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Tutto ciò è stato del resto già rilevato in più occasioni. Giorgio Muratore scrive
infatti: architettura di tendenza, termine approssimativo e taumaturgico,
copertura paraideologica e metastorica di una realtà assai articolata,
variegata, complessa e contraddittoria; Renato Nicolini, sempre a
proposito dell’uso del termine «Tendenza»: ciò comporta prendere atto
della sua attuale equivocità, perché vi corrispondono significati
palesemente e direi necessariamente diversi; lo stesso Aldo Rossi, infine,
così si esprime: essa [la «Tendenza»] non può nascere da slogans o
manifesti, ma dalla realtà di quei lavori — siano studi o progetti — che si
muovono in una direzione precisa, razionale, ostinata, verso un nuovo
significato dell’architettura.
Quanto alla cronistoria della vicenda, non la daremo per nota, ma neanche la
sintetizzeremo all’inizio della nostra rassegna; essa scaturirà dalla stessa
struttura del presente lavoro, che in un primo tempo avevamo pensato di
articolare per temi (il rapporto con il movimento moderno, l’architettura e la
città, la tipologia, la memoria collettiva, la didattica, la storia, il
monumentalismo etc.) ma che, ad una più attenta
Nel suo libro Rossi introduce i temi — che in seguito riprenderà più volte —
per la costruzione di una «Tendenza»: un nuovo modo di considerare la città,
trasformando gli elementi urbani in elementi architettonici e
considerando la città come «un insieme di tanti pezzi in sé compiuti»; un
nuovo rapporto con la storia, che costituisce il materiale dell’architettura;
una nuova posizione nei confronti dell’eredità del Movimento Moderno:
accettare questa eredità significa comunque porre su un piano critico il
materiale disponibile; la critica al funzionalismo ingenuo: ma questo non
significa respingere il concetto di funzione nel suo senso più proprio; il
concetto di abitazione, che non può essere il risultato di un’invenzione:
essa è l’espressione di un modo di vita secolare, di tradizioni antiche e
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Gregotti espone poi brevemente il contenuto dei quattro capitoli di cui il libro è
composto e conclude mettendo in risalto quelli che per lui sono i contributi più
«interessanti e creativi»: la nozione di «locus» in cui coincide l’essenza
della città come deposito della memoria collettiva, del mito come tramite
tra il modello di cultura ed i segni fisici che costituiscono la città, e il
fatto che l’opera di Rossi si inserisce in una cultura architettonica ed
urbanistica, come quella attuale, marcatamente influenzata dal pensiero
dei paesi anglosassoni e degli Stati Uniti in particolare, come un libro
europeo. Innanzitutto per la scelta delle fonti … in secondo luogo per il
modo di discuterle e di utilizzarle.
Più avanti — dopo aver riferito la posizione di Aymonino per cui compito
reale cui si trova di fronte l’urbanistica moderna è quello di predisporre
le immagini e gli strumenti per una nuova forma urbana e che propone
quindi un ribaltamento dalla tecnologia all’architettura intesa come forma
— gli stessi AA. affermano che la «Tendenza», portatrice di questa nuova
«scienza urbana», considera il piano urbanistico come un progetto
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Bonfanti enumera i pezzi e le parti di cui Rossi si serve, e sottolinea poi il suo
costante ricorso al procedimento additivo nella costruzione, che procede per
successioni o per sovrapposizioni … Corollario del procedimento
additivo è la separabilità; tutto il ciclo che va dagli elementi alla loro
addizione e torna alla separabilità, rappresenta il tentativo di tener fede
all’assunto di una teoria della progettazione legata alla forma, agli
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Bonfanti si serve delle parole dello stesso Rossi per mettere l’accento sul
nuovo rapporto istituito con la storia dell’architettura: i monumenti romani, i
palazzi del Rinascimento, i castelli, le cattedrali gotiche costituiscono
l’architettura; sono parti della sua costruzione. Come tali ritorneranno
sempre non tanto e non solo come storia e memoria, ma come elementi
della progettazione e conclude con un accenno all’orientamento analitico e
progettuale legato all’idea di «città analoga» (che Rossi nel 1969 aveva
delineato prendendo spunto da un quadro del Canaletto che aveva dipinto
una tela con un paesaggio veneziano «fantastico» componendo tre progetti
palladiani):
Ci sembra che con questo saggio Ezio Bonfanti abbia indicato un pertinente
modo di lettura. Per parte nostra, vorremmo notare che la «Tendenza»
sembra non aver voluto sviluppare appieno le componenti strutturaliste, e
addirittura semiotiche, che erano contenute nelle sue premesse, talora con
enunciazioni anche abbastanza esplicite.
I temi fin qui trattati possono, in linea generale, essere considerati come i
principali assunti teorici della «Tendenza». Per quelli particolari, e per il
dibattito stesso, divideremo la materia incentrandola su alcune «occasioni»
progettuali e su temi specifici.
Il cimitero di Modena
Nel 1972 vengono premiati i progetti vincitori del «Concorso nazionale di idee
per il nuovo cimitero di Modena». L’iniziativa di questo Comune, che aveva
chiamato la cultura architettonica italiana a cimentarsi con un tema almeno
insolito e per lo svolgimento del quale era impossibile riferirsi ad una
tradizione progettuale moderna, ebbe un grande numero di adesioni.
Nello stesso scritto Portoghesi riferiva che la decisione della giuria non era
stata frutto di un accordo ma di una spaccatura. D’altronde anche l’esito del
concorso suscitò aspre polemiche. Nell’aprile del 1973, in un editoriale dal
significativo titolo «Cadaveri architettonici», Bruno Zevi scrive: Lo scandalo
suscitato dai risultati del concorso di Modena manifesta un’ormai
atavica «tensione del rientro» che spinge l’avanguardia italiana a
compiere masochistici regressi non appena si sia fatto un passo avanti.
Nell’articolo sul cimitero di Modena, Portoghesi aveva anche posto una nuova
questione, notando che nella misura in cui la «Tendenza» si realizza e si
specifica nel progetto essa perde di significato e di forza persuasiva.
Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che probabilmente è criticamente
corretto tener conto di due fenomeni:
Chi ha letto i libri di Aldo Rossi, sa bene che non è possibile confondere
le sue motivazioni con le scelte vuotamente massimaliste dei suoi
seguaci, impegnati a gara ad essere «più realisti del re» …
La XV Triennale.
Tra la fine del 1973 e l’inizio del 1974 il dibattito sulla «Tendenza» si intreccia
con la polemica suscitata dalla sezione architettonica della XV Triennale
curata da Aldo Rossi, che presenta i lavori esposti in questi termini:
Crediamo che l’insieme di queste opere possa conformare, sia pure
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Le polemiche suscitate dalla Mostra di Rossi furono molte e di vario tipo, non
ultime quelle del Movimento Studentesco che accusava Rossi per aver
accettato l’incarico della Mostra stessa; accusa cui Rossi non si sottrae,
riconoscendo anzi un «astratto neoilluminismo» nella posizione che lo aveva
portato a credere che una mostra seria e impegnata potesse riscattare i
limiti obiettivi della situazione.
Più tardi lo stesso Zevi scriverà: ecco spuntare coloro che parlano di
«false certezze» e paralizzano il progresso pretendendo una «verifica» e
talvolta una «rifondazione» dell’architettura … oggi i tendenziosi parlano
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Tutta un’altra parte della critica si schiera invece a fianco Rossi e della sua
scuola sottolineando la validità del loro impegno culturale e progettuale.
Franco Raggi, ad esempio, così si esprime: La sezione di architettura
proprio per la sua rigoro e brutale chiarezza ha suscitato le critiche più
aspre … si è voluto vedere nell’ipotesi decisamente disciplinare di Rossi
un sintomo di regressione, o peggio una cosciente strategia della
restaurazione culturale … Si sostiene cioè il significato riduttivo e
reazionario dell’impegno progettuale affermandone la natura
compromessa e strumentale alla rappresentazione della cultura
dominante … dogmatismo e formalismo i limiti della cosiddetta
«Tendenza», ma questo non giustifica l’accusa di restaurazione
culturale.
II quartiere Gallaratese.
Questo saggio costituisce una eccezione ad una regola generale che traspare
chiaramente dalla nostra rassegna: la quasi totalità degli scritti critici si
pronuncia, o sul movimento di «Tendenza» nella sua globalità senza
specificarne i protagonisti, o (ed è la stragrande maggioranza dei casi) su
Aldo Rossi, considerato da tutti il fondatore ed il principale protagonista di
«Tendenza»; e non è un caso che debba essere proprio Monestiroli, egli
stesso «tendenzioso», a parlare di Grassi.
Egli scrive tra l’altro: Con i suoi progetti Grassi porta nella città del nostro
tempo un mondo di forme che con questa è in aperto contrasto. Un
mondo che, definito ed unitario, si contrappone non solo alla città
capitalista qual è ma anche a tutte le proposte che da questa traggono il
loro movente espressivo.
Monestiroli aggiunge che la ricerca di Grassi, pur non essendo isolata, resta
ignorata dalla critica ufficiale, e conclude che permane il dubbio se sia
questo il momento di sventolare la bandiera della «Tendenza» oppure
quello di cercare nessi più confortanti oltre che un ulteriore
approfondimento delle singole ricerche stesse. Occorre prendere atto
peraltro del fatto che nel momento in cui è decretata la «morte
dell’architettura» vi siano ancora alcuni esemplari di architetti che
contraddicono nei fatti questo vaticinio.
L’unica variazione del bianco e lungo blocco si produce con l’altezza dei
pilastri che lo appoggiano al terreno… Ma le colonne non uniscono il
blocco al suolo, lo separano. Il tema rossiano è nel dimostrare la
possibilità di fare un’architettura immateriale, inattuale, che passi al
disopra della città senza tagliarla.
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La «Tendenza» e l’avanguardia.
Carlo Guenzi, dopo aver riportato il brano di Tafuri appena citato, afferma: È
un atteggiamento, una tendenza che si è incarnata nella scuola di Aldo
Rossi, ma che trova oggi nell’università di massa in via di disfacimento,
e poi nel mondo del lavoro che castra ogni ideale professionale, tutte le
sue motivazioni.
Possiamo accostarvi, per il tipo di analisi dei progetti che credo vi sia
implicata, la critica di chi scorge in Aldo Rossi il testimonio inattuale
della «purezza» dell’architettura.
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Nel 1976 Giorgio Muratore pubblica un articolo dal titolo emblematico, «C’era
una volta la Tendenza»: Purtroppo … la stagione progressiva fu di breve
durata … i vari tentativi di rivitalizzare e di dare nuova credibilità al
discorso dovevano restare al livello di patetica invocazione … di
minoranze potenti sul piano politico culturale ma disperatamente
lontane dalle reali dimensioni di un consumo anche sociale dei dati
disciplinari e specifici;
l’A. più avanti, dopo aver riconosciuto il valore di Aldo Rossi come architetto e
il distacco dai suoi «manieristici epigoni», aggiunge: resta comunque il fatto
che tanti falsi profeti, tanti cervellotici esegeti di una mai realizzata
«saison nouvelle» dell’architettura italiana, dovrebbero costringersi ad
una serena quanto radicale autocritica.
Gli ultimi contributi critici sulla «Tendenza» prendono spunto dal «Teatro del
mondo», presentato all’ultima Biennale di Venezia da Aldo Rossi. Portoghesi
commenta: Nel Teatro del mondo … convergono in filigrana, molti dei
temi caratteristici della sua architettura, ma forse si apre anche una
pagina nuova in una ricerca che, se ha il suo maggior pregio nella
concentrazione e nella coerenza, ha anche il merito di svilupparsi e
rinnovarsi periodicamente, attraverso l’acquisizione di nuovi tipi e di
nuove qualità a quel «mondo rigido e di pochi oggetti» in cui essa si
attua …
Rossi, pur non avendo questa volta da reagire contro la cattiva periferia
metropolitana, è ancora carico di messaggi alternativi nei confronti del
luogo cui esso è destinato … Il teatro di Rossi è pensato come forma
viaggiante … con un risultato: l’effetto straniante di questa costruzione,
che allude ad un mondo di memorie troppo ricco per essere interamente
esplicitato, si moltiplica nel corso del suo realizzarsi e del suo tragitto.
Per completare la rassegna dei contributi critici più recenti, può essere utile
riportare quasi per esteso un lungo brano di Tafuri dedicato a Rossi: Nulla
significano le accuse di fascismo scagliate contro Rossi, dato che i suoi
tentativi di recuperare un’aristocratica astoricità delle forme escludono
ogni ingenua verbalizzazione dei contenuti ed ogni compromesso con il
reale.
Dopo aver stabilito una precisa distinzione tra Rossi e i «rossiani» (altro
discorso faremmo per la sua scuola), Tafuri aggiunge: Riteniamo
doveroso di consigliare a Rossi di non insegnare architettura: ma non
per isterico o conformistico ostracismo, bensì per aiutarlo ad essere più
coerente con il suo affascinante quanto superfluo silenzio.
A proposito poi della ricerca di Rossi, lo stesso A. scrive che questa perde se
stessa nel tentativo estremo di salvare uno statuto umanistico per
l’architettura … [Rossi] non rifonda la disciplina bensì la dissolve … alla
ricerca dell’Essere dell’architettura … scopre che solo il limite
dell’Esserci è dicibile.
In sostanza, il far salva la sola opera di Rossi, se non addirittura solo un suo
aspetto, cioè quello della sua «silenziosa e inattuale purezza»,
rappresenterebbe una conferma sul campo della nota tesi tafuriana della
«morte dell’architettura», o meglio di un suo modo di intenderla.
Per cui, o si considera tutta la «scuola» come una conferma della tesi
suddetta, limite estremo di un orientamento privo di qualunque indicazione
per altri, oppure, riconosciute tutte le sue valenze, all’attivo come al passivo
— la rivendicazione della «autonomia dell’architettura»; l’approfondimento
dello specifico disciplinare, codificabile e quindi trasmissibile; i riferimenti alla
Metafisica e al Novecento; il carattere «elitario» dell’orientamento — e
riconosciuto soprattutto, pragmatica-mente, il successo della «Tendenza»
nella scuola e nel dibattito, la si considera al contrario come uno dei pochi
segni di vitalità dell’architettura contemporanea.
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1964 - 2019 Op. Cit. - selezione della critica d'arte contemporanea - Direttore Responsabile: Renato De Fusco
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