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DEGLI IMPIANTI INDUSTRIALI
LA GESTIONE DELLA PRODUZIONE
(a cura di F. Costantino, G. Di Gravio, M. Tronci)
Sommario
1. Prestazioni dei sistemi di produzione ........................................................................................................... 3
1.1. Potenzialità produttiva .......................................................................................................................... 3
1.2. Tempo di attraversamento .................................................................................................................... 3
1.3. Potenzialità di mix ................................................................................................................................. 6
1.4. Capacità produttiva ............................................................................................................................... 8
1.5. Overall Equipment Effectiveness ........................................................................................................... 9
1.5.1 Efficienza di carico .......................................................................................................................... 13
1.5.2 Disponibilità .................................................................................................................................... 13
1.5.3 Efficienza delle prestazioni ............................................................................................................. 14
1.5.4 Tasso di qualità ............................................................................................................................... 14
1.5.5 Total Effective Equipment Performance ........................................................................................ 15
1.5.6 Overall Equipment Effectiveness .................................................................................................... 15
1.5.7 Incertezza sulle rilavorazioni .......................................................................................................... 17
1.2 Calcolo della capacità produttiva ........................................................................................................ 20
2. Configurazione dei sistemi di produzione ................................................................................................... 21
2.1 Definizione del lotto di produzione ..................................................................................................... 23
2.1.1 Produzione monoprodotto ............................................................................................................. 24
2.1.2 Criterio del costo unitario minimo .................................................................................................. 25
2.1.3 Intervallo di fabbricazione .............................................................................................................. 30
2.1.4 Parametri di costo variabili ............................................................................................................. 34
2.1.5 Produzione diversificata ................................................................................................................. 37
2.2 Bilanciamento del sistema di produzione ........................................................................................... 49
2.2.1 Aggregazione delle operazioni in stazioni ...................................................................................... 49
2.2.2 Giacenze interoperazionali ............................................................................................................. 56
2.2.3 Numero di magazzini intermedi ..................................................................................................... 57
2.2.4 Entità delle scorte interoperazionali operative (WIP) .................................................................... 59
2.2.5 Entità delle scorte interoperazionali di sicurezza ........................................................................... 75
3. Pianificazione e programmazione della produzione.................................................................................... 77
3.1. Production Plan ................................................................................................................................... 78
3.2. Resource Requirements Planning ........................................................................................................ 79
1
3.3. Master Production Schedul ................................................................................................................. 81
3.4. Rought Cut Planning ............................................................................................................................ 82
3.5. Master Requirements Planning ........................................................................................................... 85
3.6. Capacity Requirements Planning ......................................................................................................... 87
3.7. Scheduling ............................................................................................................................................ 88
2.1.1 Obiettivi perseguiti ......................................................................................................................... 92
2.1.2 Esempi di applicazione .................................................................................................................... 96
3.8. Input/Output Control ........................................................................................................................ 100
Bibliografia .......................................................................................................................................................... 103
2
1. Prestazioni dei sistemi di produzione
Gli impianti industriali sono progettati per produrre, ma non sempre riescono a realizzare le quantità previste
nei progetti in quanto la realtà aziendale subisce l’influenza di fattori esterni ed interni dei quali non ha il
controllo. Diventa, perciò, indispensabile studiare e valutare gli elementi perturbatori, in modo da
considerarli sin dalla fase di progettazione al fine di raggiungere la capacità produttiva richiesta. Per
affrontare al meglio le problematiche di gestione di un sistema produttivo, è opportuno prima soffermarsi su
alcuni concetti legati alle dimensioni di prestazione.
Valori tipici che si rilevano nelle aziende, possono variare tra 10 e 100. Buoni valori sono quelli compresi tra
3 e 5, mentre l’ottimo intervallo di valori per l’indice di flusso è compreso tra 1 e 2.
Esempio
3
Un impianto è costituito da 5 stazioni poste in serie, con una macchina in ciascuna stazione. I tempi di
attraversamento delle singole macchine valgono 10’, 20’, 30’, 10’, 20’. Quanto vale il tempo di
attraversamento della linea? Quanto vale la potenzialità?
Disegniamo la configurazione della linea ad intervalli di 10 minuti, adottando la seguente modalità di disegno
delle stazioni qualora siano libere, occupate in lavorazione, abbiano terminato la lavorazione oppure siano
bloccate:
Per semplificare la lettura dei grafici, ad ogni pezzo è stata data una forma differente, in modo da distinguersi
facilmente. Le frecce indicano uno spostamento. All’istante iniziale (t = 0) il pezzo quadrato entra in
lavorazione nella prima stazione. A t = 10 la lavorazione termina, il pezzo quadrato procede avanti e un nuovo
pezzo, circolare, entra in linea.
A t = 20 il quadrato non è stato ancora terminato poiché la seconda operazione dura 20 minuti, mentre il
cerchio è appena stato ultimato. Fintanto che non sarà libera la seconda stazione, il cerchio rimarrà in attesa
e questa parte del suo tempo di attraversamento non sarà a valore aggiunto.
A t = 30 si nota come la prima stazione con il cerchio sia bloccata perché la presenza del quadrato nella
stazione seguente non ne permette il flusso in avanti.
Riportando le configurazioni successive, si osserva come la terza stazione implichi un importante
rallentamento nel primo tratto della linea. Il primo pezzo esce dalla produzione dopo 90 minuti, non avendo
subito rallentamenti, proprio perché primo e perciò incontrando sempre stazioni libere. Il suo tempo di
attraversamento è coincidente con il tempo a valore aggiunto TVA.
4
L’impianto va a regime in breve tempo ed il tempo di attraversamento diviene 110 minuti per il pezzo
circolare. Infine assume il valore finale di 120 minuti sia per il pezzo pentagonale che per quello esagonale.
Tutti i pezzi successivamente lavorati, avranno lo stesso tempo di attraversamento. L’indice di flusso a regime
vale, perciò:
120
1,33 (3)
90
Il valore è ottimo e corrisponde ad una linea che funziona senza intoppi produttivi.
Si osserva che la potenzialità coincide con quella del collo di bottiglia ed è pari a un pezzo ogni 30 minuti e,
quindi, 2 pezzi ogni ora.
5
In effetti, osservando la linea se ne notano due porzioni o segmenti, ciascuna delle quali ha delle stazioni più
rapide e, al termine, una stazione più lenta. Quest’ultima influenzerà a regime tutto il tratto a monte,
“costringendo” tutte le stazioni antecedenti ad andare al suo stesso ritmo. Il primo segmento, dato dalle
prime tre stazioni, dunque, si muoverà con il passo della terza, ovvero con un tempo di ciclo TCL di 30 minuti.
Ciò corrisponde ad un tempo di attraversamento del segmento di 30 ∙ 3 stazioni 90 min .
All’uscita del primo segmento, ciascun pezzo entra nel secondo segmento, cadenzato dal ritmo lento
dell’ultima stazione, pari a 20 minuti per pezzo. Questo tratto, però, non si satura mai perché è alimentato
ogni 30 minuti dal collo di bottiglia della porzione di linea precedente. Il tempo di attraversamento del
secondo segmento coincide, quindi, con il relativo tempo a valore aggiunto, ossia con 10 + 20 = 30 minuti. Si
verifica, così, che il tempo di attraversamento della linea è pari a 90 + 30 = 120 minuti.
Nel caso in cui i tempi non siano deterministici, ma variabili, si possono avere molte complicazioni nel calcolo
del tempo di attraversamento e della produttività. Perciò, in tali casi, si ricorre a strumenti simulativi per la
valutazione delle prestazioni.
dove indica la percentuale di tempo in cui si produce l’ i‐mo prodotto.
Esempio
Calcolare la potenzialità di mix di un impianto che realizza due prodotti: A e B. L’impianto ha una capacità di
200 kg e impiega 20 minuti per realizzare A e 30 minuti per B. I tempi di set‐up sono trascurabili, così come
le quantità non conformi.
Si devono realizzare quantità doppie di A rispetto a B.
Per la risoluzione del problema si possono calcolare prima i ritmi produttivi standard. Per A avremo:
kg kg 200 kg kg
600
h h min h
20 min 60
h
Per B si calcola:
kg kg 200 kg kg
400
h h min h
30 min 60
h
Le percentuali in volume di A e B sono 2 e 1 .
3 3
Quindi la potenzialità di mix si ottiene facilmente da:
7
1 1 1 kg
514,2
2 1 h
∑ 3 3
kg kg
600 400
h h
L’andamento della produzione di A e B al variare della composizione del mix produttivo e della percentuale
di tempo destinata a ciascun prodotto, è riepilogato nella tabella seguente.
minuti minuti QA QB PVA PVB Pmix
0 60 0,0 400,0 0% 100% 400,0
5 55 50,0 366,7 12% 88% 416,7
10 50 100,0 333,3 23% 77% 433,3
15 45 150,0 300,0 33% 67% 450,0
20 40 200,0 266,7 43% 57% 466,7
25 35 250,0 233,3 52% 48% 483,3
30 30 300,0 200,0 60% 40% 500,0
35 25 350,0 166,7 68% 32% 516,7
40 20 400,0 133,3 75% 25% 533,3
45 15 450,0 100,0 82% 18% 550,0
50 10 500,0 66,7 88% 12% 566,7
55 5 550,0 33,3 94% 6% 583,3
60 0 600,0 0,0 100% 0% 600,0
Come si vede, il tempo di produzione viene ripartito tra i due prodotti, generando differenti produzioni
complessive. Nel grafico seguente è visibile l’andamento della potenzialità di mix al variare della produzione
di A e B.
8
può inoltre riferirsi alla capacità di soddisfare le esigenze di produzione relative alle quantità (volumi), oppure
all’assortimento (mix produttivo), o anche al tempo (consegne).
La capacità produttiva teorica, anche detta capacità produttiva installata o ideale, è una misura della quantità
massima di output, per una data condizione degli input, che il sistema è in grado di produrre in condizioni di
funzionamento ideali (macchinari sempre disponibili per la produzione, assenza di piccole fermate,
rallentamenti, scarti e rilavorazioni).
La capacità produttiva reale, anche detta capacità produttiva effettiva, misura la quantità di output, per una
data condizione degli input, che il sistema è in grado di produrre in condizioni di funzionamento reali.
Figura 1 – Le sei grandi perdite
Tempo solare
Il tempo solare ‐ TS (Figura 2) indica il massimo tempo a disposizione, ovvero di 365 giorni annuali. Quindi,
8760 ore all’anno è la dimensione massima che potrà assumere il tempo di produzione.
Figura 2 – Tempo solare
Figura 3 – Tempo di apertura
Tempo di carico
Il tempo di carico ‐ TC o loading time o planned operating time, indica il tempo per il quale si è programmato
che la macchina lavori. Si tratta, in altre parole, della durate temporale entro la quale la macchina è accesa.
Si ottiene come differenza tra il tempo di apertura dell’impianto e il tempo perso per fermate pianificate e
per cause esterne (Figura 4).
10
Figura 4 – Tempo di carico
Le fermate pianificate (planned downtime) possono, ad esempio, essere costituite da alcuni periodi nei quali
la direzione aziendale ha stabilito che non si farà produzione. Possono anche essere periodi in cui la restante
parte di azienda produce ma la macchina in analisi non è stata programmata per produrre. Possono essere
anche qui incluse le fermate per manutenzione preventiva, ovvero svolta secondo un programma
prestabilito, o anche i tempi destinati a realizzare prove tecnologiche.
Le fermate per cause esterne includono i periodi non produttivi dovuti a mancanza di ordini o di materie
prime, di imprevisti, di scioperi.
Tempo operativo
Il tempo operativo ‐ TO, o anche detto operating time, indica il tempo per il quale l’impianto effettivamente
lavora. Si ottiene eliminando dal tempo di carico il tempo perso per fermate misurabili (Figura 5). Queste
ultime, anche dette grandi fermate, sono date dai problemi per guasti, per i set‐up di cambio prodotto e per
i riattrezzaggi necessari per cambiare gli utensili e le attrezzature delle macchine. La caratteristica di questi
tempi è che siano misurabili in modo diretto tramite la consultazione, più o meno agevole, dei dati aziendali.
Figura 5 – Tempo operativo
11
Figura 6 – Tempo operativo netto
Figura 7 – Tempo operativo a valore aggiunto
Il tempo per scarti e rilavorazioni include il tempo impiegato per la produzione di prodotti difettosi, che
successivamente saranno scartati ed il tempo impiegato per la rilavorazione di prodotti difettosi.
Il tempo operativo a valore aggiunto è molto importante perché è l’unico tempo per il quale il cliente è
disposto a pagare. Tutti gli altri tempi di perdita devono essere contenuti al massimo perché sono indice di
inefficienza.
Nella Figura 8 è visibile una sintesi della scomposizione del tempo solare come somma dei tempi
precedentemente descritti.
12
Figura 8 – Quadro sinottico dei tempi
1.5.1 Efficienza di carico
La metodologia OEE permette di calcolare degli indici di efficienza, che esprimono le prestazioni di
produttività ricalcanti lo schema dei tempi appena presentato.
Il parametro efficienza di carico ‐ L (Load) è definito dalla seguente relazione:
(11)
e può essere calcolato con il rapporto:
(12)
La conoscenza di L permette di calcolare il tempo di carico a partire da tempo di apertura impianto.
Con l’efficienza di carico si misura l’efficacia del sistema di assegnazione della produzione. Non comprende
l’efficienza produttiva, ma solo la capacità di assegnare una certa produzione per una macchina con
riferimento al tempo di apertura. Il valore può variare in base alla tipologia di impianto e da azienda a azienda.
1.5.2 Disponibilità
Tramite la disponibilità ‐ A (Availability) si può valutare il tempo operativo , a partire dal tempo di carico. A è
definita dalla seguente relazione:
(13)
Il calcolo di A si ottiene con i dati aziendali applicati alla formula:
13
(14)
La disponibilità, dunque, esprime la percentuale del tempo di carico in cui la macchina è in condizioni di
produrre. È un numero puro che esclude gli effetti della qualità, delle prestazioni e delle fermate pianificate.
Solitamente ha un valore maggiore del 90%.
I valori dei tempi di fermata per guasti possono essere stimati sulla base di dati forniti dal produttore delle
apparecchiature produttive, con i valori di targa relativi al tempo medio intercorrente tra i guasti (Mean Time
Between Failures ‐ MTBF), al tempo medio di riparazione (Mean Time To Repair ‐ MTTR). Dal punto di vista
analitico corrisponde alla disponibilità limite.
Per quanto riguarda i tempi di set‐up, essi dipendono dal numero e dalla durata dei cambi prodotto e, quindi,
dalle scelte di schedulazione e di sequenziamento della produzione.
1.5.3 Efficienza delle prestazioni
L’efficienza delle prestazioni ‐ Ep (Efficiency Performance) è data dal rapporto tra tempo operativo netto e
tempo operativo:
(15)
Teoricamente, si potrebbe calcolare con la relazione seguente:
(16)
ma il tempo dedicato a rallentamenti e alle fermate non misurabili, non può essere misurato in maniera
diretta e, quindi, non è noto. L’efficienza delle prestazioni, perciò, deve essere calcolata in modo indiretto,
facendo ricorso ai tempi standard.
In effetti, il tempo operativo netto è il tempo destinato alla realizzazione di prodotti, sia conformi che scarti,
che rilavorazioni. Perciò può essere calcolato moltiplicando il tempo standard TS, necessario a produrre un
singolo pezzo, per la quantità globale realizzata. Si ha perciò la possibilità di calcolare l’efficienza delle
prestazioni con la seguente relazione:
∙
(17)
Nel caso di più prodotti si valuta il come reciproco della . L’efficienza delle prestazioni rappresenta
la velocità del centro di lavoro sotto forma di percentuale della sua velocità di progetto. È un numero puro
che esclude gli effetti della qualità, e della disponibilità della macchina.
Per i rallentamenti e le micro fermate, solitamente è possibile stimare un tasso di efficienza generale a
seconda del layout produttivo adottato: nella linea generalmente è compresa tra 0,80 e 0,95, mentre nel
layout per reparti è usualmente compresa tra 0,65 e 0,8.
1.5.4 Tasso di qualità
Il tasso di qualità ‐ Q è definito come il rapporto tra:
14
(18)
Analogamente a quanto detto per l’efficienza delle prestazioni, non è possibile calcolarne il valore con
l’espressione:
(19)
perché il tempo destinato alla realizzazione di scarti ed alla rilavorazione di pezzi imperfetti, non è facilmente
valutabile.
Per questo, il tasso di qualità si può stimare con l’equazione seguente:
. .
(20)
. . . .
dunque, è il rapporto tra le unità conformi prodotte rispetto al totale di quelle lavorate. È un numero puro
che esclude gli effetti delle prestazioni e della disponibilità. Solitamente ha un valore elevato che dipende da
una considerevole numerosità di fattori, relativi sia alla condizione della macchina (manutenzione, parametri
ambientali), sia alla conduzione (operatore, parametri operativi), sia ai materiali utilizzati (qualità degli
approvvigionamenti). Generalmente si auspica che vari tra valori compresi tra 95% e 100%.
1.5.5 Total Effective Equipment Performance
Dopo aver definito il coefficiente di carico, la disponibilità, l’efficienza delle prestazioni ed il tasso di qualità,
è possibile valutare due parametri di prestazione molto importanti come il TEEP e l’OEE.
Il Total Effective Equipment Performance ‐ TEEP è definito tramite il rapporto tra e :
(21)
Con facili passaggi si può verificare la relazione seguente:
∙ ∙ ∙ ∙ ∙ ∙ (22)
ovvero, il TEEP è valutabile come il prodotto dei succitati fattori.
L’utilità del TEEP sta nella facilità di desumere il tempo operativo a valore aggiunto, noto il tempo di apertura
dell’impianto. Infatti si ha:
∙ (23)
1.5.6 Overall Equipment Effectiveness
Spesso si preferisce valutare il tempo operativo a valore aggiunto a partire dal tempo di carico, avendo prima
detratto dal tempo di apertura le fermate pianificate ed il tempo perso per cause esterne. In questo caso si
fa riferimento alla Overall Equipment Effectiveness – OEE.
La relazione, analogamente a quanto visto per il TEEP è la seguente:
15
∙ ∙ ∙ ∙ (24)
Da questa espressione si evince la modalità di calcolo del tempo operativo a valore aggiunto:
∙ (25)
Il grafico di Figura 9 riassume il significato dei coefficienti di efficienza analizzati.
Figura 9 – Coefficienti di prestazione
L’OEE può costituire un utile riferimento in fase di gestione di un progetto (nuova linea, modifica di
configurazione), per valutare la reale quantità di output che sarà ottenibile, a partire dall’installazione di una
certa capacità produttiva teorica sulla base di valori storici o attesi dell’OEE. In progettazione, permette di
valutare le soluzioni alternative e ricercare miglioramenti al fine di raggiungere il prefissato livello di efficienza
necessario per raggiungere gli obiettivi del progetto. In fase di costruzione e montaggio dell’impianto
industriale, infine, l’OEE consente di stabilire dei traguardi, in termini di prestazione produttiva, per la
produzione preserie, il raggiungimento dei quali può sancire il passaggio alla produzione in serie.
La caratteristica più utile dell’OEE è quella di permettere una forte visibilità dell’efficienza globale degli
impianti e, così, di stabilire le priorità degli interventi di miglioramento.
I termini specifici che compongono l’OEE possono essere utilizzati per stabilire la tipologia di intervento più
efficiente per il miglioramento dell’efficienza globale della produzione. Inoltre, il confronto con valori di
riferimento del panorama produttivo, permette di valutare quali siano i margini effettivi di incremento della
capacità produttiva del sistema.
L’OEE può essere anche utilizzato per stabilire un requisito specifico in termini di prestazione per un
macchinario o impianto che si intende acquistare (divenendo un vincolo contrattuale per il pagamento).
Questo approccio spinge il fornitore a lavorare con il compratore per raggiungere il livello richiesto delle
prestazione del macchinario. Sempre in quest’ambito si può osservare come L’OEE permetta di identificare
l’opportunità di migliorare i macchinari esistenti prima di investire capitali nell’acquisto di nuovi impianti,
consentendo maggiore efficacia negli investimenti.
È, d’altro canto, necessario fare attenzione quando si utilizza questa metodologia per confrontare macchinari
o sistemi produttivi differenti. Inoltre bisogna osservare come la definizione dell’OEE non sia univoca ma ne
esistano alcune varianti che ripartiscono differentemente le perdite di efficienza, portando a differenti
16
risultati ed interpretazioni della misura. La correttezza nel calcolo dell’OEE dipende dall’abilità nella raccolta
dati: informazioni inadeguate per quantità e qualità possono portare ad un utilizzo fallimentare dell’OEE.
1.5.7 Incertezza sulle rilavorazioni
Come abbiamo visto la metodologia dell’OEE prevede la conoscenza della quantità di produzione soggetta a
rilavorazioni. Questa informazione è, spesso, molto difficile da reperire, poiché è difficile da prevedere in
macchine nuove ed è poco probabile che esista un sistema informativo aziendale in grado di tenere traccia
di tutte le quantità che vengono processate più di una volta.
Il comportamento degli indici di efficienza, in assenza di informazioni sulle rilavorazioni, presenta delle
peculiarità in cui è opportuno soffermarsi.
Il coefficiente di efficienza delle prestazioni , assumendo nulle le rilavorazioni non avendo informazioni a
riguardo, viene ad essere approssimato con dato dalla seguente espressione:
∙ ∙
→ (26)
Questa stima dell’efficienza delle prestazioni risulta essere una approssimazione per difetto del valore
effettivo, essendo valutata tramite un rapporto in cui il numeratore è minore di quanto dovrebbe essere. In
caso di assenza di informazioni sulle rilavorazioni, dunque, se si analizzasse il valore di efficienza delle
prestazioni trascurando il fatto che è un’approssimazione, si potrebbero trarre conclusioni sbagliate. Infatti,
al numeratore della frazione, viene calcolato il tempo standard necessario a realizzare soltanto la produzione
conforme e gli scarti. In realtà, il tempo da considerare dovrebbe essere quello richiesto anche per le
rilavorazioni. Supponiamo, ad esempio, di avere un impianto che opera con tempo standard pari a 1 ora per
pezzo, una quantità di conformi pari a 100 pezzi mensili, una quantità di scarto pari a 10. Le rilavorazioni sono
ignote ed ammontano ad una quantità pari a 20 pezzi. Valutando il tempo operativo netto, otterremo:
1 100 10 110 (27)
Sapendo di avere avuto a disposizione un tempo operativo di 150 ore, stimiamo l’efficienza delle prestazioni
in:
110 150 73% (28)
Questo valore è stimato per difetto. Infatti, valutando la vera efficienza delle prestazioni che include anche
le rilavorazioni, otterremo un tempo operativo netto maggiore:
1 ∙ 100 10 20 130 (29)
e, quindi:
130 150 86% (30)
Soffermandoci, ora, ad analizzare le modifiche che il coefficiente di qualità subisce per l’incertezza sulle
rilavorazioni, giungiamo facilmente alla conclusione che, in questo caso, si ha l’effetto opposto. Il coefficiente
17
di qualità , assumendo nulle le rilavorazioni non avendo informazioni a riguardo, viene ad essere
approssimato con definito dalla seguente espressione:
→ (31)
L’approssimazione, dunque, è per eccesso essendo il denominatore minore di quanto dovrebbe
effettivamente essere. Riprendendo l’esempio precedente, avremo una qualità stimata pari a 100
100 10 91% mentre il valore reale è dato da 100 100 10 20 77%.
In conclusione, si può notare che, comunque, l’assenza di informazioni sulle rilavorazioni, non modifica il
calcolo dell’efficienza complessiva OEE. Infatti il prodotto tra i valori stimati e coincide con il prodotto
tra i valori reali dei coefficienti di efficienza delle prestazioni e di qualità e .
Esempio
Una linea di produzione di un’azienda chimica produce nylon. L’azienda lavora per 320 giorni all’anno, con
ciclo continuo nelle 24 ore. Durante la pausa estiva di fermo impianto, è prevista la manutenzione generale
del reattore. Ogni 10 giorni di produzione è pianificata l’attività di pulizia di un serbatoio a monte
dell’impianto che implica la perdita di un turno di lavoro (8 ore). Lo scorso mese si sono registrati 3,5 ore di
fermo linea per guasti ed avarie. Per gli altri mesi non si hanno informazioni. Ogni 6 turni si deve riempire il
reattore. Il riempimento richiede 2 ore. La linea ha una produttività oraria media di 100 kg di prodotto finito.
La produzione conforme dello scorso anno è stata di 597 tonnellate di nylon. Gli scarti sono stati 160 quintali.
Sono ignote le rilavorazioni, sebbene siano in quantità non trascurabile. Calcolare l’OEE.
Il tempo di apertura dell’impianto è dato da
320 ∙ 24 7680
Le fermate pianificate per cause esterne, legate alla pulizia del serbatoio sono:
1
320 ∙ ∙8 256
10
Non essendo indicati tempi persi per cause esterne, si ottiene il tempo di carico ed il coefficiente di carico:
7424
7680 256 7424 96,7%
7680
Il tempo per guasti è estrapolabile all’intero anno, con qualche incertezza, dal dato del mese scorso:
3,5 ∙ 320
. 37,3
30
Il tempo per i set‐up si ottiene da:
2
. ∙3 ∙ 320 320
6
Il tempo operativo e la disponibilità, perciò, sono:
18
7067
7424 320 37,3 7067 95,2%
7424
Per calcolare l’efficienza delle prestazioni, dobbiamo stimare il tempo teorico (standard) necessario a
realizzare la produzione. Avendo una potenzialità di 100 chilogrammi orari, il tempo standard ne è il
reciproco.
1
∙ 597000 16000 kg 6130
100
Da cui si ottiene l’efficienza delle prestazioni stimata.
6130
86,7%
7067
Ricordiamo che, non essendo noto il valore delle rilavorazioni, questo valore è una stima inferiore al valore
reale. Il coefficiente di qualità si stima facilmente con la relazione:
597000
97,4%
597000 16000
Anche questo dato non è corretto e risulta maggiore del reale.
Il valore del TEEP è così calcolabile:
0,967 ∙ 0,952 ∙ 0,867 ∙ 0,974 77,7%
Analogamente l’OEE vale:
0,952 ∙ 0,867 ∙ 0,974 80,4%
Esempio
Con i dati dell’esempio precedente, si calcoli l’OEE sapendo che la quantità delle rilavorazioni è nota e pari a
21 tonnellate annue.
Si modifica la stima dell’ , essendo questa volta corretta. Infatti il tempo operativo netto vale:
1
∙ 597000 16000 21000 kg 6340
100
e l’efficienza delle prestazioni diviene maggiore della stima precedente:
6340
89,7%
7067
Il coefficiente di qualità reale di calcola con la relazione:
597000
94,2%
597000 16000 21000
Si osserva come l’indice di qualità sia calato rispetto alla stima dell’esempio precedente.
19
L’OEE vale: 0,952 ∙ 0,897 ∙ 0,942 80,4% risultando invariato.
20
1500 2400 1900
4900 4900 4900
Quindi, di procede con la relazione seguente:
1 1
17,2
15 1 24 1 10 1
∙ ∙ ∙
49 20 49 15 49 20
Il tempo di apertura dell’impianto è dato da:
330
Non essendo indicati tempi persi per fermate pianificate e per cause esterne, si ottiene il tempo di carico ed
il coefficiente di carico:
330 100%
La capacità produttiva relativa al mix di produzione vale, perciò:
∙ ∙ =17,2 ∙ 330 ∙ 0,829 4705
Per calcolare l’utilizzo temporale percentuale netto della linea da parte di ciascun prodotto si calcolano le
ore standard totali necessarie alla produzione di ciascuna quantità. Per la Pala “G” si ha:
75 160 50
Il tempo standard complessivo è la somma dei tre tempi:
75 160 50 285
L’utilizzo percentuale di tempo della linea da parte di ciascun prodotto è:
26%; 56%; 18%
2.1.1 Produzione monoprodotto
Per comprendere con chiarezza i parametri che intervengono sulla scelta della dimensione del lotto di
produzione è bene analizzare come primo caso una situazione semplice, in cui un impianto o una macchina
sono completamente dedicati alla lavorazione di un unico prodotto. In questo caso, la distribuzione nel
tempo dell'entità Q di giacenza del prodotto in esame, assume l’andamento a denti di sega riportato in Figura
10.
Figura 10 – Andamento della giacenza in magazzino
Avendo indicato con P la produttività dell'impianto nell'unità di tempo (per ipotesi assunta costante), al
termine del periodo di produzione TP il livello delle scorte raggiunge il valore massimo:
∗
∙ (35)
Tale accumulo di prodotto deve ovviamente risultare sufficiente a soddisfare, nel successivo intervallo di
tempo TC (periodo di consumo), la domanda D dell'articolo in oggetto, supposta anch'essa costante nel
tempo e minore di P. Dovendo dunque verificarsi che:
∗
∙ (36)
24
è allora:
(37)
Qualora risulti r = 1, la produttività disponibile è appena sufficiente a far fronte alla domanda, in modo tale
che non possono verificarsi momenti in cui la produzione si interrompe, altrimenti la domanda si troverebbe
disattesa (Figura 11). Viceversa, nel caso in cui risulti r = 0, per la costituzione delle scorte Q* occorre un
tempo di produzione TP = 0 (Figura 12). In questo ultimo caso, il problema, originariamente consistente nella
determinazione di un lotto economico di fabbricazione (EPQ – Economic Production Quantity), si trasforma
in un problema di calcolo di un lotto economico di approvvigionamento (EOQ – Economic Order Quantity)
con le logiche caratteristiche di gestione dei materiali.
Figura 11 – Andamento della giacenza in magazzino con r=1, TP=TC
Figura 12 – Andamento della giacenza in magazzino con r=0, TP=0
2.1.2 Criterio del costo unitario minimo
In questo caso, il criterio di determinazione del lotto economico di produzione si fonda sulla ricerca dell’entità
del lotto che minimizza il costo totale di ciascuna unità fabbricata, nella certezza che ad un costo totale
unitario minimo corrisponda la migliore utilizzazione delle risorse disponibili. Il costo totale relativo a ciascun
prodotto fabbricato può ritenersi somma di tre voci di costo principali.
25
Costo di fabbricazione CF [€/unità], che include gli oneri di manodopera, energia, materie prime,
ammortamenti, spese generali, etc., necessari alla fabbricazione di ciascuna unità del prodotto in
esame.
Costo di lancio CL [€], comprensivo dei costi di pulizia, fermata e preparazione degli impianti, delle
perdite per lavorazioni fuori tolleranza, etc.; tale onere dev'essere sostenuto ogni qualvolta viene
emesso un nuovo ordine di lavoro.
Costo unitario di immagazzinamento CUM [€ / (t * unità], che porta in conto i costi di mantenimento
e di obsolescenza, gli interessi passivi relativi al capitale immobilizzato, gli oneri fiscali che gravano
sulle scorte, etc.
Nell'ipotesi che CF, CL e CUM risultino indipendenti dell'entità Q del lotto fabbricato, il costo totale CT di
ciascuna unità fabbricata è dunque pari a:
(38)
2
ovvero:
(39)
dove:
1 (40)
2∙
L'entità Q* del lotto che rende minimo il costo totale per ciascuna unità prodotta (EPQ – Economic Production
Quantity) può quindi essere determinata eguagliando tra loro i costi variabili CL/Q e KQ (cfr. Figura 13),
ovvero annullando la derivata rispetto a Q del costo totale CT, procedimento che porta alla formula:
∗
2∙ ∙
(41)
1
sostituendo tale valore ottimo di Q nella (39) si ricava facilmente il costo totale unitario minimo:
∗
2 ∗
(42)
ovvero:
∗
∙
2 1 (43)
2∙
Si sottolinea che la (41) può essere considerata valida soltanto nel caso in cui, oltre alle ipotesi in precedenza
accennate, possano ritenersi noti e costanti tutti i parametri che in essa compaiono e che la funzione (38)
non risulti sottoposta ad alcun tipo di vincolo.
26
Il sistema produttivo cui la (38) si riferisce prevede inoltre (cfr. Figura 10) che nessun prelievo venga
effettuato durante tutto il periodo TP, che possa ritenersi trascurabile il tempo di preparazione TS
dell'impianto e che operi a regime, in modo tale che possa essere trascurata, nella determinazione di Q,
l'entità SS della scorta di sicurezza. D’altronde la rimozione di questa ultima ipotesi non farebbe che transitare
verso l’alto gli andamenti descritti, senza ripercussioni sul calcolo dell’EPQ.
Figura 13 – Andamento dei costi al variare della dimensione del lotto di produzione
Nel caso particolare in cui la produttività P dell'impianto risulti di gran lunga superiore al fabbisogno stimato
D, la (41) si riconduce alla ben nota espressione, potendo considerare ininfluente il rapporto D/P:
∗
2∙ ∙
(44)
proposta da Harris per il calcolo del lotto economico di approvvigionamento.
L’ipotesi di non prelevare merce dal magazzino fino al termine della produzione del lotto è credibile per molte
realtà, soprattutto considerando quei contesti dove l’intero lotto viene movimentato nel magazzino con un
unico carico. Tuttavia non è complesso rimuovere questa ipotesi e comprendere come si modifica
l’andamento della giacenza nel tempo. In Figura 14 viene mostrato come la giacenza massima che realmente
si manifesta è pari alla quantità:
∙ ∙ ∙ (45)
che una volta identificata il lotto economico di produzione Q* risulta essere:
∗
∗ ∗ ∗
∙ ∙ 1 (46)
27
Figura 14 – Andamento della giacenza con prelievi durante la produzione
In questo caso la domanda può essere soddisfatta mentre si procede con la produzione, quindi durante il
tempo TP, senza una netta distinzione tra il tempo di consumo e di produzione che è in esso compreso. In
pratica si passa da una rappresentazione della giacenza a denti di sega sovrapposti a una con denti di sega
sequenziali (Figura 15).
Figura 15 – Andamento a dente di sega con e senza prelievi durante la produzione
Esempio
La domanda di un prodotto finito è stimata pari a 500 unità al giorno mentre la produttività giornaliera
dell'impianto che lo fabbrica è mediamente pari a 2.500 unità.
In corrispondenza del lancio di ogni ordine è necessario sopportare un onere valutato in 100.000 €; il costo
di immagazzinamento è stato inoltre fissato in 0,257 €/u.g.
l costi unitari di fabbricazione possono ritenersi uguali a € 210 per materia prima, € 320 per energia e € 410
per manodopera.
Nell'ipotesi che interessi passivi ed oneri fiscali incidano per l'8% all'anno sul valore del prodotto, ci si propone
di determinare l'entità ottima Q* del lotto.
Con le ipotesi introdotte, risulta:
P = 2.500 u / g,
D = 500 u / g,
r = D/P = 500 / 2.500 = 0,2
28
CL = 100.000 €
CF = 320 + 210 + 410 = 940 € / u.
Facendo riferimento ad un anno costituito da 300 giorni lavorativi, il costo unitario di immagazzinamento è
pari a:
940 €
0,08 0,257 0,50
300 ∙
Utilizzando tali valori si ottiene:
∗
2 ∙ 500 ∙ 100.000
13.000 à
0,50 ∙ 1,2
Il costo totale per ciascuna unità fabbricata è pari a
∗
100.000 €
940 2 955
13.000
e ciascun lotto comporterà un impegno di spesa:
∗ ∗
∙ 955 ∙ 13.000 12.415.000 €
Esempio
Un centro di lavoro di un impianto produce parti componenti di un prodotto finito alla velocità di 400 unità
al giorno, mentre per la successiva linea di assemblaggio è stato valutato un fabbisogno giornaliero di tali
componenti pari a 40 unità.
Un'analisi dei costi ha inoltre appurato un costo complessivo di fabbricazione di 2400 €/u, un costo di lancio
degli ordini di 50.000 € ed un costo unitario di magazzinaggio di 0,04 €/u.g.
Nell'ipotesi di un tasso di interesse passivo del 12% annuo, ci si propone di determinare ancora una volta
l'entità del lotto ed il tempo di produzione di ciascun ordine.
Con i dati forniti risulta:
CF = 2.400 €/u
CL = 50.000 €
D = 40 u/g
P = 400 u/g
r = 0,10
Assumendo al solito un anno di 300 giorni lavorativi, risulta:
2.400 €
0,12 0,04 1,00
300 ∙
Quindi:
29
∗
2 ∙ 50.000 ∙ 40
1.907 à
1,00 ∙ 1,10
cui corrisponde un tempo di produzione:
∗
∗
1.907
4,77
400
2.1.3 Intervallo di fabbricazione
Nella pratica operativa può spesso accadere che il lotto ottimo di fabbricazione, determinato mediante la
(41), non possa in effetti essere prodotto per la presenza di vincoli di natura tecnologica o commerciale.
Appare dunque conveniente che, unitamente alla quantità Q*, venga anche determinato l'intervallo entro il
quale una variazione del lotto di produzione risulta ancora accettabile. Ogni scostamento di Q dal suo valore
ottimo Q* dà luogo ovviamente a un incremento dei costi variabili:
(47)
e quindi del costo totale CT*. D’altro canto, ciascun aumento di CT fornisce due differenti valori di Q a cavallo
di Q* (Figura 16). Fissato dunque il massimo incremento di costi accettabili è immediatamente determinabile
il corrispondente intervallo di accettabilità del lotto.
Figura 16 – Intervallo di fabbricazione e impatto sui costi variabili
Avendo indicato con:
∗
(48)
il rapporto tra i costi variabili effettivi e l'entità minima che questi possono assumere, il valore di c,
ovviamente maggiore o tutt'al più uguale ad 1, fornisce un'utile misura dello scostamento dal costo minimo
totale.
Facendo ricorso alle (39) e (42), la (48) può scriversi:
∙ 1 1
∙ (49)
2∙ ∙ ∗ 2 ∙ ∗ ∗
30
in modo tale che, ricordando la (41), risulta:
∗
1
∗
(50)
2
Fissato il limite massimo del rapporto c è quindi immediato determinare attraverso la (50) gli estremi Q' e Q"
dell'intervallo di variazione accettabile. Tali estremi risultano pari a:
∗
′ 1
∗
(51)
" 1
Volendo far ricorso ad una più efficace espressione adimensionale, baste introdurre il rapporto q = Q l Q* e
sostituire questo ultimo nella (50), si ottiene infatti:
1 1
(52)
2
nonché:
1 (53)
Tali espressioni adimensionali indicano la relazione esistente tra il massimo scostamento ammissibile nei
costi totali e gli estremi dell'intervallo di variazione del lotto.
Così fissato ad esempio nel 5% il limite massimo di tolleranza (c= 1.05), l'entità del lotto di fabbricazione può
variare entro i limiti:
1,05 1,05 1 0,73
" 1,05 1,05 1 1,37
In altri termini, avendo imposto il 5% come incremento massimo accettabile dei costi variabili CV, il lotto di
fabbricazione può essere variato fino al 27% al di sotto e fino al 37% al di sopra del valore ottimo Q* calcolato
tramite la (41).
Viceversa, fissato il limite della variabilità nella dimensione del lotto che una desiderata flessibilità di
produzione rende indispensabile, la (52) consente di calcolare l'inevitabile incremento di costi che da tale
necessità scaturisce.
Supponendo dunque che esigenze di natura commerciale (per esempio l'opportunità di usufruire di sconti
legati al raggiungimento di specifiche quantità) impongano all'azienda di fissare l'entità di ciascun lotto in
non meno di 2Q* unità, ciò corrisponde per la (52) a dover tollerare un rapporto di costi effettivi su costi
minimi pari a:
c 0,5 ∙ 0,5 2 1,25
In Figura 17 è stata riportata in forma grafica l'espressione (52); in modo tale che possa essere ricavato più
agevolmente il valore di q una volta che sia stato fissato il rapporto massimo dei costi accettabile.
In base alle considerazioni fin qui espresse il costo totale CT può esprimersi mediante la relazione:
31
∗
2∙ ∙ ∙ (54)
ovvero nella forma adimensionale:
2
1 (55)
in cui si è posto:
∗
(56)
∙ ∗
Il valore minimo CT* del costo si ottiene ovviamente imponendo c = 1, così si può scrivere:
∗
2
1 (57)
L’incremento adimensionale v dei costi totali dovuto a uno scostamento di Q dal valore ottimo Q* è dunque
pari a:
2 2 2 2 2
∗ 1 1 1 1
∗ 2 2 2 2
(58)
1 1 1 1
2
Per cui si scrive:
1
(59)
1
2
Tale espressione indica ancora una volta la convenienza a far ricorso per la determinazione di Q a semplici
algoritmi di calcolo; infatti la (59) dimostra che errori anche notevoli commessi nella valutazione di Q non
generano sensibili variazioni del valore di v.
32
Figura 17 – Variazione dei costi all’allontanarsi dalla quantità ottimale
Esempio
Si richiede di determinare gli estremi dell'intervallo di variazione del lotto di fabbricazione nell'ipotesi che
CF = 200 €/u
CL = 100.000 €
k = 0,025 €/u2
e si accetti un incremento del costo unitario non superiore al 2,5%. La dimensione ottima di ciascun ordine
risulta, per la (7), pari a:
∗
2.000 à
per cui il rapporto u è uguale a:
200
4,0
∗
100.000
2.000
Il parametro c, calcolato in base alla (59) in cui si è posto v=0,025, è dato dalla:
1
0,025
2 1
1,075
Sostituendo tale valore nella (53) si ottiene dunque:
0,68
" 1,47
33
in modo tale che il lotto di fabbricazione può variare tra 1.360 e 2.940 unità.
2.1.4 Parametri di costo variabili
Nei precedenti paragrafi si è determinata l'entità ottima di ciascun lotto di fabbricazione nell'ipotesi che i
parametri CF, CL e CUM siano indipendenti dal valore di Q e che la funzione di costo CT (Q) non risulti in alcun
modo vincolata. In pratica può accadere che tali parametri debbano considerarsi correlati con l'entità del
lotto o che sussistano vincoli di natura fisica o economica che limitano la dimensione massima del lotto da
produrre.
Nei successivi paragrafi si esaminano quindi gli effetti su CT di una correlazione esistente tra CF e Q (il
ragionamento che viene sviluppato risulta del tutto analogo a quello da svolgersi nel caso in cui anche CL e
CUM varino al variare dell'entità Q del lotto).
2.1.4.1 Costo di fabbricazione variabile
Il termine CF è stato definito rappresentativo di tutti quei costi (manodopera, materie prime, energia, etc.)
che occorre sostenere per la fabbricazione di ciascuna unità del prodotto in esame. Tale costo CF, in
precedenza ipotizzato indipendente dall'entità del lotto fabbricato, in effetti può variare, aumentando o
diminuendo in funzione del contestuale aumento o riduzione delle varie voci di costo che lo compongono.
La correlazione che lega CF a Q può assumere essenzialmente i due andamenti riportati in Figura 18. La prima
situazione, ad esempio, può considerarsi rappresentativa, entro un determinato intervallo del volume di
produzione Q, di un migliore rendimento delle risorse o ad una loro maggiore saturazione (economie di
scala).
Figura 18 – Generici andamenti dei costi di fabbricazione al variare della quantità prodotta
Nel primo caso, posto dunque:
∙ (60)
e potendosi scrivere:
′ (61)
l'espressione dell'entità del lotto risulta:
∗ (62)
34
Invece se si considera l’andamento a gradini di Figura 18, ad esempio rappresentativo di uno sconto sulle
materie prime legato al raggiungimento di determinate quantità di acquisto, esiste un certo valore limite QL
di Q al di là del quale il costo unitario di fabbricazione assume il valore CF2 < CF1 la funzione di costo CT assume
l'espressione:
(63)
Risultando gli oneri per interessi passivi direttamente proporzionali al valore del prodotto in giacenza, e
quindi al costo di fabbricazione, al variare di CF con l'entità del lotto varia corrispondentemente anche il
valore del parametro k.
Le due differenti espressioni di CT danno luogo rispettivamente a due entità diverse del lotto EPQ:
∗
(64)
∗
Il verificarsi della condizione CT2 < CT1 risulta condizione necessaria per accertare un incremento del lotto da
Q*1 a Q*2.
Le diverse situazioni che possono verificarsi al variare di CF con Q possono essere agevolmente illustrate
facendo ricorso a una rappresentazione grafica. Nell'ipotesi semplificativa che esistano solo due valori CF1 e
CF2 del costo di fabbricazione, potranno configurarsi le tre situazioni rappresentate in Figura 19.
Evidentemente la scelta ricade sulla situazione per cui si ottiene il CT minimo, fermo restando il campo di
esistenza delle curve di costo, vincolate al raggiungimento o meno della quantità limite QL. In pratica si
costruisce la funzione con discontinuità per Q = QL evidenziata con tratto continuo nella Figura 19; tale
funzione assume un minimo differente a seconda della posizione del valore limite e dei due minimi Q*1 e Q*2.
Considerando i casi di Figura 19, nella prima situazione si sceglie:
∗
(65)
poiché la soluzione Q = Q*2 non appartiene alle soluzioni ammissibili e CT(QL) < CT(Q*1).
Nella seconda situazione si sceglie:
∗ ∗
(66)
poiché la soluzione Q = Q*2 non appartiene alle soluzioni ammissibili e CT(QL) > CT(Q*1).
Nella terza situazione si sceglie:
∗ ∗
(67)
poiché la soluzione Q = Q*2 appartiene alle soluzioni ammissibili e CT(Q*2) < CT(Q*1).
35
Figura 19 – Scelta dell’EPQ al variare delle condizioni
A completamento si può considerare una generica situazione con più quantità limite (in Figura 20 è riportato
il caso con due QL1 e QL2, in cui si analizzano gli andamenti dei costi di fabbricazione, dei costi di immobilizzo
e dei rispettivi costi totali al variare della quantità, così da costruire la curva con discontinuità a tratto
continuo, il cui minimo è immediatamente identificabile.
36
Figura 20 – Scelta dell’EPQ con CF variabili con più quantità limite
Il valore dell’EPQ dipende quindi dal valore assunto da QL, da cui con massima genericità è possibile ricavare
l’andamento di Figura 21.
Figura 21 – Scelta dell’EPQ al variare del QL
2.1.5 Produzione diversificata
l criteri della produzione a lotti in precedenza introdotti sono stati sviluppati considerando la fabbricazione
di ciascun articolo come un'attività a sé stante, senza tener conto che, generalmente, le stesse risorse
vengono impiegate per fabbricare una molteplicità di prodotti diversi ancorché simili.
Tale approccio semplificato al problema, strettamente rigoroso solo nel caso, peraltro abbastanza ricorrente,
che il sistema in esame sia utilizzato esclusivamente per la fabbricazione di un unico articolo, ha tuttavia
incontrato una larga diffusione. Ciò appare senz'altro giustificato non appena si osservino le caratteristiche
di estrema semplicità che contraddistinguono il corrispondente modello matematico.
In realtà i criteri di calcolo esposti nei precedenti paragrafi, non tenendo conto delle mutue interazioni
esistenti nella lavorazione di più prodotti su uno stesso impianto, non possono condurre a una soluzione del
problema soddisfacente e di effettiva utilità.
37
Supponendo di aver calcolato con la (41) l'entità Qi del lotto di ciascuno degli N prodotti lavorati dall'impianto
in esame, detta Pi la produttività relativa al generico prodotto i, la fabbricazione di quest'ultimo impegna le
risorse disponibili per il periodo di produzione:
(68)
La somma di tali tempi di produzione, nonché dei tempi di preparazione dell’impianto relativi a tutti gli N
prodotti rappresenta il fabbisogno totale di ore‐macchina necessarie a soddisfare la domanda stimata Di di
ciascun articolo. Qualora tale somma risulti eccedente le produttività disponibili la domanda non può essere
ovviamente soddisfatta.
Come si è già avuto modo di affermare, il lotto di fabbricazione del generico prodotto i deve risultare
sufficiente a coprire il corrispondente fabbisogno Di per tutto il periodo di consumo:
(69)
durante il quale le macchine e le attrezzature sono utilizzate per la fabbricazione dei rimanenti (N ‐1) articoli
e nuovamente del primo articolo.
Alla luce delle considerazioni fin qui espresse è agevole verificare che, se l'entità di ciascun lotto viene
determinata facendo ricorso alla ∗ ⁄ non si può garantire la nuova disponibilità di ciascun prodotto
nell'istante in cui le rispettive scorte del lotto precedente sono ridotte a zero.
Infatti per il generico prodotto i la quantità Qi potrebbe risultare insufficiente, nel qual caso il prodotto
verrebbe a mancare prima che un nuovo lotto si renda disponibile a magazzino.
In definitiva quindi la produzione di N articoli su una stessa macchina richiede l'introduzione di taluni vincoli
di correlazione che condizionino l'entità dei lotti di fabbricazione dei singoli prodotti. Il non tener conto di
tali vincoli indurrebbe a determinare una soluzione non congruente con le risorse disponibili ovvero non in
grado di soddisfare i fabbisogni di tutti i prodotti fabbricati.
Si consideri ad esempio un impianto che produca due soli articoli utilizzando alternativamente le stesse
attrezzature. Avendo indicato con TSi il tempo necessario per preparare l'impianto alla fabbricazione del
prodotto i, durante il periodo di consumo del prodotto 1:
(70)
le risorse produttive saranno impegnate (Figura 22) nella lavorazione del prodotto 2, mentre durante il
periodo di consumo del prodotto 2, l'impianto è destinato alla fabbricazione del prodotto 1:
(71)
38
Figura 22 – Andamento delle giacenze nella produzione di due lotti con medesime risorse
Qualora si verifichi:
(72)
la domanda dei due prodotti viene sempre soddisfatta e l'andamento della curva delle scorte in magazzino
si ripete identicamente in ogni ciclo produttivo, attingendo periodicamente agli stessi valori massimi
prefissati.
Ricordando la (69) si ha:
(73)
in modo tale che la relazione (72) può essere soddisfatta solo se:
∙
(74)
∙
Al riguardo è opportuno tuttavia osservare che, mentre il rapporto sotto il segno di radice dipende da fattori
strettamente correlati con le specifiche caratteristiche dell'impianto, l'altro rapporto appare essenzialmente
legato a parametri di mercato.
Se il valore di ciascun Qi è calcolato in base alla (41), la congruenza con i vincoli di risorse disponibili ed il
soddisfacimento della domanda, senza progressivi accumuli di scorte indesiderate, possono quindi essere
contemporaneamente assicurati solo nel caso in cui i parametri di produzione e quelli di mercato verifichino
la relazione (74).
Estendendo il ragionamento ora sviluppato al caso di N articoli differenti fabbricati con le stesse macchine e
le stesse attrezzature, la lunghezza TTC di ciascun ciclo produttivo, ossia l'intervallo di tempo che intercorre
tra il lancio di due successive commesse dello stesso prodotto i, risulta evidentemente uguale a:
39
(75)
Come già in precedenza si è affermato, la soluzione ideale di un problema di lavorazione a lotti di un impianto
con la produzione diversificata deve garantire la completa saturazione della produttività delle macchine,
nonché il soddisfacimento della domanda di ciascun prodotto senza che con ciò abbiano a verificarsi accumuli
di prodotti in magazzino.
Si può verificare che, come per N= 2, tali condizioni vengono rispettate solo nel caso in cui risulti:
... cost. (76)
in modo tale che, ricordando la (69):
2, 3, … , (77)
Avendo posto nel seguito per semplicità di scrittura:
2, 3, … , (78)
la (76) dimostra che la ripetitività del ciclo è garantita solo qualora l'entità Qi del lotto del generico prodotto
i verifichi l'uguaglianza:
∙ (79)
È importante sottolineare che la lavorazione a lotti di N articoli su uno stesso impianto, oltre al calcolo del
lotto di fabbricazione di ciascun articolo, impone anche la ricerca della sequenza ottimale di fabbricazione
degli N prodotti.
Quest'ultimo problema richiede tuttavia un'ulteriore analisi, non oggetto di questi paragrafi, funzione di
parametri diversi a seconda delle caratteristiche tecniche dei prodotti da realizzare, per cui si deve rimandare
necessariamente a testi dedicati all’approfondimento degli specifici beni o tecnologie.
Supponiamo quindi di aver già individuato la sequenza ottimale di lavorazione degli N prodotti, in modo tale
che per essi occorre determinare esclusivamente l'entità dei singoli lotti di fabbricazione.
2.1.5.1 Determinazione dei lotti di fabbricazione
La determinazione della dimensione più conveniente da attribuire al lotto di fabbricazione del generico
prodotto i richiede innanzitutto che venga fissato un criterio di valutazione delle soluzioni via via individuate.
Il criterio del minimo costo per unità fabbricata già impiegato per il calcolo del lotto economico in un impianto
monoprodotto, non può essere utilizzato in un impianto a produzione diversificata, risultando diverse tra
loro le unità dei singoli prodotti fabbricati. Non potendosi minimizzare il costo della singola unità fabbricata,
occorre quindi considerare il costo totale dell'intero ciclo per avere una nuova rappresentazione del costo
totale unitario:
40
∙ (80)
In cui:
∙ (81)
rappresenta il costo totale unitario per ciascuna unità di prodotto i fabbricata.
Ricordando la (79), la (80) può scriversi:
∙ (82)
in cui il termine:
∙ (83)
è riconducibile all’espressione di un costo totale unitario con riferimento il prodotto 1, per il quale è possibile
utilizzare il criterio di minimizzazione già illustrato:
∙ 0 (84)
Sostituendo nella (84) l'espressione di CTi fornita dalla (81) ed annullando la derivata prima rispetto a Q si
ottiene:
∑ ∑
∙ ∙ ∙ ∙ 0 (85)
da cui risulta:
° (86)
∑ ∙
in cui si è posto per semplicità:
(87)
Giova a questo punto sottolineare che tra l'entità del lotto del prodotto 1 calcolata mediante la (41), impianto
monoprodotto, e l'entità dello stesso lotto calcolata a mezzo della (86), impianto multiprodotto, intercorre
la relazione:
41
° ∗
∙ (88)
dove:
⁄
∑ ∙ ⁄ (89)
Determinata con la (86) la dimensione ottimale Q del lotto relativa al prodotto 1, l'entità Qi di ciascuno degli
altri lotti congruente con il vincolo (76) può essere immediatamente ricavata facendo ricorso alla relazione
(79).
2.1.5.2 Verifica di convenienza economica
La soluzione illustrata nel paragrafo precedente rappresenta la soluzione ottima del problema della
lavorazione a lotti solo nel caso in cui la fabbricazione del singolo prodotto possa essere considerata
un'attività indipendente da quella dei rimanenti articoli.
Invece la soluzione ora individuata, pur potendo risultare non ottima con riferimento al singolo prodotto
fabbricato, tuttavia è quella che meglio soddisfa i vincoli di ciclicità delle lavorazioni e di congruenza con le
risorse disponibili di cui occorre necessariamente tener conto in una produzione multipla discontinua.
Come si rivela assurdo considerare le lavorazioni di N prodotti su uno stesso impianto completamente
indipendenti tra loro, così appare senz'altro irrealistico ottimizzare il ciclo produttivo senza tener
opportunamente conto del corrispondente costo dei singoli prodotti fabbricati. Questi ultimi infatti devono
comunque essere lavorati in lotti di dimensioni tali da garantirne la competitività sul mercato.
La soluzione finale del problema deve quindi assicurare, oltre alla congruenza con i vincoli inerenti al ciclo
produttivo, un costo di ciascun prodotto non eccedente i limiti di tolleranza imposti dalle particolari
condizioni di mercato.
Evidentemente il costo totale CTi di ciascuna unità del prodotto i risulta minimo (CTi.= CTi*) non appena nella
(81) venga sostituito a Qi l'entità del lotto Qi* determinata con la (41).
Nel problema in oggetto il rispetto della condizione (76) impone però di calcolare Qi attraverso le relazioni
(79) e (86); in modo tale che ciascuna Qi° viene quasi inevitabilmente a discostarsi dal valore Qi* cui
corrisponde il costo minimo assoluto.
Per il generico prodotto i nota che sia l'entità Qi° del lotto di fabbricazione è subito possibile determinare con
la (49) il corrispondente incremento ci dei costi variabili.
Confrontando quest'ultimo con il limite massimo ci che l'azienda ritiene accettabile per il prodotto i, può
immediatamente stabilirsi se il lotto di fabbricazione Qi risulta o meno economicamente conveniente.
In quest'ultimo caso, determinati per mezzo delle (50) e (51) gli estremi Qi’ e Qi’’ dell'intervallo di variazione
accettabile, qualora risulti:
°
′ (90)
l'entità del lotto di fabbricazione viene incrementata finché non risulta più valida tale diseguaglianza.
Tale incremento viene in pratica realizzato cumulando in un'unica commessa la produzione di due o più cicli;
in modo tale che il prodotto i venga fabbricato solo in corrispondenza di taluni cicli produttivi. Questi ultimi
non risultano quindi tutti identici tra loro, ma deve necessariamente riscontrarsi l'esistenza di cicli lunghi, che
prevedono la lavorazione di tutti gli N prodotti, e cicli brevi, in cui vengono fabbricati solo particolari articoli.
Per contro, nel caso in cui risulti:
42
°
" (91)
per ridurre l'entità del lotto si rende indispensabile suddividere Qi in due o più sotto‐lotti ciascuno dei quali,
se compreso nell'intervallo (Qi’ ; Qi’’), viene fabbricato nel corso dello stesso ciclo produttivo.
Nelle considerazioni fin qui svolte si è implicitamente assunto che le risorse a disposizione risultino sufficienti
a soddisfare i fabbisogni produttivi calcolati.
Per ciascun prodotto i, determinata l'entità Qi di ciascun lotto a mezzo delle (79), (86), (90), (91), resta
univocamente individuato il tempo di produzione TPi ; in modo tale che è immediatamente calcolabile la
durata totale del ciclo produttivo:
(92)
Solo al verificarsi della condizione:
(93)
le risorse disponibili risultano sufficienti a soddisfare i fabbisogni stimati; in caso contrario si rende necessario
il reperimento di ulteriori mezzi di produzione ovvero una riduzione degli impegni commerciali assunti.
In definitiva la risoluzione di un problema di lavorazione a lotti di N prodotti su uno stesso impianto può
ritenersi articolata nelle fasi che seguono.
1) Scelta della sequenza ottimale di lavorazione degli N prodotti.
2) Calcolo dell'entità Q del lotto relativa al prodotto 1 mediante la (86).
3) Calcolo, per mezzo delle (41) e (79), dell'entità Qi° e Qi* del lotto relativa a ciascun prodotto i.
4) Verifica di congruenza con le risorse disponibili, utilizzando la disequazione (93).
5) Verifica di convenienza economica, mediante la (90) e la (91), di ogni lotto Qi°.
Esempio
Per comprendere l’applicazione degli elementi teorici finora presentati si propone un esempio tratto da un
contesto reale che illustra l’utilità delle formulazioni dei paragrafi precedenti.
Si consideri una cartiera che consente la fabbricazione su tre turni di lavoro di circa 2.200 quintali di carta al
giorno. La materia prima (cellulosa o sostanze surrogate di questa) è innanzitutto sottoposta (Figura 23) ad
una serie di operazioni chimico‐meccaniche intese ad ottenere una sospensione acquosa (1%) di libbre alla
quale vengono aggiunte dosi di cariche minerali ed additivi variabili da tipo a tipo di carta. Tale sospensione
(o pasta) viene quindi inviata alla macchina continua nella quale si opera la trasformazione della pasta in
carta sotto forma di nastri. Questi ultimi, preliminarmente avvolti in bobine, subiscono poi ulteriori
lavorazioni (rifilatura, taglio, allestimento, etc.) sulla base della domanda di ciascun prodotto pervenuta
all'azienda.
L'importanza delle operazioni che hanno luogo nel centro di lavoro costituito dalla macchina continua è
testimoniata dal fatto che ad essa è riconducibile la maggior parte dell’investimento di capitale dell’intero
impianto, pari a diversi milioni di euro, e fanno sì che questo rappresenti lo stadio assolutamente dominante
l'intero ciclo produttivo. In un processo di razionalizzazione inteso a migliorare il grado di utilizzazione degli
impianti appare dunque indispensabile ottimizzare innanzitutto le metodologie di lavoro della macchina
continua.
43
Figura 23 – Andamento delle giacenze nella produzione di due lotti con medesime risorse
Quest'ultima, nell'esempio in questione, è chiamata a produrre sedici tipi di prodotti diversi, che possono
essere suddivisi in tre categorie:
cartoncini per contenitori (6 grammature),
carta offset (7 grammature) utilizzabile per l’omologo processo di stampa;
carta kraft (3 grammature) tipicamente usata per le buste di carta resistente disponibili presso i
negozi.
La risoluzione del problema richiede come si è detto la preliminare determinazione della sequenza ottimale
di produzione dei sedici articoli. Tale determinazione è stata condotta prefiggendosi quale obiettivo la
minimizzazione dei costi totali di preparazione della macchina. Ad ogni variazione del tipo di carta fabbricata
può rendersi necessario un arresto della produzione al fine di consentire la pulizia delle condotte e dei feltri
della macchina. A tali oneri di fermata e pulizia dell'impianto occorre inoltre sommare quelli per lavorazione
fuori tolleranza. Il prodotto fabbricato durante i primi 10‐15 minuti di lavorazione presenta infatti gravi difetti
(lacerazioni, bolle, fori, ecc.) ovvero imperfezioni di colore, spessore o grammatura, che ne impediscono la
vendita. Il corrispondente danno può essere immediatamente intuito non appena si osservi che, in venti
minuti di lavorazione fuori tolleranza, una continua il cui nastro abbia una velocità di avanzamento di 350
m/min produce circa 7 km di carta.
Alla luce delle passate esperienze, si è ritenuto opportuno ordinare, le lavorazioni dei vari tipi di carta
secondo una successione, detta anche carosello, che prevede la fabbricazione di questi ultimi in ordine di
qualità decrescente e, a parità di questa, passando dai colori più chiari a quelli più scuri. Operando per tal via
si riesce infatti a limitare il numero di interruzioni per pulizia di una sola fermata al termine di ciascun
carosello. Per ridurre infine gli stridi di fuori tolleranza, qualora uno stesso tipo di carta debba essere
fabbricato in diverse grammature, converrà lavorare i corrispondenti lotti in una sequenza tale da rendere
minima la differenza di peso per unità di superficie esistente tra due lotti consecutivi.
44
In Tabella 1 appaiono riportati i parametri caratteristici del problema, mentre in Tabella 2 può rilevarsi la
successione ottimale delle lavorazioni stabilita in base alle considerazioni ora espresse.
Tabella 1 – Esempio: parametri caratterisitici dei prodotti della cartiera
Prodotto
Pi Di TSi CLi CUMi
Grammatura Codice [q/gg] [q/gg] [min] [€/ordine] [€/(q x gg)]
Tipo
[g/m2] i
260 1 1.800 302 30 173,20 0,034
240 2 1.800 51 30 173,20 0,034
Cartoncino
Tabella 2 – Esempio: sequenza ottimale di produzione
Sequenza ottimale di produzione
45
Tabella 3 – Esempio: voci di costo di lancio
Costo di messa a punto (10 minuti)
Manodopera diretta (3 operai): 12,5 €/h 6,25 €
Ammortamento macchina: 150 €/h 25 €
Costo per produzione fuori tolleranza (20 minuti)
Marcia a vuoto (ammortamenti, manodopera
71 €
diretta, energia motrice, etc.): 213 €/h
Perdita per prodotto fuori tolleranza (al netto del
268,25 €
valore di recupero): 10,3 €/q
COSTO DI LANCIO PER ORDINE 370,50 €
Per la determinazione dei costi unitari di immagazzinamento CUMi si considerano gli interessi passivi e gli
oneri fiscali che gravano su ogni quintale di carta, giunto a tale stadio del processo produttivo, nonché i costi
diretti di mantenimento costituiti dalle quote di ammortamento, degli edifici e dei mezzi di movimentazione,
e della retribuzione corrisposta alla manodopera direttamente o indirettamente impiegata.
Effettuata una stima dei parametri di costo del problema, l'entità Qi* del lotto relativa al generico prodotto
(Tabella 4) può essere risolto in base alla (41), svincolando la fabbricazione di quest'ultima da quella di tutti
gli altri articoli. Determinate tali quantità si è provveduto a calcolare le dimensioni Qi degli ordini di ciascuno
degli N = 16 prodotti congruenti con il vincolo (76).
Risultando:
2.900,90 €
nonché:
€
∙ 21,21
l'applicazione della (86) al prodotto i= 10 fornisce:
2.900,90
370
21,21
La determinazione dell'entità dei rimanenti lotti è stata quindi eseguita, per ogni i, sostituendo nella (79) il
valore Q = 370 q (cfr. Tabella 4). Per ognuno degli N prodotti sono poi stati calcolati i costi variabili CVi* e CVi
corrispondenti, rispettivamente ad un lotto di dimensione Qi* ovvero Qi. Nella penultima colonna di Tabella
4 appaiono inoltre riportati gli incrementi (Ci ‐ 1) di tali costi variabili relativi a ciascun prodotto i. Nell'ultima
colonna della tabella è stato infine segnalato il tempo necessario, per la (68), alla fabbricazione del generico
lotto Qi.
Da un esame di tali tempi, nonché di quelli TSi di Tabella 1, si può constatare che:
9,10
46
mentre il tempo di consumo, determinato in base alla (69) è dato da:
9,25
Pertanto risulta verificato il test (93) di congruenza con le risorse disponibili.
Accertata tale congruenza si può quindi sottoporre la soluzione individuata alla verifica di convenienza
economica.
Dalla Tabella 4 si può rilevare che per nove prodotti l'incremento dei costi variabili è superiore di oltre il 10%
al valore minimo assoluto. Per ovviare a tale inconveniente appare innanzitutto necessario raddoppiare, per
l prodotti 10, 11, 12, 14, e triplicare, per il prodotto 7, la dimensione di ciascun ordine.
Così operando si riesce infatti a ridurre l'incremento dei costi variabili relativi ai prodotti 7, 10, 11, 12, 14, allo
0,04%, 1,73%, 0,35%, 0,35%, 1,29% rispettivamente (cfr. Tabella 5).
Fermo restando il fabbisogno annuo di tali cinque tipi di carta, occorrerà dunque prevedere un ciclo
produttivo composto da caroselli diversi nei quali la lavorazione dei prodotti in oggetto avvenga
alternativamente. La riduzione dei costi ottenuti per i prodotti anzidetti mediante l'unificazione di due o più
ordini, non può essere parimenti conseguita per gli articoli 1, 3, 15, 16. Per questi ultimi infatti si renderebbe
necessario la suddivisione di ciascun lotto in più sotto‐lotti di minore entità da prodursi tutti nel corso dello
stesso carosello.
I vincoli tecnologici relativi allo specifico problema in esame impediscono pero che tale suddivisione possa
aver luogo, pertanto per tali prodotti occorrerà necessariamente tollerare gli incrementi di costi di Tabella 5.
In definitiva la produzione dei sedici tipi di carta diversa dovrà avvenire lanciando alternativamente caroselli
di tipo A e di tipo B secondo lo schema di Figura 24. Va osservato che nello schema è previsto l'inserimento
di un ordine del prodotto i =7 al termine di ogni tre caroselli. In tale applicazione dei criteri di produzione a
lotti illustrati si raggiunge un grado di saturazione delle risorse disponibili pari ad oltre il 97,2%, con un
aggravio medio dei costi variabili limitato al solo 3,94%.
47
Tabella 4 – Esempio: valutazione dei lotti economici
Tabella 5 – Esempio: caroselli risultanti
Carosello A Carosello B
i Qi [q] ci [%] i Qi [q] ci [%]
13 472 6,18 13 472 6,18
12 444 0,35 11 444 0,35
10 740 1,73 9 546 5,4
9 546 5,4 8 546 5,4
8 546 5,4 1 2794 15,11
1 2794 15,11 2 472 8,5
2 472 8,5 3 3081 17,85
3 3081 17,85 4 814 1,81
4 814 1,81 5 898 0,96
5 898 0,96 6 1804 3,96
6 1804 3,96 16 1998 18,38
16 1998 18,38 15 1961 17,64
15 1961 17,64 14 242 1,29
Figura 24 – Organizzazione dei lotti di produzione per la cartiera
48
2.2 BILANCIAMENTO DEL SISTEMA DI PRODUZIONE
Il dimensionamento dei lotti di produzione è il primo passaggio fondamentale per ridurre i costi di
fabbricazione e garantire i quantitativi di domanda richiesti dai clienti. Come visto, tale dimensionamento
presenta aspetti di maggiore complessità qualora il sistema produttivo consenta la realizzazione di un
insieme di beni tra loro differenti per i quali si vogliano sfruttare quanto più possibile le stesse risorse,
andando ad ammortizzarne i costi su quantitativi opportuni di prodotti.
Per realizzare le quantità definite in questa prima fase, ogni sistema di produzione prevede una serie ordinata
di stazioni di lavoro, ovvero un insieme organico di tutte le risorse necessarie per la realizzazione di una o più
operazioni, tra le quali si articolano sistemi di immagazzinamento e trasporto. La stazione di lavoro è quindi
un concetto puramente organizzativo, introdotto al fine di razionalizzare e sistematizzare la sequenza di
attività e permettere il bilanciamento dei sistemi di produzione. Il problema del bilanciamento si definisce
nella ricerca della soluzione organizzativa che permetta di ottenere il massimo coefficiente di saturazione
delle singole stazioni di lavoro nonché un ritmo di produzione costante all'impianto, minimizzando le scorte
di materie prime, semi‐lavorati e prodotti finiti necessari per soddisfare le richieste del cliente.
Nei sistemi che dedicano le risorse alla produzione di elevati quantitativi del medesimo prodotto o di una
gamma di prodotti poco differenziati, con cicli di produzione standardizzati in cui l’ordine e la durata delle
operazioni rimane invariata, il tema del bilanciamento delle linee di produzione può essere affrontato e
risolto subito a valle delle scelte progettuali impiantistiche, producendo soluzioni che rimangono stabili fino
all’introduzione di nuovi prodotti o a modifiche nelle operazioni. Al contrario, nei sistemi destinati alla
realizzazione di prodotti altamente differenziati, la progettazione del ciclo produttivo e le successive scelte
di bilanciamento sono parte integrante e continua della gestione dei processi di produzione, per rispondere
alle richieste di personalizzazione da parte del cliente.
Il bilanciamento di un sistema di produzione, ossia la suddivisione del lavoro tra le varie stazioni che lo
compongono, avviene facendo ricorso a criteri differenti a seconda che si tratti di una sistema a bassa o alta
differenziazione di prodotto. Infatti mentre nel primo caso è ancora possibile una trattazione analitica, nel
secondo caso lo studio del problema si presenta talmente complesso da rendere indispensabile il ricorso a
metodologie di calcolo euristiche o a modelli di simulazione. Alla luce di tali considerazioni, in questa sede si
introdurranno dapprima tutti i parametri caratteristici delle linee di produzione monoprodotto e
successivamente si presenteranno alcune metodologie risolutive dei principali problemi di bilanciamento
come rappresentative dei casi più generali:
‐ aggregazione delle operazioni in stazioni di lavoro;
‐ definizione del numero di magazzini interoperazionali da inserire tra le stazioni di lavoro;
‐ definizione dell’entità delle scorte interoperazionali.
Lo studio di bilanciamento parte quindi da un insieme non ordinato di elementi (operazioni elementari
richieste per realizzare il prodotto finito) per ottenerne un’aggregazione in gruppi (stazioni di lavoro) di cui
gestire le asincronie e gli inconvenienti plausibili (inattività, ritardi, guasti e interruzioni di produzione)
imponendo dei “cuscinetti” in quantità e dimensioni opportune (magazzini interoperazionali).
2.2.1 Aggregazione delle operazioni in stazioni
Al fine di realizzare il bilanciamento di una linea monoprodotto è indispensabile poter disporre dei seguenti
parametri caratteristici del problema:
tempo di ciclo del prodotto;
natura e sequenza delle operazioni da compiere, in particolare il tempo di esecuzione di ciascun
elemento minimo di lavoro.
49
Il tempo di ciclo TCL del prodotto viene quindi definito come l'intervallo di tempo che ciascuna unità di tale
prodotto trascorre all'interno di una singola stazione di lavoro in condizioni standard. Pertanto avendo
indicato con TP la durata totale del tempo di produzione inteso come il tempo di apertura dell’impianto e
con Q* il lotto di produzione da fabbricare, risulta:
/ ∗ 1⁄ (94)
Nel caso di una linea che preveda un sistema di trasporto continuo, risulterà quindi:
(95)
in cui DT e v rappresentano rispettivamente la distanza tra due unità consecutive sul nastro trasportatore e
la velocità di avanzamento di quest'ultimo. In altre parole il TCL rappresenta il reale ritmo di fabbricazione
del sistema, che è a sua volta sia un obiettivo della produzione (ad esempio imposto per la soddisfazione
della domanda) sia un parametro modificato dalle scelte di configurazione della linea.
Con il termine elementi minimi di lavoro si intendono abitualmente le fasi di lavoro elementari, non
ulteriormente scomponibili in maniera vantaggiosa, necessarie per la realizzazione del prodotto finito. Viene
quindi definito tempo di esecuzione TPi del generico elemento minimo di lavoro i il tempo necessario a
compiere le tali operazioni. L'insieme di tutti gli n elementi minimi di lavoro, necessari a completare il
prodotto in esame, costituisce il contenuto di lavoro totale da ripartire tra le M stazioni in cui sarà suddivisa
la linea; il tempo necessario ad eseguire gli n elementi minimi di lavoro è detto tempo totale di lavoro o
tempo a valore aggiunto Tva.
Raccolti i parametri caratteristici del problema, è possibile definire il tempo di operazione (tempo di lavoro
di una stazione o tempo fase) il tempo TOPj necessario ad eseguire tutti gli nj elementi minimi di lavoro
attribuiti a una generica stazione di lavoro j (j = 1,2, .... ,M), calcolabile come:
(96)
In particolare, il tempo TOPj deve soddisfare per ogni stazione il seguente vincolo di congruenza con il TCL:
(97)
Il tempo TOPj può quindi variare in maniera anche sensibile da stazione a stazione e, qualora il tempo di ciclo
risulti maggiore del tempo fase relativo alla stazione j, per questa ultima viene a configurarsi un tempo di
inattività:
(98)
La somma dei tempi morti corrispondenti ad una particolare suddivisione degli n elementi di lavoro tra le M
stazioni costituisce il "tempo di inattività" o "ritardo di bilanciamento" (balance delay) dell'intera linea:
(99)
50
Viene quindi definito "coefficiente di inattività" della linea il rapporto:
(100)
tra il tempo di inattività ed il tempo di ciclo TCL.
2.2.1.1 Criterio di Salveson
Il bilanciamento di una linea di lavorazione consiste dunque nella ricerca dei valori più opportuni da attribuire
a ciascuno dei tempi fase TOPj e del numero M di stazioni in cui conviene suddividere la linea; in altri termini
occorre individuare la ripartizione degli n elementi minimi di lavoro tra le M stazioni facenti parte della linea
che rende ottimo il valore di un prefissato indice di valutazione.
A tal fine si minimizza il tempo totale di inattività BD, ovvero del coefficiente di inattività:
∑ ∙ ∑ ∑ ∑
(101)
Risultando il rapporto al secondo membro della (101) costante per un dato problema, la minimizzazione del
coefficiente di inattività può essere realizzata solo attraverso la minimizzazione del parametro M.
Qualora tra gli n elementi minimi di lavoro non sussista alcun vincolo di precedenza, il bilanciamento ottimale
della linea può essere ottenuto ricercando una partizione dell'insieme TPi in sottoinsiemi ciascuno dei quali
verifichi le condizioni (97) ed il cui numero M renda minimo il valore di i della (101). Il problema, di natura
evidentemente combinatoria, è risolto da Salveson individuando per successivi tentativi il più piccolo valore
di M che soddisfa tali esigenze.
Il numero minimo di stazioni in cui è possibile suddividere la linea deve essere almeno uguale all’intero
superiore:
∑ ∑
1 (102)
Inoltre, si può indicare con M" il numero di elementi minimi di lavoro per i quali risulta:
/2 (103)
La condizione (103) scaturisce dalla semplice considerazione che se esistono M” elementi minimi che
superano la metà del TCL, essi non possono essere accorpati nella stessa stazione, in cui il TOPj supererebbe
il vincolo (97). Da questa considerazione discende che le stazioni risultanti devono essere almeno pari a M”:
, ′′ (104)
Esempio
Con i dati della tabella seguente ed avendo fissato:
1.00
Tabella 6 – Esempio: tempi delle operazioni
i 1 2 3 4 5 6 TOT.
51
TPi 0.50 1.00 0.20 0.85 0.80 0.10 3.45
Tabella 7 – Esempio: soluzioni possibili
Soluzione Stazione Elemento di lavoro Tempo fase Tempo inattività
A 1 1 0.50 0.50
2 2 1.00 ‐
3 3‐5 1.00 ‐
4 4‐6 0.95 0.05
0.55
B 1 1 0.50 0.50
2 2 1.00 ‐
3 3 0.20 0.80
4 4 0.85 0.15
5 5‐6 0.90 0.10
1.55
il criterio di Salveson induce a calcolare:
∑
3.45 4
3
4
e suggerisce, tra le altre, le soluzioni A e B presentate nella tabella precedente. Il bilanciamento ottimale della
linea è dunque realizzato suddividendo la linea di M = 4 stazioni, a ciascuna delle quali vengono assegnati gli
elementi di lavoro in base alla soluzione A.
Il criterio di Salveson presenta notevoli inconvenienti inerenti alla procedura di calcolo nonché alle ipotesi
introdotte. Infatti, il ricorso al criterio in oggetto, richiedendo l'enumerazione e la valutazione di tutte le
partizioni di TPi congruenti con i vincoli della (97), si rivela sempre meno vantaggioso al crescere del valore
di n. In aggiunta a tale considerazione è opportuno sottolineare che le soluzioni individuate per mezzo del
criterio di Salveson possono non risultare congruenti nel caso in cui siano previsti vincoli tecnologici nel
problema che impongano il rispetto di una sequenza nell’esecuzione delle lavorazioni. Pertanto, qualora gli
elementi di lavoro della tabella dell’esempio precedente debbano necessariamente essere eseguiti nella
successione (1,2,3,4,5,6), la soluzione B, non ottimale in base al metodo di Salveson, risulta l’unica possibile.
2.2.1.2 Criterio di Elmaghraby
Sebbene talune operazioni previste nel ciclo di lavoro di un prodotto possano essere eseguite
indipendentemente da tutte le altre, la maggior parte degli elementi di lavoro presenta una precisa
correlazione di sequenza che vincola l'inizio di un'operazione al completamento di quella ad essa logicamente
precedente. Tali interrelazioni di natura tecnologica possono essere rappresentate attraverso le
schematizzazioni caratteristiche dei sistemi PERT, costruendo una matrice delle precedenze P, il cui generico
elemento p(h,k) rappresenti l'esistenza (p(h,k) = 1) di un vincolo di precedenza tra l'operazione h e k ovvero
la completa indipendenza (p(h,k) =0) tra l'esecuzione dei due elementi di lavoro. La formulazione del
problema di bilanciamento di una linea viene a modificarsi. Una volta assegnati:
52
il tempo di ciclo TCL del prodotto;
l'insieme degli elementi di lavoro che devono essere eseguiti;
le relazioni di precedenza esistenti tra gli elementi di lavoro;
l'insieme TPi dei tempi di produzione degli elementi di lavoro;
l’obiettivo è ricercare il numero minimo di partizioni di tali elementi in stazioni atte a verificare i vincoli di
precedenza forniti dalla matrice P e dalle M diseguaglianze della (97). Con riferimento a questa formulazione
del problema, risultano senz'altro disponibili numerosi criteri di risoluzione, tutti basati sull'impiego della
programmazione lineare a numeri interi. Il problema così formulato equivale infatti a quello della ricerca del
percorso più breve di un grafo in cui ciascun nodo rappresenti una stazione di lavoro e la lunghezza del singolo
arco risulti proporzionale al tempo di inattività (TCL‐TOPj) della stazione stessa. Il ricorso alla programmazione
lineare, ancorché teoricamente vantaggioso, rivela prevedibili inconvenienti relativi alla mole di calcoli da
svolgere che aumenta in maniera esponenziale con l’aumento dei TPi, limitandone l'impiego al bilanciamento
di linee non eccessivamente complesse.
Alla luce di tali considerazioni appare dunque giustificato l'interesse crescente attribuito all'utilizzo di criteri
euristici per la risoluzione di problemi di tale natura. Tra questi si ritiene opportuno segnalare quello proposto
da Elmaghraby come particolarmente adatto al bilanciamento di linee di produzione semplici.
Individuata la matrice delle precedenze corrispondente alle n operazioni in esame, tale criterio richiede
innanzitutto il calcolo, per ogni operazione i, del coefficiente di posizione KPi, somma del tempo di esecuzione
TPi relativo all'operazione i‐esima nonché del tempo di esecuzione TPk di ciascun elemento di lavoro
successivo nel reticolo all'operazione i.
Gli n elementi del vettore KP= { KP1, KP2, ..... ,KPn} possono essere agevolmente determinati moltiplicando a
destra la matrice P', ottenuta sommando alla P la matrice identica In di grado n‐esimo, per il vettore TP dei
tempi di esecuzione, ossia:
(105)
Questo ultimo vettore viene poi riordinato nel senso delle KPi decrescenti; pertanto, avendo indicato con h
l'operazione cui compete la posizione h‐ma del vettore ordinato , per ciascuna coppia di elemento di tale
vettore risulta:
∀ (106)
In caso di stesso valore di KPi, il loro ordine risulta indifferente. L'assegnazione delle operazioni alle stazioni
di lavoro si articola quindi nelle fasi che seguono:
1) Alla prima stazione (j = 1) viene assegnata l'operazione corrispondente al primo elemento
KP1 del vettore ordinato KP.
2) Si calcola poi il tempo residuo per tale stazione j:
(107)
3) L'operazione corrispondente al secondo elemento KP2 viene anch'essa assegnata alla
stazione j se e solo se risultano contemporaneamente verificate le due condizioni:
i. TP2 ≤ TRj
ii. tutte le operazioni immediatamente precedenti a quella in oggetto sono state già
assegnate ad una stazione g, con g ≤ j.
53
Qualora tali condizioni non appaiono entrambe soddisfatte il tentativo viene ripetuto
esaminando nell'ordine le operazioni corrispondenti agli elementi KP3, KP4,... , KPn, nel
rispetto dei vincoli tecnologici.
4) Nel caso nessuna di tali operazioni verifichi le condizioni i. e ii., la procedura viene ripetuta
dall'inizio, introducendo una nuova stazione (j + 1).
L'iterazione ha termine non appena siano state assegnate tutte le n operazioni inerenti al problema.
Esempio
Si consideri l'insieme di n = 9 operazioni elencate in
Tabella 9 tra le quali sussistano i vincoli di precedenza indicati, rappresentati graficamente nel reticolo di
Figura 25. In esso ciascun nodo rappresenta un elemento di lavoro e l'esistenza di un vincolo di sequenza tra
due operazioni h e k è evidenziata mediante un arco (orientato da sinistra verso destra) che collega tale
coppia di operazioni. Con i dati ora introdotti la matrice P delle precedenze si riporta nella Tabella 10. A
questo punto è possibile determinare, con la Tabella 11, il vettore KP dei coefficienti di posizione ed il
corrispondente vettore ordinato (cfr. Tabella 12). Ripetendo le fasi di calcolo in precedenza illustrato, è
agevole pervenire alla soluzione ottimale del problema in oggetto. In Tabella 13 è illustrato lo sviluppo
numerico della procedura che, ipotizzando un TCL=12, induce a calcolare M = 4 stazioni nonché determina la
ripartizione ottimale che segue.
Tabella 8 – Esempio: ripartizione ottimale
Stazione Operazioni
j=1 (1, 2, 3)
j=2 (4, 6)
j=3 (5, 7, 9)
j=4 (8)
Tabella 9 – Esempio: precedenze in forma tabellata
i 1 2 3 4 5 6 7 8 9
TP(i) 5 3 4 6 5 3 4 5 3
Elemento
‐ 1 1 2 3 2 3 4, 6 5, 6, 7
precedente
Elemento
2,3 4,6 5,7 8 9 8,9 9 ‐ ‐
successivo
54
4
8
2
6
1
5
9
3
7
Figura 25 – Esempio: precedenze in forma grafica
Tabella 10 – Esempio: precedenze in forma matriciale
k
1 2 3 4 5 6 7 8 9
h
1 1 1 1 1 1 1 1 1
2 1 1 1 1
3 1 1 1
4 1
5 1
6 1 1
7 1
8
9
Tabella 11 – Esempio: calcolo del vettore dei coefficienti di posizione
1 1 1 1 1 1 1 1 1 5 38
1 1 1 1 1 3 20
1 1 1 1 4 16
1 1 6 11
1 1 X 5 = 8
1 1 1 3 11
1 1 4 7
1 5 5
1 3 3
Tabella 12 – Esempio: coefficienti di posizione
h 1 2 3 4 5 6 7 8 9
i 1 2 3 4 6 5 7 8 9
38 20 16 11 11 8 7 5 3
Elemento
‐ 1 1 2 2 3 3 4, 6 5, 6, 7
precedente
55
Tabella 13 – Esempio: soluzione del problema
Coefficiente Elem. Tempo Tempo Tempo
Stazione Operaz.
posizione Preced. prod. cumulato residuo
1 1 38 ‐ 5 5 7
2 20 1 3 8 4
3 16 1 4 12 0
2 4 11 2 6 6 6
6 11 2 3 9 3
3 5 8 3 5 5 7
7 7 3 4 9 3
9 3 5, 6, 7 3 12 0
4 8 5 4, 6 5 5 7
2.2.2 Giacenze interoperazionali
Il bilanciamento delle linee di produzione risponde, come si è visto, all’esigenza di ripartire il contenuto totale
di lavoro relativo a un prodotto in maniera da assicurare contemporaneamente il massimo livello di impiego
e un'alimentazione continua e uniforme di ciascuna delle M stazioni in cui è suddivisa la linea. La risoluzione
di tale problema, pur rispettando le cadenze previste dal programma di fabbricazione, presenta ulteriori
aspetti da valutare:
‐ la possibilità, per ogni singola stazione, di utilizzare la potenzialità non sfruttata durante il tempo di
inattività;
‐ le avarie che possono insorgere sulle differenti macchine che costituiscono le stazioni, dove arresti
locali possono ripercuotersi anche gravemente sull'intero flusso di produzione.
Per trattare entrambe le evenienze, si rivela particolarmente efficacie l’introduzione di magazzini
interoperazionali predisposti tra le diverse stazioni di lavoro.
Questi magazzini svolgono la funzione di accogliere i semilavorati che, non potendo essere accolti dalla
stazione successiva, bloccherebbero altrimenti la produzione. In questa maniera si riesce a produrre anche
durante il tempo di inattività generato dal processo di bilanciamento (che così diventa un tempo di
produzione). Parimenti, agendo in maniera differenziata sui tempi di produzione delle singole stazioni è
possibile riempire i magazzini interoperazionali anche a valle delle stazioni più lente, facendole lavorare per
un tempo maggiore delle altre. In questa maniera è possibile evitare l’inattività per mancanza di
alimentazione.
Nel caso più generale, i semilavorati in giacenza tra due stazioni consecutive j e j+1 sulla linea rispondono
quindi alle esigenze di:
‐ permettere una scorta operativa (WIP) che bilanci le diversità di ritmo, assicurando l’alimentazione
delle varie stazioni a valle ed evitando il blocco delle stazioni a monte per l’impossibilità di accoglierne
i semilavorati;
‐ disporre di una scorta di sicurezza atta ad ottemperare al fabbisogno della linea in caso di guasto
della macchina a monte della scorta stessa.
Una volta definito il piano di fabbricazione, il livello di scorta operativa relativo ad ogni stadio del processo è
quindi determinabile in base alla conoscenza dei ritmi standard di impiego e delle potenzialità specifiche delle
stazioni; per contro il dimensionamento della scorta di sicurezza deve essere evidentemente correlato alla
probabilità di guasto della generica macchina.
56
2.2.3 Numero di magazzini intermedi
Il problema del dimensionamento ottimale delle scorte interoperazionali per una linea di produzione richiede
innanzitutto la preliminare determinazione del numero di magazzini intermedi da costituire, nonché la scelta
della localizzazione più opportuna di tali depositi lungo la linea. A tal fine Vladzyevsky propone un criterio
basato sull'ottimizzazione del coefficiente di rendimento dell'impianto.
Come si è visto, il tempo di inattività di una linea attribuibile al bilanciamento delle M stazioni è dato da:
(108)
il corrispondente coefficiente di inattività è quindi pari a:
(109)
in cui:
(110)
indica il rapporto tra il tempo di inattività TIj della stazione j ed il tempo di ciclo TCL del prodotto.
Nella determinazione del coefficiente di rendimento (impiego tecnico) della linea occorre tuttavia portare in
conto anche i tempi di inattività imputabili ad occasionali avarie insorgenti nelle macchine. Pertanto, al
coefficiente di inattività (109) conviene sostituire un parametro l per misurare anche l'entità di tali tempi
morti. Con le ipotesi e la simbologia adottata il rendimento della linea è quindi dato da:
1
(111)
1
Qualora tra le M stazioni che compongono l'impianto non venga introdotto alcun magazzino intermedio, il
coefficiente I della linea assume il valore:
̅ (112)
dove Ij rappresenta il coefficiente di inattività relativo alla stazione j.
L'introduzione di un deposito di scorte interoperazionali tra le stazioni della linea riduce gli effetti negativi
dovuti ad un'occasionale avaria delle macchine situate a monte del deposito stesso. Nell'ipotesi che la linea
venga suddivisa in due settori S1 e S2 per mezzo di un magazzino semilavorati intermedio (cfr. Figura 26), il
coefficiente l assume l'espressione:
(113)
57
da cui I1 ed I2 si sono indicati rispettivamente il coefficiente totale di inattività del primo e del secondo settore
in cui è stato suddiviso l'impianto mentre δ1 I1 rappresenta l'aliquota di I1 trasferita ad S2 per la presenza di
una scorta interoperazionale. In altri termini la presenza di un magazzino intermedio, consentendo di limitare
le conseguenze di un eventuale arresto delle macchine appartenenti ad S1, fa sì che solo una frazione δ1 del
tempo di inattività relativo a tale settore si trasferisca a quello successivo. Si può notare come il valore di δ1
(0 ≤ δ1 ≤ 1) risulta strettamente dipendente dall'entità delle scorte presenti nel magazzino intermedio. In
particolare al crescere di queste ultime si riduce il valore di δ1 pertanto, per un livello di scorte
interoperazionali opportunamente elevato (al limite infinito), il settore S2 risulta completamente
indipendente (δ1 = 0) dai guasti verificatisi nel settore S1.
Figura 26 – Magazzino interoperazionale per la riduzione dell’inattività
Estendendo il ragionamento ad una linea suddivisa in MG settori distinti, nonché assumendo:
1, … , 1 (114)
si giunge a scrivere:
⋯ (115)
Qualora tali settori risultino caratterizzati da un identico coefficiente di inattività, ossia:
̅
(116)
La formulazione di I si riduce a:
̅
1 ⋯ (117)
che, per δ sufficientemente piccolo, si può trasformare nella:
̅
1 (118)
L'introduzione di (MG‐1) magazzini interoperazionali dà però luogo ad un incremento dei tempi di
trasferimento del prodotto da un settore a un altro. Avendo indicato con IM il rapporto tra il tempo di
movimentazione relativo a ciascun deposito, tempo ipotizzato uguale per tutti gli (MG ‐ 1) trasferimenti, ed
il tempo di ciclo TCL, il coefficiente di inattività globale della linea risulta in definitiva uguale a:
̅
1 1 (119)
58
pertanto il rendimento della linea è dato da:
1
̅ (120)
1 1 1
Il numero ottimo di settori in cui è conveniente suddividere la linea è ottenibile massimizzando il rendimento
della linea, ovvero minimizzando il denominatore di . Tale valore è facilmente ottenibile ponendo 0
e risulta quindi pari a:
̅
∗
1 (121)
̅
Al crescere del rapporto conviene dunque suddividere la linea nel maggior numero di settori possibili
giungendo, al limite, a costituire un deposito di semilavorati a monte di ciascuna stazione di lavoro.
2.2.4 Entità delle scorte interoperazionali operative (WIP)
Con il temine Work In Process (WIP) si intende la quantità di materiali, presenti nel processo, in attesa di
subire le successive lavorazioni. Lo studio del WIP, ovvero delle code che si generano nelle stazioni operative,
risulta fondamentale in termini di bilanciamento in quanto il WIP influenza sia la garanzia di alimentazione
delle stazioni stesse sia una modifica dei tempi di attraversamento della linea.
Consideriamo una linea caratterizzata dall’assenza di variabilità dei tempi di lavorazione, in cui tutte le
stazioni determinate dal processo di bilanciamento vengono comunque sfruttate al massimo della loro
produttività. Identificando il collo di bottiglia di potenzialità e un tempo a valore aggiunto pari a
∑ , si può definire il Work In Process critico ‐ WIPc come quel valore del WIP per il quale detta linea
produce con il ritmo più alto, , e con il tempo di attraversamento pari al valore più basso possibile, ovvero
.
Il calcolo del WIP in un impianto può essere effettuato per via grafica con l’aiuto del diagramma di
attraversamento, detto anche diagramma di throughput. Esso permette di effettuare, oltre alla stima del
WIP, anche il calcolo del tempo di attraversamento e della potenzialità sulla base di dati reali. Il diagramma
si basa sulla rappresentazione delle cumulate del contenuto di lavoro degli ordini (CdL) in funzione del tempo
di produzione. Nel grafico sono rappresentate due cumulate: quella delle ore di lavoro in ingresso
all’impianto produttivo (richieste di lavoro) e quella delle ore di lavoro in uscita (ore standard di lavorazione
completate). Un esempio di diagramma di attraversamento è riportato in Figura 27.
59
Figura 27 – Diagramma di attraversamento
Tramite il diagramma di attraversamento si può visualizzare sia il tempo di attraversamento, dato dalla
distanza orizzontale tra le cumulate, sia il WIP, coincidente con la distanza verticale tra le due curve (vedi
Figura 28).
Figura 28 – Andamento del Work in Process
Inoltre, la potenzialità media in ingresso o in uscita, espressa in ore di lavoro standard nell’unità di tempo,
coincide con la pendenza della retta ottenuta congiungendo i punti estremi della cumulata in ingresso oppure
di quella in uscita. Infatti si ha come visibile in Figura 29.
60
Figura 29 – Potenzialità nel diagramma di attraversamento
Analizzando il diagramma di attraversamento si possono avere indicazioni utili sulla capacità di una macchina,
di una stazione o di una linea di sopportare un certo carico di lavoro in ingresso. In Figura 30 sono visibili due
esempi di interpretazione del diagramma.
Figura 30 – Interpretazione del diagramma di attraversamento
Nel diagramma di sinistra, si nota come la ridotta fornitura dei materiali, a causa di una qualche inefficienza
esterna, porti alla macchina meno materiale di quanto ne potrebbe elaborare. Si vede, infatti, come il WIP
vada ad annullarsi (condizione ipotetica, in realtà il valore minimo del WIP è un pezzo e il minimo tempo di
attraversamento è il tempo a valore aggiunto). Nella parte destra del grafico, invece, è osservabile un guasto
che ha allungato i tempi di attraversamento, ma il ritardo accumulato è stato poi riassorbito bene dalla
stazione, dimostrandone, forse, un sottoimpiego.
2.2.4.1 La legge di Little e le curve logistiche operative
La potenzialità produttiva P, come detto, indica numero di pezzi realizzati nell’unità di tempo da una
macchina, mentre il tempo di attraversamento TA specifica il tempo necessario perché un pezzo sia elaborato
dalla macchina.
61
Non è vero, però, che le due grandezze siano ottenibili l’una dall’altra semplicemente invertendole.
Consideriamo, per esemplificare, una stazione in cui la macchina abbia una potenzialità di 2 pezzi al minuto
(vedi Figura 31). L’impianto viene alimentato con un pezzo, non appena termina la lavorazione precedente,
non essendo soggetto a rallentamenti per causa di code in ingresso o in uscita.
Figura 31 – Potenzialità produttiva e tempo di attraversamento di una macchina
In questo caso, il tempo di attraversamento può legittimamente essere valutato con il reciproco della
potenzialità produttiva. Infatti risulta:
1
30
In effetti, per giungere a tale considerazione, si è supposto implicitamente che il polmone di
disaccoppiamento a monte abbia sempre almeno un pezzo disponibile per la macchina (non sia mai nelle
cosiddette condizioni di starving) e che il polmone a valle abbia sempre almeno uno spazio libero (non sia
mai nelle cosiddette condizioni di blocking).
Consideriamo ora un caso più complesso, ovvero una macchina inserita in una linea produttiva, come
illustrato in Figura 32. La macchina ha la possibilità di accogliere in ingresso due semilavorati in un proprio
polmone di disaccoppiamento, lasciandoli attendere in coda.
A regime, la linea presenta i buffer delle stazioni riempiti da semilavorati secondo quanto riportato in figura.
La linea procede con un ritmo produttivo 2 , ossia con un tempo di ciclo 30”.
Figura 32 – Potenzialità produttiva e tempo di attraversamento in una linea
Volendo ora calcolare il tempo di attraversamento della macchina, compreso il suo polmone in ingresso,
avremo:
1
30" 30" 90"
Quindi, la presenza dei buffer interoperazionali, e cioè di WIP, fa aumentare la durata del tempo di
attraversamento.
Un legame più generale tra TA e P è stato dimostrato nel 1961 da John D. C. Little che, studiando la teoria
delle code, giunse all’enunciato seguente: “il numero medio di clienti in un sistema (in un certo intervallo)
è uguale al tasso medio di arrivo moltiplicato per il tempo medio nel sistema ”.
62
Questa legge, detta appunto legge di Little, è utilizzata nella progettazione e nella gestione degli impianti
industriali, per stabilire, in un sistema produttivo, il valore di TA, P e per valutare il valore del WIP in
lavorazione durante il tempo di attraversamento.
In effetti, se nella legge si sostituisce L con WIP, con P e W con TA, si ottiene la formulazione della legge di
Little nota in impiantistica:
∙ (122)
Si tratta di un’equazione in tre incognite: per ogni valore di WIP ci sono infinite combinazioni di P e TA
plausibili. Per studiare il fenomeno, Hopp e Spearman propongono l’analisi delle cosiddette curve logistiche
operative, un modello matematico che lega TA, WIP e P, impiegate come supporto decisionale. Le curve sono
costruibili con approccio empirico e la loro realizzazione è soggetta al problema del difficile reperimento dei
dati per cui se ne possono usare anche forme semplificate. Si tratta di curve teoriche di riferimento, utili da
conoscere per avere un quadro sulle modalità di andamento della produzione. In fase di progettazione ci
permettono di prevedere le prestazioni di un sistema e di individuare le quantità di semilavorati necessari
per raggiungere i valori di progetto. La curve logistico operative sono tre curve teoriche: una rappresenta un
caso ideale, una circoscrive il caso peggiore e la terza descrive un caso intermedio caratterizzato dalla
massima casualità.
In particolare, i casi di seguito analizzati sono tutti caratterizzati dalla presenza di un numero di semilavorati
costante. Per avere costante WIP in tutta la linea si può adottare una particolare versione del più generico
metodo kanban, così nominato dalla parola giapponese 看板 che significa cartellino. Sul kanban è indica la
quantità e la tipologia del materiale usato per una lavorazione in una macchina ed è applicato su un
contenitore che, una volta vuotato, viene rifornito. In questo modo si controlla il flusso in arrivo alla macchina
in tempo reale, tramite il mantenere limitato il numero di cartellini e, quindi, di contenitori. Si evitano così
gli eccessi di semilavorati ed i costi derivanti. Generalmente, il metodo del cartellino è applicato ad una
singola macchina ed è tipico della produzione Just in Time.
Se il kanban non è applicato alla singola macchina operatrice ma all’intera linea, si ottiene una linea di tipo
CONstant WIP ‐ CONWIP, in cui ad ogni pezzo viene agganciato un cartellino che lo segue per tutta la
produzione. Al termine della produzione il cartellino torna all’inizio della linea per essere agganciato ad un
altro pezzo. Solo pezzi con cartellino possono entrare in linea di produzione, quindi il numero di semilavorati
coincide con quello di cartellini disponibili. Uno schema di conwip confrontato al kanban è visibile in Figura
33.
Figura 33 – Confronto tra kanban e conwip
63
Caso migliore
Il primo caso da studiare è la migliore configurazione di produzione. Consideriamo una linea perfettamente
bilanciata con una macchina per stazione. La linea è costituita da 4 stazioni ed il tempo di lavorazione
2 è uguale per tutte le macchine. Non c’è variabilità dei tempi e la produzione è di tipo conwip per avere
un numero di semilavorati costante.
Tutte le stazioni sono collo di bottiglia, avendo la stessa potenzialità 0,5 , dove il pedice b sta per
bottleneck. Seguiamo un pezzo durante la lavorazione, come indicato nello schema di Figura 34.
Il tempo a valore aggiunto della linea è 8 h , avendo 4 stazioni che lavorano per 2 ore su ciascun pezzo.
In questo caso si ha 1 pz , 8 h , .
Figura 34 – Caso migliore
Aumentiamo il numero di pezzi in linea, aggiungendo via via dei cartellini. Si ottengono, a regime, le
prestazioni riassunte in Figura 35.
Figura 35 – Caso migliore con WIP crescente
Si osserva come, con WIP inferiore a 4, la potenzialità sia minore di quella massima raggiungibile, pari a quella
del collo di bottiglia 0,5 , mentre il tempo di attraversamento sia il minimo possibile 8 h ,
64
coincidendo con il . Quando, poi, il WIP oltrepassa 4, il tempo di attraversamento comincia a crescere per
la presenza di elementi in coda alla prima stazione.
Il WIP che massimizza la produttività della linea, senza allungare il tempo di attraversamento della linea, è 4
ed è il cosiddetto WIP critico ‐ WIPC. In corrispondenza di tale valore, si ha la massima efficienza delle scorte
di processo circolanti. Per la legge di Little vale:
∙ ∙ (123)
Quindi, in una linea bilanciata, il WIPC corrisponde al numero di macchine presenti (vedi Figura 36).
Figura 36 – Leggi del caso migliore
Riassumendo i risultati raggiunti nel miglior caso, abbiamo le seguenti leggi del caso migliore. Per il TA in
funzione del valore di WIP(w) vale:
se
(124)
se
La P per un dato WIP è data dalla relazione:
se
(125)
se
L’utilità della relazione risiede nel fatto che, se l’impianto si comporta secondo le leggi del miglior caso, è
sufficiente conoscere uno dei tre parametri di Little (WIP, P e TA) per dedurre gli altri due, avendo due
equazioni in tre incognite.
Ad esempio, se un impianto ha WIP=6, solo con la legge di Little non è possibile conoscere il tempo di
attraversamento. Se, però, aggiungiamo l’informazione che l’impianto è configurato secondo il modello del
caso migliore, ossia è perfettamente bilanciato e con una macchina per stazione (definizione di caso migliore),
possiamo applicare le relazioni trovate.
Nel caso appena mostrato in esempio, con 0,5 e 8 h otteniamo:
6 12 h e 6 0,5
,
65
Caso peggiore
Modifichiamo il modo di funzionamento dell’impianto precedente, introducendo degli elementi peggiorativi,
come i lotti di produzione. Supponiamo, infatti di avere un lotto di 2 pezzi pari al valore di conwip ammesso:
ogni stazione lavora tutti e due i pezzi del lotto e poi rilascia il lotto che, solo allora, si muove verso la stazione
successiva. Inoltre, supponiamo che il lotto sia composto da pezzi che richiedono tempi diversi di
lavorazione: un pezzo viene lavorato molto lentamente e gli altri velocemente. Il valore limite dei tempi è 4
ore per il pezzo più lento e 0 ore per l’altro. Questo caso può verificarsi in funzione di vincoli tecnologici (serie
completa di lavorazioni da completare prima di poter accedere nuovamente alla linea), organizzativi (linea
multiprodotto, in cui deve essere limitato e contenuto il numero di prodotti differenti contemporaneamente
presenti sulla linea) o di risorse (impossibilità di ripartire le risorse umane o di produzione su differenti
stazioni).
Rispetto al caso migliore visto precedentemente, si mantiene inalterata la potenzialità di stazione che risulta
0,5 .
Anche il tempo a valore aggiunto medio è lo stesso, infatti ciascuna stazione lavora per 4 ore su 2 pezzi, quindi
ogni pezzo mediamente riceve 2 ore di tempo a valore aggiunto. Essendo 4 le stazioni, si ha:
h
4 stazioni ∙ 2 8h
stazione
Il tempo di attraversamento è:
h
4 stazioni ∙ 4 16 h ∙
stazione
La potenzialità produttiva della linea è:
2 1 1
0,125
16 8
Aumentiamo ora il WIP considerando dei lotti di 4 pezzi, pur mantenendo inalterata la potenzialità media ed
il tempo a valore aggiunto medio di ogni stazione. Supponiamo, quindi di avere un lotto di 4 pezzi in cui il
tempo di processamento è tutto concentrato sul primo pezzo e vale 8 ore per il pezzo più lento e 0 ore per
gli altri. Si mantiene ancora inalterata la potenzialità di stazione che risulta la medesima:
0,5 .
Il tempo a valore aggiunto medio è inalterato, perché ogni stazione lavora per 8 ore su 4 pezzi: ogni pezzo
mediamente riceve 2 ore di tempo a valore aggiunto in ogni stazione. Si ha:
h
4 stazioni ∙ 2 8h
stazione
Il tempo di attraversamento ora è valutabile così:
h
4 stazioni ∙ 8 32 h ∙
stazione
66
La potenzialità produttiva della linea rimane inalterata:
4 1 1
0,125
32 8
La Figura 37 riassume le due situazioni ora descritte.
Figura 37 – Caso peggiore con WIP crescente
L’andamento del tempo di attraversamento e l’andamento della produttività al crescere del WIP (w) è visibile
in Figura 38.
Figura 38 – Leggi del caso peggiore
Nel caso peggiore i tempi di lavorazione dei pezzi appartenenti ad un medesimo lotto sono tra loro variabili,
anche se non si è introdotto alcun elemento di casualità, rimanendo così nel campo deterministico.
Riassumendo i risultati del caso ora analizzato, si possono scrivere le leggi del caso peggiore. Per il TA in
funzione del valore di WIP si ha:
∙ (126)
La P per un dato w è data dalla seguente relazione:
1
(127)
Caso di massima casualità
Il caso migliore ed il peggiore sono due casi estremi: nel primo si individuavano le condizioni di massima
efficienza, mentre nel secondo si sono adottate soluzioni penalizzanti per la produttività. Il terzo caso
67
rappresenta una via di mezzo tra i due in precedenza descritti ed è detto caso di massima casualità. È spesso
indicato come il caso pratico peggiore che si possa ammettere, a differenza del caso peggiore che, invece,
rappresenta un limite teorico e non concreto.
Consideriamo una linea bilanciata, con una macchina per stazione e tempi di lavorazione uguali ma casuali,
appartenenti ad una distribuzione di tipo esponenziale con parametro . Supponiamo, infine, che tutti gli
stati siano equiprobabili, ovvero che il WIP possa essere distribuito indifferentemente in qualsiasi stazione
delle linea.
Spieghiamo meglio cosa implichino le ipotesi fatte sull’equiprobabilità degli stati e sull’appartenenza dei
tempi ad una distribuzione esponenziale.
L’ipotesi di equiprobabilità degli stati significa che, osservando in un qualsiasi istante la linea, il WIP può
essere distribuito tra le stazioni in modo casuale, senza preferenza per alcuna combinazione. Se, ad esempio,
consideriamo quattro stazioni e 3, potremmo, in un generico istante, avere una qualsiasi delle 20
distribuzioni di WIP nelle stazioni indicate in Tabella 14:
Tabella 14 – Stati equiprobabili di distribuzione del WIP in una linea con 4 stazioni e 3 pezzi in lavorazione
Stato Vettore Stato Vettore
1 (3,0,0,0) 11 (1,0,2,0)
2 (0,3,0,0) 12 (0,1,2,0)
3 (0,0,3,0) 13 (0,0,2,1)
4 (0,0,0,3) 14 (1,0,0,2)
5 (2,1,0,0) 15 (0,1,0,2)
6 (2,0,1,0) 16 (0,0,1,2)
7 (2,0,0,1) 17 (1,1,1,0)
8 (1,2,0,0) 18 (1,1,0,1)
9 (0,2,1,0) 19 (1,0,1,1)
10 (0,2,0,1) 20 (0,1,1,1)
L’appartenenza dei tempi di completamento della lavorazione ad una distribuzione esponenziale implica che
essi godano delle proprietà della distribuzione esponenziale con tasso di completamento . In particolare, la
probabilità che il tempo di completamento ̅ di una lavorazione, non ancora terminata al tempo , cada entro
il successivo intervallo , vale:
̅ ∙
̅ | ̅ ∙ (128)
̅ ∙ ∙
Come già noto, si osserva che questa probabilità non dipende dal tempo di lavorazione già trascorso ,
essendo la distribuzione esponenziale senza memoria.
Tornando alla linea produttiva, supponiamo che essa sia costituita da M macchine, con tempi di lavorazione
uguali casuali . Il TVA è dato dal prodotto del tempo di ciclo per il numero di stazioni, mentre la potenzialità
di ciascuna macchina coincide con quella del collo di bottiglia:
1
∙ ; (129)
Quando un pezzo arriva alla prima stazione, si aspetta che gli altri pezzi, che sono in numero pari a 1,
siano equamente distribuiti sulla linea, dato che vale l’ipotesi di equiprobabilità degli stati. Perciò, il numero
atteso di pezzi nella prima stazione è . Siccome il tempo di lavorazione di un pezzo vale TCL, la durata
dell’attesa prima della lavorazione è calcolabile come ∙ .
68
In effetti quanto scritto è vero perché il tempo di lavorazione del pezzo che è lavorato in stazione al momento
dell’arrivo del nuovo pezzo, non dipende dall’istante in cui quest’ultimo si affaccia alla stazione. Infatti, vale
l’ipotesi di distribuzione memoryless, per cui il tempo trascorso prima dell’arrivo non ha importanza. Anche
il tempo di lavorazione del pezzo che si trova in macchina al momento dell’arrivo vale, perciò, TCL, al pari del
tempo dei pezzi in coda.
Aggiungendo al tempo di attesa il tempo di lavorazione, otteniamo il tempo di attraversamento della stazione
come:
1
∙ (130)
Essendoci M stazioni, il tempo di attraversamento della linea è, perciò, dato dalla relazione:
1
à ∙ 1 (131)
La potenzialità produttiva si ottiene conseguentemente con la legge di Little:
∙
à
1 1 1 (132)
L’andamento del tempo di attraversamento e della produttività al crescere del WIP (w) è visibile in Figura 39.
Figura 39 – Leggi del caso di massima probabilità
Riassumendo i risultati del caso di massima casualità abbiamo le seguenti leggi del caso di massima casualità.
Il TA in funzione del valore di WIP è:
1
à (133)
La P per un dato w è data dalla seguente relazione:
à (134)
1
Grazie alle tre coppie di curve logistico operative individuate, è possibile definire due aree nei diagrammi,
separate dalla curva logistico operativa del caso di massima casualità. Le superficie comprese tra la curva di
massima casualità e la curva del caso migliore, sono le aree positive, mentre gli spazi vicine alle curve del
caso peggiore sono le aree negative, come illustrato in Figura 40.
69
Figura 40 – Definizione delle aree positive e negative
Le curve individuate sono un utile riferimento per analizzare le prestazioni di un sistema produttivo e valutare
la necessità di interventi migliorativi. L’esempio che segue mostra un’applicazione pratica delle curve
logistico operative per valutare le prestazioni di un impianto industriale.
Esempio
La Gagghi Anchia è un’azienda che produce schede stampate per computer. Il layout è in linea e si hanno tre
turni lavorativi per un totale di 24 ore al giorno. Di questo tempo, però, solo 19,5 ore sono effettivamente
produttive.
Le prestazioni misurate recentemente indicano una capacità produttiva giornaliera pari a 1400 schede al
giorno un numero in lavorazione, code comprese, di 47600 schede ed un tempo di attraversamento di 34
giorni.
Le fasi del processo, con le relative potenzialità e tempi di attraversamento, sono riportate nella tabella
seguente.
Fase del processo h
Laminazione 191,5 4,7
Lavorazione 186,2 0,5
Circuitazione interna 114,0 3,6
Prova ottica e riparazione 150,5 1,0
Laminazione 158,7 2,0
Circuitazione esterna 159,9 4,3
Prova ottica e riparazione 150,5 1,0
Foratura 185,9 10,2
Collegamenti di rame 136,4 1,0
Protezione in plastica 117,3 4,1
Ritaglio 126,5 1,1
Test finale 169,5 0,5
La metodologia da applicare è, dunque, quella delle curve logistico operative, partendo dal calcolo di tutti i
parametri necessari al disegno delle tre curve di riferimento.
Iniziamo calcolando la potenzialità a partire dalla capacità produttiva:
1400
71,8
19,5
Anche il tempo di attraversamento può essere espresso in ore:
70
34 ∙ 19,5 663 h
Analizzando le potenzialità indicate in tabella, si nota come la più bassa sia quella della fase di circuitazione
interna, con 114,0 .
Sommando i tempi di attraversamento delle singole fasi si ottiene il tempo a valore aggiunto 34 h .
Calcoliamo il WIP critico:
∙ 114,0 ∙ 34 h 3876 pezzi
Il valore del WIP calcolato con la legge di Little è pari a:
∙ 71,8 ∙ 663 h 47603 pezzi
Questo valore è molto prossimo a quello riscontrato in azienda (47600) indicando una coerenza dei dati
rilevati. Quando si applica la legge di Little, si deve ricordare che bisogna considerare valori di produzione
medi rispetto ad un periodo di misurazione consistente e non brevi periodi.
Dai dati ottenuti, otteniamo che il rapporto tra il ed il è:
47600 pezzi
12,8
3876 pezzi
Questo, di per sé, non significa che la linea funzioni male, sebbene sia una indicazione di scarsa efficienza.
Per essere più precisi, bisogna controllare che la P sia prossima alla Pb. Calcoliamo la P del caso di massima
casualità con gli stessi valori di WIP e Pb.
∙ 47600 ∙ 114
à 105,4
1 3876 47600 1
Calcoliamo ora anche il rapporto tra la produttività reale e quella appena trovata:
71,8
68%
à 105,4
Si vede, dunque, che anche la potenzialità produttiva è molto ridotta rispetto a quella che potrebbe
realisticamente essere. Per quantificare le dimensioni dell’eccesso di WIP, si può anche verificare quale sia il
valore di work in process che sarebbe necessario nel caso di massima casualità per raggiungere la medesima
produttività:
∙ 71,8
. 71,8 → 3876 1 → 6424
1 114
e, quindi, il rapporto tra i valori del WIP è:
47603 pezzi
7,4
à 6424 pezzi
71
indicando che il livello di WIP impiegato è ben maggiore di quello del caso di massima casualità. Possiamo
così affermare che anche la quantità di materiale in circolazione sita troppo elevata. Il grafico seguente
sintetizza i risultati dell’analisi.
Concludendo, si può dire che l’impianto opera nell’area negativa del diagramma e che presenta una quantità
di WIP troppo elevata, circa 7,4 volte quella che sarebbe necessaria nel caso di massima casualità. La
potenzialità produttiva è anch’essa ridotta rispetto al valore di massima casualità. L’impianto, dunque, ha
ampi margini di miglioramento che sollecitano uno studio più accurato della cause di inefficienza.
2.2.4.2 Impianto non bilanciato e multimacchina
Come abbiamo visto nell’esempio precedente, le curve logistico operative, secondo le leggi del caso migliore,
peggiore e più casuale, possono essere usate come paragone per localizzare lo stato di funzionamento di un
impianto produttivo all’interno di un contesto di riferimento.
La curva logistico operativa di un generico impianto coincide con una delle curve teoriche viste solo se esso
rientra nelle ipotesi che caratterizzano ciascuna delle tre configurazioni studiate. Difficilmente, però, la prassi
progettuale presenterà situazioni così definite e circoscritte. Nei casi non rientranti nelle ipotesi precedenti,
comunque, è possibile costruire la curva della produttività e del tempo di attraversamento in funzione del
valore del WIP, in modo analitico oppure tramite strumenti di tipo simulativo.
Analizziamo un esempio di impianto non rientrante nelle caratteristiche precedentemente viste, costituito
da una linea non bilanciata con 4 stazioni e 11 macchine (vedi Figura 41). Sono, dunque, cadute le ipotesi di
avere una sola macchina per stazione e del bilanciamento perfetto della linea.
Figura 41 – Impianto di produzione non bilanciato e multimacchina
Come si vede, il tempo di lavorazione è diverso per ogni stazione e varia da 2 a 10 ore.
72
La potenzialità di ogni stazione è stata calcolata con il rapporto tra i pezzi prodotti ed il numero di ore
richieste. Ad esempio, per la stazione A si ha: 0,5 , mentre per la stazione C vale
0,6 .
Come si può notare, la stazione B è il collo di bottiglia della linea, avendo una potenzialità minore di tutte le
altre stazioni.
2 pz
0,4
5h
Si può osservare che la stazione critica non sia né quella con il numero minore di macchine né, tantomeno,
quella con tempo di lavorazione maggiore.
Il tempo a valore aggiunto, somma dei tempi di lavorazione, vale: 20 h e, quindi, il WIP critico è il
seguente:
pz
∙ 0,4 ∙ 20 h 8 pz
h
È immediato osservare che, essendo la linea non bilanciata, il WIPC sia minore del numero di macchine
presenti in linea. Inoltre, se il WIPC non fosse intero significherebbe che non esiste alcun numero di pezzi che
possa garantire il ritmo più alto (corrispondente a ) con il lead time minimo, ovvero il .
Per disegnare le curve logistico operative, si deve ricorrere a strumenti analitici, studiando singolarmente la
modellazione della produzione, oppure si rappresenta la linea all’interno di un contesto modellistico di tipo
simulativo, ottenendo la potenzialità ed il tempo di attraversamento in funzione del WIP.
Adottando quest’ultimo approccio e supponendo i tempi di lavorazione appartenenti ad una distribuzione
casuale di tipo esponenziale, si può ottener il diagramma di Figura 42.
Figura 42 – Curva logistico operativa di un impianto non bilanciato e multimacchina
73
2.2.4.3 Incremento delle prestazioni
Il collo di bottiglia di una linea è un elemento importante perché ne definisce la potenzialità produttiva
massima . Dal punto di vista operativo, incrementare la potenzialità del collo di bottiglia modifica le curve
logistico operative, come visibile in Figura 43 in cui è rappresentata una linea di quattro macchine in
altrettante stazioni, con tempi di lavorazione differenti pari a 10 e 15 minuti.
Figura 43 – Incremento della potenzialità del collo di bottiglia
Se si incrementa la potenzialità del collo di bottiglia equiparandola alle altre, si innalza conseguentemente la
curva logistico operativa della potenzialità. Cambiano anche le curve di riferimento, poiché si migliora la .
La potenzialità della linea, perciò, aumenta senza modificare il livello di WIP.
Volendo migliorare una linea, perciò, è sempre preferibile intervenire sul collo di bottiglia, ma spesso esso
può essere potenziato solo facendo investimenti ingenti, ad esempio comprando una nuova macchina da
mettere in parallelo a quella esistente. Se, per ipotesi, in un’azienda di produzione di manufatti in vetro il
collo di bottiglia è il forno a crogiolo, l’unica modalità di potenziarne la produttività è quella di acquisirne uno
nuovo da aggiungere alla produzione o, addirittura, di sostituirlo con un modello di maggiore potenzialità.
Per incrementare le prestazioni di una linea, pur non variando la è utile aumentare le potenzialità delle
stazioni non collo di bottiglia, come illustrato in Figura 44.
Figura 44 – Incremento della potenzialità delle stazioni non collo di bottiglia
74
L’effetto dell’incremento delle altre potenzialità consiste nella riduzione del tempo a valore aggiunto, il quale
modifica, facendolo diminuire, il WIP critico.
La curva logistico operativa della configurazione produttiva, si appiattisce verso l’alto e, a parità di WIP, si
riscontra un incremento della produttività dell’impianto. Per piccoli valori di WIP l’incremento di prestazioni
è maggiore rispetto al caso precedente, mentre per grandi volumi di semilavorati, questa soluzione non è
preferibile.
2.2.5 Entità delle scorte interoperazionali di sicurezza
Tornando al caso semplice della linea di Figura 26, suddivisa in due settori da un magazzino interoperazionale,
la produzione media del settore S1 e quella del settore S2 devono evidentemente garantire il fabbisogno D
del prodotto da esse fabbricato. La produzione realmente operata da S2 dipende però dall'entità delle scorte
interoperazionali esistenti tra S1 e S2. Il settore S1 è infatti inevitabilmente soggetta a guasti imprevisti la cui
durata ha una densità di probabilità g(τ), nota per ipotesi.
L'intervallo di tempo che mediamente intercorre tra due guasti nel settore S1 è anch'esso per ipotesi valutato
pari a μ. Qualora tra S1 e S2 non vengano costituite scorte di semilavorati, ad ogni fermata di S1 corrisponde
necessariamente un'interruzione nella produzione di S2.
Evidentemente, al crescere dell'entità Q delle giacenze interoperazionali diminuisce sempre più
l'asservimento di S2 a S1 fino al raggiungimento della completa indipendenza. Il problema è dunque quello
della ricerca del valore ottimale da attribuire a Q, tenendo opportunamente conto dei costi di
immagazzinamento dei semilavorati e di quelli di interruzione del lavoro.
Nel caso in cui la durata di ciascun guasto possa ritenersi sensibilmente inferiore all'intervallo di tempo che
intercorre tra due arresti successivi, il livello medio di giacenza di semilavorati risulta proprio uguale a Q unità.
Il costo di immagazzinamento per unità di tempo è dunque pari a (CUM)*(Q) in cui CUM indica, al solito, il
costo unitario di immagazzinamento.
Con le assunzioni fin qui adottate, il settore S2 resta inattivo solo se la durata del guasto del settore S1 supera
il tempo di consumo Q/d della scorta interoperazionale. Avendo indicato con CA il costo di fermata per unità
di tempo del settore S2, il valore atteso di tale costo è:
∙ (135)
Poiché avvengono in media 1/μ guasti in ciascuna unità di tempo, il costo totale CT risulta pari a:
∙ ∙ (136)
Il valore ottimo di Q si ottiene dunque imponendo:
1
0 ∙ ∙ 1 (137)
dove G(τ) rappresenta la distribuzione cumulata di g(τ). Avendo indicato con ̅ la funzione inversa di G (τ)
ossia quella particolare funzione per la quale risulta:
̅ (138)
75
si ottiene:
∙ ∙
∙ ̅ 1
(139)
Naturalmente questa relazione è definita solo per:
∙ ∙
1 (140)
in caso contrario ̅ non è definita e Q = 0.
In quest'ultima evenienza risulta:
∙ (141)
ossia il costo di un'unità di tempo persa in corrispondenza di ciascuna fermata è minore del costo di
immagazzinamento di d unità per un intervallo di tempo.
Esempio
Si assuma che la probabilità di guasto g(τ) nel settore S1 sia distribuita secondo una legge esponenziale
negativa:
con durata media di ciascun guasto 1⁄ = 0,5 giorni.
In tal caso, essendo:
2
risulta:
2 1
Considerando che l’inversa della funzione G per la distribuzione esponenziale negativa, assume l’espressione:
1 2 1
ln 1 ln
1
supponendo i seguenti valori:
µ = 24 gg
CUM = 0,05 €/unità∙gg
CA = 49 €/gg
d = 40 unità/gg
si ottiene:
76
∙ ∙ 0,05 ∙ 40 ∙ 24
1 1 0,026
49
Inserendo tale valore nell’espressione precedente si ricava:
0,5 ln 0,974 1,825
da cui:
Q = 40 ∙ 1,825 = 73 unità
Per calcolare il livello di confidenza relativo al funzionamento senza interruzioni del settore S2 si parte dal
valore calcolato nell’esempio per Q = 73 unità e dal tempo di consumo di tale scorta, pari a Q/d = 1,825 giorni.
Il generico guasto che si manifesta nel settore S1 ha una probabilità di durata τ > 1,825 pari a:
1 ‐ G (1,825) = 0,026
Quindi per Q = 73 unità la probabilità che il settore S2 si fermi in conseguenza di un guasto occorso al settore
S1 è inferiore al 2,6%.
La formulazione inversa del problema consiste nel determinare il valore di Q che garantisce un livello di
confidenza del settore S2 almeno pari a 0,974. Quest'ultima formulazione del problema risulta ovviamente
più generale della prima; com'è facile verificare esistono infatti differenti valori di CUM, µ, CA che forniscono
lo stesso valore di Q. Basterà al riguardo rilevare che la terna di valori µ = 50, CUM = 0,02, CA = 41, al pari di
qualunque altra terna per la quale (40) µ (CUM) = (0,974) (CA), individua lo stesso valore Q = 73 e lo stesso
livello di confidenza.
Figura 45 ‐ Il processo di pianificazione e programmazione della produzione
Figura 46 ‐ Il processo di Resource Requirements Planning
Figura 47 ‐ Capacità attuale e pianificata
80
3.3. MASTER PRODUCTION SCHEDULE
Il Master Production Schedule (MPS) segue il Production Plan e definisce ciò che l'azienda intende produrre
in termini di specifici beni, quantità, date di consegna, configurazioni e caratteristiche di ordine. Il MPS integra
i dati del Production Plan con elementi ulteriori quali le tempistiche e gli ordini arretrati (backlog), in accordo
con le scelte strategiche d'impresa e dei relativi obiettivi di business. L'intervallo temporale interessato
dipende dal tipo di prodotto, dai volumi e dai lead time di produzione e approvvigionamento: non ha quindi
particolare senso definire un orizzonte tipico poiché, nei reali contesti industriali, si trovano MPS che coprono
poche settimane così come più di un anno.
Il MPS può così essere considerato lo strumento che bilancia domanda e offerta (vedi Figura 48). La domanda
rappresenta la necessità di un particolare prodotto o componente e può provenire da diverse fonti: gli ordini
dei clienti, le richieste di ricambi, la gestione dei rischi di produzione e di approvvigionamento, le previsioni,
etc.. Una volta determinata, la domanda deve essere abbinata in maniera puntuale a un ordine MPS in una
delle seguenti categorie:
1. Ordini finiti: ordini approvati e già stati realizzati dalla produzione;
2. Ordini pianificati: ordini approvati ma non ancora realizzati dalla produzione;
3. Ordini attesi: ordini non ancora approvati che devono essere comunque inseriti (ad es. perché
ragionevolmente certi, a frequenza costante o con impossibilità di realizzazione successiva).
Figura 48 ‐ Obiettivi di bilanciamento del Master Production Schedule
Il programma di ordini risultante deve bilanciare esattamente la domanda in quanto il successivo livello di
pianificazione (MRP) gestisce in maniera integrata tutte le informazioni relative alla produzione e
all’ordinazione dei soli quantitativi programmati, in termini di impegni di risorse interne ed esterne. Non
saranno quindi attivati processi se non a fronte di richieste di MPS.
Il MPS identifica e comunica le informazioni relative alle necessità di risorse ai livelli opportuni all'interno
dell'azienda, come ad esempio alle diverse sedi, alle differenti funzioni, ai reparti produttivi, permettendo di
rispondere alle richieste in maniera adeguata. Il risultato è una pianificazione frutto dell'attività congiunta
dei responsabili della produzione e della funzione commerciale per controllare le prestazioni correnti rispetto
alle vendite pianificate e al Production Plan. I risultati di questa analisi vengono inseriti nel MPS per essere
formalmente revisionati ed eventualmente inseriti nei sistemi di gestione, informatizzati o no, per la
conseguente diffusione nell'organizzazione. I principali obiettivi che l'azienda ottiene sono i seguenti:
riportare i piani aggregati a livello di singolo elemento prodotto o acquistato, tenendo conto delle
tempistiche di produzione e dei lead time di approvvigionamento. Il Production Plan, funzionale alle
scelte strategiche, deve infatti essere declinato in dettaglio in funzione degli ordini stimati o
effettivamente pervenuti. Il livello a cui si giunge è quello di prodotto specifico in intervallo temporale
specifico;
valutare e scegliere soluzioni alternative di pianificazione, con sistemi informativi dedicati, modelli di
simulazione o spesso tramite un vero e proprio approccio trial and error;
81
definire i requisiti in termini di capacità e materiali, come input fondamentali per l'attività di verifica
delle stesse (Rough Cut Planning);
supportare il coordinamento delle attività svolte da funzioni diverse, come l'area commerciale, la
gestione del personale, la produzione, grazie allo scambio di informazioni armonizzate;
creare le condizioni per garantire elevati livelli di utilizzazione delle risorse.
In questo scenario, è bene richiamare tre differenti approcci alla gestione della produzione:
‐ make‐to‐order: l'azienda produce solo a fronte di un ordine acquisito dal cliente, pertanto il prodotto
è generalmente costituito da una combinazione di parti e materiali standard ed altri progettati o
acquisiti ad hoc per la specifica commessa;
‐ assemble‐to‐order: esistono assiemi e componenti che possono essere lavorati e assemblati
differentemente per soddisfare le diverse richieste del cliente;
‐ make‐to‐stock: prevede che l'azienda realizzi dei prodotti finiti standard pronti alla vendita.
Dove il processo di produzione è standard, l'MPS non è presente o è ridotto alla semplice allocazione degli
intervalli temporali sul Production Plan; quando non è possibile configurare una programmazione standard
diviene invece necessario pianificare di volta in volta i carichi e le attività così da poterle poi realizzare
coerentemente a quanto richiesto, allineando gli ordini di approvvigionamento e produzione con gli ordini
dei clienti.
83
Figura 49 ‐ Il processo di Rough Cut Capacity Planning
Il Rough Cut Material Planning è un processo approssimativo di stima delle richieste di materiale che utilizza
una distinta base semplificata, con l'obiettivo di focalizzare l'attenzione su quei beni di difficile
approvvigionamento o che coinvolgono un fornitore chiave, per cui è opportuno realizzare per tempo una
stima dei bisogni. Solitamente, le organizzazioni verificano e confermano anche servizi approvvigionati al pari
dei materiali, come ad esempio processi esternalizzati (logistica, prototipazione, etc.). Questi elementi
ricadono solitamente sotto la responsabilità di figure aziendali esterne alla produzione e pertanto il RCMP
deve andare a coinvolgere un gruppo ampio di manager.
84
Figura 50 ‐ Esempio di utilizzo del RCCP per la conferma del MPS
Figura 51 ‐ Input e output del Master Requirements Planning
La Figura 52 illustra il processo che il Master Requirements Planning svolge per calcolare i volumi di risorse
richieste, tramite un esempio di prodotto. Il MPS è esploso, utilizzando la distinta base, per identificare tutte
le necessità di assiemi, sotto‐assiemi e parti per la realizzazione dei quantitativi definiti, in relazione alle
giacenze disponibili. In base a questo studio sono generati gli ordini di materiali (acquisto o produzione) per
tutti gli elementi in distinta base, in funzione dei tempi necessari per renderli disponibili. Il dettaglio della
pianificazione si spinge fino all’ultimo livello di materie prime e componenti.
Figura 52 ‐ Esempio della realizzazione del MRP
86
3.6. CAPACITY REQUIREMENTS PLANNING
Una volta realizzato il MRP e ottenuta una pianificazione degli ordini, si esegue un’ulteriore verifica della
capacità disponibile delle risorse tramite il Capacity Requirements Planning (CRP). In aggiunta rispetto al
MRP, il CRP prende in considerazione lo stato degli ordini in corso e lo stato delle risorse, acquisendo
informazioni puntuali direttamente dalla produzione. Il CRP fornisce una previsione di carico (loading) di
ciascuna risorsa così da permettere alla pianificazione della produzione di gestire gli impegni e risolvere
eventuali criticità. In questo stadio sono identificate tutte le situazioni di incoerenza tra la richiesta e la
disponibilità reale che, nonostante le numerose fasi di verifica della capacità già effettuate, possono
ugualmente verificarsi nel momento in cui si scende nella complessità data dalla condivisione delle risorse,
con sequenze di processo, set‐up e tempi di esecuzione variabili a seconda dei diversi ordini.
Il risultato di tale fase è un diagramma di carico (load profile) in cui si assegnano gli ordini alle singole risorse,
siano esse interne o esterne all’azienda. Un esempio di verifica di carico è riportata in Figura 53 in cui, oltre
ad una rappresentazione grafica dell'impegno della risorsa, è presente il dettaglio del numero di pezzi da
realizzare, il periodo di lavoro e la sua origine, per capire a quale ordine possono essere ricondotte le richiesta
di impegno.
Figura 53 ‐ Il processo di Capacity Requirements Planning
L’ammontare di tutte le risorse disponibili presso ciascun centro di lavoro è abitualmente definito capacità
lavorativa totale del centro; tale capacità risulta evidentemente limitata in qualsiasi intervallo finito di tempo.
Tale capacità è progressivamente allocata agli ordini che devono essere realizzati sul centro di lavoro: la
differenza tra la capacità lavorativa totale del centro e quella già impegnata costituisce la capacità residua
nel periodo di tempo considerato. Nel caso in cui la capacità residua di una risorsa risulti nulla pur avendo
87
necessità di assegnare ancora alcuni ordini, è necessario valutare l’opportunità di modificare l’ordine dei
carichi previsti e determinare delle priorità di esecuzione in funzione dell’impatto che eventuali ritardi
potrebbero generare.
In questa fase uno strumento particolarmente utile è la tabella dei carichi macchina (Tabella 15). Stabilito, in
base ai dati storici, il numero medio di ore settimanali durante il quale ogni macchina appartenente al centro
di lavoro considerato rimane inattiva (a causa di guasti occasionali o di interventi di manutenzione
programmata) è possibile calcolare la capacità effettiva di lavoro inerente a ciascuna risorsa. Per ogni
intervallo di pianificazione, le operazioni richieste dai diversi lotti vengono attribuite alle singole macchine.
La tabella carico macchina viene aggiornata periodicamente, sulla base degli aggiornamenti del MRP, in modo
che sia sempre disponibile il valore di capacità residua per ogni periodo.
Tabella 15 ‐ Tabella carico macchina
Codice macchina
M01 M02 M03 M04
Capacità teorica (ore/settimana) 80 80 40 80
Inattività media per guasti
1.5 2.3 1.0 0.7
(ore/settimana)
Inattività media per manutenzione
2.5 3.7 2.0 1.3
programmata (ore/settimana)
Capacità effettiva 76 74 37 78
Codice ordine Fabbisogno ore‐macchina
740 20 0 0 10
642 0 20 10 0
87A 15 0 20 0
22A3 0 10 0 15
821 35 0 7 0
741 0 10 0 30
Fabbisogno totale 70 40 37 55
Capacità residua 6 34 0 23
3.7. SCHEDULING
Lo Scheduling è la fase di programmazione operativa degli impianti che ha l’obiettivo di tradurre gli ordini,
determinati in sede di pianificazione, in decisioni esecutive. La programmazione si inserisce a valle delle
attività di pianificazione con lo scopo di tradurre le richieste di prodotti, già allocati in periodi stabiliti sulle
risorse disponibili, in operazioni da effettuare in determinati momenti sulle macchine o centri di lavoro. In
questa fase vengono fissati univocamente la sequenza delle operazioni e gli istanti di tempo, iniziali e finali,
in cui dovranno essere eseguite. Dato il limitato orizzonte temporale cui fa riferimento (ad es. da 1 a 4
settimane), lo scheduling è considerato immodificabile e non è prevista la possibilità di alcuna variazione sia
nelle risorse disponibili sia negli ordini programmati, a meno di situazioni eccezionali.
L’importanza che assume lo scheduling può essere rilevata considerando i seguenti aspetti:
gli ordini generalmente si presentano alla produzione in maniera discontinua. L’impiego delle
macchine, delle attrezzature e della manodopera deve invece risultare il più continuo possibile;
88
gran parte delle risorse appaiono allocate e disponibili in quantità limitate, sicché il lancio di uno
specifico ordine preclude la possibilità di eseguirne contemporaneamente un altro;
la disponibilità effettiva di macchine e di manodopera varia continuamente ed imprevedibilmente
per il verificarsi di eventi stimabili ma non programmabili come guasti, scioperi, ritardi di fornitura,
etc.;
ordini già emessi possono venire cancellati, ridotti o incrementati in corrispondenza di improvvise
variazioni della domanda.
Un efficace scheduling avrà quindi come obiettivi il rispetto delle date di consegna, la massimizzazione
dell’utilizzazione delle risorse, la riduzione dei livelli di scorta, la riduzione del lavoro straordinario e la
diminuzione del livello di inadempienza degli ordini, considerando in input alle operazioni da svolgere
(chiamate genericamente job), le seguenti informazioni:
cosa e quanto produrre;
entro quando produrre (due‐date);
secondo quali possibili sequenze (routing);
con quali risorse (ad esempio, macchinari).
Il processo di scheduling risulta differenziabile in base alla tipologia di sistema in analisi, in funzione del
numero e della tipologia delle macchine (e delle risorse necessarie al loro funzionamento) attraverso le quali
si realizzano i diversi processi produttivi. Partendo dal sistema più semplice ed arrivando a quello più
complesso, si possono presentare le seguenti configurazioni:
macchina singola;
macchine parallele;
open shop: ciclo di produzione a sequenze libere;
flow shop: ciclo di produzione a sequenze definite;
job shop: ciclo di produzione a sequenze differenti da lavoro a lavoro.
Macchina singola
Lo scheduling per macchina singola comprende tutti i casi in cui la lavorazione di un ordine si esaurisce su
un’effettiva unica risorsa o in cui un insieme di macchine, per vincoli tecnologici, può essere di fatto
considerato assimilabile a una macchina singola (ad esempio nelle produzioni per processo come nelle
acciaierie, cementifici, cartiere, raffinerie, etc.). In questi processi, il ciclo di produzione e le sue
caratteristiche sono determinati e vincolati a livello di progettazione dell’impianto così che la
programmazione di un qualsiasi stadio definisce automaticamente quella di tutti gli altri. Essendo quindi
fissata la sequenza delle operazioni, solo nei casi in cui il prodotto può essere differenziato (per esempio
carta con diverse grammature) ed i tempi di set‐up tra un prodotto e un altro dipendono dalla sequenza, è
necessario identificare il miglior ordinamento dei lavori.
Possono essere inoltre ricondotti a macchina singola tutti quei sistemi di produzione in cui sia riconosciuto
un macchinario critico rispetto agli altri e l’adozione di una qualsiasi sequenza di operazioni non comporta
sensibili variazioni di prestazione per i macchinari non critici.
89
Figura 54 ‐ Diagramma qualitativo del processo di produzione della carta
Macchine parallele
Lo scheduling per macchine parallele estende i problemi della macchina singola ai casi in cui è possibile
allocare gli ordini su risorse differenti che possono svolgere le stesse attività. Un intero ciclo di produzione
può essere assegnato a diverse macchine (o insieme di macchine) valutando, oltre alla capacità residua,
anche le eventuali altre caratteristiche di differenziazione come i tempi di esecuzione e i livelli di affidabilità,
qualità, rendimento. Lo scheduling traduce in carichi macchina le scelte del management per sfruttare al
meglio le risorse, bilanciandone l’utilizzo e le prestazioni, nel rispetto delle date di consegna. Tale analisi deve
essere sempre effettuata, anche per le configurazioni successive (open shop, flow shop e job shop), ogni volta
che sono presenti macchine in parallelo per singole operazioni.
Open shop
Una schematizzazione utile, quando si voglia effettuare una verifica preliminare della capacità produttiva
senza tener conto dei vincoli di precedenza tra le operazioni, è quella di open shop. In questo caso, il
completamento di un ordine è caratterizzato dall’intervento di più macchine in successione ma la sequenza
con cui le operazioni sono eseguite (routing) può essere qualsiasi (Figura 55). Il ciclo di produzione non è
imposto a priori ma risulta determinato in base a considerazioni di carattere organizzativo (e non
tecnologico). Questo schema, spesso poco realistico, può essere efficacemente utilizzato anche per verificare
la capacità produttiva di un sistema prima di procedere allo scheduling vero e proprio.
Il problema si può schematizzare come uno scheduling per macchina singola che deve essere replicato per il
numero di operazioni (e quindi per ogni macchina su cui vengono svolte) che compongono il ciclo di
produzione.
90
Figura 55 ‐ Schema di un sistema open shop
Flow‐shop
Nel flow‐shop il ciclo di produzione prevede l’intervento di più macchine in successione ma l’ordine delle
operazioni sulle diverse macchine è lo stesso per tutti i prodotti (Figura 55). Questo è il caso, per esempio,
dell’assemblaggio di componenti su schede elettroniche in cui tutte le schede visitano le macchine nello
stesso ordine. Si possono distinguere 2 tipologie:
flow‐shop puro: tutti i prodotti richiedono un’operazione su ogni macchina;
flow‐shop generico: alcuni prodotti possono richiedere un numero di operazioni minore rispetto al
numero di macchine, in pratica saltando alcune macchine, non necessitando di tutte le operazioni.
In queste situazioni la programmazione viene svolta in accordo con le caratteristiche dei diversi cicli di
produzione: il problema si può schematizzare come uno scheduling per macchina singola in cui l’ordinamento
dei lavori (considerando fissato il ciclo di produzione) deve essere determinato, per ogni macchina, valutando
non solo i tempi di set‐up ma anche le durate dell’insieme delle operazioni necessarie alla realizzazione del
prodotto.
Figura 56 ‐ Schema di un sistema flow‐shop
Job‐shop
Anche in questo caso il ciclo di produzione prevede l’intervento di più macchine in successione ma, a
differenza del flow shop, l’ordine di visita può cambiare (Figura 57): il flusso delle operazioni non è
unidirezionale e i cicli di lavoro possono presentare più routing alternativi. Il caso più tipico di job shop è
91
costituito dai reparti di fabbricazione di componenti meccanici in cui i diversi tipi di pezzi visitano le macchine
utensili (tornio, fresatrice, trapano, etc.), ciascuno secondo un proprio routing.
In termini di scheduling, la situazione si presenta intermedia tra le due precedenti, dovendo combinare i
principi di funzionamento di entrambe.
Job A
Job B
Figura 57 ‐ Schema di un sistema job‐shop
2.1.1 Obiettivi perseguiti
L’elevato numero di variabili in gioco rende necessaria l’individuazione preliminare degli obiettivi che si
vogliono perseguire attraverso la programmazione operativa. Qualsiasi sia la tecnica utilizzata, la scelta sarà
basata sulla minimizzazione o massimizzazione del valore di uno o più parametri prestazionali. Tale valore è
funzione di elementi decisionali, come l’assegnazione dei lavori alle macchine e la loro collocazione nel
tempo, e di elementi esogene, come i vincoli legati alle caratteristiche fisiche e tecnologiche dell’impianto e
dei prodotti (cicli di produzione) ed alle esigenze di interfacciamento con altre fasi del sistema produttivo o
con il mercato (date di consegna).
Inoltre, a differenza della pianificazione aggregata, l’insieme delle prestazioni del sistema di produzione,
generate da alternative di scheduling, non sono espressamente formalizzabili in un’unica funzione di costo
in quanto risulta particolarmente difficile combinare grandezze differenti quali il coefficiente di saturazione
di una macchina o i ritardi di consegna. Nella pratica, per non incorrere nella complessità della risoluzione di
un problema multi‐obiettivo, si tende a identificare un obiettivo prioritario da ottimizzare, traducendo gli
altri obiettivi sotto forma di vincoli (ad esempio la minimizzazione del numero di job in ritardo può venire
espressa come vincolo di rispetto delle date di consegna). Per poter introdurre i più comuni parametri di
prestazione è necessario definire prima le grandezze che caratterizzano il problema (Tabella 16).
Il tempo di attraversamento (flowtime) di un sistema produttivo costituisce una frazione del lead time di un
ordine. Al momento del ricevimento di un ordine di produzione (inizio lead time) vengono attivate tutte le
procedure amministrative (registrazione, preparazione dei documenti, etc.) e gestionali (verifica di
disponibilità di materie prime e attrezzature, approvvigionamenti, etc.) che permettono all’ordine stesso di
essere lanciato in produzione. Tra la data di ricevimento dell’ordine e la data di possibile inizio della
produzione trascorre un tempo pari alla somma:
dei tempi necessari per le procedure amministrative‐gestionali legate al lancio in produzione
di un tempo di attesa che dipende da numerosi elementi esterni alla produzione non direttamente
controllabili (tempi di arrivo nuovi ordini, tempi di approvvigionamento, etc.) e da decisioni del
management (per esempio la decisione di aggregare diversi ordini, ritardando così la messa in
produzione, per la formazione di un lotto di produzione che costituisca un solo job).
92
La data di possibile inizio della produzione non coincide però necessariamente con la data di lancio in
produzione poiché, per ottimizzare le prestazioni del sistema, la data ottimale di lancio in produzione
potrebbe essere successiva ad .
Alla data ha inizio il flowtime che risulta formato da un tempo tecnico (somma dei tempi di lavorazione e
di trasporto) e da ulteriori tempi di attesa dovuti principalmente ai set‐up ed all’interferenza degli altri job.
Mentre i tempi di lavorazione possono essere considerati incomprimibili nel breve periodo (non essendo
possibile modificare i fattori di produzione come per esempio acquistare macchine più veloci), i tempi di set‐
up e le attese dovute all’interferenza con gli altri job possono essere ridotti attraverso una programmazione
efficace.
Tabella 16 ‐ Definizione dei parametri caratteristici per lo Scheduling
Tempo di lavorazione del job j (macchina singola e macchine parallele identiche)
Tempo di lavorazione del job j sulla macchina i (macchine parallele generiche, open shop, job
,
shop)
Tempo di lavorazione dell’operazione k del job j che deve essere svolta sulla macchina i (job
, ,
shop)
, , Tempo di set‐up dell’operazione k del job j che deve essere svolta sulla macchina i (job shop)
Data di possibile inizio della produzione del job j
Data concordata per la consegna (due‐date) del job j
Data di ingresso del job j nel sistema
Data di completamento del job j
Ritardo (lateness, rappresenta sia i ritardi che gli anticipi):
Ritardo non negativo (tardiness, non rappresenta gli eventuali anticipi): max 0,
Flowtime:
In particolare, tempi di set‐up dipendono dalle caratteristiche del sistema e dei job. Si possono avere i
seguenti casi:
tempi unitari di set‐up indipendenti dalla sequenza di lavorazione dei job: in questo caso, ad ogni job
è associato uno specifico tempo di set‐up che non varia al variare della sequenza di lavorazione dei
diversi job. Risulta quindi comodo, affrontando problemi di questo tipo, inglobare i tempi di set‐up nei
tempi di lavorazione. Per esempio, nelle lavorazioni di stampaggio, dove il set‐up della macchina
consiste nel cambio dello stampo, il tempo di set‐up può essere considerato indipendente dalla
sequenza di lavorazione dei job in quanto i tempi di smontaggio, montaggio e regolazione possono
essere considerati indipendenti dalla forma dello stampo;
tempi unitari di set‐up dipendenti dalla coppia di job adiacenti nella sequenza di lavorazione su
ciascuna macchina: in questo caso tra i dati del problema occorre definire delle matrici dei set‐up (una
per ogni macchina i) i cui elementi contengano i tempi di set‐up sulla macchina i per lavorare il job k
dopo aver lavorato il job h ( ). Questa situazione è tipica, per esempio, degli impianti di tintura del
tessuto, nei quali il passaggio da un colore all’altro richiede il lavaggio della macchina di tintoria. Questo
93
processo sarà più o meno lungo a seconda del colore che si sta lavorando e di quello che si utilizzerà
successivamente per la tintura: il passaggio dal nero al giallo richiede chiaramente più tempo di quello
dal bianco al giallo;
tempi unitari di set‐up dipendenti dalla storia (cioè da tutta la sequenza di job su una macchina e non
solo da una coppia di job adiacenti). Questa situazione è tipica dei macchinari per l’assemblaggio, nei
quali, per poter effettuare la lavorazione di job differenti, è necessario caricare un certo numero di
parti componenti che differiscono da job a job. Per esempio, nell’assemblaggio di schede elettroniche,
ogni macchina ha un proprio magazzino in grado di contenere un certo numero di tipologie di
componenti. Al cambio del tipo di scheda da assemblare è evidentemente necessario avere, a bordo
macchina, i tipi di componenti da montare sulla scheda stessa; si può considerare il tempo di set‐up
proporzionale al numero di tipi di componenti da caricare prima di iniziare la lavorazione. Tale numero
però risulta variabile in quanto alcuni componenti possono essere in parte già presenti sulla macchina
(perché, ad esempio, dovevano essere montati su schede precedenti). Inoltre, se per caricare i nuovi
tipi di componenti è necessario toglierne altri è chiaro che la scelta di quali togliere influisce sui tempi
di set‐up successivi (perché questa scelta condiziona il numero di tipi di componenti che dovranno
essere caricati a bordo della macchina nei successivi set‐up). In questo caso il tempo di set‐up per
passare dalla produzione di un job a quella di un altro non è definibile a priori mediante una matrice
dei set‐up, poiché non dipende solamente dalla coppia di job adiacenti nella sequenza.
Assegnato un insieme di job, in funzione degli indici di prestazione individuati, gli obiettivi che possono
essere perseguiti dalle differenti soluzioni di scheduling sono i seguenti:
Minimizzazione della lateness media (o massima). La lateness media indica il valore dello
scostamento (negativo o positivo) degli N job in termini si sfasamento tra la data di completamento
e la relativa data di consegna:
∑
(142)
In una produzione just‐in‐time tutti i divari tra data di consegna e fine del ciclo di produzione sono
da evitare. Questo criterio deve essere preso in considerazione anche quando le caratteristiche dei
prodotti (per esempio la deperibilità) sconsigliano il completamento degli ordini in anticipo rispetto
alla due‐date o, allo stesso tempo, un ritardo di consegna può generare perdita di clienti o
pagamento di penali.
Minimizzazione della tardiness media (o massima). La tardiness media indica il valore del ritardo
medio degli N job, evitando le compensazioni tra ritardi e anticipi:
∑
(143)
Solitamente, mentre un anticipo non comporta particolari vantaggi, il mancato rispetto delle date di
consegna è un evento piuttosto dannoso. Quando anche l’entità del ritardo, oltre all’esistenza del
ritardo stesso, è un parametro significativo, la minimizzazione della tardiness risulta adatta a valutare
le alternative, come nel caso di job che svincolano ulteriori fasi del sistema produttivo.
Minimizzazione del numero di job in ritardo. Rispetto alla minimizzazione della tardiness, in cui anche
un eventuale singolo lavoro con grande ritardo indirizza la scelta, in questo caso si analizza il numero
di job in ritardo a prescinderne dall'entità:
94
(144)
dove:
1 se 0
0 se 0
Questo criterio risulta particolarmente utile nelle situazioni in cui ad ogni ritardo è associata una
penale oppure quando la competizione con i concorrenti si focalizza sul rispetto delle date di
consegna.
Minimizzazione del flowtime medio. Indica mediamente quanto tempo intercorre dalla messa in
produzione di un job ed il suo completamente:
∑
(145)
La minimizzazione del flowtime genera un aumento della capacità produttiva residua e quindi la
possibilità di aumentare il numero di operazioni da svolgere nell’intervallo di tempo considerato e la
relativa velocità di risposta al cliente. Questo criterio va perseguito solo in caso di reale necessità in
quanto, se i volumi di richieste rimanessero costanti, il livello di saturazione delle macchine
risulterebbe diminuito.
Minimizzazione del makespan: analogamente al caso della minimizzazione dei flowtime, una
soluzione che minimizzi il makespan dovrebbe essere adottata in tutti quei casi in cui si voglia
aumentare la capacità residua delle risorse esistenti con l’obiettivo di incrementare i volumi di
produzione. La valutazione in questo caso è su un parametro aggregato che non media i valori (come
il flowtime medio) ma ne conserva l'impatto totale:
(146)
Massimizzazione del coefficiente di saturazione medio del sistema. Indica quanto tempo, rispetto al
makespan, le M macchine in esame sono state impegnate nella lavorazione dei diversi ordini:
∑ ∑ ,
(147)
∙
Questo criterio risulta preferito quando l’investimento per l’acquisto e il mantenimento delle risorse
risulta particolarmente oneroso o quando ogni start e stop di macchina comporta inefficienze e
significativi periodi di non valore aggiunto.
Minimizzazione del tempo di set‐up complessivo: in alcune produzioni industriali, dove i tempi di set‐
up possono durare anche giorni ed impiegare numerose risorse, la minimizzazione del tempo
necessario a compiere tutte le operazioni di set‐up previste per le M macchine, in funzione dei job
assegnati, può essere un valido criterio di selezione:
(148)
In alcuni casi, quando i job non hanno la stessa importanza, può essere conveniente modificare ulteriormente
i parametri prestazionali, pesando in maniera differente le operazioni da svolgere e creando degli indici
95
dedicati. In questi casi, avendo modificato arbitrariamente i tempi di esecuzione dei job, è necessario
comunque verificare (attraverso i metodi indicati) l’effettiva fattibilità delle soluzioni identificate rispetto alla
disponibilità delle risorse.
Concludendo, date le considerazione fatte per ciascun criterio, risulta evidente che la scelta di perseguire un
obiettivo piuttosto che un altro dipende fortemente dal contesto produttivo e dalle strategie adottate
dall’organizzazione.
2.1.2 Esempi di applicazione
L’applicazione di un modello per la definizione dello scheduling, soprattutto quando la complessità della
realtà industriale analizzata risulta rilevante, non è un’operazione semplice. I principali problemi sono
rappresentati dal carico computazionale che caratterizza la maggior parte dei modelli di ottimizzazione e
dalle numerose ipotesi semplificative necessarie per la loro applicazione. Per evidenziare questi aspetti si
riportano due esempi relativi a casi piuttosto diffusi nella realtà industriale.
2.1.2.1 Schedulazione di una macchina singola: il modello di Karg‐Thompson
Questo algoritmo viene adottato per la schedulazione di una produzione multi‐prodotto su macchina singola
in cui il tempo di set‐up è dipendente dalla sequenza delle operazioni da svolgere. In questo caso, la
minimizzazione del tempo complessivo di set‐up, obiettivo dell’algoritmo, coincide con quella del makespan.
Un approccio di questo tipo può essere efficacemente applicato al caso della cartiera che produce tipologie
di carta caratterizzate da diverse grammature.
Il modello di Karg‐Thompson è basato sulle seguenti ipotesi:
un set di N job indipendenti, costituiti da una sola operazione, è disponibile al tempo zero;
le date di consegna non sono rilevanti;
non è ammessa preemption (interruzione della lavorazione di un job e sua successiva ripresa dopo la
lavorazione di altri job);
i tempi di set‐up sono dipendenti dalla sequenza.
La tecnica utilizzata per ottenere uno scheduling che minimizzi il tempo complessivo di set‐up è il seguente
metodo euristico:
1. selezionare casualmente due job;
2. selezionare un nuovo job e provare a disporlo in ciascuna posizione della sequenza corrente,
calcolando il corrispondente tempo di attrezzaggio;
3. allocare il nuovo job nella posizione che garantisce il minimo tempo di attrezzaggio e tornare al punto
2 finché i job sono esauriti.
I dati di input del metodo sono i tempi di set‐up che, essendo dipendenti dalla sequenza scelta, sono riportati
nella matrice in Tabella 17.
Il primo passo prevede la selezione casuale di due job. Si scelgono i job1 e job2. Successivamente si sceglie il
job3 per porlo in ciascuna posizione della sequenza e calcolare il tempo di set‐up complessivo. I risultati sono
riportati in Tabella 18.
Tabella 17 ‐ Esempio: matrice dei set‐up
Tempo di set‐up
96
a job 1 job 2 job 3 job 4
Da
job 1 20 25 30
job 2 15 10 35
job 3 18 21 15
job 4 28 10 20
Tabella 18 ‐ Esempio: tempo di set‐up e sequencing: inserimento job3 (coppia iniziale job1 e job2)
Sequenza Tempo di set‐up corrispondente
job1‐job2‐job3‐job1 20+10+18=48
job1‐job3‐job2‐job1 25+21+15=61
Nel calcolare il tempo di set‐up per il job3 nella prima sequenza e del job2 nella seconda è necessario
considerare che la sequenza si ripeta, ricominciando dal job1. La sequenza più conveniente risulta la prima
quindi si procede con il job4 e si ripete l’operazione, ottenendo i risultati illustrati nella Tabella 19.
Tabella 19 ‐ Esempio: tempo di set‐up e sequencing: inserimento job4 (coppia iniziale job1 e job2)
Sequenza Tempo di set‐up corrispondente
job1‐job2‐job3‐job4‐job1 20+10+15+28=73
job1‐job2‐job4‐job3‐job1 20+35+20+18=93
job1‐job4‐job2‐job3‐job1 30+10+10+18=68
La sequenza più conveniente per i quattro job da schedulare risulta la job1‐job4‐job2‐job3. Il risultato
ottenuto però dipende dalla scelta della coppia iniziale di job e dall’ordine con cui gli altri job sono considerati
per l’inserimento nella sequenza. L’applicazione del metodo va quindi ripetuta cambiando la scelta dei due
job iniziali. I risultati che si ottengono scegliendo la coppia job3 e job4 sono riportati in Tabella 20 e in Tabella
21. Dalla Tabella 20 si evince che le due soluzioni sono equivalenti. Si sceglie arbitrariamente la prima e si
procede aggiungendo il job2. Come si vede la schedulazione migliore è la seconda, migliore rispetto a quella
trovata con la prima iterazione.
Tabella 20 ‐ Esempio: tempo di set‐up e sequencing: inserimento job1 (coppia iniziale job3 e job4)
Sequenza Tempo di set‐up corrispondente
job3‐job4‐job1‐job3 15+28+25=68
job3‐job1‐job4‐job3 18+30+20=68
Tabella 21 ‐ Esempio: tempo di set‐up e sequencing: inserimento job1 (coppia iniziale job3 e job4)
Sequenza Tempo di set‐up corrispondente
job3‐job4‐job1‐job2‐job3 15+28+20+10=73
job3‐job4‐job2‐job1‐job3 15+10+15+25=65
job3‐job2‐job4‐job1‐job3 21+35+28+25=109
Questo metodo, oltre a presentare lo svantaggio di dover effettuare diverse iterazioni prima di ottenere la
soluzione migliore, è caratterizzato da alcune ipotesi non sempre applicabili in un contesto reale. In primo
luogo, data la sempre maggiore adozione di approcci di tipo just‐in‐time, l’ipotesi sulla non rilevanza delle
date di consegna risulta spesso inapplicabile anche nel caso di una produzione per magazzino. Inoltre, la
disponibilità di tutti gli ordini all’istante iniziale può non essere verificata.
97
2.1.2.2 Schedulazione di un sistema flow‐shop: il modello di Johnson
Questo modello rappresenta uno dei più noti algoritmi di scheduling e la sua applicazione è riservata ai
sistemi flow‐shop, tipici delle linee di assemblaggio, nelle quali i diversi prodotti, generalmente poco
differenziati, subiscono le stesse operazioni con lo stesso ordine.
Le ipotesi alla base del modello di Johnson:
il sistema è un flow shop costituito da 2 macchine, sempre disponibili per le lavorazioni;
un set di N job, indipendenti fra loro, è disponibile al tempo zero;
le date di consegna non sono rilevanti;
non è ammessa preemption;
i tempi di set‐up sono nulli o indipendenti dalla sequenza e quindi inclusi nei tempi di lavorazione.
La funzione obiettivo, anche in questo caso, consiste nella minimizzazione del makespan. L’algoritmo è
basato sul seguente teorema (di cui è omessa la dimostrazione). Il job precede il job in una sequenza
ottima se:
min , min , (149)
In altre parole, si confronta la situazione in cui si svolge il job sulla macchina 1 e il job sulla macchina 2 con
la situazione opposta (job sulla macchina 2 e job sulla macchina 1); si prendono quindi i tempi minori
all'interno delle due potenziali configurazioni e si verifica la relazione.
In base al teorema di Johnson, è possibile ottenere la schedulazione ottima (per quanto riguarda l’obiettivo
di minimizzazione del makespan) in un problema di flow shop a due macchine con il seguente algoritmo:
1. analizzare tutti i job disponibili per essere schedulati e trovare il valore , ;
2. se il minimo tempo di lavorazione trovato è sulla macchina 1, inserire il job corrispondente nella
prima posizione disponibile della sequenza (che viene utilizzata come permutation schedule, cioè
viene mantenuta invariata su entrambe le macchine). Se il minimo tempo di lavorazione trovato è
sulla macchina 2, inserire il job corrispondente nell’ultima posizione disponibile della sequenza;
3. rimuovere il job assegnato da quelli disponibili per la schedulazione e ritornare al punto 1 finché tutti
i job sono stati schedulati (le situazioni di parità fra i diversi job possono essere risolte in modo
arbitrario).
Si consideri un problema con cinque job, i cui tempi di lavorazione sulle due macchine del flow shop sono
riportati in Tabella 22.
Al primo stadio, tutti i job sono disponibili e il minimo tempo di lavorazione è quello relativo al job3 sulla
macchina 1; il job3 viene allocato nella prima posizione della sequenza ed eliminato dall’insieme dei job
disponibili.
Al secondo stadio, il minimo tempo di lavorazione è quello relativo al job2 sulla macchina 2; il job2 viene
allocato nell’ultima posizione della sequenza ed eliminato dai job disponibili.
Al terzo stadio il minimo tempo di lavorazione è quello relativo al job1 sulla macchina 1; il job1 viene allocato
nella prima posizione disponibile della sequenza parziale (seconda posizione) ed eliminato dai job disponibili.
Al quarto stadio il minimo tempo di lavorazione è quello relativo al job5 sulla macchina 2; il job5 viene allocato
nell’ultima posizione possibile della sequenza parziale (quarta posizione) ed eliminato dai job disponibili.
Al quinto stadio viene ovviamente allocato il job4 nell’unica posizione rimasta disponibile (Tabella 23).
98
Tabella 22 ‐ Esempio: tempi di lavorazione sulle due macchine
job i 1 2 3 4 5
1° stadio 3 5 1 6 7
6 2 2 6 5
job i 1 2 4 5
2° stadio 3 5 6 7
6 2 6 5
job i 1 4 5
3° stadio 3 6 7
6 6 5
job i 4 5
4° stadio 6 7
6 5
Tabella 23 ‐ Esempio: scheduling con il modello di Johnson
Figura 58 ‐ Esempio: diagramma temporale della schedulazione
Anche in questo caso le assunzioni del modello risultano piuttosto forti. Prima fra tutte quella sul numero di
macchine (due) per il quale è stato formulato. Esiste però un’estensione del metodo al caso di M macchine
denominata modello di Campbell‐Dudek‐Smith. Come già sottolineato, in molti casi le macchine per
l’assemblaggio, per poter effettuare la lavorazione di job differenti, devono essere caricate con i componenti
necessari, che possono differire da un job ad un altro. Il tempo di attrezzaggio può quindi differire a seconda
della sequenza stabilita per la produzione dei job.
99
3.8. INPUT/OUTPUT CONTROL
Tutte le attività programmate devono essere monitorate per riconoscere quanto più prontamente possibile
gli scostamenti da quanto pianificato e quindi allineato agli obiettivi produttivi dell'azienda. La fase di
Input/Output Control verifica questo allineamento, focalizzando l'attenzione sul controllo continuo degli
elementi in ingresso e in uscita alle varie attività previste (vedi Figura 59).
L’obiettivo è sempre quello di soddisfare le date di consegna utilizzando al meglio le risorse, ovvero di trovare
il bilanciamento tra ordini non evasi in tempo e risorse sature da un lato, e risorse sovradimensionate dunque
poco utilizzate che riescono a realizzare l’output nei tempi programmati.
Questa fase di input/output control è al pari di RRP, RCP e CRP (vedi Figura 45) un controllo sulla capacità che
in questo caso deve tener conto delle aleatorietà di breve periodo, come ad esempio improvvise urgenze o
annullamenti di ordini già nel master production schedule, per governare ed eventualmente modificare lo
scheduling e i conseguenti tempi di attraversamento e di consegna. L'Input/Output Control fornisce infatti le
informazioni necessarie per regolare il flusso di lavoro e la capacità in produzione: se aumentando la quantità
in ingresso non si verifica un conseguente incremento della produttività, vuol dire che sono presenti colli di
bottiglia, ritardi e scorte interoperazionali.
In Figura 59 si illustre come il controllo sugli input sia legato all’invio degli ordini di produzione, pianificati
tramite MRP, alle risorse produttive, mentre il controllo sugli output è funzione della maggiore o minore
capacità delle risorse; dalla differenza dei due flussi produttivi aumentano o diminuiscono code, wip e ritardi
di consegna (backlog).
Figura 59 – Controllo di input e output come misura di WIP e backlog
In termini di programmazione, il monitoraggio di input e output permette una misura del backlog che può
orientare verso scelte di incremento o diminuzione della capacità produttiva, ad esempio con turni
straordinari o oursourcing. Questo concetto è illustrato in Figura 60 (che ricorda il diagramma di
attraversamento ma ne differisce per gli elementi considerati) in cui si evidenzia che se da una parte si
stabilisce un output obiettivo in base agli ordini inseriti nell’MPS e declinati sulle risorse dal MRP, dall’altra è
opprotuno controllare il reale andamento dell’output per avere piena conoscenza del backlog di lavoro o di
tempi di consegna. Le due curve cumulate sono tracciate misurando gli output obiettivo e gli output reali,
mostrando in questo caso specifico che, poiché le due curve sono quasi parallele, l'arretrato non sarà mai
100
azzerato con gli attuali livelli di performance del sistema di produzione, ma si richiede un’azione correttiva
più significativa.
Figura 60 – Rappresentazione del controllo sugli output obiettivo e reale
Un buon controllo degli scostamenti permette in sintesi:
un miglior servizio per i clienti in riferimento alle date di consegna;
una miglior efficienza del sistema produttivo dovuta all'eliminazione di WIP e dei relativi costi;
una miglior identificazione di eventuali problemi nascosti dal WIP.
L'orizzonte temporale di questa fase è limitato a poche settimane per il monitoraggio della produzione, al più
coprendo qualche mese di dati pianificati.
A titolo di esempio di riporta in Figura 61 un foglio di rilevazione per l'Input/Output Control in cui si evidenzia,
per il caso specifico, che gli input delle 5 settimane precedenti alla data del documento sono in totale
coerenza con quanto pianificato, a prescindere dalle fluttuazioni settimanali. Anche gli output sono
sostanzialmente coerenti, con sole 4 ore di variazione. Come ulteriore informazione si tiene conto del backlog
di produzione, semplicemente andando a cumulare al passare del tempo gli scostamenti tra output pianificati
e quanto realizzato. A fronte di una differenza programmata tra input e output si prevedeva un aumento di
backlog, da 25 a 40 (pezzi, o più solitamente ore di lavoro); nel tempo la differenza tra input programmato e
input realmente inserito in produzione comporta uno scostamento di valori da tenere sotto controllo, ad
esempio, perché misura di capacità non utilizzata. Lo scostamento tra output pianificato e realizzato
evidenzia chiaramente un limite di capacità, che confrontato con gli input restituisce un valore delle code e
dei backlog generati. Il backlog attuale si calcola partendo da quello del periodo precedente, sommando
periodo per periodo la differenza (già riportata come cumulata) di output realizzato e output programmato.
101
Figura 61 ‐ Esempio di reportistica per la fase di Input/Output Control
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