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GESTIONE DEGLI IMPIANTI INDUSTRIALI
TOYOTA PRODUCTION SYSTEM
(a cura di F. Costantino, G. Di Gravio, M. Tronci)
Sommario
1. IL SISTEMA PRODUTTIVO TOYOTA ............................................................................................................ 2
1.1 Brevi cenni storici .............................................................................................................................. 2
1.2 Principi generali ................................................................................................................................. 2
2. GLI OBIETTIVI ............................................................................................................................................. 4
2.1 Quality ............................................................................................................................................... 4
2.2 Cost .................................................................................................................................................... 4
2.3 Delivery .............................................................................................................................................. 5
2.4 Safety and Environment .................................................................................................................... 5
3. JIDOKA (Build in Quality) ........................................................................................................................... 6
3.1 Costruire la qualità ............................................................................................................................ 6
3.2 Identificare le anomalie ..................................................................................................................... 7
3.3 Differenziare uomo‐macchina ........................................................................................................... 8
4. JUST‐IN‐TIME ............................................................................................................................................. 8
4.1 Eliminazione degli sprechi (Lean Thinking) ........................................................................................ 9
4.2 Sistema Pull ..................................................................................................................................... 11
4.3 Kanban ............................................................................................................................................. 12
5. HEIJUNKA (Livellamento della Produzione) ............................................................................................. 14
5.1 Takt Time ......................................................................................................................................... 15
5.2 Produzione a Flusso Continuo ......................................................................................................... 17
5.3 Group Technology e Cell Production ............................................................................................... 17
5.4 Ruolo del set‐up ............................................................................................................................... 19
5.5 Affidabilità dell’equipment .............................................................................................................. 21
6. KAIZEN ..................................................................................................................................................... 22
6.1 Kaizen Event .................................................................................................................................... 22
6.2 Kaizen team ..................................................................................................................................... 23
7. STANDARDIZZAZIONE .............................................................................................................................. 23
7.1 5S ..................................................................................................................................................... 24
7.2 Il ruolo dei fornitori ......................................................................................................................... 25
1. IL SISTEMA PRODUTTIVO TOYOTA
1.1 Brevi cenni storici
Il Toyota Production System (TPS) nacque negli anni ’40 in risposta alle necessità contingenti dell’azienda,
combinando concetti unici e caratteristici di Toyota con principi più tradizionali e generali. L’elemento più
antico del TPS è il concetto di Jidoka, ideato nel 1902 nella società di filatura e tessitura Toyoda Spinning
and Weaving dal suo fondatore, Sakichi Toyoda. In quegli anni, Sakichi inventò un telaio che si
interrompeva automaticamente ogni volta che rilevava un filo rotto, evitando la generazione di prodotti
difettosi. Più tardi, nel 1924, lo stesso Sakichi creò un telaio automatico che permetteva a una singola
persona di operare su più macchine. Queste due soluzioni portarono significativi benefici ed i diritti per la
fabbricazione del telaio al di fuori del Giappone furono venduti alla inglese Platt Brothers Ltd., con il cui
ricavato si avviò una divisione automobilistica. Tale divisione fu scorporata come società nel 1937 sotto
Kiichiro Toyoda, figlio di Sakichi.
L'elemento più famoso del TPS è senza dubbio il pilastro del Just‐in‐Time, termine coniato nel 1937 da
Kiichiro in Toyota Motor Corporation, società piuttosto piccola che non poteva permettersi di sprecare
risorse economiche in apparecchiature o materiali per la produzione. Elementi successivi, sviluppati dopo il
1950, comprendono il takt time, la standardizzazione del lavoro e il kanban, come integrazione alla base
Just‐in‐Time.
Dopo la seconda guerra mondiale, Taiichi Ohno, un ingegnere promettente della Toyoda Spinning and
Weaving Corporation fu trasferito al settore automobilistico con il compito di migliorare la produttività
operativa e promuovere i concetti di Just‐in‐Time e Jidoka. Nominato direttore di stabilimento della
fabbrica di motori, sviluppò con successo molti concetti innovativi tra gli anni 1945‐1955. Il suo lavoro ha
portato alla formulazione di quello che oggi è riconosciuto come il Toyota Production System, la cui
applicazione si è sempre più diffusa nel contesto industriale e dei servizi, trovando nel tempo nuovo slancio
sotto i nomi, ad esempio, di World Class Manufacturing e Lean Manufacturing.
1.2 Principi generali
Obiettivo del TPS è fornire prodotti e servizi ad un livello di qualità world class per soddisfare tutte le
aspettative dei clienti, sviluppando un modello di responsabilità sociale all'interno del settore di riferimento
e della comunità, mirando:
‐ allo sviluppo del potenziale di ciascun dipendente, basato sul rispetto reciproco, la fiducia e la
cooperazione;
‐ alla riduzione dei costi attraverso l'eliminazione degli sprechi per la massimizzazione del profitto;
‐ alla produzione flessibile in base alla domanda di mercato.
La filosofia del TPS incarna, infatti, una cultura della produzione basata sul miglioramento continuo e sulla
definizione di standard volti ad eliminare gli sprechi di risorse naturali, umane e aziendali, attraverso la
partecipazione di tutti i dipendenti. Idealmente, il sistema spinge verso la produzione della massima qualità
possibile, al minor costo possibile, nel più breve tempo possibile, spingendo per la riduzione dell’intervallo
temporale tra la ricezione di un ordine fino al momento della consegna al cliente effettivo. Il TPS influenza
ogni aspetto dell’organizzazione e comprende un insieme comune di valori, conoscenze e procedure,
affidando ai dipendenti responsabilità ben definite e incoraggiando a lottare per il miglioramento
complessivo, facendo leva sulle caratteristiche organizzative e relazionali tipiche di una cultura orientale:
‐ rari cambiamenti al top management, in cui prevale il senso del paternalismo e della precisione;
‐ personale che vive costantemente l’azienda, anche per la sua quota parte di vita privata, con cui
stipula un “matrimonio per la vita”;
‐ decisioni di gruppo, in cui tendono ad annullarsi le differenze, sia gerarchiche sia sociali, e in cui
prevale cooperazione e comunicazione;
‐ successo misurato sul lungo termine.
Come rappresentato dalla Toyota Production System House, due sono i pilastri primari di tale sistema, il
Just‐in‐Time e il Jidoka (Figura 1).
Figura 1 – Toyota Production System House
Il Just‐in‐Time mira a produrre e consegnare i prodotti giusti, nella giusta quantità, al momento giusto,
utilizzando le risorse minime necessarie. Questa strategia riduce i livelli di magazzino cercando di prevenire
sia la produzione anticipata che l’eccesiva produzione. La maggior parte delle aziende nasconde i propri
problemi attraverso l’accumulo di scorte, evitando potenziali interruzioni. Nel TPS la logica è opposta:
riducendo il magazzino ci si espone rapidamente ai problemi reali che tendono ad interrompere il flusso di
produzione. Questo concetto di emersione di problemi e anomalie è uno dei punti chiave del suo successo,
soprattutto nei casi in cui si riesca a risolvere il problema.
Il Jidoka è composto da due elementi:
‐ produrre qualità di processo;
‐ differenziare le attività dell’uomo da quelle della macchina.
Jidoka è un termine giapponese che combina il significato di “automatico” o “automazione” con “umano”.
In altre parole il TPS aspira a processi che siano in grado di rendere intelligenti le decisioni di spegnimento
automatico al primo segnale di una condizione anomala, come un difetto. L'obiettivo non è più produrre in
maniera continua ma fermare l'esecuzione automaticamente ogni volta che si generano problemi, evitando
di alimentarli e di generare sprechi. Questa funzione di arresto aiuta ad evitare operazioni successive sui
prodotti difettosi, previene infortuni, limita i danni alla macchina e consente di identificare al meglio la
condizione attuale ogni volta che si manifesta un problema. fermare una macchina al primo segnale di
problema piuttosto che continuare ad alimentare il problema generando maggiori sprechi. La seconda
componente è la differenziazione dell'uomo dalla macchina: quando le macchine possiedono la capacità di
bloccarsi in caso di problema, allora non vi è alcuna necessità per l'uomo restare a guardare. Il Jidoka libera
le risorse umane dai processi di monitoraggio per impegnarle in attività a maggior valore aggiunto.
Le fondamenta del TPS risiedono nel livellamento della produzione: livellando nel tempo i volumi e il mix
produttivo, è possibile utilizzare al meglio le risorse e garantire una produzione continua. Riducendo la
dimensione dei lotti fino, nel migliore dei casi, a lotti di dimensione unitaria, sia per le materie prime sia per
i prodotti finiti, è possibile allineare il piano di produzione alle esigenze dei clienti. In contrasto con i sistemi
convenzionali, in cui la produzione sistematica per grandi lotti è il mezzo per ridurre i costi, il TPS mira alla
riduzione dei tempi di set‐up e cambio formato per limitare il consumo di risorse.
Elemento portante è quindi l’affidabilità dell’equipment, senza la quale è necessario costituire giacenze o
investire in nuove attrezzature (in funzione della frequenza dei downtime imprevisti e degli scarti generati).
Una corretta manutenzione fa in modo di rendere disponibili macchinari e attrezzature nel momento in cui
siano chiamati ad operare. Il cuore del sistema rimane comunque il personale, cui è data l’autorità di
prendere le decisioni e guidare i processi di miglioramento continuo dal basso. Il TPS stabilisce che gli
obiettivi aziendali possano essere raggiunti solo attraverso il rispetto (anche economico) verso tutti i
dipendenti e la loro partecipazione attiva, esercitata in aree in cui il dipendente o i team di lavoro hanno
conoscenza sufficiente, o in altre parole, sono competenti. Le competenze devono essere incrementate in
maniera tale da disporre di risorse umane ampiamente qualificate e flessibili, in grado di scoprire e
risolvere i problemi e supportarsi a vicenda dove si generino colli di bottiglia. Il personale, attraverso
l’attitudine alla cooperazione e l’organizzazione efficiente, può contribuire al raggiungimento degli obiettivi
impostando e mantenendo standard di lavoro.
2. GLI OBIETTIVI
2.1 Quality
Una produzione di alta qualità è elemento fondamentale per il successo di qualsiasi industria manifatturiera
in quanto i clienti non continuano ad acquistare un prodotto che non risponde alle proprie esigenze.
Prendere scorciatoie, lavorare in maniera scadente, o nel caso estremo, montare una parte difettosa su un
prodotto finito destinato al mercato costituisce un atto antisociale con conseguenze anche disastrose. La
missione del TPS è quindi fornire ai clienti (interni ed esterni) prodotti senza problemi che si conformano
esattamente alle specifiche di qualità progettate. Parti prive di difetti eliminano gli sprechi di rilavorazione
e scarto, a sua volta riducendo i costi. Ridurre i costi permette di rimanere competitivi e aumentare la
quota di mercato in un ambiente globale e aggressivo (Figura 2).
Figura 2 – Catena di Deming
2.2 Cost
Il TPS protegge i profitti attraverso il principio del Cost Reduction. Con tale principio, il prezzo di vendita di
un prodotto è determinato dal cliente e dal mercato, anche attraverso riduzioni di prezzo annuali. Al fine di
mantenere margini e profitti, gli sprechi devono essere ridotti continuamente per ridurre i costi.
Cost Reduction: Profitto = [Prezzo di vendita ‐ Costo]
In contrasto con la riduzione dei costi, vi è il principio di Cost Plus in cui il prezzo è determinato dalla
combinazione di tutti i costi (materie prime, manodopera, energia e altre spese necessarie per la
produzione) con la politica aziendale di definizione del profitto.
Cost Plus: Prezzo di vendita = [Costo + Profitto]
Le due formule sono matematicamente le stesse, ma esiste una grande differenza sull’enfasi che si pone
sulle variabili. In altre parole, il Cost‐Plus ritiene che i costi rimangano fissi mentre il Cost Reduction ritiene
che i costi possono essere efficacemente modificati con i metodi della produzione snella. Nella condizione
concorrenziale del settore della componentistica automotive, utilizzare il principio del Cost Plus può
portare a prezzi fuori mercato o a profitti non significativi per l’impresa.
2.3 Delivery
I miglioramenti in termini di produttività che ignorano il programma di produzione o le richieste del cliente
comportano sprechi di sovrapproduzione e spingono l'efficienza complessiva dell'azienda nella direzione
sbagliata. Quando si valuta l'efficienza, il fattore chiave è la quantità di produzione necessaria: deve essere
valutato come i prodotti richiesti possono essere realizzati nel minor numero di ore di lavoro possibili e nel
momento migliore.
La produttività apparente, ottenuta aumentando il volume di produzione all'interno delle stesse ore di
lavoro senza riferimento alle vendite, è un miglioramento solo in termini numerici. La vera efficienza si
ottiene producendo quantità vendibili nel più breve tempo di lavoro possibile, contribuendo a sostanziali
riduzioni dei costi. Se la quantità di produzione deve essere aumentata, devono essere esaminati in primo
luogo i mezzi per aumentare la produttività nelle ore di lavoro previste. Se la quantità di produzione deve
essere mantenuta o ridotta, deve essere valutato come aumentare l'efficienza riducendo le ore di lavoro.
Quando si considera come aumentare l'efficienza aziendale attraverso l'eliminazione degli sprechi, si deve
guardare all’efficienza di ogni processo, della linea che realizza tali processi e dell'intero impianto che
contiene la linea. Si deve perseguire il miglioramento dell'efficienza dal basso verso gli stadi più alti in modo
che il miglioramento abbracci l'intero sistema. È fondamentale inseguire il miglioramento dell'efficienza con
un approccio sistemico: manager e supervisori dovrebbero sempre considerare come interventi locali
influenzino le prestazioni globali. Pensando solo in termini locali si incorre facilmente in miglioramenti di
produttività apparente.
2.4 Safety and Environment
Nella cultura del TPS è impossibile ottenere significativi miglioramenti di qualità, costi e produttività senza
considerare la sicurezza e l’ambiente di lavoro. Gli aspetti che hanno effetto sugli individui sono
estremamente importanti e devono essere affrontati in modo continuo.
Migliorare la sicurezza sul lavoro è un tema costante per il miglioramento continuo. Le statistiche mostrano
come la maggior parte degli incidenti si verifica quando un individuo sta svolgendo attività straordinarie, in
un’area disorganizzata o quando le mansioni sono difficili da eseguire. Ridurre i pericoli mostra rispetto per
le persone: deve essere tentato ogni sforzo per rendere il luogo di lavoro più sicuro possibile. La sicurezza
non dovrebbe mai essere sacrificata in nome della produttività; per questo motivo, il TPS pone molta enfasi
sul lavoro standardizzato e le tecniche 5S. Se sono applicati e rispettati adeguati standard, la probabilità di
garantire un ambiente di lavoro sicuro si incrementa notevolmente.
Inoltre, tutti i dipendenti dovrebbero contribuire ad un ambiente positivo e creativo. Dal momento che
gran parte della nostra identità personale è il riflesso delle esperienze di lavoro, orgoglio e integrità sono
essenziali per renderlo gratificante. Il miglioramento continuo riconosce la creatività e la capacità di
problem solving di tutto il personale, la leadership deve attuare ogni mezzo per utilizzare le conoscenze,
l'esperienza e la creatività dei dipendenti, dimostrando così rispetto per la dignità e il valore degli individui.
La creazione di un ambiente di lavoro con rispetto reciproco, fiducia e cooperazione è fondamentale per
apportare miglioramenti e mantenere alto il morale.
3. JIDOKA (Build in Quality)
Il Jidoka si riferisce alla capacità degli esseri umani o dei sistemi di produzione di rilevare una condizione
anormale in materiali, macchine o metodi, per prevenire che l'anomalia venga trasmessa al processo
successivo. I suoi obiettivi sono:
‐ produrre in qualità impedendo la produzione di massa di difettosi;
‐ identificare le condizioni anomale per evitare difetti, infortuni ai dipendenti o danni a impianti,
attrezzature e macchinari;
‐ separare il lavoro umano dal lavoro macchina.
Il principio guida è che un prodotto non può essere migliore del processo che l’ha generato. Quindi, per
raggiungere questi obiettivi, il Jidoka sviluppa una struttura organizzativa in grado di promuovere e
sostenere sistemi e strumenti che devono lavorare in maniera combinata per assicurare che siano adottati
interventi tempestivi ogni volta che si verificano condizioni anomale.
Combinato con gli effetti del Just‐in‐Time, il Jidoka agisce sui costi della non qualità evidenziando i difetti in
maniera anticipata, riducendo la necessità di scorte e contenendoli in lotti di dimensione ridotta.
3.1 Costruire la qualità
In tutti i sistemi industriali, parti e prodotti finiti sono controllati da processi di ispezione e rilavorati,
riparati o eliminati prima della consegna ai clienti interni o esterni. I difetti non possono però essere
individuati in maniera certa se si procede a campionamento: maggiore è la determinazione nel non
consegnare prodotti difettosi, più severe diventano le ispezioni, più spesso devono essere eseguiti
aggiustamenti, correttivi e rilavorazioni.
Se da un lato l’obiettivo da raggiungere è zero difetti, dall’altro risulta evidente come i controlli effettuati
off‐line rispetto alla produzione non generino valore aggiunto: è, quindi, necessario trovare modi per
realizzare prodotti di qualità e contemporaneamente ridurre il numero di ispezioni. In altre parole, bisogna
costruire qualità in maniera tale che, nel caso vengano rilevati difetti, se ne possano determinare le cause
primarie, non solo i sintomi, e mettere in atto contromisure per eliminarle alla fonte. Condizioni in cui le
attrezzature sono difettose o malfunzionanti e la macchina stessa o qualche sistema di controllo rilevano il
problema ed eseguono un arresto, avvisando l'operatore, sono un esempio di build in quality.
Il modo di sostenere tale impegno passa attraverso il conferimento della responsabilità ai dipendenti di
controllare accuratamente la qualità di ogni fase di lavoro o predisponendo appositi sistemi automatici, in
modo che i difetti non vengano passati alle fasi successive. Ogni membro di ogni team di lavoro deve essere
consapevole che il processo a valle è un cliente che non deve mai ricevere un prodotto difettoso. In pratica,
la costruzione della qualità in ogni processo comporta l’introduzione della funzione di ispezione durante la
produzione in modo da scoprire immediatamente i difetti. Solo in questo modo si può garantire che tutte le
parti siano prive di difetti in ogni fase del processo. Se i difetti sono scoperti in un processo a valle, la sola
correzione non è utile in quanto, se la causa principale non è investigata ed eliminata, il difetto continuerà a
verificarsi. In tali casi, il processo a monte deve essere tempestivamente informato del problema e il
reparto in cui il difetto ha avuto origine deve indagare immediatamente le cause e istituire misure per
prevenirne le ricorrenze.
Un modo per assicurare la qualità è il rigoroso rispetto degli standard di lavoro, definiti in conformità alle
condizioni normali di ciascun processo. Gli standard di lavoro sono ideati in modo che i livelli di qualità
richiesti possono essere raggiunti e mantenuti, integrando ispezioni visive e controllo con strumenti di
misura con le attività di produzione eseguite in ciascun processo. Semplici dispositivi a prova di errore
(poka‐yoke) possono inoltre essere utilizzati come mezzi per rendere più facile il mantenimento della
qualità.
Il lavoro di ispezione non è semplicemente l'azione di giudicare se le parti o prodotti finiti sono buone o
cattive ma comporta anche il perseguire la causa di difetti, sviluppando una comprensione globale delle
circostanze per individuare la vera causa e istituendo misure per prevenire efficacemente il loro ripetersi
(genchi genbutsu).
L’enfasi sulla ricerca delle cause reali è fondamentale perché l’osservazione superficiale di un fenomeno di
difetto può portare a cercare di curare i sintomi invece della malattia. Per esempio, il difetto risultante
dall’installazione di una parte errata potrebbe essere solo il sintomo di un più radicato problema piuttosto
che la vera causa, come la difficoltà di lettura di uno schizzo nei fogli di istruzione, un'istruzione incline a
fraintendimenti o parti non disposte in ordine secondo la corretta sequenza di installazione o anche errori
di distrazione del personale. I difetti sono ridotti se vengono colti efficacemente tutti questi fattori,
introducendo contromisure sulla base della comprensione globale del fenomeno. Lo scopo dell’ispezione
non è individuare i prodotti difettosi ma sradicare la comparsa di difetti: il lavoro di controllo va oltre la
semplice diagnosi per comprendere l’insieme di trattamento e ripristino.
Anche quando ogni processo segue gli standard di lavoro e, idealmente, la necessità di rilavorazioni non
dovrebbe verificarsi, si possono generare prodotti che richiedono ulteriori e non previste fasi di lavoro. In
alcune aziende, la rilavorazione è considerata una situazione naturale in cui è generalmente accettato che,
quando è richiesta, basterà eseguirla su una stazione dedicata (di ripresa) e lasciare tutti gli altri prodotti
proseguire con la loro sequenza normale. È importante riconoscere che il lavoro di rilavorazione o
riparazione di un prodotto richiede maggiore manodopera, riduce i tassi di valore aggiunto e incrementa i
costi di produzione. Attività di questo tipo dovrebbero essere identificate ed eliminate. La prevenzione dei
difetti e la limitazione di rilavorazioni e riparazioni può essere ottenuta promuovendo il miglioramento
continuo in combinazione con gli standard di qualità. Producendo elevata qualità ed eliminando la
necessità di interventi ulteriori rispetto a quanto previsto, si possono ridurre sia i tempi di lavorazione sia le
ispezioni.
3.2 Identificare le anomalie
In aree di produzione altamente meccanizzate, ci si affida a sensori di macchine e attrezzature per rilevare
condizioni anomale, interrompere la produzione e segnalare che un problema si è verificato in una zona
specifica. Nelle aree di lavoro ad alta intensità di personale come il montaggio, dove macchinari e
attrezzature non presentano sistemi di rilevazione, ci si affida alle conoscenze e alle competenze dei
dipendenti per costruire la qualità nel processo e fermare la produzione quando si verifica un'anomalia.
Fermando la produzione non appena sorge un problema, si è in grado di proteggere i dipendenti, evitare
danni alle attrezzature e strumenti che altrimenti potrebbero causare downtime significativi per riparazioni
ed evitare la produzione di parti che possono non soddisfare gli standard di qualità richiesti dai clienti.
La prima cosa da fare quando la produzione è ferma è cercare di farla ripartire, fintanto che non vi è alcuna
minaccia per la sicurezza o per la qualità. Il responsabile di produzione, il personale diretto e il personale di
supporto lavoreranno insieme per contribuire a risolvere il problema e riavviare la produzione. L’andon
board (Figura 3) è un segnale elettronico semplice ma altamente visibile che presenta lo stato delle linee di
produzione e informa immediatamente il management se è stato individuato un guasto o un difetto,
identificando con precisione la sua posizione. Considerato che la linea di produzione non viene riavviata
finché la causa non è stata risolta, si genera un senso di urgenza che catalizza gli interventi necessari:
quando un operatore si trova di fronte ad un problema, gli altri accorrono in suo aiuto. Aumenta quindi il
senso di responsabilità e solidarietà per mantenere i livelli di produzione, sviluppando l’attitudine del
personale a comunicare e decidere, riducendo la necessità di supervisori e controlli (empowerment).
Quando una linea funziona “troppo bene”, il management può al limite ridurre deliberatamente le risorse
assegnate per far emergere eventuali necessità: se la linea continua a mantenere i livelli di produttività
previsti, si consolida la riduzione delle risorse, se la linea inizia a generare difetti o malfunzionamenti, si
procede con la stessa logica di miglioramento continuo.
3.3 Differenziare uomo‐macchina
Il lavoro umano deve essere limitato all’insieme di attività che non possono essere completate senza il
coinvolgimento del personale. Il principio generale di differenziazione impone di evitare quanto più
possibile che le risorse umane siano impegnate in operazioni che possono essere svolte da macchine,
spostando le persone su attività a maggiore complessità e coinvolgimento. In funzione del grado di
automazione previsto, tali attività possono andare dall’esecuzione di operazioni manuali (come ad es. il
carico‐scarico macchina, l’avvio dei cicli di produzione con comandi a presenza, l’imballaggio) fino a tutte le
attività di pianificazione della produzione o di analisi e miglioramento delle prestazioni.
Avendo macchine intelligenti e attrezzature in grado di rilevare, segnalare e identificare le anomalie, non
c’è più bisogno di assegnare unità del personale al controllo di processo per il 100% del tempo. Invece, ogni
membro di un team di lavoro può coprire più macchine o svolgere altre attività durante l’operatività della
macchina stessa. Il management aziendale può così spostare gruppi di addetti attraverso le varie linee in
funzione del mix in produzione. Questa differenziazione tra lavoro umano e lavoro macchina, insieme a
sistemi retributivi che premiano la flessibilità, contribuisce a generare la capacità necessaria a rispondere ai
cambiamenti nella domanda dei clienti.
Figura 3 – Andon board
4. JUST‐IN‐TIME
La filosofia del Just‐in‐Time recita:
“Produrre e consegnare solo le parti necessarie, al tempo necessario, nella quantità necessaria con il
minimo delle risorse”
Idealmente, il numero richiesto di parti viene prodotto e spedito immediatamente a valle della ricezione
dell’ordine del cliente. Processi e fornitori a monte generano esattamente l'appropriata quantità di
componenti quando il processo a valle ne ha bisogno. In questa situazione non c'è necessità di magazzini.
In termini pratici, eliminare tutte le scorte e il work in process è impossibile. La chiave per l'efficienza di
produzione è invece la continua riduzione della loro quantità nel sistema. Vi è una tendenza generale a
reagire ai problemi accumulando scorte sulla base di una stima dei difetti di qualità, dei guasti alle
attrezzature, dell’assenteismo del personale o della variazione della domanda rispetto alle previsioni. Il TPS,
tuttavia, si oppone all’incremento dei magazzini per contrastare questi problemi. Mantenere stock in
eccesso nasconde o minimizza i vari problemi di produzione, rendendo impossibile creare una
configurazione stabile nel lungo periodo. Scorte utilizzate per compensare le soste dovute a difetti o
anomalie nascondono la natura dei problemi, la necessità di prevenirne il ripetersi o di dover incrementare
la velocità di produzione. La produzione Just‐in‐Time aiuta a identificare le opportunità di perfezionare i
processi invece di creare spazio per magazzini. Al limite, si elimina anche lo spazio dedicato ai magazzini, in
maniera tale che il prodotto sia sempre in movimento e tutto il tempo a disposizione sia dedicato ad
attività a valore aggiunto.
Il primo obiettivo da raggiungere è quindi ridurre la variabilità (intesa come deviazione dalle condizioni
ottime di processo) proveniente sia da fonti interne che esterne, pur considerando che questa è un aspetto
intrinseco ed ineliminabile di ogni attività, spesso inatteso. Riducendo il numero di scorte (Figura 4) si
evidenziano tutte le forme di variabilità, si espongono i problemi e si spinge l’organizzazione ad operare il
più possibile senza errori fino al limite di zero difetti e zero scorte.
Figura 4 – Just‐in‐Time e variabilità
4.1 Eliminazione degli sprechi (Lean Thinking)
La forza trainante del TPS è l'eliminazione degli sprechi, volta a migliorare la qualità, ridurre i costi,
aumentare la produttività, la sicurezza e sviluppare l’ambiente di lavoro, incrementando la soddisfazione
degli stakeholder. Nel promuovere il TPS e il concetto di miglioramento continuo è necessario comprendere
che gli sprechi sono relativi a tutti gli elementi e i fattori che non aggiungono valore a prodotti, processi e
servizi. Per ridurre i costi e mantenere continui profitti è quindi necessario un impegno costante del
personale che ricerca modi per migliorare continuamente, non solo in termini di piano di produzione.
“I migliori metodi di oggi un giorno saranno fuori moda. Anche se la nostra filosofia resta costante, i nostri
metodi saranno continuamente migliorati.”
Il primo modo per ridurre i costi è quello di produrre, in modo tempestivo, solo i prodotti che sono stati
venduti ed eliminare tutti gli sprechi attraverso le fasi che vanno dall'inizio della progettazione fino alla
produzione e alle vendite. Il miglioramento continuo si concentra sulla eliminazione dei seguenti tipi di
spreco (Figura 5):
‐ Muri: sovraccarico di persone, equipment o sistemi per richieste che superano la capacità;
‐ Mura: risorse che vengono impegnate in maniera non prevedibile quando le prestazioni di processo
sono soggette ad elevata variabilità;
‐ Muda: azioni a non‐valore aggiunto ma per qualche motivo ritenute necessarie (muda di tipo 1) o
non necessarie (muda di tipo 2).
Figura 5 – Fonti di spreco
I Muda identificano sette principali tipologie di sprechi:
‐ Scarti e rilavorazioni: sono il risultato di scarsa qualità interna. Gli scarti presentano un impatto
evidente in diverse aree, dalla perdita economica relativa alla mancata vendita, allo spreco
associato alla produzione, al trasporto, al mantenimento in giacenza, allo spostamento e alla
eliminazione della parte difettosa. La produzione di prodotti difettosi che richiedono rilavorazioni
aggiunge invece costi per manodopera supplementare, materiali, impianti e trasporti, rischiando
comunque ulteriori difetti o di dover consegnare ai clienti un prodotto di qualità ridotta.
‐ Sovrapproduzione: è generata in due modalità, producendo troppo o producendo troppo presto.
Inoltre, la sovrapproduzione tende a far aumentare gli sprechi perché nasconde i problemi che si
generano sotto uno strato di scorte. Sprechi da sovrapproduzione sono relativi a materiali o parti
non necessarie, compresi gli imballaggi, all’aumento dei sistemi di produzione e trasporto,
all’incremento delle scorte, delle ore di lavoro per il controllo del magazzino e dello spazio di
magazzino dedicato allo stoccaggio. I fattori principali che generano tali sprechi sono legati al senso
di insicurezza nei confronti di guasti, difetti e assenteismo, da aumenti del tasso di produttività
apparente combinati con l’idea che interruzioni di linea o bassi livelli di saturazione rappresentino
inefficienza.
‐ Attese: il tempo è una risorsa limitata e il tempo è denaro. Le esigenze del cliente sono calcolabili al
secondo. Qualsiasi attesa a causa di guasti, cambi formato, ritardi, layout inadeguato o sequenza di
lavoro inutile deve essere eliminata. Una manutenzione preventiva accurata e rapidi cambi formato
sono essenziali per la competitività globale, proprio in ottica di riduzione dei tempi di processo.
‐ Trasporti: progettazione di infrastrutture e layout inefficienti generano trasferimenti di prodotti,
materiali e persone oltre il necessario. I trasporti possono contribuire alla creazione di scorte nel
momento in cui il flusso dei materiali viene regolato sulla capacità dei sistemi di trasporto e non
sulle effettive esigenze, spingendo in avanti quanto non occorre, complicando il controllo sulla
quantità prodotta e rallentando le informazioni di ritorno sulla qualità. Inoltre, come per i sistemi di
produzione, i sistemi di trasporto rappresentano un costo di investimento e sono soggetti a guasti. I
materiali dovrebbero, invece, avanzare da una posizione alla successiva il più rapidamente
possibile, senza fermarsi in un luogo di stoccaggio intermedio. Le aree di consegna dovrebbero
essere vicino alla fine del processo di produzione. Le unità di supporto (controllo, manutenzione,
etc.) dovrebbero essere posizionate in prossimità dei team di lavoro.
‐ Processi: eccessive fasi di processo sono dispendiose quanto fasi di processo insufficienti. Una
lavorazione per portare ad un livello di tolleranza del decimillimetro una parte che richiede una
precisione del millimetro è una perdita di tempo e di energia. Il personale deve imparare a
identificare gli sprechi di processo, senza spendere più tempo o sforzo di quanto sia necessario.
‐ Scorte: un flusso di lavoro regolare e continuo in ciascuno dei processi assicura che le quantità di
scorte siano ridotte al minimo. Se si sviluppa work in process a causa di capacità differenti
all'interno della linea, tutti gli sforzi devono essere mirati al bilanciamento. Le scorte sono
strettamente legate ai loro costi di immobilizzo e gestione, oltre che a processi di movimentazione
e controllo.
‐ Movimentazioni: movimenti sprecati occupano tempo ed energia. Idealmente, tutte le azioni non
necessarie devono essere eliminate dal processo produttivo. Gran parte di questi movimenti inutili
è spesso trascurata perché è ormai diventata parte integrante del processo. I processi devono
essere concepiti in modo che gli elementi minimi siano in sequenza diretta, eliminando attività
quali ad esempio “sollevamento” o “riposizionamento”, sfruttando vantaggi ergonomici.
4.2 Sistema Pull
Nei sistemi di produzione convenzionali (sistemi push), i componenti vengono prodotti seguendo un
programma e consegnati ai processi successivi anche se non ancora necessari. Ogni stazione di lavoro
massimizza il proprio output, mantenendo il focus sul livello di utilizzazione di macchine e personale
piuttosto che sull’uso efficiente di materiali. In questo caso il tempo di attraversamento aumenta
all'aumentare work in process (legge di Little), si possono generare difetti, colli di bottiglia e rimanenze di
prodotti finiti e risulta difficile rispondere a ordini speciali o a modifiche di ordini.
Il sistema pull elimina la sotto o sovra produzione limitandosi a lavorare solo i componenti richiesti dal
processo a valle (Figura 6). La linea di produzione è controllata dall'ultima operazione e il work in process è
regolato da kanban. In questa maniera, si determina il wip massimo (e il relativo tempo di attraversamento)
e si elimina l’accumulo al collo di bottiglia, tenendo i materiali occupati, non gli operatori. Il personale è
attivo solo quando vi è un segnale di produzione. Se sorge un problema, questo non rallenta l’intera linea
(come per il sistema push) e si riducono le opportunità di creare difetti, aumentando la reattività nel
momento in cui si dovessero generare.
Figura 6 – Sistemi push e pull
Affinché i processi a monte possano produrre la quantità necessaria, devono essere predisposte risorse in
grado di produrre Just‐in‐Time. Se la richiesta del processo a valle è irregolare nella quantità e nel tempo, il
processo a monte deve proporzionalmente aumentare o diminuire i propri output per compensare
l'irregolarità. Un distributore automatico è un buon esempio di sistema pull: il cliente richiede gli elementi
necessari, nella quantità necessaria, al tempo necessario mentre il fornitore sostituisce solo tali elementi
prelevati dal cliente. In questo caso, la giacenza risulta predeterminata e con l’unica funzione di coprire la
domanda durante il tempo di ripristino.
4.3 Kanban
Il kanban è un sistema visivo (un cartellino, un segnale, un’area, una bandierina, etc.) che trasmette una
serie di istruzioni comunicando informazioni sui materiali da approvvigionare o i componenti da produrre.
Esempio tipico di kanban è un supporto cartaceo (Figura 7) che accompagna un’unità di carico (ad es. un
contenitore o un pallet) e che segnala un numero di identificazione, un numero di componente, una
descrizione del componente, un punto di destinazione e il numero di componenti contenuti nell’unità di
carico.
Figura 7 – Esempio di kanban card
La sua funzione principale è quella di tirare il flusso di materiali lungo il processo, mantenendo la disciplina
pull e autorizzando le operazioni di produzione o prelievo attraverso un sistema che controlla direttamente
la dimensione del wip. Ad esempio, quando una stazione inizia a lavorare su un nuovo contenitore, il
kanban del contenitore viene esposto su un bordo visibile, diventando di fatto un ordine di lavoro per la
stazione precedente. In questa maniera è il processo a valle che mette in azione quello a monte per
produrre solo la quantità richiesta (numero e sequenza), livellare i carichi di produzione e razionalizzare il
processo. In un sistema Just‐in‐Time già stabilizzato, con piccoli lotti di produzione, brevi tempi di setup e
breve tempo di attraversamento, il kanban è un mezzo di fine tuning per migliorare il processo:
‐ definendo le priorità e evitando sovrapposizioni;
‐ rendendo immediatamente evidenti i problemi di qualità, limitati al massimo alla dimensione
dell’unità di carico.
La Figura 8 presenta il flusso di eventi relativo ad un sistema kanban caratteristico:
1. il cliente preleva il prodotto dallo scaffale;
2. alla cassa, i kanban di movimentazione vengono staccati dai prodotti e sistemati nel contenitore di
raccolta kanban;
3. i kanban vengono inviati al magazzino e qui applicati ai prodotti pronti per il ripristino agli scaffali;
4. i kanban di produzione, staccati dai prodotti assegnati al ripristino, vengono sistemati in un
secondo punto di raccolta;
5. i prodotti di ripristino vengono inviati alle posizioni relative sugli scaffali;
6. i kanban di produzione nel raccoglitore vengono inviati al fornitore dove andranno a costituire
l’ordine di produzione;
7. i kanban vengono posizionati sui nuovi prodotti finiti;
8. i prodotti finiti sono spediti al magazzino.
Figura 8 – Modello supermarket
Il numero di kanban necessario per abilitare il modello supermarket è pari a:
#
à
Ad esempio:
d = 150 bottiglie / ora
L = 30 minuti = 0,5 ore
SS = 0,10 (d*L) = 7,5 bottiglie
C = 25 bottiglie per contenitore
150 ∗ 0,5 7,5
3,3
25
Arrotondando a 4 si rende possibile assorbire del ritardo mentre a 3 si spinge il processo di
approvvigionamento verso il miglioramento.
5. HEIJUNKA (Livellamento della Produzione)
Il livellamento della produzione è l’operazione attraverso la quale si mediano il mix e il volume di prodotti
in un dato intervallo tempo. La linea di assemblaggio finale deve essere capace di realizzare tutti i diversi
modelli in sequenza continua, limitando le variazioni nella pianificazione della produzione per allinearsi alle
differenti richieste dei clienti. Per sfruttare i vantaggi di piccole richieste incrementali di produzione è
necessario un incremento nella frequenza dei cambi formato e una riduzione della dimensione dei lotti e
del work in process (Figura 9).
Una domanda di 100 unità al giorno può essere prodotta in lotti da 1.000, una volta ogni 10 giorni (con una
giacenza media di 500 unità) o può essere prodotta Just‐in‐Time nella dimensione di 100 unità al giorno
(con una giacenza media di 50). I benefici diretti della dimensione più piccola sono:
‐ il capitale immobilizzato in scorte è drasticamente diminuito;
‐ lo spazio di magazzino necessario per immagazzinare materiali e parti si riduce;
‐ migliora la capacità di rispondere ai problemi di produzione con maggiori opportunità di intervento;
‐ si riduce la potenziale produzione di grandi quantità di pezzi difettosi in quanto ogni singolo difetto
può essere individuato e le relative cause possono essere risolte;
L’obiettivo del Just‐in‐Time è raggiungere la dimensione ideale di lotto unitario, rendendolo possibile sia
tecnologicamente sia economicamente.
Figura 9 – Effetti della riduzione dei lotti
Se la produzione è monoprodotto, sarà possibile livellare solo la quantità mentre, nel caso multiprodotto, il
livellamento del mix permette di evitare gli sprechi e le riduzioni di efficienza. Il livellamento del mix (Figura
10) mantiene costante il rapporto quantitativo della produzione richiesta per ogni serie di prodotti. Ad
esempio, se il rapporto tra i prodotti A, B e C è 2:1:1, sarà prodotta consecutivamente la sequenza A, A, B,
C, A, A, B, C ... e così via.
Figura 10 – Livellamento del mix produttivo
Una produzione effettuata in questa maniera permette di richiedere le parti ai processi a monte senza
causare alcuna fluttuazione nella quantità e nelle tipologie, senza alcuna necessità di ulteriori attività,
manodopera o attrezzature.
5.1 Takt Time
Il livellamento della quantità di produzione richiede che ogni prodotto sia fabbricato in un determinato
numero di minuti e secondi, in accordo alla quantità media richiesta dal cliente. Questo tempo è chiamato
takt time e viene calcolato utilizzando le seguenti informazioni:
‐ il tempo a disposizione per la produzione in un dato intervallo di tempo;
‐ le richieste dei clienti nello stesso intervallo di tempo.
Ad esempio, un’area di montaggio deve produrre 2.500 unità di prodotto A e 17.500 unità di prodotto B in
un mese. L'area di lavoro è programmata su due turni di otto ore con una pausa di mattina di 10 minuti,
una pausa pranzo di 20 minuti e una pausa pomeridiana di 10 minuti.
Il primo passo per calcolare il takt time è stabilire le richieste dei clienti per turno. Se la richiesta è un totale
di 20.000 unità per il mese e si considerano 20 giorni lavorativi al mese, la richiesta per turno è di 20.000
unità / 20 giorni / 2 turni = 500 unità per turno. Il secondo passo è quello di determinare il tempo per turno
disponibile per la produzione. Considerando 8 ore o 480 minuti e sottraendo 20 minuti per le pause e 20
minuti per il pranzo, il tempo a disposizione è di 440 minuti (26.400 secondi). Una volta che le richieste del
cliente e il tempo disponibile sono stati calcolati, è possibile determinare il takt time:
26.400 /
52,8 /
500 /
Il takt time diventa quindi uno strumento per regolare gli impianti di produzione facendo riferimento alle
effettive richieste dei clienti, indipendentemente dalla capacità produttiva e dalla potenzialità di mix a
disposizione. Come si utilizza? La Figura 11 presenta una linea sbilanciata: maggiore è l’area tratteggiata,
maggiore è lo sbilanciamento della linea, dove le risorse “più veloci” si devono adeguare a quelle “più
lente”, comportando un basso grado di utilizzazione.
Figura 11 – Linea sbilanciata
Il takt time viene posto come obiettivo e riferimento (Figura 12) per verificare, per ogni operazione, se
esiste capacità produttiva in eccesso o in difetto.
Figura 12 – Linea sbilanciata: introduzione del takt time
Considerando l’O.E.E. con la quale si svolgono le singole fasi di processo, il tempo ciclo della linea può
infatti risultare più elevato e, al limite, può spostarsi il collo di bottiglia. L’aumento del tempo di ciclo della
linea a causa delle perdite di efficienza (in particolar modo della stazione collo di bottiglia) può portare la
linea ad avere problemi nel soddisfare la domanda (Figura 13).
Figura 13 – Linea sbilanciata: introduzione del takt time e valutazione dell’efficienza
Utilizzare il takt time per determinare i volumi di produzione rende più semplice l’organizzazione delle
attrezzature, della manodopera e delle altre risorse.
5.2 Produzione a Flusso Continuo
La produzione a flusso continuo consiste nell’eliminazione della congestione di semilavorati all'interno di un
processo o tra processi al fine di conseguire un flusso sequenziale. Nelle aree di lavoro in cui non è possibile
realizzare un flusso continuo, si vengono a generare notevoli sprechi dato che parti e componenti
accumulati tendono a ridurre la visibilità sulla reale produttività della linea. Nella situazione ideale, ogni
prodotto viaggia da un processo all'altro in maniera consecutiva (Figura 14), permettendo di diminuire il
wip, le relative richieste di spazio, la possibilità di generare difetti e riducendo i tempi di consegna. Tale
principio può essere abilitato attraverso la disposizione delle attrezzature nell’ordine dei processi e di team
di lavoro in cui tutto il personale sia capace di svolgere le diverse attività, rispettandone sequenza e takt
time, potendo operare su vari tipi di macchine e attrezzature oltre quelle di cui sono direttamente
responsabili.
Tuttavia, alcuni processi saranno sempre realizzati in lotti (alcuni esempi in Toyota includono stampaggio,
verniciatura, pressofusione e rettifica). Questi processi devono cercare di tendere comunque verso il flusso
continuo, mantenendo la dimensione del lotto più piccola possibile e riducendo i tempi di set‐up delle
macchine, eliminando regolazioni e cambi di attrezzature.
Figura 14 – Lotti vs. flusso continuo
Tale configurazione deve essere accompagnata da una programmazione non a saturazione che consenta di
rispettare la produzione giornaliera richiesta e renda possibile fermare la linea quando sorgono problemi.
Rispetto ad una linea tradizionale, in cui la capacità produttiva tende ad essere saturata e la capacità in
eccesso è prevista solo in casi particolari, la produzione a flusso continuo deve essere dimensionata per
assorbire tutte le possibili variazioni di domanda. In caso di modifiche significative al programma di
produzione o eventuali fermate per difetti e anomalie, è possibile sfruttare capacità residua ed incrementi
di velocità senza riduzioni di qualità.
5.3 Group Technology e Cell Production
I sistemi produttivi job‐shop (Figura 15) tendono ad utilizzare ampi spazi per attrezzature, utensili, wip e
magazzini tra i vari reparti, richiedendo mezzi automatizzati o semi automatizzati per la loro
movimentazione (trasportatori, carrelli elevatori), occupando ancora più spazio.
Figura 15 – Sistema job shop
In un approccio Just‐in‐Time, le stazioni di lavoro vengono avvicinate il più possibile in modo che le parti
possano essere effettivamente consegnate, anche manualmente, da un lavoratore o macchina all'altra
senza bisogno di immagazzinamento intermedio. Macchine differenti e specializzate, con bassa capacità
produttiva, vengono quindi raggruppate in cellule (Figura 16) capaci di produrre famiglie di prodotti
differenziati, in cui i flussi di lavoro risultano unidirezionali e i tempi ciclo adattati di volta in volta ai
differenti percorsi svolti.
Figura 16 – Group technology
L’utilizzo di produzione a cellule, con layout a U (Figura 17) e unico punto di ingresso ed uscita di materiale,
abilita la riduzione dei lotti di produzione, riduce al minimo le movimentazioni e aumenta l’interazione e il
coinvolgimento del personale, sviluppandone anche le competenze. Tale configurazione, infatti, consente
ad ogni addetto di seguire più macchine contemporaneamente, anche non sequenziali, favorendo la
rotazione nelle mansioni.
Figura 17 – Cell production
5.4 Ruolo del set‐up
Ogni volta che si cambia la tipologia di prodotto, la linea di produzione deve essere riconfigurata e riavviata.
Nei sistemi convenzionali, il set‐up richiede tempi lunghi che possono arrivare fino a ore o giorni mentre,
nel Just‐in‐Time, è necessario limitare i tempi ed i relativi costi delle operazioni di set‐up, regolazione e
cambio formato per abilitare la riduzione dei lotti di produzione, del wip e dell’indisponibilità degli impianti.
Dispositivi piccoli, semplici e multiuso, procedure standard, riconoscimento di configurazioni simili,
sequenziamento per famiglie di prodotto, addestramento e autonomia del personale sono tutte azioni che
contribuiscono a limitare le perdite di capacità dovute a questo tipo di operazioni. Modificando macchine
utensili commerciali o sviluppandole internamente solo per gli usi particolari cui sono destinate, è possibile
limitare drasticamente il tempo di set‐up (single set‐up, one touch set‐up) e raggiungere l’obiettivo di lotti
unitari (Figura 18).
Figura 18 – Set‐up e riduzione dei lotti
Le tecniche SMED sono alla base delle logiche e degli obiettivi del Just‐in‐Time e dell’Heijunka. L’acronimo
di Single‐Minute Exchange of Die esprime proprio il concetto di riuscire ad effettuare il riattrezzaggio
impiegando un totale massimo di minuti ad una sola cifra (9’59’’): dove Single sta per single‐digit ed
Exchange of Die è il cambio stampo, inteso come rappresentativo di tutti i tipi di attrezzaggio. Per poter
procedere con queste tecniche, è necessario identificare preliminarmente:
‐ set‐up interni, svolti all’interno della macchina o quando la macchina è ferma, come sostituzione di
equipment (ad es. stampi), rimuovendo l’attrezzatura da sostituire per poi posizionare e serrare la
nuova attrezzatura;
‐ set‐up esterni, svolti all’esterno della macchina o con macchina in movimento, come trasporti di
attrezzature e materiali verso la macchina, preparazione di documentazione e strumenti di
controllo, etc.
Il processo in Figura 19 rappresenta il percorso di miglioramento dello SMED. Per passare dalla fase 1 alla
fase 2, gli investimenti sono relativamente contenuti e permettono un significativo risparmio di tempi e
costi. Essenzialmente, consistono in un insieme di interventi procedurali e di formazione sul personale in
maniera che siano avvertiti per tempo ed eseguano le attività esterne prima che si rendano necessarie. Per
passare alle fasi 3 e 4 è invece necessario agire, anche in maniera progettuale, sulle attrezzature e sulla
standardizzazione di processi, richiedendo investimenti in hardware con un sempre più limitato risparmio di
tempi e costi. Lo SMED di fatto di fatto si configura come un piano logaritmico di riduzione degli sprechi di
set‐up (Figura 20).
Figura 19 – Percorso SMED
Figura 20 – Piano di miglioramento SMED
5.5 Affidabilità dell’equipment
Quando ogni processo riceve parti e componenti Just‐in‐Time, non c’è alcun bisogno di mantenere scorte.
Tuttavia, quali possono essere adeguate contromisure se le macchine si rompono o la frequenza operativa
si abbassa, con un relativo calo di produzione, o se i difetti di qualità si verificano frequentemente? Il TPS
pone una forte attenzione sulla manutenzione come strumento di miglioramento, per prevenire guasti e
difetti, impedendo il loro ripetersi. Manutenzione e riparazione non devono essere sinonimi: la
manutenzione deve concentrarsi sull’eliminazione di tutte le cause alla radice dei problemi dell’equipment
così da eliminare le riparazioni e generare maggior valore.
La manutenzione preventiva è la chiave per sviluppare questo approccio, attraverso un sistema di ispezioni
e semplici attività periodiche mirate a mantenere la produttività delle linee, evitando guasti e
malfunzionamenti. L’operatore stesso, giornalmente, esegue tali attività in qualità di massimo conoscitore
delle macchine su cui lavora e di responsabile della qualità di prodotto, registrandone i risultati per
orientare apprendimento e miglioramento continuo.
Il Total Productive Maintenance combina i principi della manutenzione preventiva con il Total Quality
Management per massimizzare l’affidabilità delle macchine fino al livello di zero guasti e zero difetti.
Diffondendo la cultura del “maintenance is free” (ogni attività di manutenzione si ripaga attraverso i costi
evitati di fermo machina) ed estendendo il sistema di manutenzione lungo tutto il ciclo di vita
dell’equipment è possibile raggiungere tali obiettivi. Tutte le strutture aziendali risultano quindi impegnate
sul problema impiantistico e tecnologico, espandendo in orizzontale e in verticale le responsabilità di
manutenzione:
‐ alla progettazione di prodotti facilmente realizzabili con gli impianti esistenti, senza stressarne le
richieste di prestazioni (qualità e tempo) in maniera da non incrementarne guasti e/o difetti;
‐ alla progettazione di macchinari semplici da usare nelle fasi di produzione, cambio formato e
manutenzione e che massimizzano il loro potenziale produttivo (l’affidabilità risulta prioritaria
rispetto alle funzionalità).
Tutto il personale viene coinvolto nel processo attraverso formazione continua per poter intervenire
autonomamente sulla propria postazione di lavoro mentre la funzione manutenzione conserva il compito di
ripristinare le macchine a seguito di anomalie gravi e di identificare i punti critici per attivarne la rimozione.
6. KAIZEN
L’essenza del kaizen è semplice e diretta: kaizen è la parola giapponese per “miglioramento continuo”. Si
tratta di una strategia manageriale che incoraggia piccoli miglioramenti giorno dopo giorno, in maniera
continua, basandosi sul principio che “l'energia viene dal basso”, ovvero sulla comprensione che il risultato
in un'impresa non viene raggiunto se non grazie a un management che si estende fino alle attività
operative. L’aspetto più importante per abilitare il processo di miglioramento è mirare a un coinvolgimento
totale di tutte le risorse e di tutte le professionalità aziendali nel comune scopo di rendere sempre più a
misura d’uomo il lavoro, incoraggiando le singole persone ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti in
quanto ogni idea di progresso viene presa in considerazione. I miglioramenti sono il risultato di innovazioni
incrementali che risolvono piccoli problemi quotidiani, senza grandi investimenti in risorse e principalmente
orientati ai metodi di lavoro piuttosto che a impianti o attrezzature. Tale approccio si pone in antitesi con le
logiche del miglioramento radicale, direttamente riconducibili a innovazioni tecnologiche, tipiche del
Business Process Reengineering: il kaizen è graduale e procede per piccoli passi, attraverso un processo
lento ma costante e inarrestabile, il BPR si configura come completa rottura con il passato e comporta
cambiamenti di entità significativa anche sul piano della cultura aziendale.
La forza che spinge ad applicare il kaizen è l’insoddisfazione per la situazione esistente. La chiave del suo
successo risiede nella capacità del top management di coinvolgere e incoraggiare tutto il personale a
generare suggerimenti (participative management), assicurandone un’implementazione immediata e
innescando un circolo virtuoso:
‐ orientato al problem solving per identificare gli sprechi ed eliminarli attraverso una logica PDCA
(Plan – Do – Check – Act), tipica delle metodologie di miglioramento come ad esempio il DMAIC;
‐ capace di misurare per dimensionare l’entità dei problemi e gli effetti dei miglioramenti,
abbandonando l’approccio try & test;
‐ con approccio sistemico, per valutare l’impatto degli interventi su tutti i processi e le prestazioni,
non solo quelle direttamente correlate.
6.1 Kaizen Event
Il kaizen event è una azione concentrata in breve tempo in cui vengono rinnovati in azienda i principi della
filosofia kaizen: un kaizen team, formato da persone selezionate tra chi ha responsabilità operative sulla
produzione, prende in analisi un’area limitata dello stabilimento, analizza criticamente il processo e
progetta uno o più interventi di miglioramento, di economica e rapida implementazione. Il kaizen event
viene ripetuto più volte ogni anno, su diversi processi, con diversi kaizen team e può avere più o meno
successo a seconda dell’entusiasmo con cui ogni persona apporterà contributi costruttivi all’iniziativa.
Le aree da prendere in considerazione possono presentare diverse tipologie di problemi, in cui si
individuano colli di bottiglia e ritardi, i flussi di materiali o informazioni sono disordinati e mal gestiti o si
riscontrano le peggiori performance in termini di qualità. Una volta identificato il perimetro e l’ambito di
intervento (riduzione del lead time, aumento della produttività, miglioramento della qualità), il kaizen team
deve concentrare i propri sforzi nell’analisi dell’oggetto dello studio, raccogliendo le informazioni
necessarie al fine di comprendere come intervenire. Il team deve procedere all’individuazione degli
obiettivi del processo e delle operazioni a valore aggiunto associate a ognuna delle sue fasi, delle cause di
spreco e di inefficienza, raccogliendo queste informazioni in una value stream map. Gli spunti di
miglioramento ritenuti migliori, identificati attraverso tecniche di brainstorming, seguiranno un iter di
sperimentazione e, in caso di esito positivo, di implementazione. La fase di change management, o fase di
follow‐up, assicura che i cambiamenti apportati vengano recepiti e standardizzati nelle quotidiane pratiche
aziendali. I membri del team continuano a misurare regolarmente le nuove performance di processo, con
uno schema ciclico, per l’identificazione di ulteriori modifiche migliorative, così da sostenere i cambiamenti
in maniera continua ed efficace.
6.2 Kaizen team
I kaizen team sono il nucleo operativo che permette il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento e di
eliminazione degli sprechi. Normalmente sono composti di 5‐8 membri che comprendono personale
specializzato nel processo in analisi, uno o due risorse di altre aree, un esperto del processo a valle o a
monte e un manager/supervisore, generalmente al di fuori dell’area di intervento.
La scelta del team leader determina il grado di successo del progetto, nel momento in cui:
‐ è un facilitatore, non un risolutore;
‐ non ha le risposte, ha il metodo;
‐ riesce a mantenere il team nella giusta attitudine (coaching);
‐ è fermamente convinto che il kaizen event abbia la massima priorità;
‐ lavora sulla linea, non dirige il team seduto in ufficio;
‐ non è dittatoriale né critico: participative management;
‐ non è distruttivo né vincolante: pensiero‐opportunità.
L’enfasi è posta dal team principalmente sul rinnovamento delle pratiche di lavoro. La differenza con altre
tipologie di team di lavoro risiede nella rapidità di esecuzione: la loro esistenza varia mediamente tra i 3 e i
5 giorni ed è focalizzata su un ambito particolarmente ristretto, la cui analisi deve essere espletata con
l’ausilio di strumenti semplici e intuitivi. I principi guida del team possono essere riassunti di seguito:
‐ non esiste gerarchia nel team: una persona, un voto;
‐ esiste rispetto tra le persone e si evitano le critiche
‐ si mantiene un positivo atteggiamento di apertura mentale;
‐ si è predisposti al cambiamento, con approccio propositivo, sperimentando nuove soluzioni;
‐ pianificare ha senso solo se i piani sono realizzabili;
‐ volontà, impegno e disciplina guidano le azioni: tra il dire ed il fare non c’è di mezzo nulla.
Solitamente uno o due membri del team hanno buone capacità analitiche così da guidare le fasi di raccolta
e analisi dei dati del kaizen package:
‐ layout dello stabilimento e della event area;
‐ diagrammi di processo e diagrammi di flusso;
‐ elenco dello staff e del personale di supporto;
‐ numero medio di set‐up al giorno e tempi medi di set‐up;
‐ mix produttivo e volumi di produzione dell’anno;
‐ tempi ciclo e takt time attuale;
‐ requisiti del cliente;
‐ requisiti/problemi/regolamenti di sicurezza;
‐ lista dei problemi attuali;
‐ altri progetti di miglioramento in essere o in partenza;
‐ calendario della settimana.
7. STANDARDIZZAZIONE
La standardizzazione è un ingrediente fondamentale per il TPS. La coerenza a metodi stabiliti è un elemento
critico per limitare le fonti di variabilità di processo, eliminare la discrezionalità (e la relativa possibilità di
compiere errori) del lavoro umano e raggiungere una produzione efficiente in modo tempestivo. Il principio
si sostanzia ed estende a tutte le attività aziendali per sostenere i pilastri del Jidoka e il Just‐in‐Time:
a livello di impianto:
‐ nella progettazione di equipment modulari per permettere una rapida attività di manutenzione e di
set‐up;
‐ nella progettazione di layout modulari per permettere ai team di lavoro di spostarsi insieme alle
attrezzature di cui hanno bisogno;
‐ nell’utilizzo di piccole macchine che possono essere spostate facilmente, da cella a cella e in
funzione delle differenti necessità, per rispondere alla domanda;
‐ in sistemi ad architettura aperta che permettono di utilizzare attrezzature diverse su diverse
postazioni di lavoro;
‐ nel postponement, ovvero nel mantenere standard le prime fasi di processo per prodotti differenti,
rimandando la differenziazione il più possibile, in maniera tale da avere a disposizione semilavorati
comuni che possono servire a differenti scopi;
a livello di documentazione e processo:
‐ negli Standardized Work Chart, documenti focalizzati sulla ripetitività dei movimenti umani per
combinare gli elementi di lavoro in una sequenza efficace, senza sprechi. Lo Standardized Work
Chart svolge il ruolo sia di istruzione operativa sia di controllo visivo per manager e responsabili, in
modo da determinare facilmente se esiste un problema nella postazione di lavoro e come
strumento per il miglioramento continuo;
‐ nei Quality Check Sheet, documenti che definiscono i controlli qualità che devono essere eseguiti
sulle postazioni di lavoro. Forniscono istruzioni su quali caratteristiche devono essere verificate,
sulle richieste specifiche da soddisfare, su metodi e strumenti di controllo utilizzati, su dove
vengono registrati i dati, sulla frequenza del controllo e su cosa l'ispettore deve fare in caso di
problema;
a livello di prodotto:
‐ nella riduzione del numero di parti e dei materiali di cui è composto, per semplificare gli acquisti, i
controlli, la movimentazione e le stesse fasi di processo, incrementandone così la velocità e
riducendo tempi e costi di produzione e formazione del personale;
‐ nell’introduzione di caratteristiche che aiutano l’assemblaggio, come ad esempio parti
asimmetriche che possono essere assemblate in un solo senso;
‐ nell’introduzione di maggiori funzionalità (anche ridondanti) sulle parti centrali, comuni a più
prodotti, per permettere di incrementare la varietà di gamma, senza incrementarne la complessità,
aggiungendo componenti periferiche;
‐ nella progettazione modulare che permette la sostituzione delle parti e componenti durante tutto il
ciclo di vita.
7.1 5S
Le 5S sono un programma continuo di attività che coinvolge tutto lo stabilimento, attivando il
miglioramento continuo e focalizzandosi sul controllo a vista dei problemi. I suoi obiettivi principali sono:
‐ eliminare lo sporco, il superfluo e la confusione presenti nell’unità per rendere visibili anche i più
piccoli problemi e velocizzare le azioni;
‐ organizzare e razionalizzare le linee ed il posto di lavoro per facilitare le attività;
‐ mantenere e migliorare gli standard di pulizia acquisti per rendere più semplice e trasparente la
gestione.
Tali obiettivi possono essere raggiunti attraversi un programma ciclico di azioni:
‐ Seiri (separare ‐ sort): eliminare dal posto di lavoro il superfluo e richiedere solo quanto necessario,
distinguendo tutto ciò che serve da ciò che non serve. Questa attività si realizza attraverso metodi
visuali, come ad esempio il red tagging: un’etichetta rossa viene posta su ogni oggetto che non
viene utilizzato per completare il lavoro e questi oggetti vengono quindi spostati, sistemati in
un’area centrale di stoccaggio o eventualmente eliminati. In questa maniera, si libera spazio sul
posto di lavoro, si eliminano oggetti inutilizzati o danneggiati o obsoleti e si previene la mentalità
just in case.
‐ Seiton (organizzare ‐ straighten): ricercare una modalità di collocazione degli oggetti in modo da
soddisfare sicurezza, qualità, efficienza. Tutto deve essere a vista, facilmente raggiungibile, e deve
valere il principio «ogni cosa a suo posto, un posto per ogni cosa». Delimitando gli spazi (aree
destinate ad ogni funzione) e identificando i sistemi di collocazione (armadi, cabinet, contenitori
modulari, shadow board, ecc.) si dispongono gli oggetti per una facile ed immediata reperibilità.
‐ Seiso (pulire ‐ shine): tenere pulito il posto di lavoro e, dopo la pulizia iniziale, eliminare le fonti
dello sporco (polvere, sfridi, carte, ecc.), rendendo la postazione di lavoro costantemente pulita,
trasformando tale attività in un’occasione di controllo: l’ispezione permette di individuare
facilmente i problemi e di conoscere meglio il macchinario.
‐ Seiketsu (standardizzare ‐ standardize): definire le attività che servono a mantenere nel tempo le
condizioni di organizzazione, ordine e pulizia, adottando misure di controllo a vista, piani di pulizia e
ispezione e check‐list di autovalutazione.
‐ Shitsuke (mantenere ‐ sustain): garantire il mantenimento dello stato raggiunto e rendere le altre S
una pratica quotidiana, cercando di diffondere i risultati raggiunti attraverso l’insegnamento, la
motivazione, l’assistenza e il presidio delle attività.
7.2 Il ruolo dei fornitori
Il ruolo dei fornitori nel TPS viene trasformato passando da “avversario”, con cui negoziare sul prezzo e
livello di prestazioni, mettendolo in competizione con altri fornitori, a “membro del team”, attraverso
accordi di esclusiva e programmi di mutua certificazione. Per raggiungere l’obiettivo di frequenti consegne
Just‐in‐Time di piccoli lotti di dimensione e confezionamento standard, senza sprechi e a costi ridotti, è
necessario istituire rapporti di partnership per eliminare attività non necessarie, ridurre i magazzini interni
e di pipeline, garantendo affidabilità e qualità necessarie.
Il risultato è una supply chain molto ristretta, limitata a pochi agenti posizionati nelle vicinanze, in maniera
tale da abilitare piccole consegne anche differenziate, non a pieno a carico e più volte al giorno. I fornitori
risultano così incoraggiati a diffondere la logica Just‐in‐Time ai loro subfornitori per livellare e stabilizzare i
propri processi produttivi attraverso contratti a lungo termine, in cui gli ordini vengono emessi riducendo al
minimo i supporti cartacei ed i pagamenti effettuati periodicamente in maniera cumulata piuttosto che a
ricezione di ogni singolo ordine. La collaborazione permette quindi al cliente di cooperare per determinare
come raggiungere le prestazioni previste a livello contrattuale (qualità, tempi di consegna, etc.) fino a
prendersi in carico la pianificazione di dettaglio, lo scheduling e il routing delle consegne. D’altra parte, il
fornitore garantisce e sfrutta il proprio expertise per supportare i processi di problem solving, comunicare
in maniera tempestiva e partecipare ai programmi di miglioramento e riduzione dei costi.
Le relazioni organizzazione‐fornitore assumono un’importanza strategica poiché:
‐ si riduce la diversificazione e il legame di esclusiva con un solo partner incrementa i rischi di
mercato;
‐ la pianificazione viene effettuata basandosi su rapporti di fiducia e sulle capacità di
un’organizzazione che non necessariamente prevede al suo interno competenze avanzate per
svolgere tale attività;
‐ modifiche a specifiche tecniche, con impatto sulla progettazione, possono andare in conflitto con la
necessità di tempi di approvvigionamento ridotti;
‐ i livelli di qualità sono strettamente legati ai livelli di risorse disponibili (tecnologiche, di processo o
economiche);
‐ la riduzione dei lotti può comportare il trasferimento di costi dall’organizzazione al fornitore.