visto che non ci sono differenze di sopravvivenza rispetto
a chi fa solo il follow up. L’analisi del linfonodo sentinella comunque è molto importante perché serve a
stadiare la malattia: se ad esempio esso risulta positivo il paziente potrebbe sottoporsi ad un trial con
chemioterapia adiuvante.
Riguardo al parametro M va detto che la sua stratificazione si basa sia sulla sede anatomica colpita sia sui
livelli di LDH.

Fattori prognostici del parametro T:

SPESSORE SECONDO BRESLOW – è il fattore più importante come è chiaro anche dall’analisi del parametro
T nella stadiazione. Lo spessore è una variabile continua, che si valuta sulla sezione sagittale; al suo
aumentare si avrà un rischio sempre maggiore sia di recidiva locale sia di metastasi a distanza. Lo spessore
individua quattro categorie – arbitrarie – che sono quelle del parametro T: < 1 mm, 1-2 mm, 2-4 mm, > 4
mm. Una cosa importantissima da sapere è che questi mm vengono misurati a partire dallo strato
granuloso fino al punto di massima infiltrazione nel derma: se comprendessimo anche lo strato corneo
avremmo valori troppo sballati ad esempio sulla pianta del piede, dove esso è molto spesso.

Vediamo quali possono essere le difficoltà incontrate dal patologo nella valutazione dello spessore:
1) Spesso i melanomi sono molto pigmentati (anche se non sempre) e accanto alle cellule tumorali
possono esserci molti melanofagi; nella valutazione di un melanoma con cospicuo infiltrato
melanofagico può essere difficile discriminare tra cellula tumorale e melanofago (cioè istiocita ripieno
di pigmento).
2) Lesioni in cui è presente iperplasia dell’epidermide con formazione di cisti cornee
3) Quando il frammento non è stato incluso in paraffina nel modo corretto, cioè se non è stato orientato
nella cera nel modo giusto e quindi valutare lo spessore diventa complesso.
Una cattiva processazione in questo senso dipende dal lavoro manuale dei tecnici e può determinare un
aspetto “fenestrato”: questo ci indica che la cute non è orientata bene. In questo caso è possibile che si
debba risciogliere il preparato e rifare daccapo l’inclusione, perché altrimenti il valore del Breslow
verrebbe falsato.

Ci sono poi delle situazioni in cui valutare lo spessore secondo Breslow diventa particolare:
4) Melanomi siringiotropi, che hanno un tropismo particolare per l’acrosiringio (che sarebbe il dotto delle
ghiandolare sudoripare); il sudore in pratica viene prodotto dalle ghiandole dell’ipoderma e poi risale
nel derma attraverso il dotto spiraliforme, giungendo alla superficie esterna.
Esistono appunto dei melanomi che vanno a infiltrare i dotti delle ghiandole sudoripare, portandosi
anche molto in profondità, per cui il patologo deve capire se si tratta di un microsatellite oppure se è il
melanoma stesso che è stato trascinato nell’ipoderma a causa del suo tropismo verso i dotti sudoripari.
In questo caso potremo avere paradossalmente delle lesioni siringiotrope con satelliti nell’ipoderma,
che però sono in realtà lesioni in situ perché non c’è una vera invasione, ma soltanto la permeazione
del dotto – il significato prognostico è completamente diverso!
5) Melanomi del volto: le cellule possono penetrare nell’epitelio dei follicoli piliferi, per cui lo spessore
secondo Breslow non deve essere misurato in questo punto.

ULCERAZIONE – dopo lo spessore è il più importante fattore prognostico per quanto riguarda il parametro
T, e in particolare la presenza di ulcerazione va a peggiorare la prognosi del paziente. Esiste comunque una
correlazione tra spessore e presenza di ulcerazione: è più probabile trovare ulcerazione in una lesione
spessa, o nodulare, o comunque “fast-growing”. La percentuale di lesioni T1 con ulcerazione è solo del 6-15%
mentre per i melanomi in T4 si passa al 63%.

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L’ulcerazione si definisce microscopicamente come perdita di sostanza dall’epidermide, solitamente
associata a fibrina, a cellularità infiammatoria: i patologi sono in grado di riconoscerla? Infatti si potrebbe
confondere con un traumatismo, o con una escoriazione secondaria rispetto all’ulcerazione. Sono quindi
stati fatti degli studi internazionali volti a dimostrare la riproducibilità di questo parametro, anche come
veicolo di stratificazione nell’ambito di trial clinici – ne esistono alcuni sull’IFN in cui i pazienti sono stati
stratificati proprio in base all’ulcerazione; i pazienti ulcerati rispondono meglio.
Comunque per individuare bene una ulcerazione dobbiamo ricordare che si tratta di una perdita di sostanza
dell’epidermide e che deve essere presente infiammazione (altrimenti potrebbe trattarsi di una lesione
traumatica); inoltre l’ulcerazione si associa quasi sempre a evidenza di modificazioni reattive, come tralci di
fibrina e presenza di neutrofili.

NUMERO DI MITOSI – l’introduzione di questo parametro risale al 2009, mentre fino alla stadiazione
precedente si considerava come fattore discriminante il livello di Clark – esso ad oggi non ha più rilevanza.
Si considera quindi il numero di mitosi presenti in ogni mm2 e non in ogni HPF, per rendere la valutazione
maggiormente comparabile tra microscopi con caratteristiche tecniche differenti.
Il numero di mitosi si calcola su vetrini colorati con EE, ma è anche possibile utilizzare degli anticorpi ( fosfo-
istone H3) tramite tecniche di immunoistochimica: queste consentono di individuare la cellula in mitosi già
dalla profase, che non sarebbe riconoscibile in EE.
Ai fini stadiativi per il melanoma si effettua ancora il conteggio in EE convenzionale, ma l’utilizzo del fosfo-
istone H3 può avere senso come screening nel riconoscimento dell’hotspot (cioè dell’area di tumore in cui
ci sono più mitosi).
ISTOTIPO – di per sé non ha significato prognostico, infatti si è capito negli ultimi anni che la varietà cito-architetturale
dei melanomi non può essere compresa nella classificazione WHO. Ci stiamo quindi allontanando sempre di più dalla
classificazione morfologica, perché non comprende tutte le entità visibili al microscopio e perché ha scarsa rilevanza
da un punto di vista clinico. Per questi motivi oggi si utilizza la già vista classificazione molecolare, basandosi sulle
mutazioni genetiche presenti e sulla correlazione con l’esposizione ai raggi UV.

FASE DI CRESCITA – è un altro importante parametro, infatti la crescita può essere radiale oppure verticale.
Tale concetto è stato introdotto da Clark negli anni ’70 in base ad una concezione di progressione tumorale:
il melanoma in fase di crescita radiale comprende sia il melanoma in situ sia il melanoma invasivo che
ancora non ha acquisito la capacità di metastatizzare a distanza. Poi nel contesto del tumore si costituisce
un clone cellulare in fase di crescita verticale, che configura il rischio di metastasi.

LINFOCITI INFILTRANTI IL TUMORE (TIL) – si tratta di cellule importantissime per il calcolo dell’immuno-
score, cioè la caratterizzazione del tumore in base al tipo e all’entità delle cellule linfoidi del
microambiente. Si tratta di una cosa molto importante per il discorso della immunoterapia, che si basa
proprio sulla presenza dei linfociti più che sul tumore di per sé. Inoltre c’è un significato prognostico
abbastanza ovvio: se ci sono tanti linfociti vuol dire che il SI sta rispondendo bene, e quindi il tumore avrà
più difficoltà e la prognosi sarà migliore. La presenza di TIL correla quindi positivamente con la
sopravvivenza e negativamente con lo stato del linfonodo sentinella.

È stato anche visto che la presenza di TIL non favorisce la formazione di una rete di vasi linfatici all’interno
del melanoma, cosa che sarebbe ovviamente sfavorevole in termini di diffusione a distanza; la crescita di
una rete linfatica può essere invece sostenuta dalla presenza di TAM (Macrofagi Associati al Tumore).
Dunque ad oggi la cosa importante oltre al numero di cellule immunitarie è il tipo: si ricercano markers
tipici come CD8, CD3 e CD45.
Infiltrato brisk = infiltrato numeroso lungo la periferia (across the base) oppure centrale, ha un significato favorevole.
Invece un infiltrato non brisk ha significato sfavorevole.

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Rimarchiamo quindi l’importanza del microambiente, per la cui descrizione ancora oggi si utilizza la
definizione data da Clark; è possibile cioè ritrovare:
1) Melanomi con denso infiltrato linfocitario brisk
2) Melanomi con infiltrato non denso, non brisk
3) Melanomi senza infiltrato linfocitario

REGRESSIONE – nella fase iniziale il suo significato può essere analogo a quello dei TIL (quindi prognostico
positivo) ma nelle fasi avanzate, quando la regressione è > 75%, è possibile fare una sottostima del reale
spessore del melanoma: per questo motivo si consiglia comunque di effettuare la biopsia del linfonodo
sentinella, perché lo spessore potrebbe essere molto maggiore di quello che sembra lì per lì.

Abbiamo già visto i casi in cui il paziente giunge alla nostra osservazione con metastasi diffuse da
melanoma, ma senza che vi sia l’evidenza di un tumore primitivo. Questo può essere spiegato proprio
ammettendo che il melanoma primitivo sia andato incontro a regressione completa per azione del sistema
immunitario; il paziente comunque deve essere trattato come un IV stadio normale, al massimo con
prognosi un pochino migliore.

Si può anche verificare una situazione di regressione parziale: in questo caso la lesione non appare più
normocromica ma variegata, con chiazze biancastre o multicolore. Queste modificazioni si possono vedere
dal clinico dermoscopista e anche al microscopio. In particolare al microscopio si riscontrano fibrosi,
neoangiogenesi capillare e infiltrato di melanofagi, che indicano una risposta immunitaria. Sul significato
della regressione parziale si è dibattuto a lungo: oggi sembra che non comporti un maggior rischio di positività del
linfonodo sentinella – anzi potrebbe avere un ruolo favorevole. Per quanto riguarda la sopravvivenza vi sono pareri
contrastanti.

LIVELLO DI CLARK – ha perso quasi completamente di significato, quindi all’esame NON va nemmeno nominato.
Esprime il grado di infiltrazione delle cellule tumorali ma in modo diverso rispetto al sistema di Breslow. Il problema è
che non in tutte le zone corporee si ha lo stesso spessore della cute, quindi i livelli di Clark non corrispondono sempre
nello stesso modo ai livelli di Breslow.
I. Melanoma in situ
II. Infiltra il derma papillare ma non in modo completo
III. Infiltra il derma papillare fino al confine con il derma reticolare
IV. Raggiunge il derma reticolare
V. Raggiunge anche l’ipoderma

ALTRI FATTORI:
 Invasione dei vasi e dei linfatici (si usa il marker D2-40 che riconosce la podoplanina, espressa
nell’endotelio dei capillari linfatici ma non ematici)
 Presenza di microsatelliti
 Margini di resezione chirurgica

Il discorso dell’invasione dei linfatici è importante perché il melanoma è un tumore che metastatizza
preferenzialmente per via linfatica (da cui l’importanza del linfonodo sentinella); ricordare comunque che
al microscopio non è sempre facile distinguere vasi linfatici da vasi ematici. Ci sono quindi dei markers
immunoistochimici che ci aiutano a riconoscere l’endotelio linfatico (il già citato D2-40). Utilissima è anche
la “doppia colorazione”, che però non torna come la spiega nelle sbobine vecchie.

Parametro N: una delle novità più importanti della nuova stadiazione del 2009 è stato il discorso del
linfonodo sentinella. Infatti secondo le nuove linee guida andrebbe sempre aggiunta l’indagine
immunoistochimica alla valutazione puramente morfologica. Per questo motivo è importante uniformare i
protocolli allo studio estensivo del linfonodo sentinella  devono essere studiate almeno 20 sezioni in cui
si alternano la colorazione classica EE con markers specifici come il solito S100, HMB45 e MART1, al fine di

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avere una maggiore accuratezza nel riconoscere la positività del linfonodo sentinella (che si aggira sul 20%).
L’utilizzo dei marker dovrebbe infatti permettere l’evidenziazione anche di pochissime cellule tumorali.
La novità introdotta dalla stadiazione 2009 è che per il melanoma anche la presenza di una sola cellula
tumorale individuata con l’immunoistochimica vada interpretata come positività: pertanto indirizza il
paziente alla linfadenectomia.

Oltre al riconoscimento delle cellule tumorali bisogna anche saperne la localizzazione, infatti sono possibili:
- Depositi parenchimali
- Depositi sotto-capsulari
- Componente parenchimale e sotto-capsulare (pattern misto)
Questo è importante perché è stato dimostrato che quanto più profonda è la localizzazione tanto più è
probabile che i linfonodi non sentinella siano anch’essi positivi.

A livello sotto-capsulare c’è la possibilità di documentare aggregati di cellule neviche anche in linfonodi
asportati per tumori diversi dal melanoma (es. tumore della mammella): il patologo allora deve
differenziare le cellule di melanoma vere e proprie dagli aggregati nevici sotto-capsulari, che sono
assolutamente benigni e non implicano quindi linfadenectomia. Il patologo si basa sulla morfologia e
sull’immunoistochimica, ma in casi dubbi può anche utilizzare la FISH per studiare l’assetto genetico. Infatti
utilizzando markers dei melanociti si rischia di avere un risultato positivo anche quando si tratta di aggregati
nevici, anche se in questo caso la morfologia ci viene in aiuto per porre DD.

Il patologo deve informare il clinico sul linfonodo sentinella nei seguenti aspetti:
1) Numero di linfonodi riconosciuti e asportati
2) Presenza o assenza di cellule tumorali nel linfonodo
3) Localizzazione di tali cellule, se presenti
4) Diametro massimo della metastasi maggiore
5) Eventuale estensione extra-capsulare, che ha significato sfavorevole
6) Presenza di cellule neviche associate

PRECANCEROSI E NEOPLASIE EPITELIALI DELLA CUTE

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