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modelli
e immagini
di ale t t iche
le mura e il museo di Castelvecchio

Modelli e immagini dialettiche:


le mura e il museo di Castelvecchio

mostra all’Università Iuav di Venezia


Spazio espositivo Gino Valle
21 maggio – 6 giugno 2014
immagini e testi di
Emanuele Garbin, dipartimento di
Culture del progetto Iuav

giornale a cura di
Rita El Asmar, dipartimento di
Culture del progetto Iuav

Università Iuav di Venezia


Santa Croce 191 Tolentini
30135 Venezia
tel 041 257 1826-1414
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direttore
Amerigo Restucci

stampa
Grafiche Veneziane, Venezia (VE)
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Modelli e immagini ri guardano la città, e la città guarda
dialettiche: le mura e il museo il castello. Una fitta trama di sguardi
di Castelvecchio si trasforma e si complica nel tempo,
mostra all’Università Iuav di Venezia la mira si muove fuori e dentro il pe-
Spazio espositivo Gino Valle rimetro delle mura, che a sua volta si
21 maggio – 6 giugno 2014 sposta più e più volte.
immagini e testi di
Emanuele Garbin dipartimento Un’altra macchina per vedere, il mu-
di Culture del progetto, Iuav seo. Il primo museo di Antonio Avena
è in realtà un teatro, una scena mul-
Il tema tipla praticabile, una finzione storica
L’argomento di queste immagini non costruita. Lo spettatore si riconosce in
è l’architettura di Castelvecchio. L’im- uno scambio visivo, ha la consapevo-
magine si è separata dall’architettura lezza di essere visto, di essere punto di
e l’architettura è diventata lo sfondo. vista e punto di mira, e di essere visto
La possibilità dell’immagine dell’archi- in rapporto ad uno sfondo mutevole.
tettura è il tema.
Il secondo museo, quello di Carlo Scar-
L’immagine smette di essere rappresen- pa e Licisco Magagnato. Lo sguardo
tazione e quindi appare il suo spazio. scava in profondità in cerca di un’al-
Lo spazio di quest’immagine è vicino tra storia, di un altro sfondo, e poi lo
alla superficie, ma non è la superficie. scopre e lo espone. Come nel museo
Questo spazio è fatto di piccole cavità, di Avena lo sfondo non resta sfondo
di piccoli intorni, l’ombra e le macchie ma diventa opera, diventa spettacolo.
di alcuni mattoni, l’intersezione di po- È quel che succede all’immagine del
che linee. tratto di muro riscoperto, all’immagi-
È uno spazio disuguale, discontinuo, ne del cortile e delle torri incorniciata
narrativo. È luogo, è paesaggio, è ar- dalle finestre delle gallerie, all’immagi-
chitettura. ne della città e del castello visibile dai
passaggi di ronda riaperti.
L’architettura di Scarpa forza il nostro
sguardo, la nostra naturale disposizio- Una differente trama visiva si sovrap-
ne a separare le cose, a isolarle da uno pone o si sostituisce a quelle prece-
sfondo. È un’ininterrotta interrogazio- denti. La sua caratteristica particolare
ne ontologica sulla consistenza dell’ar- è quella di essere fatta di percorsi de-
chitettura e del mondo condotta con viati, divisi, interrotti, di affermazioni e
i mezzi del progetto e del disegno. È negazioni ripetute.
un pretesto. Lo sguardo si insegue senza raggiun-
gersi sui passaggi aerei che si incrocia-
L’architettura di Scarpa è fondamen- no senza intersecarsi.
talmente determinata da un dispositi-
vo dialettico che procede per ripetute La storia del castello e del museo reale
affermazioni e negazioni, e negazioni si prolunga e si complica in quella del-
delle negazioni. Il risultato è un’opera le sue riproduzioni virtuali.
articolata, ricorsiva, incompiuta, varia Nei rilievi – o almeno nella restituzio-
e al tempo stesso monotona. ne ideale se non in quelle effettiva-
mente prodotte – la massima visibilità
La composizione architettonica nelle coincide con la rimozione totale dello
sue diverse declinazioni è determinata sfondo e il massimo appiattimento
da un certo numero di coppie e dispo- dell’immagine.
sitivi dialettici: forma e materia, ordine Il rilievo taglia tutti i muri, apre ogni
e disordine, norma e eccezione, retto e stanza e ogni cavità, sviluppa ogni
curvo, parte e tutto, progetto e conte- superficie sul piano del foglio o dello
sto, tema e variazioni. schermo.
Molti di questi dispositivi e di queste La trama visiva si riduce ad un unico
contrapposizioni sono ormai consunti impossibile sguardo onnicomprensivo
e riproducono semplicemente se stessi. e ad una miriade di viste parziali.
Un disegno critico e paradossale, eser-
citato su architetture problematiche Il modello, come il rilievo, aspira im-
come quella di Castelvecchio, è anti- plicitamente alla compiutezza e alla
doto ad una dialettica semplificata. totale esposizione.
E però tra le sue possibilità e tentazio-
Il castello, il museo, il modello: ni c’è quella dell’incompletezza, della
tre macchine per vedere parzialità, della disomogeneità. Allora
Castelvecchio è un luogo particola- non tutte le linee si chiudono, non tut-
rissimo dove lo sguardo si incrocia, si te le superfici appaiono, non tutti le
piega e si divide, si dilata e si restrin- figure si solidificano.
ge. È un luogo reale e virtuale dove lo La possibilità di praticare un’ontologia
sguardo vede se stesso. vaga nel modello è l’occasione per ri-
pensare la forma generalissima delle
Castelvecchio e il modello di Castel- cose in quanto cose, e della stessa ar-
vecchio sono delle complicate mac- chitettura in quanto cosa.
chine per vedere. La forma della pro- Le cose emergono e poi tornano sfon-
spettiva cambia, le viste si sommano, do, e lo sfondo non si consuma.
si sovrappongono, si cancellano una
con l’altra. L’impronta e la geometria
Il disegno e il modello geometrico con-
Un primo dispositivo ottico: il castello tengono le poche forme che si sanno,
e le sue mura. Fatto per mostrarsi alla che si riconoscono e quindi si vedono,
città, per vedere la città e per nascon- che prima si vogliono e poi si fanno.
dere il proprio contenuto, piegato e ri- Il disegno e il modello geometrico sono
piegato più volte su se stesso così che essenzialmente poveri, radi, vuoti.
l’esterno diventa un interno, e l’inter-
no diventa l’esterno di un interno che La povertà del disegno codificato è
sta ancora più dentro. paragonabile a quella dell’immagine
I cammini di ronda, le feritoie, le tor- mentale così come la intende Sartre:
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Ora, io posso tenere sotto il mio sguar- di vedere una soglia mobile di appari-
do un’immagine per tutto il tempo che zione e sparizione, ci sembra di vedere
voglio: vi troverò solo quello che vi avrò le figure apparire o sparire nel bianco
messo. […] Nel mondo della percezione o nel nero.
nessuna “cosa” può apparire senza sta-
bilire un’infinità di rapporti con le altre Se invece guardiamo tutta l’immagine
cose. Meglio ancora, è questa infinità ci accorgiamo che un poco alla volta
di rapporti […] a costituire l’essenza una figura tende ad imporsi sulle altre,
stessa di una cosa. Ne deriva qualco- e però la figura che alla fine prevale
sa di eccessivo nel mondo delle “cose”: non ha il potere di cancellare tutte
in ogni istante c’è infinitamente di più quelle possibili.
di ciò che possiamo vedere. […] Ora, L’immagine allora è il limite tra il bian-
nell’immagine c’è invece una specie di co e il nero, più tutte le immagini che
povertà essenziale. […] In una parola, si nascondono nel bianco e nel nero.
l’oggetto della percezione eccede co-
stantemente la coscienza. L’oggetto Il nero e il bianco, così come sono inte-
dell’immagine è sempre e solamente la si dalla scienza dell’informazione, sono
coscienza che se ne ha, si definisce per vuoti, un nulla insignificante.
mezzo di quella coscienza: da un’im- Il nero del disegno invece non è mero
magine non si può imparare nulla che niente, o può essere un modo diverso
già non si sappia. di intendere il niente, è qualcosa, rap-
J.-P. Sartre, L’immaginario. Psicologia presenta il nero ed insieme è il nero,
fenomenologica dell’immaginazione, è unito alla materia nera che è dentro
Einaudi, Torino 2007, pp. 17-18. e dietro tutte le cose, di cui è piena
l’ombra e il pensiero delle cose.
L’impronta fotografica contiene innu- Nel nero e nel bianco del disegno le
merevoli figure che non si conoscono cose si consumano, ma anche si forma-
e quindi non si vedono, che non si vo- no e si trasformano.
gliono e che nessuno ha fatto.
L’impronta è densa e piena, eccede Dunque: l’oggetto nel salotto di Mada-
sempre la visione e l’immaginazione. me è uno specchio nero. È alto diciotto
L’impronta è una riserva di immagini centimetri e largo quindici. È chiuso in
di cui il disegno e il progetto hanno una custodia di consunta pelle nera a
bisogno. forma di libro. Anzi, la custodia gia-
ce aperta su un tavolo, come fosse
Insistiamo sulla differenza radicale che un’edizione di lusso pronta per essere
separa la forma ottenuta per impronta raccolta e sfogliata, ma non vi è nulla
da qualsiasi imitazione intesa in senso da leggere o da vedere salvo il mistero
classico: l’imitazione presuppone la di- della propria immagine rifratta dalla
stanza, l’otticità, la mediazione e, nella superficie dello specchio nero prima
teoria umanistica, è sempre affiancata che indietreggi nelle sue profondità
da quei concetti fondamentali o da senza fine, nei suoi meandri di tenebre.
quelle “parole magiche” appena men- T. Capote, Musica per camaleonti, Gar-
zionate. Ora l’impronta esclude ogni zanti, Milano 1981, p. 7.
distanza dal suo referente, perché per
funzionare ha bisogno proprio dell’a- Le rovine sono sempre disegnate in
derenza; il contatto presuppone anche bianco e nero:
la riduzione, l’abolizione di ogni media- [...] la rovina vista come punto di arrivo
zione. Insomma la forma “improntata” del progetto. Ma la rovina rappresenta
si ottiene alla cieca, nell’inaccessibile anche il suo punto di partenza: di qui
interiorità del contatto tra la materia- inizia il lavoro, la costruzione del suo
substrato e la sua copia in formazione. oggetto. E quest’altro suo compito ci fa
G. Didi-Hubermann, La somiglianza vedere anche l’altra faccia della rovina:
per contatto. Archeologia, anacroni- cioè la ricchezza che in realtà custodi-
smo e modernità dell’impronta, Bollati sce, la disponibilità che fa di nuovo
Boringhieri, Torino 2009, p. 115. intuire, del resto quasi sempre provata
dalla vicenda storica stessa del manu-
Quando si produce un calco o una fatto. La sua versatilità ritrovata nella
scansione non ci si dispone, alme- sua nuova indeterminatezza: cioè a
no così sembra, nello stato d’animo dire tutta la virtualità che la sua con-
dell’anticipazione o della previsione, dizione di rovina in realtà esprime.
ma piuttosto dell’attesa di un’imma- G. Grassi, Architettura lingua morta,
gine: non sappiamo mai esattamente Electa, Milano 1988, p. 136.
quale sarà il risultato. La forma, nel
processo di impronta, non è mai rigo-
rosamente “pre-vedibile”: è sempre pro- L’opera, l’architettura, lo sfondo,
blematica, inattesa, instabile, aperta. il fondo
G. Didi-Hubermann, La somiglianza Il crocifisso del maestro di Sant’Ana-
per contatto cit., p. 31. stasia è fissato su un pannello a forma
di croce disegnato da Scarpa.
Bianco e nero, nero e niente Lo sguardo vede l’intero crocifisso – il
Il bianco, e soprattutto il nero, sono Cristo e la croce –, poi vede la scultura
specialmente importanti per gli ar- del Cristo, poi vede la forma e la mate-
chitetti per tante ragioni. Perché il ria della croce.
disegno nasce dalla proiezione di
un’ombra scura. Perché si è sempre di- Opera e sfondo sono tanto vicine che
segnato su fogli che sembravano bian- non si possono mettere a fuoco sepa-
chi anche se non lo erano. Perché oggi ratamente, eppure si può pensare una
tutti disegnano su schermi neri. e non l’altra, o una come subalterna
E anche perché il disegno ha sempre all’altra, domandandosi se l’opera che
bisogno di una riserva di nero o di un si sta guardando è la scultura medie-
fondo, più che di uno sfondo, nero. vale o l’allestimento di Scarpa.

Se ci concentriamo sui particolari di In un certo senso il rapporto tra cosa


un’immagine in bianco e nero che di- e sfondo è una versione particolare del
venta più bianca o più nera ci sembra rapporto tra ente e essere, o tra ente e
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niente, dove niente è inteso semplice- anche limite dell’altro come qualcosa, Questa cattiva infinità [...] è bensì la le porte, esce fuori nel giardino. I percorsi del museo disegnano una
mente nel senso di non ente. è il suo limite con cui esso tien lungi negazione del finito, ma non riesce a La figura del pavimento si complica, figura, tante figure complicate che
da sé il primo qualcosa come suo altro, liberarsi in verità da questo. […] Il pro- dispone le sculture e i loro piedistalli, sono un’immagine della complessità
La statua di Cangrande è posta su ossia è un non essere di quel qualcosa. gresso all’infinito non è quindi che il incorpora tutto a sè prima di negarsi del mondo e della complessità della
un piedistallo alto sullo sfondo delle G. W. F. Hegel, Scienza della logica, La- ripetersi dello stesso, un solo e mede- nel tutto. storia. Nell’opera di Scarpa quest’im-
mura del castello. terza, Roma-Bari 2011, p. 125. simo noioso avvicendamento di questo magine ha la forma del labirinto.
Quel tratto di muro medievale non è finito e infinito. Il disegno, il progetto è stato, può es-
meno “opera” della scultura stessa per- Qualcosa ha il suo esserci fuori (o G. W. F. Hegel, Scienza della logica cit., sere, deve continuare ad essere un’on- Perché immaginare un labirinto? Per-
ché l’architetto lo ha “scoperto” toglien- come anche ci s’immagina, dentro) p. 144. tologia indeterminata. ché disegnarlo o costruirlo? Per impri-
do tutto quello che lo nascondeva e il suo limite; parimenti anche l’altro, gionare qualcuno oppure per proteg-
quindi lo ha anche “esposto” mostran- essendo qualcosa, è fuori del limite. Il Una particolare idea di cosa Cerco anche di evitare che qualcosa gersi da qualcuno, per rappresentare
done le differenze materiali e storiche. limite è il mezzo fra i due, in cui essi Il disegno di Scarpa si riempie di contor- nel dipinto assomigli ad un tavolo o il mondo o per possederne uno, per
cessano. Essi hanno l’esserci al di là ni, ma così si confonde il contorno della a altre cose. Questo sarebbe terribile, cercare in una copia del mondo una
Il complicato percorso che gira attorno l’uno dell’altro e del loro limite. Il limi- cosa. Non è facile dire dove finisce una perché allora non si vedrebbe altro che via di fuga, oppure ancora per fuggire
alla statua equestre in fondo permette te essendo il non essere di ciascuno, è stanza, un pavimento, una scala, una l’oggetto. da se stessi (dal proprio disegno).
di vederla meglio, da vicino e da più l’altro di tutti e due. parete. Ci sono più cose dentro una G. Richter, Gerhard Richter. Text bis 1961-
direzioni, ma anche di non vederla e di G. W. F. Hegel, Scienza della logica cit., cosa, o “attraverso” una cosa. 2007, Köln, Verlag der Buchhandlung Ma, fra tanti giuochi, preferisco quello
guardare solo il muro. p. 126. Walther König, 2008, p. 439. di un altro Asterione. Immagino ch’egli
Scarpa pratica un’ontologia indetermi- venga a farmi visita e che io gli mostri
Nel momento in cui il progetto espone Il disegno e l’architettura di Scarpa nata. Qualcosa è anche qualcos’altro. Il labirinto grafico la casa. Con grandi inchini, gli dico:
quel muro all’attenzione e lo porta in mettono in opera quella che Hegel Qualcosa è anche tutto il resto. Nel museo di Castelvecchio ci sono “Adesso torniamo all’angolo di prima”,
primo piano, lo toglie dalla condizione chiama “cattiva infinità”, e cioè l’inter- Allo stesso tempo una figura prende delle cose, le opere, e delle cose tra le o: “Adesso sbocchiamo in un altro cor-
di indeterminata pre-esistenza propria minabile passaggio da finito a finito, il posto di un’altra, prevale sull’altra e cose, i percorsi. tile”, o: “Lo dicevo io che ti sarebbe
dell’essere vero sfondo, lo attualizza e da limite a limite, da cosa a cosa, da sta insieme all’altra. Le opere giustificano i percorsi, i per- piaciuto il canale dell’acqua”, oppure:
lo separa dalla profondità del tempo disegno a disegno. corsi giustificano le opere. “Ora ti faccio vedere una cisterna che
storico. Un esempio tra i tanti, il pavimento della s’è riempita di sabbia”, o anche: “Ve-
Gli stucchi di Scarpa e tutti i materiali Si ha un astratto sorpassare, che rima- galleria delle sculture di Castelvecchio. Nelle architetture di Scarpa i percorsi drai come si biforca la cantina”. A vol-
esibiti, così come i pezzi di materia sto- ne incompiuto, in quanto non si sor- Il bordo in rilievo della pavimentazio- si interrompono e si biforcano, e poi te mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere
rica che sono inclusi nel progetto, di- passa questo sorpassare stesso. Si ha ne si stacca dalle pareti, si avvicina e si ritornano di nuovo su se stessi in un entrambi.
ventando opera si staccano da un fon- dinnanzi l’infinito; quest’infinito viene allontana dal muro, si rende indipen- modo ogni volta diverso formando J. L. Borges, La casa di Asterione, in
do che è più fondo e lo nascondono. ad ogni modo sorpassato, poiché si dente dal volume e dallo spazio. un labirinto che è un’altra immagi- L’Aleph (Tutte le opere), Mondadori,
pone un nuovo limite; ma appunto con Il pavimento disegna le stanze e poi le ne dell’illimitata progressione e della Milano 1984, p. 820.
Il ghigno delle cose ciò non si fa anzi che ritornare al finito. unisce, e quindi le cancella. Attraversa “cattiva infinità”.
Facciamo un semplice esperimento.
Prendiamo una foto della statua di
Cangrande, quella che Carlo Scarpa ha
posto al centro del nodo più complica-
to di percorsi di Castelvecchio.
Se ne vari gradualmente la luminosità
e il contrasto complessivo, quindi la
si viri in bianco e nero: si ottengono
diverse immagini più o meno scure, o
più o meno piene di nero.

In alcune di queste immagini si vedono


gli occhi, lo sguardo di Cangrande. In al-
tre gli occhi non si vedono più, e si vede
invece la bocca, che è un sorriso o una
smorfia malevola. Ora appare lo sguar-
do e scompare il ghigno, oppure scom-
pare lo sguardo e riappare il ghigno.
Nell’originale si vedeva tutto, ma quel
che si vedeva era solo la forma di un
volto.

Il ghigno di un volto, il ghigno di un


muro.

Nel bianco e nel nero si può intravede-


re l’intenzione nascosta delle cose (o
un progetto o una minaccia).

Il bordo, la cornice, il limite,


la “cattiva infinità” del disegno
Le finestre delle gallerie del museo in-
corniciano l’immagine delle mura.
Il disegno elaborato delle cornici in-
cornicia se stesso.

Il bordo si divide e si sdoppia, è il bor-


do di quel che sta dentro, di quel che
sta fuori e di se stesso.
Scarpa moltiplica i bordi, moltiplica le
cose, consuma e trasforma le cose in
bordi e in bordi di bordi.

È da vedere lo sviluppo di questo con-


cetto, sviluppo che però si mostra piut-
tosto come inviluppo e contraddizione.
La contraddizione si trova subito in
questo, che il limite, come negazione
in sé riflessa del qualcosa, contiene in
sé idealmente i momenti del qualcosa
e dell’altro […] Ma l’altro è esso stesso
in generale un qualcosa. Dunque il li-
mite, che il qualcosa ha contro l’altro, è
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Il giardino dei sentieri Modelli fedeli (infedeli) sono approssimati e corrispondono per state consultate e evidenti differenze incluso e incui si costituiscono inedi-
che si biforcano di architetture scarpiane scala e livello di dettaglio all’urgenza di metodo e di fattura conseguono te relazioni tra elementi lontani nello
Rita El Asmar conoscitiva che ne ha determinato la ad una maggiore o minore definizio- spazio e nel tempo. Qui basti citare il
Nel giardino si sperimenta la perdizio- dipartimento di Culture realizzazione. ne del riferimento reale o ideale: l’ap- caso di due allestimenti permanenti
ne di vedersi, di vedersi visti, di vedersi del progetto, Iuav Una certa componente di spettacola- proccio e l’esito cambia a seconda del come quelli del museo dei monumenti
in un altro. rità, ovvero della spettacolarizzazione fatto che il modello si riferisca a studi francesi e di quello dei plans-reliefs di
Mi vedo dove sarò fra un attimo senza È d’uso comune distinguere le ma- di alcuni aspetti dell’interpretazione estemporanei e frammentari destinati Parigi, oppure quello delle tante e di-
sapere come ci arriverò. Mi vedo dove quette d’architettura tra modelli di dell’opera o delle qualità del modello ad un dialogo interiore, oppure a pro- verse riunioni di modelli delle biennali
sono stato senza più riconoscermi. Mi studio e modelli da esposizione, così stesso, si manifesta soprattutto quan- getti destinati alla costruzione ma non d’architettura veneziane1.
vedo visto da altri come io prima vede- confermando quelle che si ritengono do si tratta di presentare un fatto ar- realizzati, o a progetti incompleti, o an-
vo loro. Posso sentire la pressione dello essere le principali funzioni di questo chitettonico presente o passato a un cora a opere realizzate ma più o meno Ciò che di solito ci sia aspetta da un
sguardo. tipo di rappresentazione, e cioè la veri- pubblico per lo più estraneo alle ra- perdute e rifatte, e magari ripensate e modello è che sia fedele – quindi su-
fica in divenire delle intenzioni proget- gioni dell’architettura. Si pensi al caso rifatte in più modi diversi. A differen- bordinato, simile, adeguato – all’opera
Così l’apparizione, tra gli oggetti del tuali, la presentazione sintetica degli esemplare delle mostre di architettura. za che nella ricostruzione del restauro che rappresenta, e che dal modello
mio universo, di un elemento di disin- esiti dell’elaborazione grafica – prima Nell’ambito di una mostra, la presenza in quella più modesta del modello la stesso è costituita come originale. Ma
tegrazione di questo universo, è ciò che o dopo la concreta realizzazione dell’o- del modello è quasi sempre centrale, distinzione delle fasi della storia ma- la differenza di contesto e di fini, di in-
io chiamo l’apparizione di un uomo nel pera –, oppure ancora l’interpretazio- giustificata da una presenza concreta teriale dell’opera e delle ipotesi inter- tenzioni dell’autore e dello spettatore,
mio universo. ne di un’opera già compiuta, se non attrattiva e dall’immediatezza di una pretative non è normalmente rappre- la stessa appartenenza ad una serie,
Altri, dunque, è prima di tutto la fuga anche perduta. Così inteso il modello rappresentazione tridimensionale a sentata e l’integrità della forma – una con i diversi vincoli di coerenza che
continua delle cose verso un termine non è mai fine a se stesso, presuppone tutti comprensibile, disponibile a di- delle tante forme che l’opera ha avuto implica si oppone ad ogni pretesa di
che colgo come oggetto a una certa un’argomentazione già altrimenti defi- versi livelli di esplorazione e di lettura, o avrebbe potuto avere – si impone. completà fedeltà.
distanza da me, e insieme mi sfugge in nita e si riferisce ad un preciso interlo- più o meno pertinenti, al limite an- Tra le tante qualità materiali e imma- Alla corrispondenza tra originale e
quanto distende intorno a sé le proprie cutore, reale o virtuale. che impertinenti. A prescindere dalla teriali che determinano l’aspetto di copia si oppone già, ovviamente, la
distanze [...] Così improvvisamente è Il modello di studio ha come imme- specificità degli argomenti trattati, il un modello e l’effetto che produce stessa funzione di esplorazione pro-
apparso un oggetto che mi ha deruba- diati riferimenti il progettista stesso modello diventa il riferimento tridi- è certamente la sua collocazione. La gettuale con la necessità di evidenzia-
to del mondo. Ogni cosa è al suo posto, e il suo gruppo di collaboratori, che mensionale di un’ampia e eterogenea posizione all’interno di un percorso re le differenze tra le diverse ipotesi
tutto esiste sempre per me, ma tutto spesso sono gli stessi autori del mo- documentazione bidimensionale ne- predeterminato, i rapporti di somi- concorrenti. Una serie di modelli di
è percorso da una fuga invisibile, tesa dello: nel realizzarlo verificano l’ef- cessario a chi non è in grado di ricom- glianza e prossimità con altri modelli un’architettura scarpiana si presta ad
verso un nuovo oggetto. fettiva congruità del progetto agli porre – di rimodellare – mentalmente oppure il relativo isolamento possono esemplificare queste considerazioni, e
J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, Milano, Il obiettivi prestabiliti, la corrispondenza piante, sezioni, foto, testi. I modelli si aumentarne o diminuirne la presenza. cioè i modelli di studio della chiesa di
Saggiatore, 2002, p. 308. di un’immagine a un’altra immagine. distinguono per un maggiore o minore Nel caso non infrequente di mostre di Corte di Cadore, realizzati dallo studio
Essendo prevalentemente strumenta- apporto interpretativo dell’autore del soli modelli si forma un nuovo paesag- di Edoardo Gellner a supporto della
li alla progettazione, questi modelli modello stesso o delle fonti che sono gio virtuale in cui il pubblico si trova riflessione progettuale condivisa dallo
stesso Gellner con Carlo Scarpa2. Que-
ste maquette vennero usate tra l’altro
per verificare il rapporto con il conte-
sto, portati sul posto e messi diretta-
mente a confronto con il paesaggio
reale. Tracce di questa prassi proget-
tuale si riconoscono nel primo modello
di studio del 1956, in cui si ritrovano
anticipazioni e conseguenze del so-
pralluogo, e poi anche nel secondo del
1959, in cui la guglia, dalle proporzioni
ancora provvisorie, trova però la sua
posizione definitiva. La selezione e l’e-
laborazione degli elementi riprodotti
nei modelli rivelano l’attenzione per la
forma strutturale. L’assenza di alcuni
elementi è significativa: l’importanza
delle capriate è confermata non solo
dal cambio di materiale e dal livello di
dettaglio con cui vengono modellati
questi pezzi, ma anche dal fatto che in
tutti i modelli è completamente assen-
te il rivestimento della copertura.
Metter insieme i diversi modelli con
l’opera finita, e magari già rimaneg-
giata, non può non far pensare al fatto
che un’opera, in questo caso d’archi-
tettura, sia una collezione di cose e di
tracce che si propaga indietro e avanti
nel tempo generando quella che Ga-
damer, riferendosi ai testi, chiama
“storia degli effetti”, una storia che nel
momento stesso in cui ci avviciniamo
all’opera è ormai già di fatto insepara-
bile dall’opera stessa3.

Il modello opera sempre inevitabil-


mente una selezione tra i principali
caratteri di un’opera, e ne espone solo
alcuni: anche il modello più detta-
gliato sarà sempre la semplificazione
di un’originale irriproducibile. Questa
parzialità non costituisce il limite, ma
la forza del modello, poiché lo fa estre-
mamente versatile e in grado di muta-
re aspetto e significato con il pensiero
che lo forma e lo trasforma. In realtà il
modello si rivela un mezzo attraverso
cui l’opera rivela nuovi significati, anzi,
produce nuovi significati.
Parafrasando Scarpa si potrebbe dire
“voglio vedere, per questo modello”,
meglio: voglio vedere di più, più da
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vicino, voglio toccare, per questo fab- dello stesso materiale estratto dal ca- sul punto di mira: chi guarda si imma- ste prospettiche invitano ad un’espe- Altre considerazioni sono da fare nel
brico qualcosa. E il confine tra disegno talogo su un oggetto esplorabile nello gina alla stessa altezza del modello, rienza immersiva e offrono l’illusione caso in cui la fotografia dell’origina-
e modello, posto che esista, sta meno spazio mentale per produrre qualcosa delle sue porte, delle sue stanze, si di esplorabilità di un’ambiente. Le le si confronta con il modello, in una
nella differenza tra bidimensionalità e che è già a suo modo un modello. immagina dentro fin dove lo sguardo fotografie di un modello introducono mutua integrazione. Viene allora da
tridimensionalità che nella disposizio- reale può arrivare, e anche oltre. Forse un unlteriore livello di interpretazione. pensare alla mostra personale di Lon-
ne e nel coinvolgimento di chi guarda, La disposizione di un modello all’in- anche per questo motivo i modelli in Nella fotografia l’oggetto tridimensio- dra del 1974, allestita da Scarpa negli
e tocca. Ecco allora che un catalogo terno di un percorso espositivo, così scala reale, oltre che dispendiosi, sono nale ridiventa un’immagine bidimen- spazi della Heinz Gallery, dove espo-
e un abaco dei calcestruzzi usati da come la forma dell’allestimento, cor- inefficaci, perché mortificano questo sionale con le determinazioni geome- se alle pareti una serie attentamente
Scarpa nelle sue architetture, può es- rispondono o possono corrispondere meccanismo invece di favorirlo. triche e fisiche determinate dal nuovo scelta di fotografie, ponendo al centro
sere considerato un tipo particolare di ai punti di vista impliciti della copia e un punto di vista, dall’ambientazione della sala il suo tavolo Doge, e il solo
modello che espone allo sguardo e al dell’originale. Ogni modello, così come Nel suo offrirsi all’osservatore, ogni ri- più o meno neutra – mai davvero neu- modello di tomba Brion8. Non è un
tatto mediato dallo sguardo, un cam- ogni architettura, è pensato in funzio- produzione – anche quella “liberamen- trale –, e dall’illuminazione, e che pos- caso che anche là dove Scarpa avreb-
pione minimo ma importante delle di- ne di uno o più punti di vista reali o te” esplorabile – condiziona e limita i sono confermare o contraddire quelle be potuto ricorrere a dei modelli della
verse opere4. immaginari e per ovvie ragioni di scala possibili punti di vista, conformandoli a del modello e dell’opera. propria opera, in questa e in altre mo-
Se confrontiamo queste maquette mi- e d’uso i due insiemi sono per lo più di- logiche interne più o meno consapevoli. Se per esempio si osservano alcune stre, egli comunque preferisca ricorrere
nime con un modello virtuale iperrea- versi. Le dimensioni ridotte del model- Si pensi per esempio ai disegni di Ca- fotografie dei modelli di architetture alla fotografia, in un rigoroso bianco
listico che a sua volta esibisce l’imma- lo impediscono delle viste direttamen- stelvecchio realizzati da Richard Murphy scarpiane realizzati da Igor Silic7, si e nero “che non asseconda falsi con-
gine fotografica del materiale, come te confrontabili con l’esperienza reale. e dai suoi collaboratori, singolarmente riconosce l’opzione abituale di allesti- cetti di obiettività di riproduzione del
quello del padiglione del Venezuela Per quanto il modello sia grande, per simili a dei modelli per il modo in cui gli re per la ripresa delle maquette una reale” ma che comunque preserva la
ai Giardini della Biennale, realizzato quanto sia scomponibile i vincoli al elementi sono scomposti6. Gli ambienti scena fotografica spartana, a forma grana e i rapporti tra i diversi mate-
insieme al rilievo in occasione del re- movimento dell’architettura vera e di interconnessi del museo vengono sotto- di triedro – una minima white box – e riali. E probabilmente è anche questa
stauro del padiglione stesso, ci accor- quella in miniatura sono molto diversi, posti ad un processo di dissezione che di fotografare tutti i pezzi di scorcio e inevitabile approssimazione dei mate-
giamo di come il confine tra disegno e e questo, nonostante l’apparente liber- isola parti ed elementi restituiti in pro- dall’alto con luci morbide, omologan- riali nei modelli a renderli un mezzo
modello, realismo e astrazione, addirit- tà di movimento, vale anche nel caso iezioni assonometriche. La scelta delle do ulteriormente l’immagine dei di- secondario nell’attività progettuale di
tura tra testo e immagine, sia plurimo dell’esplorazione dei modelli virtuali. proiezioni parallele e la concentrazione versi modelli. In altre foto degli stessi Scarpa, oltre che all’insofferenza per
e mobile e non semplicemente già de- Quel che però val la pena di rilevare, sugli oggetti piuttosto che sugli spazi modelli realizzate per una pubblicazio- la resistenza di un oggetto solido alle
terminato nella rappresentazione5. È soprattutto per quanto riguarda le ma- producono un’oggettività che in realtà ne si vede invece un’approccio diverso, modifiche e ad un flusso di pensiero
sufficiente ruotare il modello digitale quette concrete, è che la condivisione è solo apparente, mentre invece sono per cui il punto di vista ribassato e rav- che si muove continuamente tra parti
in una vista frontale per avere qualco- da parte dell’osservatore dello stesso coerenti con il particolare intento del ri- vicinato, l’illuminazione più contrasta- e scale differenti del progetto.
sa di simile ad una proiezione ortogo- ambiente reale, della stessa luce e levatore, interessato a comprendere un ta e il viraggio in un asciutto bianco e Il problema della traduzione in mo-
nale, e poi ridurre il campo visivo per della stessa atmosfera produce un meccanismo compositivo, ed eventual- nero, le assimila ad un disegno in cui dello di un’architettura come quella
concentrarsi su un campione di mate- meccanismo di immedesimazione che mente ad appropriarsene e a ripeterlo. sparisce la caratterizzazione materiale di Scarpa in fondo non è diverso da
riale, oppure immaginarsi il campione sdoppia il punto di vista e lo proietta Rispetto quelle assonometriche, le vi- della copia. quello che pone il suo rilievo, il suo ri-
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disegno, il suo stesso completamento viste. Un esercizio o un addestramento anche quei pezzi, quelle prove e quei nello spazio cartesiano – val la pena compositiva non dichiarata ma tutta-
o restauro. Si pensi al caso del portale visivo, più che un “filmato”, utile al co- prototipi che sono serviti a realizzarle: di ricordarlo?–, ma lo traguardiamo via efficiente, si accompagna ad una
dello Iuav in campo dei Tolentini a Ve- spetto dell’opera. Un modello grande, prodotti con il solo scopo di definire le attraverso uno schermo piano, come serie di scelte in apparenza banali e
nezia, più simile ad un modello didat- inevitabilmente parziale, prepara alla parti di dettaglio delle sue opere, que- affacciati a una finestra, e si tratta di secondarie: la piccola dimensione del-
tico che ad una vera e propria archi- visione del dettaglio, alla miriade di sti pezzi si sono affrancati dalla loro una finestra relativamente piccola, ri- le maquette, l’accuratezza dell’intaglio
tettura scarpiana9. Si pensi poi ad una racconti minimi riuniti nell’architettura funzione accessoria e di scarto, per di- gida, ingombra di icone. I movimenti e il livello approfondito di dettaglio,
questione particolare come quella del- vera, anzi, in questa spesso colti a fati- ventare a loro volta modelli. Vengono mediati dall’interfaccia e dai disposi- la compattezza e “preziosità” del ma-
la riduzione di scala inevitabilmente ca proprio per la loro sovrabbondanza. subito in mente due esempi: la mappa tivi di input sono comunque innaturali teriale – un legno di pero duro, dal-
necessaria nella realizzazione di ogni Un modello piccolo mostra a sua volta dei dettagli per tomba Brion10, una e sono privilegiati quelli che danno un la venatura sottile e di un uniforme
copia ridotta, e che in un certo senso cose che nel vero non si possono vede- serie ordinata di stampi e prototipi feedback immediato ed evidente: il ra- colore rosso –, la riduzione dei vuoti
operiamo ogni volta che cerchiamo di re, e cioè quello che è in alto, quello divenuta infine oggetto di ostensione pido avvicinamento, il movimento or- per mezzo della trasformazione delle
tenere a mente un’architettura, prima che è fuori, e soprattutto l’intero. Nel al pari di un oggetto scultoreo, e poi bitante, la panoramica veloce. A questi finestre in incisioni del legno, la realiz-
ancora che di riprodurla. primo caso il movimento è esplorativo, la collezione delle matrici usate per la movimenti si aggiungono le possibilità zazione di una serie omogenea di mo-
introspettivo, nel secondo è piuttosto composizione dei testi delle iscrizioni e – e le complicazioni – caratteristiche delli di opere anche molto diverse per
Come semplificare una forma così circolare, orbitante, e di nuovo intro- delle lapidi11. del rendering digitale: la trasparenza tipologia, per dimensioni e per grado
densa di particolari e variazioni, da spettivo, in un modo diverso però, me- graduabile, la visualizzazione selettiva di avanzamento del progetto. La pla-
pensarsi nella sua essenza più propria diato dall’immaginazione. Poco cambia, o comunque meno di delle parti, il montaggio di elementi di sticità del singolo pezzo e dell’insieme
come fatta da quei particolari e da Nell’opera di Scarpa ci sono delle si- quanto ci si aspetterebbe, prendendo diversa provenienza e natura (scansio- è messa in evidenza da una visione
quelle variazioni? Come trovare una tuazioni particolari in cui la distanza in considerazioni i modelli digitali al ni, fotografie, disegni...). normalmente dall’alto e ravvicinata,
forma d’ordine superiore nell’assenza tra costruzione e modello si riduce fino posto di quelli concreti, rinunciando Nel suo porsi come forma isolata e conseguenza della dimensione ridotta,
di un ordo codificato? Come unire par- a sparire, e anche questo spiega l’ap- alla distinzione inefficace tra reale compiuta il modello si predispone alla ed è, a suo modo, una licenza signifi-
ti divise? E come dividere e aprire parti parente assenza di maquette di studio. e virtuale. Tanto per cominciare la possibilità di assumere un significato cativa rispetto ad un’architettura il cui
tanto articolate da non avere una linea Come nel caso di altri architetti, l’ar- questione della presunta libertà di proprio, anche se a questo si oppone elemento costitutivo fondamentale è
di separazione prevalente? Farsi scher- chitettura costruita diventa modello di esplorazione e di manipolazione è più la normale subordinazione all’origi- la superficie incorniciata.
mo di una pretesa di didascalicità o di se stessa, o meglio l’opera compiuta apparente che effettiva. Pur essendo nale. La sua compattezza e relativa Quel che qui ci interessa mettere in
didatticità qui è quanto mai difficile, anticipa quella in divenire, modificata il modello digitale collocato in uno semplicità sono fattori che possono evidenza non è però l’autorialità dei
oltre che inutile, e la riproduzione non direttamente dall’immaginazione. Ma spazio teoricamente isotropo e con- concorrre ad una autonomia che può modellisti, quanto il fatto che una
può che dichiarare l’inevitabilità, se poi anche le prove e gli esperimenti tinuo, che consente infiniti punti di essere più o meno accentuata, più o copia elaborata – che sia o no un
non la necessità, dell’arbitrio. materialmente realizzati sono a modo vista possibili, le possibilità attuate meno intenzionale e consapevole. Ri- modello concreto – tende inevitabil-
Il progetto di un modello poi, non può loro modelli parzialissimi del tutto: ex o attuabili di guardarlo ed esplorarlo prendendo ad esempio il caso della mente a creare una distanza tra sè e
che essere anche il progetto di un com- ungue leonem. La singolarità delle so- sono tutt’altro che infinite. Innanzi- serie di modelli scarpiani di Igor Silic l’originale che riproduce, e che anzi
portamento, di una disposizione visi- luzioni progettuali scarpiane è tale da tutto quando guardiamo un modello vediamo come questa costituzione proprio questa differenza è l’effetto
va, più ancora che di una sequenza di attirare all’interno della propria orbita digitale non siamo davvero immersi in opera a sè, con una propria logica della produttività intrinseca e quindi
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l’essenza stessa dell’opera. Perfino i
modelli che negano apparentemente
la propria materia come quelli dipinti
di bianco si costituiscono come cose e
proiettano attorno a sé un mondo, in
questo caso bianco come il sogno di
un architetto neoclassico. L’elemento
in cui il modello soprattutto afferma
se stesso è paradossalmente il suo
termine, il bordo interrotto della base.
Tornando all’esempio dei modelli scar-
piani di Silic, la base tagliata appare
solida e spessa, più spessa di quanto
effettivamente necessario, fatta dello
stesso legno compatto di tutto il resto,
e inquadra la forma architettonica in
una figura ristretta e regolare, rettan-
golare o quadrata, che lascia poco spa-
zio al contesto. L’architettura di Scar-
pa, l’architettura in generale, diventa
una cosa e una cosa maneggevole,
componibile con altre in un paesaggio
monocromo.

Di nuovo viene da chiedersi come sia


possibile produrre una copia e soprat-
tutto una copia materiale fedele di
un’architettura scarpiana?
Come abbiamo visto le logiche interne
del modello in quanto modello sem-
brano inevitabilmente in contrasto con
l’idea stessa di architettura di Scarpa:
una cosa che si divide e si scompone
continuamente, che si incastra e si ap-
propria del contesto, che ha bisogno
della luce e di quella particolare luce
non può che essere profondamente
differente da una cosa che tende alla
massima compattezza, che esclude il
contesto, che si fa una luce propria. E
la differenza in questo caso non è solo
quella inevitabile tra originale e copia,
ma proprio tra due idee diverse di cosa.
Quando Scarpa, in occasione della
XXXIV Biennale d’Arte del 1968, fu in-
vitato ad allestire una personale in cui
“esprimere o simboleggiare il proprio
peculiare modo di formare lo spazio”
quel che presentò non fu il modello di
un’architettura ma il modello di una
cosa, della sua idea di cosa, fatta di
luce, di materia, di forme prodotte da
superfici12. Qui la forma della “copia” e
la forma dell’architettura si separano
e in un modo del tutto particolare si
rendono indipendenti, eppure la prima
continua a parlare della seconda e ad
esserle “fedele” nella sua appariscen-
te infedeltà. Forse allora un modo per
rappresentare l’architettura di Scarpa
– l’architettura? – è proprio quello di
prendersi degli ampi margini di liber-
tà, che però comportano una presa di
responsabilità riguardo alla propria in-
terpretazione.
Il rischio della prevaricazione, dell’ar-
bitrio ingiustificato e improduttivo è
inevitabile. Il giardino dei passi per-
duti che Peter Eisenman realizza nel
cortile di Castelvecchio in fondo è un
modello di un’idea di architettura, ma
quest’idea è principalmente quella di
Eisenman13. Nella copia, nonostante
le intenzioni dichiarate, non si realizza
quella produttività mediata dell’origi-
nale – il castello, il museo di Scarpa, la
città stessa – che è l’effetto dell’opera,
il dialogo diventa un monologo, che
poi bruscamente e inevitabilmente si
interrompe. Più discretamente Ales-
sandro Scandurra, nell’allestimento di
“Carlo Scarpa e l’origine delle cose”
alla XI Biennale di Architettura di Ve-
nezia tenta di rappresentare la forma
del pensiero dell’architetto veneziano,
proponendo non tanto le testimo-
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nianze di un’attività, quanto piuttosto note Brion di Milano.
dei dispositivi che mettono in scena i 1. Il riferimento è alla collezione di modelli 8. G. Pietropoli, Carlo Scarpa mostra se stesso:
rappresentativi dell’architettura nazionale fran- Venezia 1968, Londra e Vicenza 1974, Parigi
modi di quell’attività: così ad esempio 1975, in K. W. Forster, P. Marini (a cura di),
cese conservati nel Musée des Monuments
i disegni che scorrono su dei binari e si Français e a quella di modelli di fortificazioni Studi su Carlo Scarpa 2000-2002, Marsilio
sovrappongono non vale per il valore miliari esposti nel Musée des Plans–Reliefs di Editori, Venezia 2004.
documentale dei materiali grafici, ma Parigi. 9. S. Los, Scarpa dopo Scarpa. L’ingresso
per l’allusione alla ricerca della forma 2. Edoardo Gellner e Carlo Scarpa, Progetto dell’Istituto Universiatario di Arrchitettura
per la Chiesa del villaggio di Corte di Cadore di Venezia, in M. Manzelle (a cura di), Carlo
attraverso la stratificazione dei segni e
(1956-67). L’Archivio Progetti dell’Università Scarpa. L’opera e la sua conservazione
all’apertura e indeterminatezza di un IV.2001, Cicero editore, Venezia 2002.
Iuav di Venezia conserva tre modelli: il mo-
procedimento indefinitamente ripeti- dello del primo progetto (1956) in legno e 10. F. Dal Co e G. Mazzariol (a cura di), Carlo
bile14. I limiti fisici di questo “modello”, metallo, modificato l’anno successivo con Scarpa 1906-1978, Electa, Milano 1984.
la distanza fisica e metaforica rispetto l’aggiunta di una capriata; il modello in legno 11. I. Abbondandolo, Carlo Scarpa e la forma
all’originale, la sua “differenza” e auto- e filo metallico (1959) per lo studio strutturale delle parole, Marsilio Editori, Venezia 2011.
di una parte dell’edificio; il modello in le- 12. Cfr. G. Pietropoli, Carlo Scarpa mostra se
nomia lasciano alle opere la possibilità
gno e cartone (1956-61) per lo studio della stesso, cit.
di continuare a essere quello che sono, 13. Il giardino dei passi peduti è un’installazione
controfacciata con organo.
non impediscono loro – nemmeno 3. Sulla “storia degli effetti” o Wirkungsgeschichte temporanea di Peter Eisenman nel cortile mag-
temporaneamente – di produrre altri si veda H.-G. Gadamer, Verità e metodo, giore di Castelvecchio, aperta al pubblico
significati, altro senso. Bompiani, Milano 2004, ed. orig. Wahrheit dal 26 giugno 2004 al 23 gennaio 2005. Si
Una riproduzione inutilmente fede- und Methode, J. C. B. Mohr (Paul Siebek), veda K. W. Foster, C. Davidson (a cura di),
Tübingen 1960. Peter Eisenman. Il giardino dei passi perduti,
le tende a sostituirsi all’originale, a Marsilio Editori, Venezia 2004.
4. E. Bruschi, P. Faccio, S. Pratali Maffei, Il
fissarne un’immagine diminuita, ad calcestruzzo nelle opere di Carlo Scarpa. 14. Mostra Carlo Scarpa e l’origine delle cose, a
impedire l’apparizione di nuove imma- Forme, alterazioni, interventi, Editrice Com- cura di G. Beltramini e A. Scandurra, Biennale
gini. Una copia sinceramente infedele positori, Bologna 2005. Architettura 11. Mostra Internazionale di Archi
lascia che l’opera sia quello che è, non 5. R. Codello, A. Torsello, Architetture vene- tettura, Venezia 14 settembre – 23 novembre
ziane di Carlo Scarpa: percorsi e rilievi di 2008.
la maschera, ma piuttosto la protegge
mantenendosi alla necessaria distan- cinque opere, Marsilio Editori, Venezia 2009.
6. R. Murphy, Carlo Scarpa & Castelvecchio,
za. In questo modo la copia, il disegno, Arsenale Editrice, Venezia 1991.
il modello esercitano quell’azione di 7. Mostra Andrea Palladio – Carlo Scarpa:
salvaguardia che, così come la intende tradizione e innovazione nell’architettura del
Heidegger, è rispettosa provocazione Veneto, a cura di I. Abbondandolo e G. Bel-
dell’opera, produzione di uno spazio tramini, Bruxelles, Parlamento europeo e CIVA
Centre international pour la ville, l’architecture
e di un silenzio in cui può costituirsi
et le paysage, 2003-04. I modelli realizzati
nuovo senso e nuovo valore. da Igor Silic appartengono alla Collezione
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Crediti e ringraziamenti

Modelli e immagini dialettiche:


le mura e il museo di Castelvecchio

Il giornale Iuav e la mostra sono sta-


ti realizzati con il contributo dell’U-
niversità Iuav di Venezia e il diparti-
mento di Culture del Progetto.
Si ringrazia il MeLa Laboratorio
Multimediale dell’Università Iuav di
Venezia per la collaborazione all’al-
lestimento della mostra.

Modello digitale del castello


e del museo di Castelvecchio
di Verona

Il modello è stato realizzato nell’am-


bito di una convenzione tra il MeLa
Laboratorio Multimediale dell’Uni-
versità Iuav di Venezia e la Direzione
Musei d’Arte e Monumenti del Co-
mune di Verona (2008-2011).
Responsabile scientifico della con-
venzione per il MeLa Laboratorio
Multimediale dell’Università Iuav di
Venezia: Malvina Borgherini.
Responsabile scientifico della con-
venzione per la Direzione Musei
d’Arte e Monumenti del Comune di
Verona: Alba Di Lieto.

Il progetto della convenzione e i mo-


delli sono di Emanuele Garbin (con
Vera Gava).

Il modello è stato realizzato sulla base


del rilievo grafico e fotografico prodot-
to dalla SAT Survey srl, Venezia.

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