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Enzimologia

Tutti gli organismi viventi sono provvisti di enzimi, catalizzatori in grado di accelerare le reazioni
chimiche. I processi vitali sono tutti basati su reazioni chimiche più o meno complesse che si
possono succedere, e gli enzimi sono importanti in quanto rappresentano anche il bersaglio di
certi farmaci e il loro attacco da parte di questi ultimi può servire per fermare una malattia.
La parola enzima deriva dal greco “en zýmō” che vuol dire “dentro al lievito” perché, nei primi
studi sugli enzimi, si erano fatti esperimenti sulla fermentazione del lievito. Successivamente si
dimostrò che la fermentazione era possibile anche usando degli estratti acellulari di lievito, erano
quindi delle sostanze chimiche contenute nelle cellule del lievito che permettevano la
fermentazione. Ma solo recentemente, nel 1926, si è riusciti a comprendere la composizione
chimica delle sostanze responsabili della catalisi. Venne cristallizzato l’enzima ureasi del fagiolo e ci
si rese conto che si trattava di una proteina. Quindi oggi sappiamo che gli enzimi sono delle
proteine che svolgono catalisi, ma sappiamo anche che ci sono anche altre molecole che svolgono
catalisi che sono i ribozimi.
Vi sono due grandi aspetti da considerare rispetto alla reazione chimica di un enzima, una è la
termodinamica e l’altra è la cinetica.
La termodinamica ci dice se una reazione è spontanea o meno, il parametro è la cosiddetta
variazione di energia libera di Gibbs che può avere valori positivi, negativi o uguali a zero. Una
reazione chimica è spontanea se ∆ G<0 e in questo caso vi è produzione di energia che può essere
utilizzata per compiere un lavoro.
Gli enzimi intervengono nell’ambito della cinetica chimica perché sono in grado di accelerare una
reazione, ma essi non hanno nessun effetto sui parametri termodinamici, quindi l’equilibrio tra
reagenti e prodotti non verrà mai modificato.
Senza enzimi alcune reazioni possono essere così lente da non svolgersi nemmeno perché non
compatibili con la vita della cellula, a questo proposito intervengono gli enzimi dove il reagente,
che si lega al catalizzatore, viene chiamato substrato (S) ed induce una trasformazione più rapida
del substrato nel prodotto (P).
Gli enzimi hanno delle caratteristiche comuni che ci permettono di definirli catalizzatori:

 Aumentano la velocità di una reazione chimica


 Non alterano l’equilibrio
 Agiscono in piccolissime quantità rispetto al substrato
 Non vengono modificati o consumati durante la reazione
Una caratteristica peculiare degli enzimi è l’elevata specificità per il proprio substrato, il che
significa che ogni enzima ha un substrato specifico. Un esempio è rappresentato dalla tripsina e
dalla trombina la cui azione è quella di velocizzare una reazione di idrolisi, eppure sono in grado di
riconoscere gli amminoacidi che partecipano al legame peptidico; la tripsina rompe i legami
peptidici in cui il gruppo carbossile è fornito da lisina o arginina, la trombina rompe legami che
sono formati da arginina o glicina. Gli enzimi sono anche specifici per il tipo di reazione catalizzata,
quindi lo stesso substrato può essere trasformato in due prodotti diversi da due enzimi diversi.
Proprio per il fatto che sono presenti all’interno delle cellule agiscono in condizioni compatibili con
la vita della cellula: a temperature inferiori a 100°C, con valori di pH vicini alla neutralità e alla
pressione atmosferica. In quanto proteine, possono essere costituiti da una sola catena
polipeptidica, ma il più delle volte sono proteine coniugate in cui è presente la componente
peptidica e polipeptidica, in questo caso si parla di oloenzimi che possono essere scissi facilmente
in un apoenzima che non è funzionale e in un cofattore che può avere varia natura come ioni
metallici o molecole organiche.
Gli enzimi che contengono ioni metallici sono detti metalloenzimi

Quando i cofattori non sono rappresentati da ioni metallici si parla di coenzimi, molecole
organiche che possono prendere un rapporto diverso con la componente polipeptidica cui sono
associati. Se il legame del coenzima è un legame molto saldo e quasi impossibile asportare la
componente enzimatica senza comprometterne la struttura, si parla quindi di gruppi prostetici.
Quando i legami sono più blandi il coenzima viene definito come co-substrato.

Classificazione degli enzimi


Possono essere distinti in sei classi differenti a seconda del tipo di reazione catalizzata:
1. Ossidoreduttasi: Enzimi che catalizzano reazioni di ossidoriduzione
2. Trasferasi: reazioni di trasferimento di un gruppo chimico da un substrato ad un altro
3. Idrolasi: reazioni di idrolisi, rottura di legami covalenti mediante l’introduzione di molecole
di acqua
4. Liasi: reazioni di rottura non idrolitica di legami, addizione o rimozione di gruppi chimici
5. Isomerasi: reazioni di isomerizzazione
6. Ligasi: formazione di nuovi legami chimici con consumo di ATP
All’interno di ognuna delle sei classi precedenti è possibile distinguere più sottoclassi
ulteriormente suddivisibili in sotto-sottoclasse e poi in singoli enzimi. Queste quattro suddivisioni
vengono indentificate con quattro numeri.

Nomenclatura
Gli enzimi, man mano che sono stati scoperti, venivano denominati in modo corrente con il nome
che viene di solito utilizzato dalla comunità scientifica anche oggi, con la desinenza -asi e in cui si fa
riferimento al substrato e alla reazione catalizzata. Il problema è che questo tipo di nomenclatura
può generare confusione, perciò è stato introdotto un nome più preciso composto da due parole,
il nome del substrato e la reazione catalizzata. L’esempio è la trasformazione di citrato in isocitrato
con una reazione di isomerizzazione in cui viene scambiato il posizionamento dei gruppi
sostituenti. IL nome corrente dell’enzima è aconitasi e il nome sistematico aconitato idratasi,
l’aconitato è l’intermedio che si forma durante la reazione stessa.

Ossidoreduttasi

 Deidrogenasi: Il tipo più diffuso di ossidoreduttasi è quello delle ossidoreduttasi che


agiscono sottraendo atomi di idrogeno al substrato (ossidazione) che poi vengono catturati
da accettori rappresentati da alcuni coenzimi. Nell’abito delle deidrogenasi possiamo
trovare le deidrogenasi piridiniche, in cui l’accettore di idrogeno è rappresentato appunto
dal NAD o dal FAD.
1. Deidrogenasi piridiniche: per questa categoria riportiamo l’esempio della
malatodeidrogenasi.Il malato è un acido bicarbossilico a 4 atomi di carbonio in cui è
presente un gruppo -OH sul carbonio α. Alla reazione di ossidazione partecipa il NAD che
estrae due atomi di idrogeno, di cui uno rimane libero e uno viene acquisito dal NAD che
diventa NADH. Il malato a questo punto si trasforma in ossalacetato.
2. Deidrogenasi flaviniche: Nella succinato deidrogenasi, in cui il succinato viene ossidato
attraverso l’estrazione di due atomi di idrogeno, il FAD assume i due atomi di idrogeno per
trasformarsi in FADH2, il cui prodotto è il fumarato che presenta un legame C=C.
Coenzimi
Il NAD è un coenzima derivato dalla nicotinammide (vitamina PP o B 3) il nome nicotinammide
adenin dinucleotide ci fa capire com’è composta la molecola. Quindi presenta la nicotinammide
legata a una molecola di ribosio legato a un gruppo fosfato a sua volta legato ad un altro gruppo
fosfato, ad una molecola di ribosio e all’adenina. La nicotinammide è in grado di legare uno ione
idruro per passare dalla forma ossidata alla forma ridotta. Una forma variante del NAD è
rappresentata dal NADP in cui al posto dell’atomo di idrogeno sul ribosio dell’adenosina c’è un
gruppo fosfato.
La struttura del FAD è simile a quella del NAD, perché sempre composto dal gruppo fosfato e
dall’adenina, di diverso questa volta c’è il nucleotide flavinico derivato dalla riboflavina (vitamina
B2) costituita da un triplo anello in cui sono presenti 4 atomi di azoto che si lega a una catena di 5
atomi di carbonio che poi porta un gruppo fosfato. L’anello della vitamina si carica dei due atomi
di idrogeno per trasformarsi nella forma completamente ridotta, esso lega due atomi alla volta.
Questo può determinare la formazione di specie reattive dell’ossigeno, ma generalmente non
capita mai.

 Ossidasi: sono un altro tipo di ossidoreduttasi meno rappresentate ma comunque


importanti. Anche in questo caso vengono estratti due atomi di idrogeno dal substrato
dove però l’accettore è la molecola di ossigeno, a questo punto otteniamo un substrato
ossidato e una molecola di acqua ossigenata. Alcune ossidasi importanti sono le
monoamminossidasi che ossidano le ammine biogene e le amminoacidossidasi che non
sono molto funzionanti nel nostro organismo.
Poiché viene prodotta acqua ossigenata, le ossidasi si trovano all’interno dei perossisomi
che contengono enzimi deputati allo smaltimento dell’acqua ossigenata che non può
rimanere libera in quanto dannosa per la cellula.

 Ossigenasi: sono il terzo tipo di ossidoreduttasi che utilizzano ossigeno come agente
ossidante, introducendo atomi di ossigeno nel substrato. Se ne conoscono due tipi:
1. Monoossigenasi (o Idrossilasi): Qui un atomo di ossigeno viene inserito nel substrato e
l’altro atomo legato a due atomi di idrogeno dati da una molecola donatrice. Vengono
chiamate idrossilasi perché di fatto inseriscono un gruppo ossidrile al substrato.
2. Diossigenasi: sono molto più rare ed entrambi gli atomi di ossigeno vengono inseriti nel
substrato.

 Perossidasi: l’agente ossidante è l’acqua ossigenata, quindi sono enzimi di difesa contro le
specie attive dell’ossigeno.

 Reduttasi: generano reazione di riduzione e dove l’agente riducente è il NADPH che


fornisce gli elettroni necessari per la rottura dei ponti disolfuro.

Trasferasi
Questi enzimi catalizzano una reazione di trasferimento di un gruppo chimico da un substrato
donatore ad uno accettore. Ve ne sono diverse:

 Aminotrasferasi (transaminasi): sono enzimi che catalizzano reazione in cui vengono


trasferiti gruppi -NH2, il donatore è di solito un amminoacido e l’accettore un α chetoacido.
L’amminoacido trasferisce il proprio gruppo amminico all’α-chetoglutarato che lega il
gruppo amminico sul carbonio α. I prodotti sono un α-chetoacido corrispondente
all’amminoacido, e il glutammato. Le transaminasi usano come coenzima il

piridossalfosfato (PLP) una molecola derivata dalla vitamina B6.


 Fosfotrasferasi (chinasi): sono enzimi che trasferiscono gruppo fosfato dall’ATP a una
molecola accettrice a cui il gruppo fosfato viene legato attraverso un legame estere. Le
chinasi hanno numerosi substrati tra cui proteine o enzimi.
 Metiltrasferasi: trasferiscono gruppi metile dove il donatore è la S-adenosilmetionina
(SAM) e l’accettore una molecola di vario tipo che riceve il gruppo metilico. Le reazioni di
metilazione sono importanti perché producono delle sostanze che poi vengono impiegate
in numerosi processi biochimici della cellula.
 Transchetolasi e transaldolasi: enzimi che trasferiscono frammenti di molecole costituiti
rispettivamente da due e tre atomi di C contenenti il gruppo carbonile. Li troviamo nel
metabolismo dei carboidrati. La transchetolasi ha come coenzima un derivato della
vitamina B1 che si chiama tiamina pirofosfato (TTP).

Idrolasi
Si distinguono in base al tipo di legame che riescono a rompere attraverso l’introduzione di una
molecola di acqua.

 Esterasi: idrolizzano legami estere


 Glicosidasi: idrolizzano legami glicosidici
 Peptidasi: idrolizzano legami peptidici
 Fosfatasi: idrolizzano legami estere fosforico per azione delle chinasi

Liasi
Determinano la rimozione o l’aggiunta di gruppi chimici con scissione di legami, senza introdurre
acqua.

 Decarbossilasi: catalizzano reazioni di rimozione di un gruppo carbossile dal substrato


eliminato sottoforma di CO2. Agisce nel processo di fermentazione alcolica. Quelle più
importanti agiscono su amminoacidi o α-chetoacidi. Le amminoacido decarbossilasi usano
PLP come coenzima mentre le α-chetoacido decarbossilasi usano TTP.
 Deidratasi: provocano la rimozione di una molecola di acqua da un substrato con
formazione di un doppio legame, i due componenti della molecola di acqua vengono
rimossi da due atomi di carbonio diversi. La reazione è reversibile, basta reidratare il
doppio legame formatosi.
 Aldolasi: determina la rimozione di frammenti carboniosi con rottura di un legame
semplice senza introduzione di acqua.

 Sintasi: catalizzano reazioni di condensazione fra due molecole diverse senza consumo di
energia

Isomerasi
Isomerizzano una molecola nel suo isomero di gruppo.

 Epimerasi: Isomerizzano una molecola nel suo epimero. Quindi invertono la posizioine dei
sostituenti su un determinato carbonio.
 Mutasi: catalizzano reazioni di trasformazione di una molecola nel suo isomero strutturale.
Per esempio il gruppo fosfato viene cambiato di posizione.
Ligasi
Catalizzano reazioni di sintesi, formazione di legami covalenti con consumo di energia

 Sintetasi: Reazioni di sintesi di più substrati per formare un unico prodotto, accompagnata
da consumo di energia attraverso l’idrolisi di una o più molecola di ATP.
 Carbossilasi: catalizzano reazioni in cui una molecola di CO2 viene aggiunta ad un substrato
con consumo di energia. Utilizzano come coenzima la biotina vitamina del gruppo B che si
lega covalentemente all’enzima formando un complesso biotinil-enzima.

Catalisi
Gli enzimi legano il substrato in una porzione della loro struttura detta sito attivo. Spesso il sito
attivo coincide con il sito in cui viene legato il substrato, ma non accade quando i substrati sono
più di uno. Se abbiamo a che fare quindi con un enzima che ha un solo substrato, esso possiede un
sito attivo dove avviene il legame. Il sito attivo di un enzima è una porzione limitata che si trova di
solito alla superficie dell’enzima e appare come una tasca un cui può essere alloggiato il substrato,
che si forma col ripiegamento della catena polipeptidica per questo si possono legare solo enzimi
che non sono denaturati. Alla formazione del sito attivo partecipano le catene laterali di residui
amminoacidici che possono trovarsi anche molto lontani nella sequenza che poi si raggruppano
uno vicino all’altro per la formazione della catena polipeptidica. Fra il substrato e il sito attivo
esiste un grado di complementarietà strutturale, il che significa che l’enzima si adatta al sito attivo
attraverso una serie di reazioni di natura diversa, come le idrofobiche, ioniche oppure legami a
idrogeno. Nel momento in cui il substrato viene in contatto con l’enzima si forma il complesso
enzima-substrato. Una delle prime teorie sull’interazione enzima-substrato venne chiamata
“chiave-serratura” secondo cui il substrato si comporta come una chiave in grado di interagire solo
e soltanto con la sua serratura, quindi entrambi mantenevano la loro conformazione di partenza.
Questa teoria fu presto abbandonata. La teoria che viene oggi accettata è quella detta
adattamento indotto, secondo cui il substrato si lega all’enzima il quale inizialmente non ha
un’esatta complementarietà strutturale che si realizza successivamente attraverso un processo di
adattamento indotto dall’interazione enzima-substrato.
La modalità attraverso cui gli enzimi riescono ad
esercitare la catalisi avviene secondo le regole
della cinetica chimica. Si può riassumere con un
grafico in cui l’asse y rappresenta l’energia libera
G e l’asse x la coordinata di reazione, intesa
come sviluppo temporale della reazione.
All’inizio della reazione (a sinistra) abbiamo il
substrato (S) ad un determinato livello di
energia, al termine della reazione (a destra)
troviamo il prodotto P che ha un livello di energia
caratteristico. Il prodotto ha un’energia minore
rispetto al substrato il che vuol dire che la differenza di energia libera tra substrato e prodotto è
negativa, quindi la reazione è favorita. Durante la reazione, quando il substrato deve trasformarsi
nel prodotto, il substrato si riarrangia e si formano alcuni legami, questo è lo stato di transizione
che si caratterizza per avere un’energia molto elevata (picco della curva). Se invece vogliamo
sapere quanto velocemente avviene la reazione dobbiamo studiare l’energia di attivazione la cui

grandezza è inversamente proporzionale alla velocità della reazione, quindi è la barriera


energetica che deve essere superata perché la reazione avvenga. Più è alta l’energia di attivazione
più tempo ci vorrà perché avvenga la reazione.

La presenza dell’enzima modifica il profilo energetico della reazione (curva azzurra) si vede che lo
stato di transizione ha un’energia libera molto più bassa rispetto all’altra curva. Quindi la reazione
avviene più velocemente.

Perché quando il substrato si


lega al sito attivo avviene la
catalisi? In primo luogo perché lo
stato di transizione della
reazione viene stabilizzato e la
sua energia si riduce notevolmente. Un altro fattore è che, nel momento in cui il substrato entra
nel sito attivo, si liberano gran parte delle molecole d’acqua che lo circondano, questo rende il
substrato meno stabile. Poi la presenza da gruppi reattivi nel sito che sono in grado di promuovere
delle modificazioni strutturali nel substrato. In ultimo l’azione svolta da eventuali cofattori presenti
nel sito attivo.
Adesso consideriamo una
reazione in cui il substrato sia
rappresentato da una barretta
di metallo, e il prodotto dà i
due frammenti della barretta.
In assenza di enzima, per
passare dal substrato al
prodotto, si genera uno stato di transizione rappresentato dalla barretta piegata, che ha un livello
energetico più elevato.

Consideriamo adesso la stessa reazione condotta in presenza di un enzima che ha una perfetta
complementarietà strutturale con il substrato, secondo la teoria chiave-serratura. Il substrato va a
legarsi al sito attivo in cui sono presenti dei magneti che interagiscono con la barretta
stabilizzandone la struttura originaria. In queste condizioni accade che se il substrato libero ha una
certa energia libera, nel momento in cui si lega all’enzima, l’energia si abbassa perché il substrato
viene stabilizzato dai nuovi legami. Lo stato di transizione mantiene la sua energia originaria e così
la differenza di energia del
substrato nel complesso e lo
stato di transizione è più
elevata di quella della reazione
non catalizzata. In queste
condizioni la velocità della
reazione si ridurrebbe e
l’enzima rallenterebbe la reazione, ma come abbiamo visto prima questa condizione non è
possibile.
La situazione che favorisce la catalisi però è quella in cui il sito attivo non ha una
complementarietà strutturale totale con il substrato. Si forma il complesso enzima-substrato ma le
interazioni sono limitate. Ciò che accade è che il substrato cambia forma e diventa stato di
transizione e si può vedere che il sito attivo ha una perfetta complementarietà per lo stato di
transizione, che viene quindi stabilizzato da dei legami che forma col sito attivo. A questo punto si
ha la catalisi e la barretta viene rotta. Da un punto di vista energetico la stabilizzazione dello stato
di transizione avviene con l’abbassamento dell’energia di attivazione e l’aumento della velocità di
reazione.

Meccanismi di catalisi
Esistono quattro diversi meccanismi che possono agire singolarmente, ma il più delle volte
agiscono due o più meccanismi catalitici insieme.
Catalisi di prossimità: Nel momento in cui gli enzimi legano i substrati nel sito attivo portano i
gruppi reattivi dei substrati in contatto tra loro, secondo un orientamento corretto che favorisce la
formazione dello stato di transizione. Stabilizzano lo stato di transizione mediante distribuzione di
cariche elettriche nella zona circostante il sito attivo (catalisi elettrostatica). Rimuovono le
molecole d’acqua che circondano il substrato (desolvatazione). Infine, il legame dei substrati,
determina un blocco al movimento rotazionale dei gruppi attivi (riduzione entropica).

Catalisi acido-base: durante le reazioni chimiche si può formare un intermedio in cui è presente
una carica sfavorevole che porta l’intermedio al punto di partenza. In questo tipo di reazione il
trasferimento di protoni fra enzima e substrato rappresenta un sistema importante per ridurre
l’energia di attivazione della reazione. Quando la donazione di portoni viene svolta da ioni idronio
o ossidrile, si parla di catalisi acido-base specifica. Se invece gli accettori o i donatori di ioni sono
acidi o basi diversi dalla molecola di acqua, si parla di catalisi acido-base generale. (meccanismo
sul libro)
Catalisi covalente: Si ha la formazione transitoria di un legame covalente tra un gruppo chimico
del sito attivo e il substrato. Il più delle volte il legame deriva da un attacco nucleofilo da parte di
un gruppo nucleofilo basico. (meccanismo sul libro)
Catalisi da metallo: circa un terzo degli enzimi noti presenta degli ioni metallici come cofattori,
questi metalli possono essere Fe2+, Fe3+, Cu2+, Zn2+, Mg2+, Mn2+, Co2+. Alcuni di questi ioni hanno la
possibilità di modificare il proprio stato di ossidazione, altri non possono farlo. Le funzioni di questi
metalli sono tre: possono essere implicati nell’orientamento corretto del substrato, oppure
mediano reazioni di ossido riduzione, e possono anche stabilizzare o schermare cariche elettriche
di segno opposto. A volte queste modalità possono presentarsi contemporaneamente nella stessa
reazione.

Proteasi
Sono un gruppo di enzimi che appartiene al gruppo delle proteasi che catalizzano la reazione di
idrolisi del legame polipeptidico. Esistono due tipi di proteasi:
Esopeptidasi: Idrolisi dei legami all’estremità della catena
Endopeptidasi: idrolizzano i legami peptidici all’interno della catena
Le proteasi possono essere classificate anche sulla base delle modalità di catalisi:

 Proteasi a serina: contengono un residuo di serina nel sito attivo, es. tripsina,
chimotripsina, elastasi, trombina. Tutti questi enzimi sono accomunati da una struttura
simile a livello del sito attivo in quanto presentano una triade catalitica, cioè tre catene
amminoacidiche che partecipano alla catalisi. Presentano anche una tasca di specificità in
prossimità del sito attivo che consente loro di rompere solo alcuni tipi di legami peptidici.
(continua su libro)
 Proteasi a treonina: contengono un residuo di treonina N-terminale nel sito attivo, es.
proteasoma
 Proteasi a cisteina: contengono un residuo di cisteina nel sito attivo, es. papaina,
bromelina, caspasi, calpaina
 Proteasi ad aspartato: contengono uno o due residui di aspartato nel sito attivo, es.
pepsina, catepsina, renina, proteasi HIV
 Proteasi a glutammato: in funghi, batteri e archea, non nell’uomo
 Metalloproteasi: contengono zinco e, più raramente, cobalto, es. alcune carbossipeptidasi,
gruppo eterogeneo

Cinetica enzimatica
Se prendiamo in considerazione una reazione catalizzata da un enzima vedremo che essa dipende

dalla concentrazione del substrato. Di seguito lo studio della velocità iniziale V 0 di reazione,
quando [E] è sufficiente per catalizzare la reazione ad una velocità 1 μmol/min.
V0= tangente alla curva sperimentale all’inizio della reazione, cioè quando la concentrazione del
substrato è massimale
[S]= reagente
Il prodotto assente all’inizio della reazione va via via aumentando ed è maggiore nel caso che la
concentrazione del substrato sia alta.
Se riportiamo invece in un grafico le velocità in relazione alle diverse concentrazioni di substrato, il
grafico sarà un’iperbole rettangolare che tende all’asintoto Vmax per [S] infinite. Quindi in questo
caso succede che a [S] bassa, c’è una forte dipendenza di V0 da [S], quindi avremo una reazione di
primo ordine. Se [S] è elevata, non c’è nessuna dipendenza di V0 da [S], quindi avremo una
reazione di ordine zero.

Per poter comprendere bene cosa avviene in una reazione enzimatica da un punto di vista
cinetico, bisogna tenere presente che il substrato non si trasforma direttamente in prodotto in un
singolo passaggio, ma che prima avviene la formazione del complesso enzima-substrato. La
formazione del complesso ES è stata teorizzata da Michaelis e Menten i quali pensavano che il
substrato e l’enzima si legassero tra loro reversibilmente, per cui possiamo assegnare una costante
di velocità K1 e una costante di velocità K-1 che è relativa alla dissociazione del complesso. I due
studiosi ipotizzarono che il complesso ES si decomponesse poi ripristinando l’enzima libero con
una tappa più lenta.

In questo caso bisogna definire un’altra costante la K2 (relativa al processo per cui il complesso si
trasforma in enzima+prodotto) e la K-2 (relativa al processo di riassociazione dell’enzima al
prodotto). La velocità della reazione complessiva dipende dalla concentrazione del reagente nella
tappa più lenta, quindi la velocità dipende dalla concentrazione del complesso ES. La massima
velocità che possiamo avere in una reazione enzimatica è quella in cui tutte le molecole di enzima
hanno legato il substrato, e qui entra in gioco il concetto si saturazione.

ES K 2 E + P

Legando insieme le due equazioni otteniamo l’equazione chimica che descrive in modo completo
una reazione enzimatica a singolo substrato.

Lo stato stazionario
Nel 1925 gli scienziati Briggs e Haldane introdussero il concetto
di stato stazionario di una reazione enzimatica, intendendo
quella condizione nella quale la concentrazione del complesso
enzima-substrato rimaneva costante nel tempo. Viene fuori un
grafico che tratta le concentrazioni in funzione del tempo in cui
si vede che il substrato ha una concentrazione alta all’inizio, il
prodotto è assente e il catalizzatore è libero dal substrato.
Quando la reazione inizia il substrato comincia a legarsi
all’enzima e la sua concentrazione diminuisce, aumenta invece la
concentrazione del complesso e la concentrazione del prodotto,
mentre quella dell’enzima diminuisce. Dopo un po' di tempo
però la concentrazione del complesso ES non varia più nel tempo
perché la velocità con cui l’enzima substrato si forma è pari alla
velocità con cui si demolisce. Questa è la condizione di stato stazionario dove la concentrazione
del complesso ES nel tempo è nulla. Adesso che conosciamo lo stato stazionario possiamo ricavare
la cosiddetta equazione di Michaelis-Menten. (su libro)
Tutto il resto sul libro
Meccanismi di reazione a due substrati

1. Reazioni enzimatiche con formazione del complesso ternario, quindi lega entrambi i
substrati contemporaneamente
 Ordinate: in questo caso accade che l’enzima leghi per primo un certo substrato per
formare il complesso, solo dopo può legare il secondo substrato per formare il complesso
ternario. Ed è ordinata perché l’ordine con cui si legano i substrati è ordinato.
 Casuali: qui ovviamente l’ordine di legame dei substrati è casuale per formare sempre un
complesso ternario.

2. Reazioni enzimatiche senza formazione del complesso ternario: l’enzima lega il primo
substrato che viene trasformato nel primo prodotto, l’enzima si modifica in questa fase e il
prodotto viene liberato. A questo punto si lega il secondo substrato che ha affinità per
l’enzima modificato che viene trasformato nel prodotto con ritorno dell’enzima alla sua
forma originaria.
Attività enzimatica
L’attività enzimatica è la quantità di substrato che viene trasformata in prodotto nell’unità di
tempo, da non confondere con l’unità di turnover che è una caratteristica specifica dell’enzima
indipendente dalla quantità di enzima presente. L’attività enzimatica invece dipende dalla quantità
di enzima; più enzima è presente maggiore sarà il suo valore. Essa non è altro che la misura della
velocità della reazione stessa la cui unità di misura è l’unità internazionale (U.I.) che non fa parte
del sistema internazionale, ed equivale all’attività enzimatica che catalizza la trasformazione di 1
μmol/min. L’unità di misura del sintema internazionale è invece il Katal, l’attività enzimatica che
catalizza 1mol di substrato in 1s che corrisponde a 60 milioni di unità internazionali.
Misurare l’attività enzimatica è importante perché, se volessimo rilevare la presenza di un enzima
in un campione biologico, sarebbe difficile misurarne la massa essendo presente in quantità molto
piccole. Risulta perciò più conveniente misurare l’attività enzimatica perché viene considerata la
sua capacità di un enzima di trasformare un substrato in un prodotto.
L’attività enzimatica viene influenzata da alcuni fattori chimico-fisici, come:

 concentrazione del substrato


 temperatura: agisce in due modi, il primo modo è correlato alla dipendenza della costante
di velocità di reazione dalla temperatura, quindi un aumento della temperatura fa
aumentare la velocità di reazione. Se la temperatura oltrepassa certi valori l’enzima
potrebbe denaturarsi e, quando ci si avvicina a questo valore, l’enzima perderà la capacità
di catalizzare. Il punto più alto della curva prende il nome di temperatura ottimale. Esiste
un coefficiente termico (Q10) che esprime di quanto aumenta la velocità quando la
temperatura aumenta di 10 gradi, in cui il valore di Q10 raddoppia. La velocità aumenta
all’aumentare di T, ma nella catalisi enzimatica un aumento di T può portare ad una
variazione di conformazione con perdita conseguente dell’attività catalitica. Di solito si ha
un massimo di attività tra 40 e 50 °C e la denaturazione completa oltre i 60°C.
 pH: influisce sul grado di ionizzazione di gruppi chimici del sito catalitico dell’enzima e che
sono importanti per la catalisi. L’istidina è maggiormente influenzata dalle variazioni di pH
perché ha una pKa vicina alla neutralità.

Una delle caratteristiche più importanti degli enzimi è quello di poter essere regolati, e questo è
molto importante perché consente di modulare tutte le attività metaboliche di una cellula in base
alle sue esigenze. Ci sono quindi diversi modi:
1. Inibizione enzimatica: gli inibitori enzimatici sono molecole che riducono l’efficienza di un
enzima. L’inibizione può essere:
 Reversibile: ha funzione regolatoria e a sua volta può essere suddivisa in:
I. Competitiva: un inibitore si dice competitivo quando è in grado di legarsi al
sito attivo dell’enzima libero al posto del substrato vero. Ha una forte
analogia strutturale con il substrato. Si lega all’enzima libero, in alternativa
al substrato, formando un complesso enzima-inibitore che dipende dalla Ki
(costante di inibizione) che ci dice quanto l’inibitore è affine all’enzima. Più
basso è il valore di Ki, più alta è l’affinità dell’inibitore per l’enzima. In
presenza di un inibitore competitivo l’equazione di Michaelis-Menten (che
diventa equazione di Lineweaver-Burk) subisce una modifica, in particolare
il valore della Km a denominatore cambia, perché va a moltiplicare un
fattore α che dipende dalla concentrazione dell’inibitore e dall’affinità che
l’inibitore ha per l’enzima libero. Questo vuol dire che in presenza di
inibitore la Km osservata risulterà aumentata. L’inibizione competitiva può
essere contrastata da un aumento di concentrazione del substrato. Di
seguito il grafico relativo all’equazione di Lineweaver-Burk dove il valore
della Km diventa sempre più grande all’aumentare della concentrazione
dell’inibitore competitivo, la reazione non modifica la propria Vmax ma
viene ridotta l’affinità per il substrato perché c’è un competitore.

Gli inibitori competitivi sono molto importanti a livello farmacologico, un esempio è il


metotressato che è un analogo strutturale del diidrofolato implicato nel metabolismo del
frammento monocarbonioso, un’attività rilevante nella sintesi dei nucleotidi. Quindi inibire
questo meccanismo vuol dire rallentare la sintesi dei nucleotidi, ostacolare la replicazione
cellulare. Infatti, è un farmaco antitumorale che si lega mille volte più saldamente del suo
substrato naturale. Un altro esempio è l’allopurinolo, un farmaco antigottoso che inibisce
la xantina ossidasi.
II. Incompetitiva: si lega solo al complesso enzima-substrato, e solo dopo che
si è formato questo complesso può legarsi. Legandosi, l’inibitore distorce il
sito attivo rendendo l’enzima meno efficiente. La concentrazione di ES
disponibile si abbassa lentamente e si ha un effetto importante sulla Vmax
della reazione, riducendosi. Ma abbiamo anche un effetto sulla Km perché
l’inibitore fa si che l’equilibrio della prima tappa si sposti a destra e venga
favorita la formazione del complesso ES riducendo anche la Km. In presenza
di un inibitore di questo genere l’equazione dell’equazione di Michaelis-
Menten si modifica sul fattore Vmax che viene ridotta perché divide un
fattore α primo, e quindi la Km si riduce. Inoltre, all’aumentare della
concentrazione dell’inibitore, il rapporto Km su Vmax non cambia, perciò la
diminuzione di Vmax è pari alla diminuzione della Km.

III. Mista: qui l’inibitore misto si lega indifferentemente all’enzima libero o al


complesso ES. Legandosi a uno dei due l’inibitore interferisce sia sul
processo di legame del substrato che sull’efficienza della catalisi e può farlo

in maniera dipendente dalla Ki (relativa al legame con enzima libero) o dalla


Ki’ (relativa al complesso ES). Con questo inibitore si ha un effetto sulla
Vmax e sulla Km, l’effetto dell’inibizione dipende dall’affinità che l’inibitore
ha nei confronti dell’enzima libero o del complesso ES. Questa affinità è
espressa dai valori di α (si riferisce all’affinità dell’inibitore nei confronti
dell’enzima libero) e α’ (si riferisce all’affinità per il complesso ES).
Sulla Vmax invece l’effetto è univoco in quanto interviene solo l’effetto di
distorsione del sito attivo dell’enzima, legato al fatto che l’inibitore si vada a
legare al complesso ES, quindi Vmax viene diviso per il valore di α’. La Km
tende ad aumentare se legata a α, se è legata al fattore α’ diminuisce
perché viene diviso invece che moltiplicato.
Esiste anche la variante dell’inibitore non competitivo puro perché si lega con la stessa
affinità all’enzima libero e al complesso ES. Il fattore α è uguale a α’, quindi si ha solo un
effetto sulla Vmax.

 Irreversibile: è propria dei veleni. Non ha alcun significato fisiologico ma può


essere utilizzata per lo studio del meccanismo di funzionamento degli enzimi. Vi
sono però dei farmaci, come la penicillina, che funzionano da inibitori irreversibili
determinando un’inattivazione permanente di un enzima attraverso l’interazione di
questa molecola e il sito attivo dell’enzima stesso. Il meccanismo con cui agisce un
inattivatore può variare, infatti possiamo individuare tre gruppi diversi:
I. Reagenti gruppo-specifici: un esempio è l’acetilcolinesterasi che degrada
l’acetilcolina. Si lega ad un gruppo chimico presente nel sito attivo e ne
determina una indisponibilità per la reazione successiva.
L’acetilcolinesterasi idrolizza un legame estere presente nell’acetilcolina che
è costituita da una molecola di acido acetico legato il gruppo ossidrile della
colina, la sua idrolisi determinala la produzione di colina e acetato.
L’inattivatore più conosciuto della acetilcolinesterasi è il
diisopropilfluorofosfato un composto organo fosforico che contiene un
gruppo fosfato che lega due gruppi di isopropile e un atomo di fluoro. Esso
va a legarsi al sito attivo dove è presente una serina, liberando il fluoruro.
Questo complesso non può essere frammentato quindi, la molecola di
acetilcolinesterasi che ha agito con il diisopropilfluorofosfato, non sarà più
disponibile per lo svolgimento della sua funzione.

II. Analoghi del substrato (o marcatori per affinità): sono molto simili al reale
substrato e hanno proprietà di legarsi covalentemente ai residui del sito
attivo in maniera specifica. La specificità è così elevata che possono legarsi
soltanto a certi tipi di residui amminoacidici e consentono di rilevare certi
amminoacidi nel sito attivo implicati nel processo di catalisi. Il
bromoacetolo fosfato, per esempio, si lega ad un residuo di glutammato
presente nel sito catalitico del triosio fosfato isomerasi. Nel momento in cui
il bromoacetolo entra in contatto con l’enzima reagisce col glutammato e
l’enzima viene inattivato perché il complesso non può essere scisso.
III. Inibitori suicidi: molecole piuttosto stabili che si legano al sito attivo
dell’enzima con una certa affinità e vengono modificati attraverso i normali
passaggi catalitici fino a combinarsi in modo estremamente saldo a
determinare l’inattivazione dell’enzima. Un tipo particolare di inibitore
suicida è gli analoghi dello stato di transizione, molecole relativamente
instabili che si legano al sito attivo dell’enzima modificate fino ad assumere
una struttura simile a quella dello stato di transizione, la cui eccezionale
affinità per l’enzima ne determina l’inattivazione.

Penicillina
Un esempio di analogo è rappresentato dalla penicillina che fu scoperta casualmente da
Fleming nel 1928. La sua formula di struttura presenta un anello tiazolidinico a 5 atomi, e
un anello β-lattamico a quattro atomi in cui è presente un legame ammidico che
rappresenta la parte reattiva della molecola. Presenta anche un gruppo variabile (R).
La parete batterica è costituita dal peptidoglicano e in particolare vediamo la presenza di
GAG che si alterna a molecole di acido N-acetilmuramico e N-acetilglucosammina che si
associano con delle catene amminoacidiche (L-alanina, D-glutammato, L-lisina, D-alanina).
Le catene di GAG si uniscono tra loro grazie a una catena di pentaglicina, che unisce la L-
lisina al residuo di D-alanina di una catena adiacente. Si formano così legami crociati che
conferiscono al peptidoglicano una robustezza notevole.
Questo legame crociato si forma tra la catenella di pentaglicina e la catena di aa.
Inizialmente quest’ultima è costituita da 5 aa e presenta due D-alanine; il batterio possiede
una transpeptidasi che rompe il legame peptidico tra i due residui di D-alanina, generando
un nuovo legame peptidico tra CO della D-alanina e il gruppo amminico del residuo
terminale di glicina della catena pentaglicinica.

Nel processo catalitico della transpeptidasi durante la catalisi si forma uno stato di transizione
acil-enzima in cui esiste un legame covalente tra l’enzima e la D-alanina rimasta. La penicillina
ha una struttura molecolare simile al peptide substrato, ma somiglia ancora di più allo stato di
transizione della reazione e quello che è importante è l’anello beta lattamico che si rompe e
determina la formazione di un complesso penicillil-enzima che non è attivo. Si è formato un
legame covalente che non può essere rotto e di fatto la sintesi della parete batterica viene
bloccata, compromettendo la sicurezza del batterio che quindi muore.
La penicillina per poter agire sulla trans peptidasi deve avere l’anello beta lattamico integro. Il
problema è che alcuni batteri producono la β-lattamasi che rompe l’anello rendendo inefficace
l’antibiotico. Nel corso degli anni i farmacologi hanno tentato strade diverse per superare la
penicillino-resistenza con penicilline sintetiche che resistono alla beta lattamasi, che però
agiscono solo su un numero limitato di batteri e inoltre con il loro utilizzo sono insorte altre
resistenze e alla fine è stata abbandonata. La seconda strategia è quella di utilizzare penicilline
ad ampio spettro in associazione a inibitori della beta- lattamasi.

2. Regolazione allosterica: Un esempio è l’aspartato transcarbamilasi un enzima implicato


nella biosintesi dei nucleotidi pirimidinici che ha inizio nel citosol delle cellule da una
reazione tra il carbamil-fosfato e l’aspartato, il prodotto viene chiamato N-
carbamilaspartato. Quest’ultimo viene trasformato e si hanno sei reazioni consecutive che
portano alla sintesi della citridina trifosfato. La regolazione di questo processo avviene
proprio sul primo enzima e l’effettore allosterico negativo è proprio il prodotto finale del

processo che è in grado di legarsi all’aspartato transcarbamilasi determinandone


un’inibizione allosterica. Si tratta di un sistema di controllo a feedback-negativo. Questo
enzima esiste nello stato T (meno attivo) e R (più attivo). La citidina trifosfato, effettore
allosterico negativo di questo enzima, si lega allo stato T spostando l’equilibrio verso lo
stato T meno attivo.
Se l’enzima esiste in due forme come in questo caso, la curva (azzurra), riferita ad un
ipotetico stato R puro, è una curva che segue la cinetica di Michaelis-Menten e che mostra
un certo valore di Vmax e un valore di Km basso. La curva rossa invece rappresenta lo stato
T la qualeraggiunge valori di Vmax a concentrazioni di aspartato elevate, quindi la Km per il
substrato è alta. La curva reale però è quella nera che non è una media delle due curve
precedenti, ma è una curva ad andamento sigmoidale (stesso discorso della emoglobina).
Aumenta l’aspartato e prevale lo stato R e viceversa.

Sei molecole di CTP si legano all’aspartato stabilizzando lo stato T e nel momento in cui si ha la
transizione allo stato R il CTP viene liberato. Se andiamo a vedere l’effetto della CTP sulla curva
dell’aspartato vediamo che, se in assenza CTP la curva è quella nera vista prima, in presenza di CTP
la cinetica diventa quella della curva rossa (sotto) che dimostra una ridotta affinità dell’enzima per
il suo substrato diventando cataliticamente meno attivo.

L’aspartato possiede anche un effettore allosterico eterotropico positivo, cioè l’ATP. Se la curva in
assenza di effettori è quella in viola, in presenza di CTP è quella verde, quella dell’ATP è la rossa
che indica come esso si leghi preferenzialmente allo stato R dell’aspartato. Si noti che in tutti e tre
i casi la curva conserva, comunque, un andamento sigmoide che si distingue dall’iperbole
rettangolare tipica della cinetica di MIchaelis-Menten.
3. Regolazione covalente: si distingue in reversibile e irreversibile. Con la prima si intende che
alcuni enzimi sono in grado di modificare la loro conformazione quando sono oggetto di una
modificazione covalente a cui fa seguito una modificazione conformazionale con modifica
dell’attività. Le modificazioni covalenti sono diverse: la fosforilazione, la adenililazione,
un’acetilazione, una merilazione, l’ubiquitinazione e la ribosilazione.
Fosforilazione: un enzima può subire l’attacco di un gruppo fosfato su catene laterali (serina,
treonina o tirosina) dell’enzima. Sono catene in cui è presente un gruppo ossidrile che serve come
attacco per il gruppo fosfato con formazione del legame fosfo-estere. Questa reazione è
catalizzata da un enzima chiamato proteina-chinasi, con consumo di ATP. Il gruppo fosfato
dell’ATP viene portato sul gruppo ossidrile di una catena laterale e si ha la liberazione di ADP.
L’enzima, a seguito della fosforilazione, cambia conformazione a cui corrisponde un aumento o
una diminuzione di attività in base all’enzima considerato. La reazione è reversibile grazie
all’azione di una fosfoproteina fosfatasi che stacca il fosfato che viene poi liberato sotto forma di
fosfato inorganico.
La glicogeno fosforilasi è l’enzima più importante implicato nel processo di demolizione del
glicogeno di riserva presente nel fegato e nel muscolo. Essa esiste in due forme, la forma
fosforilata (fosforilasi A, attiva) e quella non fosforilata (chiamata anche fosforilasi B, non attiva). Il
passaggio da una forma all’altra è catalizzato da un enzima chiamato fosforilasi chinasi, una
proteina chinasi che agisce sulla fosforilasi. Questo enzima trasferisce, con consumo di due
molecole di ATP, due gruppi fosfato sulla fosforilasi inducendo la trasformazione in fosforilasi a.

ADP-ribosilazione: Mono ADPR (effetto di tossine batteriche. Azione su segnalazione


cellulare); poli-ADPR (funzione di regolazione nella riparazione del DNA, nell’apoptosi e
nella regolazione genica)

Regolazione irreversibile: alcuni enzimi vengono prodotti come precursori inattivi, secreti
in ambiente extracellulare ed è il caso di alcuni enzimi digestivi come il pepsinogeno, il
chimotrispinogeno, il tripsinogeno ecc. oppure enzimi coagulanti come la protrombina. Ma
il passaggio dal precursore all’enzima attivo avviene attraverso un taglio proteolitico co
distacco di frammenti della catena e a seguito di questa modificazione l’enzima si attiva
nella sede opportuna.
Un altro meccanismo di modulazione può essere dovuto al sequestro di certi enzimi la cui
disponibilità viene limitata perché sono legati a delle proteine regolatrici che li rendono

indisponibili. Un esempio è l’esochinasi IV, presente nel fegato, che trasforma il glucosio in
glucosio 6-fosfato. L’esochinasi funziona dopo un pasto, in condizioni di digiuno la troviamo
legata ad una proteina regolatrice e non funziona. Quando ci alimentiamo e la
concentrazione di glucosio aumenta, esso penetra attraverso il GLUT2, viene portato nel
fegato e lo stesso glucosio stimola il distacco della esochinasi dalla proteina regolatrice per
trasfromarsi in glucosio 6-fosfato.

3. Controllo della disponibilità dell’enzima: è un processo più lento rispetto agli altri visti
finora perché ha a che fare con la quantità dell’enzima presente e quindi può essere
regolata attraverso la modulazione della trascrizione genica o dalla demolizione
dell’enzima stesso. L’esempio che possiamo fare è quello degli enzimi coinvolti nella
glicolisi dopo un pasto, che dopo l’ingresso del glucosio nel fegato, si può formare lo
xirulosio 5-fosfato che attiva una fosfoproteina fosfatatasi (PP2A) che va a defosforilare nel
citosol una proteina chiamata ChREBP che ha una doppia fosforilazione che impedisce alla
proteina di entrare nel nucleo. In condizioni post-prandiali l’attivazione della PP2A
determina il distacco del gruppo fosfato legato alla serina, lasciando solo quello sulla
treonina così può entrare nel nucleo senza essere attiva. A questo punto la PP2A attivata
dalla xirulosio 5-fosfato, distacca la treonina attivandosi, adesso può legarsi al DNA attivare
la trascrizione di RNAm che codificano enzimi e proteine implicati nei processi di sintesi di
acidi grassi consentendo un migliore sfruttamento metabolico del glucosio che è
abbondante nella cellula.

Isoenzimi
Sono forme molecolari diverse della stessa attività enzimatica, il che vuol dire che nel nostro
organismo un enzima può essere presente in forme diverse che spesso sono tessuto-
specifiche. Sono enzimi costituiti da più subunità che possono cambiare in base alla forma
considerata. La lattato deidrogenasi che è un enzima tetramerico che può avere subunità H
(heart) o M (muscolo) ed esistono cinque isoenzimi diversi. Vediamo che queste forme diverse
sono prodotte nei vari tessuti nel nostro organismo.

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