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Krzysztof Stefański

Università di Łódź

Influenze italiane nell’architettura del realismo socialista polacco

Il cancello principale dell’ex complesso metallurgico di Nowa Huta intitolato a Lenin,


investimento di punta dell’epoca stalinista, è affiancato da due edifici gemelli che
originariamente ospitavano gli uffici e gli spazi ricreativi per il personale dello stabilimento.
Erano sorti negli anni 1951–1956 su progetto di Janusz Ballenstedt, Janusz e Marta Ingarden
nello studio di architetti “Miastoprojekt”1. Sono edifici di grandi dimensioni, su pianta
quadrata, con ampi cortili all’interno, con forme che utilizzano motivi neorinascimentali.
Presto vennero popolarmente detti “Il Vaticano”, mentre l’edificio con la direzione della
fabbrica fu chiamato “Il Palazzo Ducale” [ill. 1]. Questo è un buon punto di partenza per
riflettere sulla misura in cui l’arte italiana ha lasciato la sua impronta sull’architettura
dell’epoca del realismo socialista in Polonia.
Gli anni 1949–1956 sono per l’architettura polacca un periodo particolare: sono gli anni
in cui domina la dottrina del realismo socialista (socrealizm). Questa dottrina, imposta alla
Polonia e agli altri paesi del cosiddetto blocco socialista, rifiutava in maniera decisa le forme
moderniste, postulando invece l’uso di motivi presi dal passato che dovevano risultare vicini
al popolo lavoratore, operai e contadini. La chiave era in questa formula annunciata da Stalin:
“Un’arte proletaria [l’aggettivo fu poi cambiato in ‘socialista’] nel contenuto e nazionale nella
forma2. La domanda fondamentale era: come si poteva esprimere questo contenuto socialista?
E come doveva essere questa forma nazionale? Lasciamo da parte la prima questione e
concentriamoci sulla forma nazionale. In Polonia dopo l’introduzione della dottrina si era
aperta una discussione, che si svolgeva soprattutto sulla stampa specializzata (il mensile
“Architektura”) e nel corso di numerosi incontri 3. Ci si rifaceva alle tradizioni classiche,
considerandole universali e solidamente radicate. La lingua delle forme classiche era chiara e
comprensibile per le ampie masse. Uno dei principali teorici del realismo socialista in
Polonia, Jan Minorski, scrisse: “Bisogna imparare la grammatica delle forme architettoniche,
e questa grammatica la può dare solo la classicità greco-romana. Bisogna attingere a quelle
1
Gołaszewski (1955: 302–303).
2
Starzyński (1952: 34).
3
Stefański (1982: 38-66).

1
forme”4. Tuttavia, molto prima Aleksej Tolstoj, scrittore sovietico, propagandista del
comunismo, in un testo pubblicato negli anni Trenta sul giornale “Izvestija” intitolato Alla
ricerca della monumentalità, scriveva che se si cercava per l’architettura un modello
nell’antico, allora bisognava guardare all’architettura romana. Essa univa infatti il carattere
monumentale, che esprime la potenza dello Stato, alla funzione di servire il popolo romano.
Era un’architettura piena di potenza e di ricchezza, ma al tempo stesso populista nel suo
carattere. L’architettura dell’antica Grecia non era invece un modello adeguato, in quanto
priva del pathos e dell’espressione della forza: era un’architettura di piccole città-stato in lotta
fra di loro, il contrario di un Impero forte e centralizzato 5. L’architettura della Roma imperiale
esprimeva forza e potenza, dunque due caratteristiche che dovevano essere unite nell’assetto
sociale che stava nascendo. Una giustificazione a portare in territorio polacco un simile
modello era data dal classicismo dell’epoca del Regno del Congresso, considerato una dei
periodi migliori nella storia dell’architettura polacca e strettamente legata al paesaggio di
Varsavia.
Una delle prove più radicali e stupefacenti di applicazione di soluzioni antiche
all’architettura polacca di quel periodo è il progetto dello stadio di Wierzbno a Varsavia, per il
quale Jan Knoth aveva preso a modello gli antichi stadi romani; il progetto fu presentato in
una pubblicazione propagandistica con la firma di Bolesław Bierut, in quanto esempio che
indicava le giuste soluzioni per l’architettura polacca 6. [ill. 2] Ma forse le forme dell’antichità
romana si presentarono più compiutamente nel concorso senza precedenti che fu bandito
all’inizio del 1953 per il progetto di un Arco della Liberazione che avrebbe dovuto essere
costruito a Lublino in occasione del decimo anniversario della Repubblica Popolare di
Polonia7. Come si leggeva nel regolamento, lo scopo del concorso era la progettazione
architettonica e scultorea di un monumento “nella forma dell’arco di trionfo, della porta, del
propileo, etc.”. Il concorso ebbe un grande successo: architetti e scultori presentarono 70
progetti. Fra questi c’era una serie di archi che in maniera diretta si rifacevano agli archi
romani: ce n’erano alcuni a tre fornici (e qui il riferimento era agli archi di Settimio Severo e
Costantino), ma la maggior parte era a un solo fornice, sul modello dell’arco di Tito, e anche
dell’arco di Chalgrin a Parigi. Per quanto riguarda il primo gruppo, dobbiamo ricordare il
progetto del collettivo di Lublino formato da Tadeusz Witkowski, Władysław Duda, Czesław
Gawdzik, Józef Gosławski (progetto numero 64, premiato con una menzione d’onore), che
4
Minorski (1950: 91).
5
Woźnicki (1932: 216).
6
Bierut (1951).
7
Iskierka (1954).

2
aveva una forma straordinariamente monumentale [ill. 3]. Per il secondo gruppo ricordiamo le
proposte di Bohdan Pniewski (n. 22, menzione d’onore), del gruppo diretto da Jerzy Górecki
(n. 50, menzione), del gruppo dell’Accademia Statale di Belle Arti di Poznań (n. 11,
menzione). Il motivo dell’arco fu oggetto di interpretazioni più o meno libere anche in altre
opere, per esempio nell’arco a due fornici di Marian Kuriaty (n. 32, menzione) o nell’arco in
cui fu introdotto il motivo dell’“attico polacco” del quale diremo fra poco (progetti nn. 1 e 49
i cui autori non furono resi noti). Talvolta queste interpretazioni andavano in una direzione
che produceva interessanti risultati di modernizzazione, come mostra il lavoro del gruppo del
Politecnico di Danzica (n. 73, secondo premio ex-aequo, primo premio non assegnato). In un
passo del regolamento citato poc’anzi si affermava che erano permesse anche soluzioni in
forma di “colonna della vittoria”, sul modello della colonna romana di Traiano. Questo
motivo appare nel progetto n. 14, presentato dal gruppo dell’Accademia di Belle Arti di
Varsavia diretto da Romuald Gutt, che divise col già menzionato progetto del Politecnico di
Danzica il secondo premio ex-aequo. Il progetto combinava un arco trionfale a campata unica
e una colonna collocata sul suo asse con in cima una scultura non meglio specificata.
Fortunatamente l’idea di costruire un arco di trionfo non fu realizzata. Ma un motivo simile,
con un arco di trionfo più o meno monumentale, comprendente il passaggio attraverso una
porta, si manifestò in diversi monumenti di quel periodo. Un esempio particolarmente
spettacolare è la porta a forma di arco, motivo centrale di quel complesso residenziale che è il
biglietto da visita del quartiere Muranów, con la parte bassa (il cinema “Muranów”) che dà su
via Generale Anders tuttora conservata in una forma leggermente semplificata 8 [ill. 4]. In una
versione più modesta, accenti simili si possono trovare anche, per esempio, nell’architettura di
Breslavia9.
Le forme monumentali che si rifacevano direttamente all’antichità romana, tuttavia,
comparivano in casi eccezionali. Ben più volentieri si attingeva al repertorio del Rinascimento
italiano, che utilizzava motivi antichi, ma li interpretava in modo diverso e li adattava alle
esigenze del momento. Queste soluzioni, d’altra parte, erano state trapiantate in terra polacca
nel corso del XVI e nella prima metà del XVII secolo; i motivi palladiani li ritroviamo poi
anche a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Gli elementi rinascimentali di origine italiana
erano talmente radicati nel paesaggio polacco da essere considerati “autoctoni”, e così
potevano soddisfare l’esigenza, importante per i dottrinari del realismo socialista, di applicare
forme nazionali.
8
Kowalski (1955).
9
Stefański (1982: 52-66).

3
Fra le soluzioni applicate più volentieri c’era la serliana, conosciuta anche come finestra
palladiana. Essa univa le caratteristiche autoctone e classiche, inoltre introduceva un elemento
di austerità, con una certa dose di elevatezza. Veniva spesso utilizzata su ampia scala come
elaborazione plastica nei portali di passaggio degli edifici residenziali e commerciali, non di
rado insieme ad altre soluzioni di provenienza palladiana o italiana in generale: colonnati,
arcate, portici a colonne o a mezze colonne. Erano stati utilizzati anche in quel fiore
all’occhiello del realismo socialista che è la MDM (il quartiere residenziale Marszałkowska) 10
[ill. 5], e poi in molti altri blocchi residenziali della capitale, come per esempio nel quartiere
Muranów 11 e nel complesso residenziale Nowy Świat-Ovest 12. Si potevano ritrovare, anche
se di solito in una versione più misurata, nell’architettura di molte altre città che stavano
sorgendo in quel periodo, in primis Nowa Huta13 [ill. 6], il quartiere residenziale
Kościuszkowska di Breslavia o il quartiere Bałuty e Stare Miasto (Città Vecchia) a Łódź 14.
Come si può notare in diversi esempi, le aperture laterali di passaggio, di tipo serliana, furono
successivamente murate e sfruttate a scopi commerciali. Un esempio particolarmente
interessante di approccio molto pragmatico alle soluzioni palladiane si trova nel quartiere
Bałuty di Łódź, dove nello spazio non sfruttato della parte superiore degli archi un inquilino
lungimirante costruì un piccolo appartamento [ill. 7].
Questa versione austera e severa dei motivi classico-rinascimentali, ivi compresi quelli
palladiani, anche se soddisfaceva le esigenze di serietà e monumentalità della dottrina del
realismo socialista, nella quotidiana realizzazione architettonica non sempre suscitava
entusiasmo. Uno dei teorici del realismo socialista, Adam Kotarbiński, si prese il coraggio di
scrivere quanto segue nel suo lavoro Na drodze ku realizmowi socjalistycznemu w
architekturze (Sulla strada del realismo socialista in architettura):

L’architettura del classicismo, e in gran parte anche quella classica, è piena […] di convenzioni. Ci
sono colonnati sotto i quali non ci cammina nessuno, porticati che racchiudono non porte, bensì
finestre, togliendo loro luce, grandi ordini che coprono l’inerzia di una parete superiore cieca,
colonne, trabeazioni che non supportano niente, e così via […]. Le forme incompatibili con il
modo in cui vengono utilizzate sono per gli edifici solo un ornamento costoso e inutile 15.

10
Jankowski, Knothe, Sigalin, Stępiński (1951); Garliński (1953-I: 9, 62-79).
11
Lachert (1949).
12
Garliński (1953-I: 95-97).
13
Ptaszycki (1953); Garliński (1953-I: 9, 80-92).
14
Karłowicz (1950).
15
Kotarbiński (1952: 21).

4
Le cose stavano diversamente se parliamo di un altro motivo proveniente
dall’architettura italiana, in particolare da quella del Nord, molto radicato nella tradizione
polacca, ossia quella decorazione rinascimentale dell’attico che viene spesso indicata come
“attico polacco”. Come modello di questo elemento si considera l’attico delle Sukiennice (il
Mercato dei Tessuti) di Cracovia, che gli italiani Giovanni Maria Padovano e Santi Gucci
aggiunsero all’edificio durante la sua ricostruzione dopo l’incendio negli anni 1557-1558.
Questo motivo fu ben presto riutilizzato nella regione della Piccola Polonia in due palazzi
municipali: a Tarnów (dove appare anche in altri edifici della piazza) e a Sandomierz. In una
versione leggermente diversa, l’attico compare negli stessi anni anche nel palazzo municipale
di Poznań, e poco dopo in quello di Chełmno. Questo tipo di decorazione si diffuse nelle terre
polacche nei decenni successivi e trovò un ampio utilizzo, divenendo un elemento fisso e
caratteristico dell’architettura polacca del Cinquecento e del Seicento 16. Gli esempi più belli
sono considerati gli attici dei palazzi e del municipio di Zamość che oggi si possono vedere in
forma restaurata17. Già all’inizio del Novecento gli attici erano considerati una forma
architettonica tipicamente polacca e studiosi come Stefan Szyller 18 o Jan Sas Zubrzycki
(propagatore del rinascimento polacco come “stile sigismondeo”) 19 ne dimostrarono la
provenienza autoctona. Così anche nell’epoca di cui stiamo parlando, studiosi come Stanisław
Lorentz mostrarono le caratteristiche peculiari del rinascimento polacco che, attingendo ai
modelli italiani, assunse una propria fisionomia20. Nel periodo del realismo socialista i motivi
rinascimentali, compresi gli attici, cominciarono a essere promossi come elementi che
soddisfacevano il postulato dell’utilizzo di forme nazionali, come si vede in questo frammento
che riporta una discussione sull’architettura:

Il colonnello Śliwicki propone di ricollegarsi al Rinascimento e di cercare sulla base di


quel periodo delle forme come l’attico, […] il viceministro Wolski in un lungo discorso si
dichiara propenso a guardare al più eccellente dei periodi storici, il Rinascimento, e di
trattarlo non solo come un patrimonio di Cracovia, bensì come un valore nazionale 21.

Presto questo motivo entrò nel repertorio delle soluzioni decorative più apprezzate,
comparendo in diverse occasioni, come illustrano i progetti per l’Arco della Liberazione di
16
Mączeński (1956: 287-290); Miłobędzki (1968: 126-130); Dobrowolski (1974: 323-325); Kębłowski (1987:
112-114).
17
Kozakiewiczowa (1978: 123-128); Kębłowski (1987: 115-117).
18
Szyller (1909).
19
Sas Zubrzycki (1914).
20
Lorentz (1954: 11-12).
21
Garliński (1953-II: 84).

5
Lublino presentati in precedenza. Un altro concorso caratteristico per quell’epoca riguardò il
progetto per il padiglione polacco alla Mostra Internazionale dell’Agricoltura di Mosca, dove
furono invitati tutti i paesi a cosiddetta democrazia popolare. Il concorso si svolse con una
rapidità mai vista prima: fu annunciato all’inizio del febbraio 1951 e per presentare le
proposte fu dato tempo fino al 10 marzo. Era un concorso chiuso, al quale furono invitati a
partecipare gli architetti polacchi più importanti dell’epoca, a condizione che il progetto
“contenesse caratteristiche evidenti dell’architettura polacca” 22. Di conseguenza gli autori,
incoraggiati dal committente e tenendo presente le caratteristiche architettoniche del
padiglione, puntarono audacemente sulle forme storiche in tutta la loro ricchezza, mostrando
particolare apprezzamento per l’attico23.
Fra le proposte presentate si trovò anche il progetto di due illustri rappresentanti
dell’avanguardia polacca, Helena e Szymon Syrkus, che dimostrarono un notevole
pragmatismo. Prepararono infatti due varianti: un padiglione basato sulle forme del
classicismo dell’epoca di Stanislao Augusto Poniatowski, e un altro basato sulle forme del
Rinascimento nella regione di Lublino (nello stile dell’epoca di Jan Zamoyski), con arcate, un
attico e una snella torretta come caratteristica dominante 24. Questo motivo compare anche
nell’opera di un altro illustre esponente dell’avanguardia polacca fra le due guerre, Bohdan
Lachert, tra l’altro in una versione insolita: il suo attico è costruito con falci e martelli.
L’autore commentò così la sua scelta: “Credo che un cittadino sovietico, guardando questa
soffitta, vedrà innanzitutto che qui ci sono i simboli degli Stati governati da operai e
contadini. I simboli della falce e del martello non si usano soltanto in Unione Sovietica […] e
credo che diano un’immagine del nostro potere popolare”25. [ill. 8]
Il primo premio andò a un lavoro di Kazimierz Marczewski e Zygmunt Stępiński che
utilizzava una compilazione di elementi del Rinascimento polacco con un attico incorporato,
in questo caso dalla forma piuttosto conservativa 26. La natura di questi progetti spinse a
numerose dichiarazioni sull’atteggiamento da tenere nei confronti del patrimonio
architettonico polacco e della forma nazionale27.
Tralasciando una serie di altri esempi di applicazione di questo motivo popolare di
provenienza italiana, vale la pena notare un caso spettacolare come la costruzione della
piazza centrale di Racibórz, nell’Alta Slesia. Le costruzioni erano state in gran parte distrutte

22
Dyskusja (1951: 239).
23
Dyskusja (1951: 241-244).
24
Dyskusja (1951: 244).
25
Dyskusja (1951: 241).
26
Garliński (1953-I: 58-61)
27
Dyskusja (1951: 241).

6
durante i combattimenti del 1945. Negli anni 1951 –1954 le facciate furono ricostruite
secondo i progetti di Stanisław Kramarczyk e Jerzy Symonowicz in uno stile che rimandava
piuttosto liberamente al rinascimento polacco, in buona parte ispirato dall’architettura di
Zamość. Ne uscì un insieme originale che non aveva molto in comune con gli edifici che
c’erano precedentemente in città, con attici di varie forme, fatti di cemento 28. [ill. 9]
Per concludere bisogna tornare all’esempio citato all’inizio, ossia al palazzo della
direzione delle acciaierie intitolate a Lenin, a quel “Palazzo Ducale” di Nowa Huta nel quale
ancora una volta gli attici giocano un ruolo importante. I monumentali edifici a tre piani sono
a pianta quadrata, con ampi cortili interni al centro. I prospetti anteriori sono coronati da alti
attici divisi verticalamente da pilastri, con oculi in parte inferiore e un motivo a volute in
quella superiore. Essi vennero impiegati anche nel progetto del municipio di Nowa Huta, che
doveva sorgere nella parte centrale del piano urbanistico, così come la torretta snella
dell’edificio che evoca associazioni con i campanili italiani o con le alte torri delle città
medievali della penisola appenninica29. [ill. 10-11]
L’architettura italiana ebbe nelle terre polacche un’influenza che durò secoli e i suoi
motivi vi furono introdotti in epoca moderna dalle centinaia di costruttori, comaschi e
ticinesi, che vi passarono. Nell’Ottocento e anche nei primi decenni del Novecento essa ispirò
gli artisti polacchi, così come quelli di tutta Europa. L’epoca del realismo socialista è un caso
particolare, in quanto i motivi provenienti dall’Italia penetrarono nell’architettura polacca
insieme alle imposizioni dall’alto dei dottrinari comunisti che, in maniera piuttosto inattesa, li
trattarono come “socialisti nei contenuti e nazionali nella forma”, il che è particolarmente
sorprendente, per lo meno relativamente a soluzioni come quelle degli archi di trionfo.
Ma ai dottrinari questo non bastava. Nel 1953, cioè tre anni dopo l’imposizione della
dottrina, uno degli ideologi di punta dell’epoca, Edmund Goldzamt, sostenne che fra gli
architetti polacchi si vede ancora una scarsa conoscenza della tradizione classica, nonché un
opportunismo da parte degli artisti che evitano di studiare i classici in maniera approfondita, e
aggiunse: “C’è ancora molto lavoro da fare per poter conquistare una nuova tecnica, c’è da
suonare l’allarme in modo che si pubblichino Palladio, Vignola, Alberti e gli altri” 30. E così,
anche se con un certo ritardo, in Polonia furono stampate, con ampie tirature e in edizioni
prestigiose, le opere dei classici del pensiero architettonico antico e rinascimentale nella
Penisola Appenninica: negli anni 1955–1956 uscirono i trattati di Vitruvio, Andrea Palladio e
Jacopo Barozzi da Vignola e nel 1960 arrivò anche quello di Leone Battista Alberti. Come
28
Symonowicz (1954); Kozina (2021: 79-80).
29
Garliński (1953-I: 82-83)
30
Dyskusja architektów (1953: 16).

7
giustamente notò qualcuno, fu un evento su scala europea, e forse anche mondiale31.

Bibliografia:

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Lachert 1949 = Bohdan Lachert, „Muranów- dzielnica mieszkaniowa”, Architektura, 5,
1949: 131-…

31
Åman (1992).

8
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Ptaszycki 1953 = Tadeusz Ptaszycki, „Nowa Huta”, Architektura, 3, 1953: 71-74.
Sas Zubrzycki 1914 = Jan Sas Zubrzycki, Styl zygmuntowski jako odcień sztuki
odrodzenia w Polsce, Kraków 1914.
Starzyński 1952 = Juliusz Starzyński, Narodziny teorii realizmu socjalistycznego,
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Stefański 1982 = Krzysztof Stefański,: „ Architektura polska 1949-1956”, Kwartalnik
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Symonowicz 1954 = Symonowicz, Jerzy: Odbudowa śródmieścia Raciborza, „Miasto”,
1954, nr 5, s. 33-35:
Szyller (1909) = Szyller, Stefan: O attykach polskich i polskich dachach wklęsłych,
Odbitka z „Przeglądu Technicznego”, Warszawa 1909.
Woźnicki (1932) = Woźnicki, Stanisław: „ZSRR o zagadnieniach architektury”,
Architektura i budownictwo, 7 (1932): 212-216.

Illustrazioni:

1. L’edificio della direzione dell’ex acciaieria intitolata W. Lenin in Nowa Huta-


Cracovia, arch. Janusz Ballenstedt, Janusz Ingarden, Marta Ingarden. Foto. K.
Stefański, 2023.
2. Jan Knothe, schizzo del progetto dello stadio in Wierzbno a Varsavia. Bierut, 1951.
3. Tadeusz Witkowski con il suo team, progetto di concorso dell’Arco della Liberazione
a Lublino, 1954. Architektura, 1954.
4. Porta di collegamento tra gli edifice residenziali di Muranów nell’attuale Via gen. W.
Anders, arch. Bohdan Lachert. Foto. K. Stefański, 2023.
5. Marszałkowska Dzielnica Mieszkaniowa (Distretto Residenziale Marszłkowska) a
Varsavia – connettore tra edifici residenziali e commerciali in Via Marszałkowska,

9
arch. Stanisław Jankowski, Jan Knothe, Józef Sigalin, Zygmunt Stępiński. Foto. K.
Stefański, 2023.
6. Zygmunt Stępiński con il suo team, progettazione di un connettore tra gli edifice
residentiali del complesso residenziale Nowy Świat-Ovest a Varsavia. Garliński,
1953-I.
7. Edificio residenziale nel complesso Bałuty I a Łódź, arch. Bolesław Tatarkiewicz,
Romuald Furmanek e altri. Foto. K. Stefański, 2015.
8. Bohdan Lachert, progetto del padigline polacco alla Mostra Agricola a Mosca, 1951.
Architektura, 1951.
9. Racibórz, Piazza del mercato – facciata occidentale. Foto. K. Stefański, 2023.
10. Tadeusz Ptaszycki, progettazione dell’edificio direzionale di acciaieria intitolata W.
Lenin in Nowa Huta-Cracovia. Garliński, 1953-I.
11. L’edificio della direzione dell’ex acciaieria intitolata W. Lenin in Nowa Huta-
Cracovia – frammento della facciata con attico, arch. Janusz Ballenstedt, Janusz
Ingarden, Marta Ingarden. Foto. K. Stefański, 2023.

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