DEGLI IMPIANTI INDUSTRIALI
LA GESTIONE DELLE SCORTE
(a cura di F. Costantino, G. Di Gravio, M.Tronci)
Sommario
1 Definizione degli asset ..................................................................................................................................... 2
1.1 Il risk pooling ...................................................................................................................................... 3
1.2 Numero e localizzazione dei nodi logistici ......................................................................................... 6
2 Bullwhip effect ............................................................................................. Errore. Il segnalibro non è definito.
2.1 Fattori di amplificazione e metodi di smorzamento ......................................................................... 9
2.2 Effetti e interventi intangibili ........................................................................................................... 15
1
1 L’incertezza e la definizione degli asset
Decisioni a livello strategico determinano quali debbano essere gli asset disponibili sulla rete logistica,
definendo l’apertura o la chiusura di nodi del network, come impianti produttivi, centri di distribuzione, aree
di vendita. Questa valutazione comporta una prima caratterizzazione che identifica, in maniera univoca, il
territorio geografico interessato.
Da questa scelta si passa alla definizione delle risorse per la gestione dei canali di comunicazione e
trasferimento tra i punti di interesse. Si prendono, a livello strategico, anche le decisioni di insourcing o
outsourcing dei processi di trasporto e gestione dei flussi, sia di merci sia di informazioni. e si effettuano
scelte in merito alle immobilizzazioni, come vettori o magazzini, e all’allocazione delle attività produttive
all’interno della rete.
In sintesi, l’ambito strategico stabilisce le caratteristiche macroscopiche del network logistico e l’ambiente in
cui si andrà ad operare.
Questa tipologia di scelte può essere compiuta solo se, a livello di filiera, è stato effettuato uno studio su
elementi quali il mercato da servire, le caratteristiche del prodotto da trasferire ed eventuali strategie
specifiche da implementare. A tale proposito si può citare il caso della catena di fast food McDonald’s, in cui
è stata progettata e realizzata una configurazione logistica grazie alla quale l’approvvigionamento della carne
proviene da paesi con grande offerta di tale materia prima, il suo stoccaggio è eseguito in magazzini dislocati
in tutto il mondo, presso località strategiche rispetto ai mercati serviti e la vendita avviene in una rete con
molti punti di contatto con il cliente, su un principio basato sulla logica dell’assembly‐to‐order.
Definire quali asset costituiscono la rete è un problema che tipicamente deve tener conto, da un lato,
dell’incremento del servizio offerto all’aumentare delle stesse, dall’altro dei maggiori costi da sostenere, sia
di installazione sia di gestione.
Gli ostacoli nel risolvere tale problema sono dati da tutti i livelli di incertezza che coinvolgono
l’organizzazione, in termini di variabilità di mercato clienti, approvvigionamento da fornitori e processi di
produzione, dove il principale fattore di incertezza è costituito dalla difficoltà di previsione della domanda.
In generale si può affermare che in qualsiasi contesto produttivo sussiste il problema di associare
qualitativamente, quantitativamente, temporalmente e da un punto di vista geografico, la richiesta di un
bene alla sua disponibilità generata dall’azienda. Inoltre, tanto più esteso è l’orizzonte di previsione indagato
per queste caratteristiche tanto maggiore è la sua incertezza.
Partendo da questi principi si introducono concetti fondamentali per individuare il corretto numero di risorse,
andando ad analizzare i vantaggi legati all’aggregazione di previsioni e rischi.
La logica ora presentata è la medesima che permette di ottenere vantaggi riducendo il numero e la tipologia
di componenti utilizzati per la realizzazione di un mix produttivo: questo permette di stabilizzare la variabilità,
realizzando un beneficio significativo. Analogamente, si può limitare la possibilità per il cliente finale di
configurare il proprio ordine: se da una parte risulta oggi difficile guadagnare e mantenere quote di mercato
senza offrire al consumatore la facoltà di personalizzare il prodotto, dall’altra una scelta limitata comporta
vantaggi di riduzione del rischio. Ne è un esempio la strategia della Honda, che nel 2000 ha deciso di definire
per la Accord dei “pacchetti” di allestimenti e motorizzazioni, realizzati in base a studi del mercato,
raggiungendo 529 combinazioni possibili, a fronte di un comportamento differente delle altre case
2
automobilistiche (per esempio, per la Mercedes Classe E dello stesso anno erano disponibili 3900
configurazioni diverse). Il minor numero di soluzioni ha portato a una più bassa variabilità e a migliori
previsioni.
La trasposizione di questo effetto sulle scelte di livello strategico, noto in letteratura come risk‐pooling, è
immediata: una politica di aggregazione delle risorse migliora la capacità di risposta alle variazioni del
contesto in cui si opera, di fatto assorbendone le aleatorietà. Di contro, esiste un rovescio della medaglia, e
se andare a condividere infrastrutture e componenti comporta la diminuzione della variabilità e di tutti i costi
necessari per fare fronte ad essa, d’altra parte questo genera un allontanamento dal singolo cliente e dalle
sue specifiche richieste, con il rischio di non soddisfarle pienamente.
1.1 Il risk pooling
I concetti illustrati permettono di classificare le soluzioni secondo due tipologie produttive, Production Plant
Network e Process Plant Network: nel primo tutti i processi necessari a realizzare un bene (o una categoria di
beni) sono presenti in un unico impianto; nel secondo l’azienda decide di sviluppare una strategia di rete in
cui i componenti di un dato prodotto vengono realizzati in impianti differenti e successivamente assemblati,
per ottenere il prodotto finale, nello stesso impianto.
Nella Figura 1 viene presentata questa differenza:
nel process plant network l’impianto 1 si focalizza sulla produzione del componente C1 e l’impianto
2 su quella del componente C2; entrambi gli impianti compiono poi l’assemblaggio dei due
componenti per ottenere il prodotto finito;
nel product plant network, l’impianto 1 e l’impianto 2 producono entrambi i componenti richiesti (C1
e C2).
Figura 1 – Strategie per reti di produzione
Una strategia di product plant network è organizzata per evitare i costi di logistica esterna, a fronte di una
perdita di specializzazione e di economie di scala a livello componente, sfruttate nella rete per processo. In
3
termini temporali, la prima configurazione permette un lead time di produzione ottimizzato rispetto ai tempi
di scarico e movimentazione tra vettore e impresa.
Per effetto del risk pooling, il process plant network permette di limitare l’incertezza sul lato dell’offerta, di
consolidare le scorte di sicurezza e di godere di protezione migliore dalle possibili variazioni della domanda.
Occorre notare, infatti, che la variabilità della domanda impatta sulla strategia logistica poiché condiziona la
struttura di costi: maggiore è la variabilità, maggiori saranno le scorte di sicurezza necessarie a proteggere il
sistema dall’incertezza; maggiore è il numero di magazzini inseriti nel network, maggiore sarà il livello delle
scorte di sicurezza di cui si avrà bisogno.
Per visualizzare tali principi si consideri la Figura 2, in cui è mostrata una rete di trasferimento merci con un
unico impianto che rifornisce dei magazzini regionali i quali, a loro volta, distribuiscono i prodotti ad attori
successivi della catena: il centro di distribuzione 1 invia prodotti ai clienti 1 e 2, rispondendo a una domanda
stocastica con valore medio d1 e d2 e varianza u1 e u2; in maniera analoga, il magazzino 2 serve i clienti 3, 4 e
5, mentre il magazzino 3 rifornisce i clienti 6 e 7.
Figura 2 – Le variabilità nella rete distributiva
Le operazioni svolte presso i magazzini comportano due tipi di costi: il primo, direttamente collegato al
quantitativo medio di merce trattata, è causato dai costi medi di giacenza e dai costi di movimentazione e
gestione degli ordini; il secondo è legato alle scorte di sicurezza e di conseguenza alla deviazione standard
della domanda soddisfatta. Se si analizza questa seconda voce e si considerano costanti sia il livello di servizio
sia il tempo di approvvigionamento, il livello di scorte di sicurezza è dato:
4
nel magazzino 1, da un valore proporzionale a √𝑢 𝑢 ;
nel magazzino 2, da un valore proporzionale a 𝑢 𝑢 𝑢 ;
nel magazzino 3, da un valore proporzionale a 𝑢 𝑢 .
Agendo sul numero di nodi e sull’allocazione dei clienti, è possibile evidenziare i benefici in termini di scorte.
Se il magazzino 1 venisse chiuso e i suoi clienti fossero assegnati al magazzino 2, oltre a eliminare il costo di
installazione (affitto e gestione), le scorte di sicurezza totali associate al magazzino 2 diverrebbero
proporzionali a:
𝑢 𝑢 𝑢 𝑢 𝑢 𝑢 𝑢 𝑢 𝑢 𝑢
che risulta tanto minore quanto più i valori di deviazione standard della domanda si scostano dalla media. Di
contro, occorre gestire tempi di risposta maggiori e costi di trasporto più elevati a causa della necessità di
abilitare percorsi differenziati (ed eventualmente processi di routing).
Per un’organizzazione è quindi necessario valutare, in termini di costi di immobilizzo, la possibilità di
aggregare in un minor numero di centri di distribuzione le scorte della rete. Con una configurazione
centralizzata, infatti, un incremento casuale di domanda di un singolo rivenditore o di un cliente viene
compensato da una possibile riduzione presso altri soggetti. Questo meccanismo fa sì che la quantità di scorte
necessaria a soddisfare tutti gli eventuali incrementi aleatori di domanda, in mercati differenti, sia
ridimensionata dalla bassa probabilità di accadimento simultaneo di tali richieste. La distribuzione
centralizzata riduce quindi sia il valore delle scorte di sicurezza, sia quello delle giacenze medie. Infatti, tutte
le volte che la domanda in un’area è superiore al valore medio e in un’altra area risulta inferiore, i prodotti
originariamente allocati per un mercato possono essere ridestinati ad una altro. I benefici raggiungibili
tramite il risk‐pooling dipendono strettamente dalla correlazione tra mercati e tendono a decrescere, fino ad
annullarsi, quanto più la correlazione tra le varie domande è positiva.
Nei sistemi centralizzati, il vantaggio maggiore si concretizza in caso di elevato coefficiente di variazione della
domanda (rapporto tra la sua deviazione standard e la sua media aritmetica), poiché la riduzione del valore
delle giacenze è ottenuta principalmente attraverso il decremento delle scorte di sicurezza.
Nel panorama descritto, in cui l’aggregazione dei rischi permette la riduzione del numero di infrastrutture e
vantaggi sui costi di immobilizzo, si colloca una strategia logistica necessaria a rispondere eventualità che
risulti impossibile creare scorte sufficienti a soddisfare il cliente. La configurazione del network deve valutare
la possibilità, sempre più diffusa, di condividere delle risorse, per esempio magazzini e centri di distribuzione,
con altre aziende, tramite un accordo di cooperazione per sfruttare benefici congiunti.
La creazione di pooling‐group si basa proprio sul principio di ripartire le incertezze di mercato tra più soggetti,
pronti a sostenersi tramite la disponibilità e il trasferimento delle proprie scorte, con un processo
comunemente indicato come trasbordo laterale delle giacenze. Tale tipologia di collaborazione si realizza
attraverso il trasferimento di prodotti disponibili a magazzino presso un centro di distribuzione, cui non
perviene un corrispettivo valore di domanda, a un altro centro, che con le proprie scorte non riuscirebbe a
soddisfare la quantità richiesta. Questo strumento di gestione è ad esempio utilizzato dalle compagnie
petrolifere che mettono a disposizione una quota parte del carburante dei propri punti di stoccaggio per
5
rifornire le pompe di benzina della concorrenza prive di prodotto. In questo caso, i costi di pooling sono
generalmente più bassi rispetto a quelli relativi alla mancanza di scorte o per consegne urgenti e, poiché il
tempo di trasbordo è minore rispetto al tempo di rifornimento, con esso si è in grado di ridurre
simultaneamente il sistema dei costi totali e aumentare il prezzo pieno ai distributori.
1.2 Numero e localizzazione dei nodi logistici
Le decisioni di localizzazione dei nodi logistici rientrano nell’ambito della programmazione di medio e lungo
periodo e costituiscono una delle fasi fondamentali della progettazione di una rete. Il numero dei centri di
presenti sulla rete, siano essi produttivi, di trasformazione o di immagazzinamento, è strettamente legato al
livello di servizio che si vuole garantire al cliente e ai costi diretti che ne conseguono. Tali scelte devono essere
affrontate sia in caso di realizzazione di un sistema logistico ex novo, sia in caso di riorganizzazione di un
sistema preesistente, ad esempio in occasione dell’immissione sul mercato di nuovi prodotti o servizi, del
ritiro di prodotti obsoleti e della dismissione di servizi non più rispondenti alle esigenze dei clienti.
Le scelte di localizzazione richiedono cospicui investimenti laddove i nodi logistici vadano acquisiti o realizzati,
difficilmente reversibili nel medio e nel breve periodo. Inoltre, prima di procedere occorre condurre un’analisi
che esplori i seguenti aspetti:
• la struttura del territorio che si intende servire, tenendo conto delle caratteristiche dell’area e dei
vincoli su di esso vigenti. Da questa ricerca si seleziona un numero limitato di zone candidate;
• la struttura della domanda, ossia la distribuzione spaziale dei potenziali clienti, che viene discretizzata
così da suddividere il territorio in zone, a ciascuna delle quali `e associata una funzione di domanda;
• la struttura del sistema di trasporti e di comunicazioni disponibili.
L’obiettivo di minimizzazione del costo logistico totale, relativo a un orizzonte temporale prestabilito, può
quindi essere espresso dalla somma dei costi associati alle attività dei nodi, dei costi di trasporto tra i nodi e
dai nodi ai clienti. I vincoli più comuni riguardano la dimensione massima dei centri nei diversi siti e il minimo
livello di servizio logistico assicurato ai clienti.
Nella Figura 3 sono riportati gli andamenti generici delle tre principali voci di costo (immagazzinamento,
trasporto e installazioni) e il tempo di risposta al variare del numero di nodi.
Per quanto riguarda i costi di immagazzinamento, come si è già visto parlando di risk‐pooling, essi seguono
un andamento di tipo 𝑓 𝑛 √𝑛 e un’aggregazione dei punti di stoccaggio apporta importanti diminuzioni
di tale voce di costo.
I costi di trasporto possono distinguersi in:
costi di primo livello (o primo echelon) relativi al trasferimento delle merci attraverso gli impianti
produttivi e di trasformazione, fino ai centri di distribuzione;
costi per il trasporto successivo, a valle, dai punti di stoccaggio ai clienti.
6
Solitamente i costi per i trasferimenti successivi al primo livello presentano un elevato valore, soprattutto
per il maggiore costo unitario di trasporto, basti pensare alla difficoltà di programmazione e completamento
di un carico data l’elevata variabilità delle richieste dei clienti, in quantità e tempi. Incrementando il numero
di magazzini si tende a ridurre la distanza del secondo echelon e pertanto l’andamento decresce fino a un
minimo oltre il quale anche le quantità inviate dagli impianti ai centri di distribuzione non permettono di
sfruttare al meglio i vettori, oltre a generare un significativo incremento dei costi di primo livello.
I costi delle installazioni seguono l’andamento in figura perché accorpando il numero di nodi si riescono
solitamente a ottenere economie di scala, ad esempio sui sistemi di stoccaggio interni, l’handling, la gestione
dell’energia, la sicurezza e guardiania, riducendo inoltre i costi unitari per prodotto trasferito, diminuendo il
numero di infrastrutture realizzate. Con il crescere del numero dei nodi diventano invece necessari
investimenti anche per sistemi informativi di coordinamento e gestione integrata dei differenti nodi, nonché
difficilmente si giustificano gli investimenti per i quantitativi sempre più ridotti di merce che i singoli nodi
andrebbero a gestire.
Figura 3 ‐ Andamento dei costi al variare del numero dei nodi logistici
Negli ultimi decenni sempre maggiori sono stati gli studi compiuti relativamente alle scelte di configurazione
delle reti logistiche, andando a creare un vero e proprio filone di ricerca a cui oggi molte aziende rivolgono la
propria attenzione: grandi realtà produttive hanno individuato nel proprio sistema di distribuzione un’area
di intervento capace di generare importanti margini e soprattutto migliorare le performance della
distribuzione, senza aggravio di costi o addirittura con il loro abbattimento.
7
2 L’incertezza e la gestione delle informazioni: il bullwhip effect
I valori degli ordini trasferiti lungo la supply chain, l’unità base dello scambio informativo tra organizzazioni,
tendono a essere distorti a causa di comportamenti e politiche adottate dai membri della stessa. La variabilità
degli ordini emessi dai vari agenti risulta maggiore di quella relativa alla domanda del consumatore, inoltre
la distorsione tende ad aumentare man mano che ci si allontana dal punto di vendita. Questo fenomeno,
noto in letteratura come bullwhip effect o effetto Forrester, si può sintetizzare in tre caratteristiche principali:
• l’amplificazione della varianza degli ordini piazzati dai diversi agenti della supply chain e quindi
l’amplificazione della domanda tra i vari stadi;
• la tendenza di tali oscillazioni a divenire sempre più ampie con il procedere verso i soggetti a monte
della catena, dal consumatore verso il produttore;
• la presenza di un certo ritardo di fase tra i picchi che si verificano nell’andamento della domanda e
degli ordini dei diversi agenti. Risalendo la supply chain, i massimi si presentano sempre con un
maggiore ritardo temporale.
Il motivo fondamentale, a causa del quale queste fluttuazioni si verificano, è da individuarsi in una mancanza
di trasparenza dell’informazione tra i vari attori della catena che sfocia in una progressiva ed errata
percezione delle informazioni stesse (Figura 4).
Figura 4 – Bullwhip effect
8
Gli effetti di questa propagazione delle oscillazioni si riflettono in un generale peggioramento delle
prestazioni di business e in un sostanziale aumento dei costi di gestione. In particolare, ci si deve confrontare
con:
• elevati livelli di magazzino per cercare di arginare gli effetti delle impreviste variazioni della domanda,
con il conseguente aumento dei costi di gestione del magazzino stesso e del capitale immobilizzato;
• basso livello di servizio nei confronti del cliente dovuto all’improvviso verificarsi di fuori scorta che
possono sfociare, nel più grave dei casi, nella perdita definitiva del cliente stesso;
• perdite economiche dovute alla mancata vendita di beni;
• qualità insoddisfacente del prodotto dovuto alla necessità di un aumento dei ritmi di produzione per
soddisfare i picchi di domanda;
• aumento dei costi per le frequenti revisioni della programmazione della produzione e per la necessità
di rilavorare i prodotti difettosi.
Per quantificarne gli effetti basti pensare che, in base a uno studio effettuato da Kurt Salomon Associates, , i
costi dovuti alle inefficienze nella gestione della supply chain sono, in media, compresi tra il 9 % e il 20 % del
valore totale prodotto da una generica azienda. Inoltre, è stato calcolato che il bullwhip effect provoca in
media, considerando la catena nella sua interezza, un’eccedenza di 100 giorni delle scorte di magazzino.
Questi dati numerici sono sufficienti a giustificare il grande interesse che è stato rivolto allo studio e
all’approfondimento del fenomeno, senza poi dimenticare che la riduzione del ciclo di vita dei prodotti e la
necessità di aderire al modello della produzione snella, per far fronte alle richieste di mercato, hanno
contribuito ad aumentare l’attenzione al problema.
2.1 Fattori di amplificazione e metodi di smorzamento
Qualsiasi fattore che possa portare sia a un’ottimizzazione locale dei differenti livelli della supply chain sia a
un aumento del ritardo, della distorsione e della variabilità è un potenziale ostacolo al coordinamento e
quindi favorisce l’incremento del bullwhip effect. Le principali motivazioni possono essere raggruppate in
quattro categorie:
• incentivazione;
• gestione delle informazioni;
• gestione degli ordini;
• prezzo.
Incentivazione
I processi di incentivazione fanno riferimento ad azioni e opportunità particolari che differenti agenti
sfruttano, aumentando la variabilità e riducendo la redditività globale del sistema. In primo luogo, bisogna
considerare i risultati di decisioni strategiche che hanno un impatto solamente locale, non incrementando la
redditività dell’intera catena: per esempio, se il gestore dei trasporti di un’azienda calcola un livello di
remunerazione connesso al costo medio di trasporto per unità, potrebbe cercare di ridurre quest’ultimo
9
attraverso un aumento del volume dei carichi, con un conseguente aumento dei costi di immobilizzo del
magazzino di destinazione o con una riduzione della qualità del prodotto consegnato al cliente. Inoltre, una
struttura di incentivi per la forza vendita impropriamente proporzionata è un ulteriore ostacolo. In molte
organizzazioni, la valutazione viene effettuata periodicamente sulla base delle vendite mensili o
quadrimestrali: in questi casi la misura del volume è definita in relazione alla quantità prodotta e consegnata
allo stadio successivo della catena e non all’effettivo consumo del cliente finale, inducendo così la necessità
di promozioni e di acquisti sovradimensionati in periodi concentrati.
La chiave per coordinare le decisioni aziendali è assicurare che gli obiettivi di ogni singola funzione siano
allineati con gli obiettivi finali dell’organizzazione. Tutte le scelte di impianti, trasporti e magazzini devono
essere effettuate valutandone la redditività e non solamente il costo totale o quello locale. Per esempio, si
possono applicare sconti a quantità fissa per il cliente se il sistema produttivo ha elevati costi di lancio o
tariffe dilazionate e sconti sul volume; alla stessa maniera, data l’incertezza della domanda, i fornitori
possono utilizzare contratti di buy‐back, con ripartizione dei guadagni o a quantità flessibile per spingere i
rivenditori a mantenere livelli di scorta adeguati e massimizzare così i profitti di rete. Inoltre, ogni
cambiamento che riduca gli incentivi per la forza vendita a spingere oltre modo il prodotto ai rivenditori
diminuisce i fenomeni di amplificazione. Se gli incentivi sono basati su vendite a orizzonte variabile, la
pressione sul prodotto è ridotta, diminuendo di conseguenza gli acquisti anticipati e la risultante oscillazione
degli ordini.
Gestione delle informazioni
La variabilità degli ordini aumenta nel momento in cui le informazioni relative alla domanda vengono alterate
e modificate nel trasferimento da un agente all’altro. Per consuetudine, ogni attore della supply chain,
durante lo svolgimento delle proprie attività, effettua delle previsioni per impostare la programmazione della
produzione, determinare la necessaria capacità produttiva e fissare le quantità di materiali di cui
approvvigionarsi. Le previsioni, tuttavia, sono imprecise per loro intrinseca natura e gli agenti cercano di
migliorarle interpolando il maggior numero possibile di dati sui comportamenti di acquisto dei consumatori.
Spesso, però, tali notizie non sono a disposizione degli analisti oppure non sono facilmente reperibili e
interpretabili. Si fa allora uso dei dati che vengono forniti dalle serie storiche degli ordini che l’agente
immediatamente a valle ha effettuato. In questo caso, quando un agente emette un ordine, questo viene
interpretato come un segnale dell’andamento della futura domanda del prodotto e, di conseguenza, tradotto
in un ordine nei confronti dell’agente a monte.
Si supponga di utilizzare, a ogni livello della catena, il metodo di previsione del livellamento esponenziale.
Con tale tecnica, la stima è continuamente aggiornata con la disponibilità dei nuovi dati sulla domanda
attuale. La quantità dell’ordine che s’invierà al fornitore sarà quindi data dalla somma dell’ammontare
necessario a soddisfare la domanda e di quello necessario a ristabilire le scorte di sicurezza. Può però
accadere che la stima dell’ordine ecceda il necessario fabbisogno e che il fornitore, a sua volta, effettui
un’ulteriore stima in eccesso facendo partire un ordine troppo ampio verso il suo fornitore. In questo caso,
le fluttuazioni dei quantitativi risultano molto più ampie rispetto a quelle della domanda, aumentando
progressivamente dal dettagliante al produttore primario. Inoltre, l’eventuale mancata comunicazione di
informazioni chiave (come per esempio l’inizio di una promozione) può portare all’interpretazione di un
10
aumento di domanda come un fenomeno permanente e non come una situazione occasionale, andando così
a influenzare i livelli di magazzino degli agenti collegati.
Un rimedio per evitare l’insorgere del problema è quello di rendere disponibili i dati di consumo relativi al
mercato (dati POS – Point Of Sales) a tutti i livelli. In questo modo gli agenti possono aggiornare le loro
previsioni con le medesime informazioni. Tuttavia, anche se i dati utilizzati sono gli stessi, le differenze delle
varie metodologie di previsione e delle tecniche di approvvigionamento possono, comunque, condurre
all’insorgere di fluttuazioni indesiderate nell’andamento dei quantitativi degli ordini emessi. Un approccio
più radicale al problema consiste quindi nel consentire una conoscenza completa dell’andamento della
domanda e dei valori delle scorte in magazzino, riducendo contestualmente i tempi di inerzia interna ed
esterna del sistema. In quest’ottica nascono diversi modelli di risposta e approcci al trattamento o
allineamento delle informazioni condivise:
• Quick Response (QR): sviluppato verso la fine degli anni ottanta negli Stati Uniti, il suo scopo è quello
di ridurre il tempo che intercorre dalla lavorazione delle materie prime fino all’arrivo del prodotto al
consumatore, diminuire le scorte e aumentare l’efficienza della rete. Esso si basa principalmente
sulla riduzione dei lead time di approvvigionamento e dei tempi di ciclo, ottenuta attraverso la
condivisione delle informazioni (Figura 5) sulla domanda del cliente finale, così da migliorare le
previsioni degli stadi a monte della vendita al dettaglio.
Figura 5 – Quick Response
• Continous Replenishment Program (CRP): il fornitore ha a disposizione le informazioni sulle vendite
e sul magazzino del suo cliente, rifornendolo in piccoli lotti con elevata frequenza. In questo caso, è
possibile mantenere nello stadio a valle un ammontare di scorte desiderato (Figura 6) e un elevato
livello di servizio, regolamentato con un opportuno contratto. Nella sua forma avanzata, una volta
raggiunto e assicurato il livello di servizio desiderato, il CRP permette di diminuire le scorte attraverso
la rapidità di risposta, aumentando l’efficienza del sistema.
11
Figura 6 – Continous Replenishment Program
• Vendor Management Replenishment (VMR): adottando un sistema VMR il compito di decidere ed
effettuare gli ordini di rifornimento è affidato al fornitore stesso, che si assume la responsabilità della
gestione del magazzino del suo cliente, compreso il compito di garantirne il livello di servizio (Figura
7). Affinché il VMR possa funzionare, il fornitore deve avere piena visibilità sul magazzino del suo
cliente, potendo controllare in maniera integrata l’intero sistema logistico e garantendo lo stesso
livello di servizio con minori scorte. Nonostante questo, gli ulteriori benefici che potrebbero essere
ottenuti non vengono raggiunti perché quando viene implementato il VMR i fornitori non compiono
il passo finale e non incorporano l’informazione proveniente dal cliente nei loro processi di controllo
della produzione e dei magazzini, non utilizzando le informazioni sulla domanda per migliorare i loro
rispettivi processi di ordinazione. Per queste ragioni non si riesce generalmente a raggiungere una
completa centralizzazione ma permane un punto di decisione relativo ai rifornimenti per il singolo
cliente e, separato da esso, un altro punto di decisione relativo alla pianificazione dei propri ordini
da parte del fornitore.
Figura 7 – Vendor Management Replenishment
Gestione degli ordini
Le attività di emissione, ricezione e completamento delle ordinazioni che possono generare variabilità, per
esempio quando le organizzazioni emettono ordini a lotti maggiori dei valori effettivi di domanda. Questa
12
possibilità può verificarsi in caso di elevati costi fissi associati al completamento, alla ricezione o al trasporto
o nel caso in cui il fornitore effettui degli sconti oltre una certa quantità. Chiaramente, il fenomeno si
amplifica soprattutto nei livelli a monte della supply chain che risultano soggetti alla ripetizione della
procedura su più livelli. Inoltre, un’ulteriore amplificazione si genera nel momento in cui le frequenze di
rifornimento si riducono, dato che un eventuale errore nell’attività di previsione viene ripetuto e cumulato
su un ordine maggiore. Infine, si può verificare che la domanda di un prodotto superi l’offerta dello stesso e
che, di conseguenza, il produttore decida di attuare una politica di razionamento nei confronti dei propri
clienti, per esempio consegnando quantitativi di merce minori, proporzionali agli ordini piazzati. Questo tipo
di situazioni comporta per i rivenditori la possibilità di perdere profitti a causa della mancata vendita della
merce non approvvigionata. Consci di questa situazione, i consumatori emettono ordini di entità superiore a
quella dei propri bisogni effettivi. Successivamente, quando la preoccupazione viene meno, i clienti
interrompono bruscamente gli ordini e addirittura, se è loro consentito, tentano di cancellarne almeno una
parte.
Gli interventi in ambito operativo possono essere effettuati in relazione a tre aspetti:
• riduzione dei tempi di rifornimento;
• riduzione dei lotti di approvvigionamento;
• applicazione di particolari strategie in caso di razionamento.
I lead time sono un fattore di cruciale importanza per l’ottimizzazione delle prestazioni: da essi dipende
direttamente il livello di scorte di sicurezza generale, nonchè l’orizzonte di previsione da tenere in
considerazione per la pianificazione e, di conseguenza, influiscono sull’aumento delle oscillazioni della
domanda in ciascuno stadio della supply chain. Inoltre, lead time ridotti garantiscono maggiormente i tempi
di consegna al cliente che effettua l’ordine ma trova il prodotto esaurito in magazzino. Le scelte fondamentali
collegate alla riduzione dei lead time dei flussi dei materiali sono relative alle strategie adottate per il sistema
distributivo, potendo scegliere tra una tradizionale gestione a scorta o a distribuzione diretta, eventualmente
interfacciate con sistemi più articolati come cross‐docking o merge‐in‐transit.
Un motivo per il quale la dimensione degli ordinativi tende ad aumentare e la frequenza degli
approvvigionamenti a diminuire è che il costo di gestione delle pratiche di riordino e del conseguente
trasferimento del materiale è relativamente elevato. Un’ulteriore ragione è la presa in carico del costo della
spedizione da parte del fornitore. La differenza di prezzo praticata per un’unità di carico completa rispetto a
una non interamente sfruttata è tale da indurre il cliente a ordinare in base al pieno carico e non in base alle
effettive esigenze, con la conseguente riduzione della frequenza di approvvigionamento. Per questo motivo
ci si indirizza verso la diversificazione dei prodotti contenuti in una stessa unità di carico: gli ordini vengono
effettuati simultaneamente per più articoli forniti dal medesimo produttore in modo da consentire il
completamento delle unità di carico, in accordo con le esigenze dei distributori. L’effetto è che, per ogni
prodotto, la frequenza di riordino risulta molto più elevata, rimanendo inalterate la frequenza e il numero
delle spedizioni effettuate dai distributori e l’efficienza delle stesse. Pertanto, un ulteriore aiuto per rendere
economici i piccoli lotti di approvvigionamento è quello di rivolgersi ad aziende di logistica specializzate,
sfruttandone le economie di scala.
13
Per quanto riguarda il terzo aspetto, un rimedio molto semplice per contrastare l’insorgere di ordini
maggiorati, in caso di mancanza di forniture, risulta essere quello di allocare le risorse non in base all’entità
dei lotti richiesti dai clienti, analizzando i dati relativi alle vendite effettuate negli anni passati, che forniscono
un quadro più veritiero delle effettive necessità di approvvigionamento. Un approccio più radicale al
problema sarebbe quello di rendere disponibili a differenti agenti le informazioni riguardanti la capacità
produttiva e la situazione dei magazzini dei fornitori. Questo eliminerebbe la causa del problema che consiste
nella preoccupazione da parte dei clienti, giustificata o meno, di rimanere senza scorte per affrontare le
richieste del mercato. Bisogna comunque sottolineare che la condivisione di tali informazioni non risulta
essere di aiuto nel caso di un’effettiva mancanza di scorte, rivelandosi addirittura controproducente. In tal
caso i clienti continueranno a eccedere nelle loro richieste ed eventualmente nella successiva cancellazione
degli ordini. L’unica soluzione è allora quella di incrementare l’entità delle penali da corrispondere in caso di
cancellazione.
Prezzo
Particolari politiche di prezzo generano variabilità nel numero e nella quantità di ordini ricevuti. La variazione
più o meno rapida dei prezzi è una conseguenza naturale dovuta alle condizioni di mercato in cui può essere
collocato il bene. Periodicamente, però, produttori e distributori ricevono offerte vantaggiose in termini di
prezzo o condizioni di pagamento e a loro volta effettuano sconti, in determinati periodi, ai rivenditori
all’ingrosso. Quando si verificano tali condizioni ottimali, il consumatore compra in quantità superiori rispetto
al necessario. Nel momento in cui, invece, il prezzo torna a un livello normale o superiore, il cliente smette
di acquistare fintanto che ha a disposizione le scorte precedentemente immagazzinate. Di conseguenza,
l’andamento degli acquisti non rispecchia quello dell’effettivo consumo e le oscillazioni sui volumi risultano
essere concentrate in determinati periodi dell’anno, in corrispondenza dell’applicazione delle promozioni,
ove siano presenti ridotti costi di stoccaggio. Nonostante siano i produttori e i distributori a generare queste
variazioni, con le loro politiche di incentivazione e promozione, sono proprio questi agenti della catena a
soffrire maggiormente delle conseguenze sopra illustrate. Infatti, per far fronte alle forti oscillazioni di
domanda, le aziende sono costrette, in alcuni periodi, ad aumentare la produttività con relativi incrementi
dei costi di gestione. Come alternativa si può tentare di anticipare i picchi di domanda scegliendo un più alto
livello delle scorte, a fronte di un notevole aumento dei costi di gestione del magazzino, del capitale
immobilizzato e dalle problematiche di movimentazione e spedizione.
Come risultato delle promozioni a quantità fissa, i rivenditori tendono ad aumentare l’entità del loro lotto di
ordinazione per ottenere l’intero vantaggio dello sconto. Offrendo invece sconti sul volume totale, in cui la
riduzione è calcolata sulla base degli ordini effettuati in un periodo più esteso, si tende a ridurre l’effetto di
amplificazione. Inoltre, la possibilità di introdurre orizzonti di controllo variabili scongiura anche l’eventualità
di ordini gonfiati con l’avvicinarsi del momento di valutazione per quelle aziende che ancora non hanno
raggiunto il limite per il bonus: la maniera più semplice per controllare il bullwhip effect è quella di limitare
l’entità di tali sconti e la loro frequenza. Il produttore può ridurre la tendenza del cliente all’acquisto
preventivo semplicemente stabilendo ad esempio un’uniforme politica di pricing, come per le strategie di
Every Day Low Price (EDLP) nel settore alimentare. Tali organizzazioni hanno effettuato una generale
riduzione dei prezzi di listino e un aggressivo taglio delle offerte e promozioni che venivano, in precedenza,
proposte ai clienti. Altre tattiche sono relative alla definizione di rapporti tra le quantità acquistabili dai
14
rivenditori nei periodi di promozione e le loro vendite storiche, in modo da porre limiti sull’ammontare del
prodotto approvvigionato in eccesso.
2.2 Effetti e interventi intangibili
A fronte delle problematiche presentate per la condivisione delle informazioni sulla domanda risulta evidente
come le aziende tendano comunque a concentrare sempre di più i loro sforzi sugli elementi tangibili della
supply chain, dimenticando di riconoscere il ruolo negativo che la mancanza di fiducia e coordinamento tra
gli agenti può svolgere. Anche se difficilmente quantificabile, questo fattore può avere un impatto
significativo sui livelli di magazzino e sui costi operativi, soprattutto considerando i risultati potenziali che la
visibilità delle informazioni può consentire di raggiungere.
Gli elementi intangibili condizionano notevolmente le performance delle organizzazioni a causa delle diverse
attitudini e percezioni degli agenti che, prese collettivamente, aumentano il rischio di esposizione. Questa
spirale di inefficienza (Figura 8) si articola lungo quattro step:
• scarsa visibilità;
• ridotto controllo;
• confusione;
• incremento delle scorte.
Figura 8 – Spirale del rischio
Il fenomeno si attiva, ad esempio, nel momento in cui il tempo di ciclo per la gestione di un ordine si allunga
eccessivamente e una ridotta visibilità sui processi e sulle performance dei vari agenti della supply chain non
permette di identificarne le motivazioni alla base. Conseguentemente, ogni volta che un ordine viene
emesso, anche nei casi di massima visibilità, il controllo e la possibilità di agire per effettuare cambiamenti
sul breve periodo sono molto limitati (sia in termini di regole contrattuali sia di tempi di risposta).
15
In un sistema a scarsa visibilità e ridotto controllo, processi non coordinati di agenti diversi tendono ad
aumentare il rischio di generare confusione, ad esempio incrementando gli ordini di approvvigionamento per
mancanza di informazioni rispetto al reale valore della domanda o in caso di timore di consegne n ritardo o
insufficienti. Secondo lo stesso principio, i piani di produzione possono calcolare tempi di attraversamento
dei prodotti maggiori rispetto alla realtà, in quanto gli operatori tendono a incrementare I valori di durata
effettiva delle operazioni per far fronte a eventuali cali di rendimento del sistema produttivo o a eventi di
guasto.
Senza visibilità e controllo è comune che la supply chain sia affetta dal fenomeno delle scorte in eccesso, con
un conseguente impegno finanziario, dovute alla necessità di fronteggiare l’incertezza. In queste condizioni
in cui effetti distorsivi incrementano i tempi di attraversamento, l’informazione relativa allo stato reale della
domanda, della capacità produttiva e dei reali livelli di magazzino viene di norma a mancare, riducendo
ulteriormente la visibilità del sistema stesso e annullando la capacità di intervento nei confronti di eventi
inattesi.
La fiducia nella supply chain riflette quindi la percezione sull’affidabilità delle performance a ogni livello della
rete. Per rompere la spirale del rischio è necessario disporre di un sistema di misura delle prestazioni che
possa indirizzare le organizzazioni verso un incremento della visibilità e delle leve di controllo, in particolare:
• generando e distribuendo informazioni accurate: gli indicatori chiave e il loro stato dovrebbero
essere facilmente accessibili agli agenti (livello delle scorte, valori di domanda, evoluzione delle
previsioni, piani di produzione, approvvigionamento e consegna, work in process, rendimenti,
capacità residua, ordini arretrati). Queste informazioni e i loro aggiornamenti devono essere accurati
e puntuali, in maniera da abilitare le varie attività di coordinamento. Il canale così stabilito diventa
una fonte di fiducia per i partner;
• definendo condizioni di allarme per fuori controllo: ogni volta che si identifica una deviazione da un
piano, ogni partner deve essere informato. Sistemi di controllo intelligente devono essere adottati
per verificare se gli scostamenti sono normali, casuali o sistematici, inaspettati o meno, e se sono
meritevoli di attenzione;
• istituendo azioni correttive strutturate: gli agenti dovrebbero definire piani contingenti e strumenti
comuni e condivisi per mettere in atto le azioni correttive quando si generano condizioni di allarme
o fuori controllo;
• abilitando la sincronizzazione: una volta che le informazioni riescono a essere correttamente gestite,
mancano solo pochi passi per una completa efficienza e un contemporaneo aumento della reattività.
Lungo la supply chain la parola chiave diventa “agilita`”, intesa come capacità di adattamento alla
domanda.
16