255 PARAMETRO gennaio-febbraio 2005 (numero dedicato ad Auguste Choisy)
La lezione di Auguste Choisy*
di Martina Landsberger
La costruzione rappresenta uno degli elementi fondamentali
per la definizione del progetto di architettura. Essa non deve essere intesa in senso esclusivamente “pratico”, pena lo scadere nel puro tecnicismo, ma deve rappresentarsi come scelta coerente con il significato, il carattere, del progetto stesso. È a partire da questa considerazione, che si è pensato di dedicare un numero di “Parametro” ad Auguste Choisy, ingegnere francese vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, la cui opera teorica, fino ad oggi poco indagata, vale la pena di essere riconsiderata. Nel 1899 Choisy pubblica il suo libro più conosciuto, l’Histoire de l’architecture. Si tratta di una storia “di tendenza” costruita con il preciso obiettivo di mettere in evidenza come, nell’architettura classica, i diversi sistemi costruttivi siano sempre stati utilizzati in accordo con il significato, il carattere, da attribuire all’oggetto architettonico. Choisy intende cioè dimostrare, che solamente nel momento in cui si realizzi un preciso e necessario accordo fra tipologia architettonica, tipologia strutturale e tecnologia costruttiva, allora si potrà assistere alla nascita di una “nuova grande architettura”. Avendo ben presente questo obiettivo, Choisy sceglie di analizzare nella sua storia esclusivamente quei periodi che hanno saputo manifestare questo particolare accordo e tralascia tutti gli altri, arrivando ad escludere l’architettura del XIX sec. perché, come egli stesso afferma, “una storia dell’architettura deve concludersi nel momento in cui gli autori diventano nostri contemporanei”. In quest'ottica risulta chiaro che, per quanto concerne il suo modo di procedere, non si può parlare propriamente di metodo scientifico. Avendo infatti, come obiettivo la definizione di un "modo del fare architettura", Choisy non può esimersi dal scegliere, di volta in volta, gli esempi e i momenti da descrivere. Egli comprende, cioè, che solamente alcuni periodi e alcuni edifici sono dimostrativi di un punto di vista sull'architettura preciso e condivisibile, contengono cioè al loro interno dei principi trasmissibili. L'Histoire de l'architecture tratterà, allora, solamente di questi felici momenti, tralascerà invece di tutti quei periodi che non sono riusciti ad esprimere un approccio razionale al progetto. È a partire da queste considerazioni che, l’opera di Choisy credo possa essere letta non in chiave “storicista” ma piuttosto intendendola come una sorta di “trattato” in cui i principi propri all’architettura vengono desunti dallo studio di determinate epoche architettoniche e dall’analisi degli edifici che le hanno contraddistinte. Dal punto di vista metodologico Choisy, nel raccontare l’evolversi dell’architettura, sceglie di utlizzare un procedimento logico che si ripete sempre uguale a se stesso con il susseguirsi dei diversi momenti dell’architettura, momenti che coincidono con le modificazioni della società nel suo divenire storico. I temi affrontati all’inizio di ogni “grande” capitolo (l’architettura greca, romana, romanica, gotica, ecc.) sono sempre di carattere generale: viene analizzato un contesto, un problema specifico, per arrivare a definire i possibili modi in cui giungere a una soluzione. Ogni epoca, infatti, si contraddistingue per l’aver affrontato un particolare problema ed essere giunta alla sua soluzione: l’architettura greca dà carattere all’ordine trilitico, l’architettura romana al muro, quella romanica e la sua derivata, l’architettura gotica, alla costruzione della volta di copertura sostenuta da pilastri. A sua volta ogni singolo tema viene applicato sempre a un tipo definito, il tipo che contraddistingue l’architettura di ogni singola epoca: il tempio greco; le terme, i fori, le basiliche romane; le cattedrali gotiche e le abbazie romaniche. L’architettura diviene, in quest’ottica, espressione di una cultura, si identifica cioè con una particolare società di cui diviene la manifestazione tangibile. Affrontando il tema dell’architettura antica, Choisy scrive, a questo proposito: " [...] I monumenti degli anni preistorici, nelle loro manifestazioni più semplici, documentano la necessaria relazione che intercorre tra un modo di costruire e una società”. È in questo senso che l’arte diviene manifestazione di una civiltà. L’interpretazione dell’architettura offerta da Choisy risponde a una definita corrente di pensiero, quella razionalista di derivazione illuminista. Affrontare la costruzione di un edificio per Choisy significa occuparsi di questioni precise, compiere un processo conoscitivo inerente al tema, per arrivare a definire un metodo in grado di garantire il raggiungimento dell’obiettivo che ci si è prefissi, il progetto, appunto. A proposito dell’architettura romanica e dell’aspirazione a un metodo Choisy scrive: “ [...] Ci sono due periodi ben distinti: quello romanico, un periodo di formazione, e, successivamente, un’epoca caratterizzata da grande originalità, un periodo di grande rigore cui si attribuisce il nome improprio, ma ormai consacrato, di gotico. Fra un periodo e l’altro non c’è interruzione: il primo segna l’aspirazione a un metodo, il secondo un risultato acquisito. Entrambi hanno lo stesso programma, voltare la basilica latina; la differenza sta nel metodo con cui si procede alla costruzione della volta; in ciò sta il progresso”. Inizialmente ho definito l’Histoire de l’Architecture trattato in quanto, secondo la definizione della parola trattato riportata nel Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, l’opera di Choisy, individuando i principi necessari alla costruzione di un progetto “si occupa metodicamente di una scienza, di una disciplina”. Temi quali, tipo, costruzione, forma e decoro, e ancora, misura, varietà, unità/armonia, funzione, rapporto con il luogo e rapporto fra le parti, per Choisy sono le chiavi attraverso cui leggere le diverse epoche architettoniche e, per noi oggi, sono questioni “universali” su cui fondare un metodo che permetta la costruzione razionale del progetto. Tenendo presente questo obiettivo ho cercato di ritrovare, all’interno dell’opera di Choisy, questi principi generali decontestualizzandoli dal periodo storico di riferimento, operazione possibile data la loro validità per così dire “extratemporale”. Una delle prime affermazioni, più volte ripetuta, riguarda la relazione che deve esistere fra forma e struttura. Choisy scrive che “la forma sta alla struttura come l’espressione all’idea”. Si tratta di una sorta di dichiarazione di intenti. Choisy leggerà l’architettura di ogni diversa epoca a partire dalla relazione stabilita fra forma e struttura. Si tratta di una relazione che non riguarda esclusivamente l’architettura ma che ha un proprio analogo nel binomio espressione- idea che contraddistingue, a sua volta, le opere letterarie, quelle musicali o quelle pittoriche. In campo architettonico, la forma, la decorazione, dovrà accordarsi alla struttura cioè alla costruzione. In caso contrario si assisterà alla decadenza di una cultura. Il racconto dell’evoluzione dell’architettura gotica rappresenta chiaramente questo legame. Il problema dei costruttori gotici consiste nella copertura di un’aula basilicale a più navate, mediante l’utilizzo di una volta. La costruzione di questa copertura deve permettere una buona illuminazione non solo delle navate laterali ma anche di quella centrale. Come scrive Choisy: “il problema era stato posto”, bisognava “indicare la soluzione”. Si trattava di sostituire i muri perimetrali, massicci, delle chiese romaniche, con una struttura in cui fosse possibile aprire grandi finestre. Il problema era cioè quello di garantire stabilità alle volte che non avrebbero più appoggiato e scaricato i loro pesi su una struttura continua qual è quella muraria. "[...] Il progresso dell’architettura gotica consiste soprattutto nel risolvere in modo definitivo, mediante l’applicazione di un metodo, il duplice problema della costruzione della volta a crociera e del suo equilibrio; l’architettura gotica utilizzerà le volte nervate per quel che riguarda la soluzione del primo problema, quello costruttivo, e il contrafforte e l’arco rampante per la soluzione del secondo [...]. La storia dell’architettura gotica sarà quella delle nervature e dell’arco rampante”. Il problema strutturale dell’architettura gotica si risolve nell’utilizzo delle nervature che concentrano e di conseguenza localizzano gli sforzi delle volte e nell’uso di archi rampanti e contrafforti quali elementi in grado di garantire una resistenza a sforzi localizzati. La forma di questi elementi, nell’architettura gotica, è strettamente legata alla funzione. Nessun elemento ne maschera il ruolo. A questo proposito Choisy introduce il tema dell’“onestà strutturale”. “La struttura - scrive - non deve mai essere mascherata. Un architrave, un pilastro, non sono i luoghi appropriati per delle rappresentazioni simboliche. Bisogna conferire forme appropriate agli elementi resistenti, in funzione del ruolo svolto. I bassorilievi sono destinati a quelle parti in cui, la loro presenza, non nasconda o complichi la comprensione dell’intera costruzione. Alla scultura sono riservati i frontoni e le metope. Non si conosce alcuna architrave decorata”. Il principio dell’onestà strutturale permette di costruire una gerarchia fra gli elementi che compongono un edificio. Scrive Choisy che: “nell’arte greca man mano che ci si avvicina alla perfezione, le diverse funzioni vengono differenziate”. Nel Partenone la modanatura (che Choisy definisce come “arte astratta di accentuare le masse”) si applica differentemente alle diverse parti che compongono il tempio: “[...] Le figure dei frontoni e delle metope sono ad alto rilievo; quelle del fregio interno a bassorilievo, un’incisione appena accennata”. Facendo così i greci “[…] dimostrano una precisa consapevolezza della gerarchia da stabilire fra il volume e il dettaglio. I volumi semplici si impongono alla vista, i dettagli, al contrario, al primo colpo d’occhio non sono percepibili”. “[...] Il genio greco procede così: meno preoccupato delle novità piuttosto che del bello, non occupandosi della sterile novità, indirizza la propria ricerca alla semplificazione delle forme fino a raggiungere la giusta misura negli effetti e l’assoluta correttezza dell’espressione”. Ricercare la novità è per Choisy un errore. La novità non esiste, ogni civiltà si è costruita a partire dalla precedente, ogni tema si è già dato. Così l’architettura e la civiltà greca si fonda sulle tradizioni delle popolazioni indigene la cui cultura si è mescolata a quella dei Dori. I romani da parte loro costruiscono le loro città contaminando le tradizioni etrusche con quelle delle popolazioni che hanno assoggettato. L’architettura dell’Impero d’Oriente non può essere capita se non se ne leggono i fondamenti in quella persiana, in quella della Lidia, ecc; così come quella gotica è impensabile senza il precedente dell’architettura romanica. Ogni civiltà si è scelta un tema e una tipologia e lo ha sviluppato a partire dalle conoscenze già acquisite. Il problema è sempre stato quello di conferire ad ogni opera il carattere che le compete, la sua soluzione sarà tanto più convincente e appropriata quanto più sarà semplice. È, infatti, il processo di semplificazione che garantisce chiarezza. Ciò è ben visibile nell’ordine dorico. Qui, ogni elemento risponde a una precisa funzione ed è conformato in relazione al ruolo ricoperto. Tutto il superfluo è bandito. In questo modo la colonna, come scrive Hegel, si slancia verso l’alto con l’unico scopo di sostenere la trabeazione. La sua forma dimostra il suo ruolo: si protende verso l’alto ma si allarga al centro, in prossimità dell’entasi, quasi a voler dimostrare lo schiacciamento dovuto al peso che sorregge. Si tratta, cioè, di conferire il giusto carattere alle diverse parti di un edificio. Solamente in questo modo l’architettura potrà essere riconosciuta e condivisa. Ogni architettura, ogni ordine architettonico, pur costruendosi secondo regole condivise e per così dire prefissate (gli ordini) è ben riconoscibile nella sua particolarità. Pensiamo ancora al tempio greco che dal punto di vista tipologico si configura come stabile e addirittura immodificabile, ma i cui diversi esempi permettono di individuarne la singolarità. Nella costruzione (del tempio greco ma anche di un teatro romano o di una abbazia romanica o cattedrale gotica) intervengono una serie di fattori che permettono al costruttore di ideare ogni volta un’opera differente. Un primo elemento si riferisce propriamente alla composizione della pianta dell’edificio e all’utilizzo di una serie di rapporti proporzionali (matematici e geometrici), modulari, garanzia di una composizione “armoniosa”. Choisy scrive: “[...] Anche presso i Greci la legge dei tracciati si basa su rapporti modulari. Essa consiste nel legare fra di loro le dimensioni di un insieme subordinandole tutte ad una misura comune, il modulo [...]. Il sistema modulare garantisce di stabilire una misura comune a tutte le parti della composizione; il modulo garantisce un’armonia ritmica rapportabile a quella della poesia. Il ritmo della parola e quello dell’architettura sono due fatti che si corrispondono, due manifestazioni simultanee di una stessa civiltà”. La questione del modulo e dei rapporti proporzionali implica quello della scala o del sistema di riferimento rispetto al quale pensare l’edificio. Presso le civiltà più antiche la scala è per così dire un “ente astratto”, l’edificio viene pensato e costruito esclusivamente in rapporto a se stesso, alla sua importanza. “[...] L'arte classica non ha conosciuto che un’armonia astratta fondata solamente su una serie di rapporti; il medioevo esplicita le dimensioni dei propri edifici introducendo il principio della scala. In un tempio greco non c’è nulla che indichi le dimensioni dell’edificio; nulla nella struttura dell’edificio mette in luce una scala piuttosto che un’altra: la grandezza dell’edificio è indeterminata; l’occhio non percepisce altro che rapporti proporzionali. [...] un’impressione di armonia”. L'architettura, per sua natura, deve instaurare precisi rapporti anche con il luogo in cui è inserita. “Nei suoi rapporti con la natura, l’architettura si pone in due modi: in analogia o in cntrapposizione. I profili dell’architettura antica erano pensati considerando le grandi distanze: in Egitto, in cui dominano i paesaggi orizzontali, l’architettura è fatta di linee orizzontali; le linee oblique dei frontoni greci ricordano quelle dei declivi dei suoi monti; l’architettura francese, realizzata nelle pianure del centro Europa, adotta risolutamente il partito dei contrasti, rompe con la linea orizzontale introducendo un andamento ascendente [...]”. Raramente Choisy affronta il tema della costruzione di luoghi composti dalla relazione di più edifici: l’Acropoli di Atene è forse l’esempio più conosciuto. L’obiettivo è dimostrare il ruolo della composizione nella costruzione di parti di città. L’Acropoli, a questo fine, viene descritta come se dovesse essere “filmata” con una cinepresa, ne viene descritto l’avvicinamento, i punti di vista, gli scorci. In questo modo risulta possibile da un lato evidenziare la gerarchia delle sue parti e dimostrarne la complessità compositiva e dall’altra introdurre una serie di questioni - la varietà, l’armonia, l’ordine, la simmetria e la capacità di un’architettura di provocare dei sentimenti nello spettatore - con cui un architetto non può fare a meno di confrontarsi. Il tema della varietà è strettamente legato a quello dell’armonia. Choisy scrive che nella composizione i greci cercano di ottenere “l’unità di effetto” facendo sì che: “[...] in ogni quadro domini un motivo principale; essi privilegiano la vista d’angolo e non quella frontale, che viene utilizzata in casi eccezionali, e stabiliscono fra i volumi un equilibrio ottico in grado di conciliare simmetria e varietà di dei dettaglio [...] Nessuna composizione realizza allo stesso modo dell’Acropoli questo ideale di varietà e armonia già proprio di Fidia”. Varietà, però, non è sinonimo di disordine. Questo non è mai giustificabile e, il più delle volte, incomprensbile. La varietà, al contrario, induce interesse nello spettatore permettendogli la comprensione dell’opera. Simmetria e varietà sono due temi strattamente legati, principi compositivi da utilizzare per la costruzione di un edificio e non per la progettazione di luoghi. Scrive Choisy, ancora a proposito dell’Acropoli: “[...] Nell’architettura greca ogni singolo edificio è simmetrico, ma ogni gruppo è trattato come fosse una composizione di volumi fra di loro bilanciati [...] La regola della simmetria nel medioevo non gioca che un ruolo secondario. Su questo punto, come su tanti altri, il modo di vedere degli architetti gotici è lo stesso di quello degli architetti greci. L’assimmetria è giustificabile solamente se la ragione è evidente. In generale gli architetti del medioevo evitano la fredda regolarità: se ammettono la simmetria essi sanno rompere la monotonia mediante l’utilizzo di dettagli che si diversificano all’infinito. In questo caso al posto della simmetria interviene la ponderazione delle masse senza che ne risenta l’unità d’insieme”. In sostanza nel progetto l’ordine è il principio che permette di far comprendere la composizione inducendo - argomento caro agli architetti dell’illuminismo -, emozioni nello spettatore. “Di fronte ad un’architettura bizantina - scrive Choisy - si prova […] una sorta di tranquillità che non è dovuta ad altro che alla piena soddisfazione dello spirito di fronte ad un’opera in cui tutte le combinazioni di equilibrio sono nettamente comprensibili. I nostri edifici gotici invece risvegliano una sorta di inquietudine dovuta al fatto che le strutture resistenti sono poste all’esterno. Questo implica che a prima vista non si comprenda l’equilibrio. Nell’architettura bizantina invece lo sguardo abbraccia in un colpo solo la volta che copre l’edificio e i contrafforti che la sostengono […]. Si tratta della stessa chiarezza propria all’arte greca [...]”.
L'architettura non è mai stata, e Choisy lo ha dimostrato,
esclusivamente risoluzione di un problema tecnico, ma piuttosto formalizzazione di una risposta a una serie di questioni (tema, tipo, ecc.) mediante l'utilizzo di un’adeguata tecnologia costruttiva in grado di rappresentare il senso del progetto. È questo un punto di vista necessario e condivisibile, un punto di partenza obbligato affinché la collettività possa riconoscersi in ciò che si viene realizzando. L’Histoire de l’Architecture, occupandosi specificatamente del progetto a partire dalla sua realizzazione tecnica in rapporto alla questione del tipo e della decorazione, si dimostra un testo estremamente attuale. Partendo dal presupposto che la costruzione sia elemento necessario ad ogni architettura, che cioè non si dà architettura senza costruzione, Choisy dimostra come, in tutti i grandi momenti della storia, la costruzione abbia avuto come obiettivo finale la rappresentazione del senso dell'edificio. Risulta chiara, allora, la distinzione, creatasi in epoca moderna, fra la figura dell’architetto e quella dell’ingegnere. Il primo è colui che si preoccupa di rappresentare il carattere dell'edificio; il secondo invece si limita a realizzarlo, nel migliore dei modi e con la minore spesa possibile. Così come nella storia dell'architettura, nei suoi momenti più felici, le due figure non sono mai state separate, allo stesso modo oggi le due competenze dovranno tornare a completarsi vicendevolmente. In ciò sta allora la “lezione di Auguste Choisy”. Nella sua sua opera teorica le due diverse competenze, quella dell’architetto e quella dell’ingegnere, quella dell’ideatore dell’opera e quella del costruttore, non sono mai messe in competizione, mai una prevale sull’altra; al contrario, Choisy dimostra come la collaborazione fra queste due differenti personalità, fra queste due diverse “conoscenze”, abbia sempre prodotto opere di grande qualità. Appare evidente, allora, come oggi, soprattutto vista la particolare complessità del progetto, sia necessario riprendere la strada percorsa dalla storia riconfermando la partecipazione all’attività progettuale di ogni specifica competenza: il progetto riuscirà solamente nel momento in cui sarà raggiunta una “convivenza armoniosa” fra ognuna di queste. Ciò significa che la riuscita del progetto è garantita ogni qual volta non si presenti alcuna contraddizione fra l’idea progettuale, la tipologia dell’oggetto e la sua realizzazione. La tipologia architettonica scelta, infatti, implica necessariamente, come sempre è accaduto, una tipologia costruttiva adeguata a rappresentare il senso dell’edificio. Così come la costruzione deve accordarsi alla tipologia, allo stesso modo si dovranno comportare tutte le altre scelte tecnologiche. In sostanza il progetto deve tornare ad essere considerato come un lavoro “collettivo” a cui ognuno, con la propria scienza, partecipa avendo come fine sempre il medesimo: la rappresentazione del senso dell’architettura. Su questa strada si sono mossi i maestri del Movimento moderno; alcuni di essi hanno costruito la loro teoria a partire dallo studio dell’opera di Choisy – Perret e Le Corbusier in particolare direttamente, Kahn, indirettamente -, altri invece hanno formulato la loro teoria a prescindere dall’opera di Choisy arrivando comunque alle medesime conclusioni – Mies van der Rohe, fra gli altri, la cui definizione di architettura “chiarezza costruttiva portata alla sua espressione esatta” sembra costruita sulla falsariga del testo dell’ingegnere francese. A partire da queste considerazioni si è pensato di costruire questo numero di «Parametro» seguendo due strade parallele: la prima si occupa della figura di Auguste Choisy – la sua biografia, il contesto culturale in cui si è trovato ad operare, l’analisi della sua opera e l’influenza della stessa sulle successive letture storiografiche; la seconda è, invece, dedicata alla questione del ruolo della costruzione nel progetto di architettura e, di conseguenza, al rapporto di collaborazione che oggi è necessario ripristinare fra tutte le competenze che partecipano al progetto. Un rapporto che, come abbiamo visto, ha contraddistinto le grandi epoche della storia, entrando in crisi oggi; un rapporto di cui Choisy ha voluto farsi testimone*.
* L’analisi del pensiero teorico di Auguste Choisy e la sua influenza
sulla teoria della composizione di alcuni architetti del Movimento moderno è stato il tema della tesi di Dottorato di ricerca in Composizione Architettonica discussa allo IUAV di Venezia nel 2001. Relatore della tesi è stato il prof. Gianugo Polesello e controrelatore il prof. Antonio Monestiroli. Ringrazio molto entrambi per i loro preziosi suggerimenti e per il loro insegnamento.