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I.
Nel 1910, Mahler è un uomo sconfitto. Una serie di intrighi lo ha appena allontanato
dall’Opera di Vienna: “il regno degli dèi meridionali”, come lo definiva lui; il
matrimonio con Alma Schindler – la “vedova delle tre arti”, che dopo di lui sposerà
Walter Gropius e Franz Werfel, e sarà l’amante di Oskar Kokoska – è insidiato dalla
sua impotenza, che spinge Alma, quasi vent’anni meno di lui, a cercare altrove un
compagno meno paterno; la figlia Maria è morta di scarlattina, ed il medico gli ha
diagnosticato un vizio valvolare bilaterale congenito. Deve reimparare a camminare,
a respirare. Cammina con un podometro al polso. Deve rinunciare alle lunghe
escursioni tra i boschi e le scalate in montagna, che erano le fonte della sua
ispirazione. In queste condizioni, Mahler si reca da Freud, che lo visita a Leyden, in
Olanda. Passeggiano per strada tre ore. Freud dirà, venticinque anni dopo, che fu
come scavare un minuscolo forellino in una parete di granito. Dirà anche che Mahler
era la persona più ricettiva alla psicoanalisi da lui mai incontrata. Per forza: per
Mahler, la vita affettiva fu sempre la messa in scena di un gioco infantile; una
seduzione distruttiva ed autodistruttiva. Diventato padre a quarant’anni passati,
Mahler festeggia l’avvenimento scrivendo i Canti dei bambini morti. Alma, sensitiva
come tutte le madri “tu dipingi il diavolo sulla parete”: esclama, presa da quello che
sembra solo un raptus superstizioso. Qualche tempo dopo il completamento
dell’opera, Maria, la figlia, muore di scarlattina. Ricordate? quando Mahler sposa
Alma, per prima cosa le ingiunge di non scrivere più musica. “Mi portai i miei Lieder
con me tutta la vita, chiusi in una scatola di legno, come in una bara”: dice lei, nelle
sue memorie. Ken Russel, nel film La perdizione, mostra Alma che sotterra le sue
opere: reliquie di se stessa. Un simile dissipare i propri affetti più cari, implica la
devozione a qualcosa di più alto. Qualcosa che spinga ad annunciare, nelle parole
dell’unico poeta esoterico vissuto in Italia, “l’Ignoto viene a me; l’Ignoto attendo”.
Mentre componeva l’Ottava Sinfonia, Mahler, spesso, si sdraiava sulla nuda terra, nel
capanno tra i boschi di Dobbiaco che si era scelto per tèmenos: il sacro recinto del
Genio. Faceva parte della sua adorazione pànica della Natura. Il grande soffio del dio
Pan, era nient’altro che l’ispirazione. L’arrivo del dio Pan viene descritto nel tema
che apre la Terza Sinfonia, enunciato da otto corni all’unisono. È una primavera
tremenda, materica. Questa sinfonia, è il primo tentativo mahleriano di una
cosmologia attraverso la musica. È un concetto importante, su cui torneremo.
L’ispirazione, dunque, è un demone che tutto trascina con sé: una forza
antiumanistica; come antiumanistica è l’arte di Mahler, dove l’uomo è schiacciato tra
il tutto e il nulla. Osserviamo l’incipit della Prima Sinfonia di Schumann. Descrive,
anch’esso, l’arrivo della primavera. Solo che qui abbiamo un sipario; in Mahler, una
fanfara. Qui, l’inizio di un discorso; in Mahler, un fenomeno naturale . Qui,
un’espressione del sentimento; in Mahler, una pura messinscena del sentimento.
Mahler evita il “teatro” di Schumann. La musica esprime, in lui, il rumore di fondo
del tempo che passa: un tempo cosmico, e, quindi, disumano. Lo abbiamo visto: il
sentimento, in Mahler, è disumano. Dopo aver diviso con l’amico Hugo Wolf miseria
e camera ammobiliata, ai tempi del Conservatorio, Mahler, diventato il dèspota
podiale di Vienna, evita di mettere in scena la sua unica Opera: Der Corregidor.
Nicchia e rinvia ogni risposta; finché Wolf impazzisce: vaga per la città fermando i
passanti, e grida “io sono il grande Mahler”. Così, era certo che la sua Opera sarebbe
stata rappresentata: sublime logica della follia… Il fratello di Gustav, Otto, anch’egli
compositore, subisce talmente il confronto con lui, da spararsi: non in testa, ma nel
cuore. Otto, lascia un biglietto. Con sottile crudeltà: “La vita non mi dà più alcun
piacere. Restituisco il mio biglietto d'ingresso”. Dopo la morte, le sue Sinfonie
vengono affidate ad Alma, che le seppellisce insieme ai propri Lieder. Una bomba
spazza via i manoscritti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Questo tramonto della Mitteleuropa, è un tempo cattivo, pulsionale, frenetico.
Abbiamo già accennato ad Hans Rott, reso pazzo dal disprezzo di Brahms.
Ripercorriamo il suo destino, ma da un’altra prospettiva. Rott impazzisce sul treno
che lo porta verso un modesto impiego di direttore di coro, in una cittadina austriaca.
Sostiene che il treno è stato minato da Brahms. Prima di morire, in manicomio, di
tubercolosi, scrive molta musica, di cui si serve al posto della carta igienica. Di Rott,
è rimasta una Sinfonia che Mahler, al colmo dell’entusiasmo, studia e saccheggia,
senza mai nominare lo sventurato suo compagno di studi nella classe di Bruckner.
Verrà eseguita per la prima volta nel 1979, dall’Orchestra Sinfonica di Cincinnati.
Comincia anch’essa con un’invocazione alla natura. L’evidenza sonora, è
schiacciante: siamo di fronte al tramite tra Schumann e Mahler.
“E invece di provvedere saggiamente a ciò che occorre sulla terra affinché la vita vi
sia migliore, l’uomo si abbandona all'ebbrezza infernale”: dice Thomas Mann nel
Dottor Faustus. Nella Terza di Mahler, si celebrano gli esiti di una simbiosi tra la
musica e i riti dionisiaci che nasce dall’opposizione tra mente e natura. Tutto
comincia col Franco cacciatore di Carl Maria von Weber: la scena della “Gola del
diavolo”. Ascoltando questa musica, vi si nota la deformazione tremenda cui sono
sottoposti il Volkslied e la danza popolare. Questa musica, è tutta una parodia del
Volkslied: il canto popolare. L’ingenuo, il “popolare”, diventa, qui, sinonimo di
dannazione. Mahler, nel Terzo Movimento della Seconda Sinfonia, si riallaccia a
Weber: evoca il demonio. C’è una caccia infernale, sotto le volute dei temi:
metamorfosi estrema di quella giubilante frase che apre la Prima di Schumann. Tipica
di Mahler, la deformazione a cui viene sottoposto il timbro degli strumenti: ghigno
grottesco della Natura. Siamo in pieno antiumanesimo: un antiumanesimo nato dalla
deformazione del Volkslied. Mahler ama la musica popolare. La sua musica è sempre
caratterizzata dall’apparire, nei momenti più tragici, di melodie infantili, squilli di
caserma, ballabili di taverna. Il compositore stesso, lo spiegava così: da piccolo, dopo
una scenata penosa tra i genitori, era uscito affranto sulla strada. Un organetto
intonava una canzoncina per bambini: “Du lieber Augustin”. Le due dimensioni della
morte e della fiaba: l’infanzia, e lo stupore allucinato, erano, quindi, per sempre
rimaste, in lui, intrecciate. In Mahler, la musica si configura come una coazione a
ripetere: una rigenerazione del trauma originario. La danza, in Mahler, è una marcia
gentile, perché inconsapevole, verso l’abisso. L’ambivalenza del suo carattere emerge
nel Secondo Movimento della Sinfonia n.2 “Resurrezione”; dove la danza è, insieme,
idillio ed elegia. Mahler, nasce come compositore di Lieder. Quando scrive la Prima
Sinfonia, utilizza i temi della sua raccolta giovanile di Lieder: I canti di un viandante.
Da notare, nel quarto Lied, il gioco semantico finale tra “Lieb’/Leid”, “Welt/Traum”:
“amore/dolore”, “mondo/sogno”. È la cifra stilistica di tutta l’opera mahleriana.
Anche nella Terza Sinfonia, c’è la citazione di un Lied giovanile: Cambio della
guardia in estate. L’ultimo movimento della Quarta, è un Lied tratto da Il corno
magico del fanciullo. Tutti questi Lieder, hanno un elemento in comune: sono
umanistici; parlano di un equilibrio ingenuo tra mente e natura. Il Mahler
venticinquenne della Prima Sinfonia, dunque, ha già lo sguardo rivolto all’indietro.
Cita se stesso. È un elegiaco, uno sconfitto dalla vita. Scrive una musica non più
ingenua, ma sentimentale. Nostalgica. Antiumanistica. Anche Mahler, come Hans
Rott, non è sopravvissuto al crollo delle mitologie naturalistiche del Romanticismo,
viziate già in partenza da quella screziatura demoniaca che abbiamo visto in Weber.
Nella Prima Sinfonia, Mahler introduce un movimento intitolato “Blumine”:
“Raccolta di fiori”. Dopo la terza esecuzione dell’opera, lo toglie. Perché? La
citazione del tema con cui si apre la Sinfonia di Rott, è fin troppo evidente. Mahler,
eliminando questo movimento, suicida Rott dentro di sé. Rott, aveva cercato di
mantenere la Forma sinfonica dentro i limiti della contemplazione naturalistica. Nella
lunga agonia che la Forma sinfonica vive con Mahler, l’unica alternativa possibile al
suicidio artistico diventa, allora, “creare un mondo coi suoni”: fare della Sinfonia una
vera e propria cosmologia. Mahler ci prova, una prima volta, dilatando la Forma del
Poema Sinfonico: e nasce la Sinfonia n.2 “Resurrezione”, che è la storia dell’ascesa e
trionfo post mortem dell’eroe della Prima Sinfonia; anch’essa un Poema Sinfonico, in
quanto costruita su di un romanzo di Jean Paul: Il titano. Nella Seconda Sinfonia,
ricompare il fantasma di Rott: il grande sconfitto di questa gara utopica per la
sopravvivenza. Come abbiamo visto altrove, nel Terzo Movimento Mahler sviluppa il
tema su cui Rott fonda il Terzo Movimento della propria Sinfonia. Infine, nella
Sinfonia n.3, quando il dramma tace, e comincia il rito dionisiaco, Mahler trova la sua
strada. La Terza, non è più un Poema Sinfonico letterario, ma filosofico. Quindi, con
la Terza, nasce la morte della musica. I suoni, d’ora in avanti, necessitano, per
esistere, di concetti. La musica, nella Terza, viene uccisa dall’evoluzione, lungo i suoi
cinque Movimenti, dal linguaggio delle pietre a quello dei fiori, gli uccelli, la notte
(non per caso, origine dell’uomo: il “Canto di mezzanotte” dallo Zarathustra
nietzschiano) le campane del mattino e, infine, Dio. Dio inteso come amore che tutto
in sé accoglie e comprende. La musica, qui, diventa “mimesi”: imitazione di
linguaggi. Non è più un linguaggio autosufficiente, come in una fuga di Bach.
Diventa un sistema filosofico.
Questa progressione dalla Fisica alla Metafisica, Goethe la chiama, con Aristotele,
“entelechìa”. L'entelechìa è quel principio naturale per cui, nella ghianda, è contenuta
la quercia. Goethe costruisce il suo Faust come un’entelechia antiumanistica. Il Faust
nasce dall’elaborazione di un dramma cinquecentesco per marionette: dunque, dal
“popolare”. Anche il Faust, è una parodia del Volkslied. Mahler, quando decide di
indossare le maschere di Faust, scrive l’Ottava Sinfonia, che è una parodia del poema
goethiano. La parodia musicale di una parodia letteraria. Mahler, l’antiumanista,
eppure si ribella al crollo degli idoli che sconvolge e dissocia i suoi contemporanei,
ed il cui approdo ultimo è la dodecafonia di Schönberg. La dodecafonia, è la morte
della tonalità, che, in quanto espressione della gravitazione universale, è il linguaggio
della natura; mentre la dodecafonia, è un linguaggio mentale. Tutto il Romanticismo
si configura, in questi termini, come un’evoluzione del problema posto da Rousseau
al centro della sua filosofia: come far coincidere il linguaggio della mente e quello
della natura? il tempo dell’uomo, e quello del Cosmo? Mahler, nell’Ottava, sposta il
problema; e celebra il trionfo, superficialmente ottimista, dell’ispirazione: un
problema altamente demoniaco. Mahler realizza la deformazione parodistica del
Faust di Goethe facendo precedere l’ultima scena del poema in forma di dramma da
un Inno medievale: “Veni, Creator Spiritus”. Si tratta di una meditazione
trascendentale in forma di Fuga scritta in brevissimo tempo, con entusiasmo
platonico; “come fosse stata dettata”, dice Mahler. Quasi gliel’avessero dettata quegli
stessi angeli che dettavano a Schumann temi di compositori morti, quando già lo
avevano avvolto le tenebre della follia. Siamo nel regno della magia. Le ombre dei
bambini morti: i protagonisti dei Kindertotenlieder, dettano a Mahler questo epicedio
della Fuga, la Forma umanistica per eccellenza. L’Ottava, è l’ancora di salvezza di
Mahler dalla follia. L’ultima espressione dell’Imperativo Categorico: “Così deve
essere”, apposto da Beethoven, l’ultimo umanista, sul manoscritto dell’ op.135: la sua
ultima. Gustav Klimt, quando, nel fregio dedicato alla Musica, dentro il palazzo della
Sezession viennese, rappresenta Mahler, vestito da cavaliere medievale, nell’atto di
disperdere i demoni dell'inconscio, mentre dirige la Nona di Beethoven, certamente
auspicava il Mahler dell’Ottava Sinfonia. Il richiamo al Quartetto per archi op.135,
non è casuale. L’Ottava sviluppa il programma cosmologico della Terza, che si
chiude con il cielo di Dio: l’Empireo. Tra il tema dell’ultimo movimento della Terza
di Mahler, e quello che Beethoven adopera nel “Lento assai, cantante e tranquillo”,
del suo Quartetto, c’è più di un’assonanza. È una citazione in piena regola. L'Ottava è
l'estremo tentativo, forzatamente ottimistico, di Mahler, di uscire dalla sua nevrosi;
del Romanticismo, di uscire dal suo antiumanesimo; del linguaggio tonale, di
sopravvivere. Le tre cose sono strettamente collegate, come lo sono natura (tonalità),
mente (nevrosi), cultura (Romanticismo), secondo il modello di entelechìa realizzato
da Goethe nel Faust.
Solo una cultura al tramonto si può permettere di sostituire all’invenzione la
citazione; di farsi, da cultura, storia di una cultura. Il Faust di Goethe, comincia al
termine dell’Umanesimo. Le scienze e le arti non bastano ad appagare l’ansia di
infinito del protagonista; che si abbandona, quindi, secondo le parole di Thomas
Mann, “all’ebbrezza infernale”. Faust è il prototipo dell’eroe romantico: dice “dopo
di me, il diluvio”. La sua natura di intellettuale, lo rende il Doppio di Don Giovanni:
il carnale. Faust, è l’Animus; Don Giovanni, l’Anima, del narcisismo romantico. Faust
e Don Giovanni sanno che gli Umanisti avevano torto: la virtù non basta per essere
felici; men che meno, la conoscenza. Ad entrambe, manca un fattore fondamentale: il
desiderio, che rende l’uomo “umano, troppo umano”. Così, nel nostro “catalogo degli
Affetti” mahleriano, abbiamo già incontrato due termini-chiave: l’ispirazione e il
desiderio. Come dire: l’arte è uguale alla vita, e procede da essa. E in questo, Mahler
è un decadente. Fa del desiderio la propria religione.
Il desiderio, è la soglia fatale dello sguardo. Mahler, in Alma, amava gli occhi: occhi
grigioverdi, che fasciavano la sua Persona di un’aura violacea. Alma era il Perfetto
Ermafrodito, come ermafroditi sono gli occhi. Lo sguardo, infatti, è neutro: non ha
sesso. Le voci bianche che risuonano nell'Ottava Sinfonia, sono sguardi. Sono
richiami erotici rivolti a Faust. La redenzione nell’amore passa attraverso gli occhi;
che sono un’ossessione, per gli artisti della Mitteleuropa. Nell'Olandese volante di
Wagner, Senta si innamora del ritratto del pirata maledetto, ed intona di fronte a lui la
sua demoniaca Ballata; allora le ragazze posano il fuso, e le si dispongono intorno, ad
ascoltare. Anche qui, musica familiare e musica delle tenebre si intrecciano in un
sottile contrappunto; e Senta diventa il pifferaio di Andersen.
Lo sguardo fatale tra Tristan e Isolde, da cui nasce il celebre accordo che percorre
tutta l’opera, fa di un sentimento: il desiderio, un “affetto” da catalogo del
Melodramma. Da allora in poi, quell’accordo vuol dire “morte per amore”. Così il
desiderio, nella cultura della Mitteleuropea, si fa sacro. Diventa un mito; ed è proprio
dei miti, che “sacro” significhi anche “esecrabile”. Nel passaggio dell’Ottava in cui
interviene la Mater Gloriosa, voce di un archetipo: l’Eterno Femminino, Mahler
“santifica”, rende liturgico, quell’accordo lussurioso del Tristano. Prima di simile
palingenesi, però, il fantasma del Tristano compare nella Terza, in un passaggio del
Finale che segue immediatamente la parodia del tema beethoveniano di cui abbiamo
parlato. Le frasi del tema principale, in questo ultimo Movimento, sono, dunque,
entrambe parodie. Il tema sarà, poi, materiale per le variazioni di cui questo
Movimento è composto; ma ritornerà, intatto, nei punti nodali della Forma. Ne risulta
una vera dichiarazione di fede nella poetica della memoria. La “poetica delle rovine”
così cara all’Eliot di La terra desolata.
Le variazioni del tema degli occhi, nella Vienna delle rovine fin-de-siècle, sono
materia per il demonio. Non per caso, Elias Canetti ha intitolato Il gioco degli occhi
la sua autobiografia dei tempi di Vienna. Vi compare anche Alma Mahler, ora sposata
a Gropius. Ad Alma si ispira anche Robert Musil ne L’ uomo senza qualità: questa
scoria della bellezza in forma di romanzo; l’opera più nostalgica, e quindi più fredda,
introversa, che sia mai stata concepita; perché, qui, la nostalgia chiude i sensi al
mondo esterno. Nel romanzo di Musil, Alma vi appare come un’impicciona col gusto
del pettegolezzo: la signora Drangsal (ovvero “Tormento”). Gli occhi di Alma, erano
tremendi… Kokoska, da lei respinto, si arruolò nella Prima Guerra Mondiale,
sperando di venire ucciso. Al suo ritorno a Vienna, realizzò un pupazzo di Alma in
grandezza naturale; così, poteva sempre tenerla con sé. Un giorno, in un accesso
d’ira, bruciò in cortile l’aborto tremendo della sua Anima: la “salma” della donna. Un
vicino avvisò la polizia del tremendo omicidio, ed il pittore infiammato ed
infiammante dovette dimostrare la propria innocenza.
L'angoscia degli sguardi, in Mahler, è ben testimoniata da come il tema degli occhi
compare ossessivamente nei Kindertotenlieder. “Quando la tua mammina assorta/
Entra da quella porta/E io la testa giro/E verso lei miro/Sul suo volto non
cade/Dapprincipio il mio sguardo...” comincia una delle poesie che Friedrich Rückert
dedicò alla memoria dei suoi figlioletti. E un’altra: “Ora infine so perché così oscure
fiamme/A me lanciavate, occhi, in certi istanti”. Nei Kindertotenlieder, il tema degli
occhi è sempre collegato a quello del commiato: la morte. Ritroveremo un lungo,
straziante commiato, ad accomunare le tre ultime opere di Mahler, anche nei nessi
tematici. Il “catalogo degli Affetti” di Mahler si compone, quindi, di tre termini:
“ispirazione”, “desiderio”, “commiato”.
Parafrasando Rainer Maria Rilke: chi guarda e tace è condannato alla morte, perché
in lui lavora un demone oscuro. E invece, nella parte finale dell’Ottava, gli occhi
compiono il miracolo del rovesciamento. L’ispirazione è scesa dal divino all’umano.
Si è “redenta”. Ora l’uomo può ascendere, tramite l’entusiasmo platonico, al cielo
degli dèi. “Blicket auf zum Retterblick, alle reuig zarten”, “volgete lo sguardo agli
occhi salvifici”: così dice Faust alle anime penitenti, ed alla fine della perorazione
ricompare, trasfigurato come il ricordo di una miseria che ha dato ali alla redenzione,
il tema di apertura della Sinfonia: “Veni Creator Spiritus”. Ora, il tema iniziale
risuona in basso: memoria disturbante del tempo degli uomini. Mahler crea, alla fine
dell’Ottava, un “teatro cosmico” dove lo spazio viene osservato,
contemporaneamente, dall’alto e dal basso. Alla fine, il contrappunto è sconfitto da
un semplice Corale. La “tecnica”: il linguaggio, nulla può senza quel demone: lo
Spiritus, la cui evocazione richiede fede nel Simbolo. Nelle parole conclusive di
Goethe: “Tutto ciò che trascorre/Non è che Simbolo”.
II.
Prima di questo epitaffio, c’è l’elegia. Nella Nona Sinfonia, lo sguardo spazia
lontano, sconfitto, a raccogliere ancora le ultime luci di un tramonto lento e luminoso.
La Nona, non ha radici: nasce dal silenzio, ed al silenzio torna; come quel Viandante
che, nel Finale del Canto della terra, si allontana dall’amico, e la musica segue il suo
svaporamento. Non è uno scomparire: è il confondersi di uomo e natura. Il mescolarsi
dei propri contorni con quelli del monte lontano. La Nona Sinfonia e il Canto della
terra, sono visioni che trascendono il tempo. Qui, per i vivi, non c’è più nessun
bottino da spartire. Anche il lirismo non è più, in queste partiture, autobiografico, ma
è stilizzazione di un’alterità: cifra di un’alienazione. L’inizio della Nona è
asimmetrico, irregolare: un fantasma sonoro dell’angina pectoris, il cuore malato di
Mahler (Beethoven, nella “Cavatina” del Quartetto op.130, proietta nei suoni la
stessa sua “immagine allo specchio”). Quando subentra la regolare scansione degli
accenti, la riconciliazione uomo/natura avviene entro uno dei temi più grotteschi che
si possano immaginare. Nulla più succede: tutto accade. Così, nell’“Adagio”
conclusivo, non c’è più una contrapposizione di due temi, come nello stile classico. Il
tema è uno, variato senza fine: esito ultimo della “melodia infinita”' wagneriana. Non
per niente, ultimato il Parsifal, Wagner intendeva dedicarsi a Sinfonie in un solo
tempo: costruite su di un solo tema. La metamorfosi dell’esitante tema iniziale
nell’incipit del Terzo Movimento: il “Rondò-Burleske”, trova nella deformazione
grottesca la traduzione stilistica di quella fibrillazione cardiaca. Il cuore malato,
ammala la mente. Grazie ai ritorni ossessivi di quell’incipit, ora scopriamo che
l’esitare era non scelta espressiva, ma destino subìto: deformazione del tempo. Il
tempo: la sua eternità disumana, distrugge le ragioni dello stile. Nel Canto della
terra, i giovani che festeggiano nella pagoda sull’acqua non si accorgono di come la
luce proietti le loro immagini rovesciate sul cielo sbiancato dalla luna. Quel piccolo
stagno, è il loro mondo, dove vivono prigionieri. La luce che riflette il Vero, è la
coscienza, secondo il Goethe della Teoria dei colori. Oltre la coscienza, si apre un
mondo di spiriti superbi, che noi possiamo penetrare solo a patto di disperderci nelle
mille identità dei sensi. Torna il contrappunto degli Elementi: acqua, aria, terra e
fuoco. I temi, nella Nona, sono eroi romantici: attori di un dramma senza significato.
A Mahler non resta che scrivere, sul manoscritto della Decima, “follia, afferrami,
perché io sia maledetto”. Più fortunato di Rott, morirà prima che succeda. Altri,
hanno pagato per lui.
Il 3 gennaio 1889, Nietzsche, a Torino, si attaccò al collo di un cavallo, a sua volta
aggiogato alle stanghe di una vettura di piazza. L’aveva scambiato per il Kaiser
ridotto in schiavitù. Conosciamo la data precisa del suo passaggio nel mondo senza
passato della follia: strano paradosso in un uomo che cercò di abolire in sé il fluire
del tempo; rifiutando di esistere, cercando solo di essere. Prima di impazzire,
Nietzsche ebbe occasione di teorizzare un tempo circolare, caratterizzato dall’eterno
ritorno delle idee e degli uomini. Riprendeva un’intuizione di Giovan Battista Vico,
che il filosofo napoletano attinse da certe suggestioni dei Neoplatonici e di Giordano
Bruno. Wagner la sviluppa nel Finale della Tetralogia, quando le ceneri del Walhalla
si disperdono, e l’aurorale ricaduta dell’Anello nel Reno riconduce tutto al primario
fluire dell’Essere. Nietzsche scopre che, nell’arte, il linguaggio è rito sacro, enigma
ed incantesimo; Mahler, grande ammiratore del filosofo, compie un’evoluzione dalla
mìmesi: l’imitazione dei linguaggi naturali, alla concezione della Sinfonia come
ecosistema chiuso; mìmesi anch’esso, ma dei fantasmi della mente. Uno specchio
concavo in cui si specchiano le figure di quel velo dipinto di “coloro che il vivere
chiamano vita”. Schopenhauer diceva che gli dèi hanno dipinto un velo attorno al
mondo; e le immagini di questo teatro, l’uomo le scambia per la realtà. Ora, il tempo
“epocale” della natura e quello “epifanico” della mente, nella Nona e nel Canto della
terra, vengono a coincidere.
Da qui deriva quella nostalgia del Vero che contraddistingue il tramonto di Mahler:
nostalgia che gli faceva amare la Cavalleria rusticana di Mascagni, e Leoncavallo, e
Giordano; e detestare Puccini. In Mascagni, Mahler manifestava la propria nostalgia
per il perduto sentimento ingenuo; in Puccini, detestava il teatro: la mìmesi nella
mìmesi; una cifra stilistica che era stata anche la sua, e per la quale – sapeva –
Platone l’avrebbe qualificato come “ipocrita”, e cacciato dalla Repubblica dei
Filosofi. Durante le Sinfonie “di mezzo”: la Quinta, la Sesta e la Settima, Mahler
trova nel contrappunto, la polifonia delle voci, il modo per aggirare la parodia delle
voci naturali: il teatro. Inventa una natura mentale, parallela a quella dei sensi.
Nell’ultima parte della sua vita, subentra una profonda malinconia, una senilità dello
spirito. Sempre chi muore, essendo solo, capisce. Dopo i Kindertotenlieder, l’infanzia
è diventata il regno del demoniaco: del “polimorfo-perverso”, dirà Freud, pochi anni
più tardi.
L’ultimo lavoro compiuto di Mahler, è un riadattamento delle Suites orchestrali di
Bach. Mahler, le ristruttura: ingloba sezioni e brani in un diverso ordine. La citazione,
la storia dello stile, non investe solo l’invenzione dei temi, ma diventa, infine, l’unica
possibilità intellettuale – e quindi, formale – della musica. Mahler muore storpiando
in dialetto viennese il nome di “Mozartl”; anche nella morte, il suo respiro d’artista
deforma lo stile classico ormai perduto. Lo stile classico, diventa un fantasma: una
immagine allo specchio. L’eidolon: effige di Anima.
In questo, Mahler, non è solo. Uno dei suoi ultimi atti, nella fatidica estate del 1910, è
promuovere la pubblicazione delle Sinfonie di Bruckner, devolvendo a questo scopo i
diritti d’autore delle proprie partiture. Perché Bruckner? Bruckner aveva sviluppato
fino alle estreme conseguenze la concezione per analogie tematiche: l’interpretazione
non dialettica, non sintetica, che Schubert diede dello stile classico. Torniamo
un’ultima volta al tema d’inizio della Terza Sinfonia mahleriana: potenti, le assonanze
che lo legano all’incipit della Nona di Schubert. Schubert, visse nell’Ombra: il
fantasma della natura. Visse nell’incubo della mente. Abbiamo altrove esaminato il
tema del Sosia, nel Lied Der Doppelgänger: la duplicazione senza fine, nel tempo
circolare della coscienza. Uno sviluppo musicale dell’idea nietzschiana per cui ogni
identità è rinchiusa nel circolo immutabile del tempo; lungo il cui percorso, a mutare,
sono solo le sue sembianze. Questo Lied è stato sviluppato da Camillo Togni, sul
finire del Novecento, in un brano per chitarra dal titolo Du bleicher Geselle: “Tu,
pallido compagno”, dove il Sosia diventa la luna. Con la luna – ombra della follia,
Doppio delirante della ragione – riaffiora per un attimo l’apparato massonico del
Flauto magico. La luna – simbolo dell’Angst, testimone della colpa – compare nello
Schönberg di Notte trasfigurata, ancora fiducioso in una riconciliazione tra mente e
natura; e in quello, già espressionisticamente scisso, dilaniato, del “monodramma”
per voce e orchestra Erwartung.
Erwartung è l’incubo di una donna persa nel bosco, alla ricerca del proprio amante.
Alla fine, ne ritrova il corpo, e sente di esserne lei, l’assassina. La musica non
rappresenta: è, tutto questo. La donna non pensa, sente. La musica, diventa metafora
della follia. Il cannocchiale rovesciato sull’anima osserva ingigantirsi, mostruosi, i
lineamenti dell’homunculus: l’uomo sintetico che Faust crea in un’ampolla; il
fantasma dell’identità, ghignante nel cranio dove la ragione crede di avere piantato il
proprio vessillo. L’homunculus: la più demoniaca maschera di Faust. Siamo nello
psicodramma, con la musica ridotta a infermiera del medico alienista. Da Schubert a
Mahler, la musica prepara simile dissociazione schizofrenica: lo specchio dell’Io,
inutile dialettica. Il trionfo dell’antiumanesimo. La fissità allucinata è, ancora una
volta, il tema del “Canto di mezzanotte” dallo Zarathustra nietzschiano, “specchio”
centrale della Terza Sinfonia. L’impossibile dialettica dei suoni; la paradossale
dialettica delle idee, impotenti ad arrestare il libero fluire del tempo, dove spaventa
sapere che tutto ritornerà. Per questo le Sinfonie di Mahler sono lunghe, complesse.
Mahler vuole sfuggire la consequenzialità delle idee. Depotenziare nel silenzio il loro
potere costruttivo.
Beethoven, odiava il dubbio. L’incipit della Quinta sinfonia, nei suoi taccuini, lo
abbiamo in diecine di versioni diverse. Il tema del Secondo Movimento trova la sua
forma attraverso quattordici successive varianti. Mahler, invece, ingloba nelle
Sinfonie anche i materiali scartati dalla sua coscienza critica. Vuole annullare, nel
libero fluire delle idee, la propria individualità artistica. L’opera comincia, con lui, a
far valere le proprie ragioni contro l’artista. La sua è una lotta, consapevole di essere
perdente, contro la genialità dell’artista: l’eroe romantico. Torna alla mente
l'immagine di Klimt: Mahler come cavaliere medioevale. C’è molto di arcaico, di
ancestrale, nella poetica di Mahler. La sua concezione dell’arte, è quasi dantesca: la
stessa ossessione per la luce; per gli occhi, gli sguardi: i riflessi della Parola divina in
un Cosmo smembrato dal male. Perché esiste il male? Perché il Tamburino ingenuo
del Corno magico deve morire; perché devono morire i bambini? Dante, alle prese
con lo stesso problema, pose il senso dell’arte in un Altrove, dove il male non esiste.
Questo Altrove, lui lo chiama “alta fantasia”. Quando scrive, qualcosa in lui “si
muove” e “ditta dentro”, e all’alta fantasia “piovono dentro” le idee. Anche per
Mahler, la fantasia è un luogo in cui piovono dentro rappresentazioni: idee fattesi, nei
suoni, simboli. Torna il “catalogo degli Affetti”: qui non più repertorio dei sentimenti
comuni, ma esorcismo di ossessioni private. La morte della musica, è la metastasi di
questa estetica rovesciata. Mahler non amava la parola “arte”. Non voleva sentirsi un
intellettuale; piuttosto, un Naturmensch: un “uomo di natura”, come il Papageno del
Flauto magico. “Ho vissuto una vita di carta”: disse con rimpianto quando gli fu
diagnosticata la malattia incurabile. Componeva passeggiando tra i boschi. Cercava
di smemorare la mente nel tumulto delle voci di natura. Per lui, tutto era natura; nulla
doveva essere artificio. Chiunque la pensi così, scrive le opere più complesse che si
possa immaginare. Per forza: ogni espressione della sua arte, deve essere
autosufficiente: trovare in se stessa le proprie ragioni. La tradizione, per artisti così, è
il feticcio di un dio straniero. Dunque, territorio di conquista. Allo stesso modo, le
complesse strutture sinfoniche di Mahler tentano di recuperare l’irriflessività infantile
delle origini. I materiali musicali, nel Primo Movimento della Terza, si assemblano da
sé: hanno una vita propria, di cui l’artista è spettatore divertito e, insieme, angosciato.
Faust, quando Mefistofele accetta di assisterlo nella magia nera, per prima cosa
sintetizza in laboratorio il suo homunculus: un uomo artificiale che viva di pura
istintività giocosa. L’estenuato finale della Nona non è, come sostiene qualcuno, la
descrizione della morte. È la descrizione del Nirvana: la cessazione definitiva del
pensiero, sopraffatto dal libero fluire del respiro: l’atman.
Nel Cosmo di Mahler, Dio esiste, ma non esiste l’uomo. Dio è perfetto; quindi, non
può aver creato una mente che non è in grado di comprenderLo: di comprendere il
male. Tutta la musica di Mahler è etica; ma di un’etica sovrumana, disumana. Il suo è
un profondo, teologico antiumanesimo. Per gli Umanisti, Dio è il garante: l’origine
della soprannaturale mente umana. L'espressione di Blaise Pascal: “L’uomo è come
una canna piegata da ogni vento; ma, a differenza della canna, l’uomo ha di sua sorte
coscienza. E in questa coscienza sta la sua forza, la sua gtandezza”; per Mahler, è
un’eresia. Questa coscienza, lungi dall’essere segno di grandezza, è, per lui, sigillo di
un’esclusione dalla natura che la mente perpetra ai danni dell’uomo,
rappresentandogli una bugiarda parodia di natura. Infinite volte, nelle Sinfonie,
Mahler cerca di ingannare l’arte, la Forma, inserendo i “suoni di natura”, elementi
estranei alla musica. I famosi campanacci da richiamo bovino, per cui Mahler subì
infinite caricature, ne sono un esempio eclatante. Quando echeggiano nel Finale della
Sesta Sinfonia, squassandone il tessuto dall’interno, il limite tra musica e rumore è
superato. Mahler, interrogato in proposito, disse che questi campanacci sono l’ultimo
suono che si sente quando, nello scalare una montagna, si sta per giungere alla roccia
nuda. L’ultimo legame col mondo, prima di sparire, è una prenatale, fetale sinestesia.
Da questa concezione mahleriana hanno origine le esperienze di Edgard Varèse,
quando, in Ionisation, introduce solo strumenti a percussione: solo suoni “naturali”;
oppure di Arthur Honegger, quando compone Pacific 431, per orchestra sinfonica;
che è la “storia” di una locomotiva, dal suo mettersi in moto alla corsa indiavolata per
le pianure solitarie. Da un punto di vista formale, si tratta di una Fuga; ma, qui, la
Tradizione, diventa uno specchio concavo: un bel cammino, dall’uso che Brahms fa
della Passacaglia, nella sua Quarta Sinfonia. Eppure, tanto doveva succedere…
Siamo ad un passo dalle esperienze di John Cage, che idea una “composizione” per
dodici radio soliste sintonizzate su stazioni a casaccio; e poi noleggia un treno, piazza
microfoni per ogni dove, e mixa il risultato in un’organizzazione dei “suoni di natura”
rimasti nella “memoria” dei registratori. Sono, anche questi, gesti sonori: eventi
sfuggiti alla ragione mimetica dell’arte. Vedete un po’ da quale estremo, arcaico,
istintuale Romanticismo viene fuori, la nostra superintellettuale musica
contemporanea.
L’artista è un attore dentro la sua stessa opera; il suo ruolo, è soltanto organizzare gli
eventi che avvengono al di fuori di sé. Il demoniaco antiumanesimo di Mahler, la sua
stigmate profonda sui nostri tempi, sta in questo regresso della coscienza.
ANALISI DEI BRANI FIN QUI TRATTATI