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modelli
e immagini
di ale t t iche
le mura e il museo di Castelvecchio
giornale a cura di
Rita El Asmar, dipartimento di
Culture del progetto Iuav
direttore
Amerigo Restucci
stampa
Grafiche Veneziane, Venezia (VE)
Iuav : 138 2
Modelli e immagini ri guardano la città, e la città guarda
dialettiche: le mura e il museo il castello. Una fitta trama di sguardi
di Castelvecchio si trasforma e si complica nel tempo,
mostra all’Università Iuav di Venezia la mira si muove fuori e dentro il pe-
Spazio espositivo Gino Valle rimetro delle mura, che a sua volta si
21 maggio – 6 giugno 2014 sposta più e più volte.
immagini e testi di
Emanuele Garbin dipartimento Un’altra macchina per vedere, il mu-
di Culture del progetto, Iuav seo. Il primo museo di Antonio Avena
è in realtà un teatro, una scena mul-
Il tema tipla praticabile, una finzione storica
L’argomento di queste immagini non costruita. Lo spettatore si riconosce in
è l’architettura di Castelvecchio. L’im- uno scambio visivo, ha la consapevo-
magine si è separata dall’architettura lezza di essere visto, di essere punto di
e l’architettura è diventata lo sfondo. vista e punto di mira, e di essere visto
La possibilità dell’immagine dell’archi- in rapporto ad uno sfondo mutevole.
tettura è il tema.
Il secondo museo, quello di Carlo Scar-
L’immagine smette di essere rappresen- pa e Licisco Magagnato. Lo sguardo
tazione e quindi appare il suo spazio. scava in profondità in cerca di un’al-
Lo spazio di quest’immagine è vicino tra storia, di un altro sfondo, e poi lo
alla superficie, ma non è la superficie. scopre e lo espone. Come nel museo
Questo spazio è fatto di piccole cavità, di Avena lo sfondo non resta sfondo
di piccoli intorni, l’ombra e le macchie ma diventa opera, diventa spettacolo.
di alcuni mattoni, l’intersezione di po- È quel che succede all’immagine del
che linee. tratto di muro riscoperto, all’immagi-
È uno spazio disuguale, discontinuo, ne del cortile e delle torri incorniciata
narrativo. È luogo, è paesaggio, è ar- dalle finestre delle gallerie, all’immagi-
chitettura. ne della città e del castello visibile dai
passaggi di ronda riaperti.
L’architettura di Scarpa forza il nostro
sguardo, la nostra naturale disposizio- Una differente trama visiva si sovrap-
ne a separare le cose, a isolarle da uno pone o si sostituisce a quelle prece-
sfondo. È un’ininterrotta interrogazio- denti. La sua caratteristica particolare
ne ontologica sulla consistenza dell’ar- è quella di essere fatta di percorsi de-
chitettura e del mondo condotta con viati, divisi, interrotti, di affermazioni e
i mezzi del progetto e del disegno. È negazioni ripetute.
un pretesto. Lo sguardo si insegue senza raggiun-
gersi sui passaggi aerei che si incrocia-
L’architettura di Scarpa è fondamen- no senza intersecarsi.
talmente determinata da un dispositi-
vo dialettico che procede per ripetute La storia del castello e del museo reale
affermazioni e negazioni, e negazioni si prolunga e si complica in quella del-
delle negazioni. Il risultato è un’opera le sue riproduzioni virtuali.
articolata, ricorsiva, incompiuta, varia Nei rilievi – o almeno nella restituzio-
e al tempo stesso monotona. ne ideale se non in quelle effettiva-
mente prodotte – la massima visibilità
La composizione architettonica nelle coincide con la rimozione totale dello
sue diverse declinazioni è determinata sfondo e il massimo appiattimento
da un certo numero di coppie e dispo- dell’immagine.
sitivi dialettici: forma e materia, ordine Il rilievo taglia tutti i muri, apre ogni
e disordine, norma e eccezione, retto e stanza e ogni cavità, sviluppa ogni
curvo, parte e tutto, progetto e conte- superficie sul piano del foglio o dello
sto, tema e variazioni. schermo.
Molti di questi dispositivi e di queste La trama visiva si riduce ad un unico
contrapposizioni sono ormai consunti impossibile sguardo onnicomprensivo
e riproducono semplicemente se stessi. e ad una miriade di viste parziali.
Un disegno critico e paradossale, eser-
citato su architetture problematiche Il modello, come il rilievo, aspira im-
come quella di Castelvecchio, è anti- plicitamente alla compiutezza e alla
doto ad una dialettica semplificata. totale esposizione.
E però tra le sue possibilità e tentazio-
Il castello, il museo, il modello: ni c’è quella dell’incompletezza, della
tre macchine per vedere parzialità, della disomogeneità. Allora
Castelvecchio è un luogo particola- non tutte le linee si chiudono, non tut-
rissimo dove lo sguardo si incrocia, si te le superfici appaiono, non tutti le
piega e si divide, si dilata e si restrin- figure si solidificano.
ge. È un luogo reale e virtuale dove lo La possibilità di praticare un’ontologia
sguardo vede se stesso. vaga nel modello è l’occasione per ri-
pensare la forma generalissima delle
Castelvecchio e il modello di Castel- cose in quanto cose, e della stessa ar-
vecchio sono delle complicate mac- chitettura in quanto cosa.
chine per vedere. La forma della pro- Le cose emergono e poi tornano sfon-
spettiva cambia, le viste si sommano, do, e lo sfondo non si consuma.
si sovrappongono, si cancellano una
con l’altra. L’impronta e la geometria
Il disegno e il modello geometrico con-
Un primo dispositivo ottico: il castello tengono le poche forme che si sanno,
e le sue mura. Fatto per mostrarsi alla che si riconoscono e quindi si vedono,
città, per vedere la città e per nascon- che prima si vogliono e poi si fanno.
dere il proprio contenuto, piegato e ri- Il disegno e il modello geometrico sono
piegato più volte su se stesso così che essenzialmente poveri, radi, vuoti.
l’esterno diventa un interno, e l’inter-
no diventa l’esterno di un interno che La povertà del disegno codificato è
sta ancora più dentro. paragonabile a quella dell’immagine
I cammini di ronda, le feritoie, le tor- mentale così come la intende Sartre:
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Ora, io posso tenere sotto il mio sguar- di vedere una soglia mobile di appari-
do un’immagine per tutto il tempo che zione e sparizione, ci sembra di vedere
voglio: vi troverò solo quello che vi avrò le figure apparire o sparire nel bianco
messo. […] Nel mondo della percezione o nel nero.
nessuna “cosa” può apparire senza sta-
bilire un’infinità di rapporti con le altre Se invece guardiamo tutta l’immagine
cose. Meglio ancora, è questa infinità ci accorgiamo che un poco alla volta
di rapporti […] a costituire l’essenza una figura tende ad imporsi sulle altre,
stessa di una cosa. Ne deriva qualco- e però la figura che alla fine prevale
sa di eccessivo nel mondo delle “cose”: non ha il potere di cancellare tutte
in ogni istante c’è infinitamente di più quelle possibili.
di ciò che possiamo vedere. […] Ora, L’immagine allora è il limite tra il bian-
nell’immagine c’è invece una specie di co e il nero, più tutte le immagini che
povertà essenziale. […] In una parola, si nascondono nel bianco e nel nero.
l’oggetto della percezione eccede co-
stantemente la coscienza. L’oggetto Il nero e il bianco, così come sono inte-
dell’immagine è sempre e solamente la si dalla scienza dell’informazione, sono
coscienza che se ne ha, si definisce per vuoti, un nulla insignificante.
mezzo di quella coscienza: da un’im- Il nero del disegno invece non è mero
magine non si può imparare nulla che niente, o può essere un modo diverso
già non si sappia. di intendere il niente, è qualcosa, rap-
J.-P. Sartre, L’immaginario. Psicologia presenta il nero ed insieme è il nero,
fenomenologica dell’immaginazione, è unito alla materia nera che è dentro
Einaudi, Torino 2007, pp. 17-18. e dietro tutte le cose, di cui è piena
l’ombra e il pensiero delle cose.
L’impronta fotografica contiene innu- Nel nero e nel bianco del disegno le
merevoli figure che non si conoscono cose si consumano, ma anche si forma-
e quindi non si vedono, che non si vo- no e si trasformano.
gliono e che nessuno ha fatto.
L’impronta è densa e piena, eccede Dunque: l’oggetto nel salotto di Mada-
sempre la visione e l’immaginazione. me è uno specchio nero. È alto diciotto
L’impronta è una riserva di immagini centimetri e largo quindici. È chiuso in
di cui il disegno e il progetto hanno una custodia di consunta pelle nera a
bisogno. forma di libro. Anzi, la custodia gia-
ce aperta su un tavolo, come fosse
Insistiamo sulla differenza radicale che un’edizione di lusso pronta per essere
separa la forma ottenuta per impronta raccolta e sfogliata, ma non vi è nulla
da qualsiasi imitazione intesa in senso da leggere o da vedere salvo il mistero
classico: l’imitazione presuppone la di- della propria immagine rifratta dalla
stanza, l’otticità, la mediazione e, nella superficie dello specchio nero prima
teoria umanistica, è sempre affiancata che indietreggi nelle sue profondità
da quei concetti fondamentali o da senza fine, nei suoi meandri di tenebre.
quelle “parole magiche” appena men- T. Capote, Musica per camaleonti, Gar-
zionate. Ora l’impronta esclude ogni zanti, Milano 1981, p. 7.
distanza dal suo referente, perché per
funzionare ha bisogno proprio dell’a- Le rovine sono sempre disegnate in
derenza; il contatto presuppone anche bianco e nero:
la riduzione, l’abolizione di ogni media- [...] la rovina vista come punto di arrivo
zione. Insomma la forma “improntata” del progetto. Ma la rovina rappresenta
si ottiene alla cieca, nell’inaccessibile anche il suo punto di partenza: di qui
interiorità del contatto tra la materia- inizia il lavoro, la costruzione del suo
substrato e la sua copia in formazione. oggetto. E quest’altro suo compito ci fa
G. Didi-Hubermann, La somiglianza vedere anche l’altra faccia della rovina:
per contatto. Archeologia, anacroni- cioè la ricchezza che in realtà custodi-
smo e modernità dell’impronta, Bollati sce, la disponibilità che fa di nuovo
Boringhieri, Torino 2009, p. 115. intuire, del resto quasi sempre provata
dalla vicenda storica stessa del manu-
Quando si produce un calco o una fatto. La sua versatilità ritrovata nella
scansione non ci si dispone, alme- sua nuova indeterminatezza: cioè a
no così sembra, nello stato d’animo dire tutta la virtualità che la sua con-
dell’anticipazione o della previsione, dizione di rovina in realtà esprime.
ma piuttosto dell’attesa di un’imma- G. Grassi, Architettura lingua morta,
gine: non sappiamo mai esattamente Electa, Milano 1988, p. 136.
quale sarà il risultato. La forma, nel
processo di impronta, non è mai rigo-
rosamente “pre-vedibile”: è sempre pro- L’opera, l’architettura, lo sfondo,
blematica, inattesa, instabile, aperta. il fondo
G. Didi-Hubermann, La somiglianza Il crocifisso del maestro di Sant’Ana-
per contatto cit., p. 31. stasia è fissato su un pannello a forma
di croce disegnato da Scarpa.
Bianco e nero, nero e niente Lo sguardo vede l’intero crocifisso – il
Il bianco, e soprattutto il nero, sono Cristo e la croce –, poi vede la scultura
specialmente importanti per gli ar- del Cristo, poi vede la forma e la mate-
chitetti per tante ragioni. Perché il ria della croce.
disegno nasce dalla proiezione di
un’ombra scura. Perché si è sempre di- Opera e sfondo sono tanto vicine che
segnato su fogli che sembravano bian- non si possono mettere a fuoco sepa-
chi anche se non lo erano. Perché oggi ratamente, eppure si può pensare una
tutti disegnano su schermi neri. e non l’altra, o una come subalterna
E anche perché il disegno ha sempre all’altra, domandandosi se l’opera che
bisogno di una riserva di nero o di un si sta guardando è la scultura medie-
fondo, più che di uno sfondo, nero. vale o l’allestimento di Scarpa.
Crediti e ringraziamenti