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ABY WARBURG E LA DANZA


COME «ATTO PURO DELLA METAMORFOSI»*

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«La danse un art fondamental


déduit de la vie même»
Paul Valery, L’âme et la danse, 1921

INTRODUZIONE

Al fenomeno della rinascita, o meglio della sopravvi-


venza dell’antico (Nachleben der Antike), ha dedicato,
come è noto, i suoi studi Aby Warburg, interessato al
problema delle immagini nelle loro multiformi espres-
sioni; un interesse rivolto non solo alle immagini artisti-
che della pittura o della scultura ma anche alle immagi-
ni legate alle feste, ai rituali, alla danza, al teatro definite
dallo studioso ‘forme intermedie’, che costituiscono dei
ponti fra l’arte e la vita, come egli stesso affermava facen-
do riferimento a Jacob Burckhardt e alla concezione della
storia della cultura e della civiltà enunciata nella sua
opera, La civiltà del Rinascimento in Italia del 18601.
«Difatti se è lecito supporre che le feste mettevano sem-
pre davanti agli occhi dell'artista nel loro aspetto fisico
quelle figure che appartenevano a una vita realmente in
movimento, allora ci appare evidente il processo forma-

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tivo artistico […] A questo proposito è riconoscibile


quanto ha scritto Jacob Burckhardt, il quale, nel suo giu-
dizio complessivo, appare anche qui un anticipatore
infallibile: ‘Le feste italiane, nella loro forma più elevata
segnano un vero passaggio dalla vita reale all’arte’»2.
L’interesse in particolare di Aby Warburg per la danza
fu essenzialmente di ordine concettuale, connesso al pro-
blema del movimento in termini espressivi, che lo stu-
dioso verificava attraverso la sopravvivenza dell’antico
nelle opere del Quattrocento, nell’individuazione di
topoi desunti dalle opere d’arte della classicità e rintrac-
ciabili nella ritualità religiosa e profana.
Ecco dunque che la danza costituisce un aspetto car-
dine della sua ricerca — per quanto non sistematica-
mente svolto — come chiave di lettura delle tematiche
storiche e concettuali da lui affrontate. La danza infatti,
come espressione di movimento, inerisce al suo concetto
di Pathosformel, col quale si indicano quelle formule
gestuali e patetiche dell’arte classica ma anche della ritua-
lità primitiva che ritornano e sopravvivono nell’arte occi-
dentale e nella cultura contemporanea. Alle ‘formule di
pathos’ Warburg si riferirà costantemente nel corso delle
sue ricerche, che attraversano tempi e luoghi, temi e pro-
blemi diversi ed interconnessi fra di loro: dall’antichità
all’età contemporanea, da Oriente ad Occidente, dalla
corte medicea alla cultura e all’arte delle Fiandre, ma
anche alle demoniache immagini luterane3.

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aby warburg e la danza


LA DANZA E IL MOVIMENTO

Per riflettere sulla danza è necessario far riferimento


alle sue prime considerazioni di Aby Warburg sul movi-
mento che sono essenzialmente di ordine estetico e
prendono le mosse dalle teorie settecentesche di
Winckelmann, di Lessing e di Goethe ed in particolare
dalle riflessioni sulla scultura classica anche in compara-
zione con la poesia4. Nei Frammenti giovanili Warburg
infatti s’interrogava su una problematica di fondo della
concezione dell’arte inerente la rappresentazione della
vita in movimento:

I.Un’opera d’arte, la quale tenta di rappresentare un oggetto


od un processo tratto dalla vita dell’uomo, è sempre il pro-
dotto di un compromesso tra l’incapacità dell’artista di con-
ferire vitalità reale all’opera artistica e, d’altronde, la sua
capacità di imitare fedelmente la natura. II. Questa stessa
duplicità domina le esigenze avanzate dall’osservatore nei
confronti di una tale opera d’arte: da un lato il desiderio di
ricevere la non-vitalità dell’opera d’arte, resa percepibile,
quale suo presupposto sottaciuto, dall’altro il desiderio di
gustare completamente l’apparenza della vita5.

Tale difficoltà nella resa del movimento delle immagini


artistiche era segnalata anche da Charles Darwin il quale —
come riferirà più tardi Fritz Saxl — lamentando lo scarso
realismo e la mancanza di vitalità che aveva riscontrato
nelle opere d’arte, annotava con una certa delusione:

[…] avevo sperato di trovare e di ottenere un grande aiuto dai

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grandi maestri della pittura e della scultura, che sono osserva-


tori tanto acuti. Ho dunque osservato fotografie e incisioni di
numerose opere d’arte generalmente note, ma tranne che per
poche eccezioni non ne ho tratto alcun giovamento.

Così Saxl concludeva in proposito:

L’arte non offre [alla psicologia], dunque indubbiamente, un


vasto campo d’indagine. È piuttosto la ripresa cinematografi-
ca a fornirle un servizio mille volte migliore di quanto non
possa fare l’arte. Darwin poteva quindi ottenere che le proprie
esposizioni fossero suffragate, non già da opere d’arte, quan-
to invece dalla documentazione di fotografie istantanee6.

Un’anticipazione di tale riflessione è contenuta negli


appunti di Warburg del 29 settembre 1890 dedicati alla
«attribuzione del movimento»:

Per conferire movimento ad una figura immota, occorre


risvegliare una sequenza di immagini vissute, non un'imma-
gine unica: perdita dell’osservazione statica […] Nel caso di
un abito in movimento ogni parte del contorno appariva
come traccia di una persona che si muove in avanti, che si
segua passo passo7.

Questa osservazione anticipa di oltre dieci anni la descri-


zione della ninfa sul rilievo antico nella Gradiva di Jensen:

Così la giovane donna non colpiva tanto per una sua bellezza
plastica; piuttosto possedeva qualcosa che è raro trovare in
qualche scultura marmorea; una grazia naturale, semplice, vir-
ginea, che sembrava infondere vita all’immagine di pietra. Vi

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contribuiva notevolmente il movimento in cui la giovane


donna era rappresentata […] Questo librarsi quasi in volo
congiunto alla sicurezza dell’incedere conferiva all’immagine la
sua grazia specifica; quale migliore denominazione di questa
immagine ideale se non Gradiva, ‘colei che avanza’?8 (fig. 1).

Fin dalle prime riflessioni dunque Warburg affrontava


il problema del movimento nel processo artistico supe-
rando ogni concezione tradizionale legata all’estetica del
bello, ma tornando alle radici della riflessione artistica e al
confronto fra la realtà naturale e l’idealizzazione artistica:

Il prodotto artistico, dal momento che si offre all’osservato-


re [contrariamente alle leggi della vita] come immagine cri-
stallizzata di un momento in realtà fuggevole, consente
all’osservatore di tentare di verificare la vitalità dell’opera
d’arte, desumendone le intrinseche qualità da questa o quel-
la caratteristica superficiale9.

Nel 1932 Fritz Saxl tornerà su questa riflessione a pro-


posito della definizione del concetto di Pahosformel:

[…] occorre chiarire come sia possibile che determinati tipi


artistici mantengano attraverso i secoli la loro forza pregnan-
te. In parte tali forme devono certo la propria efficacia alla
equilibrata e misurata chiarezza dei contorni con cui la gre-
cità d’epoca classica ha riassunto tutte le precedenti forme
espressive […] Ma che il loro contenuto emotivo possa tra-
smettersi a livello generale in maniera tanto stupefacente si
deve secondo Warburg al fatto che, pur nell’approccio pieno
di stile del mondo artistico dell’antichità classica risuoni
ancora l’eco di quel trasporto e quello sconvolgimento pas-
sionale che nei culti orgiastico-dionisiaci scatenavano in

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modo incredibile i moti espressivi del corpo […] Si tratta


principalmente di fenomeni di cristallizzazione di forme
espressive costanti, così come della loro trasformazione e del
loro riutilizzo in successivi stadi della storia dell’umanità10.

Ancora nei Grundlegende le sue osservazioni sul movi-


mento procedono a verifiche empiriche che riguardano in
primo luogo il moto, nel senso di uno spostamento di
luogo con il conseguente panneggio delle vesti e il movi-
mento dei capelli11, che daranno luogo a quella formula poi
nota di ‘accessori in movimento’ (bewegtes Beiwerk). Scri-
veva Aby Warburg in proposito in data 8 settembre 1890:

Le figure con gli abiti o la capigliatura in movimento, posso-


no derivare quest’ultimo da un moto del corpo, o — in sua
assenza — dal vento, oppure da una combinazione dei due. Se
il movimento stesso avviene su di un piano parallelo allo spet-
tatore, questi può credere al movimento in avanti soltanto
muovendo a sua volta gli occhi […] Il movimento della capi-
gliatura e degli abiti è segno di un intensificato movimento
personale oppure di un forte vento. Se ne può legittimamente
desumere una più intensa attività del personaggio raffigurato,
ma si può anche, a torto, rendere dipendente tale movimento
dalla volontà del personaggio stesso, traendone delle conclu-
sioni sulla persona, laddove questa non esiste (fig. 2)12.

Tali riflessioni trovavano le loro fonti, oltre che nelle


teorie di Leon Battista Alberti, nei passaggi del Trattato
di Leonardo:

[…] et imita quanto puoi li greci e latini con ‘l modo di sco-


prire le membra, quando il vento appoggia sopra di loro i

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panni […] ma solo farai scoprire la quasi vera grossezza delle


membra a una ninfa, o uno angello, li quali si figurino vesti-
ti di sottili vestimenti, sospinti o impressi dal soffiare dei
venti; a questi tali et simili si potrà benissimo far scoprire la
forma delle membra loro13 (fig. 3).

Ancora di ritorno da Firenze in data 27 febbraio 1889


a Francoforte Aby Warburg faceva osservazioni sul
«movimento del drappeggio senza rapporto col corpo
sottostante o mentre il corpo è in moto» per concludere:
«Il drappeggio in movimento è considerato ed impiegato
come uno strumento di intensificazione della caratteriz-
zazione psicologica»14.
Le riflessioni di Aby Warburg sul movimento riguar-
dano dunque non solo il panneggio e le capigliature ma
anche la caratterizzazione psicologica che si esprime nella
gestualità, nell’espressione dei volti e nel moto dei corpi
che lo studioso riferisce alla fisiognomica, alla mimica e
alla cinetica, sotto l’influenza della lettura dell’opera di
Charles Darwin, L’espressione delle emozioni negli anima-
li e negli uomini, del libro di T. Piderit, Mimik und Phi-
siognomik, di cui Warburg aveva consultato la seconda
edizione del 1886 e dell’insegnamento di August Sch-
marsow15, definendone le caratteristiche precipue in rap-
porto al movimento: «Fisiognomica — spostamento di
parti corporee senza cambiamento di luogo; mimica —
spostamento di parti corporee con cambiamento di
luogo in determinata misura; cinetica — spostamento di
parti corporee con cambiamento di luogo»16.
Risale pertanto agli anni giovanili l’interesse di Aby

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Warburg per le immagini patetiche della ritualità antica


che, già a partire dal suo viaggio a Firenze nel 1888, risco-
priva nelle opere degli artisti del primo Rinascimento
fiorentino e poi successivamente nei disegni di Buonta-
lenti dei costumi teatrali per gli Intermezzi fiorentini 17
(fig. 4). Nell’ambito del revival del Rinascimento nella
cultura dell’Ottocento non si può escludere che tale inte-
resse di Warburg per le figure all’antica in movimento
fosse sensibilizzato anche dall’affermato gusto dell’arte
preraffaellita che trovava una certa continuità nel vitali-
smo dell’arte secessionista attraverso quelle leggiadre
figure femminili dai panneggi fluttuanti che si avvicina-
vano alle ninfe botticelliane18 (figg. 5-6).
Nel suo studio giovanile dedicato ai dipinti mitologi-
ci di Botticelli (1892), Aby Warburg fondava teoricamen-
te il concetto espressivo di movimento sull’autorità di
Leon Battista Alberti con riferimento al famoso passo del
De Pictura (1435): «ma questi movimenti dell’animo si
conoscono dai movimenti del corpo» ripreso pochi anni
dopo nel 1463 da Guglielmo Ebreo a fondamento del suo
trattato dell’arte della danza (De practica seu arte tripudi)
dove si legge: «La quale virtù del danzare è un’azione
dimostrativa di fuori di movimenti spirituali»19. Nel
dipinto della Primavera di Botticelli, le tre Grazie sono
impegnate in una carola, una danza esemplare in circolo,
esemplificata da Taddeo Crivelli nella miniatura della
Bibbia di Borso d’Este (Modena, Biblioteca Estense, fig. 7),
la più semplice e la più antica delle danze coreiche ricca
di motivi magici e qui forse anche filosofici con riferi-
mento al circolo spirituale ficiniano, come testimonia la

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medaglia di Pico della Mirandola, coniata poco dopo nel


1486, dove l’iscrizione — Pulchritudo, Amor, Voluptas —
riassume il passo del Commento al Simposio di Platone
«L’amore è desiderio di Bellezza», come ha rilevato Edgar
Wind nel suo studio del 1958 (figg. 8-9)20.

LA DANZA TRA MOVIMENTO ED ESPRESSIONE

Nel contesto culturale contemporaneo a Warburg, la


danza era coinvolta nei grandi rinnovamenti culturali di
inizio secolo polarizzandosi sul movimento che investe
tutte le espressioni culturali e artistiche, dalle teorie este-
tiche dello Einfuehlung, al concetto di durata fondato sul
cambiamento di Bergson21, all’arte cinetica di Boccioni
(Fig. 10), alle composizioni danzanti di Gino Severini
(Fig. 11) alla forma smembrata del Nu descendant un esca-
lier (Fig. 12) che Duchamp moltiplica ritmicamente.
Parallelamente a tali ricerche si collocano le teorie sul
ritmo di Ludwing Klages22 e in particolare di Rudolf
Steiner, il quale nella euritmica vedeva una nuova forma
d’arte23; a tali teorie si legano infine le riflessioni sull’e-
spressione, debitrici inoltre alla tradizione positivistica e
alla fisionomica in particolare, proiettata verso la nascen-
te psicoanalisi. Prima di Ernst Kris24, le ricerche di Georg
Simmel sull’Ausdrucksbewegung, nel suo citato studio su
Rembrandt del 1916, erano rivolte al carattere espressivo
dei volti25. È dello stesso anno una lettera di Aby War-
burg a Erwin Panofsky in cui lo studioso ringrazia il col-
lega di Hannower per avergli segnalato alcune scene

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medievali di Trasfigurazioni che vengono recepite come


«echi di espressioni facciali usate nei culti misterici e
sopravvissuti nelle danze, dalla moresca alla danza delle
spade»26. All’espressionismo facciale e alla fisionomica
Warburg aveva già i suoi studi giovanili sugli affreschi di
Masaccio nella cappella Brancacci a Firenze. Più tardi le
sue prime riflessioni sulla moresca sono rivolte in parti-
colare alle ricerche fisiognomiche dello scultore cinque-
centesco Erasmus Grasser e alle sue figure deformate dal-
l’accentuato movimento di una danza moresca (fig. 13).
Allo scultore sono dedicate alcune pubblicazioni in Ger-
mania a partire dalla fine degli anni Venti, presenti nella
biblioteca dello studioso27. Infine il movimento era
intrinseco anche alla nascente tecnologia: dalla fotogra-
fia, al fonografo — con particolare riferimento alle ricer-
che condotte ad Amburgo da Giulio Pacconcelli Calzia,
grande amico di Aby Warburg28 — al cinema, ai treni a
vapore29. La fotografia diventerà un mezzo molto signifi-
cativo nel percorso intellettuale di Aby Warburg, dando
vita alla costruzione dell’Atlante Mnemosyne, nel quale lo
studioso esprimeva il suo pensiero attraverso le immagi-
ni, utilizzate non solo nell’interezza della riproduzione
fotografica delle opere d’arte, ma nei frammenti signifi-
cativi che diventavano parole di un linguaggio visivo in
dialettica e in dialogo fra di loro, ora nel rispetto di un
ordine cronologico ora e più spesso analogico e paratat-
tico, nella possibile e sempre libera eventualità di varia-
zione, seguendo le mutevoli linee di ricerca e di riflessio-
ni del pensiero30. Al cinema, invece, forse in maniera non
del tutto consapevole, Aby Warburg faceva riferimento

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già negli anni Novanta, sempre nell’ambito della sua


ricerca sul movimento quando a proposito della «Attri-
buzione del movimento» scriveva: «per conferire movi-
mento ad una figura immota, occorre risvegliare una
sequenza di immagini vissute»31.
L’immagine in movimento, dalla menade antica alla
Maddalena ai piedi della croce, all’angelo di Agostino di
Duccio, alla ninfa di Ghirlandaio, alla Gradiva di Jensen,
trova una compiuta espressione nella danza, un’arte che
fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento stava
attraversando un sostanziale rinnovamento (fig. 14). Le
ricerche sulla danza infatti erano volte al tentativo di risa-
lire alle fonti originarie e dunque al mito nella ripresa del-
l’antichità ed in particolare dei modelli tratti dalla pittura
vascolare, manifestando anche un grande interesse per la
coreutica della tragedia greca; basti pensare all’opera di
Maurice Emmanuel, La Danse grecque antique d’aprés les
monuments figurés, pubblicata nel 189632 (fig. 15). Il rinno-
vamento della danza in quegli anni passa sia attraverso i
teorici del movimento, come Rudolf Laban33 e Mary Wig-
man34 ma anche con il contributo degli stessi danzatori da
Aleksander Sacharov a Clotilde von Derp che nel 1910 si
esibiscono a Monaco in a soli di Kammertanz, ispirando-
si alla scultura greca e muovendosi con grazia alla musica
‘empatica’ di C̀´ajkovskij e di Strauss; per arrivare a Loïe
Fuller35 che interpreta la poetica del simbolo dell’estetica
secessionista, ad Isadora Duncan36, che s’ispira per le sue
immagini danzanti alle ninfe di Botticelli e alle linee
fluenti dei corpi nelle decorazioni dell’arte greca. Il coro
tragico, nella drammaturgia ateniese, le sue funzioni

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espressive, l’empito dionisiaco, la musica che l’accompa-


gna sono per Isadora idee-guida, l’inarrivabile modello da
far rivivere contro la maniera tradizionale di danzare,
bloccata ed artificiosa. Le sue riflessioni, ispirate alle teo-
rie di Nietzsche, «il filosofo che danza» sotto la suggestio-
ne della musica di Wagner, insistono sul movimento e sul
carattere espressivo dei gesti e delle pose: «[…] cercare le
forme più belle in natura e trovare il movimento che
esprime l’anima di queste forme, questa è l’arte del dan-
zatore» scriverà ne L’arte della danza del 191137; nell’ambi-
to di una ricerca interiore, in una quasi religiosa concen-
trazione, il corpo nella danza deve ritrovare — suggerisce
la Duncan — i movimenti fondamentali in grado di
esprimere le esperienze spirituali ed emotive, al fine di
«veder muovere un’anima»38. Significativa è stata la sua
partecipazione al Tannhäuser, rappresentato a Bayreuth
nel 1904 per Cosima Wagner, in cui Isadora danzava il
Baccanale. Il movimento tipico del coreuta con la testa
rovesciata indietro in un moto di frenesia dionisiaca è uno
degli atteggiamenti che la danzatrice predilige, come si
può vedere dal confronto di una sua fotografia del 1904
con una menade danzante del pittore di Midia (Carl-
sruhe, Badisches Landesmuseum) (figg. 16-17). Al dipin-
to della Primavera di Botticelli s’ispiravano anche i Tan-
zidyllen che Isadora Duncan rappresentava nei primi anni
del secolo in occasione del suo viaggio in Europa e che
mandavano in visibilio gli intellettuali estetizzanti del
tempo, come documenta una lettera di Mesnil a Warburg
del 191339. Al 1903 risale invece un commento del tutto
negativo di Aby Warburg proprio a proposito di una di

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queste rappresentazioni della Duncan, espresso in una let-


tera, recentemente pubblicata, scritta da Aby Warburg da
Berlino a Mary Hertz:

La sera prima sono andato con Mayern a vedere la Duncan


ballare: molto gradevole questo inizio di rinnovamento della
mimica del balletto,ma niente di eccezionale, soltanto qual-
cosa […] di affettatamente decoroso, davvero troppo deco-
roso, lei è veramente nella parte quando si diverte e saltella
qua e là come una coniglietta: quando interpreta cose più
serie appare sempre impostata con un’espressione del viso
dolorosa e sotto le sue gambe nude […]40.

Tale giudizio non edificante nei confronti della dan-


zatrice, la cui arte veniva giudicata superficiale e steoreo-
tipata da parte di Warburg e dunque non in linea con
quell’esigenza espressiva di rispondenza fra i moti del
corpo e i moti dell’animo, s’inserisce in quel percorso
teorico dello studioso che riflette sulle forme artistiche e
sul problema della decadenza ornamentale (e dunque sul
carattere affettatamente ‘decoroso’ della danza della
Duncan) a fronte della rigorosa espressione dell’animo.
All’ornamento Warburg dedica diverse riflessioni che
pongono l’accento sul ripetitivo, sul superfluo e su ciò
che va oltre le esigenze espressive. Già in data 2 marzo
1889 scriveva: «Lo specifico dell’arte ornamentale (arte
che decora) consiste nella ripetizione di un fenomeno
osservato e riprodotto» e ancora: «[…] panneggio mosso
in modo molteplice senza che sia accompagnato da moti-
vazione». Fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del XX
secolo Aby Warburg andava maturando la sua critica

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all’arte troppo arrendevole di Botticelli a fronte del rigo-


re etico di Leonardo.

L’arte del primo Rinascimento si avvia per il cammino della


perdita del suo carattere ‘scientifico’ a causa dell’introduzio-
ne delle figure moventesi in avanti. E gli artisti si concedono
a questa tendenza, poiché credono di porsi in continuità con
l’antico41.

Le figure di Botticelli, infatti, nel riproporre le imma-


gini antiche attraverso una «meccanica ripetizione dei
motivi di un movimento intensificato», rispondevano a
quel rigoglio ornamentale supplementare che «inaugura-
va la tendenza degli artisti troppo arrendevoli»42 e dava
vita all’arte barocca: «C’è una sorta di corrente sotterra-
nea barocca nell’arte fiorentina della seconda metà del
secolo XV. Essa ha origine negli scultori formatisi come
orafi» (4 aprile 1889); «La decorazione è un corpo estra-
neo, che è fissato al corpo di una persona e i cui movi-
menti non possono né essere visti né altrimenti per i
principi dell’autoconservazione possono essere tenuti in
conto da parte del portatore». Si capisce a questo punto
il riferimento che Warburg fa a Gottfried Semper, il cui
nome con riferimento all’ornamento è appuntato in
margine ai suoi frammenti43:

Nell’ornamento l’espressione rappresentata non si trova in


nessun rapporto organico con il suo portatore, in quanto la
superficie non è la conseguenza naturale della forza momen-
tanea e del rapporto di volontà del portatore. Appena gli arti-
sti danno alle persone rappresentate l’espressione di un accre-

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sciuto sentimento di vita — esteriormente… — l’arte divie-


ne ornamentale44.

Leonardo, invece, al quale Warburg aveva dedicato tre


conferenze nel 1899, da cui emergeva il suo interesse per
le radici del linguaggio artistico dell’artista in termini
rigorosi e non ornamentali, era considerato

[…] il solo artista capace di rappresentare la vita interiore e


la vita esterna con un’accresciuta espressività senza soccom-
bere a quel manierismo, lineare a quella irrequietezza baroc-
ca che a partire dalla metà del Quattrocento aveva minaccia-
to di distruggere l’arte fiorentina45.

Sulle menadi danzanti Aby Warburg riflette nel suo


saggio del 1905 dedicato agli scambi fra nord e sud46 e alle
«Imprese amorose nelle incisioni fiorentine»47; queste
figure, apparse per la prima volta come consapevoli imi-
tazioni dall’antico nelle opere di Donatello e di Filippo
Lippi, «ridefiniscono lo stile antico esprimendo una vita
più movimentata» (fig. 18); poi, con uno specifico riferi-
mento alla danza, Warburg si sofferma su due incisioni
di Baccio Baldini, versioni modificate di una stessa
matrice e di uno stesso tema, dedicate al pianeta Venere
e ai suoi figli (fig. 19). Warburg rimane colpito dalle due
figure danzanti ed in particolare dall’abbigliamento ‘alla
franzese’ della dama borgognona, che sembra eseguire un
passo di bassa danza, come si evince dal confronto con
l’affresco del Castello Orsini a Bracciano (fig. 20) in rap-
porto alla leggiadra immagine di ninfa all’antica vestita

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di veli leggerissimi, a piedi nudi nella seconda versione


dello stesso autore, mentre balla insieme al suo cavaliere
un saltarello (fig. 21), un ballo in voga in quegli anni, e
spesso riproposto nelle immagini che istoriavano gli
arredamenti delle ricche dimore borghesi e nobiliari del
Quattrocento come il bel cassone di Matteo di Giovanni
che rappresenta il Matrimonio di Antioco e Stratonice (fig.
22). Da tale confronto dunque Warburg coglie l’occasio-
ne per sottolineare il rinnovamento e la sopravvivenza
dell’antico nella cultura italiana rispetto al tradizionali-
smo della cultura nordica che solo più tardi assimilerà la
lezione della sensibilità italiana all’arte classica come ele-
mento di rinnovamento e di liberazione, come scrive
Warburg: «[…] della farfalla antica dalla crisalide borgo-
gnona» (fig. 23)48.
L’interesse per la danza, come esplosione di vitalismo
energetico, coinvolge anche la curiosità collezionistica di
Aby Warburg. A partire dal 1905 infatti è documentato,
attraverso la sua corrispondenza, un interesse per il dipin-
to di Carl Bantzer, Tanzbild, acquistato da Moritz War-
burg dopo una trattativa condotta dallo stesso Aby con
Georg Schram del museo di Kassel fra l’ottobre e il
Dicembre 1905 (fig. 24)49. L’entusiasmo per il dipinto
riflette anche il gioioso rapporto con Mary Hertz, dive-
nuta sua moglie nel 1897, che viene vissuto alla luce dei
colori del Mediterraneo, come documenta una lettera del
2 novembre 1905 dall’Italia, dove i due sposi, in procinto
di recarsi a Napoli, avevano visto il dipinto di Bantzer in
mostra50. L’esplosione dei colori del dipinto insieme al
movimento festoso dei panneggi dei danzatori che esage-

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rano i modi più lirici del tardo Renoir (fig. 25) e vanno
oltre le leggiadre e calligrafiche figure dello Jugendstil per
interpretare, in una chiave quasi popolaresca, la vitalità
coloristica della pittura dei fauves e degli espressionisti,
doveva aver entusiasmato Aby Warburg che comunica ai
genitori di aver collocato il suo dipinto nella nuova casa
in attesa di mostrarlo loro51. Ciò non toglie che emerga
nella corrispondenza di questi anni sul dipinto anche un
oculato spirito affaristico da parte di Aby Warburg che
gestisce con molta abilità l’acquisto come i prestiti per
esposizioni del dipinto ora concessi e ora negati per lo più
su richiesta dell’artista52 fino al 1918, quando Warburg
scrive a Gronau per chiedergli di vendere l’opera alla Koe-
nigliche Gemaelde Galerie di Kassel53. Come si spiega
questo improvviso disamore per il dipinto? In realtà War-
burg in seguito allo scoppio della prima guerra mondiale
e dopo i tentativi fatti per mantenere una salda coesione
fra la cultura italiana e la cultura tedesca nei mesi a caval-
lo fra il 1914 e il 1915, decisivi per lo schieramento dell’I-
talia nella prima guerra mondiale — come è documenta-
to dai due numeri della «Rivista Illustrata» curata da lui
insieme al suo amico Giulio Panconcelli Calzia54 — inco-
mincerà fra il 1517 e il 1518 a maturare la sua problemati-
ca psicotica e il suo disagio nei confronti di quell’espres-
sionismo energetico ma esteticamente appagante che dal-
l’antichità era sopravvissuto attraverso il rinascimento ita-
liano e si esprimeva in quel vitalismo pieno di luci e colo-
ri propri della cultura dell’area mediterranea, portandolo
ad una revisione dei rapporti con l’Italia. L’esplosione
della vitalità coloristica della Bauerntanz di Bantzer era

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dunque diventata estranea al suo stato d’animo e alla sua


visione del mondo che, allontanatasi dalla solarità medi-
terranea, darà la preferenza alle dure stampe tedesche in
bianco e nero dell’età di Lutero55.

ORFEO E LA MORESCA

Ma la danza è oggetto ancora di un altro studio di


Aby Warburg del 1905 dedicato alla morte di Orfeo, che
prende le mosse da un’incisione della fine del Quattro-
cento e da un disegno di Albrecht Dürer, entrambi deri-
vati dall’affresco di Andrea Mantegna nel Palazzo ducale
di Mantova (figg. 26-27). La continuità fra queste imma-
gini è una prova della sopravvivenza dell’antico nel Rina-
scimento, di cui Mantegna rappresenta il modello per
l’acquisizione da parte dell’artista tedesco del linguaggio
e delle forme classiche:

[…] questi due fogli non sono ancora stati interpretati esau-
rientemente come documenti per la storia del ritorno degli
antichi nella civiltà moderna, in quanto in essi si manifesta
quell’esigenza bifronte, sin qui inosservata, che gli antichi
hanno esercitato sullo sviluppo stilistico del primo Rinasci-
mento […] Fin dalla seconda metà del Quattrocento gli arti-
sti italiani cercarono, nel tesoro riscoperto della plastica anti-
ca, tanto i modelli di una mimica intensificata quanto quel-
li di una serenità classicamente idealizzante56.

Orfeo è una figura bifronte che riassume in sé all’origi-


ne il contrasto fra apollineo e dionisiaco; egli è infatti il

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aby warburg e la danza

sacerdote di Apollo che viene ucciso dalle Baccanti rinno-


vando l’esperienza di Dioniso Zagreo dilaniato dai Titani.
La figura di Orfeo è al centro di una forma di esoterismo
religioso che si afferma intorno al VI secolo a. C., l’Orfi-
smo, che è l’ultima voce dell’esistenza naturale dionisiaca
e confluirà nella grande tradizione mistico-ermetica. Il
ruolo di Orfeo come musico suonatore della lira, il cui
incanto melodioso assume poteri straordinari in termini
armonici, si associa ad episodi mitologici come la spedi-
zione degli Argonauti, oppure la favola che vede coinvolto
Orfeo nel suo amore per Euridice. La drammatica conclu-
sione del racconto ovidiano, rappresentata da Mantegna e
da Dürer, è già preannunciata con toni melanconici presa-
ghi di morte in apertura del X libro delle Metamorfosi; qui
Imeneo infatti, invocato da Orfeo, giunse «senza letizia in
volto, senza segni di buonaugurio. Perfino la fiaccola, nella
sua mano, stridette fino all’ultimo, mandando fumo che
faceva piangere e per quanto agitata non riuscì mai a fiam-
meggiare. Grave l’auspicio — sentenzia Ovidio — gravis-
simo quello che accadde»57; vale a dire la morte di Euridi-
ce morsa al tallone da un serpente, la seconda morte della
sventurata agli Inferi di fronte alla quale Orfeo rimase
impietrito, la morte di Orfeo per mano delle furiose Bac-
canti: «Lo ammazzarono sacrileghe — conclude Ovidio
nei primi versi dell’XI libro — e da quella bocca, ascoltata
pure dai sassi e dalle bestie commosse, l’anima si disperse,
con l’ultimo respiro, nel vento»58 Tale immagine poetica,
nell’accennare al ruolo di musico di Orfeo, ammaliatore e
ordinatore della natura, di musico apollineo, riassume il
senso del mito nella contrapposizione fra due diverse

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forme di vita che si esprimono nella dimensione apollinea


e in quella dionisiaca. Nella drammaticità della morte l’a-
nima dell’apollineo Orfeo, attraverso il suo ultimo respiro,
la sua voce, si disperde nel vento; è questa un’immagine
poetica in cui l’interpretazione va al di là di ogni rappre-
sentazione. Il mito, nelle immagini, trova una continua
esemplificazione dicotomica fra il ruolo di musico di
Orfeo e l’atto sacrilego delle Baccanti, rappresentato fedel-
mente nella xilografia dell’edizione delle Metamorfosi di
Ovidio del 1497; ma perché l’atto violento delle Baccanti
viene definito sacrilego? Evidentemente l’interpretazione
del mito di Orfeo da parte di Ovidio si fondava sulla con-
cezione pitagorico-platonica della musica come armonia.
Infatti la musica di Orfeo è teorizzata da Ovidio come
accordo esemplare di parole e musica: «E facendo vibrare
le corde della lira, così prese a dire cantando […] — e
ancora — […] piangevano le anime esangui mentre egli
diceva queste cose e accompagnava le parole col suono
della lira»59. Orfeo infatti, figlio di Apollo e della musa Cal-
liope, assume il ruolo di ordinatore della natura e dunque
un ruolo etico, razionale attraverso la musica apollinea
della sua lira60. Ma la concezione pitagorico-platonica del-
l’armonia come discordia concors, recuperata da Franchino
Gaffurio alla fine del Quattrocento61, implica l’accordo dei
contrari; nel mito di Orfeo due opposti si toccano: il carat-
tere ordinatore della musica di Orfeo è in opposizione dia-
lettica con l’esperienza di lacerazione di Dioniso, dilaniato
dai Titani, esperienza che lo stesso Orfeo ripercorre nel suo
essere ucciso e fatto a pezzi dalle Baccanti. Rispetto alla
concezione armonica apollinea Orfeo, nel racconto del

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aby warburg e la danza

mito ovidiano, vive la morte attraverso un’etica sublima-


zione della sua musica — espressa poeticamente da Ovi-
dio nel passo citato: «[…] e da quella bocca, ascoltata pure
dai sassi e dalle bestie commosse, l’anima si disperse, con
l’ultimo respiro, nel vento» — ma anche attraverso una
sorta di frattura, prima nella separazione da Euridice e poi
nella lacerazione delle sue stesse membra, perdendo quel-
l’unità ideale che è alla base dell’armonia e dunque di ogni
concezione di perfezione.
Tale polarità fra pathos ed ethos trova una forma di
riflessione teorica nel pensiero di Aby Warburg a partire
dai citati Frammenti fondamentali per una prammatica
scienza dell’espressione (1888-1903) agli appunti contenuti
sotto il titolo Symbolismus als Umfangbestimmung 62 per
attraversare poi nei suoi saggi i grandi temi patetici della
storia occidentale a partire dal Laocoonte, alla morte di
Orfeo, alla Deposizione di Cristo63. In un appunto del
1899, Warburg delineava la contrapposizione fra la
dimensione dinamica/patetica e la dimensione
statica/etica visualizzata nella forma di un albero dal cui
tronco germogliano due rami64. Tale immagine simboli-
ca si può spiegare alla luce di ciò che Warburg scriverà
più tardi nel saggio del 1914 dedicato alla sopravvivenza
dell’antico nel Rinascimento sotto la suggestione della
Nascita della tragedia di Nietzsche:

Gli studi sulle religioni dell’antichità greco-romana ci inse-


gnano sempre più a guardare l’antichità quasi simboleggiata
in un’erma bifronte di Apollo e Dioniso. L’ethos apollineo
germoglia insieme con il pathos dionisiaco quasi come un

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duplice ramo da un medesimo tronco radicato nelle miste-


riose profondità della terramadre greca65.

Nelle sue ricerche giovanili Warburg aveva messo a


fuoco un processo psicologico espressivo determinato da
un forte impulso emotivo che si manifesta nella ritualità
religiosa, per venire successivamente vissuto nella mimi-
ca del teatro — considerata una forma intermedia fra la
vita e l’arte — e nella scultura, la forma artistica che
meglio esprime il movimento, giungendo ad una sorta di
controllo dell’espressività patetica nella determinazione
dimensionale dell’atto artistico (Umfangbestimmung).
Dell’opera d’arte come prodotto compiuto, Warburg
indica un passaggio successivo, una fase di transizione
verso un ulteriore stadio che coincide con la stereotipia e
l’enfasi della gestualità barocca o con il segno nell’arte
non figurativa e astratta66.
Alla luce di queste considerazioni il mito di Orfeo,
nella rappresentazione della morte del musico apollineo,
dunque non era per Warburg:

[…] soltanto un tema di atelier d’interesse puramente for-


male ma un’esperienza vissuta appassionatamente con piena
intuizione del dramma misterioso della leggenda dionisiaca
rivissuta realmente nello spirito e secondo le parole dell’anti-
chità pagana; ciò è dimostrato dal primo dramma italiano
del Poliziano, dal suo Orfeo concepito in ritmi ovidiani, rap-
presentato per la prima volta a Mantova67.

Questo rapporto con il dramma sottolinea il valore


contenutistico in termini vitali dell’interpretazione dei

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aby warburg e la danza

modelli antichi da parte degli artisti del Rinascimento:

nel tentativo di inserire le formule genuinamente antiche di


un’intensificata espressione fisica o psichica nello stile rina-
scimentale che si sforza di rappresentare la vita in movimen-
to68.

L’osservazione di Warburg si appunta in primo luogo


sulla derivazione dai modelli antichi di alcune opere d’ar-
te rinascimentali; è la positura delle figure come la dina-
mica dei gesti che rendono tali immagini rinascimentali
eredi immediati dei modelli antichi; tali immagini le
ritroviamo su alcune tavole dell’Atlante della Memoria,
Mnemosyne (fig. 28), quel grande testo ‘virtuale’ di idee e
di immagini, specchio complesso della ricerca dello stu-
dioso in continuo movimento; in proposito Fritz Saxl, il
fedele collaboratore di Aby Warburg, scriveva nel suo
saggio del 1932:

Warburg intendeva consolidare il definitivo risultato dei suoi


studi in un atlante, che avrebbe dovuto offrire un’immagine
comparativa dei valori espressivi dell’antichità e del Rinasci-
mento69.

Tali immagini venivano accostate fra di loro secondo


criteri analogici nella positura e nella gestualità all’antica,
spesso indipendentemente dal soggetto: così accanto alla
morte di Orfeo sono collocate scene del dramma antico
come la Medea che uccide i figli o della mitologia come
Ercole che sottomette Caco nel disegno di Maso Fini-
guerra o della storia antica come Pirro che sacrifica Polis-

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sena o della Bibbia come David vittorioso su Golia nello


scudo di Andrea del Castagno a Boston; è tale ripetizio-
ne dei gesti come degli atteggiamenti nelle composizioni
o delle singole figure che rende efficace il messaggio di
Aby Warburg, volto a dimostrare una sopravvivenza dei
modelli antichi nelle immagini rinascimentali, che va al
di là del formalismo tradizionale, ma che implica la
sopravvivenza del patetismo antico nelle immagini
moderne.
Il disegno della Kunsthalle di Amburgo è inserito
nella tavola dedicata alle opere del maestro di Norimber-
ga, ispirate ai modelli antichi attraverso la rielaborazione
degli stessi da parte di Andrea Mantegna e di Pollaiolo
(fig. 29); tale accostamento trova una spiegazione nelle
stesse parole di Aby Warburg che afferma:

La scultura italiana, riscoprì le formule del pathos antico del


linguaggio mimico […] l’Ercole del Pollaiolo che strozza
Anteo e vince l’Idra ha avuto dalla stessa scultura antica lo
sconvolgente pathos dell’ideale virile atletico; egli è addirit-
tura quasi più antico dell’antichità stessa70.

Le figure di menadi che volteggiano in preda ad un


furore orgiastico intorno ad Orfeo nel disegno di Albre-
cht Dürer, ma anche in quello di Leonardo (fig. 30),
mettono in atto una danza rituale71, dionisiaca d’impor-
tazione asiatica ossessionata dal suono dell’aulos; una
danza estatica fino ai limiti convulsivi e patogenici dei
primitivi e dei barbari, come afferma Euripide nelle Bac-
canti, una danza che viene visualizzata in numerosi sar-

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aby warburg e la danza

cofagi e rilievi antichi. La pratica della oribasia incita alla


furia saltatoria e vorticosa delle menadi, alla sacra follia
dionisiaca che si esprime in particolare nella bibasis, nel-
l’oklasma nell’eklactimos, danze che comportano bruschi
rovesciamenti del capo e delle braccia, violente arcate
della schiena, flessioni e torsioni della testa del corpo e
delle membra, lanci del piede (fig. 31).
Mentre Mantegna stava dipingendo l’Orfeo dilaniato
dalle menadi, a Mantova veniva messa in scena la favola
di Orfeo di Angelo Poliziano — come ricorda Warburg
stesso — la prima tragedia moderna, non a caso nell’ul-
timo giorno di Carnevale; la musica doveva aver avuto
molta importanza in questa rappresentazione dato il
carattere del mito e del protagonista della favola, Orfeo,
un musico che vive sul limite di un’esperienza etica e di
un’esperienza patetica, fra una dimensione apollinea e
una dimensione dionisiaca; alla prima compete l’ordine
della sua musica alla seconda il dis-ordine, la confusione,
il dilaniamento del suo corpo da parte delle menadi,
secondo una ritualità che replica quella di Dioniso
Zagreo. Nella versione che dà Ovidio del mito di Orfeo
nelle Metamorfosi, la contrapposizione fra ethos e pathos
non si sublima nell’armonia; qui infatti il ruolo regolato-
re della lira di Orfeo viene sommerso dal «clamore dei
flauti dalla canna storta, dai tamburelli, dagli ululati bac-
chici». Probabilmente la rappresentazione della favola di
Orfeo di Poliziano era accompagnata da un canto carna-
scialesco mentre le menadi erano coinvolte in una danza
moresca, come nel più tardo Orfeo di Monteverdi
(1607)72. La moresca è una danza che, come è noto, spes-

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so culmina con la messa a morte di un uomo nero — in


ricordo dell’origine della danza che contrapponeva cri-
stiani e mori — o di un folle o di un buffone cui segue
la sua resurrezione. Ma Monteverdi dà una doppia ver-
sione finale del mito; accanto a quella tragica riferita da
Ovidio, in una seconda versione si assiste alla apoteosi di
Orfeo che dopo la morte raggiunge Zeus sull’Olimpo e
dunque, come per Dioniso, al sacrificio e alla morte,
segue una resurrezione.

LA DANZA NEGLI INTERMEZZI

In una serie di appunti dedicati alla danza e conservati


nell’Archivio Warburg a Londra, lo studioso dedica molto
spazio alla moresca. In particolare nel soffermarsi sulla
Descrizione dell’ingresso delle feste fatte in occasione delle
nozze di Lucrezia d’Este col Principe Francesco Maria d’Ur-
bino (9 gennaio 1571), conservata nel codice Magliabec-
chiano 2191 M della Biblioteca Nazionale di Firenze, War-
burg riporta in alcuni appunti sulla danza una trascrizione
frammentaria de «L’ordine delli Intermezzi della Comedia
di S. Ecce.a» dove viene descritto:

un carro di trionfo con il dio d’amore con pargoletti, amori


che andavano distribuendo con gioiose maniere a Ninfe et
Pastori che seguivano il trionfo con bellissimo ordine di canti,
suoni et danze a misura di moresche, essendo d’abiti leggia-
dramente vaghi et ricchi di tele d’oro e d’argento taffettà […]
di diversi colori, con stivaletti a oro ornatissimi […] (p. 42).

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aby warburg e la danza

Alla fine del terz’atto uscì Orfeo con la sua lira che

con la suavità del suono e della voce, sfogando la fiamma


degli amorosi ardori, porgeva a spettatori non minor gusto di
quello che mostravano sentire molti artificiosi animali, che
allettati dalla dolcezza dei musicali accenti mansuetamente
seguendo l’orme dei passi suoi l’accompagnavano. Et nel
mentre che il detto Orfeo si precaricava nelli versi suoi a
entrar in biasimo del feminil sesso, ecco uscir una terna di
vaghissime ninfe, delli già detti ornamenti cinte, che con
dardi in mano cantando con bellissimo ordine giva ballando
con passi da moresche conforme al tenore della dolce canzo-
ne, la quale finita entrando fra loro nell’abbattimento de’
dardi, morescamente insieme con detto Orfeo, che in attitu-
dine paurosa, mostrava temer dei colpi, come presagio della
congiura d’esse Ninfe, le quali battendo ogni loro colpo
sopra di lui finitamente l’uccisero, a imitation della fabulosa
historia di Ovidio che riuscì amiranda73.

Un preciso riferimento della danza delle menadi alla


moresca è documentato da una tavola inedita di Aby War-
burg della quale si conserva una fotografia nell’Archivio
Warburg di Londra (fig. 32), dove accanto alle immagini
dedicate alla morte di Orfeo due danze moresche si rico-
noscono nelle fotografie sulla sinistra della tavola «sul tema
della lotta per i pantaloni» (l’acquaforte del Maestro delle
banderuole e la cassetta norvegese del museo di Berlino),
le stesse immagini che si ritrovano nella tavola 32 dell’A-
tlante della Memoria, Mnemosyne, che Aby Warburg dedi-
ca alla danza ed in particolare alla moresca74 (fig. 33).
Qui accanto ai disegni di Albrecht Dürer, alle sculture
lignee di Erasmus Grasser, per la sala del Municipio di

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Monaco, e alle incisioni che illustrano precisi passi di alta


danza e in particolare di moresche, una serie di immagini
e di opere si collegano all’origine rituale della stessa more-
sca vale a dire alle danze di fertilità, danze circolari intor-
no ad un oggetto erotico o di riproduzione/rigenerazione:
dalla incisione di Israhel van Meckenem che rappresenta
la danza dell’anello, alle diverse rappresentazioni della
lotta per i pantaloni (fig. 34)75. Infine alcune immagini
più direttamente legate al Carnevale, come nel famoso
dipinto di Hieronymus Bosch ad Amsterdam, ripropon-
gono, in una chiave ludica, le danze rituali a voler comun-
que sottolineare la dimensione estatica e sregolata delle
danze ai ritmi dei canti carnascialeschi, ma pur sempre
legate alla ciclicità temporale; Aby Warburg coniuga per
la danza un aspetto ora drammatico in termini rituali ora
ludico e popolare, ora bucolico nella dimensione del
melodramma, unendo la parola al suono.
In questi termini alla ritualità della danza Warburg
aveva riferito anche gli Intermezzi, da lui studiati nel 1895,
sulla base dei materiali d’archivio relativi agli apparati delle
feste per le nozze di Ferdinando de’ Medici e Cristina di
Lorena (1589). L’anima degli intermezzi era Giovanni de’
Bardi dei Conti di Vernio dalla cui Camerata venne fuori
la riforma melodrammatica anticheggiante. Negli Inter-
mezzi «si manifesta in primo luogo il fatto sorprendente
che le idee platoniche della ‘musica mondana’, come per
esempio quelle dell’armonia dorica (I Intermezzo) del
ritmo e dell’armonia (IV Intermezzo), che fornirono al
Bardi stesso l’appoggio puramente teoretico per la riforma
della musica nel senso classico, compaiono nel 1589 baroc-

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aby warburg e la danza

camente ornate come viventi figure allegoriche al suono di


una musica madrigalesca»76. Nel terzo Intermezzo, dedica-
to al combattimento pitico di Apollo, la rappresentazione
di una festa musicale, secondo l’uso dei Greci, prevedeva
una rappresentazione mimica accompagnata da un coro
composto di 36 persone, cui era affidato il ruolo di eccita-
re il pubblico per mezzo della parola del gesto e del canto,
come si legge nella Descrizione di Giovanni Bardi:

Ucciso il mostro, Apollo alla solita melodia festeggia e balla


e con grazioso atteggiamento della persona esprime la quin-
ta parte di quella musica che fu la letizia di aver liberato i
Delfi da peste sì orribile […] come era quella del serpente.
Finito il suo ballo i Delfi, uomini e donne che si ritrovavano
intorno cominciarono ed egli insieme con loro rallegrandosi
e ringraziando Iddio di una tanta grazia, una carola cantan-
do sopra i liuti, tromboni […] queste parole […] e carolan-
do e cantando se ne andarono […]77.

Alla rappresentazione del combattimento di Apollo


con il Pitone, che è posto al centro del coro nell’incisio-
ne di Annibale Carracci, Warburg fa risalire l’origine del
coro delfico, con riferimento a Francesco Patrizi:

Non andò guari che Filammone poeta anch’egli e cantando e suo-


nando fece un coro intorno al tempio d’Apollo delfico danzare.
E questo appo i Greci fu la prima origine del choro (fig. 35)78.

Compositore del terzo intermezzo, ricorda Aby War-


burg, fu Ottavio Rinuccini che pochi anni dopo si dedicò
alla prima opera in musica, la Dafne che fu eseguita nel

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1594 in casa di Jacopo Corsi. Dal confronto fra queste due


composizione Aby Warburg trae spunto per una riflessio-
ne sulla diversa concezione dei modelli classici. Mentre il
terzo Intermezzo del 1589 tende — secondo Warburg —
in una maniera barocca «[…] a dare forma plastica ed una
certa fedeltà archeologica esteriore alle figure dell’Anti-
chità», la Dafne «in un senso piuttosto classico cerca di
esprimersi nel melodramma in una foggia nuova, unendo
cioè la parola con il suono, come si credeva avessero fatto
i Greci con la melopea nella tragedia»79. Su questi due
modi di concepire l’antichità Warburg tornerà più tardi
nei suoi studi della metà degli anni Venti dedicati a Rem-
brandt e alle Metamorfosi di Ovidio. Nell’introduzione
agli appunti della mostra sulle Metamorfosi di Ovidio,
allestita nella Kulturwissenschaftliche Bibliothek ad
Amburgo, Warburg sottolinea una doppia esigenza stili-
stica «a ben vedere contrapposta che viene realizzata dal-
l’antico nella graziosa dinamica dell’animo dei caratteri
ovidiani i quali pur dando corpo nella gamma del lin-
guaggio mimico alle condizioni più originarie del tra-
sporto passionale della vita erotica o cultuale fanno tutta-
via rieccheggiare anche una autocosapevolezza lirico-sen-
timentale (la danza sacrificale e il lamento funebre)»80. La
connessione fra il mito di Dafne e il terzo intermezzo fio-
rentino è visualizzato su una delle tavole della mostra ovi-
diana, allestita, circa 8 mesi dopo la conferenza dedicata a
Rembrandt, dove, con riferimento agli Intermezzi fioren-
tini e alla nascita del melodramma, Warburg scriveva:

[…] gli italiani superarono questo stile d’intermezzo barocco

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aby warburg e la danza

trasformando questo stesso intermezzo nell’opera. Alla


gestualità priva di anima si contrapponeva la nuova unità
piena di energia di parole e musica, il recitativo fu il magico
trasformatore delle sensazioni passionali81.

LA DANZA RITUALE

Ma un interesse di Aby Warburg per la danza in ter-


mini essenzialmente rituali-sacrificali è documentato da
un altro pannello che lo studioso aveva allestito nel 1927
per la mostra dedicata alle Metamorfosi di Ovidio. Qui
infatti alcune delle stesse immagini di danza, già presenti
nella citata tavola 32 dell’Atlante, sono inserite accanto ad
altre immagini di opere dedicate al culto e al sacrificio di
Iside, al sacrificio di Atteone e al Laocoonte sotto ad un
titolo che tutte le ricomprende, OPFERTANZ, vale a dire
‘danza sacrificale’. Tale legame della danza con il sacrifi-
cio, in rapporto al valore rituale della danza fin dall’anti-
chità, è sottolineato anche dalle stesse note della tavola 32,
probabilmente di mano di Gertrud Bing, che insieme alle
diverse danze rappresentate fa riferimento alla morte di
Orfeo e alla danza sacrificale del sacerdote (fig. 36).
L’interesse di Aby Warburg per la ritualità della danza
si deve far risalire all’esperienza presso gli Indiani Pueblo
del Nord America in occasione del viaggio dello studioso
nel 189582. Qui ebbe l’occasione di vedere la danza delle
antilopi a San Ildefonso vicino a Santa Fé, una danza
mascherata in cui i danzatori, nell’imitare le sembianze e

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i movimenti dell’animale, entrano in esso e dunque com-


piono un atto cultuale con un preciso significato di
sopravvivenza. Al più tipico rituale di fertilità sono legate
le danze kachina, dal puro carattere demoniaco, e desti-
nate a propiziare un buon raccolto. Nell’osservazione di
una danza Humis kachina, che aveva avuto luogo nel vil-
laggio Hopi a Oraibi in Arizzona, Warburg, dopo essersi
soffermato sulla struttura centrica della danza intorno ad
un albero, un pino nano adorno di penne, che costituiva
il mediatore prestabilito che introduce al mondo ctonio,
rimase colpito dall’evoluzione della danza all’ora del tra-
monto, come scrive nel suo più tardo saggio sull’espe-
rienza americana, Il rituale del serpente (1923):

Apparvero sei figure: tre uomini quasi completamente nudi,


cosparsi di creta gialla […] e altri tre uomini in costume fem-
minile. Mentre il coro e i sacerdoti continuavano quieti e con
imperturbabile raccoglimento i loro movimenti di danza,
queste figure si abbandonarono ad una rozza parodia di que-
gli stessi movimenti […] La rozza parodia non era percepita
come comica canzonatura bensì come un contributo per
ottenere un raccolto abbondante. Chiunque abbia qualche
dimestichezza con la tragedia classica scorgerà qui la dualità
di coro tragico e di dramma satiresco innestati su un unico
ramo. Il nascere e il morire della natura appaiono in un sim-
bolo antropomorfico nella danza magica realmente vissuta in
forma di dramma83 (fig. 37).
Infine un approccio magico alla natura attraverso il
mondo animale si può osservare nella danza con i serpen-
ti vivi di Oraibi e di Walpi che dunque è al tempo stesso
una danza animale e una danza cultuale legata al ciclo

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aby warburg e la danza

delle stagioni. È immediato da parte di Warburg il colle-


gamento di queste danza dei nativi americani con il culto
orgiastico di Dioniso e con le danze delle menadi con un
serpente vivo avvolto intorno al braccio o sulla testa men-
tre portano l’animale che doveva essere sacrificato alla
divinità (figg. 38-39); il sacrificio cruento in uno stato di
ebbrezza era infatti il culmine e il significato della danza
religiosa:

La redenzione dal sacrificio cruento permea come un intimo


ideale di purificazione, la storia dell’evoluzione religiosa da
Oriente a Occidente — scrive ancora Warburg nel Rituale
del serpente —. Il serpente partecipa a questo processo di
sublimazione religiosa, e il modo di porsi in relazione con
esso può essere visto come indice dell’evoluzione della reli-
giosità dal feticismo a pura religione di salvezza […] Questa
idea del serpente come potere ctonio distruttore ha trovato il
suo simbolo tragico più efficace nel mito e nel gruppo scul-
toreo del Laocoonte. Il sacerdote e i suoi due figli, che per
vendetta degli dei muoiono avvolti nelle spire dei serpenti,
diventano in questa famosissima scultura dell’antichità l’in-
carnazione stessa della suprema sofferenza umana […] Ecco
il pessimismo disperato e tragico dell’antichità.

Al sofferente Laocoonte (fig. 40) e a tale pessimismo


drammatico Warburg oppone Asclepio (fig. 41), il dio
della salute e dell’antichità «[…] che ha come simbolo il
serpente attorcigliato al suo bastone, nel quale possiamo
finalmente salutare l’umana raggiante bellezza classica»84.
Il serpente dunque diventa, nella simbologia assunta da
Warburg, elemento di morte sacrificale ma anche di

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resurrezione quando è simbolo dell’azione positiva e tera-


peutica di Asclepio: Danza, Lotta, Sacrificio, Morte,
Lamento funebre, Trionfo sono i temi che Warburg indi-
ca in sequenza nei suoi appunti raccolti sotto il titolo
Schemata der Pathosformeln85 e sui quali imposta i suoi
studi del 1926 e del 1927 dedicati a Rembrandt e alle
Metamorfosi di Ovidio. Nel 1926 Warburg tiene una con-
ferenza dal titolo L’Antichità italiana ai tempi di Rem-
brandt nella quale la polarità fra pathos ed ethos fra dioni-
siaco e apollineo, trova un’interessante lettura alla luce
dell’interpretazione che ne dà la cultura olandese in età
barocca attraverso le opere di Rubens, aderenti al classici-
smo trionfalistico romano di Antonio Tempesta in forme
sovrabbondanti ed enfatiche, cui si contrappone la lettu-
ra etica di Rembrandt86. In una lettera scritta a Carl Neu-
mann nel 1926 Warburg ritorna sulla questione basilare di
cosa significa l’antico per un uomo del nord. Ai rapporti
fra Nord e Sud Warburg aveva dedicato molte ricerche nel
corso della sua vita87. Più tardi negli anni Venti dopo il
ritorno da Kreuzlingen e dopo il superamento del dram-
ma della guerra che aveva messo in contrapposizione il
mondo solare del mediterraneo con il mondo nordico
delle stampe tedesche, riprenderà tali riflessioni nei suoi
studi su Rembrandt. Nella citata lettera a Carl Neumann
Warburg introduce il problema facendo un riferimento a
Jacob Burckhardt al quale aveva dedicato proprio fra il
1926 e il 1928 dei seminari di studi88:

In Burckhardt si sente la tragicità dello stato di scissione del


pensatore occidentale il quale oscilla fra una resa del mondo

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dell’espressione dimentica di se stesso piena di nostalgia e


con tutti i suoi alti e bassi e dall’altra parte la volontà di for-
mulazione ideale esemplare in una forma sublime di conia-
zione. Jacob Burckhardt apparteneva al territorio degli
optanti fra il nord e il sud: la Svizzera. Nella sua gioventù egli
diventa ipersuscettibile ed impressionabile, essendo passio-
nale compagno di strada della nostalgia tedesca mai soddi-
sfatta di liberazione interiore, diventa ipersensibile contro la
gesticolazione gallica teatrale della rivoluzione francese e
cerca e trova nella lotta contro il caos la forma deputata nella
cultura italiana89.

Nella densissima conferenza su Rembrandt in cui tale


polarità oscilla fra la rapace dinamica del ratto di Proser-
pina e la compassatezza della classica tragedia di Medea,
Warburg mette a fuoco il ruolo dell’Art Officiel, vale a
dire dell’arte delle commemorazioni ufficiali, attraverso
la quale sopravvive l’eredità classica nelle Fiandre e in
Olanda, con l’allestimento di tableaux vivants in occasio-
ni ufficiali come le entrate trionfali di principi e impera-
tori o l’elevazione sullo scudo del trionfatore in cerimo-
nie di glorificazione. All’Art Officiel è dedicata la tavola
71 dell’Atlante della memoria (fig. 42) che riassume alcu-
ne immagini che già illustravano la conferenza del 1926
affisse a loro volta su tavole esposte nella sala ovale della
Biblioteca di Amburgo (fig. 43). Nella tavola dell’Atlan-
te sono disposte tematicamente una serie di fotografie
che illustrano la cerimonia dell’elevazione sullo scudo: da
una illustrazione derivata da una Bibbia del X secolo, che
rappresenta David sollevato su uno scudo ed incoronato,
alla celebrazione di Brinio in occasione della liberazione

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dei Batavi dai Romani, episodio raccontato da Tacito


nelle Historiae, per arrivare alla stessa cerimonia per
Carlo I, fino all’apoteosi di Napoleone nell’affresco di
Andrea Appiani sul soffitto del Palazzo Reale di Milano
(1808). Nel cerimoniale del sollevamento delle spade si
può riconoscere la sopravvivenza di un uso popolaresco
che nasconde una misteriosa religiosità. In questa asso-
ciazione Aby Warburg ha colto il rapporto del rituale
dionisiaco antico, che viene assunto anche nella rappre-
sentazione della morte di Orfeo con riferimento alla
moresca, nella sua contaminazione con la morris dance
inglese, la più famosa danza armata del basso Medioevo
che si ricollega alla danza delle spade eseguita, come già
la ‘pirrica’ dei greci, dai giovani nudi che, come racconta
Tacito «inter gladios se atque infestas frameas saltu
iaciunt» (Germania XXIV)90. Nella cerimonia delle spade,
praticata in Inghilterra, l’adorazione del sovrano, tramite
una danza in cerchio, culmina con l’esecuzione di una
figura di folle che poi viene fatto resuscitare. Un destino
di morte e resurrezione caratterizza molte divinità
mediorientali e figure mitologiche a queste assimilate, da
Dioniso a Orfeo da Osiride ad Attis. Così la divinizza-
zione dell’imperatore dopo la morte era entrata in uso
proprio nell’età degli Antonini, nel periodo di massima
diffusione delle religioni mediorientali a Roma. Alla stes-
sa logica dunque risponde la dinamica rituale nelle mani-
festazioni trionfalistiche dell’antichità che sopravvive
nell’età moderna. Il modello viene assunto da Rem-
brandt nel momento in cui dovendo celebrare nella
decorazione del municipio di Amsterdam la Repubblica

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olandese proclamata nel 1648 con la fine della guerra


degli Ottant’anni, sceglie un tema antico, la liberazione
dei Batavi dai romani. Ma la lirica ed etica interpretazio-
ne di Rembrandt non trovò riscontro nei committenti
che richiedevano una decorazione più trionfalisticamente
celebrativa, alla romana, piuttosto che una lettura lirica
volta a privilegiare quel sentimento di sospensione e di
attesa, comune anche alla Medea della tragedia greca,
espresso nel gesto di Claudio Civile che nella scena del
giuramento delle spade evoca il modello più lirico del
rinascimento italiano: l’ultima cena di Leonardo (fig. 44).
Il tema trionfalistico si trasforma nelle pagine della con-
ferenza su Rembrandt, come nelle immagini delle tavole
che l’illustravano, in un linguaggio ora lirico ora ludico
ora satirico. Infatti accanto alla sollevazione sullo scudo
di Brinio, nelle incisioni di Antonio Tempesta, Warburg
colloca un’immagine che raffigura una danza dei Messe-
rer in cui due re con la spada si combattono stando in
piedi sulle lame incrociate dei danzatori in una rappre-
sentazione che ha luogo nell’ambito di una festa di cac-
ciatori avvenuta nel 1545. La stessa dinamica della danza
delle spade, racconta Warburg nella sua conferenza del
1926, ha per protagonisti un gruppo di macellai che mal-
trattano e lanciano in aria su una pelle di mucca un
apprendista; qui la cerimonia dell’innalzamento sugli
scudi si è trasformata in un’illustrazione ironica che verrà
ripresa anche da Francisco Goya nel Fantoccio del Museo
del Prado a Madrid (1791-92). Alla stessa logica, che
tende a leggere in chiave burlesca e popolare la danza
trionfalistica, risponde il racconto che vede come prota-

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gonista uno studente dell’Università che viene maltratta-


to dal Rettore in occasione di un rito di iniziazione:
Scharwacheln è la parola che usano gli studenti del Meck-
leburgo — scrive Warburg — per indicare questa ceri-
monia in cui gli studenti utilizzando le loro braccia,
come i danzatori della morris dance usano le loro lame,
sollevano i compagni e li lanciano in aria91 (fig. 45).
Il rapporto fra le diverse danze, dalla pirrica, alla
moresca, alla danza dell’albero a quella dei serpenti dei
Moki a Walpi, al combattimento pitico negli Intermezzi
fiorentini, alla morris dance, alla danza delle spade,
risponde ad una dinamica comune che trae origine dal
valore rituale delle danze in cerchio che, come nella
coreica antica, definisce lo spazio del sacrificio e dunque
della morte ma anche della resurrezione e si lega alla
struttura trionfalistica della cerimonia dell’innalzamento
dell’imperatore sullo scudo.
Fra la documentazione raccolta da Warburg sul tema
della danza, conservata nell’Archivio londinese, sono con-
servati alcuni appunti raggruppati per temi; insieme ai
materiali sulla moresca e sulla danza delle spade, l’interes-
se si sposta sull’attualità e, passando attraverso l’esperien-
za di Oraibi, fondamentale per la sua definitiva guarigio-
ne, a partire dal 1924, Warburg è interessato a verificare la
continuità di queste danze nell’Europa dell’età contem-
poranea. Fra i documenti conservati i resoconti dei Con-
gressi dell’Istituto internazionale di antropologia di Pari-
gi, tenutisi a Praga nel 1924 e ad Amsterdam nel 1927,
illustrano brevemente i programmi e l’impostazione teo-
rica e dei contenuti dell’Istituto e delle occasioni congres-

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suali che avevano lo scopo di mettere a confronto, in uno


studio comparativo, le danze dei diversi paesi europei:
dalla Polonia, alla Cecoslovacchia, dai Paesi Baschi ai
Paesi Slavi, con riferimenti alle antiche danze: dalla pirri-
ca, alla moresca, alla morris dance, alla danza delle spade
come si legge nella comunicazione del prof. Frantisek
Pospisil,direttore della sezione etnografica del Museo
regionale della Moravia di Brno (Repubblica Ceca) dal
titolo Vecchie danze guerriere dei popoli europei e special-
mente presso i Baschi dei Pirenei (fig. 46). La seconda parte
della conferenza prevedeva la proiezione di 60 diapositive
e di un «cinema-film (1.000 m)»92.

A Praga, nel 1924, abbiamo cercato di dimostrare il carattere


internazionale di alcune danze di spade in paesi molto lonta-
ni che si assomigliavano per dei dettagli importanti. Questo
è stato provato attraverso un’analisi dei film sulle danze pres-
so molte nazioni slave (Moravia, Slovenia, Korcla e Blato
(SHS) Lagosta (Italia) e noi vi abbiamo aggiunto una danza
apparentata, ‘la danza delle spade’ di Kaplitz (Boemia del
sud). Attraverso le diapositive abbiamo analizzato lo svilup-
po delle danze guerriere dei popoli tedeschi francesi e roma-
ni. L’analisi delle figure coreografiche (La ronda, il passaggio
sotto le braccia, il salto al di sopra delle braccia, della stella e
della fine della danza) (figg. 47-50) […] ci ha mostrato che
tutte queste danze formano un’unità internazionale. Sull’ori-
gine e gli sviluppi noi abbiamo potuto rispondere solo con
delle ipotesi. Noi concludiamo la nostra dimostrazione con
un filmato sulla danza della spada inglese.
Queste danze presentano il carattere delle danze di gruppo e
il ruolo preponderante del capitano (sollevamento del suo
corpo per opera dei danzatori e la sua danza a solo). Per la

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moreska ci sono dei salti con un giro e una torsione delle parti
inferiori della gamba destra. Nelle forme basche si ha una pir-
rica come nelle descrizioni degli scrittori antichi e una danza
simile alla danza sacra dei sacerdoti Saliens a Roma. L’arte
antica ce ne ha conservato qualche figura. La danza delle
spade o anche con i bastoni sono danze che si ritrovano anche
in riti molto primitivi e sono simili alle danze della freccia a
Ceylon, che è una danza intorno ad una freccia piantata per
terra. Bisogna rimandare ad un’altra occasione l’analisi di que-
sti materiali esotici come i loro raggruppamenti, le loro rela-
zioni con le culture e le religioni. Si cerca l’origine di queste
danze nei costumi rituali dal carattere magico. I materiali qui
presentati non contraddicono queste teorie come abbiamo già
detto a Praga (nel 1924). Bisognerà dare una nuova teoria sui
materiali presentati oggi. Il problema della musica di grande
importanza è di competenza di un esperto di musicologia
comparata. Quanto alla coreografia le danze guerriere dei
nostri tempi con la spada, l’ascia, il bastone, lo scudo, rap-
presentano già la fine di una lunga evoluzione93.

In proposito Warburg scriveva a Albrecht Kunst, diret-


tore della Hamburger Bewegungschore Rudolf von
Laban il 28 Marzo 1928: «[…] è un piacere se i danzatori
sentono una continuità fra passato, presente e futuro»94.
La ritualità delle danze, che nella loro diversità rivela-
vano l’aderenza a topoi che trovavano riscontro in diver-
si paesi dell’Europa ma anche dell’Oriente, interessava
naturalmente molto Aby Warburg, che finanzierà anche
un viaggio in Pomerania a Kurt Meschke, allievo di
Wolfgang Stammler per vedere la moresca95. Al ritorno
dal viaggio Kurt Meschke scrive una lettera di ringrazia-
mento a Warburg per avergli permesso di vedere le danze

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inglesi (le danze delle spade) e suggerisce una ricerca sul


tema delle danze come portatrici di idee e di simboli96.
Tale ricerca confluì pochi anni dopo, grazie anche al
generoso aiuto di Aby Warburg, nel libro dedicato pro-
prio alla danza delle spade, dal titolo Schwerttanz und
Schwerttanzspiel Germanischen Kulturkreis, pubblicato
presso la prestigiosa casa editrice tedesca B. G. Teubner
(Leipzig-Berlin) nel 193197. (In una tavola conservata nel-
l’Archivio Warburg a Londra). Il valore rituale della
danza in circolo nella contaminazione e negli sviluppi in
termini trionfalistici della danza delle spade trova conti-
nuità nelle culture dell’Europa orientale e una visualizza-
zione comparativista nelle immagini composte da Aby
Warburg in una delle tavole inedite di Mnemosyne che
verificano, nell’accostamento delle lotte con le spade alle
danze delle spade, all’innalzamento sullo scudo di Bri-
nio, al Fantoccio di Goya, alle danze polacche e basche,
una linea di continuità che arriva fino al trionfalismo del
giovane ritratto, in un dettaglio di una Morris dance dei
membri della English Folk Dance Society, sulla prima
pagina dell’Hamburger Anzeiger del 1926 (figg. 51-52)98.
Un interesse per l’aspetto rituale della danza trova
spazio dunque nell’ambito delle ricerche antropologiche
degli anni Venti anche in Europa con particolare rispon-
denza agli interessi teorici di Aby Warburg il quale,
anche attraverso la danza, rintracciava la funzione delle
Pathosformeln, vale a dire di quelle immagini cariche di
significato che dall’antichità riemergono con variazioni
ad esprimere situazioni opposte di pathos e di ethos, di
eroismo e di ironia, di dramma e di satira, attraverso

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quelle ‘forme intermedie’ che trovano nella azione teatra-


le e nel movimento della danza, nel gesto, nell’azione, nel
recitativo, nel canto e nella musica quella capacità espres-
siva che lega la vita all’arte e che trova forse la sua più
naturale forma di manifestazione nell’arte filmica, come
già aveva intuito Warburg negli anni Novanta dell’Otto-
cento, ma anche in quelle tecniche del suono e del ritmo
che venivano sperimentate in quegli anni, fra gli altri, da
Giulio Panconcelli-Calzia, grande amico di Aby War-
burg99. Questi fin dal 1909 aveva incominciato a pubbli-
care le sue ricerche sulle applicazioni degli apparecchi
fonoautoglifici — fonografo e grammofono — nella lin-
guistica100. Più tardi, nel 1936, lo studioso pubblicò un
saggio sulle sue ricerche dedicate ai ritmi acustici della
danza nei rapporti con la fonetica patologica; fra gli esem-
pi significativi Panconcelli pubblica la danza moresca,
immortalata dalle sculture di Erasmus Grasser del museo
monacense, e brani di una sequenza filmica di una Stepp-
tanzes (fig. 53), una danza che incominciava ad essere
molto in voga in quegli anni101. Gli studi di Panconcelli
dovevano interessare molto Aby Warburg sotto diversi
aspetti: dalla linguistica comparatista, alla dinamica cau-
sale fra stimolo e segno,nella rispondenza fra diverse
forme di espressione, per rappresentare la vita in movi-
mento attraverso la dinamica della danza quale espressio-
ne di ritmo, funzionale ad un rapporto di impulso e azio-
ne, che risaliva ai suoi ‘Frammenti’ giovanili e alle sue let-
ture di Darwin102, al quale si deve la sua affermazione: «il
canarino batte la coda come una ballerina» e di Vignoli
che nel 1883 scriveva: «Nella rabbia anche i conigli come

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gli uomini pestano i piedi»103. In conclusione sono illu-


minanti le riflessioni di Aby Warburg contenute nella
citata lettera a Carl Neumann del 1927:

Nel giardino dei salti del pensiero


Ovidio Claudiano, Seneca Laocoonte Tacito, l’Apollo del
Belvedere, sono solo pochissime delle innumerevoli masche-
re del pathos nel coro della tragedia ‘Energeia’, nella quale
solo pochissimi sono attori principali: Mania, Sophrosyne,
Mneme e Virtus: gli atti di queste tragedie li chiamiamo allo-
ra «Epoche della Cultura». Oppure se non si vuole saperne di
metafore antiche, propongo […] la seguente citazione:
«Quale è il possedimento ereditario dell’uomo? Solo la pausa
eternamente transeunte fra impulso e azione». Però è bello
che non ci sia bisogno di strillare questa annotazione margi-
nale sul tema: «Dal riflesso alla riflessione al ritorno» come
un misterium megafonico, e invece la si possa, del tutto alla
vecchia maniera, infilare in una busta da lettera, per dimo-
strare ad un amico ammirato da tempo e a un collega mae-
stro, che stiamo tirando insieme una fune infinita104.

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1. Calco della Gradiva sul muro dello studio di Sigmund Freud a Vienna,
1938.
2. Aby Warburg, Ninfa 1900, disegno a matita della Ninfa fiorentina.
London, Warburg Institute Archive.
3. Leonardo, Figura femminile che indica e avanza. Windsor Castle, Royal
Library.
4. Bernardo Buontalenti, Disegno per gli Intermezzi del 1589. London,
Victoria and Albert Museum.

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5. Eugène Grasset, Fête de Printemps, Primavera. Nancy, Musée de l’Eco-


le de Nancy.
6. Taddeo Crivelli, danza in cerchio (carola), particolare della miniatura
dalla Bibbia di Borso d’Este. Modena, Biblioteca estense.
7. Sandro Botticelli, La Primavera. Firenze, Uffizi.

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8. Sandro Botticelli, Le tre Grazie, particolare de La Primavera. Firenze,


Uffizi.
9. Pablo Picasso, Le tre Grazie. London, New Tate Gallery.
10. Umberto Boccioni, Forme uniche nella continuità dello spazio. London,
New Tate Gallery.
11. Gino Severini, Geroglifico dinamico del Bal Tabarin, 1912. New York,
Museum of Modern Art.

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12. Marcel Duchamp, Nue descendant un escalier. The Philadelphia Muse-


um of Art, Philadelphia.
13. Eugène Grasset, Figura al passo di moresca. Monaco, fontana davanti al
Rathaus.
14. Aby Warburg, Tavola, London, Warburg Institute Archive, III, 108. 1.
(Foto Warburg Institute Archive).
15. Maurice Emmanuel, La danse greque antique d’àprès les monuments
figurées (analisi cronofotografiche), Paris 1896.

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16. Isadora Duncan, Atene 1903 (foto di Raymond Duncan).


17. Laboratorio del pittore di Midia, Menade danzante. Carlsruhe, Badi-
sches Landesmuseum.
18. Filippo Lippi, La danza di Salomé, particolare dell’affresco. Prato, Cat-
tedrale di S. Stefano.

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19. Baccio Baldini, il pianeta Venere, prima edizione della incisione in


rame.
20. Bassa danza, particolare di affresco. Bracciano Castello Orsini.
21. Baccio Baldini, il pianeta Venere, seconda edizione della incisione in
rame.
22. Matteo di Giovanni, Matrimonio di Antioco e Stratonice. San Marino,
Henry E. Huntington Library and Art Gallery.

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23. Aby Warburg, Schema di tavola dedicata alla moresca. WIA, III; 72, 1. 7,
Festwesen taf. B (Riproduzione in fotocopia del Warburg Institute
Archive).
24. Carl Bantzer, Bauerntanz. Amburgo, collezione privata.
25. Pierre-Auguste Renoir, Danse à Bougival. Boston, Museum of Fine
Arts.

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26. Albrecht Dürer, La morte di Orfeo. Amburgo Kunsthalle, disegno.


27. Andrea Mantegna, La morte di Orfeo. Mantova Palazzo Ducale, Came-
ra degli Sposi.

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28. Aby Warburg, Bilderatlas Mnemosyne, tav. 41. London, Warburg Institute.
29. Aby Warburg, Bilderatlas Mnemosyne, tav. 57. London, Warburg Institute.
30. Leonardo, La morte di Orfeo, disegno.
31. Menade antica, rilievo romano, I secolo a. C. Paris, Museo del Louvre.

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32. Aby Warburg, Tavola. London, Warburg Institute Archive, III, 108.1
Mnemosyne (Foto Warburg Institute Archive).
33. Aby Warburg, Bilderatlas Mnemosyne, tav. 32. London, Warburg Institute.
34. Israhel van Meckenem, Danza moresca, incisione su rame 1490.
35. Anibale Carracci, Combattimento delfico, Terzo Intermezzo del 1589.
Firenze Biblioteca Nazionale.
36. Aby Warburg, progetto per la tavola dedicata alla Opfertanz, London,
Warburg Institute Archive, Ovid Austellung, III, 97. 1. II, 1927 (Foto
Warburg Institute Archive).

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37. Danza Humis Kachina. London, Warburg Archive.


38. Danza del serpente. London, Warburg Archive.
39. Menade antica con tirso, rilievo romano, i secolo a. C. Madrid, Museo
del Prado.
40. Laocoonte e i suoi figli, i secolo a. C. Roma, Museo Pio Clementino.

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41. Asclepio, copia romana II secolo d. C. Roma Musei Capitolini.


42. Aby Warburg, Bilderatlas Mnemosyne, tav. 71. London, Warburg Institute.
43. Aby Warburg, Tavole illustrative della conferenza su Rembrandt, Lon-
don, Warburg Institute Archive, III, 108. 1.
44. Aby Warburg, Tavola illustrativa della conferenza su Rembrandt (1926),
London, Warburg Institute Archive, III, 108. 1.

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45. Foundling Hospital. London, Foundling Museum.


46. Danza delle spade con la messa a morte di un personaggio al centro, (foto
H. Muehlfriedel, Schwertanze und Totenfeier, in «Die Woche», 29
November-16 luglio 1927, p. 849).

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47. Schwerttaenzer aus Fenestrelle. Warburg Institute Archive, Zettelkaste, 67.


48. Schwerttaenzer in Blato. Warburg Institute Archive, Zettelkaste, 67.

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49. The Flamborough Sword Dance, English Folk Dance Society (Foto da
V. Alford, The First Spring Processions, 1923, p. 13).
50. “The Rose”. A Morris Dance, English Folk Dance Society (Foto da V.
Alford, The First Spring Processions, 1923, p. 21).
51. Aby Warburg, tav. 40, Mnemosyne, III. 1. London, Warburg Institute
Archive (Foto Warburg Institute Archive).
52. Steppentanzes, frammento di una sequenza filmica di Steppentanzes
(G. Panconcelli Calzia, 1936).

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NOTE

* Il saggio che qui si pubblica è una versione elaborata ed ampliata


di due relazioni che sono state presentate in forme parzialmente diverse
in occasione di due convegni tenutisi a Roma all’Accademia Americana
(‘Reading Dance images’ 11-12 febbraio 2004), e a Villa Medici («Histoi-
re de l’art et Antropologie», 11-12/24-25 maggio 2004).
1
J. Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, (1860), San-
soni, Firenze 1984.
2
A. Warburg, La nascita di Venere e la Primavera di Botticelli, in
A. Warburg, Opere. I. La rinascita del paganesimo antico e altri scritti
(1889-1914), a cura di M. Ghelardi, Nino Aragno, Torino 2004, pp.
126-127; sulle feste cfr. anche i materiali conservati nell’Archivio
Warburg a Londra, Das Festwesen als vermittlernder Ausbildner der
gesteigerten Form, 1903-1906, Warburg Institute Archive, London
(d’ora in poi wia) 111, 62.
3
Gertrud Bing spiega il significato di formule di pathos ricorren-
do al concetto di topos letterario: «Nella retorica viene detta topos una
forma divenuta convenzionale, sempre utilizzata per comunicare un
significato o un atmosfera. Warburg constata che qualcosa di analogo
è presente nell’arte figurativa» (A. Warburg, La Rinascita del Paganesi-
mo antico, La Nuova Italia, Firenze 1966, p. XI) con riferimento a E.
Curtius e alla sua opera, Europaische Literatur und lateinisches Mit-
telälter, Bern 1948; trad. it. Letteratura europea e Medioevo latino, a cura
di R. Antonelli, La Nuova Italia, Firenze 1992; cfr. in proposito S. Set-
tis, Pathos und Ethos. Morphologie und Funktion in «Vorträge aus dem
Warburg Haus», I, Akademie, Berlin 1997, pp. 31-73.

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4
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke zu einer pragmatischen
Ausdruckskunde, wia, iii, 43, 1888-1995, 63, (24.iv.1890) «Questioni
[di] estetica: I. Da dove proviene il mosso? II. Cosa vuole lo statico?
III. Quando è stato in uso lo statico?» Cfr. anche in proposito le rifles-
sioni in apertura del saggio, Ghiberti e il Laocoonte di Lessing scritto
in occasione di un seminario tenuto a Bonn il 24 maggio 1889
(Entwurf zu einer Kritik des Laokoon an der Kunst des Quattrocento in
Florenz. Die Entwicklung des Malerischen in den Reliefs des Ghiberti,
wia, iii, 33. 2. 4, trad. it. in Opere. I. La Rinascita del Paganesimo anti-
co e altri scritti 1889-1914, cit., pp. 51-54) dove in proposito Warburg
scrive: «Per quanto riguarda ciò che è transitorio nell’arte figurativa
in generale si potrebbe forse provare, ad esempio attraverso l’arte fio-
rentina del Quattrocento, la capacità, e di conseguenza il diritto per
l’arte figurativa in generale di raffigurare in modo verosimile e carat-
teristico ciò che è ‘transitorio’», Alla transitorietà era dedicata una
conferenza che Warburg doveva tenere al Congresso di Estetica che
ebbe luogo ad Amburgo nel 1930, qualche mese dopo la sua morte;
cfr. E. Wind, Il concetto di ‘Kulturwissenschaft’ in Warburg e il suo
significato per l’estetica, in E. Wind, L’eloquenza dei simboli, Adelphi,
Milano 1992, pp. 37 e 49.
5
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke zu einer pragmatischen
Ausdruckskunde, wia, iii, 43, 1888-1895, 95 e 96, (29.ix.1890).
6
Ch. Darwin, The Expressions of the Emotion in Man and
Animals, London 1972. F. Saxl, Die Ausdruckgebärden der bildenden
Kunst, 1932 in Ausgewählte Schriften und Würdigungen, a cura di D.
Wuttke, Verlag Valentin Koerner, Baden Baden 1992, pp. 419-33.
7
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke zu einer pragmatischen Aus-
druckskunde, wia, 43, 1, n. 95 e 96 (29.ix.1890), cit.; cfr. P. A. Michaud,
Aby Warburg et l’image en mouvement, Macula, Paris 1998, p. 81.
8
W. Jensen, Gradiva (1903), in S. Freud, Saggi sull’arte, la lettera-
tura e il linguaggio, Boringhieri, Torino, vol. 2, 1977, pp. 19-112. Cfr.
S. Settis, Presentazione a J. Seznec, La sopravvivenza degli antichi dei,
Boringhieri, Torino 1981, pp. VIII-XVIII; C. Cieri Via, Nei dettagli

122
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aby warburg e la danza

nascosto. Per una storia del pensiero iconologico, La Nuova Italia Scien-
tifica, Roma 1994, pp. 34-35; P. A. Michaud, Aby Warburg, cit., pp. 68,
80-83; S. Contarini-M. Ghelardi, Die Verkoerperte Bewegung: la ninfa,
in «Aut-Aut». La dialettica dell’immagine, a cura di D. Stimilli, nn.
321-322, maggio-agosto 2004, pp. 32-52. Sulla ninfa si vedano anche
G. Huber, Warburgs Ninfa Freuds Gradiva und Ihre Metamorphose bei
Masson, in Denkraumezwischen Kunst und Wissenchaft, 5, Kunsthisto-
rikerinnentagung im Hamburg, a cura di S. Baumgart u. a., Dietrich
Reimer Verlag, Berlin 1993, pp. 443-460; S. Weigel, Das ‘Nimphen-
fragment’ zwischen Brief und Taxonomie, gelesen mit Heinrich Heine, in
AA. VV., Vorträge aus dem Warburg-Haus, Akademie Verlag, Berlin
2000, vol. 4, pp. 66-103; U. Raulff, Die Nimphe und das Dynamo, in
Wilde Energien, Wallstein, Goettingen 2003, pp. 17-47.
9
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke, cit., 3) Monaco, 22. vi.
88. In termini analoghi si esprimerà Georg Simmel nel suo libro su
Rembrandt, dal sottotitolo «ein Kunstphilosophischer Versuch»,
pubblicato a Lipsia nel 1916 e presente nella Biblioteca di Aby War-
burg. Nel primo capitolo sull’espressione (la continuità della vita e
il movimento espressivo) Simmel affronta la medesima problemati-
ca sulla quale Warburg rifletteva nei suoi frammenti giovanili a pro-
posito della rappresentazione della vita in movimento: «Mentre nel-
l'arte classica e in quella stilizzata in senso stretto la rappresentazio-
ne di un movimento avviene mediante una sorta di astrazione, strap-
pando la visione di un istante specifico alla vita che continua a scor-
rere verso, al di sotto e al di là di esso, e cristallizzandolo in forma
autosufficiente, in Rembrandt il momento rappresentato sembra
contenere interamente l'impulso vitale che si volge nella sua direzio-
ne, sembra raccontare la storia di questa corrente di vita […] Come
l'essenza della vita consiste nell'essere tutta in ogni attimo, perché la
sua totalità non è la somma meccanica di singoli attimi, ma uno
scorrere incessante in continua metamorfosi, così l'essenza del movi-
mento espressivo di Rembrandt consiste nel far sentire l'intera suc-
cessione dei suoi momenti nell'unicità di un solo momento, super-
andone la frammentazione in questo succedersi di momenti separa-

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claudia cieri via

ti». G. Simmel, Rembrandt. Un saggio di filosofia dell’arte, tr. it. di G.


Gavetta, Abscondita, Milano 2001, pp. 18-19.
10
F. Saxl, Die Ausdrucksgebärden der bildenden Kunst, cit., in Aus-
gewählte Schriften und Würdigungen, a cura di D. Wuttke, Valentin
Koerner, Baden Baden 1991, cit., p. 420.
11
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke, cit., wia, iii, 43. 1: «Capi-
gliatura o abiti svolazzanti si assume una volontà di movimento in avan-
ti, mentre si è soltanto in presenza di un equilibrio instabile. La parte
più avanzata persiste, quelle [parti] più arretrate cedono», 50) 6. iii. 90.
12
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke, cit., wia, iii, 43. 1, 78)
7.ix.90: nelle sue riflessioni Aby Warburg evidenziando il rapporto
inscindibile fra realtà e sua rappresentazione non manca di sottoli-
neare il ruolo dello spettatore mettendo in atto le prime osservazio-
ni sulla percezione Nella coincidenza fra l’artista e il fruitore War-
burg scriveva. «L’occhio segue le figure con i movimenti dello sguar-
do, per mantenere viva l’illusione, come se l’oggetto fosse in movi-
mento», wia, iii, 43. 1, 80-81), 8.ix.90.
13
Leonardo, Trattato della pittura, ed. a cura di E. Camesasca,
Neri Pozza, Vicenza 2000.
14
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke..., cit., wia, ii, 43:
31) 27.iii.1889:
«Motivi del panneggio mosso nell’arte fiorentina
A) Prima metà del Quattrocento
1) Movimento del panneggio senza rapporto con il corpo sotto-
stante.
2) Movimento del panneggio contrario alla natura.
3) Influenza dell’antichità: scultura, pittura.
B) Seconda metà del Quattrocento
1) Movimento del panneggio mentre il corpo è in moto.
2) Movimento del panneggio contrario al corso naturale delle
cose.
3) Influenza dell’antichità: pittura, scultura».

124
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aby warburg e la danza

34) 4.iv.1889:
«Scultura fiorentina tra il 1400 e il 1500
1) Il panneggio in movimento è considerato e impiegato come uno
strumento d’intensificazione della caratterizzazione psicologica:
a) In misura ampliata, come in precedenza nelle persone immo-
bili panneggio del Trecento, influenza dell’antichità);
b) contrariamente a ciò che è possibile in natura (arte ornamentale).
2) Nella pittura fiorentina tra il 1450 e il 1500 (e prima) si compie
il tentativo di giustificare il movimento del drappeggio rappre-
sentando le stesse figure in movimento.
a) La donna che corre [‘La figura della ninfa’].
3) Dopo il 1500 il drappeggio è usato di nuovo come mezzo di
caratterizzazione psicologica».
Cfr. in proposito E. H. Gombrich, Aby Warburg. Una biografia
intellettuale, (London 1985), Feltrinelli, Milano 1987, p. 52, trad. it.
di M. Lessona e G. Canestrini, Il meglio in Antropologia, Longanesi,
Milano 1971.
15
C. Darwin, The Expressions of the Emotions in Man and
Animals, London 1872; T. Piderit, Mimik und Phisiognomik, 2ª ed.
1886; A. Schmarsow, Kunstwissenschaft und Volkerpsychologie, in
«Zeitschrift fuer Aesthetik», vol. II, 1907, p. 321.
16
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke zu einer pragmati-
schen..., cit., wia, iii, 43. 26.ii.1900.
17
A. Warburg, I costumi teatrali per gli Intermezzi fiorentini del
1589, in Opere. I. La Rinascita, cit., pp. 165-226.
18
Sulla discussione fra i sostenitore dei primitivi italiani e i rina-
scimentalisti alla fine dell’Ottocento cfr. E. Castelnuovo, Primitifs e
fin de siècle, in Storia dell’arte e politica culturale intorno al 1900. La
fondazione dell’Istituto germanico di Storia dell’arte di Firenze, a cura
di M. Seidel, Marsilio, Venezia 1999, pp. 47-54; D. Sternberger,
Jugendstil, Il Mulino, Bologna 1994.
19
L. B. Alberti, Della pittura, a cura di L. Mallé, Sansoni, Firenze

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1950, p. 43; Guglielmo Ebreo e la danza nelle corti italiane del XV secolo,
Pacini, Pisa 1990; cfr. in particolare C. Cieri Via, Note sull’iconografia
della danza nel Quattrocento fra movimento ed espressione, ivi pubblica-
to, pp. 251-263; ‘Mesura et arte del danzare’. Guglielmo Ebreo da Pesaro
e la danza nelle corti italiane del XV secolo, Gualtieri ,Modena 1987.
20
E. Wind, Misteri pagani del Rinascimento, Adelphi, Milano
1985, pp. 47-65. Una versione drammatica delle tre Grazie verrà pro-
posta da Picasso in un dipinto del 1925 (Londra, New Tate Gallery)
dove le tre danzatrici sono rappresentate in una danza estatica che rie-
voca i modelli antichi delle menadi nel thiasos dionisiaco, e nell’espri-
mere l’amore, il sesso e la morte si legano alla drammatica fine dell’a-
mico dell’artista, Carlos Casagemas, morto suicida poco tempo prima.
21
R. Vischer, Über das optische Formgefühl. Ein Beitrag zur Ästhe-
tik, Leipzig 1873. H. Bergson, Essai sur les données immediatès de la
coscience, Paris 1889; id., L’Evolution Créatrice, Paris 1907; id., Durée
et simultanéité. À propos de la théorie d’Einstein, Paris 1922.
22
L. Klages, Ausdruckskunde, Bonn 1920; id., Wesen des Rhyth-
mus, Bonn 1920.
23
R. Steiner, Eurythmie, Dornach 1980. Nel Marzo del 1927 verrà
inaugurata a Londra alla National Gallery Millbank una mostra
dedicata alla danza dal titolo Rhytmic Grace con opere dello svedese
Carl Milles (Cfr. recensione in «The Spere», 27 Marzo 1927)
24
E. Kris, Ricerche psicoanalitiche sull’arte (1952), Einaudi, Torino
1967; E. Meumann, Untersuchungen zum Psychologie und Ästetik des Rhyt-
mus, Leipzig 1894; K. Bücher, Arbeit und Rhytmus (1896), Leipzig 1919.
25
G. Simmel, Rembrandt, ein Kunstphilosophischer Versuch, cit.
26
wia, gc, 20.i.1916. E. Panofsky, Albrecht Dürer rhytmische
kunst, in «Jarbuch für Kunstwissenshaft», 1926, pp. 136-192.
27
W. Buchheit, Der Moriskentanz ders Erasmus Grasser, in «Der
Gral», 1930, pp. 540 e ss.; Erasmus Grasser, Moriskentanzen, Mün-
chen 1942.

126
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aby warburg e la danza


28
G. Panconcelli Calzia, Le applicazioni degli apparecchi fonoau-
toglifici (fonografo e grammofono) nella linguistica in «Bulletin Dia-
lectologie Romane», 2, 1910, pp. 30-39 (l’estratto dell’articolo è con-
servato nella Biblioteca del Warburg Institute con dedica autografa
dell’Autore ad Aby Warburg).
29
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke, cit., WIA, iii, 43,
29.ix.90: in proposito, per un accostamento delle riflessioni di Aby
Warburg sul movimento e il cinema si veda P. A. Michaud, Aby War-
burg et l’image en mouvement, Macula, Paris 1998. Per una panora-
mica sul ruolo del movimento nella cultura, nell’arte e nel pensiero
filosofico dei primi decenni del Novecento si veda la Dissertazione
di C. M. Cerbe-Farajian, Bewegung Rhythmik und Ausdruck in Tanz
und bildender Kunst im späten 19. und frühen 20. Jahrhundert und ihr
Reflex in den Schriften Aby Warburgs, Dissertation, Kassel 2001. Rin-
grazio Maurizio Ghelardi per avermi dato la possibilità di consulta-
re questo testo.
30
A. Warburg, Mnemosyne. L’Atlante delle immagini, a cura di M.
Warnke, Nino Aragno, Torino 2002. B. Cestelli Guidi-F. Del Prete,
Mnemosyne e la collezione astratta in Via dalle immagini, 1999.
31
A. Warburg, Grundelegende Bruckstücke, cit., wia, 43. 1, n. 95 e
96 (29.ix.1890).
32
M. Emmanuel, La Danse grecque antique d’aprés les monuments
figurés, 1895; sulla coreutica greca cfr. T. B. Webster, The greek cho-
rus, London 1970.
33
R. von Laban, Der moderne Ausdruckstanz in der Erziehung,
Wilhelmshaven 1989; Id., Die Kunst der Bewegung, Wilhelmshaven
1988, trad. it., Macerata, 1999.
34
Una rappresentazione di Mary Wigman è citata e lodata da
Fred Neumeyer in una lettera a Aby Warburg del 7 Marzo 1928 in
cui lo esorta a vedere queste danze in occasione di un prossimo e
annunciato viaggio dello studioso a Berlino. wia, gc, 7.iii.1928. M.
Wigman, Die Spiralee des Tanzes, Stuttgart 1963. Cfr. La generazione

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danzante. L’arte del movimento in Europa e nel primo Novecento, a


cura di S. Carandini e E. Vaccarino, Di Giacomo editore, Roma
1997; C. M. Cerbe-Farajian, Bewegung Rhythmik und Ausdruck in
Tanz und bildender Kunst im späten 19. und frühen 20. Jahrhundert
und ihr Reflex in den Schriften Aby Warburgs, cit.
35
S. Carandini, La danzatrice è una metafora. Poesia del corpo e
composizione dello spazio nella danza di Loie Fuller, in «Ricerche di
Storia dell’arte». L’astrazione danzata. Le arti del primo Novecento e lo
spettacolo di Danza, La Nuova Italia Scientifica, 58, 1996, pp. 5-19.
36
S. Carandini, Isadora Duncan, in La generazione danzante, cit.,
pp. 77-93.
37
I. Duncan, L’art de la dance, in «L’œuvre», 10-11, fasc. 34, 1911.
Cfr. B. Elia, Paul Valery. Pour une metaphysique de la corporeité, in
«Revue d’Esthetique», 22, 1, 1992, pp. 21-41.
38
I. Duncan, The art of dance, New York, 1969, ed. it. Lettere
dalla danza, La Casa Usher, Firenze 1980, p. 100.
39
Lettera di Mesnil a Warburg, wia, gc, 31.iii.1913.
40
wia, gc, 17.ii.1903; cfr. L. Selmin, L’americana scalza. Un ine-
dito di Aby Warburg su Isadora Duncan, in «Engramma», 2004.
41
A. Warburg, Grundlegende Bruckstücke, wia, iii, 43, 78) 7.ix.1890.
42
A. Warburg, La Rinascita del Paganesimo antico cit., pp. 146-
149. E. H. Gombrich, Aby Warburg, cit., p. 58; in un altro fram-
mento, pubblicato da E. H. Gombrich, (Aby Warburg, cit., p. 75)
Warburg scriveva: «Qual’è il significato di questa cosiddetta arte
‘barocca’ per il modo in cui gli artisti concepiscono le forme indivi-
duali?» A. Warburg, Grundlegende Bruckstücke, cit. wia, iii, 43, 34)
4.iv.1889. È del 1898 un saggio di Warburg dedicato a La Cronaca
Illustrata di un orafo fiorentino, pubblicato in «Beilage zur Allgemei-
nen Zeitung», 3 gennaio 1899, pp. 4-6, trad. it. in Opere. I. La Rina-
scita del Paganesimo antico e altri scritti,cit., pp. 257-265.

128
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aby warburg e la danza


43
Gottfried Semper, Principi formali dell’ornamento e il suo signifi-
cato come simbolo artistico, (Über die formelle gesetzmassigkeit des Sch-
muckes un dessen Bedeutung als Kunst symbol [1856], Berlin 1945) indica
fra gli ornamenti i drappeggi, i capelli e la barba «che in virtù della loro
arrendevolezza si prestano ad adattarsi ad ogni intento decorativo».
44
A. Warburg, Grundlegende Bruchstücke, cit., wia, iii, 43, 99) 6.x.1890.
45
A. Warburg, Leonardo in Gesammelte Schriften, cit., I, p. 53; cit.
in E. H. Gombrich, Aby Warburg, cit., pp. 95-96.
46
A. Warburg, Scambi di civiltà artistica fra Nord e Sud nel XV seco-
lo in La Rinascita del Paganesimo antico e altri scritti, cit., pp. 387-403.
47
A. Warburg, Delle imprese amorose nelle più antiche incisioni su
rame fiorentine in La Rinascita del Paganesimo cit., pp. 365-386.
48
A. Warburg, Arte italiana e astrologia internazionale a Palazzo
Schifanoia, in La Rinascita, cit., p. 548. Le incisioni di Baccio Baldini
come alcune altre pubblicate nei citati saggi del 1905 sono inserite nel
progetto di una tavola di mano di Aby Warburg dedicata alla more-
sca e contenuto nel faldone delle Festwesen (wia, iii, 72, B) (fig. 23).
49
wia, gc, 29.x.1905; 2.11.1905; 9.11.1905; 30.11.1905; 12.12.1905.
Su Carl Bantzer cfr. K. Woermann, Carl Bantzer, der deutsche Maler,
«Velhagen und Klasings Monatshefte», J. 40, 1925-26, Bd. 1.
50
wia, gc, 2.11.1905.
51
wia, gc, 24.09.1909, Aby Warburg a Moritz Warburg.
52
wia, gc, Lettera di Bantzer a Warburg del 23.x.1910 in cui
come pittore di Bauertanz, Bantzer chiede a Warburg, proprietario
del dipinto, di prestare l’opera all’esposizione internazionale che si
terrà a Roma nel 1911. Il 29.11.1910 Warburg scrive a Bantzer in pro-
posito facendo rilevare che poiché il dipinto è di proprietà della
madre Charlotte anche se si trova a casa sua è in realtà riluttante a
prestarlo e a mandarlo all’esposizione internazionale del 1911 a
Roma. Vuole un’assicurazione di 20.000 marchi; segue la lettera del

129
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claudia cieri via

6.ii.1913 di Bantzer che chiede a Warburg di prestare il dipinto per


l’esposizione di Kassel; seguita da una lettera del 17.ii.1913 di Gronau
a Warburg ancora per il prestito del dipinto per l’esposizione di Kas-
sel; con lettera del 8. xii. 1913 Warburg scrive a Gronau che è d’ac-
cordo di mandare il dipinto a Kassel, ma il 9. xii. 1913 Warburg scri-
ve di nuovo a Gronau facendo presente, in maniera perentoria, che
sarà l’ultima volta che concederà il prestito e chiede una alta assicu-
razione ed alcuni cataloghi in cambio.
53
wia, gc, 11.x.1918 Lettera di Gronau a Warburg sulla valuta-
zione economica dell’acquisto del dipinto; cfr. anche la lettera del 12.
x. 1918 di Aby Warburg a Max Warburg in cui gli chiede precisazio-
ne sulla effettiva proprietà del dipinto.
54
Cfr. A. Spagnolo-Stiff, L’appello di Aby Warburg a un’intesa
italo-tedesca. ‘La guerra del 1914-15. Rivista illustrata’, in Storia del-
l’arte e politica culturale, cit., pp. 249-269.
55
Nel saggio, Divinazione antica pagana in testi ed immagini del-
l’età di Lutero, in La Rinascita del paganesimo antico, cit., pp. 311-390,
Aby Warburg contrappone l’antichissima concezione pratico religio-
sa, che trova in Germania una rinascita peculiarissima, e la nuova
concezione artistico-estetica che prevale in Italia: «Le immagini ana-
lizzate in quest’occasione […] provengono dagli ambienti dell’arte
della stampa […] sono quindi senza il testo pertinente […] tanto
meno un oggetto familiare della considerazione puramente formale
dell’odierna storia dell’arte, in quanto hanno una loro strana dipen-
denza illustrativa dal contenuto e sono esteticamente poco attraen-
ti», pp. 313-315.
56
A. Warburg, Dürer e l’antichità, in La Rinascita del Paganesimo
antico, cit., pp. 405-424.
57
Ovidio, Metamorfosi, ed. it. Einaudi, Torino 1994, L. X, vv. 4-8.
58
Ovidio, Metamorfosi, ed. cit., L. XI, vv. 40-45.
59
Ovidio, Metamorfosi, ed. cit., L. X, vv. 40-41.

130
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aby warburg e la danza


60
Cfr. A. Gentili, Da Tiziano a Tiziano, Bulzoni, Roma 1988, p.
138 e ss.
61
F. Gaffurio, De practica musicae, Milano 1496.
62
A. Warburg, Symbolismus als Umfangbestimmung (1903), wia,
iii, 45.
63
Nella scatola contenente gli appunti di Warburg sulla danza
(Kasten 67) la sequenza dei vari tipi di danza, dalla pirrica alla more-
sca alla danza delle spade, si conclude con il tema del sacrificio ed in
particolare con la Pietà di Cristo.
64
A. Warburg, Symbolismus als Umfangbestimmung (1903), wia
iii, 45; C. Cieri Via, Un’idea per le Metamorfosi di Ovidio, in C. Cieri
Via-P. Montani, Lo sguardo di Giano. Aby Warburg fra tempo e memo-
rie, Nino Aragno, Torino 2004, pp. 325-327, fig. 16.
65
A. Warburg, L’ingresso dello stile ideale anticheggiante, in Id., Opere.
I. La Rinascita del Paganesimo antico e altri scritti, cit., pp. 583-683.
66
C. Cieri Via, Aby Warburg e il concetto di pathosformel fra reli-
gione, arte e scienza, in Aby Warburg e le metamorfosi degli antichi dei,
a cura di M. Bertozzi, Franco Cosimo Panini, Modena, 2002, pp.
114-140, figg. 37-38.
67
A. Warburg, Dürer e l’antichità italiana, in La rinascita del
paganesimo antico, La Nuova Italia, Firenze 1987, p. 196.
68
A. Warburg, Dürer e l’antichità italiana, cit., p. 197.
69
F. Saxl, Die Ausdruckgebärden der bildenden Kunst, cit., pp.
419-433.
70
A. Warburg, L’ingresso dello stile anticheggiante nella pittura del
primo Rinascimento (1914), in La rinascita..., cit., ed. 1987, p. 296.
71
Sul tema della danza, come rappresentazione della vita in
movimento, a proposito del disegno di Dürer si è soffermato Gio-
vanni Careri nei suoi recenti studi (Aby Warburg: rituel, Pathosformel
et forme intermédiaire in «L’Homme. Revue francaise d’anthropolo-

131
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claudia cieri via

gie», 163, 2003, pp. 41-77), mentre per alcune riflessioni sul mito di
Orfeo mi permetto di rimandare al mio saggio, Orphée, Ovide et les
‘pathosformeln’ à l’antique in La naissance de l’Opéra, Euridyce 1600-
2000, L’Harmattan, 2003, pp. 312-335.
72
Nino Pirrotta, Li due Orfei. Da Poliziano a Monteverdi, Einau-
di, Torino 1975.
73
Descrizione dell’ingresso delle feste fatte in occasione delle nozze di
Lucrezia d’Este col principe Francesco Maria d’Urbino (9 gennaio
1571); ms. Magliabecchiano (2191. M) Firenze, Biblioteca Nazionale;
tale frammentaria descrizione trascritta da Aby Warburg è conserva-
ta nell’Archivio Warburg a Londra fra gli appunti dedicati alla
danza. Londra, wia, Zettelkaste 67; cfr. in proposito G. Baccini,
Notizie di alcune commedie sacre rappresentate in Firenze nel secolo
XVII, Libreria Dante, Firenze 1889.

74
L’identificazione da parte di Aby Warburg della danza delle
menadi che si apprestano a compiere un sacrificio rituale intorno a
Orfeo trova dei riferimenti nell’origine della coreica e dunque per
sopravvivenza e trasmigrazione dei topoi arriva alla moresca. In più
luoghi e immagini Warburg identifica nella morte di Orfeo l’ele-
mento sacrificato all’interno della danza in circolo della moresca.
Sulla moresca cfr. J. Forrest, History of Morris Dancing 1458-1750,
University of Toronto Press, 1999.
75
Come è documentato da una lettera del 13 novembre 1929,
pochi giorni dopo la morte di Warburg, Fritz Saxl ricevette da
Adolph Goldschmidt un’immagine che rappresentava la lotta dei
pantaloni, ma nel ringraziare lo studioso Saxl, dichiarando che l’im-
magine era già stata acquisita per l’Atlante, dichiarava che non gli
era chiaro quali potessero essere le connessioni con le altre immagi-
ni e con la costruzione dell’Atlante nel suo insieme (wia, gc,
13.xi.1929).
76
A. Warburg, I costumi teatrali, in Opere. I. La Rinascita del
paganesimo antico, cit., p. 171.

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77
A. Warburg, I costumi teatrali, in Opere. I. La Rinascita del
paganesimo antico, cit., pp. 205.
78
F. Patrizi, Della poetica, Ferrara 1586, p. 180, cit. in A. Warburg,
I costumi teatrali, in Opere. I. La Rinascita del paganesimo antico, cit.,
p. 197.
79
A. Warburg, I costumi teatrali,in Opere. I. La Rinascita del paga-
nesimo antico, cit., p. 171; A. D’Ancona, Origini del teatro italiano,
Torino 1891.
80
A. Warburg, Ovid Austellung, wia, iii, 97, par. B.
81
A. Warburg, Italienische Antikeim Zeitalter Rembrandts, wia,
iii, 101. 1. 3.
82
Cfr. K. Forster, Die Hamburg-Amerika-Linie oder: Warburg
Kunstwissenschaft zwischen den Kontinenten, in Akten des internatio-
nalen Symposium, Hambourg 1990, ed. by H. Bredekamp, M.
Diers, C. Schoell-Glass, Winheim 1992, pp. 11-38; P. A. Michaud, Aby
Warburg et l’image en mouvement, cit., 1998, pp. 166-67; B. Cestelli
Guidi-N. Mann, Photographs at the Frontier. Aby Warburg in America
1895-1896, Merrel Holberton, London 1998; C. Severi, Il percorso e la
voce. Un’antropologia della memoria, Einaudi, Torino 2004.
83
A. Warburg, Il rituale del serprente, Adelphi, Milano 1998, p.
44; A. Warburg, Gli Hopi. La sopravvivenza dell’umanità primitiva
nella cultura degli Indiani d’America del Nord, a cura di M. Ghelar-
di, Nino Aragno, Torino 2005.
84
A. Warburg, Il rituale del serpente, cit., p. 51.
85
A. Warburg, Schema Pathosformeln, wia, iii, 45. 1.
86
A. Warburg, Italienische Antikeim Zeitalter Rembrandts, wia,
iii, 101. 1. 3.
87
A. Warburg, Arte fiamminga e primo Rinascimento fiammingo
(1902); agli scambi di civiltà artistica fra Nord e Sud nel XV secolo
(1905); Il mondo antico degli dei e il primo Rinascimento al Nord e al

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Sud (1908); La posizione dell’artista nordico e dell’artista meridionale


nei confronti dei soggetti delle opere d’arte (1912), in Opere. I. La Rina-
scita del Paganesimo antico, cit.
88
Jakob Burckhardt Seminars 1926-28, wia, iii, 113; cfr. E. Gom-
brich, Aby Warburg, cit., pp. 220-221; B. Roeck, Aby Warburgs Semi-
narübungen über Jackob Burckhardt im Sommer Semester 1927, in
«Idea Jahrbuch der Hamburger Kunsthalle», x, 1991, pp. 65-89; id.,
Burckhardt, Warburg un die italienische Renaissance, in «Annali del-
l’Istituto Storico italo-germanico in Trento», xvii, 1991, pp. 257-296.
89
wia, gc, Lettera di Aby Warburg a Carl Neumann del 22.i.1927,
da Partenkirchen.
90
R. Lorenzetti, La moresca nell’area mediterranea, Forni, Roma
1991; S. H. Rotual, Play in Greek Religion, 1993; sulla Morris Dance
e sulla danza delle spade cfr. Dance Music and Religion, Congresso di
studi, 1994; sulla danza delle spade cfr. H. Mühlfriedel, Schwertanz
und Totenfeier, in «Die Woche», 29, 16. 1927.
91
La tradizione di questo rituale era ancora viva nel Novecento
probabilmente con un significato solo ludico come dimostra una
fotografia dei bambini del Foundling Hospital di Londra del 1926,
l’anno in cui l’Ospedale, che si trovava a pochi passi dall’attuale
Warburg Institute di Londra, venne distrutto. Oggi nello stesso sito
si trova il Foundling Museum.
92
Nell’Archivio Warburg alcuni appunti e documenti che testi-
moniano del rapporto con Pospisil sono contenuti in wia, iii, 12. 13.
In una lettera del marzo 1928 Pospisil ringrazia Saxl di averlo messo
in contatto con Warburg è la sola persona che comprende le sue
ricerche sulle danze delle spade ed ha apprezzato il suo film che verrà
presentato a Londra il 20 settembre 1928 su invito della Folklore
Society (wia, gc).
93
wia, Zettelkaste, 67. Nel resoconto del congresso di Praga F.
Pospisil sottolineava il carattere sacrificale della danza delle spade:
«Le danze delle spade appartengono presso i Ceci e gli iugoslavi ai

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numerosi costumi popolari del carnevale. È una danza di diverti-


mento, ma il suo senso primitivo, la parte principale della cerimo-
nia era l’immolazione di un essere qualsiasi». Nella scatola conte-
nente gli appunti sulla danza (Kaste, 67) l’interesse sacrificale da
parte di Warburg è evidente come dimostra la sequenza dei temi: dai
vari tipi di danza, dalla pirrica alla moresca alla danza delle spade al
sacrificio che si conclude con la Pietà di Cristo nelle opere di Cosmé
Tura e di Michelangelo (fig. 40).
94
wia, gc, 28.iii.1928.
95
Nella Lettera di Warburg a Wolfgang Stammler del 21. i. 1928
Warburg si auspica un incontro a Marzo in Amburgo e lo invita alle
Pospisil’s Lecture «Urantike Tanze in heutige Baskenlande» questo
sarà importante per lo studente di Stammler, (Kurt Menchke) e sarà
l’occasione per discutere la sua ricerca e gli pagherà anche le spese di
viaggio. Wolfgang Stammler si occupava in particolare della Danza
della morte. Cfr W. Stammler, Die Totentanze, Leipzig 1922.
96
wia, gc, 24.vii.1928.
97
Kurt Meschke, Schwerttanz und Schwerttanzspiel im Germani-
schen Kulturkreis, Leipzig-Berlin, 1931, p. 20). Sulla danza delle spade
cfr. anche G. Kowaleski, Der Schwertanz, Berlin 1904; R. Wolfram,
Schwettanz, Kassel. Peeps at English Folk-Dances, London 1923).
98
Il riferimento a questa immagine e a questo evento si trova
nella lettera di Gertrud Bing ad Aby Warburg del 5 luglio 1926, nella
quale la studiosa dà un resoconto sulla morris dance e sulla danza
delle spade dove un uomo al centro del cerchio veniva decapitato e
inoltre riferisce che il giorno prima Saxl con la figlia Hedwig vide i
danzatori di una morris dance che si esibivano all’aria aperta allo
Stadtpark di Amburgo (Londra, wia, gc, 5.vii.1926) (fig. 42).
99
Giulio Panconcelli Calzia, professore all’Università di Amburgo
fu con Warburg curatore della Rivista Illustrata negli anni della guer-
ra, 1914-1915, condividendo con lui il dramma della contrapposizione
fra Italia e Germania che la guerra aveva schierato l’una contro l’altra.

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100
G. Panconcelli Calzia, Le applicazioni degli apparecchi fonau-
toglifici (fonografo e grammofono) nella linguistica, in «Bulletin de dia-
lectologie romane», 2, 1909, pp. 30-44. A Panconcelli fa riferimento
lo stesso Pospisil in una lettera inviata a Warburg da Brno il 3 otto-
bre 1926 in cui gli comunicava la difficoltà a pubblicare un film di
ca. 2000 m sulle danze delle spade in Boemia Slovenia, Polonia,
Russia, Ucraina, Dalmatia Italia, Germania e Austria auspicando un
suo interessamento in proposito. wia, Zettelkaste, 67. Giulio Pan-
concelli scrisse nel 1926 un articolo dedicato alla danza delle spade
dal titolo Deutsche Fechter im 16. Jahrhundert, il cui estratto con
dedica autografa ad Aby Warburg in data 5. vi. 1926 è conservato
nella biblioteca dello studioso.
101
Hülse, Panconcelli-Calzia, Heinitz, Untersuchungen über die
Beziehungen zwischen allgemeinen und Phonationsbewegungen. Uber
rhytmisch hoerbare Taenzen und deren Beziehung zur normalen und
pathologischen Phonetik, in «Vox. Mitteilungen aus dem Phoneti-
schen Laboratorium der Hansischen Universität zu Hamburg», 1-3,
1. April 1936, pp. 1-21.
102
A. Warburg, Grundlegende, cit., III, 43, 10.3.1890.
103
T. Vignoli, L’eredità dell’indole morale secondo la dottrina gene-
rale dell’evoluzione, in «Rivista di filosofia scientifica», 1883, p. 222.
104
wia, gc, Lettera di Aby Warburg a Carl Neumann, 22.i.1927. Si
coglie qui quell’esigenza di Warburg di contrapporre alla civiltà delle
macchine la sfera della contemplazione «che crea spazio al pensiero»
(A. Warburg, Il rituale del serpente, Adelphi, Milano 1988, p. 66.

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