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Una storia dell'architettura

contemporanea - Dellapiana,
Montanari
Storia Dell'architettura
Università degli Studi di Milano (UNIMI)
33 pag.

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UNA STORIA DELL’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA – Elena
Dellapiana, Guido Montanari cap. 8-15

Avanguardie artistiche e architettura


Periodo di rottura con il passato – periodo delle Avanguardie la cui ricerca non si limita solo al campo della pittura e
scultura, ma investe tutte le arti: l’architettura sarà al centro.
- ESPRESSIONISMO TEDESCO: in questo periodo si capisce che l’arte può essere anche strumento di
cambiamento sociale e politico, e non soltanto di denuncia. In architettura il tentativo di abbandonare il passato
trova spazio nell’uso di nuovi materiali come il calcestruzzo armato, ferro e vetro; si ricercano forme non tradizionali,
pensando all’architettura come ad una scultura plasmabile.
1914: pubblicazione del libretto Glasarchitektur di Paul Scheerbart. Propone la creazione di una nuova civiltà del
vetro. Il volume è dedicato all’architetto Bruno Taut, esecutore del padiglione di vetro all’Esposizione del Werkbund
a Colonia nel 1914. Con basamento circolare in calcestruzzo armato su cui poggia un parete in vetrocemento
terminante in una copertura simile ad un diamante fatta di vetro e cemento. Dalle pareti e copertura filtra la luce e
viene riflessa dai mosaici e da una cascata d’acqua.
Durante il periodo della repubblica di Weimar le aspirazione ad una trasformazione della società coinvolgono artisti
e architetti: il Novembergruppe dal quale nasce il Consiglio del lavoro per l’arte (con visione anarchica e
comunista), nel quale troviamo architetti come Bruno e Max Taut, Adelf Meyer, Erich Mendelsohn e Walter Gropius.
Secondo loro l’architettura deve essere sintesi di tutte le arti secondo il modello della collaborazione delle
corporazioni medievali per la creazione della cattedrale.
Taut promuove la Catena di vetro, una rete di corrispondenza tra artisti e architetti che permise loro lo scambio di
idee e confronto.
Quelle di Taut sono visioni utopiche e fantastiche (costruzioni tra ghiacciai e vette, città senza chiese e tribunali,
superamento delle frontiere…) che non avranno mai realizzazione concreta.
A richiamare le visioni di Taut troviamo l’opera più emblematica realizzata in questo periodo, il Grande teatro di
Hans Poelzig: interviene sul mercato coperto preesistente e riveste l’interno con una cupola in gesso e legno,
decorata da stalattiti di vetro.
Di questo periodo è l’Osservatorio astronomico Albert Einstein di Mendelsohn, una scultura dalle forme dinamiche
concave e convesse. Doveva essere realizzata con un’unica colata di calcestruzzo armato, ma per ragioni
d’economia venne fatta in muratura portante, strutturato su un razionale uso degli spazi e sulla rispondenza delle
funzioni.
Di ambito espressionista è la casa unifamiliare del Weissenhof di Hans Scharoun con forme movimentate;
realizzerà nel progetto della ricostruzione della Berlino post-bellica la Filarmonica.
Rudolf Steiner, sulle ceneri del primo, costruisce il Goetheanum edificio in calcestruzzo armato dalle forme
complesse, sinuose con coperture plastiche.

FUTURISMO ITALIANO
Al centro del fermento futuristico viene inserita anche l’architettura attraverso l’opera di Antonio Sant’Elia, il quale
forma con altri il gruppo Nuove Tendenze. Nel 1914 espone a Milano una serie di disegni di architetture per una
città del futuro. I disegni di Sant’Elia promuovono una nuova architettura fatta di visioni affascinanti e fantastiche,
con prospettive vertiginose, viste a volo d’uccello, realizzati a china, carboncino e matita. Propone edifici giganti,
centrali elettriche, fabbriche, dighe, stazioni, aeroporti, dove i mezzi di trasporto si incrociano su più livelli.
Nel 1914 insieme a Marinetti scrive il Manifesto dell’architettura futurista, che denuncia lo stato di confusione
dell’architettura del loro tempo proponendo una visione delle possibilità aperte all’innovazione tecnica e
dall’abbandono della tradizione. Secondo l’architetto l’uso delle nuove risorse tecnologiche rendono inutile la
continuità con il passato attraverso l’uso degli stili storici.
L’architettura futurista deve esprimere la nuova organizzazione sociale e la nuova disponibilità di strumenti
meccanici e conoscenze scientifiche in grado di far progredire l’umanità. Farà uso anche di cartone, fibre tessili e
surrogati di materiali naturali prodotti serialmente → l’architettura futurista ha carattere effimero, ogni generazione
dovrà riprogettare la propria città. Dovranno adottare linee oblique ed ellittiche, dinamiche; si nega l’uso della
decorazione = si mette in campo un rinnovamento radicale dell’architettura.
Quelli di Sant’Elia rimarranno solamente progetti su carta che però influenzeranno in modo significativo le
elaborazioni della modernità.
Si è sempre avvicinato il futurismo al fascismo per quanto riguarda le posizioni reazione e di esaltazione della
guerra, ma la volontà di rompere con il passato e le convenzioni borghesi, lo avvicina maggiormente ai costruttivisti
russi.
Nel dopoguerra il futurismo aderisce al fascismo, ma un gruppo di artisti si oppone al diffuso ritorno all’ordine
dell’epoca dando vita al Secondo Futurismo; tra gli architetti troviamo Luigi Colombo, Chiattore, Fortunato Depero,
Enrico Prampolini, Guido Fiorini, Cesare Poggi, i quali progetteranno architetture super tecnologiche e visioni
urbane affollate di grattacieli → anche questi rimarranno su carta.

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COSTRUTTIVISMO RUSSO
Nonostante la guerra civile, le aspettative suscitate dalla stagione rivoluzionaria liberano energie intellettuali; guidati
dal sentimento di rinascita sociale proliferano gruppi, tendenze artistiche e importanti proposte: nascono nel 1920
l’Istituto per la cultura artistica (Inkhuk) e gli Studi superiori artisti e tecnici (Vchutemas), scuole che diventano il
principale centro di elaborazione teorica e sperimentazione. Prendono forma due tendenze contrapposte: quella
degli artisti rivolti alla ricerca astratta, pura e non utilitaria (proposte di Kandinskij, Malevic, Naum Gabo, Antoine
Pevsner); l’altra legata alla vita pratica, alla produzione industriale e all’impegno politico (Tatlin, Rodcenko).
Il dibattito tra astrattisti e produttivisti si riflette anche nella nascita di organizzazioni come l’ASNOVA e l’OSA, che
rappresentano le principali correnti di pensiero dell’architettura sovietica.
L’ ASNOVA sostiene la necessità di sottolineare le qualità estetiche ed emozionali delle forme come incontro tra
struttura, linee, fantasia e sistema di percezione sensoriale visiva degli elementi della composizione spaziale.
L’OSA considera la nuova organizzazione sociale come l’unica base possibile della moderna concezione
architettonica che deve essere volta alla costruzione materiale del socialismo. Per loro l’architettura è una tecnica
sociale.
Purtroppo le difficoltà politiche ed economiche non consentono di realizzare architetture concrete, perciò la
creatività degli artisti si esprime nella propaganda e nella grafica (edifici, mezzi di trasporto ricoperti di scritte e
manifesti di arredi industriali e smontabili, utensili, vestiti pratici…).
L’opera fondamentale architettonica è il progetto per il Monumento alla III Internazionale di Tatlin: un doppio traliccio
in acciaio a spirale, alto più di 400m asimmetrico e inclinato, che sostiene 4 volumi in vetro, un cubo, una piramide,
una semisfera e un cilindro, sospesi e ruotanti su se stessi a diversi velocità. Tutte le concezioni tradizionali
dell’architettura sono scardinate: la struttura portante è posta all’esterno ed enfatizzata, la staticità è stravolta.
L’esaltazione strutturale è al centro di numero ricerche del periodo, come i grattacieli orizzontali di El Lissitzky
(enormi edifici su pilastri al di sopra della città); in molti progetti si mette enfasi sull’uso esibito di soluzioni strutturali
e impianti tecnologici a vista.
In questa fase tra le rare opere costruite si ricordano alcuni padiglioni espositivi.
Con l’evolvere della situazione politica gli architetti sono sempre più impegnati nel progetto degli edifici pubblici del
nuovo stato socialista e sulla pianificazione delle città.
Il concorso per il Palazzo del lavoro è un banco di prova: dei 50 progetti presentati, il più moderno quello dei fratelli
Vesnin, riceverà il terzo premio a causa di una giuria volta ancora verso tendenze tradizionaliste.
Al centro del dibattito di architettura del periodo rivoluzionario c’è il tema dei club operai, fulcro delle attività sociali,
politiche e culturali dei lavoratori. Saranno progettati sulla base di una ricerca formale innovativa e planimetrie
funzionali, in modo che possano emergere nella città con un’immagine forte: club Rusakov di Melkinov, club Zuev di
Golosov.
Altro importante ambito di ricerca e sperimentazione è l’abitazione. Nel 1925 il Soviet di Mosca lancia il concorso
per il progetto della casa comune, un complesso per circa 800 persone in camere individuali di minimo nove metri
quadrati collegabili se destinati a famiglie, con locali per bambini, mensa, lavanderia, svago e uso culturale.
L’obiettivo è quello di superare l’individualismo, di sviluppare nuove socialità.
Pochi sono gli esempi realizzati, tra cui l’edficio per i dipendenti del Narkomfin. Negli anni si perfezionano i modi
assemblare le cellule di abitazioni minime e di incrementare gli spazi collettivi.
Per quanto riguarda la ricostruzione urbanistica di molte città tra cui Mosca si accende un dibattito che vede
schierati da un lato gli urbanisti, dall’altro i disurbanisti. I primi vorrebbero modernizzare le città esistenti
attrezzandole con servizi e case collettive, i secondi propongono una pianificazione che eviti grandi concentrazioni
urbane e che tenda a superare il conflitto città-campagna.
Gli architetti tradizionalisti, nei primi piani per lo sviluppo della capitale, confermano la struttura storica radiocentrica
della città e propongono la costruzione di nuove linee della metropolitana e di quartieri di case popolari con una
cintura verde (soluzioni che si rifanno all’idea di città-giardino e al movimento city beautiful americano). Il
disurbanista Ginzburg propone invece un piano che prevedeva lo spostamento dell’attività produttiva fuori dalla
città, in campagna, e la realizzazione di strade separate dalle residenze con aree verdi.
Purtroppo la spinta rivoluzionare del Costruttivismo di spegne nella svolta autoritaria stalinista dello stato sovietico.
Con il controllo centrale dell’economia prende il sopravvento la scelta della pianificazione dall’alto, con la
costruzione di quartieri operai e di nuovi centri urbani legati a poli produttivi.
In architettura questo cambiamento è dato dal concorso per il Palazzo dei Soviet. Nella prima fase, su invito,
partecipano molti stranieri (Gropius, Le Corbusier…); alla seconda fase partecipano più di 250 gruppi i cui lavori
saranno esposti in una mostra a Mosca. Vince il progetto del tradizionalista Boris Jofan, che prevedeva un
basamento a più livelli su cui si erge un’enorme aula coperta da una cupola, coronata da una statua di Lenin.
Nel 1932 si stabilisce lo scioglimento di tutte le organizzazioni culturali e artistiche dell’avanguardia e il controllo da
parte dello stato di tutte le espressioni artistiche. L’architettura sovietica torna così al classicismo e alla
monumentalità.

NEOPLASTICISMO OLANDESE
Con il Neoplasticismo olandese avviene il tentativo più esplicito di trasferire nell’architettura e nel design le ricerche
astratte delle arti figurative.

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Hendrik Berlage costruisce la nuova Borsa di Amsterdam secondo l’immagine di una cattedrale romanica,
contraddetta all’interno dall’ampia sala luminosa la cui copertura in vetro è sorretta da una struttura di archi e
capriate in ferro, lasciata a vista.
In questo ambiente si sviluppa la ricerca razionale, antifigurativa e oggetiva di Piet Mondrian. Insieme a Van
Doesburg fonda la rivista De Stijl, punto di incontro per molti intellettuali e artisti tra cui molti architetti e deisgner
come Pieter Oud, Jan Wils, Rietveld, Eesteren, vant’Hoff.
“Architettura è plastica […]. La bellezza del blocco residenziale moderno si esplicherà in un ritmo fortemente
pronunciato e nella adozione dei materiali moderni. Eliminazione del tetto a falda per l’accettazione del tetto piano:
soluzione della campata orizzontale per mezzo di travi in calcestruzzo armato o ferro ed il trattamento delle
superfici e delle aperture murarie con materiali moderni”.
Un tema importante che viene affrontato è il rapporto tra arte e industria: è la macchina che permette la produzione
di edifici e arredi riducendo i costi di produzione e permettendo la diffusione dell’abitazione di massa.
Villa Henny anticipa le ricerche neoplastiche: progettata da vant’Hoff, è una delle prime ad essere interamente in
calcestruzzo armato, con tetto piano e con immagine stereometrica.
Sedia rosso-blu di Rietveld.
Il passaggio dalla ricerca pittorica alla progettazione architettonica ha il suo culmine nella casa Schroder-Schrader
di Rietveld: una casa unifamiliare a due piani posta in testata ad una schiera di casette a mattoni rossi. Rietveld
scompone l’edificio in una serie di piani, accostati o allontanati tra loro perpendicolarmente. La struttura portante
puntiforme in pilastri in acciaio permette di articolare liberamente la pianta e i prospetti creando nelle viste
ortogonali le immagini dei quadri astratti → smaterializza i volumi per proporre l’immagine di un oggetto senza
confini, libero nello spazio. Anche l’interno è concepito in modo innovativo: il piano superiori, grazie a pareti
scorrevoli, è possibile realizzare un grande spazio aperto oppure tre stanze da letto.
Questa casa mette in pratica i punti elencati da Van Doesburg nell’articolo Verso un’architettura plastica, secondo
cui l’architettura, sintesi di tutte le arti, deve: superare l’idea della forma, essere elementare, economica, funzionale,
anti monumentale, superare la contraddizione tra interno ed esterno. Caratterizzata da spazi continui realizzabili
grazie a pareti non portanti ma scorrevoli. Grazie a superfici e volumi sporgenti è anti cubica, rifiuta la simmetria, le
facciate principali, la gerarchia delle parti e fa del colore un elemento organico.
Altre opere, seppur poche, del movimento neoplastico: Cafè de Unie di Oud a Rotterdam con campiture
geometriche colorate e scritte pubblicitarie; Cafè l’Aubette di Van Doesburg che smaterializza lo spazio con riquadri
e linee diagonali che si estendono dai pavimenti ai soffitti, comprendendo anche arredi e apparecchi
d’illuminazione.
Il movimento neoplastico ha vita breve: nel 1925 la frattura del sodalizio tra Mondrian e Van Doesburg porta alla
crisi del movimento. La ricerca di purezza e razionalità si ritrova nel lavoro di Gropius, Mies Van de Rohe e Le
Corbusier.

La tekné fuori dalle avanguardie


Molti architetti conoscono bene le istanze delle avanguardie e le rifiutano esplicitamente.

NUOVE RICERCHE E PERMANENZE DELLA STORIA


Adolf Loos, attivo nella Vienna di fine secolo, socio della Secessione dalla quale si distacca rapidamente, si accosta
all’architettura mediante il progetto di interni e arredi e con gli interventi pubblicati in periodici locali. Fonda la
propria rivista che affronta temi pratici e legati all’attualità della vita moderna, sostenendo i modelli anglosassoni e
statunitensi. Adotta una visione evoluzionistica dell’architettura e pone il rivestimento alla base dello sviluppo della
costruzione; esprime la necessità di utilizzare i materiali in modo sinceri e di far parlare le architetture.
In contrasto con la volontà d’arte dei movimenti coevi (arts and crafts, werkstatte. Avanguardie) Loos insiste sulla
condivisione dei valori, sul rifiuto delle aspirazioni artistiche e della creazione dell’ornamento individuale. Loos si
occupa della legittimità di applicare l’arte all’artigianato, alle discipline di progetto, discutendo dell’attualità
dell’ornamento e della sua mancanza di aderenza alla modernità. Afferma come l’ornamento sia accettabile solo in
quanto espressione collettiva di una certa epoca, ma afferma anche come non sia più possibile stabilire un rapporto
tra ornamento e civiltà contemporanea, estranea ai movimenti culturali collettivi.
“L’uomo moderno usa ornamenti di età passate o di popoli stranieri a suo piacimento. Il proprio spirito inventivo lo
concentra su altre cose”. La convinzione che non sia possibile inventare nuove forme decorative permette a Loos di
mescolare nuove interpretazioni e soluzioni già esistenti, ritenuto perfette e non migliorabili.
Nel Café Museum riforma la facciata esistente, sostituendo il bugnato della zoccolatura con intonaco liscio; gli
ambienti sono spogli, ma che mostrano il sistema costruttivo originario, popolati però da sedie Thonet e poltroncine
in vimini Prag-Rudniker. Con questo Loos inaugura una stagione di progettazione di interni di esercizi commerciali
come il Kartner bar.
In un altro intervento afferma come l’architetto moderno sia incapace di creare perché incapace di guardare con
obiettività alla propria epoca. L’architettura deve rispondere ad uno scopo immutabile e duraturo, deve essere
quindi conservatrice. Le esigenze si devono adattare e quindi mutare solo alle nuove richieste che emergono dalal
modernità. Giunge al paradosso che la fortuna di appartenere in un’epoca al culmine del processo di civilizzazione
consiste nel non dover inventare più nulla e semplicemente nell’applicare coscienziosamente soluzioni già
sperimentate.

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È ciò che fa nella Casa in Michaelplatz: una sartoria si affida a Loos per la progettazione di un edificio a
destinazione commerciale e residenziale. Loos propone un edificio d’angolo dove a un basamento costituito dal
pianto terreno e dal mezzanino con decorazione, corrisponde un corpo superiore liscio destinato alle abitazioni,
forato da aperture prive di cornici, segnate solo da fioriere. Sull’entrata, un architrave in metallo è congiunto a delle
colonne monolitiche in marmo scuro venato. Le aperture del mezzanino sono incorniciate da paraste decorate in
continuazione con le colonne sottostanti. Tutti i rivestimenti in marmo sono modanati, mentre i piani superiori sono
solo intonacati, col tentativo di armonizzare l’edificio col resto della piazza. Paradossalmente affermava che i 4 piani
superiori erano quelli pià in armonia col carattere storico della città, mentre quelli adibiti a spazi commerciali erano
quelli più moderni → intenzione di lavorare da moderno guardando al passato.
L’approccio più moderno si riconosce però all’interno della sartoria, dove viene sperimentato il principio del
RAUMPLAN (piano nello spazio): idea di un’architettura che sia risultato della coordinazione degli spazi interni,
prende forma nella differenziazione dei livelli dei piani che si librano in uno spazio complessivo fluido e ininterrotto,
grazie alla funzione portante della maglia in calcestruzzo armato e dei muri a cui sono ancorate le scale. Il tutto è
riccamente realizzato o rivestito di legni lucidi, ottoni, specchi e mattoni in vetro stampato. Il Raumplan è stata
considerata un’anticipazione della pianta libera concepita da Le Corbusier.
Sembra che dopo la casa in Michaelplatz Loos si sia dedicato alle case unifamilairi: Casa Steiner, Casa per Mitzi
Schnabl, in cui elabora la definizione di volumi bianchi, stereometricamente definiti, con inserti legati alla tradizione;
Casa Scheu si rifà invece alle architetture mediterranee. Il Raumplan va definendosi negli interni domestici, in cui si
affiancano oggetti perfetti e finiti ad altri di nuova invenzione.
Queste scelte vicine a quelle del razionalismo europeo sembrano in contrasto con il progetto del 1922 per il
Chicago Tribune dove propone una colonna dorica di 24 piani poggiante su un basamento di 12, in una
dichiarazione di fedeltà nei confronti dell’architettura classica (mentre le case si basano su un progetto che proviene
dall’organizzazione interna, dal Raumplan).
La casa è il risultato di un processo che pone all’origine del progetto la qualità dell’abitare e dove quadri e oggetti
d’arte sono a completamento e non parte integrante del progetto (come stavano facendo Rietveld e Le Corbusier).
Presenta il brevetto per la casa con un muro solo per abbattere i costi e facilitare la costruzione condivisa, e giunge
alla soluzione per la casa alla Werkbund Siedlung, dove il primato è assegnato all’abitabilità, alla facilità di
esecuzione senza l’impiego del calcestruzzo armato e al raumplan.
Loos fa scuola: un esempio è la casa Wittgenstein, realizzata dall’allievo Paul Engelmann, che esprime una cura
maniacale per ogni dettaglio, in una aspirazione più filosofica che artistica.
La morte di Loos nel 1933 accresce i fraintendimenti collocandolo dove mai avrebbe voluto stare, ovvero tra gli
architetti-artisti, definendosi più volte un architetto-costruttore.

TECNICA E VISIONE SOCIALE AL SERVIZIO DELLA CITTA’


Altro distacco netto dall’ambito artistico è quello di Tony Garnier (ha la possibilità di studiare a Roma gli edifici
antichi). La sua posizione è collocabile tra la tradizione accademica e la lezione razionalista di Viollet-le-Duc. Il
risultato è l’invio che spedisce a Parigi, Una città industriale, progetto che abbraccia urbanistica e architettura, alla
cui base risiede una sensibilità sociale (influenza di Zola e del romanzo Lavoro). Presentata in grandi tavole
acquerellate, la città di Garnier ha una disposizione per zone: industrie, città, luoghi di cura sono nuclei distanziati
tra loro in modo da consentire ulteriori espansioni. Le indicazioni riguardano:
• disposizione
• abitazioni
• amministrazione ed edifici pubblici → non sono previsti tribunali carceri ed edifici religiosi
• scuole → con classi miste suddivise per età e livello di istruzione
• stabilimenti sanitari → posizioni su alture, in situazioni salubri. Si fa attenzione alla cura, ma anche alla
vecchiaia e disagio
• stazione
• servizi pubblici → relazionati al cittadino e pensati come emanazione della pubblica amministrazione che
produce anche beni di prima necessità
• industria → specializzate in metallurgia, distanziate dal nucleo urbano, intese come arricchimento del
territorio
• costruzione → uso di calcestruzzo povero per fondazioni e muri e calcestruzzo armato per solai e
coperture; il processo costruttivo prevede l’uso di casseforme semplici e riutilizzabili.
Tutte le categorie sono organizzate mediante un regolamento edilizio e di igiene, fornendo indirizzi su dimensione e
orientamento degli spazi, sulla quantità di soleggiamento, sulla disposizione delle vie e sulla destinazione degli
spazi collettivi, comprendendo indicazioni sociali e di pianificazione urbana. Gli spazi pubblici sottendono la
focalizzazione sulla comunità, sugli spazi di relazione per la popolazione con ampie sale e spazi aperti riparati.
Chiara è la consapevolezza del ruolo che l’arte può assumere nella vita di una comunità, ma non è compito
dell’architettura esprimere tale arte, quanto di fornisce uno scenario da cui la decorazione è distaccata ma non
cancellata, come stavano facendo i razionalisti, né introiettata nel progetto (casa per un artista).
Garnier ha anche un’attività di architetto praticante dove i principi teorici trovano spazio, fino a un disegno per
dotare la sua città (Lione) di un impianto socialmente efficace mediante l’esecuzione dei Grandi Interventi.

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Il Mercato del bestiame e macello è un edificio industriale, organizzato a padiglioni diversificati a seconda delle
destinazioni; la Grande Halle è realizzata con una struttura metallica a giunti sferici. La facciata in mattoni e corsi di
pietra permette a Garnier di realizzare la ricerca di ritmo e simmetria.
L’attività per la città si fa ora molto intensa: nel 191 si avvia il progetto per il Grande-Blanche, l’ospedale di Lione,
dove, sulla linea europea, adotta la tipologia a padiglione. Si articola in corpi di fabbrica collegati nel sottosuolo in
modo da accentuare il tessuto verde nel quale è immerso. La conformazione abbandona la simmetria per
privilegiare una conformazione che rimanda ad un quartiere senza gerarchie.
Sempre inserito nei grandi interventi per Lione è il Quartiere des Etas-unis richiesto dall’amministrazione come un
grande viale industriale che porti agli ampliamenti imprenditoriali in previsione. Propone una lottizzazione che
comprenda trasporti, ma anche abitazioni per gli operai, ribattezzando il progetto Abitazioni in comune-centro
industriale. A costruzione ultimata si contano 1620 alloggi riuniti in edifici a cinque piani, immersi nel verde, in cui
tutti gli spazi privati tipici dei villaggi operai diventano patrimonio pubblico → il modello comunitario prende il
sopravvento.
Anche Henri Sauvage e Charles Sarazin privilegiano la componente della ricaduta sociale: costruiscono a Parigi
una serie di edifici ad appartamenti che sono l’applicazione dei principi igienisti sull'aerazione e soleggiamento e il
controllo dello scheletro strutturale in calcestruzzo armato o acciaio.
Sauvage organizza le facciate movimentate da bow-window e composta secondo una gerarchia: piano terra
trasparente, elevazione conformata per accogliere la maggior quantità di luce e ultimi piani terrrazzati.
Per quanto riguarda gli alloggi sociali, i due brevettano un sistema di costruzione a gradoni applicato all’Edificio di
rue Vavin, dove si applica un sistema che integra i criteri per l’abitazione a quelli dei luoghi di cura con scheletri in
calcestruzzo armato e rivestimenti in mattonelle.
Un ulteriore passaggio è l’HBM in rue des amiraux.
La convinzione di Sauvage e Sarazin riguardo la necessità di fornire abitazioni salubri anche in ambito urbano
raccolte in grandi volumi, si scontra sia con il regolamento edilizio (restio a concedere autorizzazioni per edifici che
spezzino la continuità degli affacci), sia con le coeve tendenze a relegare l’edilizia a basso costo nelle colonie
operaie.

LA MISTICA DEL CALCESTRUZZO ARMATO


François Hennebique avvia insieme ad altri una formidabile stagione tecnica. La formula che riescono a mettere a
punto per il nuovo calcestruzzo armato combina tre fattori:
1. nuovi procedimenti di messa in opera dell’unione tra calcestruzzo e parti in ferro
2. progressi della conoscenza dei comportamenti e delle possibilità fisiche del nuovo materiale
3. coinvolgere nelle innovazioni tutti gli attori del processo costruttivo (architetti, immobiliaristi, costruttori…).
Nel giro di pochi anni l’impresa arriva ad avere 42 agenti in tutto il mondo e provenienti da esperienze diverse, ma
sostenitori dell’idea che la struttura in calcestruzzo armato incarni la modernità.
Coloro i quali sono coinvolti sia nel processo industriale sia in quello progettuale, sono i primi a realizzare
l’architettura in calcestruzzo armato, fuori dal dominio esclusivamente ingegneristico.
È il caso dei frateli Perret. Inizialmente Auguste Perret sperimenta una casa in rue Franklin 25 bis, con scheletro in
calcestruzzo armato, dove la struttura è evidenziata da rivestimenti decorativi ceramici, a motivi floreali, che
soprattutto ne sottolineano gli aspetti costruttivi.
Nel 1905 si associa ai fratelli Gustave e Claude per realizzare costruzioni di maggior impegno come il Garage della
società Ponthieu – automobiles di Parigi, in cui alla struttura interna corrisponde un prospetto scandito dal telaio
che inquadra aperture per illuminare gli spazi secondo una disposizione concentrica di riquadri a grandezze variate.
È con il Theatre des champs elysées che Perret inizia ad assegnare al materiale una sua identità propria creando
un linguaggio architettonico che dipende dall’impiego dall’ossatura in calcestruzzo (le architetture di servizio e
committenza pubblica, sono sempre il frutto di sperimentazioni fatte in ambito industriale). L’urgenza di creare un
codice lo spinge a una rilettura della struttura architettonica classica degli ordini.
Nella Sartoria Henri Esdier la struttura si risolve in grandi archi ai quali sono ancorate le balconate che circondano
l’invaso. Banco di prova per sperimentare l’indipendenza tra struttura e tamponamenti, messa in pratica nella
Chiesa di Notre Dame a Raincy.
Da tutte queste sperimentazioni derivano i successivi edifici a forte contenuto simbolico come quelli costruiti per
l’Esposizione di Parigi del 1925, dove la necessità di monumentalità e veicolazione di significati porta Perret a
sintetizzare un ordine architettonico che è incentrato sulle caratteristiche costruttive derivate dal nuovo sistema
strutturale.
Sono ingegneri, tecnici e impresari che attraverso le sperimentazioni in edifici a destinazione funzionale, gettano le
basi per la definizione di oggetti e meccanismi che diventano architetture con carattere di monumentalismo o che
vengono percepiti come architetture dagli osservatori → è il case della Fiat Lingotto di Giacomo Matté-Trucco, dove
lo stabilimento è risolto con una maglia strutturale generato per assecondare la produzione di auto ed è ben visto
dal movimento moderno, trasformando un luogo di lavoro in un’icona della modernità.
Situazioni analoghe sono quelle che riguardano l’ingegnere Max Berg che progettò a Breslavia la più grande cupola
in calcestruzzo armato del suo tempo; o Emile Maigrot che progetta i Mercati generali a Reims.
Con il processo di trasferimento tecnologico, le sperimentazioni effettuate in campo ingegneristico vengono traslate
nel campo dell’architettura.

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Pier Luigi Nervi è l’esempio di come la promozione degli esperimenti in campo industriale attraverso riviste e
mostre, abbia spostato una carriera tecnica e dedicata al progetto e alla costruzione di edifici funzionali e di
servizio, nel campo dell’architettura del Movimento Moderno. Redige il progetto e si aggiudica la costruzione della
tribuna coperta per il nuovo stadio Giovanni Berta a Firenze. Per la pensilina Nervi libera la struttura dalla gabbia
ortogonale ideando travi a sbalzo in calcestruzzo armato a supporto di un solaio di copertura latero-cementizio. Le
tre scale elicoidali, la Torre di Maratone e le tribune in curva sono le strutture più iconiche e sperimentali dello
stadio.
Il superamento del sistema a ossatura permette di presentare le strutture in calcestruzzo sciolte da ogni
sovrastruttura, nude nella loro funzione. Con la costruzione dello stadio avvia una stagione molto feconda che
sviluppa una vera e propria estetica del cemento armato.

OLTRE I NUMERI: BENESSERE PSICOLOGICO E AMBIENTE NATURALE


L’isolamento culturale e geografico, e la mancanza di allineamento con l vicende storiche europee, portarono
all'estraneità ai movimenti delle avanguardie di alcuni paesi.
È il caso dei paesi scandinavi → fino alla 1GM la ricerca architettonica si muove nella direzione del reimpiego di
modelli locali o storicisti convergendo in una fase che è stata chiamata Romanticismo nazionale.
I grandi edifici civili e religiosi fanno riferimento a modelli civici, come il palazzo pubblico medievale, come nel
municipio di Stoccolma di Ostberg, o come la stazione ferroviaria di Helsinky di Saarinen.
La mancanza della presenza delle avanguardie artistiche fa sì che alcuni concetti dell’approccio romantico
permangano anche laddove si presenti la penetrazione del rinnovamento razionalista.
In Svezia Gunnar Asplund presenta influenze di grandi complessi monumentali italiani. La Wood church è una
commistione tra l’archetipo del tempio classico, la capanna nordica e uno sguardo al bosco circostante. Processo
simile si verifica nella Biblioteca civica di Stoccolma dove Asplund utilizza gli schemi compositivi ereditati
dall’illuminismo e le proprie esperienze nella progettazione di silos e fabbricati industriali: il cilindro che accoglie la
sala di lettura è posto su un parallelepipedo in cui sono collocati i servizi e uffici, bipartito da due fasce orizzontali.
Seguendo un richiamo mediterraneo, le diverse elaborazioni hanno in comune la considerazione per la componente
luminosa del paesaggio e dell’architettura → volontà di riprodurre la luce del sud dell’Europa.
Questo percorso è evidente in Alvar Aalto. Compie il suo primo viaggio in Italia nel 1924, le cui tracce si manifesta
in edifici già dello stesso anno. Come nel Club per lavoratori dove innesta un corpo cilindrico, in cui è collocato uno
spazio distributivo al piano terreno e una sala teatrale al piano superiore, in un volume parallelepipedo
caratterizzato da una serie di colonne a scandirne l’affaccio sulla strada. Il cilindro centrale rimanda all’idea della
piazza, tradotto in un luogo di condivisione e relazione.
Simile nel processo è la Sede delle associazioni patriottiche, un insieme di basso-fabbricati in legno, disposti
intorno a un cortile sul quale insistono un edifizio in forme palladiane, con portico, timpano e barchesse (ali laterali)
e un corpo principale che in facciata è scandito da lesene → si fondono consuetudini costruttive tradizionali e
citazioni dell’architettura classica, per definire spazi lontani dalla cultura nordica in quanto con rimandi mediterranei,
ma anche frutto di elaborazioni di tradizioni locali.
Sul finire degli anni venti la ventata razionalista investe la Scandinavia. Col rischio di poter appiattire tradizioni e
linguaggi nazionali su principi formali, molti esprimono dubbi sull’opportunità di adottare il funzionalismo senza
valutarne ragioni e implicazioni pratiche. Aalto sembra rispondere a queste preoccupazioni con due edifici
razionalisti (approccio temperato dall’assenza di dogmatismo):
• la biblioteca di Viipuri → traduzione del metodo scientifico. La sala conferenze è studiata in modo da
diffondere nel miglior modo il suono della voce dell’oratore, adottando una controsoffittatura in doghe di
legno ad andamento ondulato che riflettono le onde sonore. La sala di lettura è illuminata dall’alto per
mezzo di lucernari che diffondono luce naturale.
• il sanatorio di Paimio → cerca un metodo funzionalista piuttosto che seguire forme moderniste. Nella
progettazione tiene conto dell’orientamento rispetto all’andamento del sole, rispetto alle correnti,
diversificando a seconda delle funzioni i padiglioni, ponendo l’attenzione alle necessità psicologiche ed
emotive del paziente. Adotta forme che sfuggono ai principi di ortogonalità definendo volumi puri e
andamenti curvilinei.
Razionalista è la suddivisione dei corpi di fabbrica a seconda della destinazione come razionaliste sono
altre soluzioni costruttive, alle quali se ne aggiungono altre che superano lo stesso funzionalismo: ai tetti
piani viene attribuita la funzione di accogliere i malati per i loro bagni di sole e passeggiate; agli spazi
comuni è assegnato il compito di accogliere relazioni sociali e pause tra le cure, mediante l’uso di arredi
estranei al mondo ospedaliero si vuole far sentire la persona più che un paziente. Nei luoghi di distribuzione
(hall, scale, corridoi) sono situate piccole aree di sosta attrezzate.
Grande attenzione è riservata agli aspetti umani che Aalto tiene in considerazione: i colori sono gradevoli,
tenui e non aggressivi, isolamento acustico tra stanze…
il progetto coinvolge anche gli arredi, soprattutto sedute, nei quali Aalto evolve a partire dalle
sperimentazioni sui mobili industriali in tubolare metallico integrato col legno (POLTRONA PAIMIO:
realizzata con due anelli di legno lamellare curvato che fungono da braccioli e una seduta in compensato di
betulla curvata. Dal 1935 l’azienda Artek fondata da Alvar avvia l’attività di industrializzazione di mobili in
legno di betulla)

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Adotta un approccio di tipo scientifico, che contempla anche l’acustica e l’illuminotecnica oltre a elementi come
soleggiamento, arieggiamento, attrezzature igieniche… rifiutando l’autoreferenzialità dell’architettura.
Sugli interni domestici la ricerca di Aalto mette a fuoco una proposta nuova, tra cui:
• la casa degli architetti a Munkkiniemi
• la villa Mairea → si distacca dall’idea dello standard per arrivare a un progetto articolato e complesso: la
villa ha una forma a L che abbraccia un’area rettangolare e prosegue verso il giardino con un porticato che
conduce ai locali della sauna. I due piani fuori terra sono sostenuti da una struttura a pilastri in acciaio e
calcestruzzo il cui ruolo tecnico scompare nel rapporto tra esterno ed interno, dove è il legno a
caratterizzare le superfici. All’esterno è utilizzato legno industrializzato che si distacca dalla retorica della
casa tradizionale. Anche la parte strutturale interna è dominata dal legno: i pilastri in acciaio sono cavi e
rinforzati con un getto di cemento al loro interno, moltiplicati a seconda della criticità della situazione statica.
A questi si accompagnano sequenze di pali in legno.
Il risultato percepito è quello di grande armonia, tra aspetti della tradizione e aspetti dell’industrializzazione.
Pur destinando la sua opera a committenti borghesi, pone le basi per un umanesimo applicabile anche negli edifici
a basso costo, che sarà uno degli obiettivi della critica al movimento moderno nel secondo dopoguerra.
Critica al movimento moderno → materiali e metodi costruttivi non hanno un’influenza diretta e unilaterale
sull’architettura e solo la loro carica simbolica stabilisce gli equilibri che conferiscono qualità umane al progetto.

“Dal cucchiaio alla città”, la modernità come dogma


Nei primi decenni del Novecento l’espansione della produzione industriale e del mercato impongono un
ripensamento delle forme e delle tecniche dell’architettura. Gli esiti portano a riflessioni teoriche ed opere di rottura
con la tradizione costruttiva e con le regole formali del passato.
Si usarono molti termini, razionalismo funzionalismo astrattismo macchinismo nuova oggettività esprit nouveau
international style, ma quello che ebbe più fortuna è Movimento Moderno (grazie allo scritto I pionieri
dell’architettura moderna di Pevsner).
Il concetto di modernità ha sempre indicato nella storia un momento di rottura con la tradizione. Il Movimento
Moderno si nutre delle nuove opportunità tecniche e scientifiche, si arricchisce delle innovazioni figurative delle
avanguardie e si motiva nelle istanze sociali proprie dei movimenti riformisti e rivoluzionari → è il motore principale
dell’architettura contemporanea, fatta di maestri.

DAL PARTENONE AL PIROSCAFO


Le Corbusier (Charles-Edward Jeanneret-Gris) → più iconico architetto del MM. Ha come maestro Charles
L’Eplattenier che gli insegna storia dell’arte, disegno e lo introduce all’art nouveau. Si diploma nel 1904 e l’anno
dopo realizza il suo primo progetto: la casa Fallet, uno chalet in pietra e legno che risente dei modi locali, del
contatto con la natura e del rapporto con i paesaggi alpini.
Importante nella sua formazione è il primo viaggio in Italia nel 1907 (colpito dalla Certosa d’Ema per il rapporto tra
singola cellula abitativa e distribuzione dei servizi). Nel 1908 si stabilisce a Parigi; per più di un anno frequenta lo
studio in rue Frankliin dei fratelli Perret, sperimentatori del calcestruzzo armato, dove apprende le possibilità
plastiche, strutturali e tecnologiche del materiale → di tutte queste esperienze Le Corbusier prende nota nei suoi
carnet de voyage.
Nel 1910 compie un viaggio in Germania, compiendo un apprendistato nello studio di Behrens dove conosce
Gropius e Mies van der Rohe.
Altra importante tappa è il Voyage en Orient iniziato nel 1911 dalla Germania, continuato in Jugoslavia, Romania,
Bulgaria, Grecia fino ad Istanbul.
Nel 1914 torna in patria (Svizzera) dove si dedica allo studio dell’organizzazione di quartieri a partire da una
semplice cellula edilizia, costituita da una struttura in calcestruzzo armato, tre solette e sei pilastri arretrati rispetto
al filo dell’edifico e una scala → Maison Dom-ino la cellula abitativa continuamente elaborata e perfezionata,
variamente componibile per costituire insediamenti residenziali complessi.
Opera di questo periodo è la Villa Schowb dove applica regole compositive della facciata basate sui rapporti della
sezione aurea.
La svolta avviene nel 1917 quando si trasferisce definitivamente a Parigi e sembra scegliere la strada della pittura.
Con il pittore Ozenfant fonda nel 1919 la rivista Esprit Nouveau. Il ritorno all’architettura avviene nel 1922 quando
apre il suo studio insieme al cugino Pierre Jeanneret. Il progetto per la Maison Citrohan è basato sulla ricerca della
standardizzazione delle parti costruttive in una unità abitativa pensata su due livelli, con soggiorno a doppia altezza
e copertura praticabile, che può essere assemblata nei palazzi-villa, ovvero complessi edilizi su più piani (non
realizzati) dove le cellule sono alternate a terrazze-giardino → applicazioni di questi principi saranno la casa del
pittore Ozenfant, la doppia casa La Roche-Jeanneret e il Padiglione dell’Esprit Nouveau all’esposizione di arti
decorative di Parigi nel 1925. In queste opere esplora le relazioni tra spazi interni normali e a doppia altezza, e lo
studio delle facciate proponendo soluzioni svincolate dalla simmetria.
Le riflessioni sull’architettura procedono parallele allo studio del problema urbanistico, come dimostrano le proposte
per le Città torri e poi per Una città contemporanea, ipotizzando la costruzione di una città per tre milioni di abitanti,
abolendo la struttura urbana storica, sostituendola con un centro di grattacieli cruciformi separati da strade su più
livelli e circondati da quartieri residenziali immersi nel verde. Questa visione sarà precisata nell’opera teorica

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Urbanisme e nel Plan Voisin, nel quale progettava di distruggere l’intera città di Parigi (ad eccezione di Notre Dame,
Sacro cuore e Torre Eiffel) per lasciare spazio ad una nuova città.
Nel 1923 con la pubblicazione di Verso un’architettura elabora un manifesto dell’architettura del MM, in cui invita a
guardare alle opere d’ingegneria e della tecnica come alle vere testimonianze di una ricerca artistica moderna:
fabbriche, piroscafi, aerei, automobili sono il prodotto dell’epoca della macchina, e al pari del partenone, sono il
frutto di una selezione e standardizzazione. Ma l’architettura del suo tempo non esprime il proprio partenone perché
ridotta a copia degli stili del passato. Bisogna affrontare l’industrializzazione e l’aspetto economico nella produzione
della casa, in modo da garantire ad ogni cittadino un alloggio adeguato allo sviluppo tecnologico e al nuovo gusto
estetico.
Con il Quartiere operaio di Pessac, Le Corbusier ha modo per la prima volta di mettere in pratica le ricerche
sull’aggregazione delle cellule abitative minime, grazie alla committenza dell’industriale Enri Frugés. Le 130 case
unifamiliari realizzate sono variamente disposte nel verde utilizzando lo stesso schema di struttura portante in
calcestruzzo armato, in modo da risparmiare anche sui costi di costruzione → importante esempio di
industrializzazione del cantiere.
Opere come la villa Stein-de Monzie e le due case per il Weissenhof sono espressioni di una poetica che viene
sintetizzata nei Cinque punti di una nuova architettura (modi che scardinano l’architettura dalla tradizione), che
sono:
• i pilotis → attraverso i quali l’edificio viene staccato da terra per lasciare spazio al verde, ai percorsi e alle
visuali libere;
• il tetto giardino → praticabile, che presuppone la fine dei tetti a falde recuperando spazio per il verde e la
vita all’aperto;
• la pianta libera → si basa sul fatto che eliminando i muri portanti in favore dell’uso della struttura a scheletro
in cemento armato o acciaio arretrata rispetto al filo di facciata, l’architetto può disporre i locali in funzione
della distribuzione e dell’orientamento, decidendo liberamente il disegno;
• la facciata libera → analoga alla pianta;
• la finestra a nastro → dimostra che i tamponamenti perimetrali possono essere tagliati in tutta la loro
lunghezza, consentendo massima illuminazione ed areazione.
Villa Savoye riassume tutte queste regole (si tratta di una residenza di vacanza in una radura): si tratta di un
parallelepipedo bianco di forma quadrata sollevato da terra da pilastrini tondi, caratterizzata dai tagli orizzontali
delle aperture e dal tetto praticabile. Al piano terreno troviamo le autorimesse e gli alloggi per il personale di
servizio, mentre al piano superiore il soggiorno, affacciato su una terrazza, e le camere da letto, con ampi spazi per
igiene e relax, collegate al solarium sul tetto. Oltre alla scala, una rampa permette i collegamenti verticali e permette
di fare una passeggiata architettonica attraverso una casa considerata un’opera d’arte.
Nel 1927 è il vincitore morale del concorso per il Progetto del palazzo della società delle nazioni a Ginevra, che
prevedeva una distribuzione degli edifici in base alle funzioni e valorizza l’affaccio sul lago, con un ingresso su
pilotis. Lo studio per edifici pubblici ha un riscontro positivo (con realizzazione) nel progetto per il Palazzo del centro
Soyuz a Mosca, un complesso per uffici per 3500 impiegati, con sale conferenze, ristorante e altri servizi. Verrà
invece respinto il progetto per il Palazzo dei soviet.
Nel 1928 a La Sarraz (Svizzera) è promotore insieme ad altri 24 architetti e allo storico dell’architettura Sigfried
Giedion, dei CONGRESSI INTERNAZIONALI DI ARCHITETTURA MODERNA, ovvero i CIAM, sedi di confronto e
di diffusione delle idee del MM.
Il tema della casa economica e collettiva è affrontato con la Cité de refuge, un palazzo di dieci piani destinato ai
senza tetto dove l’attenzione al rapporto tra spazi collettivi e individuali si affianca allo studio di soluzioni
tecnologiche, come per esempio la parete vetrata rivolta a sud fonte di riscaldamento in inverno, ma di difficile
gestione in estate.
Il tema della casa collettiva è ancora al centro del Padiglione svizzero alla Cité universitaire di Parigi, una residenza
di sei piani per studenti dove gli spazi comuni sono organizzati in uno spazio staccato e dove sono affrontati
problemi di prefabbricazione a secco e di isolamento acustico.
La notorietà internazionale lo porta nel 1929 a tenere delle conferenze e lezioni in America del sud, influenzando
una generazione di progettisti.
La svolta urbanistica di Le Corbusier avviene nel 1933 con l’organizzazione del IV congresso CIAM, che lo vede
protagonista di un dibattito internazionale sul confronto di piani urbanistici e sulla proposta di un programma di
modernizzazione della città, che sarà alla base del libro La città radiosa e poi della Carta di Atene (documento
manifesto del MM).
Quelli dell’occupazione nazista sono anni contraddittori che vedono l’architetto quasi cedere al governo, ma anche
progetti non realizzati, pubblicazioni e studi come quello per il Modulor, un insieme di misure basate su scala
umana, utili per il progetto ergonomico dell’architettura e di oggetti d’uso, messo in pratica nel dopoguerra.

PROGETTO PER L’INDUSTRIA E ARCHITETTURA PER IL POPOLO


Se Le Corbusier e altri conservano l’idea di un’architettura come opera d’arte, altri focalizzano la ricerca sul suo
ruolo sociale e sull’aspirazione a una estetica industriale.
Walter Gropius si forma presso lo studio di Behrens che all’epoca ha l’incarico di elaborare l’immagine e la
comunicazione dei prodotti AEG → Gropius è così al centro della più avanzata ricerca estetica e tecnologica al
servizio della grande industria. Nel 1910 abbandona lo studio e inizia l’attività autonoma avviando una

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collaborazione con Adolf Meyer. Nell’ambito di ricerca di miglioramento del prodotto industriale, l’ampliamento delle
Officine Fagus propone di assegnare anche agli edifici industriale una valenza formale. I tamponamenti a parete
tenda realizzati con vetrate a tutta altezza che risvoltano sullo spigolo annullandone il ruolo portante, dimostra le
nuove possibilità tecniche.
Questa impostazione viene ulteriormente sviluppata nell’edificio industriale modello alla mostra del Werkbund di
Colonia del 1914, in cui la parete degli uffici verso la corte e i corpi scala cilindrici, tamponati in vetro e ferro,
propongono l’esaltazione della tecnologia come nuove estetica.
Dopo la guerra aderisce alle ricerche dei circoli artistici di avanguardia di Berlino. Nel 1919 è incaricato della
direzione della Scuola di arte applicate di Weimar che unifica con l’Istituto superiore di belle arti dando vita alla
Bauhaus. La scuola nasce dalla combinazione dell’approccio teorico dell’accademia e dalla formazione pratica
dell’artigiano, con l’obiettivo di costruire un luogo di unità di tutte le forme d’arte che convergono nell’architettura. Il
programma e l’attività della scuola costituiscono l’esito del dibattito tra arte e industria che trova sintesi
nell’industrial design, cioè del processo di progettazione e di produzione industriale di oggetti economici, ma di alta
qualità estetica e funzionale. La preparazione della scuola si basa su attività di laboratorio, pratiche e teoriche. In un
prima fase sono chiamati a insegnare artisti dell’avanguardia con un approccio improntato alla libertà dell’arte,
come Kandinskij, Klee e Itten, che con il suo corso tende ad azzerare negli allievi ogni conoscenza tradizionale. In
seguito altri come Breuer, Moholy-Nagy, Herbert Bayer orienteranno la scuola verso obiettivi più produttivi, in grado
di assolvere le richieste industriali.
La sezione di architettura tarda ad essere avviata e ha impulso con la casa Sommerfeld realizzata in legno.
Influenzati da questa stagione sono il Monumento ai caduti di Marzo, una specie di saetta in calcestruzzo armato, e
il progetto per il concorso internazionale per il Chicago Tribune. In questo periodo sono affrontate anche le ricerche
su prototipi di abitazioni a basso costo, da costruire in serie, come la casa am Horn, con pianta quadrata, con le
camere sul perimetro e il soggiorno in un quadrato centrale dalla copertura sopraelevata.
Varie difficoltà portano alla chiusura della scuola di Weimar e al suo trasferimento a Dessau dove Gropius ha
l’incarico di realizzare la nuova sede → manifesto costruito dell’architettura come pura espressione di tecniche e
funzioni aggiornate. La struttura, in calcestruzzo armato, è articolato in quattro prismi con copertura piana e tra loro
perpendicolari: una manica a due piani a scavalco della strada con vetrate in lunghezza per gli uffici, un corpo di tre
piani come ampie finestrature per le aule, quello su tre livelli per i laboratori, e un fabbricato al piano terreno per
auditorium e mensa, collegato alla palazzina di sei piani per gli alloggi. Le finiture sono in intonaco bianco con
colorazioni in tonalità di grigio. Ogni debito nei confronti della tradizione è qui annullato. A completamento della
scuola realizza anche la casa del direttore e le tre case bifamiliari per i docenti.
Nell’ambito del Bauhaus Gropius realizza il quartiere Torten, un cantiere di 60 case unifamiliari a schiera dove
vengono sperimentate tecniche avanzate di standardizzazione, prefabbricazione e di industrializzazione del
cantiere. L’insediamento sorge in mezzo alla campagna, le case da un lato si affacciano su spazi verdi necessari
per la sussistenza alimentare e sull’altro su una strada. Le strutture sono in pilastri e travi prefabbricate posate a
secco con tamponamenti leggeri.
Sempre a Dessau progetta l’Ufficio di collocamento un fabbricato a un piano fuori da terra semicircolare, illuminato
dall’alto, dimostra la capacità dell’architetto di raggiungere la rispondenza dell’architettura alle diverse esigenze.
Sul fronte dell’innovazione legato alle avanguardie artistiche, si colloca il progetto di Total-theatre, mai realizzato,
ma che testimonia le possibilità dell’interazione tra soluzioni tecnologiche e spaziali per creare il diretto
coinvolgimento dello spettatore nella scena.
Nel 1928 Gropius lascia il Bauhaus che passa sotto la direzione di Hannes Meyer, sostituito poi da Mies van der
Rohe; nel 1931 la scuola viene trasferita a Berlino e chiusa definitivamente nel 1933 su ordine nazista. L’eredità
della scuola è sicuramente enorme, diffondendo una nuova estetica basata sull’essenzialità delle forme,
sull’assenza della decorazione, sulla funzionalità e sulla relazione con la produzione industriale.
Dopo il Bauhaus, Gropius orienta la sua attività su temi più legati alla professione di architetto approfondendo il
versante della casa popolare.
Nell’ambito dei CIAM è vicepresidente del secondo congresso del 1929 a Francoforte, incentrato sul problema della
casa minima, e partecipa al terzo a Bruxelles nel 1930 sulle case popolari. In questo periodo realizza numerosi
quartieri di edilizia economica nelle principali città tedesche.
Nel corso degli anni trenta Gropius raccoglie notorietà internazionale che lo porta a compiere viaggi e conferenze in
vari paesi e a partecipare a concorsi (come quello per il palazzo dei soviet) e mostre in suo onore (come quella a
Londra presso il Royal institute of british architects).
Nel 1937 riceve l’incarico di professore di architettura presso la Graduate school of design di Harvard in America.
Tra le prime opere americane realizza la casa Gropius utilizzando tecniche costruttive e modi compositivi locali
(struttura e finiture in legno), dimostrando di poter declinare il linguaggio moderno anche in contesti specifici. È
celebrato nella mostra del Bauhaus al Moma nel 1938.

OSCILLAZIONI TRA FORMA E TECNOLOGIA


La tecnologia risulta essere uno degli elementi del rinnovamento dell’architettura. Uno dei massimi esponenti è
Mies van der Rohe. A Berlino entra nello studio di Behrens. Dopo la guerra vive la fase rivoluzionaria e partecipa
allo sviluppo dell’esperienza espressionista, aderendo alla fondazione e alle iniziate del Novembergruppe e della
Glaserne Kette. In questo contesto di rinnovamento delle forme e di esaltazione dell’uso del vetro, progetta due
grattacieli in vetro con struttura metallica; la sua importanza è quella di aver distinto con evidenza le parti portanti e

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quelle portate (intorno agli ascensori e scale). Nuove soluzioni vengono studiare per il progetto per il palazzo per
uffici in calcestruzzo armato dove si ritrova il tema dell’organizzazione razionale dei luoghi di lavoro.
Alla ricerca strutturale sui nuovi materiali affianca l’elaborazione di processi produttivi industriali come strumento per
risponde ai problemi del proprio tempo.
Propone poi due progetti: uno per una villa in mattoni e uno per una villa in calcestruzzo armato che rimandano
nelle forme e nelle piante alle ricerche di De Stijl; come anche il Monumento a Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg è
una composizione di geometrie tipiche della ricerca neoplastica, realizzato in mattoni.
Nel 1926 la nomina a vicepresidente del Werkbund e con l’incarico di direzione dell’esposizione del Weissenhof
Siedlung (dedicata a raccogliere le proposte più innovative riguardanti il tema del quartiere di edilizia economica),
Mies prepara il piano generale per l’area definendo due assi viari principali da cui si diramano le strade secondarie
di accesso alle unità abitative (realizzate dai più moderni architetti europei). Nella zona a monte realizza un
complesso residenziale su tre piani con copertura a terrazza. La struttura portante in acciaio permette di rendere
libere le piane dei 24 alloggi variamente organizzabili. Le facciate verso sud hanno finestrature orizzontali e
balconcini, il lato nord è caratterizzato da tagli verticali delle vetrate delle scale. L’applicazione dei cinque punti
dell’architettura di Le Corbusier, fanno di questo progetto uno dei massimi esempi della NUOVA OGGETTIVITA’ che
sta diventando la cifra espressiva della modernità tedesca.
La struttura in acciaio è utilizzata per le due case per gli industriali Herman Lange e Josef Esters, rivestite però in
mattone scuro, ma hanno le tipiche forme della modernità: tetti piani, ampie finestre, terrazze e libera articolazione
dello spazio. Sono due esempi della nuova PROGETTAZIONE ELEMENTARE che interpreta anche i materiali
tradizionali come il laterizio.
Ormai di grande fama, Mies riceve l’incarico da parte del governo di realizzare il Padiglione della Germania
all’Esposizione di Barcellona del 1929, pensato come una casa unifamiliare molto ricca, vuole essere una
dimostrazione delle possibilità del nuovo linguaggio. Su un basamento in travertino, otto pilastrini cruciformi in
acciaio sorreggono una copertura piana in calcestruzzo armato. La partizione interna è determinata da setti in onice
e una doppia parete in vetro smerigliato che maschera i servizi. I tamponamento sono quasi interamente sostituiti
da vetrate a tutta altezza. La casa si riflette in due vasche d’acqua di diversa grandezza. La disposizione in pianta
dà luogo ad una composizione geometrica tipica della ricerca neoplastica, ma i ricchi materiali di finitura e gli arredi
creano un ambienti signorile ed essenziale.
L’opera di Mies viene sintetizzata dall’aforisma LESS IS MORE (il meno è più): è attraversi un processo di
semplificazione e sottrazione che si può raggiungere un risultato migliore. Altro aforisma è GOD IS IN THE
DETAILS (Dio è nei dettagli), ovvero è il particolare architettonico ad assegnare all’architettura quella qualità che
non viene più dalla decorazione applicata, ma dall’essenza della soluzione tecnologica adottata.
Nel 1929 affronta il tema urbanistico con il concorso per la sistemazione di Alexanderplatz, in cui il nodo stradale e
commerciale è visto come da sfondo ai grattacieli in acciaio e vetro. La villa Tugendhat conferma la possibilità del
nuovo costruire di essere adottato anche per commissioni facoltose. Sfrutta il lotto posto su un pendio, disponendo
verso la strada l’ingresso, la zona notte e l’alloggio del custode. Al piano inferiore colloca la zona giorno collegata al
verde. Anche qui la struttura è in metallo con pilastri cruciformi, in cui un separé semicircolare in ebano delimita la
zona pranzo. Anche questo è considerato uno dei capolavori dell’architettura moderna.
Anche lui a causa del regime nazista è costretto a trasferirsi negli Stati Uniti nel 1938, dove sarà incaricato della
docenza presso l’Armour Institute of Technology di Chicago, e dove continuerà la sua attività influenzando
l’architettura del secondo dopoguerra.

LA NUOVA ARCHITETTURA PER LA CASA POPOLARE: GERMANIA, AUSTRIA E OLANDA


Viene affrontato il problema dell’accesso alla casa per le classi popolari → il primo dopoguerra vide l’aggravarsi
delle condizioni abitative della popolazione delle aree urbane e industriali. In quasi tutti i paesi europei, sotto la
guida di governi socialdemocratici, si sviluppano studi e nascono istituti rivolti alla progettazione di abitazioni e
quartieri residenziali con caratteristiche di comfort, igiene, economicità tali da essere accessibili a popolazioni a
basso reddito. Questi quartieri sono un incentivo alla sperimentazione di nuovi linguaggi e tecniche della modernità.
GERMANIA → la costituzione della repubblica di Weimar sanciva il diritto alla casa e si concretizza nel corso degli
anni venti con l’apertura di numerosi cantieri che sono anche laboratorio di modernità. Esperimento reso possibile
grazie alla combinazione di diversi fattori: alto livello dell’apparato industriale, afflusso di capitali dall’estero,
presenza di un’avanzata cultura tecnica e scientifica ed urbanistica e la pressione di sindacati e organizzazioni dei
lavoratori.
Le soluzioni adottate vanno dall’individuazione di aree da sottrarre alla speculazione privata, allo studio di piante
ridotte ma razionali, a tecniche di produzione industrializzate. Il finanziamento è basato su un sistema di crediti
agevolati dallo stato alle cooperative di sindacati che realizzano le opere e le affittano a prezzi contenuti. I nuovi
quartieri, definiti Siedlungen adottano la soluzione tipologica della casa a schiera su due piani.
La disposizione urbanistica è studiata sulla ricerca del migliore orientamento nei confronti del sole e della
ventilazione. Il sistema dei percorsi prevede la separazione tra quelli di veloce scorrimento da quelli pedonali,
inoltre i quartieri sono collegati con trasporti pubblici ai luoghi d’interesse. Sono previsti anche spazi verdi e servizi
collettivi.
Le piante degli alloggi sono studiate in modo da ridurre al minimo gli spazi delle singole camere, ma cercando di
garantire uno spazio-letto individuale, risparmiando sulla superficie di corridoi ed elementi di distribuzione.
Alexander Klein elabora il concetto di EXISTENZMINIMUM (minimo vitale per l’esistenza). Grete Schutte-Lihotzky

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con la sua cucina di Francoforte propone il prototipo della cucina moderna, efficiente e a basso costo. Progetti di
Otto Heasler Italianischer garten e Georgsgarten.
A Berlino → il 1924 e 32 vengono realizzati 150.000 nuovi alloggi; i progetti vengono diretti da Martin Wagner e
Bruno Taut. Il loro intervento più significativo è la Hufeisen Siedlung, un insediamento di circa 2700 alloggi il cui
fulcro è un edificio di tre piani a ferro di cavallo disposto attorno ad un bacino di acqua preesistente, da cui partono
le stecche di case a schiera di due piani con tetto tradizionale. Qui per la prima volta si utilizzarono attrezzature
meccaniche per il cantiere e lavorazioni a catena che permettono la riduzione di temi e costi di costruzione.
Waldsiedlung Zehlendorf “Onkel Toms Hutte” realizzati un vasto bosco, 2000 alloggi in case unifamiliari a schiera e
altre in stecche in linea di tre piani. Il Siemensstadt di 1370 alloggi organizzati in case in linea di quattro piani
secondo ricerche formali di diversi progettisti (Hans Scharoun, Gropius…).
A Francoforte → esperienza di Ernst May che realizza circa 20.000 alloggi. Dopo i primi esperimenti, Hohenblick e
Bruchefeldstrasse, sono attuati grandi complessi come Praunheim composto di più di 1400 alloggi, case a schiera
con affaccio su spazi verdi coltivabili.
Uno degli interventi più significativo è il Siedlung Dammerstock realizzato da Gropius in seguito ad un concorso.
Prevedeva 300 alloggi in edifici da 4/5 piani e 400 in case unifamiliari a schiera; ne vengono realizzati la metà,
progettati da diversi architetti e disposti in file parallele. L’insediamento sarà pubblicizzato come esempio di
essenzialità ed efficienza delle soluzioni tecnologiche, suscitando anche polemiche sui limiti di una produzione
architettonica seriale (Adolf Behne).
Purtroppo la crisi economica e l’avvento di Hitler infrangeranno il sogno di risolvere il problema della città e della
casa per i lavoratori.
AUSTRIA → sul fronte della casa il programma si rivolge maggiormente a Vienna. Tra il 1919 e il 1933 si realizza
l’esperimento della Rote Wien.
Le soluzioni proposte per le nuove costruzioni si articolano tra la posizione di chi vorrebbe adottare il modello
tedesco del siedlung (Loos), e chi invece preferisce la riappropriazione delle aree centrali della città da parte degli
insediamenti operai. Gli esiti si baseranno sugli Hofe, isolati di più piani, dotati di servizi comuni, costruiti in aree
vicine al centro. Le scelte urbanistiche e architettoniche sono più improntate alla tradizione.
Sono realizzati più di 63.000 alloggi collocati in 300 nuovi insediamenti che possono comprendere dalle poche unità
abitative fino ad oltre il migliaio (Matteotti Hof, Karl Marx Hof…). È evidente la volontà di dare dignità alla casa per i
lavoratori, luogo di un esperimento sociale. Il lavoratore non è più schiavo ma un individuo che costruisce una
nuova società di uguaglianza e di progresso.
A favore delle contestazioni conservatrici viene realizzato il George Washington-Hof (Karl Krist e Robert Oerley)
articolato in blocchi di soli tre piani fuori terra, disposti nel verde, secondo un’immagine popolare e tradizionale,
sottolineata dalle coperture a doppia falda, dagli abbaini, dai balconcini e dai basamenti rivestiti in pietra.
OLANDA → anche qui dal 1925 si assiste ad un ridimensionamento delle provvidenze a favore della casa che
stimolano esperimenti urbanistici e costruttivi per la produzione di abitazioni di buona qualità ma a prezzi contenuti.
La ricerca olandese si svolge come Scuola di Amsterdam sulle orme di Berlage, protagonista del piano di
Amsterdam, che prevedeva un’espansione della città in continuità con il tessuto storico, secondo modi che possono
essere ricondotti all’urbanistica ottocentesca, ma aderenti ai bisogni sociali.
I protagonisti di questa vicenda sono architetti raccolti attorno all’associazione Architectura et Amicitia e alla rivista
Wendingen. Michel De Klerk con il quartiere Spandammerbuurt e Pieter Kramer con il De Dageraad propongono
commistioni tra immagini tradizionali e suggestioni espressioniste.
Verso la fine degli anni venti la città si dota di un autonomo ufficio urbanistico diretto da Cornelius van Eesteren. Il
piano, adottato nel 1935, diventa un punto di riferimento per tutti gli studi urbanistici successivi e sarà
continuamente aggiornato. L’espansione è progettata in continuità con il tessuto storico, anche se il linguaggio
tradizionale è ormai superato dalla nuova visione razionalista.
Interventi importanti sono condotti anche a Rotterdam dove Oud è architetto capo e progetta una serie di quartieri
popolari. Il sobborgo Hoek van Holland è costituito da stecche di case a schiera bianche su due piani a copertura
piana, con testate destinate ai negozi, a semi cilindro, coronate da pensiline e parapetti. Anche il quartiere Kiefhoek
è impostato su file di case a schiera dalle forme essenziali. Tuttavia l’impostazione urbanistica di Oud non riesce a
dare un disegno unitario alle espansioni di Rotterdam e il suo modello risulterà frammentario. Tra gli esperimenti
ricordiamo il blocco residenziale a Spangen di Michiel Brinkman.
(interventi di edilizia popolare sono portati avanti anche in altri paesi europei come la Svezia → movimento Funkis).

LA CELEBRAZIONE DEL MODERNO E I FERMENTI DELLA CRISI


Le nuove architetture sono propagandate e celebrate da riviste, cinema, concorsi, mostre in grado di attrarre un
vasto pubblico e propongono un’idea che viene estesa anche ai vestiti, grafica pubblicitaria, oggetti domestici… la
casa moderna, orientata verso il sole e dotata di spazi verdi e tecnologie, è ora luogo di rigenerazione per il fisico e
la mente.
Il successo delle architetture del MM è un fenomeno internazionale che si espande attraverso diverse tappe, tra cui
mostre di architettura in formato di quartieri:
• mostra di Stoccarda 1927 → importante per la casa economica, ma anche per le proposte per la casa
borghese
• mostra di Breslau 1929
• mostra di Barcellona 1929

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Nell’ambito del Werkbund sono promosse le mostre di Vienna (siedlung di Loos) e di Praga (quartiere Baba).
Il MM tocca il vertice del successo con la mostra di architettura del 1932 promossa dal Moma; affidata a Henry-
Russell Hitchcock e a Philip Johnson, costituita da foto e modelli, diventerà itinerante proponendo un’occasione di
informazione sulle architetture moderne europee. Interessante è il volume riferito alla mostre, che porta il titolo “The
international style”. Il testo presenta una selezione di circa 80 opere contemporanee di più di 70 architetti; tra le
architetture selezionate le più numerose sono le case unifamiliari, oltre a quartieri operai, padiglioni espositivi, edifici
industriali, palazzi per uffici, grandi magazzini, laboratori, arredamenti interni.
I due critici intendono elaborare un manuale operativo che diffonda negli USA le conquiste europee, ma depurate
del loro forte contenuto sociale, ma esprime anche i sintomi della crisi: la definizione di una serie di regole
codificabili in uno stile, è contraddittorio con buona parte delle ricerche e delle opere del movimento stesso, che si
erano sviluppate come lotta contro gli stili e il concetto di stile, ritenuto espressione del passato.

Architettura, città e regimi totalitari: ancora il classicismo


È con i regimi totalitari che di torna ad un ricorso della tradizione.
In Italia durante la dittatura di Mussolini la tradizione convive con le ricerche della modernità; rilettura
dell’architettura dell’impero romano.
Il regime nazista combatte l’arte delle avanguardie e arriva a controllare interamente la ricerca artistica e
architettonica imponendo un unico indirizzo che vede nella semplificazione formale della classicità per gli edifici
pubblici e nel ritorno alle tradizioni rurali per l’abitazione, le strade per un’architettura monumentale.
Anche nell’Unione sovietica la libertà sostenuta in un primo momento viene sostituita dal controllo dello stato su
tutta la produzione intellettuale.

LA VICENDA ITALIANA
In arte la reazione alla guerra e alle provocazioni delle avanguardie, provoca il ritorno all’ordine, promosso dalla
rivista Valori plastici e da Margherita Sarfatti come tentativo di tornare alla tradizione. Giovanni Muzio con la Ca’
Brutta esprime la volontà di tornare alle forme del neoclassicismo, reinterpretato secondo le atmosfere della
metafisica pittorica. Novecento, il gruppo milanese che conta Giuseppe De Finetti e Gio Ponti, propone una difesa
della classicità come modello di equilibrio e di originalità italiana contro le insidie dei rivoluzionari e delle novità
estere.
Il nodo di fondo è come elaborare un’architettura che sia italiana e nazionale, ma al tempo stesso moderna e in
sintonia con le nuove esigenze del mondo industriale e dello sviluppo economico. Mussolini è interessato agli
aspetti edilizi e urbanistici ma non impone un indirizzo stilistico univoco.
L’apertura alla ricerca espressa da Mussolini trova riscontro nel manifesta redatto dal Gruppo 7: secondo i giovani
architetti lombardi questo nuovo modo di costruire che si identifica col razionalismo implica il sacrificio del proprio
ego in favore della creazione comune; queste affermazioni non aderiscono del tutto alle istanze perché necessitano
di conservare un’impronta loro, intesa come spirito della tradizione.
I fulcri del dibattito sono soprattutto le grandi città del nord. Primo laboratorio di modernità è la Torino degli anni
venti. La città in questo momento esprime una realtà di ricerca e di contatti internazionali che non ha eguali nel
paese, divisa tra lo slancio dell’industria e l’affermazione di una libertà intellettuale.
A Torino nel 1928 Pagano coordina l’Esposizione nazionale italiani che ospita sia i padiglioni futuristi che quelli
votati alla modernità. Sul successo dell’esposizione, insieme a Levi-Montalcini, Pagano riceve l’incarico per il
palazzo per uffici Gualino, una delle prime opere della modernità italiana. Degli stessi architetti è anche Villa Colli,
precoce tentativo di ibridare modernità con tradizione rurale. La stagione avanguardistica torinese termina presto
nel 1931 a causa del regime.
Pagano è una delle figure più significative dell’architettura italiana; vede nelle posizioni rivoluzionarie del movimento
di Mussolini uno strumento per il rinnovamento dell’architettura; quando però si rende conto dell’impossibilità di
affermare questi ideali si unisce alla Resistenza. La sua produzione teorica non è mai disgiunta dall’impegno
professionale, svolto con l’obiettivo di rendere la sue opere i manifesti concreti delle sue idee. Come nella casa a
struttura in acciaio per la V Triennale del 1933, oppure nel design con l’elletrotreno Breda, o nella sede della
Bocconi con libera disposizione dei volumi, e nel progetto urbanistico Milano verde.
A scala nazionale le proposte dei razionalisti italiani trovano eco nella I Esposizione di architettura razionale a
Roma nel 1928. Il successo della mostra e l’allargarsi del dibattito favorirono la nascita del MIAR (movimento
italiano architetti razionalisti), promotore della II Esposizione di Roma nel 1931,tenutasi presso la galleria di Pietro
Maria Barsi, che sferra un attacco agli architetti della tradizione, con la presentazione del Tavolo degli orrori, un
collage che accosta a vari manufatti di cattivo gusto le opere di architetti legati alla tradizione. L’organizzatore
vorrebbe avere dalla sua parte Mussolini, in modo da legare il fascismo con le ricerche razionaliste, come
rappresentante della modernità.
Il Sindacato nazionale fascista architetti prende le distanze dalle posizioni più avanzate, dichiarando lo stile
razionalista non adatto a rappresentare il regime e sostituisce il MIAR con il RAMI.
Altro protagonista del razionalismo italiano è il comasco Giuseppe Terragni; il suo Novocomum, un edificio per
appartamenti di 5 piani, è considerato il primo esempio di architettura razionalista italiana. Si caratterizza per
l’assenza di decorazioni, per l’inserimento di cilindri vetrati negli angoli che segnano gli ingressi, per la copertura
piana. Segue canoni di essenzialità geometrica che svilupperà nella Casa del fascio di Como.

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Le case del fascio vengono costruite in tutte le città come luoghi di riferimento per il partito. Quella di Terragni vuole
essere uno spazio aperto al pubblico, simbolo di moralità e sviluppo, tecnologicamente avanzato. Semicubo che
dialoga col contesto. Le facciate, tutte diverse, è regolato dai rapporti proporzionali del segmento aureo e in pianta
mostra assonanze con quelle palladiane e dell’antichità romana → verrà criticato da Pagano per questo, che vede
nella ricerca di Terragni un formalismo lontano dal razionalismo. Le soluzioni distributive sono improntate alla
massima funzionalità e si fondono con il moderno disegni degli arredi industriali.
Realizza ancora a Como l’asilo sant’Elia e la casa Giuliani-Frigerio. Tra le opere milanesi c’è la casa Rustici.
Massimo tentativo di forzare fino alle estreme possibilità le regole matematiche è il progetto per il Danteum di
Roma, sintesi di opera letteraria e architettonica.
Vero ago del dibattito è Marcello Piacentini. Militante del partito fascista, le sue opere esprimono adesione alla
ricerca tecnologica e formale della modernità, ma sempre legata alla tradizione come si riscontra nel Palazzo di
Giustizia di Milano, o nelle sistemazioni urbanistiche come Piazza della Vittoria di Brescia. Capolavoro è la
progettazione della Città universitaria di Roma dove ricerca un’immagine unitaria consona al regime richiamando
architetti diversi. Interessante commistione tra ricerca artistica e architettonica.
Altro tema fondamentale è quello che riguarda la liceità di introdurre architetture nuove in un contesto storico, come
per la stazione di Santa Maria Novella a Firenze del gruppo guidato da Michelucci, dove struttura moderna e antica
chiesa dialogano.
Dagli anni trenta, dopo la proclamazione dell’Impero, prendono il sopravvento caratteri più retorici per l’architettura
di opere pubbliche che esasperano la monumentalità, con simboli del regime e culto del capo di stato.
Tra i palazzi delle Poste si registra quello di Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi a Napoli con fronte curvo; poi a Roma
con quello di Adalberto Libera e Mario De Renzi. Tra i complessi sportivi ricordiamo il Foro italico concepito da
Enrico Del Debbio. Nell’ambito sanitario il Dispensario antitubercolare di Alessandria di Ignazio Gardella che si
distingue per l’attenzione che pone al malato nella struttura e organizzazione. Ancora la società ippica torinese.
Anche le colonie sono destinate ad affascinare i giovani.
Per quanto riguarda la città e il territorio urbanistico gli anni del regime sono quelli degli interventi improntati
all’ideologia del piccone risanatore che provocò distruzioni e gravi perdite (apertura di via conciliazione, Roma).
Tuttavia sono anche gli anni della maturazione di una moderna cultura di gestione del territorio basata sulle nuove
leggi di tutela del patrimonio storico-artistico e su Piani regolatori.
Anche nelle bonifiche e nelle fondazioni di nuove città si confrontano visioni urbanistiche diverse. Nascono città
come Sabaudia e Carbonia. Merita un accenno il progetto del Piano regolatore della Valle d’Aosta, voluto da
Adriano Olivetti, che propone lo studio e pianificazione del territorio a scala regionale, coinvolgendo diversi approcci
disciplinari.
Ultimo tentativo di trovare un’unità alle espressioni dell’architettura durante il regime fascista avviene con
l’organizzazione dell’Esposizione universale (E42) di Roma, progetto coordinato da Piacentini. Viene imposto un
piano formalista, impostato su due assi perpendicolari lungo i quali sorgono piazze ed edifici monumentali (escluse
proposte razionaliste). Il progetto diventa centrale per la propaganda del regime, avendo l’obiettivo di creare
l’immagine di un’Italia forte. Le vicende catastrofiche portano all’interruzione del progetto, ma tra le opere
emblematiche rimangono il Palazzo dei congressi e il Palazzo della civiltà italiana.

GERMANIA ANNO ZERO


Con l’ascesa di Hitler, il regime controllerà in modo capillare tutta la produzione artistica e architettonica e liquida
come arte degenerata le esperienze dell’avanguardia. Già nel 1933 viene chiuso il Bauhaus e nel 1934 Goebbels
emana le direttive per promuovere la vera cultura nazionalsocialista attraverso la messa al bando delle opere
d’avanguardia e il controllo totale dei mezzi d’informazione.
A Monaco, Paul Troost è incaricato di costruire la Haus der Kunst (casa dell’arte) e i Templi dei martiri, recinti di
pilastri classicheggianti che racchiudono i sarcofagi dei militanti nazisti e distrutti dagli alleati.
Per quanto riguarda l’architettura forti sono i rimandi alla tradizione, come quelli rurali nelle nuove case unifamiliari
ancorate alla terra attraverso il legame “sangue e terra”.
Il ritorno alla tradizione viene sostenuto da Tessenow, sostenitore di uno stile semplice ma tecnologicamente
moderno ma conforme ai sobri aspetti rurali.
Suo ammiratore sarà Albert Speer, il maggior protagonista dell’architettura del Terzo Reich; nel 1934, alla morte di
Troost, diventa l’architetto ufficiale del nazismo. Seduce il dittatore con una teoria delle rovine, secondo cui un
edificio costruito con materiali della tradizione e concepito con dimensioni monumentali sarebbe rimasto a
testimoniare la grandezza dell’impero tedesco anche dopo migliaia di anni → questa visione verrà improntata su
tutte le nuove architetture pubbliche.
Tra le opere realizzate si ricorda la sistemazione dell’area dello Zeppelinfeld il luogo deputato ad ospitare
annualmente il raduno nazista; Speer progetta un’enorme tribuna in ricordo dell’altare di Pergamo. Realizza anche
il Padiglione della Germania all’Esposizione di Parigi del 1937.
Hitler incarica Speer di redigere insieme a lui il progetto di costruzione della nuova Berlino. Il disegno urbano è
impostato su un asse principale nord-sud, la Grosse strasse su cui si affacciano gli edifici rappresentativi. Un
secondo asse est-ovest meno imponente la incrocia e si collega all’anello autostradale esterno. Agli estremi della
nuova infrastruttura sono collocati i due fulcri principali: la Grosse Halle e il Triumphbogen. La nuova Berlino
prevede la sistemazione delle aree residenziali, creazione di polmoni verdi e uno studio di nuove arterie di traffico.
L’impegno bellico dello stato ferma i progetti ai soli disegni e modelli.

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Nel 1938 Hitler commissiona la Nuova cancelleria con ingresso con colonne; le dimensioni sono esasperate e molte
sono le decorazioni che inneggiano alla violenza e guerra. Edificio distrutto e smantellato.

LA RUSSIA DI STALIN
Con Lenin si cerca di sviluppare anche in architettura un’immagine di modernità che mostri la volontà di condurre il
paese verso un processo di industrializzazione e costruzione della nuova società → la Russia appare come un
terreno fertile per le sperimentazioni architettoniche.
Con la salita al potere di Stalin le istanze rivoluzionarie e gli architetti modernisti vengono emarginati a favore di
raggruppamenti vicini alla tradizione classica, come la VOPRA favorevole al ritorno della monumentalità.
Il processo di mummificazione degli ideali rivoluzionari trova riscontro in architettura nel Mausoleo di Lenin di
Aleksej Scusev. La composizione geometrica e priva di decori risente dell’influenza ancora delle avanguardie, ma il
riferimento allo ziggurat e l’uso di materiali pregiati sono forieri della ricerca di monumentalità e di ritorno alla storia.
Nel corso degli anni trenta gli apparati statali adottano il vocabolario della classicità e monumentalità in sintonia con
la retorica dei piani quinquennali.
Il ruolo crescente di città come Mosca, Leningrado e Kiev giustifica i pianti urbanistici ad ampio respiro. Secondo il
piano moscovita il progetto è quello di isolare la città come centro politico, amministrativo e culturale del paese,
attraverso un processo di integrazione dell’originale forma urbana radiocentrica e una maggiore connessione con la
periferia. Anch’esso improntato alla retorica monumentalità di regime.
Gli esiti spaziano tra espliciti rimandi alla classicità come l’Hotel Moskva, e composizioni più inusuali come il Teatro
dell’armata rossa. Emblematico è anche il Padiglione sovietico all’Esposizione di Parigi del 1937 di Iofan con la
massa a gradoni sormontata dalle grandi sculture del realismo socialista, esprime la retorico monumentale.
Sarà la Biblioteca Lenin a costituire il modello ricorrente per l’espressione ufficiale dell’architettura in Unione
Sovietica. Su questi modelli si costruiranno le principali opere del regime nel dopoguerra, come l’Hotel Ucraina.
Da tutto ciò si legge quanto sia pervasiva la permanenza della tradizione nel secolo dell’affermazione del MM e
come il neoclassicismo si presti anche ad essere interpretato nelle dittature come strumento di esaltazione del
potere.

Architettura e città USA: prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale


Rapida crescita economica degli Stati Uniti che ha portato anche ad una crescita del settore edilizio. Sono tre i modi
urbani e architettonici che si originano dalle trasformazioni della società americana:
1. la città degli edifici pubblici
2. la città alta dei grattacieli
3. la città agraria o anti-città.

ALTRI CLASSICISMI E RICERCA DI IDENTITA’ CULTURALE


I distretti amministrativi delle grandi città americane risentono del processo di crescita nella dotazione di nuovi e
specializzati edifici ministeriali, sedi di uffici e istituzioni. La ripresa dell’American Renaissance comporta la
necessità di accentuazione dei carattere nazionali anche nella ricerca di linguaggi architettonici.
Sono i progettisti di origine europea o formati in Europa a gestire tale processo, riprendendo da una parte gli
insegnamenti Beaux Arts e dall’altra introiettando l’idea del Classico. La capitale e altri sedi di governo e istituzioni
proseguono la loro crescita seguendo i dettami del classicismo secondo l’idea che le dimostrazione di capacità
tecnologica e di espressione del progresso siano destinati a finire.
In America John Russell Pope viene riconosciuto come il vero architetto promotore del classicismo nazionale.
Accanto all’attività di creazione di abitazioni provati per una clientela altolocata e borghese, avvia un’attività di
progetto di edifici di rappresentanza uniformati a un linguaggio classico che ritiene ormai autoctono e necessario
per far vivere in America gli idea del mondo antico. La particolarià nella scelta dei modelli sta nel fatto che studia
non il classicismo originale del Mediterraneo, ma quello della prima età repubblicana americana, quindi quella della
Washington sette-ottocentesca. Se il Tempio massonico di rito scozzese rianalizzava il mausoleo di Alicarnasso,
arriva al Jefferson Memorial in cui la soluzione classica viene sostenuta da parte della storia nazionale, ovvero da
una verità oggettiva: è stato infatti il presidente-architetto Thomas Jefferson ad avere introdotto l’architettura
classicista negli USA, rendendola così americana. La soluzione finale per il Jefferson Memorial è una rotonda
palladiana, ma non elabora ancora una volta il modello italiano ma lo accosta al progetto di Jefferson stesso per la
Rotonda dell’università della Virginia.
Dopo la Grande Depressione, a Pope viene preferito Paul Cret, orientato a un Classicismo più semplificato e
moderno, autore di una grande quantità di costruzioni, da edifici di rappresentanza a ponti o sistemi di infrastrutture.
Capace di padroneggiare le tecniche dell’edilizia industrializzata e di bbracciare le richieste di una società moderna
e dinamica, riserva l’impiego di un classicismo purgato che si basa sull’uso di un virile dorico per il portico di
ingresso nella Biblioteca pubblica di Indianapolis, organizzata come una stoà affiancata da due volumi ciechi e
coronata da fregio, metope e triglifi; arriva ad un classicismo semplificato illustrato nel progetto vincitore del
concorso per il Federal Reserve Board Building. Molto spesso il solo riferimento allusivo al sistema degli ordini e
alle fasi dell’architettura classica, permette una buona flessibilità delle nuove tecnologie costruttive → qui le
proporzioni classiche sono riservate al solo affaccio che cela però uno sviluppo del restante edificio moderno, forniti
di lucernari metallici per l’illuminazione, strutture industrializzate e a scheletro.

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L’uso di un classicismo semplificato è stato un’efficace soluzione anche per i temi progettuali legati allo sviluppo
urbano delle città industrializzate e delle città alte (negli anni venti si criticano queste costruzioni perché sembra che
gli architetti continuino a progetto grattacieli senza però preoccuparsi delle implicazioni economiche o tecniche che
essi portavano con sé, ma non si preoccupavano nemmeno di rapportarli col resto della città, una città che
lavorava). Ne è dimostrazione il Concorso per la sede del Chicago Tribune che coinvolge progettisti da tutto il
mondo; il concorso, che si proponeva come promotore per la realizzazione dell’edificio per uffici più bello del
mondo, è connesso con lo sviluppo di Chicago in direzione nord e con un programma di investimenti immobiliari
che fa parte dell’operazione avviata dall’amministrazione e incentrata sulla bellezza civica. I progetti evidenziano
l’adozione di linguaggi ormai svuotati di significati, questo soprattutto perché molto spesso gli edifici alti vengono
trattati come oggetti isolati e non legati al tessuto urbano. Il concorso non entra nel merito delle soluzioni tecniche,
quanto invece su quelle estetiche: il risultato dei tre progetti premiati e di quelli che ricevono menzioni riflettono un
clima di incertezza: abbiamo un progetto neogotico, uno classicista con inserti Decò, classicista con riferimenti
medievalisti.
Da questo episodio emergono diversi atteggiamenti che trovano il loro impiego in primo luogo proprio nella città di
Chicago. Eero Saarinen realizza un progetto per una porzione di affaccio sul lago tra il Grant Park e la Michigan
Avenue nel quale sviluppa la sede del quotidiano riunendo diversi indirizzi: il monumentalismo, il decentramento
della città nel verde e il ruolo della circolazione del traffico. La sintesi operata produce un progetto di integrazione
tra edificio alto, maglia stradale, parco verde e affaccio sul lago.
Tuttavia, si tratta di tentativi che non hanno avuto un riscontro sull’effettivo sviluppo della città e il destino degli
edifici alti continua a seguire il carattere di oggetti isolati.
È a cavallo della grande depressione che in città come NY, Chicago, Los Angeles, San Francisco, Philadelphia che
si costruiscono continuamente grattacieli in competizione tra loto per dimensioni e qualità formale → “guerra dei
grattacieli”. È il caso per esempio del Chrysler Building di Willian van Alen, che diventa sede della casa
automobilistica. La guglia a decrescere rivestita in acciaio cromato entusiasma lo stesso Chrysler che la trasforma
in un marchio pubblicitario. In parallelo, anche in risposta ai tentativi di controllo della crescita edilizia di Manhattan,
si sviluppa un sistema costruttivo a sezione decrescente che configura i grattacieli come blocchi che a partire
dall’isolato si assottigliando lanciando il core (nucleo), che contiene ascensori e impianti, ad altezze sempre più
vertiginose e termina con terrazze, guglie e belvedere. Inoltre il Chrysler nel momento della sua inaugurazione nel
1930 è il grattacielo con gli interni più lussuosi e curati, in linea con le raffinatezze Art Decò, ed era anche il più alto.
Primato che mantiene fino alla costruzione dell’Empire state building progettato dagli architetti Shreve, Lamb &
Harmon. Realizzato con struttura in acciaio, rivestimento in pietra e alluminio all’esterno e mattoni all’interno, con
interni lussuosi per attirare affittuari di rango. Un processo simile si verifica con la realizzazione del Rockfeller
center (la realizzazione più vicina all’idea di Saarinen per edifici alti integrati nel tessuto urbano).
La crisi della grande depressione da una parte esaspera i meccanismi di concorrenza e la guerra dei grattacieli,
dall’altra evidenzia l’aleatorietà della crescita urbana incontrollata e regolata solo dal business.

CRITICHE ALLA CITTA’ METROPOLITANA: ARCHITETTURA COME ORGANISMO


La critica alle città e l’idea di ruralizzazione urbana trova in questo quadro storico ampio spazio.
Frank Lloyd Wright (dopo la permanenza in Europa e Giappone) è animato dal desiderio di caratterizzare e ritrovare
un linguaggio americano. Gli strumenti derivano dalla conoscenza che approfondisce durante la sua fase
giapponese degli sforzi che la cultura giapponese, in via di occidentalizzazione, stava compiendo per mantenere
elementi della tradizione anche nei risultati del processo di modernizzazione. L’Imperial Hotel (caricato di significati
legati alla necessità di acquisire abitudini occidentali mantenendo un’impronta riconducibile al luogo ospitante)
viene trattato da Wright come un poema epico del popolo giapponese, dove il nuovo sta nel vecchio e il vecchio nel
nuovo. La combinazione consiste nella fusione tra l’impostazione planimetrica a corte e l’impiego di bassi fabbricati
per le camere dove tetti, terrazzamenti e rapporto con le aree verdi sono tipicamente giapponesi. Inoltre la struttura
in calcestruzzo armato, mattoni e pietra vulcanica è regolata dalla necessità di considerare l’eventualità di disastri
naturali, un punto fisso dell’attività di Wright in Giappone. La forma piramidale definita dalla sequenza di tetti a
pagoda richiama il cono del monte Fujiyama.
Negli stessi anni mette mano ai progetti californiani, anch’essi improntati all’emergenza per essere collocati in area
sismica e orientati a tracciare un linguaggio radicato nella cultura locale. L’occasione è fornita dall’ereditiera Aline
Barnsdall che aveva chiesto a Wright di progettare un piccolo teatro nella sua proprietà di West Hollywood. Fa
seguito un più ampio progetto che prevedeva una residenza e un polo culturale. L’estesa residenza di Hollyhock
house ha un impianto che esclude l’intorno e conduce, attraverso un portale, nella pace della corte interna; i volumi
geometricamente definiti sono caratterizzati da un andamento digradante ottenuto mediante terrazzamenti e
giardini pensili che richiamano le civiltà precolombiane. Il ricorso continuo del motivo decorativo a holluhock (altea
rosata) un arbusto fiorito tipico della regione, stilizzato, rimanda ai modi rintracciabili nel sito archeologico del vicino
Messico, e le plastiche murare interne ai motivi astratti e infantili delle pitture delle comunità Navajo dell’Arizona.
L’obiettivo è di trasmettere un senso di grandezza e romanticismo tipici della regione. Il legame con l’architettura
primitiva americana è funzionale all’assegnazione di un aspetto monumentale nuovo nel suo linguaggio → questa
sperimentazione viene portata avanti in tutte le case californiane e segue parallelamente le critiche fatte alla città
metropolitana.
Nonostante questo viene portato a misurarsi con la civiltà della macchina venendo a contatto con gli scritti degli
architetti europei. La sintesi di entrambe le sollecitazioni trova spazio nel progetto della Broadacre city esposto nek

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volume La città che scompare. L’assetto di città da lui ricercato è mosso da un totale rifiuto per la civiltà urbana;
propone una sintesi dei progetti utopici del XIX secolo e alcune teorie moderne sulla ruralizzazione del territorio. Il
piano urbano consiste nel dotare ogni famiglia di un acro di terreno e distribuirvi edifici unifamiliari collegati ai servizi
e alle vie di trasporto; affianca l’idea di utilizzare materiali e tecniche costruttive industrializzate (non a larga scala)
che permettano di abbassare costi e tempi di costruzione, ricercando comunque una certa identità formale ( →
Usonian houses, case unifamiliari destinate alle classi medie realizzate in legno e private di tutti gli elementi che
comportino costi aggiuntivi).
La visione antiurbana di Wright trova in seguito diverse realizzazione, come nella Taliesin West, nel deserto, dove
insedia un campo da utilizzare come sede invernale del suo programma di insegnamento, la Taliesin Fellowship:
una fusione di luogo di formazione, uno studio di architettura e un’abitazione collettivo, integrata nell’ambiente
desertico. Il deserto è oggetto di riflessioni e materiale per sviluppare le idee antiurbane e che vengono condivise
anche dalla borghesia, come da Edgar Kaufmann sr che finanzia il plastico per una della versioni della Broadacre
city e che sarà il committente della più nota opera di Wright: la Falling water. È interessato a collezionare quanto di
meglio l’architettura americana possa offrire → Wright, all’apice della fama, si presenta come l’alternativa
all’International Style.
Il progetto per la Falling water combina l’adattamento all’ambiente naturale circostante con il rigore geometrica nella
creazione di forme generative. Il fulcro dell’edificio è costituito da un elemento verticale innestato sulla pendenza
rocciosa, rivestito in pietra locale a spacco e che accoglie il camino e alcuni piccoli ambienti. Sul volume centrale
sono innestati i piani distesi in orizzontale segnati da parapetti di tre ordini di terrazze che si protendono
nell’ambiente circostante. La struttura è caratterizzata da un intonaco ocra, mentre i serramenti e le parti in metallo
sono rosse → verticalità e orizzontalità, pietra e materiali artificiali, impiego di tecniche costruttive aggiornate in un
ambiente naturale, definizione dei volumi e apertura degli spazi interni, dialettica interno-esterno, rappresentano da
una parte i modi progettuali già sperimentati, dall’altra segnano l’avvio di quella che verrà chiamata architettura
organica.
Nella conferenza “Una architettura organica, l’architettura della democrazia” trova formalizzazione la ricerca di un
rapporto tra insediamento e ambiente circostante come tentativo di rendere l’architettura parte di un sistema in
continua ricerca di equilibri e vie di accrescimento dell’edificio, motivate da nuove esigenze e usi → edifici ampliati
ed elaborati nel corso del tempo, come se si trattasse di organismi viventi che si modificano. “Per architettura
organica io intendo un’architettura che si sviluppi dall’interno all’esterno, in armonia con le condizioni del suo
essere, distinta da un’architettura che venga applicata dall’esterno”.
La versione del funzionalismo proposta da Wright, di determinare la forma architettonica partendo dal suo interno,
dalle sue necessità pratiche e spirituali e dal rapporto che instaura con l’esterno, si configura come un linguaggio
autenticamente americano, che si pone a una posizione intermedia tra la meccanizzazione futuristica e il
classicismo conservatore → estremi rappresentati nella Fiera di New York del 1939.

CONTINUITA’ CON IL MOVIMENTO MODERNO


La mostra al Moma del 1932 (dell’international style) si propone anche di riformare la cultura architettonica
americana. Gli esempi americana presentati che affiancano quelli europei riguardano Friedrick Kiesler, Raimond
Hood, George Howe, William Lescaze, i fratelli Monroe e Irbing Bowman e l’austriaco Richard Neutra. Gli esempi
americana contribuiscono alla mostra con le proposte legate alla civiltà della macchina. Importante segno di ripresa
e rilancio è anche la mostra Machine Art del 1934 al Moma, in occasione della quale vengono esposti ogni sorta di
prodotti industriali e trattati come opere d’arte.
A partire dagli anni delle due mostre sono molti gli episodi di rilettura dell’International Style per mano degli architetti
più vicini all’ambito europeo come Neutra. La sua opera è un esempio di come il razionalismo europeo si trasfiguri
nel suo trasferimento negli USA; l’aspetto costruttivo, i tempi e i materiali di esecuzione, mutuati dalla cultura
statunitense si sovrappongono alla ricerca antifigurativa europea. Rudolf Schindler avvia nella sua casa in
California un laboratorio di architettura e costruzione che segna la via americana del moderno: lastra in
calcestruzzo inclinate, uso di cunei per metterle in posizione, riduzione dell’uso di casseforme in legno e l’utilizzo di
materiali di facile reperibilità che si combinano con la richiesta di una nuova modalità di abitazione, più aperta al
territorio circostante.
Anche Neutra si avvicina al tema della costruzione industrializzata. Realizza la Lovell House: si tratta della prima
casa unifamiliare realizzata interamente con uno scheletro in acciaio montato in sole 40 ore, dove terrazze e
pensiline sono sospesi allo scheletro mediante tiranti metallici sottili. Neutra prosegue la sua ricerca esplorando
anche l’utilizzo di interi moduli prefabbricati.
In questo decennio il tema delle case unifamiliari, fuori città, estranee sia alla negazione della modernità sia alla
modernità dogmatica, viene affrontato da diversi progettisti e diventa il campo di sperimentazione per maturare le
linee del linguaggio architettonico americano, che devono fare i conti anche coi cambiamenti sociali. Dai nuovi
assetti sociali prendono spunto le nuove case aperte, con spazi fluidi e indivisi, in relazione con la natura.
Integrazione tra tecnologia e ambiente ha come risultato la nuova architettura, che non nega l’uso di materiali
tradizionali. Kaufman richiede a Neutra la costruzione di una casa nel deserto in California. Lo scheletro metallico
rinforzato per resistere alle scosse sismiche è unito a pareti in laterizio e pietra a secco realizzate da maestranze
locali. La pianta a raggera ancorata nel territorio roccioso, conferisce al complesso il massimo della fusione tra
ambiente e costruzione.

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Anche Philip Johnsono matura una critica ruralistica e anti-funzionalistica. Viene espressa nella Glass House
definizione di spazi completamente esposti all’ambiente circostante senza alcun intervento sull’ambiente stesso
(parete in vetro).
Si dichiara un aperto debito con Mies che si manifesta nell’impiego dello scheletro in metallo a vista e delle grandi
vetrate che cancellano il confine con l’esterno, l’unico che forse lascia un segno nella cultura popolare statunitense.

TECNOLOGIA, NUOVA INDUSTRIALIZZAZIONE E ORGANICISMO


Parallelamente alla prosecuzione del MM, i due versanti del dibattito americano sull’architettura alta risultano
essere la spinta industriale e l’architettura organica. Wright negli Uffici della società Johnson organizza intorno a
due soluzioni tecnologicamente forti (pilastri cavi a fungo in calcestruzzo accostati e vetro tubolare) spazi ampi per il
lavoro, fluidi e luminosi, in contrapposizione tra l’orizzontalità degli edifici e la verticalità della torre.
La definizione di progetto organico trova eco nel settore più industrializzato, quello del design, con la mostra
organizzata al Moma Organic design in home Furnishings → “un progetto può definirsi organico se, entro l’oggetto
nel suo complesso, vi è una relazione armonica tra i singoli elementi per quanto riguarda la struttura materiale, e lo
scopo”.
Eero Saarinen incontra Ray Eames: la loro visione integrata pone al centro le nuove tecnologie produttive, nuovi
materiali e l’attenzione alla produzione di massa, mutuata dalle avanguardie progettuali europee. L’occasione è
offerta loro dalla conoscenza di Florence Schust che collabora con Hans Knoll che apre una compagnia per la
produzione industriale di arredi, che produrrà in gran serie i mobili progettati dai due. Sono anni in cui il tema della
produzione industrializzata e alla portata di tutti rappresenta per i giovani architetti un grande strumento e un
obiettivo da raggiungere, in modo più libero rispetto alla generazione degli architetti europei.
Saarinen ed Eames conducono sperimentazioni su moduli abitativi prefabbricati come la Unfolding house, unità
modulari che possono essere spostate e combinate. La copertura metallica e lucente, leggermente curvata, può
essere modellata per riparare spazi aggiuntivi. In una logica organiza, il progetto comprende arredi e attrezzature
questo processo è spinto sia dalle grandi compagnie pubbliche e private che commissionano ai progettisti unità
abitative industrializzabili e mobili da collocare nei luoghi di produzione, sia dalle istituzioni culturali. La rivista Arts &
Architecture lancia un programma denominato Case study house nel 1943 con un primo concorso per edifici
residenziali risolti con il sistema PAC (componenti prefabbricati) → Case study house n.9 e Case study house n. 8
entrambe risolte a un piano solo, con pianta quadrata la prima; come un parallelepipedo stretto e lungo a doppia
altezza, diviso in due volumi separati da una piccola corte, la seconda. Costituite da strutture in acciaio e
tamponamenti di pannelli opachi di diversi colori o vetri in una logica tutta industriale. Il programma Case Study
House coinvolge architetti diversi e, in parallelo con la produzione sempre più standardizzata di arredi di qualità,
incarna la proposta di costruzioni a basso costo.
Sono pratiche in alternativa con l’intensa attività immobiliare nei suburbs spinta a velocità folle da imprese come
quella di William Lewitt che costruisce case prefabbricate, tutte simili e anonime (le lewittown).
La ricerca vede negli anni 50 il continuo incontro tra prodotto e architettura nella corsa all’uso di tecnologie sempre
più avanzate e nella considerazione di una società rinnovata come possibile utente. Nell’edificio per dormitori al
MIT, detti Backer house, di Aalto, tutte le camere devono avere l’affaccio verso il Charles River che costeggia il
campus e si concretizza in un blocco a pianta ricurva ad andamento sinusoidale che permette un’estensione tale da
poter posizionare tutte le stanze su un unico lato. Il laterizio prescelto come materiale di rivestimento della struttura
è caratterizzato da pezzature disomogenee con texture variate.
Tutte le componenti che emergono dalla ricerca negli anni a cavallo della seconda guerra e che hanno riguardato il
tema dell’abitazione, si applicano anche a edifici produttivi o di servizio. Saarinen idea il gigantesco General motors
technical center, con telaio leggero in acciaio, vetri e pannelli sandwich in laminato o rifiniti in porcellana creano
volumi neutri, articolati secondo una sequenza che richiama la produzione delle macchine. Colpisce anche per il
suo fascino: la cupola per l’esposizione delle auto, la torre dell’acqua, entrambe rivestite di acciaio lucente e di
forme tondeggianti.
I volumi curvilinei e le forme concavo-convesse, realizzati con materiali d’avanguardia, rappresentano per alcuni
progettisti il naturale punto di incontro tra l’attitudine industrialista e quella organicista. Il TWA Terminal rappresenta
il culmine di questa commistione: realizzato mediante una copertura a 4 gusci a ombrello in calcestruzzo leggero
sostenuti da pilastri obliqui, segue il principio all one thing (tutto in una cosa) e obbedisce alle richieste del
committente di creare uno spazio per i viaggiatori organizzato e che incarni lo spirito del volo.
Una delle ultime opere di Wright è il Guggenheim museum; la ripugnanza per la metropoli consuona con l’impianto
di un edificio che la nega in tutti i suoi aspetti e realizza in modo plastico l’idea di architettura come organismo.
L’idea progettuale è originata dal percorso di visita innovativo rispetto alla consueta sequenza di sale: il tema della
rampa (già sperimentato nel Morris gift shop) fornisce l’andamento del flusso dei visitatori, dall’alto verso il basso,
intorno a un invaso a tutta altezza illuminato da un lucernario e definisce i prospetti esterni: un nastro continuo che
si avvolge in forme tronco-coniche. Da una parte evoca la crescita di un organismo naturale dall’altra propone
un’architettura non figurativa.

Il Movimento Moderno alla prova nel Dopoguerra: ricostruzione e città di nuova fondazione
Durante l’opera di ricostruzione post bellica il dibattito ruota intorno ad alcune linee da seguire: da quella del
ricostruire com’era a quella di utilizzare le distruzioni come punto di partenza per costruire qualcosa di nuovo e
ridefinire la città. Entrambe sono accomunate da uno spirito fiducioso in un miglioramento sociale. In questo periodo

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i maestri del MM giocano ancora un ruolo molto importante. Altro banco di prova del MM sarà quello del progetto di
alcune città capitali di nuova fondazione come Chandigarh e Brasilia nelle quali le proposte della Carta di Atene
sono sviluppate con risultato contraddittori. Una soluzione alla crisi sembra venire dai paesi scandinavi dove la
modernità è declinata come rapporto del progetto con il contesto naturale e con le esigenze emozionali delle
persone, secondo un approccio organico dell’architettura.

IL PROBLEMA DELLA RICOSTRUZIONE IN EUROPA TRA MEMORIA E MODERNITA’


Regno Unito → il dibattito sulla ricostruzione e sulla riorganizzazione del tessuto urbano inizia nel 1940. il Greater
London Plan di Patrick Abercombie e John Forshaw propone di arrestare l’incremento delle industrie e della
popolazione nell’area metropolitana e di decentrare le attività produttive e gli insediamenti residenziali. Attraverso
l’istituzione del London City Council il territorio di Londra è pianificato secondo fasce successive concentriche:
l’anello urbano interno decongestionato, l’anello suburbano, l’anello verde e l’anello esterno in cui è prevista una
serie di città-satelliti. Con il New Towns Act è avviata la costruzione di 12 nuove città in territorio inglese poste vicino
a diversi centri urbani. Alla metà degli anni 60 si attua una nuova fase che prevede la costruzione di altre cinque
città, più grandi.
È però denunciata la freddezza dei nuovi nuclei e la difficoltà di ricreare la ricchezza sociale della città della
tradizione. I contrasti si registrano anche tra i protagonisti: Abercrombie è favorevole, oltre ad un decentramento
degli insediamenti, anche di quello lavorativo, ma l’organo di governo centrale vede come priorità la costruzione di
alloggi e la ricerca di un basso costo per le aree da edificare → progressivo insabbiamento del progetto delle new
towns.
Nella riflessione sul disegno urbano è interessante il complesso residenziale Golden Lane si Alison e Peter
Smithson, previsto per la ricostruzione della città di Coventry devastata dai bombardamenti, con il quale è proposta
una nuova relazione tra casa, strada, quartiere e città. Anche gli Smithson, nonostante teorizzino l’integrazione di
architettura nel paesaggio, non riescono a dare forma ad una vera continuità tra tessuto urbano preesistente e
nuovi inserimenti. Le loro opere, tra cui la scuola superiore di Hunstanton e la sede per il giornale Economist,
caratterizzate dall’esibizione delle strutture e degli apparati tecnologici e impiantistici, saranno identificate col
termine BRUTALISMO.
Francia → la ricostruzione inizia nel 1940. Il governo collaborazionista di Pétain avvia la redazione di piani
finalizzati alla ricostruzione di diverse città della valle della Loira, tra cui Orleans, incentrati sulla scelta di
armonizzare la tradizione dei luoghi con la modernità. Successivamente il governo di Charles De Gaulle nomina
una serie di organismi di controllo dei progetti affidati a diversi architetti, con l’obiettivo del rispetto delle
preesistenze e delle qualità estetiche delle città storiche.
In questo quadro si inserisce l’incarico dato ad Auguste Perret per la ricostruzione di Le Havre completamente
distrutta. Il progetto è affrontato da un gruppo di architetti che elaborano le sue indicazioni teoriche; il disegno della
nuova città è basato sul recupero delle due maglie ortogonali storiche e sulla riproposizione di isolati residenziali di
altezza costante. Elementi focali sono il municipio con la torre, la piazza e la chiesa di Saint Jospeph → Le Havre è
un esempio di sintesi tra razionalità delle funzioni e persistenza della memoria.
Nel 1948 l’elezione a capo del ministero della ricostruzione di Eugene Claudius Petit legato da amicizia a Le
Corbusier, porta alla realizzazione dell’Unité d’habitation di Marsiglia che darà forma concreta agli studi sulla cellula
abitativa. È un blocco edilizio di 337 appartamenti su 20 piani, sollevato da terra da enormi pilastri che rendono
usufruibile il piano terreno. La strada interna, posta a metà altezza, ospita negozi, sale riunione e piccoli uffici,
mentre il tetto praticabile è destinato al ritrovo, con asilo nido, palestra, solarium e piscina. Le cellule abitative
hanno doppio affaccio e sono aggregate a incastro, distribuite da un corridoio centrale cieco
queste nuove realtà urbane costituiscono le Villes nouvelles (città nuove), pianificate a partire dalla metà degli anni
60, dal tentativo di risolvere i problemi del congestionamento demografico e industriale. Nei dintorni della capitale
sorgono cinque nuove città e altre quattro in aree più esterne.
Le città nuove soffrono dell’assenza di un nucleo storico che consenta alla popolazione di appropriarsi del territorio
e di sviluppare memorie. Dipendenti dalla grande città per le attività produttive, risultano luoghi di segregazione per
coloro che non riescono ad accedere alla cerchia dei boulevard urbani.
Germania → dal 1945 intraprende la pianificazione degli interventi di ricostruzione. Le scelte culturali della
ricostruzione si indirizzano verso una rivalutazione del MM che era stato escluso dalla dittatura di Hitler; alcuni
maestri sono incaricati di elaborare nuovi programmi edilizi in grado di cancellare le visioni monumentali e storiciste
del vecchio regime: si vuole rimuovere il recente passato. Qui più che altrove il dibattito sulla ricostruzione vede la
forte contrapposizione di ricostruire ex novo oppure com’era.
La ricostruzione totale viene seguita in alcune città come Berlino → Scharoun è nominato a capo di un gruppo di
lavoro che ha il compito di tracciare un piano ricostruttivo (le sue proposte sono criticate di non tener conto
dell’impianto storico della città e di favorire largamente il MM). Inoltre la recente divisione della città in due blocchi
non rese possibile un piano urbanistico unitario.
A EST la visione urbanistica della repubblica democratica influenzata dallo stalinismo si incentra sulla definizione di
monumentali viali che fanno da sfondo a grandi edifici anonimi, mentre gli interventi residenziali si risolvono in
casermoni anonimi di edilizia popolare. A OVEST un intervento di qualità è realizzato con il Quartiere Hansaviertel
nell’ambito dell’Esposizione Interbau del 1957 che mette a confronto opere di alcuni tra i più grandi esponenti del
MM e giovani architetti (team X). Tra le opere più interessanti del periodo è da ricordare la Filarmonica di Berlino di

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Scharoun, un edificio per concerti, memore della ricerca espressionista sia nelle sua forme esterne che richiamano
l’idea di un tendone da circo, sia nel disegno delle sale acusticamente riuscite.
A causa dello scarso impegno dei maestri che proseguono per linee personali, emerge un panorama di generale
incertezza nel quale la frammentazione di tendenze e proposte porterà ad un abbandono dei contenuti del MM da
parte di molti architetti.
Italia → la ricostruzione parte da uno spirito di rottura col passato e di ricerca innovatrice che può essere riassunto
da due opere del periodo: il monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine (di Mario Fiorentino, Giuseppe Perugini,
Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, con Francesco Coccia, Uga de Plaisant e Mirko Basaldella) drammatico
masso sospeso su un paesaggio naturale, e il monumento ai caduti dei campo di concentramento di Milano dei
BBPR, un astratto reticolo di metallo su base cruciforme.
L’impulso della ripresa economica e della ricostruzione secondo un disegno di matrice liberista, aggrava i
disequilibri territoriali tra nord e sud del paese generando instabilità sociale.
Il piano Fanfani assegna all’edilizia una funzione di assorbimento della disoccupazione e di stimolo dello sviluppo
economico. Il piano rappresenta il più significativo intervento di edilizia popolare mai realizzato nel paese, per un
totale di 335.000 alloggi realizzati.
Il piano è coordinato a livello centrale dagli architetti Arnaldo Foschini e Adalberto Libera. L’attenzione è rivolta alla
salute morale degli abitanti, ai loro bisogni psicologici e sociali, alla necessità di studiare composizioni urbanistiche
articolate e varie, spazi desinati al verde ed evitare la spersonalizzazione razionalista.
L’idea del villaggio con riferimenti alla socialità rurale viene sviluppata da Ridolfi e Gorio nel Borgo La Martella, a
seguito delle denunce delle inumane condizioni di vita nei Sassi di Matera. Le case bifamiliari si distribuiscono
lungo i tracciati delle strade che convergono verso il centro/piazza.
Altro esempio è il Quartiere Falchera a Torino, coordinato da Giovanni Astengo; al centro si trova la piazza dedicata
al mercato e ai servizi pubblici. L’andamento spezzato dei blocchi edilizi a tre piani permette di creare ampi spazi
verdi.
Più aperto alle tecnologie è il QT8 di Milano di Pietro Bottoni, dotato di diverse strutture e attrezzatura; le case
unifamiliari a schiera, di 11 piani a torre, comprendono l’unica esperienza del tempo di prefabbricazione e di
montaggio in cantiere di case a quattro piani.
Singolare è il Quartiere di Forte Quezzi composto da cinque edifici di sette piani disposti a seguire le curve di livello
delle colline; i blocchi sono attraversati orizzontalmente da percorsi coperti al piano terreno e al quarto.
Si esaurisce anche l’esperienza Ina-casa che costituì una risposta di stampo riformista al problema della casa; i
limiti però sono dovuti soprattutto alla difficoltà di attrezzare i quartieri con i servizi sociali necessari, a collegarli con
i luoghi centrali, a evitare dinamiche emarginanti.

I MAESTRI NEL DOPOGUERRA


Nel dopoguerra si consolida il mito dei maestri del MM anche grazie al contributo critico di Siegfried Giedion,
segretario dei CIAM. Questi riprendono la loro attività sotto la guida ancora di Gropius e Le Corbusier, coadiuvati da
José Louis Sert.
Nel VI congresso, che si svolge a Bridgwater in Inghilterra nel 1947, i maestri cercano di riprendere il discorso
interrotto dagli eventi bellici, affrontando il problema della spersonalizzazione dei grandi quartieri di edilizia
economica e dedicando nuova attenzione ai bisogni non soltanto materiali, ma anche emozionali dell’uomo.
Al VII congresso, svoltosi a Bergamo nel 1949, partecipano per la prima volta studenti di architettura e si inizia ad
affacciare al confronto internazionale una nuova generazione di progettisti e si affermano nuovi aspetti, come la
riscoperta della storia come elemento importante nella formazione degli architetti. Viene proposta la Carta
dell’Habitat.
L’VIII congresso del 1951 si intitola The heart of the city e richiama alla visione del centro della città come centro
civico, più che storico, come centro di relazioni commerciali, culturali e umane.
Lo scontro decisivo tra vecchia e nuova generazione avviene durante il IX congresso, del 1953, quando il gruppo
dei giovani mette in discussione le quattro categorie funzionaliste della Carta d’Atene: abitazione, lavoro, svago e
trasporti. Torna alla ribalta la proposta della Carta dell’Habitat e si decide di dedicare a questo argomento il
successivo congresso, del 1956. La preparazione viene affidata al Team X, un raggruppamento eterogeneo di
architetti. Il loro programma porterà all’esplosione dei CIAM. Le principali posizioni di un dibattito ormai non più
conciliabile possono essere ricondotte a tre: quella di chi avrebbe voluto continuare nel solco dei vecchi CIAM,
quella degli italiani che cercano una strada per un linguaggio contemporaneo, attraverso la rielaborazione di modi
tradizionali, quella più vicina al Team X che tentano una nuova espressione architettonica aderente al loro tempo.
Nel frattempo l’attività dei maestri continua → Le Corbusier con la Cappella di Notre Dame du Haut si cimento sul
tema dell’edificio sacro. Su una collina colpita da bombardamenti l’architetto dà vita ad un volume plastico, quasi
una scultura, caratterizzato da una copertura aggettante a conchiglia in calcestruzzo armato a vista e dalle torri di
illuminazione delle cappelle. Le spesse mura perimetrali ad andamento sinuoso sono bucate da aperture regolari
con vetri colorati. La copertura sembra galleggiare nel vuoto, separata dal perimetro portante per mezzo di esili
sostegni che creano una lama di luce. All’interno l’atmosfera è di assoluta calma e rarefazione.
Poco dopo si accosta nuovamente al tema del sacro con il Convento di Sainte Marie de la Tourette che prevede un
complesso per un centinaio di ospiti, con chiesa, spazi di riunione, biblioteca, refettorio e vari servizi, situato su un
pendio. Realizza un edificio a corte, proteso su setti portanti verso il paesaggio naturale, dove le celle sono
essenziali unità abitative. Tra le invenzioni formali e tecniche adottate, i cannoni di luce sono volumi esterni studiati

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per convogliare o schermare i raggi del sole, creando ambienti suggestivi; la struttura esterna in calcestruzzo
armato trattato grossolanamente ripropone lo spirito povero dei domenicani.
Accanto a questa ricerca si situano alcune residenze realizzate con tecniche costruttive e materiali tradizionali tra
cui la Casa Jaoul e le case Sarabhai e Shodhan.
Nel corso degli ultimi anni della sua carriera Le Corbusier si dedicherà alla sua ultima opera: la costruzione della
nuova capitale del Punjab. Innovativo è il Padiglione Philips all’Esposizione mondiale di Bruxelles del 1958,
un’architettura effimera, con gusci paraboloidi realizzati in pannelli di calcestruzzo armato sospesi ad una struttura
metallica realizzata in collaborazione con l’ingegnere e musicita Iannis Xenakis.
Alla sua morte Le Corbusier lascia un’immensa eredità culturale di difficile gestione.
Gropius, dopo la fine del sodalizio con Breuer, costituisce un gruppo di progettazione formato da giovani architetti,
The Architects Collaborative (TAC), con il quale vuole riproporre il metodo del lavoro collettivo sperimentato col
Bauhaus. L’opera americana dell’architetto risulta ora più sottomessa al sistema economico e meno aderente alle
esigenze del contesto, come accade per il grattacielo della Pan American Airways. Nell’Ambasciata americana ad
Atene enfatizza l’apparato strutturale con pilastri rivestiti in marmo e una copertura a sbalzo; il tentativo era quello di
evocare un’immagine dell’antichità classica senza cadere nell’imitazione storicista.
Nel 1955 pubblica Architettura integrata, dove raccoglie una serie di scritti che costituiscono una sintesi della
riflessione teorica che ha scandito tutta la sua attività da progettista.
Anche Gropius lascia un’eredità enorme, ma sarà accusato come Le Corbusier di aver gettato i mostri delle
periferie urbane e di aver avviato uno scadimento generale della qualità dell’architettura.
Mies Van de Rohe, giunto negli USA nel 1938 e incaricato della cattedra di architettura presso l’Illinois Institute of
Technology, per il quale crea nuovi edifici dai volumi essenziali e geometrici, con struttura portante principale in
acciaio a vista e tamponamenti in mattoni. Si ricordano la Crawn Hall, un’aula magna la cui struttura è
completamente espressa all’esterno, e la cappella.
La sua ricerca si svolge attraverso un processo di semplificazione e sottrazione. Ne è dimostrazione la casa
Farnsworth, una casa per vacanze di un solo ambiente, delimitato da due solette sollevate da terra e rette da otto
pilastri in acciaio, chiusa da pareti completamente in vetro: appare una scultura astratta immersa nella natura, la cui
scarsa funzionalità la rende difficilmente abitabile.
Questa ricerca di sottrazione e di esaltazione della tecnologia è espressa anche negli edifici alti: negli Lake Shore
drive apartments ma il suo capolavoro è il Seagram Building un palazzo per uffici di 39 piani; decide di arretrare il
fronte principale su Park Avenue per creare uno spazio pubblico, dotato di vasche, luogo di sosta e incontro. Con
pilastri in acciaio a vista e la facciata continua di vetri bruniti e la parte terminare senza finestre per gli impianti. Un
elegante monolito, riconoscibile nel panorama urbano per sintesi di ricerca tecnologica e formale.
La sua ultima opera, a Berlino, sarà la Nuova galleria nazionale il cui spazio espositivo, a pianta quadrata, sorge su
un basamento in pietra e ha una struttura in acciaio completamente a vista: otto pilastri cruciformi, due per lato,
sorreggono una piastra copertura. Le pareti arretrate e completamente vetrate, accentuano l’effetto di sospensione
della copertura. L’interno è libero da strurrua e può essere allestito per mostre temporanee, mentre le opere della
collezione permanente si trovano nel piano interrato, come tutti gli altri servizi (i richiami sono quello del tempio
classico).

L’ESPERIMENTO DI CHANDIGARH E BRASILIA


La nascita dello stato del Punjab implica la costruzione di una nuova città capitale (Chandigarh) → l’incarico viene
affidato a Le Corbusier, che può così soddisfare il desiderio di costruire una città moderna. L’incarico prevede la
pianificazione della città e del campidoglio.
Studia con attenzione la storia e la cultura locale ed evita ogni citazione del repertorio classicista occidentale. Nel
sito prescelto, una piana che ha per fondale la catena montuosa dell’Himalaya, l’architetto individua un asse
principale al suo estremo, a nord, colloca la zona di comando. Su questo asse orienta la griglia ortogonale che
informa tutta la città divisa in settori: la zona per il commercio, alberghi e ristorante al centro, a ovest la zona per lo
stadio, università, musei, e nelle aree circostanti le residenze. Queste settori sono separati da strade di vario tipo e
zone verdi. Nel campidoglio si trovano i palazzi del governatore, di giustizia, il segretariato, il parlamento e il
monumento della mano aperta (simbolo di pace e giustizia), collocati su ampie spianate. Gli edifici, di proporzioni
colossali, sono in calcestruzzo armato a vista. L’organizzazione urbana risulterà insoddisfacente sia per questione
economiche del paese, sia perché il piano risulta eccessivo e sovradimensionato per lo stile di vita della
popolazione: da un lato gran parte della popolazione a basso reddito non è riuscita ad accedere alle abitazionie lo
sviluppo della città non è stato controllato, dall’altro il disegno urbano ancora riconoscibile ha retto alla prova del
tempo e continua a presentare un suo razionale rigore.
Brasilia → voluta dal presidente Kubitschek come simbolo del nuovo sviluppo del paese, è progettata da Oscar
Niemeyer che indice un concorso per la definizione urbanistica generale. Vincitore è il suo maestro Lucio Costa. Il
piano, redatto sulla base della carta di atene, prevede un insediamento per 500.000 abitanti impostato su due assi
che si incrociano perpendicolarmente. L’asse più breve (est-ovest) porta all’estremità orientale al campidoglio, l’altro
ad andamento curvilineo porta le zone residenziali. Le diverse parti della città sono chiaramente definite: sull’asse
principale, oltre alla zona di comando, si sviluppano anche i ministeri, la cattedrale, il teatro, il mausoleo di
Kubitschek, gli impianti sportivi e la torre delle telecomunicazioni. All’incrocio degli assisi trova la zona degli
alberghi, sulle ali le residenze organizzate nelle super quadras (grandi isolati). Niemeyer progetta tra il 1957 e 1964
quasi tutti gli edifici pubblici più significativi e diverse residenze. Il Parlamento, una piastra a filo strada, è

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caratterizzato da due cupole (una rovescia) delle camere. Alle spalle gli edifici degli uffici, due lame alte parallele.
Queste e altre opere del maestro come la corte suprema, la residenza del presidente, il museo della città, la
cattedrale con il battistero, il teatro nazionale, sono tutte realizzate con uno stile personale, fantastico e futuribile,
sintesi tra ricerche espressioniste e indagini sulle possibilità plastiche del calcestruzzo. Anche questa però non è
una città a misura d’uomo che impedisce una socialità diffusa e le super quadras hanno difficoltà ad essere dotate
di buoni servizi. L’alto costo degli alloggi non permette ai lavoratori poveri di accedere alle abitazioni previste, con la
conseguenza che si sono create estese baraccopoli in periferia.
Come Chandigarh, anche Brasilia appare il simbolo di un tentativo solo parzialmente riuscito di trovare soluzione ai
problemi della città contemporanea → il MM non è riuscito a progettare città a dimensione umana.

CALORE E UMANITA’: ARCHITETTURA ORGANICA E MITO SCANDINAVO


Una possibile soluzione alla crisi del MM viene dalle esperienze di ricostruzione della penisola scandinava e dalla
diffusione dell’opera di Alvar Aalto. La Finlandia avvia un progetto di realizzazione di case rurali in legno per far
fronte alla situazione dei profughi; la Svezia contribuisce con il finanziamento per duemila case unifamiliari in legno
prefabbricate ai margini dei centri abitati. Questa esperienza si basa sullo sviluppo di nuove politiche sociali
incentrate sugli alloggi, salute e sull’educazione del popolo. Si realizzano numerosi quartieri di edilizia economico
popolare, integrati nel contesto, dando vita al mito di calore e umanità. I protagonisti sono Aalto e Hilding Ekelung.
L’interesse internazionale per la vicenda scandinava ha un momento significativo nella celebrazione dei giochi
olimpici di Helsinki del 1952; altra importante cassa di risonanza è la mostra Design in Scandinavia: an exhibition of
objects for the home che si svolge a NY nel 1954, incentrata sugli arredi e oggetti per la casa progettati dai
maggiori architetti nordici.
In Italia, la diffusione dell’architettura organica avviene sopratutto con le pubblicazioni e la fondazione dell’APAO di
Zevi e con l’attività di architetto e divulgatore di Leonardo Mosso, ma l’influenza più significativa si riscontra nella
diffusione dei modelli dei nuovi quartieri che si riflettono nelle opere Ina-casa.
Architettura organica → già nel 1900 Sullivan dichiarò che organico equivale a vivente; concetto sviluppato dal suo
allievo Wright. Walter Behrendt raccoglie tutta la produzione architettonica in due categorie antitetiche, la formative
art, cioè l’arte empirica, che in architettura trova corrispondenza in un edificio che cresce seguendo la prorpria
vocazione in rapporto alle funzioni e al contesto; e la fine arte, l’arte formale, che si traduce in un edificio concepito
come un meccanismo in cui tutti gli elementi sono disposti secondo un ordine assoluto.
Le opere che arrivano dal nord vengono associate a definizioni come empirismo scandinavo o neo-empirismo,
termine che andranno a connotare il superamento del razionalismo, attraverso l’attenzione ai contesti e alla natura,
rifiuto dei dogmi astratti, la continuità della tradizione nella modernità.
Dopo la Backer House del MIT, Aalto realizza diverse opere per servizi pubblici in patria, come il palazzo comunale
di Saynatsalo; stesso rispetto per i cittadini e per la democrazia emerge anche nei piani urbanistici, come nel
disegno del centro urbano per il nucleo di Seynajoki che comprende la chiesa e centro parrocchiale, il palazzo
comunale, la biblioteca e il teatro. Il piano urbanistico prevede percorsi veicolari e pedonali separati, come separati
sono gli edifici, da un lato quelli civici e pubblici, dall’altro il complesso religioso.
Nei molti istituti tecnici progettati da Aalto è presente l’attenzione alla luce naturale, alla funzionalità delle parti, al
dialogo con l’ambiente, come l’istituto superiore di pedagogia e il politecnico di Otaniemi.
Per Aalto l’uso della luce nella costruzione degli spazi è elemento fondamentale che gli permette di raggiungere
effetti di particolare suggestione negli edifici religiosi: la chiesa luterana di Vuoksenniska dalla pianta asimmetrica,
in tre settori divisibili; o la chiesa a Riola di Vergato unica opera italiana insieme al centro culturale di Siena.
Aalto realizza anche numerosi progetti per musei, teatri e centri culturali. Tra questi la casa della cultura a Helsinki
caratterizzata da forme sinuose e asimmetriche con rivestimento in laterizio e spazi ad uso flessibile, e il palazzo
dei congressi e sala per concerti sempre ad Helsinki.
Il successo internazionale dell’opera di Aalto influenzerà tutta l’architettura dell’ambito scandinavo, interpretata da
architetti come Jorn Utzon e Arne Jacobsen, che sviluppano il suo insegnamento nella Opera house di Sidney;
influenza anche James Stirling, James Gowan, Rafael Moneo e Alvaro Siza.

Ripartire dalla storia


Nel secondo dopoguerra a fronte della difficoltà da parte del MM di costituire un vero stile internazionale si
diffondono approcci molto diversi tra loro. In nordamerica Louis Kahn avvia un processo di rilettura della tradizione
assegnando nuovo valore alla monumentalità e matericità; questa rivalutazione si radica nella scoperta dei valori
simbolici e comunicativi delle citazioni del passato. Il Postmoderno diventa il linguaggio internazionale di una
società che sembra rinunciare alla responsabilità della storia e abbandona le visioni di stampo progressista
percorrendo le vie del consumismo e dell’edonismo individuale. In Europa la riscoperta della storia assume valenze
contraddittorie: da un lato si presta alla riproposizione di elementi classici privi di vitalità, dall’altro diventa attenta
rilettura delle sedimentazioni del passato come stimolo per un progetto più consapevole. Si moltiplicano gli studi del
XIX secolo, come quelli di Henry-Russell Hitchcokc, Robin Middleton e David Watkin, Roberto Gabetti, Luciano
Patetta e Paolo Portoghesi. L’Italia diventa per qualche tempo snodo del dibattito a partire dalla vicenda del
Neoliberty.

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I MATERIALI E LE FORME DELLA STORIA
La crisi del MM trova negli USA una figura d’eccezione: Louis Kahn. Durante il suo primo viaggio in Eruopa rimane
affascinato dalle architetture classiche, dai borghi medievali e dalla monumentalità delle costruzioni; si appassiona
anche alle opere di Le Corbusier. Afferma che è possibile ripercorrere la lezione di grandezza degli edifici antichi
anche nelle architetture del futuro.
Con la Yale University art gallery ampliamento dell’università, Kahn è debitore di molti riferimenti alla modernità
come all’uso del calcestruzzo armato a vista tipico di Le Corbusier, o la tecnologia della facciata in acciaio e vetro di
Mies Van der Rohe. Tuttavia le masse materiche, con l’uso a vista di legno e laterizio, con raffinato studio degli
spazi e della luce, sono ricerche che lo allontanano dal MM. Anche nei Richards medical research laboratories
dell’università della Pensilvania hanno rimandi alla distribuzione delle case-torri medievali.
Kahn affronta anche il tema del sacro nella First unitarian church and school dove attorno al nucleo centrale del
tempio si articolano un corridoio, gli ambienti ad uso scolastico e i locali di servizio, come una sorta di cortina a
difesa del luogo del culto, idea confermata dalla profondità delle masse murarie in mattoni a vista che conferiscono
all’edificio un’immagine di roccaforte medievale.
Capolavoro della capacità di dialogare tra costruito, spazio aperto e contesto naturale è il Salk institute di La Jolla
un istituto di ricerche biologiche improntato al disegno geometrico del quadrato e del cerchio e che se ne distacca
anche per nella ricerca di un segno forte metafisico. Gli alzati sono in cemento armato a vista e ampie aperture
affacciate verso il mare. L’acqua è elemento importante: l’asse della piazza centrale è attraversato da un canale in
cui scorre l’acqua che poi si getta in una vasca posta a livello inferiore.
Nel 1962 Kahn dà il via alla sua più importante opera, il Parlamento di Dacca in Banglasdesh che gli consente di
affrontare il tema della valenza simbolica per gli edifici civili. La sala dell’assemblea è pensata come il centro del
progetto, nucleo vitale dalla cui sacralità derivano tutte le altre funzioni, assolte da edifici disposti attorno ad esso. Il
disegno della sala si basa su un quadrato ai cui vertici opposti sono posti l’ingresso e la moschea, l’ingresso dei
ministeri e la caffetteria, mentre lungo gli assi sono posti gli edifici di servizio. Le funzioni principali e secondarie
sono definite dal disegno dei volumi: cilindrici i primi, parallelepipedi i secondi. Il parlamento, in calcestruzzo armato
a vista, è decorato soltanto attraverso il rivestimento dei giunti in marmo bianco e connotato da tagli triangolari e
circolari delle finestre che alleggeriscono le masse e sono fonte di luce.
Negli USA Kahn realizza altri due importanti progetti: il Kimbell art museum e la Philips Exeter Library (due edifici di
cultura): nel primo utilizza una copertura a botte illuminando dall’alto lo spazio espositivo attraverso la riflessione
della luce naturale su elementi metallici ricurvi. La ricerca di Kahn rappresenta l’apertura di una nuova via per
l’architettura che, senza abbandonare le acquisizioni del MM, ne supera le derive formalistiche dell’international
style e ne approfondisce elementi trascurati come le necessità emozionali delle persone, il confronto col passato,
l’uso dei simboli, il rapporto col contesto, la permanenza dei materia e magisteri costruttivi (interpretazione del
passato).

LA NASCITA DEL POSTMODERNO: LETTURE COLTE E POPOLARI


Nel paesaggio senza storia del Nord America si sviluppa negli anni settanta una nuova attenzione per la tradizione
e alle possibilità di comunicazione delle immagini della storia dell’architettura. Allievo di Kahn è Robert Venturi,
introdotto alle architetture del passato come stimoli per l’architettura del presente (dal 1954 al 56 studia a Roma).
La sua prima opera significativa è la casa per la madre, la Vanna Venturi house che rielabora citazioni
dell’architettura classica, come la facciata principale a timpano, tagliato al centro, ma sconfessato dall’asimmetria
delle aperture. Qui si trovano tutti gli elementi della sua ricerca, l’approccio al passato, ironico e giocoso. Affermato
anche nella Guild House una casa di riposo per anziani in cui la facciata principale è caratterizzata dall’ingresso con
una colonna di granito al centro, da una serie di logge sovrapposte e coronata da un’apertura ad arco. La grande
scritta a caratteri rossi Guild house e l’antenna televisiva diventano elementi di una nuova consapevolezza della
possibilità da parte dell’architettura di utilizzare la comunicazione visiva → tema che approfondisce nello scritto
Complessità e contraddizione nell’architettura, che afferma la necessità di riappropriarsi degli elementi comunicativi
ed emozionali dell’architettura, abbandonando la fredda purezza formale propugnata dal MM (Less is bore).
Venturi sottolinea la complessità e il disordine delle sedimentazioni storiche della città come punti di riferimento per i
suoi abitanti che vi possono trovare testimonianze per le sensazioni più familiari. Anche le città sono caratterizzate
ora da architetture minori ordinari e seriali, come gli oggetti di tutti i giorni, e interagiscono col vivere quotidiano e lo
caratterizzano.
Tra gli anni 60 e 70 raccoglie gli esiti (nel volume Imparando da Las Vegas) di una serie di studi effettuati dai suoi
studenti sulla percezione dello spazio urbano: propone così un approccio al paesaggio esistente molto più tollerante
e un nuovo modo di guardare la realtà. Venturi vede la possibilità di un approccio progettuale disincantato e ironico,
che affonda le radici in una tradizione americana dei miti creati dal consumismo post-bellico.
L’attività di Venturi, insieme a Scott Brown, continuerà fino ai giorni nostri con importanti incarichi per complessi
universitari, biblioteche, edifici religiosi come la Episcopal academy chapel. La loro opera avvia quel processo di
revisione critica e denuncia del MM che verrà chiamato POSTMODERNO.
Charles Moor con la Piazza d’Italia a New Orleans progetta uno spazio pubblico che stimola meraviglia e curiosità:
il fulcro è una fontana disegnata secondo il profilo della penisola italiana sullo sfondo di una serie di quinte
scenografiche, costituite da colonnati e archi, reinterpretazione di fantasia di ordini classici, attraverso l’uso di
colorazioni e materiali contrastanti.

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Però la scoperta degli elementi simbolici dell’architettura quando diventa cifra stilistica porta a esiti discutibili →
esempi di Michael Graves.
Al di là degli eccessi l’architettura del postmoderno si può configurare come tendenza architettonica in grado di
rimediare agli errori operati dal MM, pescando dalla citazione storica nuovi stimoli per un’architettura più vicina alle
necessità psicologiche, emozionali e di memoria delle persone → Charles Jencks nel suo “Il linguaggio
dell’architettura postmoderna” definisce la tendenza come eclettismo radicale; attribuisce all’uso di riferimento
storici dell’architettura una possibilità di comunicazione su due registri: uno più complesso destinato agli architetti e
persone colte, un altro più semplici e accessibile per la gente comune.
Tra i protagonisti del postmoderno c’è Philip Johnson, che contraddice il pensiero miesiano nel grattacielo per la
AT&T che torna alla tradizione della scuola di Chicago: tripartizione in base, fusto e coronamento, rivestimento in
pietra e trionfo sommitale del timpano spezzato.
Secondo François Llyotard in “La condizione postmoderna” il mondo contemporaneo è caratterizzato dalla fine e
dal fallimento dei grandi sistemi narrativi che hanno originato l’assetto culturale, ovvero illuminismo, marxismo e
idealismo. Questa condizione corrisponde all’esistenza di diversi giochi linguistici che si sovrappongono e apre a
nuove libertà espressive.
Liberate dalle condizioni dell’international style, le opere del postmoderno sono caratterizzate da forte e libera
carica provocatoria, ma vengono rapidamente consumate da quello sistema della comunicazione visiva e
pubblicitaria che sembravano voler sfidare.

EUROPA: IL RAPPORTO CON LA MEMORIA E CON LA CITTA’ STORICA


In Europa seguiamo diverse e variegate diramazioni, difficili da raggruppare nella categoria del postmoderno.
(seguiamo un criterio generazionale per affrontare i più significativi approcci del momento) → dopo prove nel
Brutalismo come i laboratori d’ingegneria della Leicester university, James Stirling assume il linguaggio
postmoderno con la Staatsgalerie di Stoccarda dove la tradizionale monumentalità del museo viene
provocatoriamente smontata sfilando bugne dai muri e usando elementi funzionali come la pensilina di ingresso, i
corrimano, o i serramenti sovradimensionati e colorati in modo sgargiante. Nel centro di ricerca per le scienze
sociali adotta per le varie parti un catalogo di impianti planimetrici desunti dalla storia: una chiesa a croce latina, un
palazzo seicentesco, un castello medievale con torri angolari, un porticato classico, un campanile rinascimentale ed
un anfiteatro, uniti fra di loro da un sistema di percorsi e da una ironica decorazione in fasce color rosa e celeste.
- Oswald Ungers realizza le sue prime opere in modo essenziale, come la sua casa a Colonia. Propone la centralità
della pianificazione urbanistica desunta dall’analisi della forma urbana; giudica sbagliato il contrasto tra vecchio e
nuovo per proporre un atteggiamento di integrazione e stratificazione. Critica quel filone del MM che riconosce nella
funzione la principale motivazione dell’architettura; rivendica l’autonomia dell’architettura da tecnicismi, da sistemi
produttivi, dalla sociologia, ripartendo da una lettura della triade vitruviana (firmitas, utlitas, venustas) per proporre
un’architettura fatta anche di valori spirituali, di emozioni, che ritorno ad essere concepita come espressione d’arte.
Tra le sue opere più significative troviamo il Museo di architettura di Francoforte, che sviluppa il tema della casa
nella casa, attraverso la trasformazione di una villa del 1901, della quale è mantenuto solo l’involucro esterno, nella
quale sono introdotti i nuovi corpi delle sale espositive, secondo un processo di rispetto della preesistenza
dialogando col passato attraverso forme geometriche e logiche → questo rigore e riduzione dell’architettura a
poche forme si trova in tutte le sue opere e non concede spazio alle derive decorative o citazioniste → il suo
approccio viene definito NEORAZIONALISTA. Termine poco consono però ed edifici come l’Istituto per le ricerche
polari e marine che echeggia l’immagine quasi espressionista di una nave.
- Nell’ambito del programma dell’Internationale Bauaustellung (IBA), promosso sul finire degli anni 70 per
ridisegnare alcune aree della Berlino ovest nel quale vengono coinvolti anche i cittadini, Josef Kleihues si incentra
sul disegno di residenze e servizi riproponendo l’idea dell’isolato tradizione, concetto che il MM aveva considerato
superato. Robert Krier coordinati sei gruppi di architetti per costruire altrettante ville urbane secondo un impianto
simmetrico, con la disposizione degli edifici a base quadrata di sei piani lungo gli assi viari di confine al lotto e un
giardino-cortile al centro. Il fratello, Leon Krier, è protagonista del tentativo di riproporre l’immagine storica della città
europea attraverso ricostruzioni urbane tipiche dei borghi tardo medievali e rinascimentali, sviluppate nel
movimento del NUOVO URBANESIMO che intende reagire al degrado delle nuove periferie urbane razionaliste →
quartieri residenziali di Alessandria e Poundbury.
- Hans Hollein, dallo stile giocoso, è autore nella Strada novissima di Venezia di una delle facciate più provocatorie:
una successione di colonne che, a partire da quella storica in pietra dell’arsenale, si trasformano citando il
grattacielo a forma di colonna dorica di Loos, fino ad annullare la loro stessa essenza: appese all’architrave o
trasformate in siepe; interessante è anche il suo edificio commerciale Hass a Vienna, che, nel centro della capitale
austriaca, si distacca dal partito tradizionale degli edifici vicini trasformando via via un paramento in pietra in una
faccia in vetro a specchio che diventa un volume cilindrico aggettante.
- Il catalano Ricardo Bofill fonda negli 60 un gruppo interdisciplinare di progettazione architettonica e urbanistica (il
Taller de arquitectura) con il quale si cimenta nella realizzazione di quartieri per alloggi sociali. I suoi interventi
diventano emblematici del postmoderno per la loro ricerca esasperata di riferimenti alla tradizione ripresi
dall’architettura rinascimentale e barocca → è il caso dei quartieri residenziali Le espace d’Ambrax di Marne-la-
Vallée e la Place du nombre d’or dive l’intenzione era probabilmente quella di dedicare anche alle classi meno
abbienti un ambiente colto, l’esito, freddo e magniloquente, ricorda le scelte dello stalinismo.

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- una strada per evitare il disurbanismo del razionalismo senza scadere nella monumentalità era stata introdotta da
Christian de Portzamparc con il quartiere di alloggi popolari Hautes-Formes, disegnando una strada e una piazza,
disponendo liberamente alcuni edifici per alloggi, di dimensioni variabili in relazione all’esposizione solare, creando
un ambito urbano gradevole.
- Hans Kollhoff (atteggiamento criticamente legato alle esperienze del MM) integra architettura e urbanistica nei
complessi residenziali di Berlino nell’ambito del progetto IBA. La sua opera radicata nella tradizione, non è mai
citazionista, mai alla moda, piuttosto è basata sull’adozione di un disegno severo di materiali pesanti come la pietra
e il laterizio. Suoi recenti grattacieli: Torre Daimler Chrysler e la Torre main plaza.
- La rilettura della storia ha caratteri specifici nella rilettura di Mario Botta, realizza la sua prima opera, la casa
unifamiliare a Stabio, come omaggio a Le Corbusier. Mostra sensibilità per il contesto e per la tradizione dei luoghi.
Con il centro artigianale di Balerna, Botta collega quattro unità abitative e produttive distinte con un tetto a falde in
ferro e vetro, riuscendo ad assegnare nuova dignità al tipo edilizio del capannone industriale. Nella casa Medici a
Stabio interpreta il tema del volume cilindrico, tagliandolo sul diametro con un vuoto che scende dal lucernario ai
piani inferiori, crea collegamenti e prosegue simmetrico nei due ingressi → in tutte queste opere si ritrova
l’attenzione ai materiali e alla perfezione esecutiva tipicamente scarpiana. La lezione di Kahn si ritrova nella ricerca
di monumentalità che Botta dichiara necessaria per l’architettura, e che fa da sfondo ai progetti pubblici successivi,
dove l’architetto sembra essere meno interessato al contesto. Esempi: blocco per uffici Ransila I dove introduce
tamponamenti vetrati e alla sommità della torre d’angolo colloca un albero. Tra gli incarichi internazionali c’è il
museo di arte moderna di S. Francisco, un parallelepipedo a gradoni in laterizio nel quale è inserito un corpo
centrale tagliato a 45 gradi che porta la luce naturale nella hall d’ingresso, da cui partono tutti i percorsi di visita (il
tema del museo viene affrontato anche MART di Rovereto). Nell’architettura religiosa l’uso delle forme geometriche
diventa strumento per la creazione di ambienti di suggestione: la cattedrale della resurrezione a Evry, un cilindro
tagliato trasversalmente sormontato da alberi, la chiesa di san Giovanni a Mogno con alternanza di granito scuro e
marmo bianco, e il complesso diocesano della chiesa del santo volto dove l’aula centrale è il risultato dell’incastro di
sette torri che ricordano il recente passato industriale della città, testimoniato anche dalla superstite ciminiera di una
fabbrica, integrato come moderno campanile. Integrazione tra vecchio e nuovo tema controverso anche
nell’ampliamento del teatro alla scala di Milano.

LA “RITIRATA” ITALIANA DEL MOVIMENTO MODERNO


Per l’Italia il ritorno alla storia inizia già negli 50. Definita col il termine NEOLIBERTY questa vicenda ha contorni
incerti e accomuna architetti ben diversi tra di loro, appartenenti sia alla generazione che inizia ad operare prima
della 2GM (come Franco Albini, BBPR, Ignazio Gardella, Giovanni Michelucci, Carlo Scarpa), sia alla generazioni
invece formatasi durante la guerra (come Carlo Aymonino, Giancarlo De Carlo, Roberto Gabetti, Aimaro Oreglia
d’Isola, Vittorio Gregotti, Aldo Rossi).
Le ricerche procedono verso una ridiscussione del MM e posizionandosi sul confine incerto tra tradizione e
modernità. I caratteri comuni della corrente si trovano nella persistenza del rapporto con la storia e sono costituiti
dall’attenzione alla tradizione e ai contesti, senza negare però innovazioni strutturali e tecnologiche.
L’architettura spontanea, legata ai contesti rurali e montani, è vista come strumento per scoprire nuove suggestioni
→ l’architettura alpina è approfondita con un aggiornamento tecnologico che non nega la tradizione.
Nel 1954 riprendono le pubblicazioni sulla rivista casabella-continuità, dedicando spazio anche ad architetti non
appartenenti all’empireo dei maestri. Nel n. 215 del 1957 la rivista ospita alcune opere di Gabetti e Isola che
scatenano una polemica intorno alle possibilità di ripensare l’ortodossia razionalista; sarà soprattutto il critico
inglese Banham a denunciare la ritirata dell’Italia dal fronte del MM e parlare di regressione infantile della cultura
architettonica italiana.
Gabetti e Isola vengono criticati soprattutto per la volontà di rivendicare un’autonomia morale e intellettuale,
attraverso la riscoperta del luogo e della tradizione costruttiva artigianale → emblematica è la Bottega di Erasmo,
sede di una libreria antiquaria; compostamente inserita nel contesto urbano ottocentesco, non comporta revivalismi
della storia, quanto piuttosto una nuova cura per il dettaglio, una ricerca di identità e di carattere che dalla ricerca
compositiva e dei materiali si approfondisce anche al disegno degli arredi. La facciata è movimentata da balconcini
e bovindi. Tutti aspetti che appaiono lontani dai dettami del Razionalismo.
L’esaurimento della stagione dei neorealismo sembra coincidere con lo sviluppo del neoliberty → queste sembrano
avere più punti di contatto che differenze: in entrambi i casi si assiste all’adozione di soluzioni compositive e
materiali desunti dalla tradizione, ed entrambi sono caratterizzati dalla ricerca di identità e di rassicurazione
psicologica, anche se si rivolgono a due tipi di pubblico diversi.
Il neoliberty consiste in una rilettura della modernità. Gardella con il reparto taglieria pelo della fabbrica Borsalino
sviluppa attenzione alla salubrità degli ambienti di lavoro pensati in funzione della luce, che si ritrova anche nella
mensa per dipendenti Olivetti. È soprattutto nella casa cicogne alle zattere a Venezia che affronta il tema del
rapporto con la tradizione e la storia, confrontandosi con uno dei contesti più difficili per l’inserimento di architetture
moderne. Si affaccia sul canale della Giudecca senza disturbare il contesto storico attraverso l’adozione di partiture
compositive, materiali e particolari costruttivi che reinterpretano in modo moderno linguaggi e tecniche del passato.
Con atteggiamento altrettanto analogo, Samonà ed Egle Trincanato realizzano gli uffici Inail.
Sempre a Venezia, Carlo Scarpa, con il negozio Olivetto alle Procuratie vecchie propone cura dei particolari e di
scelta di materiali che caratterizza tutta la sua opera. Importanti opere di sistemazioni e allestimenti museografici,

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come presso il castello di Castelvecchio. Tra le sue opere più significative ricordiamo il complesso funebre Brion a
San Vito che appare influenzato dalla culturale orientale zen.
Anche Michelucci si confronta con la storia, sia nei progetti di ricostruzione di Firenze, sia in opere come la Borsa
merci di Pistoia, che mantiene un rapporto con gli edifici storici circostanti attraverso l’equilibrio dei volumi e dei
materiali locali.
Si trovano anche molti percorsi poco classificabili, venati di ironia e disincanto → Ridolfi e Frankl asilo nido a
Canton Vesco; Iaretti ed Elio Luzi casa dell’obelisco; Pietro Derossi edificio residenziale di corso unione sovietica.
La conoscenza del luogo e della sua storia come strumenti del progetto e la revisione critica del MM sono aspetti
fondativi di tutta l’opera di Saverio Muratori. Nell’edificio per uffici Inpdap caratterizzato da portici cerca una
continuità con la città storica bolognese.
Tra queste opere accomunate da legame con la tradizione e dalla ricerca di un dialogo con il luogo, ha un ruolo di
rilievo la Torre Velasca dei BBPR, frutto di un’operazione speculativa realizzata su una piccola area del centro
storico. La soluzione adottata è determinata dalla separazione delle funzioni tra la parte del fusto dedicata ad uffici
e quella della sommità, a maggior superficie, destinata a residenze. Si propone un legame con la torre del Castello
Sforzesco e con l’immagine di un medioevo reinterpretato in modo simbolico. Criticata per il suo impatto nel tessuto
urbano, risulta più accettabile rispetto al coevo grattacielo Pirelli di Giò Ponti e Pier Luigi Nervi, coerente
interpretazione dei canoni dell’international style.

STORIA DELL’ARCHITETTURA E LETTURA DELLA CITTA’


Un bilancio internazionale della ricerca postmoderna si svolge con la mostra La presenza del passato alla Biennale
di Venezia del 1980, organizzata da Paolo Portoghesi. Il catalogo si apre col saggio “La fine dei proibizionismo” con
il quale intende sostenere la necessità da parte degli architetti di rivendicare il riferimento al passato per superare le
difficoltà dell’architettura contemporanea, ormai fatta di rinunce e proibizioni.
Sono individuati venti architetti invitati a realizzare una facciata effimera, tra le colonne della navata centrale delle
corderie dell’arsenale. L’allestimento della strada novissimo consiste nello sviluppo di quelle facciate su strada che
il MM voleva abolire e che invece qui vengono riproposte alla ricerca dell’armonia del rapporto tra architettura e
strada. Attingono dal repertorio della storia ripesando all’eredità del passato al fine di rendere nuovo e attuale ciò
che fino a quel momento era considerato obsoleto e antico. Il risultato si riduce ad esercizi di stile, a ricerche
estetiche e grafiche più o meno provocatorie.
La presa di distanza dal MM apre la strada alla ricerca di continuità tra illuminismo e razionalismo che non consista
nella sola scorciatoia della pura razionalizzazione delle esigenze, ma che si articoli in un percorso di
approfondimento delle ragioni emozionali e delle immagini archetipiche dell’architettura. Queste ricerche danno vita
ad un movimento di idee definito Tendenza, il cui caposcuola è Aldo Rossi.
Rossi con il libro “L’architettura della città” propone una riflessione sulla città come memoria collettiva, generatrice e
custode dei fatti urbani, la cui stratificazione può essere reinterpretata come strumento del progetto. Costruisce
immagini geometriche pure da riportare al presente, arricchite di una metafisica poeticità.
Nel complesso residenziale Monte Amiata al Gallaratese coordinato da Aymonino, la manica di Aymonino rifiuta
ogni riferimento a culture locali e si riconnette alla modernità internazionale, mentre quella di Rossi recupera la
tradizione delle case di ringhiera, dei quartieri operai milanesi e trova forme invariabili nella ripetitività del modulo
quadrato del volume principale.
Con l’ampliamento del cimitero San Cataldo Rossi approfondisce la complessità del rapporto tra memoria dei
viventi e assenza generata dalla morte creando una città di defunti in cui il parallelepipedo svuotato propone un
luogo metafisico di ricongiungimento e di meditazione. Per l’architetto è l’occasione per definire un catalogo di
forme geometriche pure, vocabolario per le opere successive.
Il contributo di Rossi durante la biennale del 1980 consiste nella realizzazione del teatro del mondo, un teatro
galleggiante, ispirato agli antichi teatrini su barche di epoca barocca. Propone un’aggregazione di volumi semplici
con un nostalgico richiamo al mondo gioco dell’infanzia.
Il tema dell’inserimento in contesti urbani costruiti, è più volte affrontato da Rossi, adottando per ciascun caso il
rispetto dell’identità del luogo. Un esempio è il complesso per uffici Casa Aurora di Torino, integrato della tradizione
urbana e architettonica, riconoscibile nel mantenimento dell’isolato.
Nell’ambito del piano coordinato da Rob Krier a Berlino, Rossi realizza una casa di appartamenti e il blocco sulla
Kochstrasse legato al contesto urbano, sia per la conservazione dell’antico isolato, il cui angolo è sottolineato
dall’inserimento di una colonna gigante, sia per la scelta di materiali. Uno degli ultimi progetti riguarda la
ricostruzione di un isolato a Schutzenstrasse dove per spezzare la monotonia del complesso, realizzata una serie di
porzioni di facciate verticali, caratterizzandole con colori e materiali diversi tra di loro → l’attenzione per il luogo e la
storia, l’adozione di volumi semplici, la presenza forte del colore, sono elementi tipici della sua opera.
Parallelamente a quella di Rossi si svolge la carriera di Giorgio Grassi, che metterà nelle sue opere lucidità, rigore,
linearità, apparente facilità di controllo del progetto. La sua cifra è particolarmente riconoscibile nei complessi per
residenze e uffici, tra cui l’ampliamento del politecnico di Milano Bovisa e il blocco per uffici nei pressi di Potsdamer
Platz, dove propone la tipologia della stecca rigidamente squadrata ripetuta ritmicamente con griglia rigorosa delle
aperture. Per Grassi la storia costituisce una stella polare di riferimento irrinunciabile che lo mette al riparo dalle
derive modaiole.
Non sempre però la storia è sufficiente da prendere le distanze dal potere e dalle sue retoriche. Tra i protagonisti
della scuola di Milano, Gae Aulenti sviluppa la sua attività soprattutto nel campo del design; partecipa infatti alla

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mostra del Moma “Italy: The new domestic landscape” nel 1972. La sua opera più significativa è la riqualificazione a
museo della gare d’orsay: nasconde le innovazioni strutturali della stazione sotto un allestimento di grande
ricchezza, in sintonia con l’interpretazione ufficiale dell’opera rivoluzionaria dei pittori impressionisti francesi →
approccio invasivo e indifferente al contesto.

Dall’utopia tecnologica al Decostruttivismo


Nel corso degli 60 si registra un generale miglioramento delle condizioni di vita nei vari paesi. Si ritrova fiducia nel
progresso tecnologico e scientifico al quale si affianca un’importante ripresa economica mondiale. Si ha di
conseguenza lo sviluppo di nuovi materiali e sistemi costruttivi per l’edilizia che portano i giovani architetti ad
avanzare proposte la cui carica utopica e provocatoria è molto vicina a quella delle avanguardie artistiche → si
diffonde un approccio chiamato High Tech i cui protagonisti sono architetti di rilievo internazionale che consolidano i
rispettivi percorsi fino ad oggi, spaziando da un approccio ironico, all’esaltazione tecnologica formale, strutturale e
impiantistica.
La fiducia nel progresso tecnologico è però parzialmente negata dall’approccio decostruttivista, che tende a
registrare le incertezze e contraddizioni degli ultimi decenni in opere di grande fascino formale, basate su un
approccio al progetto innovato dagli strumenti informatici e rivolto a riqualificare spazi urbani nell’ottica della
valorizzazione economica nel mercato immobiliare.

NUOVE AVANGUARDIE, FASCINAZIONE TECNOLOGICA, MEGASTRUTTURE


Tra i precursori della fascinazione tecnologica che colpisce l’architettura è Richard Buckminster Fuller, progettatore
della Dymaxion House una cellula abitativa in alluminio ipertecnologica, a basso consumo energetico e riproducibile
serialmente. Successivamente studia la cupola geodetica, una struttura emisferica composte da una rete di travi
giacenti su cerchi che si intersecano formando elementi triangolari, realizzate con elementi strutturali componibili in
acciaio, rapidamente montabili grazie a nodi spaziali e possono essere ricoperte da vari tipi di teli o gusci plastici
(cupola del padiglione americana per l’esposizione internazionale di Montreal del 1967).
L’inseguimento del futuro e delle novità tecnologiche influenza anche il progetto di disegno delle città, più legato
però alla sfera della fantascienza che a qualcosa di veramente realizzabile. Si propongono metropoli del futuro
secondo un immaginario connesso all’ambiente della pubblicità, della pop art, del fumetto e dei fenomeni di massa.
È il contesto nel quale si forma il gruppo Archigram, formato da 6 architetti inglesi: Peter Cook, Dennis Crompton,
Warren Chalk, David Greene, Ron Herron e Michael Webb. Tra le loro visioni urbanistiche più o meno
fantascientifiche c’è la Plug-in city una città altamente tecnologica nella quale è enfatizzata l’ossatura portante
strutturale e infastrutturale; mentre la Walking city è una città semovente, un incrocio tra megastruttura urbana e
robot.
Nello stesso filone di ricerche si costituisce in Giappone il gruppo Metabolism. Il nome del gruppo fa riferimento a
una concezione della città come organismo vivente metabolico, in continua trasformazione; figura di riferimento è
Kenzo Tange che, nel redigere il piano urbanistico di Tokyo, propone un modello urbanistico incentrato sull’utilizzo
di megastrutture tecnologiche, contenenti i flussi di traffico, della comunicazione e altre funzioni. Altri progetti del
gruppo propongono soluzioni urbanistiche caratterizzate da esagerazioni dimensionali e iper tecnologia, dove sono
determinate le strutture portanti e le infrastrutture energetiche e impiantistiche, ma in cui sia possibile realizzare
unità abitative secondo le esigenze mutevoli degli occupanti. Tuttavia il programma dei Metabolism non si traduce
quasi mai in realizzazioni concrete, ma una visione della possibilità di partire da zero per tendere ad un’utopica
perfezione urbana e sociale.
L’architetto israeliano Moshe Safdie propone l’Habitat 67, un insediamento di 158 cellule abitative realizzate come
scatole in cemento armato apparentemente casualmente accatastate. Il risultato è affascinante ma si scontra con la
difficoltà a rendere davvero flessibili ed economiche le singole cellule.
Nel clima delle megastrutture si sviluppa anche il contributo dell’architetto ungherese Yona Friedman che propone
enormi città sollevate su ponti come risposta all’aumento demografico. Propone una rivisitazione della società in
senso democratico e ripensa la tecnologia in progetti di autocostruzione e di riappropriazione popolare.
Le proposte degli Archigram e Metabolism stimolano in Italia nel 1966 l’opera dei gruppi Superstudio e Archizzom
che possono compresi nell’etichetta di ARCHITETTURA RADICALE come una corrente collocata nel più ampio
movimento di liberazione del 68. La loro elaborazione trova un primo spazio nella mostra Superarchitettura a
Pistoia nel 1966 dove espongono disegni, libri, progetti, fotomontaggi, volantini; sviluppano complementi d’arredo e
progetti a scala territoriale (Momento continuo New New York; No stop city). Lo scopo è quello di promuovere
un’architettura e un design iperbolici derivati dalla cultura pop, attraverso l’insistenza sull’aspetto dell’irrazionalità e
della fantasia, contro la ricerca di concretezza. Ricerca che invece affronta Paolo Soleri: fonda una comunità di vita
e di studio chiamata Arcosanti, incentrata sul progetto e sulla realizzazione di prototipi di insediamenti umani a
grande scale e basso impatto ecologico, secondo la sua teoria dell’arcologia (architettura + ecologia).
Negli 70 in Italia si assiste alla realizzazione di alcuni frammenti urbani ispirati al mito delle megastrutture, dagli
esito però piuttosto problematici: le Vele di Scampia di Francesco di Salvo, il Corviale a Roma e lo Zen di Palermo
di Gregotti. Progettati nell’illusione che la grande dimensione possa costituire una solazione al problema della casa
per i ceti popolari, si sono trasformati presto in luoghi di degrado sociale.

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HIGH TECH TRA TECNOLOGIA ED ECOLOGIA
Le suggestioni degli Archigram si ritrovano in Richard Rogers e Norman Foster, i quali danno vista nel 1966 al Team
4, iniziando con progetti per residenze fino ad arrivare alla loro opera più famosa, la Reliance Control, demolita, un
grande spazio aperto e flessibile, in struttura a vista in acciaio, che segna una svolta nella concezione dell’edificio
industriale, eliminando la divisione tra impiegati e operai e proponendo un’organizzazione del lavoro democratica, in
un ambiente gradevole e luminoso.
Alla fine del sodalizio Rogers progetta la Zip up house, un progetto non realizzato di abitazione adattabile ad ogni
luogo grazie ad un sistema di pilastrini adattabili in altezza, impostata sulla massima libertà di gestione degli spazi
interni e sul risparmio energetico. Emergono da questo progetto dei fattori che rimarranno costanti nel lavoro di
Rogers: la ricerca di soluzioni strutturali alternative in modo da garantire massima flessibilità degli spazi utili,
diversificazione dei servizi rispetto al nucleo dell’edificio, l’attenzione all’uso di elementi tecnologicamente avanzati
per garantire l’ottimizzazione dei risultati.
Con Renzo Piano, Rogers, progetta il Centre Pompidou → manifesto dell’approccio High Tech alla progettazione. Il
concorso internazionale prevedeva la costruzione nel cuore di Parigi di un contenitore culturale tecnologicamente
avanzato e promosso dal presidente George Pompidou. Il Centre, conosciuto anche come Beaubourg, è un
parallelepipedo nel quale cinque solai a piastra sostenuti da colonne e travi reticolari in acciaio, ospitano l’ingresso
aperto al pubblico al piano terreno, una mostra d’arte contemporanea permanente, uno spazio per mostre
temporanee, un ristorante, una biblioteca, un’emeroteca e altre attività culturali, secondo principi di flessibilità che
ne fanno un edificio vivo, in costante mutazione. All’esterno le strutture portante, le scale mobili e gli impianti sono
violentemente accentuati e colorati. Le prese d’aria esterne a forma di grandi maniche a vento disposte a chiusura
dell’area antistante l’edificio, delimitano una piazza, quasi un anfiteatro, che gioco un ruolo di punto di incontro e di
connessione tra la città e il centre.
Pochi anni dopo Rogers realizza un’altra opera emblematica dell’approccio high tech: la sede dei Lloyd’s di Londra,
l’edificio per uffici è caratterizzato da una struttura in calcestruzzo armato con uno spazio vuoto a tutta altezza su
cui si affacciano sei piani di uffici open, mentre la copertura a botte in ferro richiama il Crystal Palace. Esternamente
sei torri rivestite in acciaio contengono servizi, ascensori… forte è il contrasto tra il centro storico e l’esibita
tecnologia.
L’opera di Rogers si sviluppa poi affrontando diversi temi progettuali da quelli urbanistici alle grandi infrastrutture,
agli edifici istituzionali. Tra gli edifici simbolici assume un ruolo particolare il Millenium Dome uno spazio realizzato
per celebrare il nuovo millenni: si tratta di una tensostruttura in teflon e fibra di vetro sostenuta da 12 pilastri di
100m e da 70km di cavi in acciaio.
Dopo allo scioglimento del Team 4, Norman Foster dà vita ad uno studio; tra le prime opere realizzate è la sede
della Willis Faber & Dumas. L’opera più emblematica dell’approccio high tech è la Hong Kong & Shangai Bank un
grattacielo per uffici caratterizzato dalla massiccia struttura, in calcestruzzo armato e acciaio, calcolata per resistere
ai terremoti, espressa nei suoi pilastri d’angolo, nelle travi principali e negli irrigidimenti a croce, coronato sulla
sommità dalla esibita presenza dei meccanismi di pulizia e di manutenzione. Concepito come un gigantesco open
space con gli spazi di lavoro che si affacciano sul vuoto centrale.
Il rapporto con il contesto è affrontato da Foster con il Carré d’art che si confronta con la vicina Maison Carré, un
tempio romani prostilo del I sec d.C.; consiste in un museo di arte contemporanea, biblioteca e mediateca,
completamente vetrato e con leggera struttura in acciaio a vista, analogo per proporzioni al monumento antico.
Negli anni 90 lo studio Foster progetta numerosi edifici alti tra cui la sede della Commerzbank di Francoforte,
oggetto di uno studio specifico rivolto al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale. Temi affrontati anche
nell’utopica Millienium tower di Tokyo.
L’opera forse più importante di Foster è il restauro e la rifunzionalizzazione del Reichstag, si aggiudica il concorso
internazionale proponendo un intervento attento a conservare le tracce della storia, reintegrando le parti distrutte e
riproponendo in una nuova versione trasparente la cupola ottocentesca in ferro e vetro, che diventa percorribile
tramite una rampa; da questa il pubblico ha una panoramica suggestiva sulla città, ma può anche vedere la sala del
parlamento e le sue attività, in un’ottica di democrazia e trasparenza che era già stata sottolineata nei suoi edifici
pubblici. Pone anche qui l’attenzione alla sostenibilità energetica e ambientale.
A Londra Foster progetta alcuni edifici destinati a diventare icone dell’high tech come la nuova City Hall con guscio
in ferro e vetro, e la Torre della Swiss Re, un grattacielo per uffici chiamato il cetriolo per la sua forma cilindrica e
affusolata. La struttura perimetrale a traliccio in calcestruzzo armato permette di liberare le piante dei vari piani da
elementi portanti e di caratterizzare il rivestimento con lastre di vetro a losanga.
L’opera di Foster, nonostante sia collocabile nell’ambito dell’esaltazione tecnologica, non sottovaluta le ragioni
dell’ecologia.
Il Centro Pompidou rappresenta anche per Renzo Piano la notorietà internazionale. Le prime sperimentazioni di
Piano sono incentrate sulle possibilità tecniche, espressive e strutturali di materiali non consueti quali le plastiche e
le strutture in tensione. Sin da subito manifesta un approccio al progetto aperto e antiaccademico e si fonda sulla
profonda conoscenza dei materiali, sviluppata attraverso la sperimentazione e le lavorazioni artigianali, con la
consapevolezza dell’impatto sull’ambiente naturale e nel contesto → ne è un esempio il Museo de Menil a Houston,
che si inserisce nella periferia urbana americana con un volume di un solo piano rivestito di doghe in legno
verniciato; il bisogno di illuminare le opere esposte in modo controllato, porta, dopo diversi studi, ad elaborare un
sistema di coperture a foglie di ferrocemento che consente di graduare l’intensità della luce del sole.

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Nel 1982 la nascita del Renzo Piano Building Workshop, con sedi a Genova, New York e Parigi, esprime
l’organizzazione del lavoro dell’architetto: dall’internazionalità dei collaboratori alla tradizione dell’esperienza di
bottega. Non è ovviamente possibile rendere conto delle centinaia di progetti realizzati dallo studio. Tra i progetti più
impegnativi da un punto di vista tecnologica c’è il terminal dell’aeroporto internazionale di Kansai di Osaka, costruito
su un’isola artificiale.
Un intervento che attualizzata la tradizione e la spiritualità più antica e più lontana dalla cultura occidentale è il
Centro culturale J.M. Tjibaou a Noumea in Nuova Caledonia, destinato alla cultura delle popolazione Kanak del
Pacifico. Vince un concorso internazionale proponendo un villaggio in capanne realizzato con i materiali del luogo,
gusci in legno dall’apparenza arcaica ma dotati di tutte le opportunità tecnologiche, basati sull’uso sostenibile delle
risorse e integrati nell’ambiente naturale e nel paesaggio del luogo.
Tra le opere più recenti il Parco della musica di Roma, dove organizza un complesso destinato ad auditorium in tre
edifici dalla differente capienza, pensando le sale come strumenti musicali, come delle casse armoniche in legno
coperte da gusci in piombo. I tre volumi si affacciano su un’arena per gli spettacoli all’aperto. Nella sala più grande
pone l’orchestra al centro, che richiede risoluzione alle problematiche acustiche ma di grande effetto spettacolare.
Anche Piano si dedica ad edifici alti tra cui la London Bridge tower, detta la scheggia, dal profilo slanciato e
tagliente.
Riesce sempre a preservare un approccio personale e distintivo legato alla conoscenza dei luoghi, dei popoli e
delle loro memorie che tende porsi come antidoto alla globalizzazione, riuscendo a trovare una sintesi tra
tecnologia, natura e processo creativo.
Un approccio tecnologico fantasioso lo ritroviamo nel francese Jean Nouvel. L’opera che lo consegna alla notorietà
internazionale è la sede dell’Institut du monde arabe di Parigi, sulla Senna, sede di conferenze, biblioteca,
ristorante e uffici, progettato in un clima di dialogo con le culture extraeuropee. L’elemento più noto è la facciata
sud, caratterizzata da pannelli metallici traforati secondo un disegno arabeggiante, ma realizzata con diaframmi
meccanici regolati da cellule fotoelettriche che dosano l’ingresso della luce. Si occupa a Lione dell’ampliamento e il
restauro dell’Opera, che si basa sul rispetto dei prospetti dell’antico edifico ma l’addizione contemporanea è
evidenziata nella grande volta a botte in acciaio rivestita da pannelli in vetro serigrafato che ospita gli spazi per le
prove e i servizi.
Il tema del museo di rilievo internazionale è affrontato con l’ampliamento del Centro d’arte regina sofia di Madrid e
con il museo quai branly di Parigi. Nel primo l’espansione si collega alla preesistenza con nuovi volumi e con
un’ampia copertura che incorpora il tutto e crea una piazza coperta; nel secondo articola le sale destinate alle arti
primitive extraeuropee secondo percorsi di visita destinati ai vari continenti, indicati da diversi materiali e colori dei
pavimenti e dei rivestimenti. L’articolazione delle sale si riflette nel movimento dei volumi esterni che si affacciano
su uno spazio verde.
I progetti della torre senza fine (che si doveva realizzare nella zona della Defense) costituisce la base per la Torre
Agbar di Barcellona, con impostazione a pianta circolare che si rastrema a ogiva verso la sommità. Ha una pelle di
vetro dotata di sensori per la regolazione delle schermature interne e di un sistema di illuminazione a led che lo
decorano → l’approccio di Nouvel si basa sul design più sofisticato, sulla scelta di materiali e soluzioni progettuali
ipertecnologici, sull’attenzione ai cambiamenti dell’epoca e sulla capacità di interpretare gli aspetti evocativi
dell’architettura come strumenti di comunicazione.
Santiago Calatrava unisce la creazione artistica al rigoroso calcolo matematico delle strutture. Lo studio delle forme
della natura e del corpo umano costituisce l’approccio da cui prende spunto per elaborare soluzioni architettoniche
e strutturali → stazioni ferroviarie di Lucerna e Zurigo, aeroporto-stazione di Lione Satolas. È però nelle serie di
ponti e passerelle pedonali che Calatrava trova la sintesi più riuscita tra sfida strutturale e ricerca estetica facendo
della forza dei flussi di scorrimento elemento di configurazione di soluzioni strutturali avveniristiche e inaspettate e
che diventano anche pretesti per la valorizzazione urbana → in Italia, nonostante gli altissimi costi di produzione, il
ponte su Canal Grande dimostra la sensibilità dell’architetto nell’intervenire in modo non aggressivo e rispettoso in
un contesto difficile.
Gli spazi della cultura destinati a richiamare un vasto pubblico sono alcune delle opere emblematiche di Calatrava:
come la città delle arti e delle scienze di Valencia, un complesso destinato alla cultura e allo svago costruito sul letto
del fiume Turia. Comprende il palazzo dell’arte, il museo della scienza, l’humbracle (una passeggiata panoramica
coperta), il parco oceanografico, l’hemisferic (uno spazio per proiezioni) e il pont de l’assut de l’or, tutte opere
avveniristiche e visionarie.
L’edificio alto è affrontato da Calatrava il Tourning torso di Malmo, una torre per edifici e appartamenti caratterizzato
da una sovrapposizione dei blocchi di 5 piani ciascuno leggermente ruotato rispetto al sottostante, come vertebre
della spina dorsale umana in torsione.

DECOSTRUTTIVISMO TRA FILOSOFIA E MERCATO


Alla fine degli anni 80 la società ormai globalizzata sembra aver perso riferimenti filosofici e politici; tra gli interpreti
di questo disagio il filosofo Jacques Derrida elabora il concetto di decostruzione, a proposito della impossibilità di
ottenere un significato univoco dai testi e dal linguaggio. Propone l’esame delle sfumature, delle parti nascoste fra
termini opposti. In architettura questo corrisponde alla fine delle certezze del MM, già proclamata dal Postmoderno,
per quanto riguarda la sua incapacità di dare soluzione ai problemi della città e dell’abitare, per la superata
coincidenza tra funzione e forme, per l’insoddisfacente scelta estetica della purezza dei volumi come cifra della
modernità… l’architettura vuole registrare l’incertezza e la provvisorietà della società attraverso un accostamento di

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espressioni e di deformazioni che sovvertono ogni ordine gerarchico, non secondo un processo di demolizione ma
attraverso un linguaggio che offra molteplici interpretazioni, tutte compresenti e accettabili → gli elementi che
emergono sono il contrasto, la complessità e il rifiuto di gerarchie.
Questo approccio all’architettura trova un riconoscimento ufficiale nella mostra “Deconstructivist architecture” del
1988 al Moma, durante la quale vengono invitati Frank O. Gehry, Peter Eisenman, Bernard Tschumi, Rem
Koolhaas, Daniel Libeskind, Zaha Hadid. Dal loro lavoro emerge una tendenza progettuale che riprende alcuni
aspetti della ricerca delle avanguardie di inizio secolo.
- Frank O. Gehry si affaccia alla notorietà con la casa ristrutturata per se stesso, dove decostruisce una tipica
villetta monofamiliare americana con tetto a falde attraverso inserimento di aperture oblique, lucernari e aggetti
realizzati con lamiere, reti metalliche e legname, materiali di recupero che danno una nuova immagine alla casa,
secondo un disordine compositivo in sintonia con l’incertezza della contemporaneità → prosegue la strada verso la
dissoluzione del volume compatto e sul rifiuto delle gerarchie tradizionali. Aspetto tipico dell’architettura di Gehry è
la plasticità dei volumi e l’adozione di materiali inusuali; la sua è una ricerca assimilabile a quella degli scultori.
Nella casa danzante o “Ginger e Fred” di Praga, in continuità con un isolato tradizionale, dà vita alla danza di due
corpi di fabbrica, uno in vetro e l’altro opaco, allacciati in un abbraccio che ironizza sulle possibilità espressive
dell’architettura contemporanea e sui caratteri storici dell’architettura mitteleuropea di inizio 900.
L’opera che consegna Gehry alla fama internazionale è il museo Guggenheim di Bilbao, fulcro di un’operazione di
rilancio economico e sociale della città in crisi, fatta coinvolgendo anche altri architetti di fama. Destinato ad
accogliere opere di arte contemporanea, è pensato esso stesso come una scultura, sviluppata in una successione
di volumi che poggiano su un basamento in pietra e si sviluppano liberamente nello spazio, reagendo alla luce e al
vento col vibrare della loro superficie, rivestita di sottili lastre in titanio. I percorsi interni sono disposti come petali di
un fiore che si aprono dall’atrio illuminato dall’alto (simile al suo omologo newyorkese). Numerose sono anche le
innovazioni tecnologiche di cantiere: dalla progettazione strutturale che si è avvalsa per la prima volta di un
avanzato sistema di calcolo e di rappresentazione grafica per il computer elaborato dalla NASA, all’uso di materiale
innovativo come il titanio, il cui prezzo si è abbassato grazie alla sua massiccia produzione.
Nella vasta produzione internazionale dello studio di Gehry si ricorda anche l’Experience music project un museo
dedicato alla musica americana e in particolare a quella di Jimi Hendrix → nell’ambito dell’approccio decostruttivista
l’opera di Gehry presenta la specificità di un’architettura che diventa scultura, basata su scenari aperti nel calcolo
strutturale delle applicazioni dell’elaboratore elettronico e dall’uso di nuovi materiali, dimostrando la possibilità di
sviluppo della creatività.
- Peter Eisenman trova nello studio di Terragni un riferimento per elaborare un metodo combinatorio di elementi
lineari e griglie. La sua ricerca appare complessa e nascosta, quasi astratta. Il suo contributo è più riferibile al
decostruttivismo a partire dal complesso residenziale IBA al Check Point Charlie di Berlino, dove le piante e le
facciate sono frutto di sovrapposizioni e disassamenti di griglie.
Tra gli strumenti del suo lavoro Eisenman assegna alla matematica un ruolo crescente che gli consente di
identificare sequenze di misure e rapporti proporzionali, processo desunto dal codice del DNA.
La relazione tra studio scientifico e architettura è alla base di numerose sue partecipazioni a concorsi internazionali.
Tra le opere realizzate più significative vi è il Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa a Berlino, che si colloca
sul confine tra architettura, scultura e disegno a scala territoriale; una distesa di circa 2700 blocchi in cemento
armato di misure costanti e altezze diverse, è ordinata in file parallele e perpendicolari su una superficie
leggermente ondulata. Nell’addentrarsi in questa specie di labirinto si vive una sensazione di angoscia e
sofferenza,.
Opere a scala territoriale possono essere la Great colombus convention center e la Città della cultura della Galizia
a Santiago de Compostela, un centro culturale articolato in vari fabbricati adagiati su un rilievo collinare che
diventano essi stessi parte del rilievo; la loro configurazione topografica è il frutto della sovrapposizione della
planimetria del nucleo storico di Santiago con una griglia cartesiana e delle loro deformazioni dovute alle differenze
di quota.
- Un’analoga sovrapposizione di layer si trova nel parco de la Villette di Parigi di Bernard Tschumi. La
trasformazione di un’area periferica abbandonata in un parco del XX sec, luogo di piacere e memoria, comprende il
riuso di diversi edifici. Sovrappone alle trame ancora riconoscibili del territorio una serie di griglie determinate dalle
infrastrutture e dalle nuove funzioni. Una lunga pensilina ondulata in lamiera e struttura in acciaio accompagna il
visitatore e collega i vari servizi accolti in piccoli edifici, le folies, progettati a partire da un’unica matrice cubica
variamente deformata → destabilizzazione, contaminazione, frammentazione, disarmonia compositiva, sono gli esiti
di un intervento che resta emblematico dell’approccio decostruttivista e che svilupperà in molte altre opere.
Il museo dell’Acropoli di Atene è costituito da una sovrapposizione e sfalsamento di volumi geometrici semplici che
generano uno spazio coperto a doppia altezza che include i resti archeologici. Elemento di cesura e di
collegamento tra la città nuova e quella antica, riprende con le colonne in cemento armato a vista i motivi del
tempio. Opera non esente da critiche che ne ammoniscono l’invadenza in una zona storica delicata.
- Koolhaas fa della comunicazione irriverente e della riflessione provocatoria i suoi principali strumenti di lavoro. Nel
1975 per favorire la conoscenza dell’architettura contemporanea costituisce a Londra l’OMA (office for metrpolitan
architecture). Realizza davanti all’edificio di Eisenman a Berlino il residenziale checkpoint charlie per l’IBA,
distaccandosi completamente dal contesto con l’arretramento del fronte su strada, la copertura in calcestruzzo
armato a vista a sbalzo ma non allineata e la facciata con finestre a nastro. La volontà di disordine, l’affastellare
citazioni e rimandi, indipendentemente dal luogo e dal tempo, si ritrova nella sua pubblicazione più importante

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“S,M,L,XL” che raccoglie schizzi, foto, progetti... → tra le riflessioni vi si trova quella sulla BIGNESS, la grande
dimensione, descritta come una condizione dell’architettura contemporanea che è sempre entrata in conflitto con la
città, indifferente e nemica del contesto. Per Koolhaas questa dimensione non è negativa, anzi la possibilità che
tutti i luoghi si assomiglino non è un problema, ma un inevitabile destino ricco di opportunità. Da ciò arriva la sua
idea di città generica, la conurbazione di milioni di abitanti destinata a diffondersi ovunque e dove l’unica attività
collettiva è fare acquisti.
Koolhaas diventa un fenomeno mediatico internazionale che si traduce in incarichi importanti, come il piano
urbanistico per Euralille, un nuovo fulcro urbano collegato tramite ferrovia tra Francia, Belgio e Gran Bretagna, dove
coinvolge diversi architetti.
Accettando come inevitabile la deriva dello shopping come fenomeno di massa e del disordine urbano come esito
di un capitalismo senza regole, Koolhaas è funzionale alla costruzione dell’immagine di grandi marchi. Esplora la
grande dimensione in numerose opere tra il grattacielo della China central television. Koolhaas descrive lo spazio
della contemporaneità come spazio spazzatura.
Incaricato della cura della mostra biennale di architettura di Venezia nel 2014 ha individuato col titolo
“Foundamentals” l’indagine sulle parti costitutive dell’edificio (atrio, scale, balconi, porte, servizi, tetto) con un
approccio tra storia e documentazione tecnologica molto concreto.
- Libeskind: le sue prime proposte partono dai segni grafici realizzati con tecniche diverse, il cui intreccio fa scoprire
spazi e forme normalmente invisibili, e apre nuove possibilità di creazione architettonica, grazie al processo di
frammentazione. Giocosamente invadente nel paesaggio è la passerella e osservatorio nel parco di Uozo in
Giappone, un percorso aereo a zig zag in acciaio e cemento armato rivestito in alluminio colorato di rosso e sorretto
da pilastri variamente inclinati.
La notorietà internazionale con il Museo ebraico di Berlino. L’impianto planimetrico è costituito da una linea
spezzata originata dalla sezione della stella di Davide. L’accesso al museo avviene attraverso l’edificio preesistente
e costringe il visitatore ad un percorso sotterraneo che lo conduce alla Torre dell’Olocausto, uno spazio vuoto a
tutta altezza, delimitato da una pianta irregolare e da pareti inclinati, fiocamente illuminato da tagli sulla sommità; il
visitatore è portato a vivere una sensazione di smarrimento e solitudine. Il percorso continua in altre sale espositive
e spazi vuoti che richiamano l’assenza delle persone che sono state cancellate. All’esterno il fronte spezzato
solcato da tagli drammatici del rivestimento in zinco si collega al giardino dedicato a E.T.A. Hoffmann: una selva di
49 pilastri di calcestruzzo armato sormontati dagli ulivi della terra santa affondano su un piano di calpestio in grosse
pietre che rende incerto il passo, riproducendo la sensazione di squilibrio provata dagli ebrei durante la diaspora
(vuole essere un museo su tutta la storia degli ebrei) → si tratta di un’architettura sensoriale, efficace nella sua
comunicazione.
Nel campo museale si ricordano altre estensioni di musei esistenti, come nel Denver art museum un edificio di Giò
Ponti, cui accosta un incastro di punte acuminate protese nel vuoto → il linguaggio di muri inclinati, degli angoli
acuti, delle finiture in calcestruzzo a vista o in acciaio inossidabile viene applicato a tipologie di edifici diversi.
La fama di architetto antiretorico è alla base della sua vincita del concorso per il master plan per la ricostruzione del
World Trade Center dopo l’attentato dell’11 settembre, che prevede la Freedom tower, un grattacielo in acciaio e
vetro di 541m in omaggio dell’anno dell’indipendenza americana e altri edifici, con un’attenzione costante per il
ricordo dell’evento: tra cui un’area verde come giardino della memoria, il mantenimento degli invasi delle due torri
trasformati in vasche d’acqua, un museo e un fascio di luce che ogni anniversario ricordi il momento dell’attacco
(progetto ripensato poi da David Childs con l’aggiunta di spazi commerciali, perché gli investitori avevano paura di
un mancato ritorno economico).
- In Italia è previsto l’insediamento residenziale Citylife volto a riqualificare la zona dell’ex fiera in occasione
dell’esposizione internazionale nel 2015. il progeto prevede le torri di Hadid e di Isozaki, e quella di Libeskind dalla
forma ripiegata che vorrebbe ricordare il profilo della Pietà Rondanini.
Zaha Hadid parte da una rilettura delle ricerche grafiche costruttiviste e dei suprematisti russi; con la stazione dei
pompieri del Vitra Museum icona del decostruttivismo, la sua interpretazione cinetica delle pareti in vetro e
calcestruzzo che si proiettano nello spazio in più direzioni, rende inutilizzabile l’edificio per la sua destinazione, che
diventa museo di se stesso e galleria d’arte. Ricordiamo il museo delle arti del XXI secolo a Roma (MAXXI) e la
nuova stazione di Napoli Afragola → caratteristica emblematica dell’attività di Hadid è la progettazione parametrica,
sistema che lega le forme geometriche a parametri matematico/informatici di controllo e il movimento delle linee
determina forme inaspettate e fluide che partono dai luoghi e dalle funzioni, si aggregano nell’edificio e continuano
a scorrere in traiettorie sul territorio.
- Infine la Cooperative Himmelblau si fa notare per un intervento piuttosto modesto: la ristrutturazione di un locale
nel sottotetto di un palazzo ottocentesco con un’estroflessione in ferro e vetro che dà luce alla sala riunioni di uno
studio legale. Mettono qui in discussione un edificio storico nel centro urbano: un’operazione discutibile, ma che
propone una riflessione sul rapporto con il contesto e sull’uso della tecnologia proposto in modo quasi domestico.
Nella sede della BMW di Monaco l’obiettivo è di colpire il pubblico attraverso forme inusuali e dimensioni notevoli.
La rampa di accesso dei veicoli sospesa nell’aria e la struttura in acciaio, risultato dell’avvitamento su se stesso di
un traliccio, è frutto di sorpresa.
La frantumazione dei prospetti, l’incertezza delle composizioni, le forzature strutturali di molte opere che connotano
il decostruttivismo, se da un lato affondano le radici nella ricerca dell’avanguardia di inizio 900, dall’altro sono
funzionali alla identificazione di immagini di successo, adatte allo star system internazionale dell’architettura. Se il
costruttivismo russo si proponeva di collaborare a costruire una nuova società, il decostruttivismo sembra essere la

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trasposizione, in termini di successo mediatico, delle più aggiornate possibilità tecniche e formali di un’architettura
finalizzata al consumo e al profitto.

Global architecture vs local architecture


Gli ultimi decenni hanno visto trasformazioni epocali e spesso negative di una società ormai globalizzata
(soprattutto per quanto riguarda il clima e paesaggio). Tuttavia la consapevolezza della necessità di un progetto
responsabile nei confronti della società e degli ecosistemi non è sempre al centro della scena dell’architettura
internazionale. A fronte di questi processi distruttivi, il cui controllo è in capo a scelte politiche ed economiche, ci
sono architetti che cercano di elaborare un’architettura di qualità che rispetti l’ambiente e la cultura dei luoghi e che
si oppone alla globalizzazione distruttiva. La loro convinzione di fondo è che la ricerca scientifica e le innovazioni
tecnologiche possano giocare un ruolo importante nello sviluppo sostenibile.

I LIMITI DELLO SVILUPPO: SOSTENIBILITA’ SOCIALE E AMBIENTALE


La consapevolezza della finitezza delle risorse e dei rischi di distruzione dell’ambiente si scontra con la difficoltà ad
avviare delle politiche mondiali basate sul concetto di SOSTENIBILITA’, ovvero sull’adozione di processi produttivi e
distributivi in grado di soddisfare i bisogni attuali senza compromettere le capacità delle generazioni future. Nei
problemi di distruzione dell’ambiente sono direttamente coinvolte architettura e urbanistica, coinvolte nella ricerca di
soluzioni.
Lo sviluppo di una ricerca scientifica e di una tecnologia rispettose coinvolge prima di tutto la conoscenza e la
pianificazione dei territori, risorse indispensabili e delicate considerati non rinnovabili. Altro punto fondamentale è
quello del bisogno di riuscire a consegnare al futuro la memoria del passato come segno di identità nella quale
riconoscersi. Se le testimonianze del passato fossero cancellate di rischierebbe un presente senza storia. È questo
uno dei rischi a cui è esposta la società contemporanea definita liquida, cioè dell’effimero, del precario. I documenti
del passato sono la nostra memoria collettiva, che dà vita a musei, archivi, biblioteche… secondo un processo di
consapevolezza culturale. Il territorio antropizzato, con la sua stratificazione di architetture, infrastrutture,
insediamenti è il forziere nel quale sono custoditi i documenti che raccontano la nostra vita di uomo.
Nell’attuale epoca di globalizzazione e di finanziarizzazione del sistema economico, la rapida trasformazione di
paesaggi naturali e urbani senza una riflessione approfondita, porta alla perdita di elementi di qualità ambientale e
culturale. Nei paesi emergenti (ma anche nei paesi dell’occidente sviluppato) si verificano dinamiche devastanti per
il territorio e si rischia di cancellare l’identità di intere comunità.
La consapevolezza intorno alla tutela del patrimonio storico è una grandissima conquista della modernità, che si
può estendere dalla riconoscibilità della stratificazione storica dei territori, fino al più ampio concetto di paesaggio
come diritto dei cittadini. Si pone la riflessione e l’azione sui temi della sostenibilità sociale e ambientale del
progetto. La distruzione del passato, la costruzione di quartieri tutti uguali, senza rapporto con il contesto, privi di
specificità e di qualità urbana è alla base della trasformazione dei luoghi in non-luoghi, cioè spazi spersonalizzati e
uguali in tutto il pianeta.
Nonostante il dibattito su questi concetti, la loro messa in opera non è per niente scontata. Anche in un paese come
l’Italia, che vanta una lunga tradizione di tutela del patrimonio, si manifesta difficoltà nel maturare progetti
sostenibili.
Il confronto su questi temi vede diversi approcci, da quelli più radicali come il movimento per la decrescita, a quelli
volti ad modifica solo parziale del sistema, tra cui quella per la green economy e per il suo ulteriore sviluppo, la blue
economy che prevede di raggiungere l’obiettivo zero emissioni. A questo filone si riferisce il concetto di biomimesi,
all’incrocio tra biologia e tecnologia, formulazione con la quale si vuole sottolineare che il progetto può trovare in
natura tutte le soluzione ai problemi. La sua evoluzione è la progettazione sistemica che si propone di sviluppare
processi produttivi in grado di eliminare la produzione di rifiuti attraverso un sistema in cui gli scarti di un processo
possano essere utilizzati come materie prime in un altro processo.

LUOGHI E NON LUOGHI, CONTESTO E INSERIMENTO


Il rapporto tra contesto e nuovo inserimento è uno dei temi che più interessa l’architettura contemporanea. La
negazione del contesto e della storia, propria del MM, è messo in discussione all’interno stesso della modernità fino
a rivendicare un’adesione alle culture locali, alla memoria degli abitanti, alle loro relazioni sociali ed affettive. Ci
troviamo ora davanti ad un panorama frammentato e diramato costituito da singoli progettisti.
- Rafael Moneo Valls → sottolinea nelle sue architetture la concretezza fisica dei volumi, l’utilizzo del materiali
tradizionali, il rispetto delle preesistenze, basandosi sulla conoscenza approfondita della storia dei luoghi.
Museo di arte romana di Merida
Stazione di Atocha a Madrid: accosta un nuovo terminal articolato su piani orizzontali alla costruzione di metà 800
restaurata e trasformata in giardino d’inverno.
Estensione del municipio di Murcia: dialoga sulla piazza con la cattedrale del XVI secolo e palazzo vescovile.
Ampliamento del museo del Prado: i, volume seminterrato con copertura a giardino, ingloba il chiostro
cinquecentesco vicino, trattato come un’opera d’arte esposta e restituito a una nuova funzione. Al di sotto si
sviluppano tre piani espositivo ipogei, illuminati da lucernario.
- Alvaro Siza Vieira → studio dell’architettura popolare portoghese come strumento di attualizzazione del progetto
che integra con gli insegnamenti del MM.
Quartieri popolari di Sao Victor e Bouça

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Interventi residenziali di Berlino Kreutzberg
Centro Gallego di arte contemporanea di Santiago de Compostela: volumi compatti e rivestimento in granito locale
come elementi per rapportarsi con il luogo e con il convento preesistente.
Nel 1992 vince il Pritzker price per il ridisegno del quartiere Chiado di Lisbona.
Padiglione del Portogallo per esposizione di Lisbona del 1998: tema della monumentalità. Tra due portici
architravati rivestiti di lastre di Lios, pietra tipica di Lisbona, stende su tiranti un sottile foglio di calcestruzzo armato
che copre come un lenzuolo incurvato una piazza pubblica.
La penisola iberica ha formato una generazione di progettisti che ha imboccato la strada di un’architettura di qualità
e di attenzione ai luoghi.
- Peter Zumthor → approccio di tipo artigianale che non rifiuta la tecnologia. Uso del legno, della pietra
Copertura degli scavi archeologici di Coira.
Cappella di Sogn Benedetg in Svizzera.
Stabilimento termale di Vals: la pietra estratta in loco viene trattata in modi diversi; rapporto tra pietra, acqua e luce.
Kunst house (casa delle culture).
- Jacques Herzog e Pierre de Meuron → ricerca minimalista e legata all’ambiente. Importanza assegnata allo studio
dei materiali di rivestimento e alla loro percezione in rapporto col contesto.
Stabilimento Ricola: ripetizione della serigrafia di una foglia sul tessuto di pannelli traslucidi in policarbonato crea
diverse situazioni percettive.
Nuova sede della Tate Modern Gallery: riconversione di una stazione termoelettrica di cui è conservata la struttura,
mentre negli interni il progetto espositivo semplice e puro valorizza le opere.
Galleria d’arte contemporanea Caixa Forum di Madrid: all’interno di una centrale idroelettrica dismessa il cui guscio
in mattoni è oggetto di tutela e quindi lo conserva, ma staccato da suolo e integrato da un’espansione superiore
rivestita in acciaio patinato.
Sala per concerti della Elbphilarmonie di Amburgo: riutilizza un deposito ottocentesco, al di sopra della struttura
originale è collocata la sala per concerti con orchestra al centro. Il nuovo corpo, disegnato come una tenda e
rivestito in vetro, riflette l’acqua e il cielo durante il giorno, mentre di notte viene illuminato.
Stadio Allianz di Monaco (rivestimento di cuscini in materiale plastico) e Stadio di Pechino (intreccio di elementi
strutturali in acciaio che danno vita ad un nido): realizzati in occasioni di importanti eventi.

RICERCHE DALL’ALTRA PARTE DEL MONDO: AUSTRALIA E GIAPPONE TRA ECOLOGIA E TRADIZIONE
L’australiano Glenn Marcutt sottolinea la ricchezza e la forza della natura. I suoi riferimenti più diretti si rintracciano
nei ripari temporanei in foglie e corteccia di alberi aborigeni e nelle costruzioni rurali dei coloni australiani. Il suo
metodo progettuale è chiamato FUNZIONALISMO ECOLOGICO e si basa sull’uso di tecnologie povere e materiali
semplici. Pone l’attenzione ai fattori ambientali utilizzati per evitare l’uso di tecnologie inutili e progettare in funzione
del risparmio energetico. L’architetto è l’espressione ante litteram della ricerca che verrà definita
BIOARCHITETTURA, filone del progetto che persegue la sostenibilità ambientale, con l’obiettivo di arrivare a
progettare edifici passivi, con bilancio energetico nullo o addirittura positivo. Marcutt sviluppa anche la pratica
dell’autocostruzione.
Le opere di volta in volta si adattano e rapportano alla vegetazione a alla fauna del luogo, alle esigenze del
committente, adottando spesso una tipologia a padiglione longitudinale. I suoi edifici si prestano ad essere
modificati nel tempo a seconda delle esigenze. Esprime consapevolezza nei confronti dei problemi del mondo
globalizzato, mal al tempo stesso afferma la necessità dell’impegno personale per il miglioramento delle condizioni
di vita a partire da scala locale.
Casa Marie Short: recupera un edificio preesistente smontando e riutilizzando alcune parti in legno locale e
proponendo una copertura in lamiera tipica dei granai.
Casa Magney: affaccio sull’oceano Pacifico.
Casa presso le Blue Mountains: si rinchiude alla vista dell’esterno per creare un ambiente intimo richiesto dalla
committenza.
- Giappone: paese dove paesaggio e natura rivestono un ruolo importante, ma dove è operante anche la
persistenza di antiche tradizioni, in dialettica con violenti processi di modernizzazione → l’opera di Tadao Ando si
presta ad essere letta come un ponte ideale tra tradizione e attualità, sullo sfondo del dialogo tra occidente e
oriente.
Le influenze reciproche tra MM e architettura giapponese sono note: i maestri del MM erano affascinati dalla
semplicità e dall’essenzialità della casa tradizione giapponese, le cui proporzioni sono regolate in piante e in alzato
dalla misura del tatami: quasi totale assenza di arredi, possibilità di variare gli spazi attraverso porte scorrevole in
legno e carta, giardino zen (villa imperiale di Katsura, XVIII sec).
Ando mette a punto una propria poetica basata sull’essenzialità delle forme e sull’uso del calcestruzzo armato.
Complesso residenziale Rokko di Kobe: rapporto con contesto naturale.
Edifici di culto con obiettivo di creare spazi di meditazione in sintonia con il creato: cappella sull’acqua (si affaccia
su un piccolo lago circondato dalla foresta. La sala delle funzioni è in contatto con il paesaggio naturale e con le
sue varianti stagionali); chiesa della luce (spoglia scatola in calcestruzzo dove i tagli della muratura disegnano una
croce come un fascio di luce); tempio sull’acqua (per culto buddista. Realizzato sotto invaso d’acqua costellato di
fiori di loto).

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Torna al legno in rilettura della tradizione ma a partire dalle nuove conoscenze tecnologiche acquisite → il nuovo si
accosta all’antico, in un dialogo fatto di differenza ma anche di reciproco rispetto.
Museo Suntory di Osaka e sede per la Collezione Pinault a Venezia.

ALLA RICERCA DELLA QUALITA’ URBANA: RIGENERAZIONE, DENSITA’, SMART CITY


Pratica contemporanea del recupero e della nuova fruizione di contesti urbani, aree industriali in stato di degrado →
pratica utile per evitare l’ulteriore espansione urbana. Si usano in questo caso termini come rigenerazione, densità,
centralità e smart city, per mascherare spesso processi di gentrification, ovvero interventi speculativi di
riqualificazione, con espulsione di abitanti poveri dai centri urbani per ottenere l’incremento di valore delle aree.
Soltanto una pianificazione finalizzata al riequilibrio delle opportunità di sviluppo e di redistribuzione della ricchezza
sul territorio, può essere una risposta ai problemi della città odierna e del futuro.
- area della Ruhr → è stato il più importante distretto d’Europa per l’industria mineraria del carbone e della
produzione dell’acciaio. La cessazione delle attività ha lasciato un luogo devastato. La scelta del governo è stata
quella di avviare progetti di recupero basati sulla rinaturalizzazione dei luoghi e della riqualificazione del patrimonio
archeologico industriale a fini turistico-ricreativi. La costituzione dell’Emscher Park ha dimostrato come una serie di
tecniche di ingegneria naturalistica possano permettere il recupero dei territori più compromessi. Peter Latz nel
Landschaftspark ha integrato le rovine postindustriali nel verde.
- lo studio Diller-Scofidio Renfro realizza il recupero della high line di NY: trasformano un tratto di 2km della
sopraelevata storica della zona ovest di Manhattan, in un parco lineare, un percorso pedonale dove, utilizzando
tecniche di agritecture, è facilitata la crescita di piante spontanee e sono realizzati orti e giardini curati da volontari.
- a NY il quartiere Bowery trova innesco per la rinascita nella collocazione del New Museum of contemporary art di
SANAA Studio: su un lotto di dimensioni limitate propongono una serie di volumi parallelepipedi sovrapposti come
scatole sfalsate.
- i cinesi MAD Architects realizzano il Museo dell’arte e della città di Ordos, in Mongolia: uso di forme gommose
ricoperte da lame metalliche per resistere alle tempeste di sabbia dal deserto del Gobi.
- Henning Larse firma la sala per concerti e conferenze Harpa a Reykjavik: si propone di rivitalizzare con uno
spazio pubblico una parte trascurata del porto e riconnetterla col resto della città.
- collabora con lo studio Larsen, Dorte Mandrup che realizza numerosi interventi di riuso attenti all’inserimento nel
contesto.
Casa della cultura dei bambini di Copenaghen: progettata coinvolgendo i bambini stessi, si inserisce sull’angolo di
un isolato, collegando fabbricati di diversa altezza con una copertura che è anche una facciata capovolgendo
l’immagine tradizionale della casa.
- a Copenaghen il parco urbano Superkilen nato dalla collaborazione tra studio BIG, Topotek1 e artisti di Superflex:
tentativo di integrare differenti culture del quartiere più multiculturale del paese. I progettisti raccolgono e mettono in
opera oggetti di arredo urbano segnalati dalle 57 comunità etniche presenti, come emblemi di una appartenenza da
costruire collettivamente.
- Luciano Pia (recupero del Castello di Rivoli a museo di arte contemporanea) realizza la scuola universitaria di
biotecnologie di Torino: interviene su un complesso ottocentesco di cui sono conservate le parti auliche e inseriti i
nuovi corpi in calcestruzzo armato che rispettano le matrici del paesaggio urbano e creano nuove corti verdi e
protette.
- Rudy Ricciotti realizza il Museo delle civiltà d’Europa e del Mediterraneo di Marsiglia: collegato con le antiche
vestigia del castello seicentesco da una passerella aerea, è una pelle in calcestruzzo traforata che fa da filtro e
riparo al parallelepipedo in acciaio e vetro a pianta quadrata che ospita su tre livelli il museo. La copertura, rivestita
in legno, costituisce una piazza belvedere.
- trio MVRDV si è imposto con opere poco classificabili, destrutturate e attente alla sostenibilità ambientale.
Mercato coperto di Rotterdam: rivitalizzano il cuore storico della città secondo il principio di densità, concentrando in
un unico edificio a tunnel diverse funzioni.
- Herman Hertzberger realizza il complesso residenziale sulla Rotterdarmerstrasse a Duren: riflessione sulle nuove
condizioni dell’abitare di una nuova società sempre più polverizzata e caratterizzata dal diffondersi di nuove povertà
e dall’affiancarsi di forme di coabitazione basate sulla cooperazione e sullo scambio volontaristico → forme di social
housing e co-housing in conseguenza della riduzione degli investimenti statali nell’edilizia popolare = auto
organizzazione dei residenti.
Aspetto comune di queste opere è la disponibilità dei progettisti ad accogliere le proposte dei cittadini e la volontà
da parte di questi di partecipare ai processi decisionali e di gestione della cosa pubblica.

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