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ALDO ROSSI 1931-97

L’ARCHITETTURA DELLA CITTA’


Libro fondamentale per la sua carriera, lo scrive a 35 anni, testo che ha influenzato una
generazione di architetti italiani, quella che va dagli anni 70 ai 90, per la teoria esposta ma anche
perché gli emuli di Aldo Rossi hanno avuto una grande rilevanza nelle accademie d’Italia. Testo
che sposta il dibattito mondiale sull’architettura italiana. Anche la critica al testo è stata significativa
nel dibattito: tutte le generazioni degli anni 90 in poi hanno trovato le basi nel testo, dal punto di
vista critico. Situazione architettura italiana anni 60-70: essa è polarizzata intorno a due nuclei
produttivi, Roma e Milano. La prima vede la figura carismatica di Zevi, la seconda è la sede delle
grandi riviste come Domus e Casabella; alla direzione della seconda arriva un membro (Rogers)
dei BBPR, che cambia il titolo in Casabella Continuità, continuità con i grandi razionalisti
milanesi/comaschi. In realtà c’è ambiguità in ciò: sentendo la crisi del modernismo, la rivista inizia
a pubblicare progetti che con tale razionalismo hanno ben poco a che fare. Intorno a questa
situazione, in cui Casabella inizia una revisione del moderno, si raccolgono una serie di giovani, tra
cui Rossi, Gregotti, Gardella, Grassi, Polesello ecc. sono quelli che hanno in comune il recupero
della tradizione moderna che non ha attinto pienamente al repertorio delle avanguardie figurative,
quella che ha guardato, seppur con intenzioni di rinnovamento, all’architettura dell’800 e a quella di
passaggio. Aldo Rossi scrive appunto su Loos, un testo pubblicato su due numeri consecutivi della
rivista: qui c’è già tutta l’idea di architettura di Rossi, molto legata alla città, soprattutto a quelle
esistenti. L’architettura della città, come si è detto, fu di impatto per il tempo: veniva ribaltato un
assunto del modernismo razionalista. Di fronte all’idea che il funzionamento della città potesse
prescindere dalla forma e funzione, essa è diventata un grande contenitore di continuità di luogo e
tempo; è il periodo dello zoning, dei piani regolatori, contro tutto ciò si costruisce l’architettura della
città di Rossi. Che vuol dire architettura della città, a cosa si riferisce? È una caratteristica degli
edifici che la compongono è una qualità intrinseca della città? Rossi è molto chiaro: la città è la più
straordinaria creazione umana, è un manufatto e come tale va indagato, ed è costruito dalle opere
di architettura e dalle infrastrutture con cui essa fiisicamente si costruisce. È un ritorno dal punto di
vista fisico sulla costruzione della città. Se l’urbanistica tardo funzionalistica si basava su un
apporto di altre scienze (sociologia principalmente), la costruzione di Rossi verte su tutta un’altra
serie di scienze, soprattutto la geografia urbana, che ha eccezione solo in Francia. Si studia la
morfologia urbana a partire dalla modifica dei luoghi naturali. Mette in crisi l’idea che l’architettura
possa essere ridotta alla funzione, il vecchio assunto che la forma segue la funzione: concetti che
da Rossi sono ribaltati, è la funzione che deve seguire la forma. Fa l’esempio dell’Anfiteatro: si
trasforma fino a diventare il supporto di un centro abitativo e poi una piazza; il Colosseo, una realtà
fisica che è riuscita ad assorbire altre attività. Questo concetto viene chiamato la teoria della
permanenza: esistono nelle città delle parti urbane talmente forti che modificano strutturalmente e
determinano quello che succede al loro interno; nella maggior parte dei casi i fatti urbani di cui
parla sono monumenti, ma ci sono anche casi in cui la residenza assume una tale scala e
complessità, che diventa essa stessa un elemento primario, una parte conclusa di città. La teoria
dei fatti urbani di Rossi viene esposta facendo l’esempio della Roma di Sisto V: città che si articola
intorno a grandi snodi che determinano la crescita e l’espansione successiva. Quali sono i limiti di
questa architettura? Questo libro, guardato con la distanza che c’è, emergono due questioni:
 La città a cui si riferisce Rossi è ancora quella dell’800, come se avesse deciso di
restringere, per incapacità di leggere quello che stava avvenendo nella città moderna, lo
sviluppo delle città del suo tempo. Sono città il cui modello è stato sempre più importato
dall’esterno: le città sono cresciute in aree a bassa densità.
 Fatto legato agli esiti dell’architettura di Rossi. Quando scrive il libro egli no ha ancora
realizzato edifici di rilevanza. Quasi tutte le esperienze successive saranno legate a questo
testo e alla contraddizione della costruzione teorica da egli stesso creata.
Bisogna capire se il libro è più un manifesto di quello che sarà poi la sua architettura, piuttosto che
un libro con struttura e validità dal punto di vista scientifico.
Mette in crisi il testo quando dieci anni dopo, con Ruino Cantafora ed altri, scrive la Città Analoga:
disegno di una città fatta di tante parti diverse recuperate dall’immaginario collettivo e personale
dell’architettura. Rossi è stato un grandissimo architetto che ha recuperato e messo in opera una
serie di aspirazioni che venivano dal mondo letterario e da alcune cose che aveva amato. La città
che costruisce in questo grande pannello ha pezzi di sue architetture, molti pezzi di quella
illuminista, pezzi dell’ingegneria militare rinascimentale, planimetrie di Seviglia e Milano, parti
naturali, reti idrografiche di città vicine. In questi dieci anni si opera questa cesura, forse Rossi è il
più autobiografico di tutti gli architetti. Tornano ricordo e immaginazioni di architetture amate nel
suo lavoro.
LA SUA ARCHITETTURA
Rossi ha una straordinaria fortuna professionale, nell’80 vince il Pritzker, una fortuna critica a cui
va di pari passo una sorta di degrado delle capacità e del suo interesse nei confronti
dell’architettura. I suoi progetti amati sono molto chiari: architettura neoclassica padana, riprende il
più “duro e monumentale” Le Corbusier, gli eredi del classicismo germanico.
Monumento per la Resistenza a Cuneo (62) con Polesello: grande cubo in cemento itonacato,
scavato, con una grande feritoia che guarda le montagne e le colline. C’è poi una grande scalinata
che ricorda il sacrificio dei partigiani.
Centro direzionale di Torino (1962) con Polesello: obiettivo di costruire un grande edificio
monumentale per la città contemporanea, si capisce l’apporto di Polesello nel progetto. Per
costruire un edificio monumentale, serve una grande scala, una grande dimensione. Il lotto è una
striscia verticale, loro ne occupano un quarto. È un edificio a corte che raccoglie edifici e
infrastrutture. Il sistema architettonico e quello strutturale si sovrappongono. Sistema tagliato con
asole per renderlo più snello, sospeso su pilotis. La composizione per parti staccate è tipico
dell’architettura di Rossi. È una composizione paratattica, ciascun attività è identificata da una
forma precisa. Edificio con una scala imponente rispetto agli edifici costruiti circostanti. È l’epoca
delle mega strutture.
Quartiere Monza San Rocco (62) con Grassi: Rossi lega l’analisi del disegno del territorio al
modo con cui vengono poi costruite le città. Costruisce il quartiere sul sottomodulo della
centuriazione romana: voler lavorare sulle tracce dell’espansione urbana costruendola sulle linee
di fondazione della pianura padana. Ci sono due parti, con una piccolissima rotazione l’una rispetto
l’altra
Unità residenziale Monte Amiata al Quartiere Gallaratese, Milano 69-73: abitazione di fronte a
un’opera di Carlo Aimoino. Edificio che riprende la tradizione delle case operaie milanesi a
ballatoio. Piante: tipologia della casa operaia, edificio lamellare molto lungo, su pilotis, più che altro
setti, che scandiscono. In alcuni punti ci sono piloni cilindrici. C’è molto del razionalismo tedesco,
ma tornano per esempio finestre tradizionali, sistema di logge che spezza l’ossessività del
prospetto, ma c’è anche un mondo figurativo che torna, solidi assoluti tagliati e incisi. È una realtà
opposta rispetto a quella dell’astrattismo.
Cimitero di San Cataldo a Modena (71-78): impianto con una grande corte, Rossi lavora spesso
negli interstizi delle figure; i due rettangoli sono sfalzati e nello spazio di separazione ci sono
architetture di servizio. L’edificio è immaginato come fosse una grande casa dei morti: al centro
l’ossario, tutto intorno ci sono i luoghi in cui vengono messe le cappelle familiari. È una macchina
della morte, un percorso esplicito. La corte è attraversata da un sistema a doppio pettine centrale,
con una testa in cui ci doveva essere il crematorio (mai finita). Grande metafora: lo scrive nel testo,
è la metafora dello scheletro umano. È un’idea molto diversa, il cimitero di Stoccolma di Asplund,
quasi disciolto nel sistema paesaggistico: qui siamo di fronte a un complesso diverso,
un’architettura che ha a che fare con l’idea illuminista, la morte rende tutti uguali, l’esterno deve
essere totalmente neutrale. Fuga a Napoli costruisce l’albergo dei poveri, i granili e il cimitero delle
366 fosse, una straordinaria e agghiacciante macchina equalitaria, intorno a una corte segnata da
366 fosse in ciascuna delle quali venivano posti i morti in quel giorno dell’anno. Il riferimento è a
questo tipo di architettura funebre. Tale amore assoluto verso l’architettura illuminista, sfuma
nell’opera di Rossi.
Scuola di Fagnano Olona (72-76): composizione paratattica, si capisce molto bene qualsi ono le
aule, le palestre, l’aula magna. Il tentativo è quello di costruire architetture anche piccole ma che
funzionino come città. Finestre uguali, quadrate. È evidente al solito l’amore per il teatro:
frontescena o sistema di platea presi ed introdotti nei progetti. Si capisce la rigidità del sistema
distributivo.
Villa a Borgo Ticino (73): inizia a sfumare il mondo astratto. È una villa per due famiglie. Sfuma
l’amore per l’assolutezza dell’architettura illuminista. Scrive un testo di introduzione della storia di
Tafuri. Subentra l’amore per le architettura che recupera dalla sua memoria: granai, silos di fieno,
torna l’architettura di Loos. C’è un grande ingresso in comune, mentre i sistemi delle camere da
letto si articola con sistema a ballatoio sospeso su pilotis.
Palazzo della Ragione a Trieste (74):
Casa dello studente di Chieti (76): spiega che questo progetto è stato concepito ricordando le
vacanze sull’Adriatico, le camere degli studenti paiono cabine da spiaggia intorno alla sede
centrale che accoglie la mensa; è un’idea urbana, come fosse un sistema di piazza, una parte
monumentale che svetta rispetto al sistema delle residenze che gli si imposta attorno.
Teatro del Mondo a Venezia (79): per la biennale del 79 gli viene chiesto di realizzare un piccolo
teatro galleggiante. Edificio che viene poi demolito recentemente; riprende una tradizione antica
veneziana (disegni di palladio di teatri galleggianti) di teatri che venivano ormeggiati davanti ai
palazzi dei nobili della serenissima, che affittavano questi manufatti e attraversavano la laguna. È
un’opera effimera, che si relaziona in modo molto diretto con le grandi architetture veneziane.
Questo richiamo al 500 veneziano che si accoppia con l’amore per l’ingegneria navale. Edificio
piccolo, teatro 700ntesco ma anche elisabettiano.
Edificio Residenziale dell’IBA a Berlino (81): nella Berlino di quegli anni, insieme alle
competizioni politiche nasceva quella architettonica. Negli anni 80 viene costituita l’IBA: si
dovevano sistemare le aree a ridosso del muro, rimaste indestinate per questioni psicologiche e
urbanistiche. Uno degli edifici viene commissionato a Roma: strada importante, uno degli
attraversamenti est-ovest che il muro taglia (check point Charlie). Edificio che riprende tutta la
tradizione veneziata dell’800 tedesco degli edificio in mattoni, i marcapiani, giardini di inverno,
ballatoi vetrati; subentrano gli aspetti di Rossi, cioè la grande finestra divisa in 4, l’architrave, ma
tutto è finto, è solo rivestimento, la struttura è in cemento. È finta anche l’evocazione delle colonne
(Loos la fa diventare gigantesca) che segnano gli angoli. I tetti sono aguzzi. C’è molto quindi della
tradizione berlinese.
Albergo a Fukuoka (87): capacità di usare sempre lo stesso linguaggio, pochi elementi che sono
ricomposti in luoghi e modi diversi. Prospetto chiuso, le stanze in realtà hanno aperture a dx e sx
dell’edificio, accesso monumentale, la facciata è inviluppata nel marmo rosso tipico dell’isola del
Giappone. Edificio che ha una sua preziosità nella composizione. La cosa interessante è che fa un
mobile per Alessi in cui riprende esattamente la facciata, dell’albergo.
Isolato a Berlino (95): alla fine diventa un autore pop. Lo stesso tema dell’edificio di Berlino, non
è neanche lontano. Ma in realtà è un’edificio diverso che sembra fatto con collage e
giustapposizione, quasi a voler mettere in scena il sistema fondativo. Repertorio di facciate che
sono poi incollate alla medesima tipologia. Cambia anche il sistema di rappresentarlo. C’è un
pezzo che sembra Parigi, un pezzo stretto e lungo che sembra Amsterdam, un pezzo che sembra
romano, un pezzo che sembra derivare da SanGallo, sembra un edificio di cartone, pannelli, non
ha legame costruttivo e spaziale con il resto. C’è anche un autocitazione, la striscia rossa. Cerca
quasi di mimare la complessità urbana. L’interno presenta una corte che sembra una paizza
rinascimentale
Edificio Scholastic a New York (2001): fissità degli elementi che subisce variazioni, sistema
adattato intellettualmente al luogo in cui deve posizionarsi. Dilatazione scalare dei pezzi che
arrivano dall’architettura classica: trasformare in ordine gigante, quelli classici. Non sono più
colonne doriche o ioniche, sono colonne riadattate. L’edificio è diverso rispetto ai precedenti:
capacità di lavorare in confronto alle dimensioni degli edifici adiacenti. Il retro assume un aspetto
più ingegneristico (dell’800).

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